IP® Si Kg pi il SI! A Nil P!LI) HNROAKZf U D I N E Tipografia D. Dol Bianco 1894 i K 'v/1 '. ■J>—0 ;}■—<> J=—a é Colline Fri [lane RICORDI E NOTE D'UN VILLEGGIANTE DI ANGELO MENEGAZZI TIPOGRAFIA IH D. 1>KI- BIANCO 1804. Riservati i diritti d'Autore. 163168 dllcmcw bella cablale ospitalità avuta nel Suo avito cartello, vii enozo bcbicazJJe cjueste poclie ■pagine, aian patte belle aitali zicozbauo bavvicino lucani a Xei ee/uaìntente che a me cazi, e le intitolo a Sua Sianczia clic, ezebe b uno bei più cospicui casati bel nestio $'zittii, bimostza in mobo cesi splen-bibo come al filasene pescano anbaz congiunti e il cult: betr aite e la piìi sauisita amabilità. Si compiaccia accogliete lomaaaio zivezente c/ie cen aiate animo ..fé o^jig insieme ai sensi bella mia pili alta ceusibezciéleiì^e. Al cor lese lettore. Chi legge queste pagine troverà alla fine di esse V elenco delie fonti a cui attinsi i cenni storici che vi sono contenuti. Premetto inoltre che ima buona parte delle notizie che concernono il Castello di lìuja e il Palazzo di Susans mi furono gentilmente favorite dagli egregi amici miei, cav, Domenico Dott. Barnaba per quanto riguarda il primo di quei castelli e cav. Don Valentino Baldissera di Gemona per quello che spelta il secondo. Tanto a sgravio di coscienza. Del resto non Ito la pretesa di aver fatto la storia né di questi, riè di altri manieri e borghi de' suoi risparmi, ch'egli teneva in serbo per cerio date occasioni, unito alla mesata di stipendio clic percepiva, gli era più che bastante per sottrarsi di tanto in tanto alle cure uggiose e materiali della città e darsi un po' di svago nella serena libertà dei campì, in qualche recondito cantuccio della sua patria elettiva. Un anno era andato a (iemoiia ed avea visitato pei' lungo e per largo tutto il Canale del ferro, questo valico alpino cesi ricco ili prospettive, cosi vario, cesi incantevole, che sparisce in un labirinto di molili ardui, scoscesi, ora aridi, ora rivestiti d'un verde più o meno carico, aggruppati, stretti gli uni agii altri, d'un aspettn stranamente bizzarro e fantastico insieme. L'anno dopo uvea preso a pigione una casettina rustica in mezzo a una selva di pannocchie, dove avea potuto gustare in segreto tutte le dolcezze della vita solitaria; un'altra volta era. stato alle Basse in un paesello ignorato, che gli lasciò le più gradevoli impressioni. Ora avea creduto bene di accettare l'ospitalità offertagli da una sua zia che dimoiava a San Daniele del Friuli e nelle cui vicinanze possedeva una casa di campagna. Ed è qui appunto dove la famiglia Floriani stava per trasportare le sue tende e contava trattenersi un paio di mesi, quel tanto che duravano le ferie scolastiche. Scoccavano le tre dall'oroloffio della torre ili piazza Contarena quando i unsi ri viaggiatori, infilata la barriera di Poscolle e percorso breve tratto della strada di circonvallazione, volsero a mancina per lo stradale che da Porta Vii lai ta mette a Eagagua e a S. Daniele. Procedevano al trotto tra due fitte spalliere di siepaie infarinate del polverio «Iella strada è sporgènti 7. Il patriarca (ìregorio di Montelongo, partito da pividale, s'era fermato a pernottare in Vil-lanova, del ,ludi i in casa dei nobili di Manzano. Mentre quel principe valoroso e benefico era immerso nel sonno, il conte Alberto di Gorizia, scortato da una l'erte mano di armigeri, penetrava furtivamente nel villaggio, arrestandosi presso a qùell*ospitale dimora. Altro non udivi elio lo stormir delle (rondi e il mormorio del vicino torrentello. Risoluto di non lasciarsi sfuggire la preda, l'audaci; cavaliere ordina alla sua masnada di apposlarvisi d'attorno e dopo avere staccato dal grosso della truppa un buon nerbo di lidi, s'attenta a varcarne la soglia. Si caccia innanzi e già seguito da questi riesce a por piedo nella stanza ove donne 1* inconscio patriarca. A quello scalpiccio, il tradito prelato, non ancora ben desto, spalanca gli occhi stra- — COLLINS FRIULANE — .....................................>............... lunati e intravedendo solin < j t n 'Ile armi il suo eterno e sleale nemico, sia. per cacciare un mio, ma una mano gii chiude la. bocca. Minacciato di morte se osa fiatare, balza dal letto, uè la tèmpo ili vestirsi completamente, clic già gii sono addosso, l'afferrano, lo trascinano fuori. I.' infelice conscio del proprio destino e impotente a resistere come che sia, dopo essersi rac- c.....andato al Cielo, s'abbandona rassegnato in balia do' suoi aggressori. Questi gii si all'oliano d'attorno mentre un vile giumento l'attende. Lo costringono a l'orza a montare SOVr' éSSO e ve lo traggono diviato al castello di Gorizia, vittima del più abbietto tradimento. L'incredibile temerità del Goriziano il quale, malgrado la pace concliiusa col patriarca, cosi perfidamente rompeva La data fede, sollevò uno scoppio generalo d'indignazione; per cui convocato immediatamente il parlamento a dividale fu decisu senz'altro di por mano alle armi. Accorse a capo di numerose schiere Asquino nobile di S. Daniele, impaziente di vendicare il diritto oltraggialo, avendo a fianco il vescovo di Concordia: entrambi trascelti dalla liducia dei rappresentanti popolari a condurre t'impresa. Senonchè prima ancora di scendere in campo, l'arcivescovo di Salisburgo ed altri eminenti personaggi s'intromisero a favore dell' illustre prigioniero e riuscirono a strapparlo dalle ugne di quei bravacci. Ma se all'ardimento d'un nobile figlio di questa terra non fu allora concesso di lavare nel sangue 1*onta patita, non accadde così l'anno dopo, in cui all'esasperazione degli aldini suscitata da un nuovo tradimento, ancora, se pur possibile, [dii iniquo del primo, si aggiunse il braccio punitivo del diritto oltraggiato, che seppe rintuzzare colla punta della spada la tracotanza del Goriziano. „ Una mattina, mentre il vescovo di Concordia Alberto da Colle aggiravasi in compagnia di alcuni suoi cortigiani presso il colle di Medea, un branco d'armali, appiattatosi lungo la via, sbucavi) all' improvviso e avventandogli contro con cieco furore, spegneva lui ed il suo seguito. Alla nuova dell'atroce fatto il paese tutto levossi in arme e scese in campo ; il patriarca alla testa, La comunità di S. Daniele sollevatasi aneli'essa a difesa comune Lanciò un forte nerbo de' suoi pni strenui campioni contro il perfido traditore, il (piale, incalzato sempre più dappresso e costretto a rifugiarsi nel castello di Gorizia, vedeva sbigottito dagli spalti di quella formidabile rocca avanzarsi il nemico di villa, in villa, di strada, in strada e divampare I'incendio in tutto il contado, no' suoi possedimenti, ne' suoi borghi, in quella stessa città baronale che gii si stendeva ai piedi implorando invano soccorso dall'alto. Nò questi furono i soli avvenimenti, ai (piali il nostro borgo medioevale legò il suo nome. Altre volte prestò braccio forte io aiuto di questo e quel patriarca, per cui bene spesso divenne bersaglio alle ire di parte e alle implacabili vendette di nemici esterni più e meno palesi. t'osi nel 1349, ridestatesi le ostilità tra il contedi Gorizia e il patriarca IJert ran do, quegli dopo averi; inutilmente assediato Gomena, roso nel cuore dalla rabbia di dover abbandonare l'impresa, fa una diversione e si pianta sotto le mura di S. Daniele. 1 terrazzini, come vedono addensarsi la procella sul capo, fauno del loro meglio por '".scansarla: si rinserrano in tutta fretta, si armano sino ai ilenti, si spargono sui terrapieni, accorrono d'ogni parte a provvedere alla difesa, a puntellare, a munire i luoghi più esposti. Quando il nemico s'affaccia alle loro porte, trova una barricata di usberghi pronti a difenderle. Non pertanto furibondo raffronta, ma ne è ributtato. Cieco di rabbia, ritorna, all'assalto con più furore di prima. S'accende una mischia disperata. Così da una parte conio dall'altra si combatto con pari accanimento, con pari valore; spesseggiano i colpi, piovono i fondenti, aumentano le strida. Cadono in mozzo a un tempestare di sassi e di dardi i più arditi; si rizzano con fulminea rapidità, per ricadere poco dopo riversi al suolo; altri succedono a questi in un baleno, si spingono innanzi lottando corpo a corpo disperata-niente. L'aste infranto, abbattute le insogno, cai- pestati gii usberghi, trafiggendosi e rovesciandosi a vicenda, una schiera e l'altra si contendono la vittoria. Finalmente quei di fuori giungono alle porte del castello, le sfondano, e con uno sforzo supremo s'aprono la via ingombra di rottami e di cadaveri. Ail abbattere maggiormente gli animi, agii strazi delle guerre civili s'erano aggiunti i disastri della natura. Un anno avanti, noi^bastando la lame e la peste a desolare il paese, un altro flagello, più terribile di tutti, avea colpito a preferenza l'alto Friuli; il terremoto. Giovanni Villani nelle sue Cronache fa menzione di ipiella spaventevole scossa, che cagionò innumerevoli guasti e costò la vita a migliaia di persone. Altri cronisti confermano i terribili effetti di quel fenomeno che fu ima vera catastrofe per tutta questa regione, riducendo ad un ammasso di mine gran numero di chiese, torri e campanili, compreso quello di S. Daniele, che minava dalle fondamenta travolgendo sotto le macerie uomini e donne. (in poi t'osse Capitato a S. Daniele nell'agosto del I.'ild, nuovi" sventure l'avrebbero colpito. Ottocento cavalli del duca Rodolfo d'Austria stanziavano presso la villa di Carpacco poco 38 — COLLINE FRIULANE lungi dal Tagliamento. Ingrossava le lila. di quelle soldatesche un branco di tirannelli prezzolati, che non duranti della Libertà dei borghi, facevano causa comune coi più arrabbiati nemici della, propria patria, concorrendo col loro braccio alla rovina di quella stessa terra che aveali veduti nascere e ohe, nutrice benevola, era stata loro larga d'ogni sorta d'inestimabili favori. Tra questi si contavano i feudatari di Spilimbérgo, Hagogna, Pordenone e Peata. Questa volta, [aire i nostri borghigiani si difesero alla meglio; se-nonchè, per quanto la disperazione avesse centuplicato i loro sforzi, soprafatti dalle forze soverchiane, ben più che dal valore di quelle bande agguerrite, non riuscirono a salvare lo loro case e i loro avori dagli orrori della più sfrenata licenza. in altro assedio sostennero i nostri, e fu l'apoteosi dei fasti sandauielosi, durante il patriarcato di Filippo d'Alencon, reiezione del quale era stata, come lo scoppio d' una. mina, Sollevatesi (piasi tutte le popolazioni di questo travagliato Friuli contro il nipote di Filippo di Valois, ritenuto autore della rovina della Pallia, che data in commenda perdeva, d' un trailo la sua autonomia e diveniva soggetta alle dipendenze del papato, borghi e castella, città, e villaggi, vita pubblica e privata, tutto era andato travolto nei vortici della più sciagurata guerra, civile, Le case vuote, indifese; i campi desolati, distrutte lo mossi, le strade percorse da bande armato, briache di sangue, rese sempre piti ardite dalla cupidigia ili nuove prede; un fuggir dai paesi dove non e' era più ombra di sicurezza e il veleno degli odi i di parte serpeggiava in seno alle stesso là migi io ; torme di fuggiaschi languenti dalla fame, stremati di forze, costretti a vagare di strada in strada e a soccombere sótto gii orchi degli slessi nemici; dappertutto un fragor d'anni, un martellare di campane suonanti a raccolta; e qui e colà un'altalena ili /.ull'e e di tregue, un succedersi di vittorie e di disfatte. K impossibile concepire uno scompiglio di cose pili arruffato, uno Spettacolo più straziante di quello, in preda al (piale giacque la Patria friulana dopo la. morte del patriarca MarquardÓ e l'elezione dell'Aleneon, imposta da papa Urbano vi. .Meiilre le cose oran i ridotte a tali estremi e I'Aleneon, volendo reggersi in piedi ad ogni costo, s'era inteso con Francesco di Carrara, signore di Padova, la. comunità di S. Daniele invocava a sua volta il braccio forte della Repubblica, veneta, che sola poteva, trarla d'impaccio in mezzo a quel serra serra, Intanto Facino Cane, o ehi per esso, inviato dal Carrarese, alla testa di oltre mille cavalli ottenuti dal re d' Ungheria, fermava il campo sotto le mura di Udine, focolaio della rivolta, dal quale si sprigiono tale fiamma d'amor cittadino, clic per poco non avvolse od Ir sue s[»ire gli stessi assalitori, i quali, vista la mala parata, levarono l'assedio e mossero a rapidi passi alla volta di S. Daniele, sentinella avanzata degli Udinesi. Il nemico! fu il grido d'allarme che proruppe dal colle pittoresco all'avanzarsi di ipiel nuvolo di cavalieri. E subito dopo un lanciarsi generale alle feritoie, alle trincee, ai terrapieni, un appiattarsi dietro ai ripari eretti dalla natura e dall'arte. Uomini e donno, vecchi e fanciulli, mossi da un solo e comune intento, muniti u'ogni sorta di armi, dalle treccie ai sassi, dalle mannaie agli stocchi, accorrono da ogni banda, dai campi, dai borghi, dai tuguri, dalle case, volili delle libertà, municipali, a salvaguardare Je proprio franchigie. Lungo fu l'assedio, ostinala la difesa. Saettati reiteratamente gli uni, tempestati alla lor volta, gli altri, assalitori ed assalili continuarono un bel pezzo, quelli ad irrompere furibondi, questi a resistere disperatamente. Ciò non toglie che le condizioni dogli assediati si fossero fatte sempre più critiche: già era incominciata a cedere qualche trincea, a sfasciarsi qualche steccato, e col dirottare delle vettovaglie, già venivano mono le prove di coraggio, gli atti di valore Un soccorso di fuori non poteva pero-tarda re, senza di cui a nulla avrebbero approdato tutti i loro sforzi. ('omo videro gli strenui difensori sfolgorare sull'opposta collina un manipoli» «li lance e riconobbero allo stendardo l'armo udinese— Viva Udine-!" gridarono cento voci insieme, é brandire le armi, scendere di corsa scavalcando siepi e muraglie, giungere al basso ed investire l'avversario fu per così dire un momento solo. Assalite ai fianchi e alle spallo, lo bando carraresi piegano innanzi e indietro; lo sbigottimento le invade: si sbandano, si disperdono incalzate por ugni verso da un nembo di picche e di alabarde. Bagagli, munizioni, tutto è abbandonato in (pud pa rapigiia. Nella l'uria di sottrarsi a certa morto, i balestrieri carraresi, non rimanendo loro altro scampo, spingono i cavalli attravèrso la corrente del 'ragliamento, sperando di guadagnarne l'opposta riva ; ma il fiume già gonfio per le incessanti pioggie, ingrossato rapidamente in seguito a un nuovo acquazzone, minaccia, ingoiarli; e non poche in fatti di quelle milizie, trascinato dall' impeto dello acque, sono travolte noi gorghi. Alle grida disperate di quei miseri che strettamente ghermiti alle loro cavalcature lottano l'accia a l'accia colla morte, altre grida rispondono : le grida festosi; della vittoria. Nò fu in tale occasione soltanto che Ialino e S. Daniele, alì'ratellate insieme, fecero causa comune. Nello lotte successive delk comunità Contro il patriarca Giovanni di Moravia più in- 42 — Cor,LINK FR1ULANF. — testo assai alle libertà cittadine che una intera bigione di barbari, il comune e gli abitanti di S. Daniele non solo furono ammessi alla cittadinanza udinese, ma si collegarono con questa a danno di quel principe abbornincvole. Il quale, fedo inteso a dare l'ultimo crollo alle franchigie municipali e inviperito contro questi suoi vassalli, cui perdonar non poteva d'aver fatto F occhiolino a quei demoni di Udinesi, non pago di fulminarli cogli anatemi, volle ferirli nel bel mezzo del cuore, e fece catturare Corrado di S. Daniele, nobile di quel Castello, e ucciderne due figli. .Ma la colpa vendica la colpa, e nella memoranda congiura ordita due anni dopo coni io questo tiranno, spettava a un altro consorte dell'offeso casato di trarne vendetta. Menico in fatti lo sciagurato patriarca so ne stava presso la porta d' ingresso del Castello di Udine, un pugno di congiurati gli è addosso, l'atterra, lo spegno : uno di questi è G-uarnerio di S. Daniele. A dare l'ultimo tracollo al paese già travagliato da tanti nudi venne un nuovo flagello: la peste che in quel torno di tempo avea poco per volta invaso ogni più remoto cauto. La moria fu generale e (privi [iure ascesero a parecchie centinaia le vittime del morbo. Soccombevano la più parte privi di soccorso, non bastando nò ospizi nò lazzaretti a capire cosi gran numero di ammalati; nò essendovi braccia sufficienti per seppellire in una volta tanti cadaveri, molti di — i/ANTICA PERLA PATRIARCALE 43 questi giacevano sulla pubblica strada, gettati alla rinfusa, ammonticchiati gli uni sepia gli altri; spettacelo davvero raccapricciante, che accresceva, se pur era il caso, gli orróri dello stesso male e gettava quelle misere popolazioni in preda allo sgomento e alla disperazione. Cessata la l'uria del morbo, i pochi che erano sopravissuti a quella strage, si recarono pro-cessionalmente al santuario della 15. V. di Com-merso nella vicina villetta di S. Tomaso, e quivi appesero corone votive ed innalzarono fervide preci in rendimento di grazie dello scampalo pericolo: a commemorare il qual giorno ancora ai d'i nostri convengono in pellegrinaggio a quella Chiesa, i devoti dei paeselli di tutto il circondario, Nò ([ili ebbe line l'iliade (li guai, cui soggiacque, non che questa terra, tante altre insieme, che tutte pib o meno ridotte a dover sopportare in una volta le ingiurie della natura e quelle degli uomini, non conoscevano tregua nella sventura, ed olfrivano una continua vicenda di miserie e di dolori, per cui non erano ancóra dileguati i terribili effetti d'un disastro, che già un altro ne sovrastava. Scoppiata la guerra tra 1' imperatore Sigismondo e la Repubblica di Venezia, non è da meravigliarsi se in mezzo a tante perturbazioni, il tanto ribollimento di sdegni e di vendette, anelie il paese di S. Daniele non isfuggisse a nuovi eccessi. Colto in latti alla sprovvista, fu assalito nel cuor della notte e posto a sacco; nè ben sazio ancora di vendetta, Tristano Sa-vorgnan, nemico giurato dell' Impero, ricuperate che oblio tutte le sue castella, tre anni appresso ritornava all'assalto con maggior rabbia di prima, e vi appiccava il fuoco che, di vani pan do in un attimo, propagassi ai fenili, ai tuguri, ali*1 case, e distrusse il palazzo del Comune insieme a molti altri edilizi. Pur tacendo molte altre peripezie toccate al nostro comune durante le guerriceiuole municipali insorte tra fonilo e feudo, tra comunità e comunità, e più particolarmente, le tante vessazioni subite dai nostri popolani per opera dei nobili, i quali non contenti di tenere in abi-lanza il castello, volevano inoltre spadroneggiare a loro talento anche nel borgo, non è possibili.1 non ricordare al lettore un altro 1 orribile dramma svoltosi «nitro a queste mura durante le tanto congiunture politiche e le mille perturbazioni che tennero dietro alla sciagurata Ioga di Cambrai. Perdurava da un pezzo tra Venezia e l'imperatore Massimiliano la più aspra contesa, su- scitando una lunga serio di sanguinosi conflitti. In una di quelle scorrerie allora tanto frequenti, gl'imperiali piombarono su quest'altura, non senza però che i suoi animosi abitanti, fiutando per aria lo scoppio della procella, avessero a tempo sopperito ai bisogni della, difesa, sia ammassando armi e vettovaglie, sia costruendo nuovi spalti e nuove bastite. All' irrompere di quelle turbe furenti, San Daniele contrappose la più gagliarda resistenza. Nessuno mancò all' appello : uomini, donne, fanciulli, tutti furono al loro posto in quel supremo momento, saldi come le rupi dell'Alpe vicina, impavidi, formidabili. S'accese una bugna accanita., feroce. Finalmente, dopo due giorni d' impari lotta, estenuati dalle privazioni, soprafatti dal numero, dovettero arrendersi. Ma, la insperata, vittoria, anziché spegnere la, rabbia, negli assalitori, la rese vieppiù ancora, feroce; ed ecco le schiere vincitrici, a pochi passi dalla preda, lanciar visi contro con incredibile furia. Esterrefatti i nostri li vedono sopraggiungere ansanti, intrisi di sangue, anelanti di vendetta e di rapina. Nulla trattiene quella turba scatenata: non le imprecazioni dei caduti, non i gemiti dei morenti, non le grida disperate delle donne e ilei fanciulli. Mille braccia si sollevano in atto d'implorare pietà. Vana speranza! Cadono sfracellati sotto i colpi delle mazze ferrate, degli spadoni, delle 46 COI.I,INK PH I Ul.ANE — mannaie, trafitti (lugli stocchi, dalle lancio, dai pugnali gl'intrepidi difensori, immolati alla più orribile strage. E in mezzo a quell'eccidio, tra cumoli di macerie, di travi crepitanti, di armi spezzate, di corpi, ammassati, mille mani si avventano sul Imitino, si contendono la preda. L'ora cstrcina non era però ancora scoccala, e (piesto contrastato paese non tardò a riaversi degli strazi subiti. Caduto il dominio temporale dei patriarchi e riaffermatosi in tutto il Friuli il governo repubblicano di S. Marco, S. Daniele, vedetta antesignana delle libertà municipali, che sin dal I iiò era stata data insieme a S. Vito in signoria a! patriarca, potè respirare più tranquillamente all'ombra del vessillo aquileiese, che rimase inalberato sul torrione del suo castello sino all'anno 17ol, epoca in cui avvenne la soppressione definitiva del patriarcato. Negli ultimi anni anche il castello, di spettanza dei nobili di S. Daniele, ebbe a mutar padrone e divenne feudo della famiglia Concilia. IV. lini folle «li S. Daniele. Fino dallo spuntare del giorno la gridalo cittadetta aveva assunta una fìsonomia festaiuola. Le finestre, le porlo dolio case spalancato, le botteghe aperte prima del solito, i cortili rustici ingombri di carri e di carretto. Giungevano alla spicciolata,, a frotte, in compagnie sempre più numerose i villici do] circondario d'annuisti a gruppi ili mereiai, di l'attori, di sensali; e coli'alzarsi del sole affluivano in sempre maggior copia le mercanzie d'ogni genere: capitavano i carri di stranie e di fieno, i sacchi delle granaglie, le corbe ripiene dei prodotti della campagna. Vedevi frani mischiati i fasci dello ombrelle colorate ai mazzi di fruste e di Correggio, i canestri delle uova, le spoi'te delle civaie alle forme dì cacio pecorino, le immancabili catinelle dei gamberi e delle rane, alle casse delle trote e delle anguille ; e poi un monte di zoccoli accanto a un'intera batteria di piatti e di scodelle; una mescolanza di coso : taglieri, cucchiài di legno, pannine, coltroni, burro, ricotta, capponaie con entrovi stipato un nuvolo di becchi, di creste, di piume. In mezzo a quella doppia• fila di baracche ingombre 'li mille cianfrusaglie, di mille oggetti svariati, messi in vista, un po' disposti con certa simmetria, un po' gettati alla rinfusa, sfilava una processione di zazzere incolte e di capigliature liscie e lucenti, di casacche rattoppate, sdrušcite, a brandelli e di vestiti lindi, profumati, attillati, di cappelli d'ogni foggia e di pezzuole d'ogni colore: frotte di contadini, di Coloni, di agenti di campagna; brigaleUe di villeggianti, bottegai ambulanti colla, • cassetta al eolio, barocciai, stallieri, guardie campestri, pievani con tanto di facciona, rubizzi, scalmanati; ragazze strette a braccetto, dalla nota, gaia e chiassosa, dalle forme arrotondate e dagli sguardi procaci; giovanotti che facevano loro gli occhi languidi, si di veri i vano a dar pizzicotti a destra e a sinistra e a bisbigliare dello parolettè negli orecchi delle belle; baron celli che a costo di rimaner schiacciati si cacciavano Ira le gambe dei passanti, sotto le ruote dei carri, a raccattare i mozziconi gettali via dai fumatori. Poco per volta tutta quella moltitudine fatta sempre più romorosa, invadeva ogni angolo della piazza e del borgo sottostante, s'accalcava, si pigiava davanti i banchi e gli sporti delle botteghe posticcie, attorno ai desebi delle ciaui-lielle e della limonata, al tappete verde ili qualche cerretano brevettato, sotte il naso di qualche ciurmadore tutt* intento a spiegare le gesta di qualche santo o malfattore celebre. Per tutto era un rimescolio, un incrociarsi di corna, di limoni, di fruste, un visibilio di gente che ingrossava a vista d'occhio e aprivasi il passo a l'uria di Mancato, uno strillare di venditori, un gridio assordante che copriva le strimpellate dei suonai ori di chitarra o gli a soli caustici di qualche violino scordato. Le osterie piene zeppe di accorrenti che facevano un baccano indiavolato, di ubriachi fradici, eia1 sollevati i gomiti e la testa dal tavolo, tentavano con uno sforzo d'alzarsi e ripiombavano SU quelle henedetle panello, sinoliò, puntellandosi alla meglio e barcollando, trovavano la via d'andarsene, e appena fuori della pòrta, BÌ Imita vano addosso ai primi capital i. Nei calle, oltre ai soliti cròcchi di persone civili convelluto a farvi una breve sosia, un va e vieni di mercanti e di mezzani, i quali dopo aver vuotato un diluvio di bicchierini e un sacco di sagrali ed essersene delle d'ogni colme, si tiravano por le braccia, che pareva volessero staccarsele, seppur*1, conio succedeva ben di frequente, non s'accapigliavano in mezzo a un fuggi fuggi generale. il nostro villeggiante arrivato colassi) sul punto elio tutti erano in moto, si mette a rendere la calca, quand'ecco colpirlo un tempestare di grida che partono da un assembramento lì vicino. Si volta a guardare che e1 è. — K un bestione di prete, sente a dire, che ha pigliato due pel collo, e non c'è cristi che voglia lasciarli. — Un senso di curiosità ve lo spingi' a cacciarsi innanzi, e a forza di giuocare di gomito riesce finalmente a l'arsi largo. Guarda, e riconosce sotto a quel cappellaccio a tre punte il famigerato Pre Tiie, quel colosso di pievano che avea veduto laggiù in villa e le cui gesta gli mano già troppo note: il volto acceso, gli occhi fuori dell'orbita, con una mano teneva avvinto al collo un pezzo di villano, coll'altra seguitava a tener stretto un secondo..,, e quelli a strillare, a imprecare, a fare omo sforzo per isvin-colarsi. Una folla, di curiósi assisteva muta, perplessa a quella scena comica, e c'era da scommettere che la. sarebbe finita malo per quei due disgraziati, se per buona sorte i carabinieri non fossero accorsi in tempo a strapparli dalle mani di quel forsennato. Ma una ben altra e ben più gradita sorpresa l'attendeva poc'oltre. Mentre pensava d'andare al caffè a leggervi le novità del giorno, sente posarsi una mano sulla, spalla; si volta e si trova faccia a faccia col signor Martinelli: una perla d'uomo, che il Floriani già da lunga pezza avea imparato a conoscere a Trieste, e col quale si sentiva legato da un certo qual senso d'intrinsichezza, di simpatia, prodotto da una certa qua! somiglianza d'animo, da una consonanza d'idee, d'opinioni, d'ideali, che gli aveano fatto cercare la sua compagnia con un desiderio vivissimo di confondere insieme all'etti e voleri, aspirazioni e speranze. È facile immaginare come rimanesse il Flo-riani a quella vista inaspettata: — Tu qui? — gli chiese. — E tu, che cosa sei venuto a far qui, tu? Il signor Martinelli, s'alfrettò a dirgli che aveva la famiglinola a llagogna, dove erano venuti a passare un paio di giorni in casa dì quel medico condotto: un giovialone, un vero capo scarico, che ve li avea accolti con ogni sorta di dimostrazioni. — Bella davvero! — e-sclamò il Fìoriani — ed io pure, vedi, ho piantato le tende poco discosto di qui, in una villetta a piedi di questo colle... un lueghicciuolo da innamorati!.. A proposito, è pei' la prima voha che vieni a queste parti? — Il Martinelli era stato qualche anno avanti a Udine, ma non s'era spinto più in là del colle del castello. Fu quindi deciso che si sarebbe [tassata la giornata assieme: Floriaui avrebbe fatto venire la moglie coi figli a S. Daniele, poi tutti in una volta si sarebbero recati a Kagogna, in compagnia dell' amico, a battere, come si suol dire, due ferri a un caldo, a risalutare cioè (pud capomatto di dottore e a fare una sorpresa ai suoi carissimi ospiti. Intanto l'avrebbe condotto in giro a visitare il paese e a godere un magnifico punto di vista, come forse non ne avea mai veduto 1' eguale. I'] qui il nostro cicerone, pregò il compagno d'attenderlo un momento ed entrò in un calte. Tutti i tavolini erano occupati. Va dietro al banco, si fa dare carta e calamaio, e scrive un vigliettino alla moglie ; poi, senza pèrder tempo, si precipita fuori, e mentre studia il modo di farlo recapitare, ecco comparire sul portone di uno stallo la giacca di velluto color marrone del vetturale di*'*, il fratello dell'oste. (Ili si accosta, e dopo essersi accertato eh'è sincero, gli chiede: — Svaldo, avete il cavallo? — Ce l'ho. —«.Vorreste far*1 un salto a***, consegnare questo viglietto a mia moglie e còridurmela qui subito? — Quegli acconsenti1, attacca il cavallo, e via tli tutta corsa. Intanto Roriani prende a braccetto l'amico e ve lo conduce iu una. chiesuola lì prossima, che raccoglie il fiore delle pitture friulane: la chiesa di S. Antonio, attigua all'ospedale, dove, appena entrati, gli fa vedere gli stupendi affreschi di Pellegrino ila S. Daniele. — 11 suo vero nona1, gli va siisurrando in un orecchio, era Martino da Udine, perchè nato appunto in quella città dopo la metà del secolo decimo-quinto; ([nell'altro di l'e}le e destinato a sede municipale, racchiude tra le sue pareti la tanto lodata biblioteca. Guarne-riana fondata più di quattrocento anni fa da un umile prete che vi ha legato il suo nome; il pievano di S. Daniele Guarnerio d'Àrtegna. Tuttoché manomessa dai francesi che s'impossessarono dei migliori testi, è pur sempre una raccolta doviziosa di libri e manoscritti. Vi sono elette edizioni, tra altro una bibbia del x secolo, codici preziosissimi, dovuti in gran parte alla munificenza d' un altro benefattore de' pubblici studi, il celebre letterato ed antiquario di San Daniele, Giusto Foritanini, Uomo eruditissimo, monte robusta, operosa, feconda, non a torto i suoi compaesani pronunciano con un senso misto di compiacenza e di orgoglio il glorioso nome del Fontanini, che oltre aver dotato la sua patria di cosi iacea copia di opere stampate e manoscritte, cooperò con A postolo/ono e col Muratori alla ristaura-zione degli studi storici, iniziando colla scorta del passato e coi lumi della critica quel movimento letterario che più tardi dpvea dare all'Italia il piii inestimabile tesoro intellettuale che possa, vantare un popolo, la propria storia. L'atto munifico del sullodato Fontanini nel-l'arrieeliire la (iuarneriana di nuove e costosissime opere non rimase senza, imitatori, che un ili lui omonimo, Carlo Fontanini, vescovo di Concordia, un secolo dopo ne aumentava il materiale lasciando alla biblioteca la propria libreria,. Nè il sommo Fontanini lìi il solo sandanielese a cogliere la palma noli'arringo storico: altri, ancorché di gran lunga inferiori a lui, illustrarono e illustrano la loro patria, sia raccogliendone le memorie, sia coltivando altrimenti siffatti studi. Tra questi vanno annoverati un Domenico Ongaro elio somministrò all'abate Tirabosclu ed al Venti largo materiale per le loro storie nelle attinenze col nostro Friuli, un Daniele Faldati commendato da' suoi contemporanei per la. sua storia sull'Idrico sacro, un Sini Girolamo che scrisse la Cronaca della magnìfica Coma ni là di S'. Danieli', per lacere di un Jacopo Concilia anturi1 del Commercio dei Romani in Aguileja e di due altri sacerdoti benemeriti, Gìanleonardo Vi-dimani che visse nel secolo scorso e lasciò una opera inedita : Iscrizioni sacre c profane appartenenti al Municipio di S. Daìtielc, e Luigi Nar-ducci che con largo acume e mente indagatrice attende da lunghi anni a nuove e fruttuose ricerche nei campi del passato. Nò ciò basta: altri ancora associarono il loro nome a questi eletti ingegni, spingendosi in altri e più vasti orizzonti. E (pii il nostro cicerone, aggirandosi tra quegli scaffali ingombri di volumi e di carte, compiacevasi rievocare la memoria di Pietro Antoniutti letterato distinto ed operoso traduttore dall'inglese, dei due fratèlli Carga, Camillo ■e Leonardo, medico e filosofo runo, pubblico professore di belle lettere l'altro, di un terzo Carga giureconsulto e capitano di S. Pamele pel patriarca d'Aipiìleja, di quell'Astemio che fu maestro di Giambattista Florio e di Erasmo da Yalvasono, di Giulio l'rbanis, discepolo di Girolamo Amalteo, buon disegnatore e vivace colorista che fiori verso la metà del secolo xvi e lasciò considerevoli affreschi in S. Daniele e e nei villaggi vicini di S. Andrea è di S. Tomaso. Un'altra figura d'artista gli si affacciavo al pensiero, un artista dal fervido ingegno e dalla feconda idealità, il quale aggiungeva nuove e sceltissime ('rondi alla ghirlanda delle glorie — da L Cd 1.1.k di S. daniele — 57 sandaniolosi con una serie 'li opere egregie al-f<-rinaliti T incontrastato valore ilei suo sca I[ielle ; lp scultore .Minisini, clic il nostro buon Floriani menava vanto d'aver ceduto a S. Vito al 'ragliamento, in quel tempio della 11. \. di Uosa, «love due angeli scolpiti dalla stessa mano adornano l'aitar maggiore. Ricordava inoltre, tra quel l'ascio di poeti elio sortito avoano il genio su questo bel colle, un Valcomio, mi Libano, un Nussio, un altro Carga, un Cichino, un Sini Jacopo, nipote di Girolamo, che coltivò la poesia dialettale. E additando al Compagno l'effìgie di Teobaldo Cieoni, appesa a una [«irete, gli [tarlava con entusiasmo dell'insigne scrittore, clic i suoi terrazzani piangevano morto qualche anno avanti, esule a Milano e la cui musa spirante tanto effluvio di gentilezza e di grazia, trovata avea un' eco in tutti i (mori; di lui che poeta militante sotto il vessillo della rivoluzione dol quarantotto e durante la guerra del cinquan-tanove, sacrificato avea tanta eletta parte di sè sull'altare della patria e saputo cogliere cosi invidiabile messe d'applausi sulle publiche scene, campo principale de' suoi trionfi. Dopo'lo meraviglie dell'arie e la visita alla Guarneriana, che altro rimaneva al nostro ospito se non di ammirare lo spettacolo della natura? K la più incantevole vista l'attendeva di fatti [lochi [tassi di là. Saliti sul vertice del romantico collo, ceco affacciarsi la chiesetta primitiva dedicata a San Daniele, matrice di questa terra, e che come attesta un'iscrizione latina posta sopra la porta maggiore, già diede al popolo battistero e sepoltura ; ecco la vecchia torre del castello, incoronata di edera, superbo avanzo di tante fortunose vicende. Di lassù l'attonito sguardo del Martinelli spaziava a volo d'uccello la sottoposta campagna. Vedeva, lungo lo falde ondulate di (pud collo i tetti degradanti al basso delle casi-, disposte a scaglioni, l'interno degli ampi cortili soggiacenti, da cui saliva, il canto smorzato dei galli, le chiome fluttuanti degli alberelli addossati sul ciglio dell'erta, un rigoglio di frutteti e di tenute, e dappiedi di esso colle, la, fitta verdura dei campi rotta qua e là, dal bianco dei muri, frastagliata in ogni verso da lunghe striscio d'argento e da, una specie di liste e listerelle di carta, elio nelle loro capricciose giravolte comparivano e sparivano dietro le gobbe di quel terreno ondeggiante. Floriani avrebbe voluto descrivere all'amico ogni più remoto cantuccio di quell'ampio paesaggio; ma era già molto, se poteva mostrargliene i punti più pittoreschi. — Quello-stradali1 che vedi piegare a levante — e glielo additava — è quello stesso che attraversa il borgo e conduce ad Osoppo per poi raggiungere la vecchia strada poni obliami. - Indi volgendosi dalla parte opposta — dal colle pi 8« daniele 59 « hi qua, riprendeva, si va a Carpacci), a Di-guano, al ponte del ^agitamento, di là a Riva d'Arcano, a Fagagna, a Udine. Guarda ora. un po' costà sotto: quel gruppo di case è***, l'altro gruppetto vicino è una frazione di quel connine, ed è là elie lio piantato il nido. La. si riscia che vedi luccicarvi dappresso è il Corno elio scende dai colli di Lilia e via ruggendo confonde lesile acque con quelle di quest'altro corserello, che è il Repudio, in compagnia del (piale va a scaricarsi più oltre nel fiume Stella. Ecco il Ledra che una, buona volta incanalato, in luogo di affluire, come vedi, nel Tagliamento e COSÌ sperdere il tesoro della sua larga corrente, diverrà una vera, benedizione per tutti questi paesi.... )) Quindi Sempre più rapiti da quella, varietà di situazioni, le une più appariscenti dello altre, non avevano bene fermata l'attenzione sopra un punto, che già un altro strappava, loro un grido d'ammirazione. Alle spalle del colle staeeavasi sul l'ondo sfavillante del cielo la mole rocciosa delle Alpi, che a modi di sconfinato bastione prolunga vasi a perdita d'ÒCChio, mentre alla radice di questa vedevi spiccare nel suo candore un immenso deposito di ghiaia solcato qua e là dai rami del Tagliamento che sbucando nel Campo d'OsoppO e dilatandosi sempre più viene in questo tratto a restringersi, per poi, subito dopo, allargarsi mio- 60 — colline friulane vamente, A destra e a manca, una dóppia spalliera di peggi e colline coronate di pinaeoli, di guglie, di merli ornava vagamente quella scena teatrale. Si vedevano i bastioni del forte d'Osoppo torreggiare da una rupe isolata, e prostrato a piedi di ([india, il borgo famoso, testimonio di tante sciagure e di tanti trionfi. Una folla di care e gloriose memorie ridestava nei nostri amici la vista di quella celebre bicocca che da sola resìstette in epoche diverse all'urto formidabile di agguerrite soldatesche. Piii in là i vapori sollevatesi dall'alveo del vicino limile durante la notte e non ancora diradati, lasciavano appena trasparire come dietro a un velo una macchia biancastra sul fondo grigiastro delta, montagna: era Cremona, la patria di uno dei più pelebri viaggiatori, il padre Basilio l'rollo e dell'autore dell'Aiace, lo scultore Vincenzo Lucardì. Si disi i noi io va no i castelli ili Artegna, di Buia, di Susans, di zagaglia, di Moruzzo, Di rincontro stondovasi e via via sfumava eolle nebbie del lontano orizzonto la pianura gaia, inghirlandata di festoni, ondeggiante di messi, attraverso alla (piale vedevi fuggire il Ta-gliaiiieiito citile sue acque d' un verde smeraldo che nel loro corso sbrigliato sfavillavano ai raggi del sole. .Mentre i nostri personaggi erano assorti nella contemplazione di COSÌ ridenti e svariali prò- spetti la carrettella di Svaldo avea raggiunta la sommità del borgo ed ora andata a fermarsi (lavanti a una, modesta casella, dalle persiane Socchiuse, attraverso le (piali avresti veduto sbirciare gli occbi dei pigionanti accorsi al cigolio prodotto dalle ruote del veicolo. La zia e le cugine del Floriani, appena videro sminila re le persone che v'erano dentro, mossero loro incontro, le introdussero testo in casa e lo trattennero in chiacchiere in attesa dei nostri amici che non tardarono molto a comparire. Frattanto il tempo stringeva e bisognava spicciarsi. Dopo le solite presentazioni, date e ricambiato mille strétte di mano, la comitiva si diresse all'albergo, e quivi, noleggiata una comoda voltura, parti per Etagogna. Ira il in* rupi. Xocq discosto da S. Daniele, dove le acque del Tagliamento l'attenute tra due rupi poco meri che contigue, poste l'ima a fronte dell'altra, vengono a restringersi e a fermare il cosi detto passo della Taluna, sulle ignude spalle d'un colle argilloso sorge, grave e severo collo sue rovinose muraglie, il castello di llagogna <> di Reuma. Alla radice di quel monte calvo, desolati», di un aspetto stranamente bizzarro, dovea passare un tempo la via Giulia: un'antica strada romana che dipartendosi da Concordia e risalendo la riva destra del Taglianiento andava, a Spilimhergo e a Pinzali", per poi varcare proprio in questo punto il delto fiume, e da qui, piegando verso Osoppo, riuscire sotto Ospeda-letto, dove imboccava la via Carnico-Aquileiose. Sostengono i piìi che quella montagnola sia siala abitala da remotissimi tempi. Di fatti non sono molti anni che fu scoperto in quelle adia- cerize un bel gruzzolo di monete dei re Galli, antichi doìninatori di quella regione (*), Che poi il castello osislosso innanzi alla metà del secolo vi, ne fa t'ode il poeta latino Fortunato Venanzio clic, recatosi a lleunia e riinasto sorpreso «Iella vaghezza del sito, ne celebrava la singolare magnificenza, Cerio si è che è uno dei |iiii vetusti e caratteristici castelli che vanti il Frinii. Già baluardo, conio la più gran parto dei manieri della regione prealpina, contro le irruzioni barbariche, ai calar dogli Avari prestò ricetto alle minacciate popolazioni limitrofe, ospitò inoltre in epoche diverse personaggi di grido, ed è da qui che sullo scorcio del secolo vii scese il longobardo A.Ùsfrido a contendere a liodoaldo il ducato f'orogiuIiose. Sino dallo spuntare del xni secolo appartenne questo castello ai nobili di llagogua, gli antenati dei quali si vantavano discendere dal SUmmeiizionatO «luca longobardo. Prima di quest'epoca, tutto il territorio compreso Ira Spi-limbergo e llagogua era infeudato ai Ducbi di Carintia, e successivamente, agli eredi di questi, il Margravio di Stiria e suoi vassalli, Consorti ai conti ili Toppo e dolio stosso ceppo di quelli di Pinzano, i gìurisdieenti di llagogua, cui eran toccati, oltre a questo, lauti altri boni dal 'ragliamento alla Liveuza, in breve volger d'anni 0») V. Os'eruiann. Il £Iitsghel di Ruttane. Leggenda. (Pagine Friulane, anno III, n. 3 . s' erano resi oltre modo potenti. Cupidi di bottino più che di gloria, e invasi da uno spirito sanguinario, si segnalarono piti per le loro nequizie che per gli alti offici onde molti di loro erano stati investiti dai vecchi dominatori di queste contrade, i quali, legati in intimi rapporti con questi loro successori, li avevano dotati di non pochi beneficii. A differenza di altre famiglie patrizie friulane, che si resero benemerite per virtù cittadine, questa, coni' ebbe già a dire di essa un illustre storico friulano ("), lasciò troppo scarse le memorie del bene e copiose quelle del male. Il favore particolare che in generale godevano questi parrucconi nelle alte sfere, àvea loro creato una posizione privilegiata. Non v'è quindi da stupirsi se i signori di Ragogna fruivano anch'essi del buon vento che tirava e menavano vanto di certe prerogative speciali, come quella, tra altre, del jas ftgendi, com'essa loro dai patriarchi una volta a baronal fori e; za, coni'ebbe a dire delle molto torri merlate che tuttora sussistono il poeta Prati nella sua Ed* mengarda. (*) v. Oste rumini: v. nota precedente. I In altro castello diroccato, dai neri e fantastici contorni, ergeva la fronte paurosa al di là della ghiaia, sul colle opposto ; e il sole, squarciando le nebbie dell'orizzonte lontano, proiettava un fascio di ri Messi dorati su quella specie di vedetta che ritta in testa a una successione di colli, pareva destinata a tener fronte a un'intera legione di barbari i quali, calati all'improvviso dalla montagna contigua, volessero gettarsi sulla riva opposta del fiume e farvi man bassa. L'aspetto di quei ruderi era più che bastante a evocare nella fervida immaginativa del Fio-nani il fantasma d'un'èra scomparsa per sempre sotto le macerie dello crollate istituzioni feudali. Il castello èli Pinzano era là a ricordargli tutta una serie di misfatti, di storie misteriose consumate entro a quelle mura, fra i trabocchetti e le segrete, a, rammentargli l'opera nefanda d'una razza d'oppressori che spinti da sete di dominio e di vendetta non aveano rifuggito dal macchiare con ogni sorta 'li nequizie il lustro del proprio blasone. D'altronde, il nome di quel turrito castello era così intimamente legato alla storia dell'intera provincia, che il nostro appassionato cultore di memorie friulane non poteva fare a meni) di fermare l'attenzione su quel profilo di rovine senza in pari tempo richiamare al pensiero uno di quegli episodi storici che ri- marranno eternamente Vivi nella memoria dei posteri: un dramma storico incancellabile che Svoltosi altrove, ebbe quivi poco meno che la sua soluzione. Correvano anni nefasti por tutti, e rosi di qua come di là del conline della Patria, ai complotti d'ogni maniera s'orano aggiunti i terrori delle imprese militari. Massimiliano d'Austria erd impegnato in una aspra lotta colla Serenissima, e la infelice Ioga di Cambra!, questa ibrida coalizione d'interessi dinastici e teocratici, avea finito per scavare un abisso tra la borghesia e la nobiltà. Molto tempo prima i omili di Pinzano, a cagione delle loro scelleratezze, erano stati privati del loro feudo e il patriarca investiva il castello ai Savorgnani, i «piali eolle loro gesta leggendarie avevano affermato il proprio vaiolo in mille incontri e contribuito piti volle a! trionfo delle armi patriarchine, Anime fiere, risolute, temerarie, i Savorgnani parteciparono a (piasi tutti i moli ilei loro tempi. Bollenti settari, non indietreggiarono da--vanti al pericolo: espulsi, spodestali, ritornarono a galla; ordirono complotti d'ogni genere, organizzarono imprese arriscluatissime, eccitando il popolo alla rivolta. Instancabili guardiani — 'ira due rupi TI delle franchigie municipali e del diritto nazionale drl loro paese, prestarono il braccio ora ai patriarchi, ora ai luogotenenti della veneta Eepublica ; precursori di nuovi tempi, incarnarono in sè il principio della libertà, e infiammati nella popolarità della loro causa, inalberarono il vessillo della rivoluzione, preannunziando così il trionfo di questa siili'elemento fendale; fulmini di guerra, s'aprirono il passo coli'arme in pugno attraverso intere legioni e diedero il Imo sangue per la Patria. Non uno mancò all'appello (piando si trattò ili combattere contro il nemico comune ; pochi invece resistettero alle seduzioni del potere e si sottrassero agli odi di parte e alle brutali esigenze della loro casta. Di (piando in quando le porte del castello si riaprivano a ricevere i nuovi venuti. Accolti al suono della campana e allo sparo dei falconetti, vi facevano il loro solenne ingresso in cocchi tirati da (piatirò mule bianche, bardale riccamente, con accompagnamento di stallieri e di lacchè. Imo sciame di vassalli accorsi a rendere i dovuti omaggi ai nuovi padroni, facevano ala al loro passaggio. Giungevano carichi di onori, affranti dalle fatiche del campo e dalle cure di Stato, coi- l'intento di deporre le loro armature, le vesti gallonate, gli abiti di parata e riposarsi nella segreta intimità della famiglia ; e desiosi di ritornare ai dolci sorrisi e ai soavi amplessi, non trovavano più la forza di amare, ormai avvezzi agli odi feroci e alle sfrenate passioni ; e si sentivano rinfacciare la loro indifferenza, le loro perfidie, i loro adulteri ; e assaliti da nuovi stimoli e nuovi bisogni, per far tacere questi, si gettavano a capoiitto in un mare di gozzoviglie e di divertimenti d'ogni genere; ma i conviti, i giuochi, le caccie, tutti i piaceri, tutte l'ebbrezze immaginabili non bastavano sempre ad attutire in loro quella febbre di emozioni che li divorava. Venivano in cerca di lieti ozi, di facili conquiste, di nuove avventure, e non di rado dovevano subire invece le tempeste della collera, gli scoppi della gelosia, seppure non accadeva loro di peggio, che dovessero dar di piglio alle armi e difendersi dal nemico. Tratti da cieca ira, giungevano talora a fine di dare sfogo ai loro odi segreti, alle loro fiere vendette, a macchinarvi nuovi soprusi e nuove violenze. Qualche volta si rifugiavano nei loro domini per sottrarsi al furore dei loro persecutori, come nell'anno di grazia Ioli Antonio Savorgnano. In quel tempo ardevano più che mai le inimicizie fra i Torriani e i Savorgnani. Antica ruggine e nuovi dissidi avevano tenute diviso le due potenti famiglie. I primi, aderenti all'Impero, da cui avevano ottenuto grazie e l'averi, rimpiangevano la perdita dei loro diritti feudali; fautori gli altri dei nuovi ordinamenti, Tacevano le viste di sostenere il governo di Venezia, ma in realtà non ad altro miravano che a spadroneggiare a loro talento. Tutte le pratiche fatte dal veneto Senato per sopire le ire tra i due implacabili rivali a india erano approdate: anzi le notizie del campo e i successi riportati da Massimiliano, infiammavano sempre più alla lotta i nemici di S. Marco che tenevano accordi cogli imperiali. La scoperta di una lettera di Luigi della Torre ai signori di Spilinihergo, colla quale il conte ghibellino svelava le arti dei Savorgnani e invocava segretamente l'aiuto dei cugini, l'u la scintilla che destò l'incendio. K questo divampò terribile il giorno del giovedì grasso nella città di Udine, sotto gli occhi dello stesso luogotenente veneto che avea fatto ripetuti sforzi per impedirne lo scoppio; e si dilatò nei castelli circonvicini, fatti anche essi bersaglio al furor popolare. La mattina di quel giorno memorando Antonio Savorgnano avea avuto la volpina astuzia di uscire dalla città, alla testa delle cerni de, col pretesto di muovere incontro al nemico che dice vasi marciasse a (niella volta, e avea saputo così bene colorire la cosa, che il popolo tutto, adescato all'amo, si sollevò in arme, proni» a difendere all' ultimo sangue le minacciate mura. Rientrato poco dopo lo scaltro condottiero, che colla finta sua mossa avea raggiunto lo scopo di aizzare le masse contro i Torriani e gli ade* renti di questi, i rintocchi ilei sacri bronzi diedero l'allarme, e in un attimo fu un serra serra generale. 1 fondachi e le botteghe si chiusero, si puntellarono gli usci ; i cittadini si sbarrarono nelle case; una turba di avvinazzati villani, la piìi parte famigli di casa Savorgnana, si riversò in istrada, e aizzata dai satelliti della l'aziono guelfa, impegnò una vera caccia contro i Torriani e gli altri nobili. Caddero una gran parte di questi sotto i colpi della plebe ammutinata. I loro palazzi furono investiti : abbattuti gli Stemmi, sfondate le porte, scavalcati i cortili, si penetrò nei piani terreni, nei superiori; sì frugò negli anditi, nelle stanze, nei più riposti nascondigli. Oggetti di valore, quadri, statue, masserizie, tutto andò a soqquadro. Al saccheggio tenne dietro la rovina degli edilizi : colonne, pilastri, muraglie, travi, impalcature, * tutto fu sgretolato, abbattuto, schiantato. Al polverìo prodotto dai colpi dei picconi demolitori s'aggiunse ben presto il guizzo sinistro delle tka due rupi 75 fiamme elio sprigionandosi in un baleno dai balconi, dagli usci, dai tetti compirono l'opera vandalica di quei forsennati. Ad ammansare gli animi inferociti non valse f intromissione di persone autorevoli e sinceramente devete alla, causa popolare, riuscirono inutili le intimazioni dei magistrati, nò bastò T impiego della debole forza ancora rimasta sotto gli ordini del Gradenigo ; ci volle il così detto soccorse di Pisa: i rinforzi di fuori. Atterrito il Savorgnano da cosi orribile ma-eelln, licenziò parte delle ccrnide e scortato da un manipolo ili consanguinei e di lìdi, riparò nel castello di Pinzane. Ivi, aggirandosi tra quelle ampie sale al pallido chiaro dì luna, gli sai-anno apparse, spaventose visioni, le ombre grondanti sangue delle vittime immolate alla strage. Caduto in disgrazia della Hepublica e «lei popolo del pari, mutò bandiera, o meglio, gittò la maschera e si diede anima e corpo agl'imperiali. Ma se il tradimento suggellò il massacro, rum tardò il braccio della vindice giustizia a l'aggiungere il guelfo spergiuro. Un anno dopo, a Villacco di Carintia, assalito da Gian Enrico di Spilimbergo, cadeva fulminato in una pozza di sangue. 70 — colline friulane Ma se quelle due rócche solitarie avevano esercitato una speciale attrattiva colle loro fantastiche leggende e i loro drammi a sensazione, (piale effetto non dovea produrre da quell'altura la vista del soggiacente passo! Quei dirupi che protendendosi su quell'abisso si rispecchiavano nelle lucide onde del fiume scorrente ai loro piedi, quella specie di greppo sul ciglione del (piale si erano soffermati e che scendeva a precipizio sino a quei macigni sgretolati dalle acque e a quei cumoli di ghiaia, quella specie di contrafforti che staccandosi*dal grosso della montagna andavano sempre più degradando lungo la riva del torrente sino a lasciar libera la vista di (pud piano vasto, ondulalo, sparso capricciosamente di poggi e di ville che via via sfumava a perdita d'OCchio, presentavano un insieme così vario, così pittoresco, da giustificare troppo bene l'indugio da parte dei nostri di ritornare sui loro passi. 11 sole era bel già calato sotto che, senza avvedersene, si trovarono ancora a S. Pietro. Se il tempo non avesse fatto difetto, lungi dall'accontentarsi di quei breve cammino, sarebbero scesi senz'altro sino alla riva del Taglia-mento : ivi c'era la barca: potevano passare 1' acqua e poi tirare innanzi su per quel colle opposto, in cerca di nuove emozioni, L' attrattiva c'era, ma come effettuare a quell'ora la vagheggiata escursione ? — tua due rupi 77 Quando Dio volle, tra un'esclamazione e l'altra, ripresero contro voglia la via ili Ragogna, dove arrivarono che era già quasi notte e dove fu mestieri separarsi. A S. Daniele li attendeva il calesse di Svaldo. I piccoli Colletti, dopo una giornata come quella, non potevano più dalla stanchezza e dal sonno, e s'addormentarono in legno. Per tutta la strada non ci si vedeva anima viva. La luna co' suoi pallidi ridessi strappava gli oggetti all'ombra della, notte. Si diseerne-vano i colli circostanti, i campanili dei villaggi, i muricciuoli dei broli, i rastrelli delle braide. II cavallo tirava via rasente le spalliere delle acacie, sotto i pioppi ritti sui cigli dei fossi : 10 scalpitìo delle zampe ferrate cònfondevasi collo stridore delle ruote scorrenti sulla ghiaia dello stradale e con quella miriade di fremiti che la natura sprigiona in coro a rompere il silenzio notturno. Giunsero in villa che tutti dormivano. Due soli lumi proiettavano i loro sprazzi attraverso 11 grigio della campagna: il fanale dell'osteria e il fuoco della cucina dove erano attesi. VI. Il i*ali» #.#o • note illustrative. VII. I il collina «Il Stilili. L indomani, sui far del giorno, i nostri villeggianti furono svegliati da uno scampanare festoso: era il primo segnale delia Messa, che il cappellano soleva ilire a quell'ora tutte le domeniche e le altre feste di precetto. Dalla strada giungeva, una. strana cadenza : lo sbattere degli zoccoli della gente di campagna, che frettolosa s'avviava alla consueta funzione. Il nostro omino fu il primo a balzare dal letto; si vestì in fretta e spalancò la finestra. Un leggiero buffo d'aria fresca vi portò entro un acuto odore di timo e di altre erbe profumate. Il cielo in un canto cominciava a lumeggiarsi d' un giallo dorato, che poco per volta andava diffondendosi sul grigio ose uro della notte. Di tratto in tratto qualche passero, stridendo dall'alto, dilegua vasi rapida-niente, (tiù nella via passavano leste le ragazze colle pezzuole gettate sulla testa e le cocche fra le labbra, passavano i giovanotti col cappelle nuovo e il vestito di festa, ultimo, qualche povero 88 — Cor,!,INK FRIULANE — vecchio delle candide chiome cadenti gin per le spalle, che trascinavasi a stento sorreggendosi sul malfermo bastone. Mattiniero coni' era, colse 1' occasione per fare una delle sue solite passeggiate all' aria aperta ; uscì di casa e s'avviò verso la piazzuola del villaggio. La campana aveva cessato allora di dare I' ultimo segno e la chiesa, era stipata di devoti, per modo che Ja coda, di (padla fitta moltitudine non solo ne otturava la porta, ma molti di essi, per non trovar più posto nel sacro recinto, erano costretti ad ascoltare la Messa a cielo scoperto. Terminata la funzione e vuotatasi la chiesa, tutta quella massa di gente si sparpagliò chi qua chi là : per le strade, negli ampi cortili, attraverso i campi. Solo un nucleo di contadini si staccò dal grosso della turba : parte si raccolse in crocchi piantandosi sulle soglie delle porte, parto sedette su di una panchina al di fuori dell'osteria: il posto riserbato ai disoccupati della villa. Quella mattina notavasi per lo stradale un tintinnio di sonagliere, uno scoppiettare di fruste insolito; v'era un succedersi di carrette, di calessi, di carrozze particolari più o meno cariche di passeggieri e di salmone, dirette tutte a una, medesima meta; un accorrere numeroso di provinciali alla capitale, dove in occasione della fiera di S. Lorenzo v'erano le corse e il tradizionale spettacolo il' opera. Il nostro personaggio poteva essere poco più 3 poter operare un miracolo, quello di convertire in tante svanzicìic i chiodi e le bullette di cui si serviva per fare le scarpe ai signori di Iluia ; e cento altre storielle, una più amena dell'altra. E tutti i discorsi avevano per chiusa il solito ritornello: — ale l'ha raccontata il piovano di Pers, l'ho sentita dal medico di Codognela, me l'ha detta il tale, ine l'ha, detta, il tal'altro. Da uomo previdente com'era, il nostro signor Giacomo avea avuto cura prima di partire di rinchiudere nella valigia le solite indispensabili provviste; ed ora ne estraeva una fetta di prosciutto e la offriva con un risolino di compiacenza all'amico, ora metteva mano a un cartoccio di olive e se lo pappava una dietro l'altra, come si fa cogli acini dell'uva; ogni tanto ricorreva a una fiaschetta di acquavite e giù una tirala; e subito dopo sgra nocchia va un boccoli di pano, come I' uomo il phi affamato del mondo. Dopo un'altalena continua di ascese o ili discese, giunti in cima d' una di (piede amenis-sime Collinette che rendono così giocondo il paese di Buja, infilarono un sottoportico, e consegnato il cavallo al primo capitato, proseguirono un tratto a, piedi, tanto per isgranchire le gambe, verso l'abitazione d'una delle phi rispettabili famìglie del luogo, dove furono accollati con tutti i convenevoli e invitati a tavola al tócco in inulto. l'or citi noi sapesse, l'eia, fu considerata un tempo come la sede dei falsi monetaci ; e se anche l'aneddoto dei marenghi coniati coli'impronta del Regno di Buia è una fandonia dovuta a qualche bello spirito, ciò non toglie che tale rinomanza non sia giustificata, dal fatto, che fino dai tempi della Hepubliea veneta, e meglio, alla caduta di questa, qui convennero ila ogni parte, ma più specialmente da oltre il coniìne, certi (dementi torbidi, certa gente di dubbia fama che inaugurò co' suoi segreti Conciliaboli una Serie di processi famosi, tali da disgradare quello tentato nel 1286 a maestro Adamo da Itroscia, che per richiesta dei conti di Romena battè moneta falsa e che Haute emanò nella decitila bolgia. E non è più lontano di questi giorni che avuto sentore di nuove combriccole a danno del pubblico erario, la giustizia credette bene d'immischiarsene ed operò a l'eia l'arresto di parecchie persone, impiliate d'aver falsificalo delle banconote. Del resto il paesi1 di Buia è addirittura un pìccolo eden. Adorno di tutti i prestigi che la divinità della natura suole accordare a'suoi più favoriti recessi, pare creato apposta per trasfondere un senso d'infinite dolcezze. E un asilo riposto e tranquillo, dove l'animo si ritempra nella poesia dei campi ; un albergo delizioso, dove le forze affievolite e gli spiriti abbattuti si rinfrancano, e si godono quei placidi riposi — I.A COLLINA DI BUIA — P5 che rendono cosi carezzevole questa specie di romitaggi. Qua UO rialzo di terreno adornato di (estoni, pili in là un poggetto rivestito di messi, e poi altri poggi ancora, ondulati, coperti di verzura, sparsi di boschetti di castagni, tappezzati di praticelli verdissimi ; e in mozzo a quelle gaie e ubertose pendici che scendono dolcemente a bagnarsi nelle acque cristalline del Ledra, tra quei piccoli dorsi erbosi che si elevano in quel-l'ampia .convalle, un monticello pili alto, Umido, sorridente, dalla cima del quale si assiste allo spettacolo affascinante del Campo d'Osoppo; e tutto all'ingiro sparpagliati gruppi di case, come una corona di villaggi in un quadretto svizzero. Dopo i capoluoghi. Buia è oggi uno dei piti importanti comuni della Provincia : sono otto mosso borgate affratellate insieme, sette mila abitanti, poco meno, alacri, gioviali, che palesano un Certo benestare. In maggio la gioventù, dopo aver lavoralo le terre, emigra in gran parte in Germania, e non ritorna in patria prima del cader delle toglie, (piasi tulli con un bel gruz-zoletto in saccoccia; buscato a terza di Sacrifizi e di stenti. (Ili uomini si dedicano specialmente ai lavori delle fornaci, le donne alla trattura della seta; e sì gii uni come le altre sono instancabili al lavoro e mostrano di saper resistere alle più ardue difficoltà della loro condizione. N'olia storia, friulana audio lluja ebbe il suo posticino : modesto si, come la maggior parte di quésti piccoli centri che non subirono nò potevano subire le vicende notevoli dei grandi; ma pur sempre di qualche conto, per i molteplici rapporti che in generale un paesuncolo, per quanto appartato e irrilevante, avea, non basta con altri paesuneoli vicini, ma con luoghi di maggior rilievo, por modo che concatenandosi i l'atti particolari delle singole comunità con quelli generali dell'intera regione, anche il liiogliieeiuolo pili umile ebbe ad assumere una speciale importanza nella storia della Provincia. Anticamente il paese chiamavasi Boga, poi Unga, ìndi liuja ('). Nel esisteva, già sul verini' della più alta delle colline, da cui quel paese è frastagliato, la pieve di S. Lorenzo che colle sue pertinenze fu «lata in dominio da Caiioina-gno a Paolino patriarca d'Aquileja. Sino ila quell'epoca esisteva pure sul colle stesso il castello di lluja, che Ottone li donava nel 983 al patriarca llodoaldo insieme agli altri (piatirò di Magagna, Gruagno, Udine e Brazzano, Caduto in rovina nei tempi successivi, venne nel 1366 rifatto per ordine del patriarca Marquardo (*) Devo iti massima parte queste notizie al chiarissimo avvocato Domenico D.r Harnaba che gentilmente me le ha fornite e la cui famiglia venne a stabilirsi a liuja già nel 1070, il capostipite della quale ebbe investitura di parecchi beni in Friuli. Ai nobili Harnaba devesi inoltre la compilazione dello statuto della Comunità datalo l'S dicembre 13" 1. e ricinto di mura. Vi fu puro annesso un palazzo d'aliitanza, olio dicosi sorvisso di villeggiatura ad alcuno dei patriarchi. C'è anzi un viottolo dio sco-menico Barnaba ne' suoi piacevoli e patriotici Ricordi del aua-fantoito. (Udine, Tipografia della « Fa tria del Friuli». 1890). Il nostro villeggiante tirò via disgustato da quella vista. Vomita l'ora l'issala del desinare, tanto lui quanto il sud compagno s'affrettarono a giungere puntualmente dove orano aspettali. Trovarono la famiglia raccolta nel tinello, che si disponeva per mettersi a tavola. Superfluo dire che il trattamento non poteva essere piti lauto: fu un pranzo proprio coi fiòcchi, come sanno lare in certe occasioni eccezionali i Imeni possidenti di provincia. Le portate pareva non dovessero terminar altro: dopo la solita zuppa venne, beninteso, il lesso, poi l'arrosto, e poi il fritto, le salse, il dessert; una montagna di pasticci, di piatti freddi, di ghiottonerie, che non finivano pili. Si stapparono bottiglie di stravecchio, di liipiori stomacali, di refoschi spumanti: tra vini da pasto e di lusso si può dire che si vuotò, senza esagerazione, un' intiera fiaschetteria. Sor Giacomo aveva sempre cimo il bicchiere e sempre qualche molto arguto sulle labbra. Per tutto il tempo che stette a tavola, quattro buone ere, non foce che toner desia, l'ilarità, della compagnia. Da quel capo scarico che era, ne inventò d'ogni colore, tirò in campo questo e (podio, la storia sacra e profana, la politica, il vecchio e il nuovo testamento ; narrò con una particolarità tutta sua una Sequela di anodi ili spiritosi, di fatterelli esilaranti ; blindò a, uno a uno, a tutti i commensali, e ad altri ano ira, cominciando dai padroni di casa e terminando colla massarìe (*); declamò perfino una poesia maccheronica che soleva teucro in pronto per slmili circostanze e che fu salutata da uno scoppio di risate e da una salva di battimani. Al rientrare (molla sera stessa in villa s' imbatterono lungo lo stradale in una brigatella di giovanotti che tenendosi stretti colle braccia al collo l'uno dell'altro, marcia vano in file serrate, mandando ogni (piai tratto degli urli selvaggi. Venivano da una sagra dei dintorni, dove, potete imaginarvi, se avranno fatto baldoria. Quando furono davanti all'osteria, ruppero le fila e si postarono in circolo sotto a quell' insegna, in-tuonando una villetta con una mirabile fusione di voci basse ed acute. Uoi diarilà e jò uei riili, Ategrameritri jò uei sta, Se a cualcùn i las fasi idi Che si tirili vie di ca. • A eli m o tà no è fadii; Se no si è pini ohe m&IAz ; A ylianlà si fàs legrie A chei pùars i m passiona/.. In quella spuntò la carrettella di Svaldo: era la famiglinola dei Kloriani che se ne ritornava da S« Daniele. (*) In friulano per domestica. Vili. Il |»rIItijtroso. In fondo al brolo attiguo alla casa di campagna dove i Florìani villeggiavano, v'era una casupola rustica cel tetto mezzo scoperchiato, i mattoni smurati e le imposte divelto ; una vera topaia, dovt1 una povera famiglia di lattaiuoli ora condannata a languire d'inedia. Peco per velia era venuto a mancare a (padla himna gente il più necessario: anche le poche risorse loro rimaste erano sfumate poco a poco; persino la magra vaccherella da cui sin allora aveano ricavato un mezzo, per (pianto meschino, di sostentamento era stata venduta pei' soddisfare il debito col proprietario di (pai tugurio: un uomo Sènza cuore, che voleva essere pagato a tutti i costi. Ormai in quella casa non v'era pili nulla, tranne quel po' di biada appena bastante a sopperire ai più pressanti bisogni, e questa purè andava scemando a vista d'occhio, tante che in breve quei miseri sarebbero stati ridotti ad implorare la carità altrui, essi, che grazie al cielo s'erano trovati sempre in min stato «li discreta floridezza, nò avevano mai avuti bisogno per vivere di mangiare altro paia1 che il proprio. F, quasi non l'osse bastata cotanta inopia a rendere insopportabile l'esistenza a quei meschini, un'altra eausa d'angoscia s'era aggiunta negli ultimi tempi ai tanti patimenti Oild'erano Ira-vagliati, lina grave sciagura, la maggiore che avesse potuto loro leccare, aveali colpiti nel più vivo del cuore : il capo ili quella famiglinola aveva già da alcuni anni perduta la ragione. Il pover uomo non era più riconoscibile. Padre di tre ligli, due dei quali vegeti e robusti, avea concentrato tutte le sue speranze indie loro braccia. Pensava che un glorilo ..avrebbero supplito colla loro gioventù e gagliardia alle forze affievolite di lui, fatto vecchio e bisognevole di sostegno, e si rallegrava a quelle dolci promesse, e tornava al lavoro con più ardore di prima. Ma quél giorno non venne! Nardo, il maggiore di quei garzoni, quegli che per il primo avrebbe dovuto succedere al padre nel lavoro dei campi, raggiunta l'età della coscrizione, età stato chiamato a Ialine a levare, come si suol dire, il numero j disgraziatamente non gli arrise la. sorte e aggregalo al reggimento austriaco Ferdinando d' Este, composto in massima parte di friulani, fu mandato assieme a questo in un paese di confine, lontano Ionia no, dovi' infermatosi per i lauti strapazzi sostenuti, vi lasciava — IL PELLAGftOS > — 105 miseramente la vita. Meni, il secondogenito, avea divisato, una volta libero dal militale, di con-secrarsi alla famiglia; e con questa ferma risoluzione:, reduce in villa, non tardò a condili-moglie in quella medesima casa in cui sin allora, si può dire, era vissuto e dove senza dubbio avrebbe passata la rimanente sua vita, se sventuratamente non gli fosse balenata t'idea di spiccare il volo per l'America, quell'America di cui si barravano tante cose e dove, a sentir lui, lo attendevano i piti fortunosi eventi. In fondo si trattava d'una sima razione transitoria, nò sarebbe andato molto che dato addio a quell'Eldorado e ritornato in patria ohi pieno le tasche di sterline, avrebbe messo su casa, una casa pili grande e pili comoda, e di più acquistato il terreno che teneva in affitto. Di meglio non poteva ripromettersi, l'i se ne andò difatti colla frenesia di ibi sogna un gran colpo di fortuna; ma gii è come fosse andato al inondo di là, pendio da quella volta non seppero mai più nulla di lui, por quante ricerche avessero ratto per venirne a capo. Il solo che era rimasto in casa e che avrebbe dovuto prestart1 assistenza in tanta jattura era Vigi, il pili giovane dei fratelli ; ma mezzo scemo com'era, gran che se bastava a sè stesso; per cui si poteva, dire più di peso che d'aiuto. Diminuito per tal modo il numero delle braccia e con ciò sottratte Je forze migliori, le sole su cui avrebbero potuto contare in Ogni frangente, essendoché i tìgli di Meni non erano ancora in età da poter far fronte alle necessità della vita; le condizioni della famiglia s'ciano fatte sempre più critiche ; ed ora, come stavano le cose, non v'era più speranza alcuna che Queste avessero a mutare. Chiuso nel suo dolore, impotente a resistere a così gran cumulo di guai, il padrone di casa, parve sulle piarne rassegnarsi ai decreti della Provvidenza; ma poi, col l'accumularsi delle difficoltà, s'aggravarono anche in lui le preoccupazioni e le angustie d'ogni genere, e l'infelice, cui non sorrideva più filo di speranza, finì per cadere in preda alla più cupa tristezza. Misero vecchio! avea per anni canni fecondata la gleba col proprio sudore, procurato cori tutte le sue forze perchè la là miglia non avesse a mancare del bisognevole, accarezzato dì e notte il pensiero di poter un giorno godere il supremo dei beni, quello di cogliere i frutti del proprio lavoro e veder consolata la propria vecchiaia dall'amore dei figli, di quei figli che erano stati sempre il suo orgoglio; e in compenso gli era toccato assistere al rovescio de' suoi più agognati ideali, al crollo di tutti quei fantastici castelli, ch'egli medesimo s'era archi t oli al o con tanto studio e tanto amore! Alle angoscio di quel cuore cosi crudelmente abbattuto dalla vicenda dei casi, ben presto tenne — H, PELLAGROSO — 107 dio!ro mi nuovo supplizio, il piti atroce di quanti al corpo sia dato sopportare: la lame. Lo scarso e cattivo nutrimento, se bastava a mantenere gli altri membri della famiglia, non bastava a lui, uomo dai muscoli d'acciaio, pieno ancora di quella vitalità, ohe tutte le patite tribolazioni non erano punto arrivate a spegnere. Estenuato dalle privazioni più che vinto dai patimenti, Fassalse la pellagra, questoiìerq morbo che si annida cosi di sovente mile campagne dell'alto Friuli, dove colpisce a preferenza gii affamati. Si fece torbido, irascibile; un assalto di furore l'invase: proruppe in minaccio, scoppiò in invettive, imprecò contro il destino. L'infelice era divenuto pazzo. Non reggendo il cuore alle due donne, la moglie e la nuora, di staccarsi da lui e metterlo allo spedale a Udine, come avrebbe impiotato il caso, si diedero a vicenda a sorvegliarlo davvicino. Non curanti del pericolo cui si esponevano, gii tennero dietro, non l'abbandonarono un solo istante ; ma tutti i loro sforzi non bastarono a chetare le sue smanie, a frena re i suoi furori, che <|negli bene spesso svincolatasi dalle loro strette; e so non riuscivano a scappare, ()indio spiritato le avrebbe strozzate. Finche, non potendo più oltre durare a quel modo, si appigliarono al partito estremo: lo rinchiusero in un angolo appartato di quel cascinale : una stanzetta nuda, destinata un tempo, quando le annate (Mano buone, ad accogliere le spighe di granoturco ed altre derrate. I/unica (mostrina di quel camerino dava su IT orto dei Floriani ed era sbarrata da una inferriata. Là, dietro a quella, il povero maniaco [tassava gran parti1 del giorno e della notte, assorto in una specie di contemplazione, Se ne stava lì immollile, ore ed ore, cogli ocelli sbarrati, la l'accia livida, disfalla, le guancie ossute, la barba ispida, scomposta. Lo sparato aporie della camicia lasciava +cnv le costole scarnite e l'ansare affannóso del petto agitato. Colà, prèsso convenivano tutti i giorni i demonietti del Floriani, attratti dall'aspetto di quella strana figura che per loro avea qualche cosa del fantastico e del sopra u nat ura le. Dopo aver fatto il solito chiasso e ruzzato qua e là per quei viali erbosi, cerne spinti da una molla, andavano a situarsi proprio sotto a quel line-strillo, dove potevano contemplare a loro bell'agio quel!'uomo che avea tulle le apparenze d' uno di quei santi che il cappellano soleva, loro regalare e dove si divertivano di gettargli a seconda che raccoglievano le prugne, di cui era seminato il terreno. Quel disgraziato mostrava d'aggradire le confidenze de'suoi piccoli amici,; le sue labbra si contraevano a un leggiero sorriso; i suoi sguardi, da, immobili fatti tremolanti, si posavano dolcemente su quelle testine rieciutelle. Erano quelle le sole volte che il — II. PELLAGROSO — 109 povem demente si scuoteva dalla sua impassibilità e pareva rinvenire in s'è, come so quei cari angioletti avessero avuto la virili di ridargli il sentimento smarrito e strapparlo alle angoscie che gli conturbavano l'animo. Un giorno non vedendolo comparire al solilo balcone, chiesero di lui al babbo e alla mamma, e questi fecero loro capirò elio non l'avrebbero veduto più, perdio ora velato in paradiso. Il poveretto avea realmente posto line a' suoi giorni. La sera avanti, le donne, coricatesi prima del solito, s'erano dimenticale di chiudere a ebiave la. porla di quella stanza ; e quegli, deludendo la loro vigilanza, ve la spinse leggermente, scese e uscì all'apèrto. L'indomani, avanti giorno, alcuni contadini, avviandosi al lavoro, videro galleggiare un cadavere in un vicino roteilo. L'infelice pellagroso, in un accesso di furore, s'era suicidato. JX. ISfcocolle fVuiliili. vano spesso: avevano li molte amicizie ed amavano riaffermarle di trailo in tratto. Smontavano di solilo all'albergo, quello stessi» dove nel venire s'erano rifugiati dall'acquazzone; poi andavano in giro un po' qua, un po' là, a scambiare strette di mano, a visitare questo e quel podere, a respirare a pieni polmoni quell'aria balsamica. Il paese di Fagagna, benché posto in piano, presenta, di l'atto i due maggiori vantaggi dei luoghi di collina: aria pura e vista, stupenda. Dal colle sovrastante si domina quasi tutta la pianura friulana e buona parte della regione eollinesea: un paesaggio d'un elt'etto teatrale, che non si finirebbe mai di contemplare: tanto è svariato' e giulivo. Tutto all' ingiro, sui cocuzzoli dei colli, sui rialti dei pogget.ti, una corona di bicocche tendali mettono in mostra i loro ruderi: avanzi di vecchi edilizi in gran parte distrutti e ohe evo fossero stati risparmiati dal tempo e dal Curerò umane, sarebbero di non poco giovamento all'arte e alla storia. Quelle antichi' rovine che a mo' di cornice chiudono 1 utt'intorno il magico quadro, costituiscono tuttavia una vera esposizione medioevale. L'illusione è completa. Da quei cumoli di macerie sorgo gigante li spettro dei tempi l'ondali. E lo Spirito, incalzato da un'onda di poesia guerriera, ime solo vi ricostruisce quegli antichi castelli, tali e quali dovevano sorgere nell'evo medio: strumenti di difesa e più sposso di offesa, dove li1 ambizioni di potenti signori si alìeruiavano a spose dogli oppressi vassalli; ina. vi risuscita, la vita castellana di tre secoli, con tutte le sue pompe, lo sue imprese cavalleresche, le suo giostre e i suoi duelli : dame, cavalieri, paggi, valletti, giullari, un corteggio di ligure teatrali, dallo lucide armature, dalle vesti trapunte d'oro, dai corsaletti di velluto, dai busti inamidati, dalle parrucche incipriate sfilano dietro le lenti del passato. K tutto un bagliore di armi, un arsenale di spadoni, di stocchi, di lancie, di balestre, ili schinieri e di cosciali, di elmi e di usberghi che vi si para, dinnanzi nel-l'accesa imaginazione ; e voi rivivete, sto por dire, in mezzo a quei tempi agitati che offrirono così largo tema al romanzo come alla storia, in mezzo a quell'ambiente così diverso dal nostro, così fantastico, così fecondo di fatti rumorosi, dì drammi a sensazione. ha quella specie di belvedere dove torreggiano le vestigia dell'antico castello ili Fagagna, spingendo lo sguardo dalla parte dèi colle di S. Daniele, a manca della strada che mena a rpui capoluogo, ecco RiVe d'Arcano: un feudo che ricorda un'antica famiglia castellana, che, al dire del Manzauo, si crede calala in frinii assai lemp i innanzi a l'opime pai ria rea di Aquilina e che vanta va s i discendere dal sangue regio di Croazia, per cui porta inquartati mila sua arma gli scacchi bianchi e rossi, insegna di «pud regno (*), I gentiluomini d'Arcano pollavano il titolo di gonfalonieri del Patriarcato <> insieme ai nobili di Cucagna, di Spili mbergo e di Prampero avevano I' incarico di assistere il ino eletto patriarca all'atto del suo ingresso e della sua installazione: una cerimonia che essi e uiipivano da buoni vassalli, con un seni i mento misto di devozione e d' U'gOglio; ambivano ni llersi in vista e inchinare in pari tempo il capo della Chiesa e dello Stato. Sopraintendevano inoltre alle strado e alle scuderie in s« de vacante, e sui campi di battaglia portavano il vessillo del ducalo friulano: l'aquila d'oro in campò azzurro. Pili sutto un altro ceppo di case ricorda un 1*1 Fr. ili Man/.iino, Aiutttli del i-'.in'i altro maniero elio andò raso al suolo: quello ili Madrisio. Parimenti lungo la strada che conduce a Udine, non molto discosto da questa città, scorgi sul ciglio d' una collinetta il caste!laccio di Vi II alta: uno dei pochi rimasti ancora in piedi, provvisto di bastite e di mastio, col suo bel ponte levatoio e la sua brava torre di guardia. Prima del 1300 appartenne ai Villalla, castellani ch'ebbero comunanza d'origine con quelli di Caporiacco, di cui nel secolo \u ereditarono parte dei beni. La famiglia, Villalla ascritta, com'è nolo, alla classo dei feudatari liberi, e che pretendeva riconoscere dagT imperatori i propri feudi, si divise in vari rami, uno dei (piali sì stabilì a Udine, dove diede il nome alla porta e albergo che vi motte capo. Cupidi e baldanzosi, i feudatari di Vili alta presero attivissima parte nelle lotte intestine che caratterizzarono la loro epoca, mantenendo vivo il fuoco della, discordia tra famiglia e famiglia, tra fazione e fazione. Una serie di perfidie li rese sinistramente famosi. Acciccati dall'ambi-» zione, di tutte le umane passioni la pili sfrenata e insieme la più irresistibile, incitati da un falso orgoglio ferito, sollevarono una tempesta di querele, seminarono odii e dissensioni, ruppero in atti di rabbia, opponendo le sevizie alle sevizie, le rappresaglie alle rappresaglie, la ven- detta alla vendetta. Non valse ad arrestarne il braccio armato di pugnale la paura dell' imminente pericolo, non la vista, del sangue versalo, non T urlo disperato della coscienza. Un Vi Hata, castellano di Uruspergo, terrorizzò il contado cividalese. Un Villalta, nominato vicedomino dopo la morte del patriarca Pietro Geno, volendo disporre a suo talento di certe gastaldie e comunità, si attirò addosso I' ira. di queste, sprigionò una l'uria di depredamenti e di eccidii. fu un Villalta lo sciagurato clic trafisse il patriarca Bertrando, laggiù nel piano della Ftfehin-velda, mentre questi, reduce da Padova, accin-gevasi a rientrare in patria, scortato da duecento elmi. Demolito in palle il castello ili Villalta sullo i colpi della fòlla inferocita, che volle vendicato il sangue dell'eroe, Cu rifatto per opera dei nuovi venuti: i Ternani, i «piali, cacciati dal governo di Milano dopo la sconfitta di Vaprio, si erano riparali in Friuli. Preceduti da clamorosa l'ama, i Della Torre di Valsassina non tardarono a far valere nel nuovo soggiorno, ilove s'erano trasferiti, la loro autorità e le loro inlliienze ; per cui il principato aquileiese, come già la signoria di .Milano, divenne spesso teatro delle loro gesta. Qui all'opposto però di (pianto aveano operato a prò delle l'orme popolari combattendo contro i Visconti, sfogarono il loro feroce talento combattendo a 02 — COI.I .INK FRIULANE — danilo della, veneta Kepublica, di cui furono in ogni tempo dichiarati nemici. L'impero tirò partito della loro devozione per opporli allo spirito invadente dei nuovi tempi e sguinzagliargli contro il Leone di San Marco, l'eco de' -vanni da l'dine non ha limite nelle sue invenzioni; gl'intrecci e i capricci de' suoi raliesclii sono fuori dell'ordine della natura, sono combinazioni^ allegorie, stranezze di nuovo genere. E un pittore dell'epoca di Augusto, e più in là ancora, di quella di Vitruyio; un pittore che nelle logge del Vaticano riproduce con scrupolosa fedeltà, e buon gusto gli esemplari antichi della romana civiltà. Non è solo però nella decorazione che Giovarmi da Udine colse invidiabili palme : se fu vaghissimo pittore grottesco, fu altresì vero naturalista e figurista insigne, e qui come altrove nello sue pitture voi trovate congiunte colla stessa, leggiadria il mito e la realtà, fregi e simboli, maschere e puttini, gemetti e fiori, fatti mitologici e soggetti storici. Nel mezzo del soffitto vedete figurata l'abdicazione di Tarlo v ; ai lati nei quattro riquadri: la caduta d'Icaro, quella dei (ligauti, Salnioneo fulminato, la caduta di fetonte; nelle lunette: la Pace che fa un grande falò di una catasta di armi e di arnesi guerreschi dinanzi al chiuso tempio di diano, e Psiche in atto di scoprire Amore; questi ultimi in gran parte guasti per le screpolature della parete. — IL CASTELLO DI COLLOHEDO DI MONTALBANO — 143 Come potevano i nostri due visitatori rimirare così stupendi affreschi e non sentirsi ih puri tempo T ànimo indignati) contro la presente età elie, mostrando di sconoscere i grandi meriti di cosi strenuo campione dell'arte italiana, non avea ancora pensato a riparare i torti delle passate generazioni e ad erigergli un monumento in seno alla stessa, sua patria ? L'odierno castello, a piedi del (piale si raccoglie il villaggio omonimo come pulcino intorno alla chioccia (*), è in parte di Spettanza del marchese Paolo e del conte Pietro che vi soggiornano Inuma parte dell'anno: questi, cultore benemerito delle lettere e degli studi storici, quegli il tipo del castellano gentiluomo, che il largo censo accoppiando al culto religioso per l'arte, dedica tutto sè stésso a custodire gelosamente le gloriose tradizioni della propria casa. (*) Prof, Dino Mantovani. — « Cullvredo » J XI. Allora c h. Non basta. Arrivali a mi ernie punto, capitò loro addosso un ali re impreveduto accidente. Da, quella parte non si poteva andar oltre, a motivo che il Cormor, ingrossato Cuor di modo, aveva allagato la strada. Si dovettero voltare i cavalli, prendere una via traversale e raggiungere la così detta strada alta, per poi attraversare il ponte da un' altra parte. Allora questi ed altri svantaggi, se non peggiori risebi, attendevano (pianti erano costretti servirsi di quelle eosiilette corriere che Tacevano il servizio tra paese e paese. Oggidì in mezzo al verde infinito dei campi, corno dice il Carducci, Fumando Ivi anelando nuove industrie in corsa Fischia il vapore. In luogo della Vecchia corriera trovale i carrozzoni (annodi ed ariosi del tram l'diue-S. Daniele, Che passano rapidi sfiorando i rami dei rovi eie (doccilo delle acacie, rasente i roteili, attraverso le spighe di granoturco, al piede di quelle montagnole ubertose dai profili fantastici e dalle ondulazioni gentili che sorgono e si schierano come per incanto lungo lo stradone, sorridenti di sole e d' allegrezza ; e gli alberi e le casupole s'avanzano, sfuggono, spariscono e in certi punti della strada s'allacciano famiglie di villeggianti che agitano i fazzoletti e frotte di villani confondono le loro grida di gioia col fischietto della piccola locomotiva; e come affratellale in un medesimo amplesso città e villaggi, pòco per volta, le disianze scompaiono, tutti questi paeselli si stringono insieme, come attratti da una stessa forza, come mossi da una speranza comune, e un nuovo alito di vita operosa e feconda di benessere spira su questa gentile e popolosa regione. ELENCO dello fonti, cui particolarmente attinse l'autore i cenni storici contenuti in questo libro. Asquini — 1$0 e più uomini illustri del Friuli. Antonini — Del Friuli. D'Agostini — Ricordi militari. Camavitto — La pieve ed il castello di Buia (ita! Cittadino Italiano, Anno lS'8l). Ciro di Pers — Notizie storiche della famiglia. Croij.acanza — Il castello di Colloredo. CoNoiN.y — Pellegrino da S. Daniele. Can. Decani — / signori di Eagogna, di Toppo e di Pinzano [Pagine Friulane N. 5, 0, 7 Anno VII). D.r 0. D. Ciooni — Udine e sua Provincia. Jona — Di alcune opere tT arte in S. Daniele. Jopri — t Carraresi in Friuli. Jopri — Il Castello di Buja e i suoi statuti. Man za no — Annali friulani. Manzano — Letterali ed artisti friulani. Mantovani Prof. Dino — Colloredo (Italia industriale ed artistica ). Narducoi — Notizie storiche della biblioteca di S. Daniele. V. Ostermann — Chisghel di Rurigne (Pagine Friulane, Anno IH, N. 3), Palladio —> Bistorta del Friuli. Pirona — La Provincia di Udine. Prampero — Cronaca del Friuli ( 1015 - 1631 ). Picco — Cose d* arte antica a S. Daniele. Sini G. — Cronaca della l'erra di S. Daniele. Valussi P. — Memorie e voti. Volo B. — / Savorgnani. Zahn — Castelli friulani. G. B. Zuccheri — Via Giulia — Da Concordia in Germania. INDICE E SOMMARLO I. ° Strada facendo.................. Lo «Stallo del Napoletano* a Udine — La famìglia Floriaili — Fuori di Porta Villalla un quarto di secolo fa — Un acquazzone estivo — Arrivo in villa. II. 0 La villetta di ***............... Reminiscenze — Fisonomia del villaggio — 1/ oateria — Macchiette dal vero. ili.0 L'antica perla patriarcale.......... L'altura di S. Tomaso — Uri fatto d'arnie dell'epoca napoleonica — A S. Daniele in una giornata di mercato — L'antica perla patriarcale — Fasti e nefasti sandaniclesi. IV.0 Dal collo ili S. Daniele............ 11 mercato — Pro Tite — Una graia sorpresa — Un giro pel paese — La chiesa di Sant'Antonio — Pellegrino da S. Daniele — La parrocchiale di S. Michele — Il Palazzo del Comune e la Guarneriana — Uomini illustri sandanielesi — I/ antica chiesetta di S. Daniele — Un magnifico punto di vista — la carrettella di Svaldo — Partenza per Ragogna. V. ° Tra due rupi..................pag. 63 11 passo della Tabina — Il colle e il castello di Ragogna — Gli antichi castellani — Il feudo patriarchi no — Il medico condotto di Ragogna — Una passeggiata a S. Pietro — La leggenda del « Chischiel di Ru vigne » — Il castello e i conti di Pinzano — I Sa-vorgnani — Inimicizie fra questi e i Della Torre — Ritorno a S. Daniele — Campagna, notturna. VI. " 11 palazzo di Susans.............. » 79 Refezione all'aria aperta — Famiglie collaterali di Pers e di Varnio — Ciro di Pers e Federico di Varmo — L'odierno Palazzo — Il Campo sottoposto. VII. 0 La olliiia di Buia.............. » 87 Un giorno di festa — «Sor .Incorno» — Una trottata a Buia — Notizie Storiche — 11 comune attualo — La parrocchiale di S. Lorenzo — Il castelletto di Artegna — Il tirò al gallo —Un pranzo coi flocchi — Brigatene e villette. Vili.0 II pellagroso (Racconto dal vero)..... » 103 IX. 0 Bicocche feudali................ » 111 Il paese di Fagagna — L'anlico castello — 1 gentiluomini «l'Arcano — II castellacelo di Villalta — La famiglia Villalta — 1 Tornarli — La rocca di Moruzzo — Dal colle di Fagagna — Ricordi storici — Il borgo attuale e il risveglio agricolo. X. ° Il castello di Colloredi» di Moutalbauo .... » 123 Un nuovo personaggio — Una scarrozzala al castello — La famiglia Colloredo: origine di essa — Stoi'ia del cartello — I Mels- Colloredo e loro prerogative — Uomini illustri — Il conte Ermes Colloredo — La famiglia Nievo — Convegni letterari — Visita dell' odierno castello — Giovanni da Udine — Gli attuali proprietari. XI. Allora e adesso.................pag. 145 La corriera di S. Daniele — Peripezie di viaggio — Provvedimenti odierni — Il Tramvai a vapore. ,