received: 2010-02-23 UDC 342.732:94(450.82)"1810/1815" original scientific article "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA... CHE CONTENGANO LIBELLI INFAMATORI": UN PROCESSO PER VIOLAZIONE DELLA LIBERTÀ DI STAMPA NELLA SICILIA COSTITUZIONALE (1810-1815) Patrizia DE SALVO Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Studi Europei e Mediterranei, Piazza XX Settembre 4, 98122 Messina, Italia e-mail: pdesalvo@unime.it SINTESI Il processo per abuso della libertà di stampa intentato contro il marchesino Merlo è qui proposto come testimonianza del cambiamento che si stava verificando in Sicilia negli anni del primo costituzionalismo (18Ü8-1815), periodo in cui norme costituzionali esplicitamente enunciate non trovavano concretamente tutela a causa della mancanza di moderni codici. Parole chiave: libertà di stampa, processo, marchesino Merlo, costituzione, codice, Inghilterra, Bentinck "PUBLISHING WRITINGS OF ANY KIND... CONTAINING LIBELLOUS SLANDER WILL BE CONSIDERED A CRIME": A PROCESS FOR VIOLATION OF FREEDOM OF THE PRESS IN CONSTITUTIONAL SICILY (1810-1815) ABSTRACT The process for press freedom abuse brought against the young marquis Merlo is here proposed as evidence of the change that was happening in Sicily during the years of the first constitutionalism (1808-1815), when explicitly laid down constitutional provisions were not given concrete protection due to the lack of modern codes. Key words: press freedom, process, young marquis Merlo, constitution, code, England, Bentinck 505 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 PREMESSA Si ricostruiscono in questa sede le battute di un processo per abuso della libertà di stampa, proposto perché attraverso quella vicenda, che vedeva un diritto costitu-zionalmente garantito inibito da un sistema processuale di diritto comune, è possibile testimoniare il cambiamento che, iniziato in Sicilia sin dalla fine del secolo XVIII,1 seppure con alterne vicende,2 giungeva a compimento negli anni del primo costi-tuzionalismo (1810-1815). La difesa del marchesino Merlo perorata dall'avvocato Filippo Foderà (Viola, 1838), fondata sul dettato costituzionale, rappresentava il tentativo di dare voce ai nuovi diritti garantiti, seppure in presenza di un vuoto legislativo che caratterizzava l'ordinamento giuridico dell'Isola in quegli anni e che sarebbe stato colmato solo con la promulgazione nel 1819 del Codice per lo Regno delle Due Sicilie (Novarese, 2000a), in un contesto assai lontano da quello nel quale era nata la stagione costituzionale siciliana. IL "LABORATORIO COSTITUZIONALE": COSTITUZIONE E CODICE NELL'ESPERIENZA SICILIANA La Sicilia, rimasta estranea alla conquista napoleonica, si trasformava, sotto la protezione dell'Inghilterra, in un avamposto militare alimentando il formarsi di un vero e proprio "laboratorio costituzionale" in funzione antifrancese e antinapoletana (Sciacca, 1966; Romano, 1912; Romano, 1996; Pelleriti, 2000; Ricotti, 2005). Al contempo, nell'Isola prendeva corpo l'idea della necessità di una codificazione 1 Se, sul finire del Settecento, in Sicilia le nuove dottrine filosofiche europee avevano operato un certo rinnovamento auspice di riforme politiche e sociali, gli anni che seguivano alla morte del viceré Caramanico, apparivano invece caratterizzati da sospetti e congiure, tra le quali quella "giacobina" dell'avvocato Francesco Paolo Di Blasi (La Mantia, 1886, 37-70; Del Cerro, 1905, 596-608; Cassani, 1989, 310-311; Novarese, 2006). 2 A partire dal 1795, in coincidenza con il viceregno dell'arcivescovo di Palermo Filippo Lopez y Royo, infatti, aveva inizio per l'Isola un periodo piuttosto buio. Il nuovo viceré, descritto come un uomo "ambizioso, amante e vanitoso delle pompe esteriori, pieno di vizi, inadatto a tanta carica, inquisitore sospettoso e tirannico", circondato da spioni e da delatori, dava inizio alla persecuzione delle persone sospettate di "coltivare" ideali democratici. Gli arresti, i processi e le condanne per "giacobinismo" emanate dalla Giunta di Stato si moltiplicavano alimentando un clima di terrore in tutte le classi sociali: "nei Baroni, che detestavano quello spaventevole potere assoluto; nella classe media, che anelava di acquistare una moderata libertà; e nel popolo intollerante di servitù e bramoso di scuotere il giogo che l'opprimeva da secoli" (Bianco, 1902, 10). Si affermava un regime di paura, "si spiavano le opinioni dei cittadini, s'intercettavano le comunicazioni tra l'Isola e il Continente; s'imprigionava; si esiliava ad arbitrio; era reato perfino la lettura dei giornali con certo dilettO; si faceva guerra ai calzoni lunghi alle barbe ed alle code accorciate, indizî certi di giacobinismo" (Bianco, 1902, 11). 506 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 moderna, a integrazione del sistema di tutela dei diritti tracciato nella Costituzione (Novarese, 2000b, 27). Il dibattito attorno al codice vedeva delinearsi soprattutto due posizioni. La prima che ipotizzava la recezione di un codice straniero, con un evidente riferimento all'esperienza francese; la seconda che sosteneva, invece, la necessitá di una codificazione autoctona. Esponente di spicco di quest'ultima era l'avvocato Filippo Foderá, giurista illustre che, a tale proposito, commentava: "Quali sono poi questi codici, che ci vengono proposti? Il francese? L'inglese? L'austriaco? Il toscano? Non e questo, o concittadini, il luogo di mostrarvi la loro imperfezione, né di farvi rilevare, che dovendoli applicare alle nostre circostanze si dovrebbero quasi interamente distruggere" (Foderá, 1813, 145). Pur nella divergenza delle opinioni si metteva in evidenza la speranza che nel codice potesse trovarsi una soluzione ai gravissimi squilibri della realtá siciliana (Novarese, 2000, 28). I due processi, di costituzionalizzazione e di codificazione, si presentavano da subito strettamente connessi anche se, come ha dimostrato Daniela Novarese, la Carta palermitana del 1812 rappresentava il frutto piu maturo di quegli anni, mentre il disegno codicistico, seppure limitatamente al codice penale e al codice di procedura civile (Cocchiara, 2003), non superava la fase progettuale. Nonostante tali limiti si era cercato di apportare alcune modifiche alla prassi giudiziaria dall'ormai superato rito di diritto comune. L'eccessiva severitá e confusione del sistema giuridico avevano indotto i rappresentanti del braccio demaniale a richiedere, sin dal 1810, in occasione della convocazione del Generale Parlamento, una riforma della "giustizia crimínale".3 Iniziati i lavori costituzionali con la convocazione del Parlamento del 1812, e enun-ciata la norma che sanciva l'abolizione di ogni pena arbitraria,4 la riforma della le-gislazione penale diventava non piu prorogabile (Genuardi, 1915). Infatti "assai espli-cite e puntuali erano ... le indicazioni soprattutto al diritto penale sia sostanziale che 3 "Il braccio demaniale supplica S.M. acció si degni destinare delle persone per lo esame del Codice crimínale, per additare ció crederanno degni di riforma nella legislazione attuale, per venire da oggi innanzi composta, e ció per il migliore accerto della giustizia, e per la maggiore regolarità delle procedure" (Parlamenti Generali, 2003, 55). Con un dispaccio del 23 settembre dello stesso anno, Ferdinando III di Borbone approvava "il lodevole desiderio di una riforma nel Codice criminale. Il gran problema di combinare con la maggiore sicurezza per l'innocenza con maggior timore per lo delitto merita bene, che vi si travagli spesso e attentamente. A questo fine S.M. destinera quei soggetti; che crederà più idonei, e gl'incaricherà di esaminare la legislazione criminale di questo Regno, e di proporre il modo di ridurla a quel grado di unità, e di bontà, che corrisponda ai principî inalterabili della giustizia, e alle circostanze del tempo e del luogo" (La Mantia, 1866, 258). 4 "Nessun Cittadino Siciliano potrà essere punito se non in virtù di una legge stabilita, promulgata antecedentemente al delitto, ed applicata legalmente" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 91). 507 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 processuale,5 a riprova di un legame più intrínseco fra quei corpi normativi e la carta medesima" (Novarese, 2000b, 52). Nel corso degli anni, grazie all'intervento di uomini illuminati, nel procedimento penale erano state modificate alcune delle asprezze derivanti dal metodo inquisitorio,6 ma nulla era stato ancora regolato per legge. Solo nel 1813 si arrivava alla nomina di una Giunta per la compilazione delle leggi criminali, composta dal Principe di Villafranca, dal dottor don Ignazio Scimonelli e dal dottor don Salvatore Mal-vastra, mentre per la parte della procedura era previsto l'intervento e il parere del causidico don Mariano Indelicato" (ASP-RS, v. 5433, cc 37rv). Si chiedeva al le-gislatore una maggiore moderazione e proporzione nelle pene e l'abolizione di ogni arbitrio (Novarese, 2000b). TRA LIBERTÀ E ABUSO: LA STAMPA IN SICILIA NEL PERIODO COSTITUZIONALE Nel contesto dell'affermazione e difesa dei diritti naturali, l'opinione pubblica, divenuta testimone privilegiato di quel clima particolarmente vivace, tra attese e promesse di sconosciute libertà, trovava un nuovo modo di esprimersi grazie al decreto costituzionale che liberava la stampa dalla censura preventiva (De Salvo, 2008), e ne garantiva, in teoria, la più completa espressione.7 La difficoltà di individuare l'estensione e i limiti di tale libertà, che seppure di-chiarata costituzionalmente non trovava una tutela efficace nella sua applicazione, a causa della mancanza di un diritto certo e codificato, è testimoniata anche dal diverso iter procedurale applicato ai numerosi processi per reati di stampa e "libello famoso", che spesso si trasformavano in vere e proprie dispute politiche. 5 Fanno espresso riferimento al codice penale il §.3, cap. XVI del titolo I; il §.22 del Decreto per la libertà della stampa; il cap. XIII del decreto Della libertà, diritti e doveri del cittadino, il §. 1, cap. I. del titolo II; i §§. 5 e 36, cap. I del titolo III; i §§. 2, 3, 5, cap. III del titolo III; i §§. 3 e 5, cap. III del Piano generale per lorganizzazione delle magistrature di questo Regno, e per lo stabilimento del potere giudiziario (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996). 6 A tale proposito, Vito La Mantia scriveva: "Non debbe pero credersi, che l'antica severità delle leggi scritte romane e sicule, sia stata nel nostro secolo la norma vera dei criminali giudizi; perocchè sia pel difetto di prova piena, sia per la moderazione e benignità che il progresso dei lumi e della civiltà ispiravano, anzi imponevano ai magistrati, nella pratica erano in gran parte abbandonate e ineseguite le atroci pene legali. A queste si sostituivano le arbitrarie, cioè altre pene minori che magistrati con prudente criterio stimavano più convenienti alle speciali circostanze del fatto, alle condizioni degli accusati, al grado delle prove raccolte; e per tal modo prima che un nuovo codice fosse sancito, la prudenza civile dei magistrati e le dottrine della giurisprudenza aveano già mitigato le leggi penali" (La Mantia, 1866, 260). 7 "Ognuno potrà stampare, e pubblicare le sue idee senza bisogno di licenza, e senza obbligo di sottoporle ad una precedente revisione" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 81). 508 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 Espressione di quel clima erano i frequenti attacchi alla libera manifestazione del pensiero che vedevano sottoposti a indagine anche esponenti dei partiti rappresentati nella Camera dei Comuni. Si assisteva ad un vero e proprio duello tra i deputati della maggioranza di governo e quelli dell'opposizione, che portava sia gli uni che gli altri alla "barra" della Camera o peggio ancora in carcere, senza che, peraltro, vi fossero norme certe alle quali appellarsi o un'interpretazione univoca e coerente della legge. Tali incertezze si possono cogliere nel discorso tenuto dal barone di Cimia, Gaspare Aprile, rappresentante del partito conservatore, durante la seduta dei Comuni del 9 settembre 1S1S, che criticava la Cronica di Sicilia, giornale apparso il 2 settembre del 1S1S, (organo di stampa di quel partito costituzionale che riconosceva nel principe di Castelnuovo il suo ispiratore),S accusandolo di offendere ed oltraggiare con i suoi articoli la Camera dei Comuni. "Questo delitto" - sosteneva con veemenza l'aristocratico - "meriterebbe la particolare e la pubblica lagnanza, anzi dico bene, la punizione della Camera" (Cronica di Sicilia, 9 settembre 1S1S). A tale scopo, il barone chiedeva, con una mozione, che fossero chiamati alla "barra" "gli Stampatori dei due fogli della Cronica num. 1 e num. 2 con recar seco gli originali de' fogli medesimi, per indi passarsi alle ulteriori provvidenze". A sostegno della sua richiesta invocava il dettato costituzionale, laddove si stabiliva che: "Entrambe le Camere hanno il diritto di far arrestare qualunque persona, da cui sono state oltraggiate; ma prima di chiudersi il Parlamento dovrà, se l'affare non sia definito, essere commesso al Magistrato ordinario" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 56). La Camera decretava, a maggioranza dei voti, che si convocassero alla "Barra" gli stampatori Barravecchia e Giordano (Giornale di Palermo, n. XXVI, 1S1S, 2-S). Per contro, il barone Giovanni Aceto, redattore del giornale in questione e rappresentante anch'egli della Camera dei Comuni, rispondeva alla mozione del Cimia e sottolineava che questi proponeva alla Camera "l'abolizione della libertà della stampa" - infatti ribadiva - "Contro quest'ultima si fa l'attacco e non contro la Cronica. In questa non vi ha cosa alcuna che attacchi la Camera dei Comuni o che l'autorizzi a prenderne cognizione e tanto meno vendetta... Ogni cittadino ha acquistato il diritto di poter censurare la condotta degli uomini pubblici ed esprimere le sue opinioni sugli S La Cronica di Sicilia era a favore di un governo monarchico-costituzionale secondo lo stile inglese. Tra i suoi redattori si possono ricordare Giovanni Aceto e Niccolô Palmieri, esponenti della Camera dei Comuni, e l'abate Paolo Balsamo, componente della Camera Alta. Il giornale veniva pubblicato dopo la caduta del ministero liberale Castelnuovo-Belmonte-Settimo, entrato in crisi in parte per dissidi interni, in parte per la nuova coalizione del partito repubblicano con il reazionario. Il nuovo ministero, la cui anima era rappresentata dal Marchese Gioacchino Ferreri, era in apparenza incolore, in sostanza realista. Sin dal suo primo numero, usciva il 2 settembre 1SO, la Cronica si schierava contro quel ministero reazionario e la maggioranza che lo sosteneva alla Camera dei Comuni, evidenziando soprattutto l'immorale coalizione di partiti cosi diversi fra loro e uniti soltanto dall'odio contro l'Inghilterra, a cui, peraltro, la Sicilia doveva le sue libere istituzioni. 509 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 atti di qualunque dei tre poteri" (Del Cerro, 1913, 100-101), citando a memoria il paragrafo 7 del decreto sulla libertà di stampa (Costituzione 1996, 83). Dopo un lungo dibattito alla Camera dei Comuni, che vedeva coinvolti diversi esponenti sia della maggioranza sia dell'opposizione (Del Cerro, 1913, 101-105), e l'escussione degli stampatori e dei testimoni (Giornale di Palermo, n. XXVI, 1813, 34), il procedimento contro la Cronica di Sicilia si esauriva in un nulla di fatto, poiché sciolta la Camera in quei giorni, l'accusa non veniva più riproposta nella nuova. LA LIBERTÀ ASSERVITA ALLA RAGIONE POLITICA Se i contrasti interni potevano trovare soluzioni sostanzialmente indolori, come nella vicenda citata, quando entrava in gioco la "ragione politica" volta a non of-fendere l'alleata Inghilterra, allora la questione era tutt'altro che trascurabile e si doveva arrivare ad una sentenza esemplare, con la condanna del reo, come nel caso del processo contro il marchesino don Giuseppe Merlo, accusato di libello famoso. Tale processo evidenziava ancora di più lo scontro tra i cosiddetti "Cronici", esponenti del partito costituzionale e filoinglesi, che si riconoscevano nella Cronica di Sicilia, e gli "Anticronici", appartenenti ad una coalizione di democratici e realisti. Non è ben chiaro, data l'"alleanza" tra il partito democratico e il partito realista in opposizione al partito costituzionale, se il marchesino, in qualità di deputato della Camera dei Comuni, appartenesse all'uno o all'altro dei due schieramenti che forma-vano la maggioranza nella Camera del 1813. Sembra per certo che "volle sfogare in una Lettera di un siciliano diretta ad un suo amico", (stampata nell'ottobre del 1813, dall'editore palermitano Vincenzo Li Pomi) la sua avversione contro l'Inghilterra e in particolare contro il rappresentante di questa in Sicilia, Lord Bentinck. Al Bentinck quella pubblicazione, che vedeva la luce in un momento di vivace opposizione e risentimento popolare contro l'Inghilterra, non era piaciuta e il 29 ottobre del 1813 ne denunciava l'autore al ministro degli affari esteri, il principe di Villafranca, evidenziando come, sebbene fosse superfluo sottolineare, "ch'egli riguarda la libertà della stampa, come baluardo della libertà, che questa sola basta a rovesciare la più possente tirannia. [...] vi sono de' limiti, che non devonsi oltre-passare, e se la libertà è un diritto imprezzabile, la licenza è altresi un male incal-colabile". A parere del ministro plenipotenziario inglese, la lettera conteneva "un ingiustificabile libello, non solamente contro il sottoscritto, cosa sulla quale si po-trebbe passar sopra, ma contro quella Potenza, i di cui interessi in Sicilia sono confidati alla sua cura" (Foderà, 1815, 3-4). La querela del Bentinck era immediatamente trasmessa all'avvocato fiscale Francesco Pasqualino, che faceva arrestare e imprigionare il Merlo il quale, con sentenza del 25 maggio 1814, veniva condannato dalla Gran Corte Criminale a quattro anni di carcere. 510 Patrizia DE SALVO: "SARADELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 • -JfK TTERA ■ '•' '' i>i • ?• > ' • % ' UN" SICILIANO ■ .. ' AS'UN SCO A Mito TT ■ ' " : i lF inolnrent«, nd orifa delie cabale dél passato Mlníit», e dfij íuoi ¡inpiidefttí , e malvagi partígiani, il Parlamento si ó ria-perto -jen sera'alie ore yentiquattro , Noi siatrio stati vessatí. miiiácciaíi da B^ntiiick, seecati ctpvna niente dai Mimstri'üi Guerra , e deli*Interno; vi sono stati quelli che si é eercajo di sedar:« con 'liisrughe c no ti mancarono gli steasi Catenisti dal far-üe sentiré, che le ijajonette íuglesi c¡ avrébbero fatte vothr colla íorza , quell-o che non yole vano lar col le buone ; che la (JoatitH'íione era terminara per rio! . o che saressiiflo ■ ritoriiatí aü' antico dispotism« , se no(i ubbi di faino cieca mente! a Lord ¿entinck ; e che noi saresymo risponpabili alia Sicilia ¡ di tutto le triste con segó en z-e della noara ostinaijone . Ma noi I sordi u-gnalmente alie minacce , che alie bisi'righe rispondev^mo , che tjüalijjique risólipdone avesse potnto prendere il Ministro Inglese, iiiíi non potevamo tradire i nostri Costituciiti , e che volevamo sagriticare la nostra vita piú tósto, che a den ra a proposizioni ingiu-ite . Impugno del Ministro Ingleso ora di riroettere in carica I paisa ti Miuistrl, e cosí soddisfa're 1' 'air^jizione, e lv orgSgTio di . alcuni di essi, e di liberare un altro 'tíllía reddizíónc dei coatí, elle sono, a mió credere, molto imbarazzati; o si eco me egtí co-nosceva molto bene, che questi non goiievano la fidneia della Nazi one, ten ta va (Juindi ¡ndurei a votare p ríala i snssidj, o immedia»*' ta mente dopo íciogbere i I Parlamento, rinjettere al. Minutero que-'g sti degfti wggttti, ed abbaniJonare T iníelíce Sicilia alia ven-^i.delta di ambidne. Ma siecortie egli guarda vasi da realizzarc le JS 3tie vane miniacce , ha dovút^' ced sé sia stala ar.a opiniorie , o de' auoi confiderai !'arer ereduto preraunirlu , otteriendo jeri in casa del Cava! i ere D: Errigo del B'Jjco , ove sr ratlqnarono gli amici delta ¿nona caú-fa , nfi foglip firmato da tátti loro nel-^quaie , como ti vit'it assslcurato, faceario- cssi tutti tcstiraútííaiiz^ de 11j} bnona coridutta tenuta da luí in questa circos ta nzaMa che mí si perdí ni, qnesta asssrzíone é' varií"- quátido ve nejpotreb-be essere uní' contraría, e pía valida , perché' ;tlrmata da ¡ph'i 511 Patrizia DE SALVO: "SARA DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 iiiU7ierojB .psrsoiie; o fonda ta síüla ve rità dei fat ti. J( Parla-me:;to pero non credo, che pcñS a vondicarsi. s Basta adesso aver fatt? coiiojeere a Lord Bentinck , che aver' che fare coi fcidliani non è ïo stesso che ava che fare cogí'Indiani, cogti imbecilli, e coi Napolitaoi ; çhe i spauracchi sonó per gli Iiccslli, ç no a por gli nom,i ni ; e che s'egli irritato da questo l.îglio . se mai arrivera a conocerlo, voira vendicarsi , no i gli i:iti>iiiarao prima di tutto la graciosa voce di misione spéciale in Lindrct,per presentare ai Principe Reggente ie lagnanze della' Skiíiq a carica di Lord Bentinck. Gli facciamo poi riflette-■ ió , ok'egli .perniettendosi una violera iii Sicilia mal servi re b-la Cran - Bre tagua, che certa m ente vuol protegiere le •>.i7.ioni , o non i particolari. Gli rammentiamo , che la Gran pi'ei.igQB , più che colíe armi, fa la guerra alia Francia colla miiíone, c qutudi dee cssere religiosa verso i auoi ajieati, pro-liberas la liberta, fargliela ¡luche acfjuiatare , guando non i^npo la forthna di godería , e che üi qne3ta cireoítansta deo una eccezione alla mas s i ma genérale di política, che qunti sem-si Jinisce col cmquiitare i regni che si cominciano a proceggt-t C . Cal col i t : W i B : quali couseguenze potrebbe cagiuia-nellc Spagoe una vioWuza , ch1 egü ai permette rebbe in Sicilia ; c come ainmaestrati d^l nostrQ esempio gli o pagnuoli po-fre iibero entrare in uüa ghista diflidenza dell' armi Brit an niche-UÍMt ^wiki^to .a-^fjiiah.^eitremi—. 1 . Y j 'it^iTi nYen. d» essi 400 n>;ia Spagmíofi tanto bañe agguerriti., che gl' In-5eJi ■ T^tto cié a mió ctedere dee garemirci da ogai passo yi->:ei«0 ', chd 1''abuso folla forza, c ta mala ftde potrehbev o v íarei tejeré. Preghiamo L : W: B: a riprendere la priniíe- ^ W ■ o.ndotta , a ciíi che il suo nome auoni sempre grato 'e ri- V spC'tabile fra i. §iciliáni. Woi vogliamo sempre riçouoscere «W i* órgano della Grañ''BretagQa , che contribuí ' a darci la CttititU2ÍQne noi lo pre^hiatgo ad eaaere Inglese. Gi lasci egü, contjmiare in pace i aostri la vori Parlamentarj tanto, nçcciiarj a consolidare Ja Costituzionc; dijeentichi gl' ¡«teroasi di v¿ aícu-ti ¡jfdvaii per rammenídiii solo di quel!i della nostra/'e della sua ^^ Niiiiio'no. Cancelli dalla çua meute (¡ualucque idea, ch' cjiita V ' Tfa KOÍ- Un partito fnmc^6e ; questo non è stato, non o, e non ^tít-.i jnai csaçrci £c Boi^.^i voglià ¡ntendere un hraico di, di-. ci ii:-,Baiiu , ¡ tpali Tede^do, che la 'Coslituzione no¡¡ é - cotue Si íWiib imaginât i, lo striunento delta loro rapacitá, latino di istto ócr abbatterla. Q^cstí sono gli amict dei francwi . E sa RoçTwlilprd y noie iiiti crainte traOqniíliz7.ar 3e stpsso, e, noi «1 nv^partirojare , noi conygliajno a coopera rsï di. cace i aro djU<* Sxtygüiiti i J'yycsí, ma tuíti, t¡ atia pur' sicuro che r«ijii;c,i nnn. ci verreiido , . I'3Ï Ï.HJHO. ai Ottobre i8i3..,- . „1 Cr ,'i**;?' STJatPE Dr^ViMCaKZO I.I _"_. ; Fig. 1 e 2: II documento Lettera di un siciliano ad un suo amico é conservato a Londra presso: The National Archives, F.O. 70/59 -1813, pp. 40 r. v. Sl. 1 in 2: Dokument z naslovom Lettera di un siciliano ad un suo amico hrani The National Archives v Londonu, F.O. 70/59 -1813, pp. 40 r. v. 512 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 A circa un anno di distanza, nel marzo del 1815, il Merlo inviava dal carcere alla Camera dei Comuni un ricorso prodotto dall'avvocato Filippo Foderà,9 il quale cer-cava di dimostrare l'innocenza del proprio assistito alla luce delle libertà costi-tuzionali introdotte dalla Carta del 1812, rilevando le illegalità che avevano ac-compagnato il processo. Egli iniziava la sua memoria difensiva partendo dal commento al titolo III, dedi-cato al potere giudiziario, sottolineando come il Costituente, avendo reso indipendente tale potere, non aveva voluto favorire la Magistratura, quanto invece aveva cercato di assicurare ai cittadini l'amministrazione di una giustizia imparziale. In tal modo, se le prerogative dei giudici erano aumentate era pur vero che per arginare il loro potere il Parlamento era stato eretto ad arbitro dei loro delitti e riparatore dei loro misfatti.10 Trattandosi poi, nel caso del marchesino Merlo, di un parlamentare, il Foderà ricordava che la Costituzione garantiva i deputati dall'abuso del potere giudiziario affidando alla Camera dei Comuni il diritto di stabilire e provare l'accusa e alla Camera dei Pari quello di compilare il processo, giudicare e condannare i rei.11 Il Tribunale della Gran Corte Criminale, investito della questione dal ministro degli affari Esteri attraverso la querela di L. W. Bentinck, avrebbe dovuto quindi tenere in considerazione la carica del ricorrente, poiché in quella materia solo il Parlamento poteva essere il giudice competente.12 Al contempo, invitava il Parlamento ad assumere la difesa del proprio cliente e ad interrompere in tal modo l'ingiusta pena, poiché "sarebbe mostruoso, che quella mano, la quale punisce l'oppressore, non possa sollevare l'oppresso". L'avvocato siciliano sosteneva, infatti, che "La mancanza delle formalità, non ancora stabilite della Parlamentaria Processura, non ha permesso, che il Magistrato venisse a rendervi conto di tutte le commesse ingiustizie, ma per impedire, che corressero a carico di un 9 Filippo Foderà era uno tra i maggiori protagonisti del dibattito sulla codificazione in Sicilia oltre che valente avvocato che "si misurava nel foro, dispiegando le sue capacità nel dipanare le cause più difficili e talora rischiose" (Fiorentini, 2008, 54). 10 "Gli abusi di autorità daranno azione popolare. Qualunque individuo potrà proporre la sindacatura presso il Parlamento sulla condotta pubblica del Giudice, e del Magistrato nel modo, e forme, che si stabilirà nel Codice suddetto" e, inoltre, "Qualunque persona offesa, ed interessata potrà proporre la sua querela in forma al Parlamento, per qualunque contravvenzione alla legge fatta dal Giudice, e Tribunale, sia nel procedere, sia nel decidere, e per qualunque altra colpa nel modo, e forma, che si stabilirà nel Codice suddetto"(Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 158-159). 11 "La Camera de' Comuni dopo avere stabilita l'accusa comincerà a fare le ricerche per le pruove, per i Documenti del Processo, manderà l'accusa documentata alla Camera de' Pari, la quale passerà a compilare il Processo, e quindi al Giudizio, ed alla condanna del reo" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 55). 12 In particolare, era stabilito che "per le cause Criminali il Parlamento specificherà come, e da chi dovranno essere giudicati i Membri del Parlamento stesso, e segnatamente i Pari e le altre persone di un pubblico e privilegiato carattere, in conformità alle massime della Costituzione d'Inghilterra" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 189). 513 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 innocente Cittadino gl'irreparabili momenti di una pena indovuta non è necessaria nessuna formalita" (Fodera, 1815, VI). L'assenza di un codice di procedura penale, che rendesse applicabili le garanzie costituzionali evidenziate dall'avvocato Fodera, aveva permesso che il marchesino fosse di fatto imprigionato. Anche in quel caso, l'avvocato sottolineava l'illecito perpetrato ai danni del suo cliente, poiché la forza pubblica non si era presentata con un mandato di arresto, senza il quale, sempre secondo il dettato costituzionale, ogni cittadino aveva la possibilité di far valere il diritto di resistenza.13 L'ordine di arresto comminato dall'Avvocato Fiscale D. Francesco Pasqualino, espresso soltanto verbalmente, strappando il ricorrente alla sua famiglia e facendolo incarcerare, era in aperta violazione della Costituzione. Inoltre, la mancanza di un mandato di cattura poneva il Merlo nella situazione di non potere contestare la propria detenzione,14 restando egli di fatto all'oscuro delle imputazioni che gli veni-vano mosse. La vicenda metteva in luce come, a fronte delle liberta e dei diritti proclamati dalla carta costituzionale, in mancanza di moderni codici, il sistema processuale si muovesse ancora secondo logiche d'antico regime. Il tribunale era stato determinate nel negare ogni difesa, al punto che aveva rigettato anche le eccezioni presentate pretendendo che il ricorrente si dichiarasse "pazzo nel momento di scrivere la lettera". Confessando, in tal modo, un delitto che non aveva commesso, nella sentenza di condanna si sarebbe potuto rinvenire una manifestazione di compassione che "si usa verso coloro, che ne' momenti delle loro pazzie commettono degli eccessi" (Fodera, 1815, XIII). Andando dritto al cuore del processo, nel suo ricorso il Fodera lanciava un ultimo attacco contro il governo e contro il tribunale che avevano permesso quell'abuso, leggendo la lettera di un Siciliano ad un suo amico alla luce delle norme del decreto sulla liberta di stampa. 13 "Ogni Uffiziale di Giustizia per procedere all'arresto di qualunque persona dovra essere munito di un Mandato firmato, ed autorizzato col suggello del Giudice, o Magistrato Ordinario, che l'ha in-cumbenzato, nel quale verra espressato il nome della persona da carcerarsi, il delitto, di cui viene imputato, l'accusatore, gl'indizi, e le ragioni, per le quali e stata ordinata la sua detenzione". Inoltre, "Qualunque opposizione a questi mandati, anche colla fuga, sara reputata, e punita come resistenza diretta alla legge; ed all'incontro qualsiasi atto di resistenza con cui si opporra un Cittadino all'esecuzione de' mandati di arresto, che manchino delle forme gia prescritte, non sara punito dalla legge" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, tit. III, cap. I, §. 25/26, 150-151). Tra l'altro al § 29 si stabiliva che "i custodi delle prigioni non potranno ricevere alcun Cittadino per ordine verbale del Giudice, o Magistrato, senza ricuperare questi tali suddetti mandati per la giustificazione della causa, per cui il Cittadino e detenuto" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 152). 14 "Il Giudice, o Magistrato dovra, il piu tardi fra ventiquattr'ore, prender conto, e sentire il Detenuto, e questi ha il diritto di far decidere dal competente Tribunale la legalita della sua detenzione" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 152). 514 Patrizia DE SALVO: "SARA DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 Fig. 3: L 'esemplare del Ricorso del marchesino Merlo, e conservato nella biblioteca del Dipartimento di Studi Europei e Mediterranei dell'Universitá degli Studi di Messina. Sl. 3: Primerek dela Ricorso del marchesino Merlo hrani knjižnica Oddelka za evropske in mediteranske študije Univerze v Messini. 515 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 L'avvocato ricordava come fossero passati i tempi della censura e che i cittadini, grazie alla Costituzione, prendevano parte alla vita politica del paese attraverso rappresentanti da loro scelti, che il popolo aveva il diritto di essere informato dell'at-tività del governo e di come quello svolgeva gli affari pubblici. La domanda che, in forma retorica, poneva il difensore era: "puô dunque casti-garsi un Cittadino, il quale manifesta la sua opinione su le pubbliche cose, lodando, o biasimando i ministri del Potere Esecutivo, o del Giudiziario, approvando o disap-provando la condotta del Governo verso l'estere Potenze, o annunziando i vantaggi, o gli svantaggi di un'Alleanza, o argomentando la loro buona, o cattiva intenzione?". La risposta negativa era scontata. Quel cittadino non poteva essere arrestato e imprigionato perché il suo comportamento altro non era che il legittimo esercizio di un diritto naturale concretizzatosi nella libertà di stampa. E, citando il giornale londinese The Examiner, l'avvocato ribadiva che: "La libertà di Stampa significa certamente un dritto d'investigare la condotta degli uomini pubblici, e di esaminare le pubbliche misure, se la Stampa non gode questo privilegio, non si puo chiamare libera" (Foderà, 1815, 129; The Examiner, n. 203, 17 nov. 1811). Tale libertà era un bene prezioso fruibile nei paesi in cui vigeva una Costituzione liberale, come in Inghilterra. Lord Bentinck non poteva quindi lagnarsi del diritto che aveva permesso al Merlo di scrivere quella lettera. Peraltro, alla luce del dettato costituzionale, lo scritto del giovane deputato siciliano non ricadeva nella categoría dei "libelli famosi". Infatti il § 8 del decreto per la libertà della stampa stabiliva che dovevano intendersi per libelli infamatori quelli "ne' quali si svelano gl'intrighi, ed i secreti scandalosi delle famiglie". Paragrafo, peraltro, non in contrasto con il § 7, nel quale si attribuiva ad ogni "Cittadino il dritto di manifestare la sua opinione tanto su le leggi, quanto su qualunque atto del Potere Esecutivo, e del Potere Giudiziario" (Costituzione del Regno di Sicilia, 1996, 83-84). Appare chiara la distinzione tra affari pubblici e affari privati. Qualunque notizia di natura privata, infamante, che si dava alle stampe costituiva un libello famoso, la pubblicizzazione di un'azione pubblica, per quanto di natura ignominiosa, non lo era. Tale distinzione era stabilita dalla legge, in caso contrario, il diritto attribuito dal § 7 ad ogni cittadino non avrebbe avuto ragione d'essere. Era fuor di dubbio che nel foglio pubblicato dal Merlo non vi era nulla che riguardasse la vita privata di Lord Bentinck. In esso si parlava soltanto delle sue operazioni relative al Parlamento. Il suo ingerirsi nell'Istituzione siciliana poteva essere letto come un delitto? Si poteva sospettare che il plenipotenziario inglese avesse degli interessi particolari per intromettersi nelle attività del Parlamento siciliano e per preoccuparsi di farlo prorogare, sciogliere, e minacciare gli stessi Rap-presentanti dei Comuni, esercitando un'attività che lo stesso Giorgio III non si per-metteva di svolgere sul parlamento inglese. 516 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 Alla luce dei doveri imposti dalla Costituzione, il marchesino Merlo, in qualità di rappresentante della Nazione non poteva restare in silenzio di fronte a quegli abusi: egli era chiamato a proteggere gli interessi della Patria, senza cedere a false lusinghe o alla corruzione. In quanto deputato della Camera dei Comuni egli era indipendente sia dal Governo siciliano, sia da qualunque potenza straniera. Si trattava, sostanzialmente, dello scontro fomentato dai Cronici, "una formida-bile truppa di nemici, che rabbiosi di aver perduto la speranza di dominare il Parlamento, aveano scagliato le più orribili calunnie contro i Rappresentanti de' Comuni dipingendoli come nemici degl'Inglesi, e fautori de' Francesi" (Foderà, 1S15, 1S7) che avevano operato in modo tale da portare al conflitto tra i poteri della Nazione. Il Foderà, nella sua difesa, aveva cercato di dimostrare non solo la mancanza del dolo nella lettera pubblica del suo cliente, ma che il Merlo era stato oggetto di un'evidente ingiustizia. Inoltre, si era impegnato a provare che quello scritto non conteneva giudizi sulla politica del governo e dell'Inghilterra più severi di quelli pubblicati dalla stampa "italiana" e straniera. Il contrasto tra il nuovo che avanzava, impersonato dalla Costituzione, e il vec-chio che non voleva arretrare, identificabile nella mancanza di un codice a supporto delle libertà e delle garanzie enunciate nella stessa Carta, si leggeva chiaramente nelle parole del giurista siciliano che, con amara ironia, sottolineava: "Ma io già sento oppormi, che le mie dottrine sono nuove, io già veggo prepararsi in distruzione della mia difesa un gruppo di rancide idee forensi, e sento oppormisi il Dritto Romano, come la vera fiaccola della ragione, e della giustizia. Signori, io non fuggirô questo esame, l'innocenza del mio Cliente mi rende coraggioso di sottoporlo a qualunque legge, quand'anche fosse quella de' Tiberj, e de' Neroni; Si esamini il dritto comune, si applichi a quanto scrisse il Cittadino Merlo, e voi vedrete risultarlo sempre innocente" (Foderà, 1S15, 147). Sempre nello stesso periodo e per scritti contro l'Inghilterra, forse per una risposta alla stessa lettera del Merlo, veniva processato e condannato anche il Duca d'Angiô. L'ennesimo arresto per un preteso abuso della libertà della stampa, faceva scri-vere ad un poeta anticronico: "Unn 'è sta libertati Di stampa... E comu si cundannunu Gaddu, Li Pomi e Merru?" Un anno dopo, su istanza del Parlamento, in un clima politico diverso, il re avrebbe condonato ai due nobili siciliani la pena. 517 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 NOTE CONCLUSIVE Alla luce di quanto detto, ci si puó domandare se la libertà di stampa abbia avuto reale applicazione in Sicilia o se la sua enunciazione non sia stata poco più che propaganda politica. È vero che il numero delle pubblicazioni a stampa, delle gazzette e dei periodici, in quegli anni era notevolmente aumentato, tuttavia, se si tralasciano i giornali ufficiali e alcuni periodici culturali, poche sono le voci che escono dal coro, come ad esempio il Giornale Patriottico (Aceto, 1969) fondato dal Barone Aceto. Tra l'altro appare abbastanza curiosa la circostanza che in piena vigenza del Decreto sulla libertà di stampa restasse operante la prassi di far esaminare ad un revisore le copie dei libri importati nel Regno per farli giudicare ammissibili o meno. Sotto questa attività di controllo finivano, tra le altre, le opere dell'Alfieri, e un'opera fran-cese "L'Angleterre jugée par elle meme" di Charles-Jean Lafolie, che venivano giu-dicate non ammissibili, e quindi non commercializzabili nell'Isola, "secondo le leggi della Chiesa e della Costituzione, al giudizio ed all'autorità dei Vescovi", nonostante non rientrassero nelle categorie previste dal § 2 del decreto per la libertà di stampa. Dalla documentazione presa in esame, sembra potersi rilevare che la libertà di stampa trovasse in quel frangente degli ostacoli invalicabili nella "ragione politica" (non offendere l'alleata Inghilterra), nella "tradizione cattolico-conservatrice (non contrastare il valore della Chiesa e del clero) e nella difficoltà di realizzare una compiuta codificazione del diritto, limiti con i quali la Sicilia avrebbe dovuto fare i conti ancora per diverso tempo (ASP-RSI, v. 5523, Palermo 19 Novembre 1814, cc. nn. 2). APPENDICE 1 Confessione del marchesino Merlo A 30 ottobre 1813 Il marchesino Don Giuseppe Merlo confessa che la composizione del foglio titolato "Lettera di un Siciliano ad un suo amico" che principia "Finalmente ad onta delle cabale del passato ministro" e finisce "e stia per sicuro che i francesi non ci ver-ranno" è tutta opera sua e sua produzione. Dice che egli istesso la portó allo stampatore Don Vincenzo Li Pomi e gliela fece publicare alle stampe con la data del giorno 21 ottobre 1813, e che per cautela dello stampatore firmó una copia stampata e la lasció al medesimo, il quale s'incaricó di farlo sottoscrivere da due testimoni. Marchesino Giuseppe Merlo (BCP, Ms. 2Qq.G.107, n. 5, "Carte contro il Marchesino don Giuseppe Merlo autore di un libello intitolato"Lettera di un siciliano ad un suo amico"). 518 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 APPENDICE 2 Testimonianza dello stampatore Vincenzo Li Pomi A di trenta ottobre 1813 Don Vincenzo Li Pomi stampatore palermitano costituito alla presenza dell'il-lustre Presidente onorario Cavaliere Pasqualino, Avvocato Fiscale del Tribunale della Regia Gran Corte spontaneamente e con giuramento prestato nelle mani di me infrascritto attestante ha confessato e confessa che verso li 18, o 19 del cadente mese di ottobre si recó nella sua stamperia il marchesino Merlo figlio del marchese Merlo, il quale portó in manoscritto una Lettera di un Siciliano ad un suo amico che principia cosi "Finalmente, ad onta delle cabale del passato ministro" e finisce cosi "e sia per sicuro che i francesi non ci verranno" e volle che esso confitente lo avesse stampato nella sua stamperia. Allora esso confitente fece tirare nella sua stamperia il foglio suddetto al numero di quattrocento copie circa, e perché l'originale manoscritto era in diversi pezzi di carta, esso confitente fece firmare dal detto marchesino Merlo una delle copie stampate alla presenza delli due testimoni Don Luigi Montalto e Don Ignazio Sanfilippo che accidentalmente si trovarono in detta stamperia, e si firmarono come testimoni nel medesimo foglio in stampa, e poi esso confitente lo publicó colla data de' 21 ottobre 1813. Quale copia in stampa, firmata dal detto marchesino Merlo e dalli cennati due testimoni Montalto e Sanfilippo, restó in potere del confitente per sua cautela: anzi, si rammenta il confitente d'avere trattenuta la detta publicazione per alcuni giorni perché gli sembrava cosa da non farsi, ed avendone avvertito il detto Marchesino Merlo di astenersi a farla publicare e perché quello persisté fermo nel suo proposito gli consegnó la copia e la publicó, Vincenzo Li Pomi (BCP, Ms. 2Qq.G.107, n. 5, "Carte contro il Marchesino don Giuseppe Merlo autore di un libello intitolato"Lettera di un siciliano ad un suo amico"). 519 Patrizia DE SALVO: "SARÀ DELITTO IL PUBBLICARE SCRITTI DI QUALUNQUE SORTA ..., 505-522 "KAZNIVO JE OBJAVLJATI KAKRŠNEKOLI SPISE ..., KI VSEBUJEJO SRAMOTILNE PAMFLETE": PROCES ZA KRŠITVE SVOBODE TISKA V USTAVNI MONARHIJI SICILIJI (1810-1815) Patrizia DE SALVO Univerza v Messini, Oddelek za evropske in mediteranske študije, Piazza XX Settembre 4, 98122 Messina, Italija e-mail: pdesalvo@unime.it POVZETEK V času živahnega ustavnega obdobja na Siciliji (med letoma 1810 in 1815) je posebno veljavo pridobila svoboda tiska, razglašena z ustavnim odlokom, ki je v prvem členu zagotavljal: "Vsakdo lahko tiska in objavlja svoje ideje, ne da bi za to potreboval dovoljenje, ter brez dolžnosti, da jih podvrže predhodnemu nadzoru." Kakor v drugih aktih iz 19. stoletja pa so tudi v tem primeru kaznive zlorabe. Leta 1813 je bil na zahtevo javnega tožilstva sprožen proces proti sinu markiza Merla, poslancu v parlamentu, kije bil na Velikem sodišču obtožen, da je napisal znameniti pamflet proti lordu Williamu Bentincku, ministru britanske krone, in obsojen na zaporno kazen. Ta dogodek, povezan s procesom, pa ne izpričuje le težavnega določanja obsega (in torej omejitev) nekega temeljnega prava, ampak tudi težavnost zagotavljanja učinkovitega nadzora. Ključne besede: svoboda tiska, proces, mladi markiz Merlo, ustava, kodeks, Anglija, Bentinck FONTI E BIBLIOGRAFIA ASP-RS - Archivio di Stato di Palermo (ASP), f. Real Segreteria. ASP-RSI - ASP, f. Real Segreteria Incartamenti. BCP - Biblioteca Comunale di Palermo (BCP). Costituzione del Regno di Sicilia (1996): Costituzione del Regno di Sicilia. Ri-stampa anastatica. Messina, presso l'Accademia. Crónica di Sicilia (1813): Cronica di Sicilia. 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