ANNO XVI. Capodistria, 16 Luglio 1882. IN. 14. LÀ DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonaménti si ricevono presso la Redazione. GIAN'PAOLO march. POLESINI Il marchese Gian' Paolo Polesini è morto la notte del 13 corr. in Parenzo. Questa dolorosa notizia corse rapida per tutta l'Istria, e non vi è cuore di patriota che non si senta commosso ; non vi è ciglio che non sia inumidito. Egli lascia molta eredità di affetti! — Dolore per tutti — sventura per 1" Istria ! Amò la patria con vero e ardente affetto, ispiratogli fin da giovinetto da queir ottimo ed illustre italiano. Francesco dall'Ongaro, che fu silo precettore; ed a questo nobilissimo affetto edìcò lo svegliato ingegno, il cuore generoso, a soda coltura ed il largo censo durante 1' intera sua vita.' ahi troppo presto rapita ! — Fino quasi agli ultimi istanti, quando gì' indicibili tormenti ella terribile malattia, che da lungo tempo lo ravagliava, avrebbe ridotto mutoli anche i più 'orti, egli si trascinava, con grande affanno degli amici, ad occupare il suo seggio di presidente eli' Istituto di credito fondiario, e con mente sempre limpidissima, col fare scherzoso che gli era abituale, dirigeva con meritata autorità lavori di queir importante istituzione, e fu 'ultimo dei moltissimi uffizi pubblici che rese alla patria. — Non vi era avvenimento di qualche importanza, successo nella nostra provincia da circa quaraut'anni, del quale non abbia avuta livissima parte :. in tempi difficili egli si è trovato a capo di pochi patrioti a sostenere e-:"'- fili : : ijid'Htf v W ; hi 1 ' Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. davanti alle insidie dei nemici In, lotta per l'onore dell' Istria, eh' egli sempre strenuamente difese. Coprì successivamente, e sempre costretto da preciso dovere. — mai per vane ambizioni. — le piti alte cariche, e se ne allontanò lieto, subito che gli sembrava poter qualche altro sostituirlo , non cessando mai in tutti i modi di prendere importantissima parto ad ogni questione relativa alle nostra provincia. Conosceva tutti i patrioti d'ogni città, di ogni borgata della 'provincia, ed aveva saputo ispirare a tutti quella piena confidenza, che riSplende'Va dalle onèste intenzioni della sua operosità, sempre rivolta al vantaggio comune, sempre spoglia di ogni interesse personale. Quante volte, e le sue parole e le sue lettere, ora serie, ora facete, impedirono a tempo gravi dispiaceri e lotte fraterne ! Davanti a Ini ognuno deponeva le ire, e perciò la sua morte è una grande sventura per l'Istria. Dato sfogo a questo primo necessario scoppio di dolore per tanta jattura. accorriamo a Parenzo a rendere gli ultimi tributi d'onore alla stia memoria. a Parenzo. dove saranno raccolti tutti i patrioti dell' Istria, e riserbiamo ad altra volta, con animo più calmo, lo scrivere della parte ch'ebbe questo illustre nell'ultimo periodo avventuroso d^lla storia della nostra provincia, tìové lascia un notile, che sarà ricòfdato con affato riconoscente. e imperituro. ,ooMi6ioq oiq ilaivp ob^itoH g oupaube ojnAuto'jsA (fapoèkttfopt4 • ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo. *) 1233. — Moccò 25 ottobre. — Leonardo vescovo eletto di Trieste, conferma al capitolo del duomo la donazione delle decime fattagli dal vescovo Corrado. Tra' testimoni figura il gastaldione di Trieste, Mauro. Pergam. dell' Arch. cap. triest., — Cod. Dipi. Ist.,— e Arch. Tr. — V, p. 374. — Il Capell. Le Ch. d'It. — To. VIII, p. 690 dice, erroneamente li 9 ottobre, nomina il vesc. Leonardo o Vernardo de Cucagna; errano Main. Croniche pure di Trieste. — To. I, p. 172 e lo Scussa. Sto. Cronogr, — Pag. 59 dicendo li 7 ottobre. La Società agraria La società agraria è couvocata per il giorno 26 corr. in Rovigno a decidere delle sue sorti ; avvegnaché sia indubitato che dalle risoluzioni dei soci dipenderà l'esistenza di questa sola associazione provinciale. Ripetere oggi quanto si è detto intorno alla vita sociale decorsa, sarebbe ozioso; ricavarne pronostici per l'avvenire a danno dell' istituzione, sarebbe colpevole uffizio; siccome quello che dimostrerebbe sfiducia più che nella natura dell'istituzione, nel patriottismo dei comprovinciali. A questi crediamo sia necessario rivolgersi, pregandoli di recarsi a Rovigno con lo scopo supremo di impedire a qualunque costo lo scioglimento della società. Si metta adunque oggi da parte ogni risentimento, anche giusto, si chiudano magari gii occhi davanti le ostinate, quanto meschine idee di quelli che vedono la patria all' ombra del proprio campanile, e sia conservata a qualunque costo questa società provinciale, la sola società indipendente, che lega ogni elemento civile dell'Istria. Il progetto di legge pei consorzi agrari distrettuali e provinciali, testé presentato dall' i. r. Governo sarà con tutta probabilità accolto dalla Dieta provinciale. Non intendiamo metterne in dubbio la pratica utilità; ma non possiamo nascondere la contrarietà che sentiamo per la intromissione soverchia delle i. r. autorità governative in seno a quei consorzi; — intromissione, che basterebbe a togliere quello slancio d'iniziativa, che bisogna lasciare senza ostacoli ai cittadini in ogni questione industriale, a costo di vederne in qualunque modo scemato il risultato. L'istituzione di questi consorzi non potrà mai sostituire l'azione di uua società provinciale come la nostra agraria, anche per ciò che riguarda i molti altri interessi civili, che la possidenza istriana è in obbligo di difendere, e dei quali speriamo sia compraso ognuno. Accorriamo adunque a Rovigno quanti più po«siamo, e sia precipuo nostro scopo il mantenere in vita la società agraria istriana. Scuola agraria provinciale Finalmente sarà soddisfatto ad uno dei più reclamati bisogni per lo sviluppo dell' industria agraria nella nostra provincia, coll'istituzione di una scuola teorico-pratica di enologia e frutticoltura, annessa alla stazione sperimentale in Parenzo. E fatale che le buone idee, anche provate nel campo pratico con ripetuti esempi, come questa dell' istituzione delle scuole agrarie, trovino spesso, là dove invece dovrebbero mostrarsi gli appoggi, insuperabili ostacoli, che ne ritardino l'applicazione ed i vantaggi sicuri al paese. E noi non facciamo questa riflessione, che ci corre spontanea alla mente, per vano lamento ; ma perchè in avvenire si ricordi e si tragga profitto dal fatto del quale scriviamo, colla fede che gli esempi giovino. Fino dal 1863 la Dieta provinciale accolse con molta soddisfazione la proposta di organizzare due scuole agrarie da aggiungersi ai ginnasi di Capodistria e di Pisino ; e la Giunta provinciale incaricata delle pratiche necessarie, domandava tosto l'appoggio della Luogotenenza, la quale non trovò opportuno di aggregare l'insegnamento agrario j al ginnasiale, e negò com' era da attendersi ogni j concorrenza di spesa. La Giunta allora si rivolse in ! quei tempi, alle due città di Capodistria e di Pisino,1 ; dove il progetto di scuola agraria fu accolto con vivo l interessamento; ma Pisino non potè offrire nè ; denari nè locali dei quali mancava; Capodistria più fortunata presentò una formale proposta per l'istituzione della scuola agraria provinciale, in seguito ad accordo ottenuto fra il Municipio ed il Pio Istituto Grisoni; — F applicazione del i progetto non dimandava che una spesa annua di | fior. 1300 da parte del fondo provinciale. Senonchè la Dieta provinciale, di buona memoria, | nella sessione del 1865, respinse il progetto e ; neppur volle che si prendesse impegno per un triennio di prova. È doloroso il ricordarlo! Non si parlò più di scuola agraria, fino a che nella sessione dietale del 1871, la Giunta, in seguito al voto espresso nel Congresso della Società agraria dell' anno avanti, presentava un progetto di scuola agraria provinciale elaborato, con molta larghezza di vedute, e che fu accolto assai favorevolmente dalla Dieta. Abbiamo creduto allora che il desiderio di tanti anni fosse finalmente raggiunto. Era stabilito che la scuola dovesse avere la sede presso Capodistria ; il podere era trovato e corrispondeva a tutte le esigenze; e se li' era fatta la scelta del direttore nella persona (lei sig. Cav. G. Ricca Rosellini. distintissimo agronomo, allievo della rinomata Scuola di Pisa diretta dall'illustre Cuppari; tutto insomma era pronto e parevano a nclie vinte le opposizioni che si temevano o-stare in provincia all'annunziato progetto. Ma anche questa volta avevamo fatto il conto senza l'oste; ed un decreto dell'eccelso I. R. Ministero dell'Agricoltura ha spezzata ogni nostra speranza, col rifiuto assoluto di approvare la nomina del direttore, perchè non era suddito austriaco e non conosceva le lingue tedesca e slava. Lo stesso i. r. Ministero propose allora il sussidio promesso per la scuola agraria, di destinarlo invece per la istituzione di una stazione eno-pomologica ; e la Dieta nella seduta del 5 settembre 1874. visto che era vana la lotta contro le massime prese dall' I. B. Governo per la scelta del personale necessario alla scuola, considerato d'altronde che urgeva affidare ad una istituzione scientifica lo studio di importanti quesiti relativi all' industria agraria in provincia, accolse la proposta governativa, mantenuto intatto il progetto per l'istituzione di una scuola agraria, come venne deliberata nella sessione del 1871. la cui fondazione veniva rimessa ad altro tempo. Ed ecco che la desiderata scuola si fa, e si fa in Parenzo dove la stazione enopomologica può fornire e personale distinto e mezzi d' istruzione. Come ci annuncia VIstria, che lo sa da fonte attendibile, il direttore neonominato della stazione e quindi della Scuola sarà il signor Carlo Hugues, giovane oramai noto in tutta Italia per i suoi lavori scientifici, e per le applicazioni pratiche di a-gricoltura. Nè la stazione di Parenzo e la scuola saranno private dell'opera egregia del signor Riccardo Callegari, il quale non s'è potuto mantenere al posto, che con tanta valentia disimpegnava, unicamente perchè l'i. r. governo mosso da incomprensibili apprensioni, non vuole che neppure in via provvisoria vi sia mantenuto un direttore che non abbia la sudditanza austriaca. lt Istria annunzia ancora, che la stazione verrà trasformata sopra larga base anche nel senso, che i suoi benefici effetti saranno meglio sentiti in ogni parte della provincia. CORRISPONDENZE Isola, 13 luglio Tempo fa si parlò tanto nel vostro periodico del capodistriano Gian Rinaldo Carli da cacciare perfino nel cuore di qualcuno lo scetticismo sul suo vero merito e sulla sua fama indubbiamente europea. Tant' è vero, che battere sempre sullo stesso incudine si finisce collo spezzarlo. Ma io non mi farò paladino degli eccellenti meriti del nostro grande economista, storico, archeologo ; recherò semplicemente un giudizio di altro uomo, il cui nome bisogna nominare „ colle ginocchia . . . inchine." Voglio dire di Alessandro Manzoni, che non isdegnò Lui pure tra gl'italiani, dopo Leopardi, citare ne' suoi scritti il nostro Gian Rinaldo Carli. La citazione è riportata or' ora dall'illustre Cesare Cantù nell'interessantissimo suo libro Alessandro Manzoni — Reminiscenze di C. C. voi. I. Milano ; fratelli Treves, editori. 1882 ; e precisamente nella pagina 120 del capitolo Y, intitolato il Dramma. Alessandro Manzoni pone fra i grandi pensatori italiani il nostro istriano, e ve lo pone nella illustre plejade di Beccaria. Filaligeri, Galiani, Ricci e Verri. Ma per non defraudare quel lettore, cui non venissero tra mani le Reminiscenze del Cantù, recherò qui testualmente il brano del giudizio manzoniano :... „ Alfieri.... protesta non essere cittadino che del mondo. Quando tutti i pensatori, Beccaria, Filandri. Galiani. Ricci, Verri, Carli cercavano ottenere il bene dai re, ch'erano tanto disposti a concederlo, egli non facea che maledirli : loro unico dono il non tor nulla." E poiché sono venuto a insigni citazioni, mi ricordo di aver letto tempo fa le Lettere e scritti inediti di Pietro e di Alessandro Verri, annotati e pubblicati dal Dottor Carlo Casati. Anche in questa raccolta di Lettere, tanto censurata dal Cantù in una nota a pag. 69 delle Reminiscenze, perchè ritrae troppo al nudo la vita intima di que' celebri fratelli : anche in questa raccolta, dico, si parla molto, e con onore, del nostro istriano. È specialmente notevole la lettera XIX del conte Pietro Verri, datata da Capo d' Istria (sic) 27 settembre 1760, notevole e perchè discorre a lungo del Carli e perchè ci dà ragguagli curiosi intorno alla vostra città. Mi si permetterà quindi di trascriverla anche per non defraudare chi ancora non l'avesse potuta leggere. Avverto prima, che il Verri reduce da Vienna si recò a Capodistria appositamente per istringere la mano al suo buon amico il conte Carli ; cosi ei lo chiama nella chiusa della lettera XVIII. Ecco ora la lettera XIX colle note del compilatore : La sera del ventuno partii da Vienna. Viaggiai la notte con un freddo assai sensibile. La sera del dodici fui a Graz, indi riposai il ventiquattro il Liiijj.iii.ii, e jcu gitili,si uà IVieste a questo udo. Souo dal mio conte Carli, mio amico da sei anni, egli è sempre stato in carteggio con me durante la mia dimora in Vienna. La nostra amicizia incominciò all'occasione di una piccola battaglinola letteraria cbe ebbi coli'abate Chiari nel 1755, prese il mio partito e femmo insieme i frammenti, che poi si stamparono a Lugano.1) Mi affezionai a quest'uomo, colto, decente, di cuore, fui in carteggio con lui, e mentr' era in Toscana, e dopo il suo ritorno in patria dove lo vedo che ha degli amici, ma vive assai ristretto n il paese stesso lo porta. Sono stato invitato a un pranzo veneziano dell' eccellentissimo signor Gritti, aveva una bottiglia di Cipro che m'ha fatta rimarcare, e dopo tavola mi mostrò una valdrappa ornata di cannucce di vetro in prova di sua magnificenza. Per un galantuomo che viene dallo sposalizio di Vienna non è da sorprenderlo. Mi vogliono accettare nella loro Accademia questi signori, che si chiamano Risorti, forse vi reciterò qualche cattivo verso anch'io. Col mio Carli ragioniamo di politica alla disperata. Egli vorrebbe uscire dalla servitù veneziana e dalle strettezze nelle quali si trova ; sua moglie, inquieta, non gli lascia riposo. Andiamo sperando un avvenire ; ma mi spiace di piombare a casa nel tempo in cui il signor conte di Firmian è tuttora a Vienna ; conosco l'umore de' miei di casa, e dopo du'e anni di vita libera e decente, è cosa dura ritornare figlio di famiglia, senza soldo, esposto ai rimproveri dello speso, e a qualche amarezza sulla disoccupazione attuale. Non mi voglio anticipare i mali. , Questo paese è ameno, anche in questa stagione vi sono li ulivi, l'aria è dolce; varie collinette circondano il mare. I comandanti veneziani souo sommamente rispettati, e portano le calze rosse, il che mi si dice essere una distinzione che usano oltre mare, Saprete le avventure del conte Carli. Povero ed avvenente giovine, ottenne per protezione una cattedra in Padova, e per collocarlo ne eressero una di nautica. Viveva col poco stipendio, quando una figlia, erede d'un negozio importante, la signora RubbiJ), lo vide e se ne innamorò. Ricusò gentiluomini veneziani e prescelse Carli. Questi abbandonò la lettura, la sposò, n'ebbe un figlio, la perdè, rimase tutore del figlio, amministratore d'un patrimonio. Ritratti, busti, incisioni in rame ') Frammenti morali, scientifici, eruditi e poetici del signor ab. Pietro Chiari ecc. 2) Paolina Rubbi di Venezia, donzella fregiata delle più amabili e pregevoli qualità. Frutto di questa unione fu il conte commendatore Agostino Carli-Kubbi. della sposa, scriverne e stamparne la vita, confinarsi a una vita solitaria furono le occupazioni del vedovo sposo. Si riseppe dal marchese abate Nicolini in Toscana lo straordinario dolore di questo vedovo ; la marchesa di San Martini, anch' essa vedova, nata Lanfranchi '), nobilissima, poverissima e galante, concepì il progetto di consolare il conte Carli. A lui fu diretta dal marchese Nicolini come una dama che passava in Germania alla Corte d'una principessa. Dovette il conte Carli pensare ad un alloggio, lo dispose fuori di sua casa in Venezia, ve la collocò ; la marchesa si ìagnò dell'allogio, fu forza esibirle casa propria; questo appunto ella voleva, e vi si pose. Tutte le arti furono messe in moto sino ad una supposta gravissima malattia. L'ospitalità voleva ch'egli usasse tutta 1' assistenza al letto della bella ammalata, e la natura del cuore umano portò che dal dolore passò al desiderio d'occuparsi d'una passione che lo distrasse, e quindi gradatamente la sposò. Fatto il colpo, l'ambizione della nuova contessa volle che il marito avesse in petto una croce, e sborsò un capitale in Torino per farsi commendatore dei Santi Maurizio e Lazzaro. Poi non figurando a Venezia, lo determinò a venire a Milano, ove cercò sotto il conte Cristiani un impiego nella zecca ovvero nel censo. Svanite le speranze, si portò in Toscana, sollecitato dal signor conte di Richecourt, ma la morte di quel ministro accaduta verso la fine del 1766, ruppe nuovamente i suoi fili, onde si ritirò in patria dopo avere spese delle somme di considerazione nel mantenersi prima a Torino solo, poi colla moglie, e a Milano e in Toscana. La vita di questo galantuomo è, come vedete, alquanto strana; egli ha stampato I di greco, di cronologia, di teatro, d'erudizione e | di monete singolarmente quattro tomi ; ma il suo ! carattere meriterebbe un destino ancora migliore ! di quello che potrebbero fargli sperare i suoi ! scritti, lo penso ai primi giorni dell'anno di partire per Venezia, venirmene a Milano. Frattanto prendo molto caffè. Parlo assai di speranze e di timori. Vi abbraccio. k Terme di Monfalcone E qui non possiamo fare a meno di dare qualche notizia intorno al Timavo, nel quale alcuni archeologi trovano il Timavo di Virgilio (Gleogr. I, g. 8); malgrado la notevole mancanza delle ora novem, e delle sette scaturigini. Non 'i A.WK Maria I.<.l;.;,ìhÌ;ì vedovi. Sajnin&rtini, dama sejiese di inolio trip e talènto, efie gli jù compagna sino ai 1772. y Continuazione ,- vedi i n. t>-10. può essere il Timavo di Lucano (Vili, 6), il quale raffigura un àugure assiso sopra i colli Euganei di Padova, dove il torrente Antenore fu disperso in diversi canali. Lucano deve perciò alludere al Tilavento, al Brenta, al Bacchiglione od anche al Po. Ma Plinio (II, 18), che sta fra i due ultimi in ordine di tempo, pone il Timavo nella regione della Carnia, la quale parola è un congenito di Car-so, simile a Car-niola, a Car-intia, perciò senza 1' ajuto del Timavus, il Timavo, nome applicato solamente al letto più basso, è una delle diverse maraviglie del ' arso. Esso è un modello di fiume sotterraneo, che ricorda il classico Alfeo, lo Stymfalo, e l'inglese di Spenser „Mole, that like a nousling mole doth inake His way stil underground till Thames he overtake" soltanto che i gorghi di questa Mole misurano tre miglia invece di trenta. La sorgente del Timavo è nella foresta del Dletvo, sul fronte nord-ovest del monte Trstnik (canneto*), vertebra importante della Vena, che separa la penisola istriana dalla terraferma. Il fiume superiore, chiamato Recca o ruscelletto, scorre sopra un' estensione di acqua bassa in una valle patente e si dirige da nord a nord-ovest. Dopo di aver percorso 3.79 chilometri fino al villaggio di San Oanziano, ove è alto 316.6 metri sopra il livello del mare, l'acqua precipita verso un muro perpendicolare di pietra calcare, lo trafora, sparisce, e secondo Strabone precipita nel vuoto. Per un crepaccio o piuttosto per una serie di piccole fessure s'infiltra nel calcare fino al villaggio di Trebich, distante 10.4 chilometri di S. C/anziano, e giunge al Kathavothron, 900 piedi sotterra. Molti sono discesi la serpentina (zig-zag); ma in oggi più non esistono le scale. Sotto il villaggio di Opcina il gorgoglio dell'acquane' tempi piovosi si può udire fino ad una profondità di mille piedi. Finalmente dopo 18.96 chilometri dal villaggio di Trebich, il fiume imprigionato risaluta il giorno ; e così l'intera sua luugezza è di 67.26 chilometri diretti, dei quali 29 sono sotterranei. In Strabone, ìa lungezza del Timavo è di 130 stadi (furlongs). (Contigua). Una Cronaca di Rovigno de! secolo 18.° a dì 7 d.° — Capitarono da Trieste due sciabecchi, due lancie cannoniere ed un bri- *) Così chiamato perehè non ha canne, e, da quanto pare, ncn ne ebbe mai. gantino, ed andarono in Vestre. Il sciabecco francese salpò e si gettò in mare, e fu inseguito dai sciabecchi Imperiali. La lancia cannoniera andò sopra le prede armisate, e s'impossessò. Quattro dei sette francesi ch'erano in custodia della preda saltarono alla terra, e si salvarono. Avvisati di tal notizia in Rovigno, si spedirono de' soldati di cemide per ritrovarli, e per liberar dalla contumacia la Provincia. Furono ritrovati e fra questi quattro vi era il suddetto Ferrarese ; furono chiusi nella chiesa della Trinità; indi costituiti, e rimasero ivi tutta la nytte. (Continua) Appunti bibliografici Epistolario di Alessandro Manzoni, raccolto ed annotato da Giovanni Sforza. Volume primo. Milano. Carrara. 1882. Lungamente atteso è uscito il primo volume dell' epistolario del Manzoni. L'editore ci avverte ; che tante e così insistenti essendo state le ricerche che gli venivano d' ogni parte, specie dai più diffusi ed autorevoli giornali — la Cul-tura dell' onorevole Bonghi, e la Domenica Letteraria dell' onorevole Martini, ha dovuto risolversi a dar fuori il primo volarne già composto da un pezzo, mentre si affretta la stampa dell'altro. La ^Provincia dell'Istria" si affretta da parte sua a dare l'annunzio e l'esame del libro, certa così di rispondere al desiderio dei moltissimi ammiratori del grande scrittore anche in questi ultimi lidi dell' Adria, dove motus in fine velocior. E non è già un libro solo pei letterati di professione ; ma di amena a svariata lettura per tutte le colte persone ; e ciò perchè il Manzoni fu lo scrittore più popolare del nostro secolo, ed anche pel genere del libro stesso. Neil' epistolario infatti noi vediamo passarci dinanzi gli avvenimenti più vari ; assistiamo al processo intimo e allo svolgimento delle idee; scorgiamo come da piccolo principio, mano mano, maturando gli studi e i propositi, siano poi giunti fino alla completa maturità i frutti dell'ingegno ; e così da un cenno, da una circostanza, a prima vista inconcludente, si riceve lume per ben intendere il fine ultimo d'un opera o qualche passo controverso ed oscuro. C' è. poi quell' altra circostanza del desiderio, della smania, che, dotti od indotti, abbiamo tutti di sapere quale sia stata la vita intima dei grandi che eccitano la nosr.ra ammirazione. Se anche la loro vita fu umile, se schivi di comparire in pubblico (e tale è il caso del Manzoni); pure innalzandosi essi coi loro scritti e con le opere sopra gli altri, fanno nascere negli altri il desiderio di sapere come abbiano mangiato, bevuto, dormito e vestito panni, se non altro pel segreto gusto di vederli da quelle altezze tirati giù fino al comune livello. C' è poi una letteratura spigolistra e pettegola, che ci trova un grande gusto a tirare giù dai piedestalli le statue dei grandi per spogliarli del classico manto, e mostrarceli in maniche di camicia e peggio; e 1' epistolario sarà sempre il mezzo migliore per appagare queste voglie del rispettabile pubblico e dell' inclito battaglione dei critici. M' affretto a dichiarare che anche un tal genere di critica può recare un qualche vantaggio alle lettere. Esaminiamo adunque sotto due aspetti l'epistolario. In primo luogo queste lettere rivelano l'uomo, il carattere e l'olimpica, invidiabile serenità, proveniente dalle incrollabili credenze; e forniscono una prova chiara, irrefragabile della sincera conversione del Manzoni al cattolicismo. È un argomento del massimo interesse oggi; perchè, non è molto, l'infaticabile De Gubernatis stampò un libro per provare che nei primi tempi, dopo la conversione, il Manzoni trovavasi sempre in uno stato d'animo perplesso, e che nello scrivere gì' inni sacri il suo entusiasmo era più artistico e letterario che dommatico per le verità del Cattolicismo; e tutto questo ragionamento è fondato su quattro lettere scritte dal Manzoni al prete Degola; lettere che vengono secondo le sue particolari vedute esaminate dal De Gubernatis medesimo. A lui rispose il Bonghi testé nel „Fan- j fulla" della domenica N. 23, 4 giugno, prima ancora di vedere l'Epistolario; non ancora uscito alla luce. Il Bonghi confuta vittoriosamente gli argomenti in contrario. Che se questi non bastassero a chi cerca il pelo nell'uovo, ecco qui altre dodici lettere del Manzoni al Tosi, che stanno fra le prime e 1' ultima al Degola, e di- j struggono ab imis fundamentis tutto 1' edificio j del professore De Gubernatis. Non c' è più al- ! cun dubbio. Convertito, — convertito davvero! I Conviene proprio rassegnarsi a intendere il Manzoni quale fu realmente, non quale piacerebbe | oggi a molti fosse stato, secondo quel tal modo ' di vedere e di sentire che è proprio del tempo, j Prima di tutto fermiamo ben nella mente ; il fatto che il Manzoni fino dal 15 Febbrajo del- ! l'anno 1810, ottenuta la dispensa della disparità 1 I di culto, avea fatto benedire a Parigi il suo matrimonio con Enrichetta Blondel, prima protestante, secondo i riti della chiesa cattolica e che, scrivendo all'abbate Gaetano Giudici 29 Giugno 1810, dichiara l'atto della conversione di Enrichetta non solo innocentissimo e giusto ; ma ottimo (Epist. pag. 94). È già qualche cosa. Ed ora veniamo alle lettere al Tosi. Nella prima senza data, ma scritta probabilmente nell' anno 1813, il Manzoni ringrazia il Tosi di avergli j data occasione di esercitare un'opera pia, forse | un' elemosina, e con quel tacer pudico che rende accetto il dono. E aggiunge: „Io intauto ringrazio vivamente il Signore, che ci ha offerto questo fortunato mezzo di propiziazione per noi peccatori, e ringrazio pure di cuore la carità di Lei del cui santo ministero Dio si vale per tutto quel bene che io possa fare. Dico senza esitare questa parola, perchè malgrado la mia profonda indegnità, sento quanto possa in me operare la onnipotenza della divina grazia," (pag. 127). Non sono già parole queste di un neofito instabile: tutti i padri della chiesa ci potrebbero mettere sotto la firma. Tali sentimenti esprime pure il Manzoni per bocca dell'arcivescovo Borromeo dopo la famosa conversione dell' innominato. Salto a piò pari altre tre lettere di privato interesse, e vengo a quella del dicembre 1819. Stupenda lettera ! ! Al Manzoni cattolico, ma non gesuita e partigiano, dispiace che i Gesuiti abbiano ottanta case in Francia, e aggiunge: Il dolore che un cattolico prova a vedere, che il rispetto alla religione diminuisce di giorno in giorno in una parte così gloriosa e importante della Chiesa, è tanto più amaro, in quanto che le circostanze potevano fare sperare, che la religione dovesse qui godere non solo di una profonda pace, ma anche aumentare le sue conquiste. ..........Ma malgrado degli sforzi di alcuni buoni ed illuminati cattolici, per separare la religione dagl' interessi e dalle passioni del secolo ; malgrado le disposizioni di molti increduli stessi „a riconoscere questa separazione, e a lasciare la religione almeno in pace; sembra che prevalgano gli sforzi di altri, che vogliono assolutamente tenerla unita ad articoli di fede politica che essi hanno aggiunto al Simbolo". (Pag. 168). Torna alla carica al sette aprile 1810, ripete gli stessi argomenti, e deplora „la cattedra evangelica convertita spesso in tribuna politica; le lettere pastorali divenute spesso pam-phlets politici (e che pamphletsì); 1' essenza del cristianesimo, 1' amor di Dio e del prossimo, l'an- negazione, l'indulgenza, il perdono, divenute cose I secondarie; le grandi massime dimenticate, 1' i- | gnoranza crescente, e il pelagianismo trionfante", (pag. 181). E male intenderebbe il Manzoni chi da queste ed altre sentenze ne volesse inferire che 1' autore non era ancora fervente cattolico. Se tale non fosse stato, le piaghe del cattolicisino non gli avrebbero fatto nè freddo nè caldo. Qui ì! Manzoni, accorda la sua libera voce a quella di San Pietro Damiani, di San Bernardo, di Santa Oatterina da Siena, del Rosmini e di moltissimi altri. Nella lettera del 15 settembre 1823 si congratula con 1' amico divenuto vescovo di Pavia, e si raccomanda alle sue orazioni (pag. | 275) con parole di profonda umiltà. Lo stesso dicasi delle seguenti del febbrajo e del maggio 1824. Il 10 luglio dello stesso anno, l'amico poeta scriveva all'amico vescovo una lettera che è un capolavoro, un modello di umorismo manzoniano, e che dovrà quindi innanzi entrare in tutte le antologie, se ne faranno di nuove. Ed ora è chiaro come il Manzoni immaginando il cardinale Federico, pensasse al modello vivente: il vescovo Tosi. Ma la lettera che taglia, come si dice la testa al toro, e tronca ogni questione è quella diretta alla contessa Diodata Saluzzo - Boero, l'autrice del poema — BIpazia\ È del 1828. Si dirà che la data è un po' vecchia, perchè il Manzoni ha scritto gl'Inni sacri tra il 1812 e il 1815, e che nel 28, cessati tutti i suoi dubbi, egli era fervente I cattolico,. Io però la cito qui non per provare la I conversione (questa è già fuori d'ogni dubbio, come i abbiamo veduto nelle lettere al Tosi tra il 1813 e il 1824) ma per ispiegare alcune frasi delle lettere dirette al Degola ed al Tosi, frasi che fecero j nascere appunto qualche dubbio in alcuno. La Diodata Saluzzo avea scritto ad Alessandro Manzoni che il famoso abbate de la Mennais, avea detto di lui: il est religieux et catholique jusqu' au forni de V àme. E il Manzoni rispose — »Egli è vero che 1' evidenza della religione cattolica riempie e domina il mio intelletto; io la vedo a capo e in fine di tutte le questioni morali; per tutto dove è invocata, per tutto donde è esclusa. Le verità stesse, che pur si trovano senza la sua scorta, non mi sembrano intere, fondate, inconcusse, se non quando sono ricondotte ad essa, ed appajono quel che sono, conseguenze della sua dottrina. Un tale convincimento dee trasparire naturalmente da tutti i miei scritti, se non fosse altro, perciocché, scrivendo, si vorrebbe esser forti, e una tale forza non si trova che nella propria persuasione. Ma 1' espressione sincera di questa può, nel mio caso, indurre un' idea pur troppo falsa, l'idea d'una fede custodita sempre con amore e in cui 1' aumento sia un premio di una continua riconoscenza ; mentre invece questa fede 10 l'ho altre volte ripudiata e contraddetta col pensiero, coi discorsi, colla condotta ; e dappoiché, per un eccesso di misericordia, mi fu restituita, troppo ci manca che essa animi i miei sentimenti e governi la mia vita, come soggioga il mio raziocinio. E non vorrei avere a confessare di non sentirla mai così vivamente, come quando si tratta di cavarne delle frasi ; ma almeno non ho 11 proposito d'ingannare : e col dubbio d'aver potuto anche involontariamente dar di me un concetto non giusto, mi nasce un timore cristiano d'essere stato ipocrita, e un timore mondano di comparire tale agli occhi di chi mi conosce meglio." (pag. 363). Hanno capito il latino ? L'unico rimprovero, che il poeta fa a sè stesso, si è di avere un giorno ripudiata la fede; e questo pensiero lo riempie di cristiana umiltà, e gli fa dichiarare che troppo ancora gli manca perchè la fede governi i sentimenti e la vita, come soggioga il suo raziocinio. E per amor del cielo non mi vengano ad arzigogolare e a giuocare di alzate d'ingegno queste parole. In fondo sono chiarissime, e vogliono dire : Io credo, fermamente credo ; ma per la debolezza mia non sempre le opere rispondono alla fede. E qual è quell' uomo da San Paolo, fino al Labrè canonizzato da Papa Leone che possa vantarsi di aver sempre cou le opere corrisposto alla purezza della sua fede? Ma quando si tratta di cavare delle frasi (attenti, signori critici, inventori del credo artistico, e dell'entusiasmo a sangue freddo negl' Inni) allora il Manzoni confessa di sentirla vivamente, per iscrivere forte, ed ha il proposito di non ingannare nessuno ; gli spiace solo che perciò alcuno si formi di lui un concetto non giusto, e sente un timore cristiano ed umano di apparire ipocrita, perchè a tutte queste belle frasi non sempre risposero nella sua vita le opere. E questo è quanto. Conclusione. Piaccia, o non piaccia il Manzoni esce netto, intero, saldo, tale quale 1' abbiamo immaginato dalla terribile prova dell'epistolario ; egli è uno dei pochi scrittori veramente i grandi che nessuna critica potrà mai demolire; la mente più armonica e simpatica del secolo, uno scrittore di carattere che efficacemente ha detto ciò che profondamente ha sentito ; il quale non avendo mai scritto que' libri d'occasione che rimangono famosi per quel tempo durano le circostanze che gli hanno prodotti, tornerà sempre a rivivere, e vincerà tutti gli ostacoli ; Ber 1' uuiversalità ed armonia de' suoi nrincipl, eccitando in tempi riposati e felici, l'ammirazione dell' Italia non solo, ma di tutta quanta la umanità. L' esame si potrebbe estendere per vedere nel Manzoni non solo il credente sincero, ma il filantropo, il tollerante, il vero amico, l'uomo dotato di un'ammirabile temperanza di giudei. Yeggasi per esempio con quanta delicatezza egli tocca la questione con suo cognato protestante (pag. 269), l'avversione che avea così profonda di erigersi a giudice delle opere altrui, giustificata più che mai a' suoi tempi, quando non era possibile che due letterati manifestassero un'opinione diversa senza vuotare il truogolo delle ingiurie. Certo il suo esempio va seguito con molte riserve ; ma quanto sarebbe opportuno ricordarlo a certi rivistai. Come poi il Manzoni, messo tra l'uscio e il muro, sapesse fare la critica, veggasi nelle lettere al canonico Borghi autore d'inni sacri anche lui (pag. 387). Così anche si spiega la renitenza del celebre scrittore a rispondere a certi letteratuzzi petulanti che gli mandavano le loro opere, e ne provocavano un giudizio, e la destrezza di rispondere evasivamente con frasi di umiltà. Se sia stata sincera o meno, molto si disputa. E fu sincera cristianamente parlando; ma anche un destro mezzo per cavarsi d'impiccio con un'ironia bonaria e festevole. È nota la favola della mosca, che salita in groppa al bue attaccato all'aratro, definì: Noi ariamo. E il Manzoni mi ha 1' aria di dire : Io non aro, io non sudo; non sono un animale grosso io. Moscherini, cercatevi qualche altra bestia, che vi porti." E per fortuna, mosche che abbiano arato col Manzoni, o non ci furono o non si conoscono. Nou mancano poi nell' epistolario le minute notizie che possono giovare alla piena conoscenza delle opere dell'autore. — Coli'amico Eauriel egli si lamenta delle sue alterazioni nervose che lo agitano e gl'impediscono le grandi passeggiate (pag. 139). Ed in altra al cavalier Morbio — „Verrei subito a presentarle in persona i miei ringraziameuti, e a valermi del permesso di frugare nella sua preziosa raccolta, se un'invecchiata e strana affezione nervosa non m^iitìpedisse d'uscir solo" '(phg. 313). Lo spavento adunque di Renzo nei bosco ha un fondo tutto s'Oggettivo : nessuno meglio poteva èfcprrfherlo ' fledPatìtote stesfco, soggettò a Così strana alluciìmtfiòne; teomuufe per altro ; a molte persone nervose : experto credite Ruperto. Per la letteratura pettegola ecco una ghiotta notizia, L' adorato Carlo Iaabouati (già disceoole j del Parini e per la guarigione del quale fu scritta 1 l'ode — Torna a fiorir la rosa), strinse virtuosa amicizia con la madre di Alessandro e la istituì sua erede universale (pag. 13). E del padre quasi mai parola nell' Epistolario. Viveva tutto solo, e separato dalla famiglia a Lecco. Con molta freddezza il figlio ne annunzia la morte. Si mise in viaggio con la madre, quando lo seppe ammalato ; giunto a Brusuglio gli venne recata la nuova della morte di lui a Milano. Madre e figlio non sentono il bisogno di continuare il viaggio di un' ora per vederlo morto, e ripartono subito per Torino, indi per Parigi — tutto ciò nel 1807, prima della conversione ! (pag. 36). Quindi si può comprendere quanta fosse nel Manzoni giovinetto l'influenza della madre, donna di grande ingegno e dì spiriti magni, e che avrebbe voluto sul suo sepolcro 1' epigrafe dettata da lei stessa : Qui giace Giulia Manzoni Beccaria Figlia di Cesare Beccaria Madre di Alessandro Manzoni E scusate se è poco. Ancora una parola di lode al diligente raccoglitore, che ha corredato le lettere di buone note biografiche. P. T. la giunta provinciale dell' Istria partecipa dolentissima la morte avvenuta quest'oggi alle ore 11 pom. dopo lunga malattia del Barone Giovali Paolo lei Marciasi Polesini di Parenzo già Capitano provinciale dell'Istria, Deputato al Consiglio dell'Impero, Assessore provinciale, Presidente della Società Istriana, Podestà di Parenzo. e tino agli ultimi tempi Direttore provvisorio dell'Istituto di credito fondiario istriano, Deputato prov., Consigliere com. ecc. ecc. I funerali avranno luogo Sahbato 15 con\ alle ore li Va ani. Parenzo, 13 Luglio 18$2 Errata - Corrige — _—--— A pag. 99 dell' ultimo N.° -invece di preparatore geologico — Neil' articolo dello stesso in fine del primo capoverso, iu Antonino fece i suoi riparti nienti stare M. Aurino Antonino R<° nell'ultimo aftiboletto lìnea 6 seguenti, dicasi: Alle scoperti. Nicolò de Madonizza etm. finqoiq erfaff od'* *vou 19 ao - col. 1 e 3 capov. leggasi zoologico, numero pag. 100 luogo di S. Aurelio provinciali, doveva r nuovi. Pag. 101' 7 in Irrogo di Alle