original scientific article UDC 327(4)"1971' received: 2014-07-11 DIETRO LE QUINTE DELLA VISITA DI TITO A ROMA NEL 1971: IL CONTESTO LOCALE E INTERNAZIONALE LETTO DALLA DIPLOMAZIA BRITANNICA Gorazd BAJC Inštitut Nove revije, Zavod za humanistiko, Gospodinjska ulica 8, 1000 Ljubljana, Slovenia e-mail: gorazd1.bajc@gmail.com SINTESI L'articolo presenta il punto di vista della diplomazia britannica sul problema della definizione del confine italo-ju-goslavo, in particolare i retroscena della visita di Tito a Roma nel marzo 1971, e contemporaneamente il contesto internazionale caratterizzato dalle preoccupazioni della Jugoslavia nel periodo dopo l'invasione sovietica della Ce-coslovacchia del 1968. L'analisi mostra i tentativi di Londra di aiutare la Jugoslavia a mantenere la propria indipen-denza da Mosca e i punti di convergenza tra Tito e la Gran Bretagna. Parole chiave: Jugoslavia, Italia, Gran Bretagna, Unione Sovietica, NATO, Accordi di Osimo, Josip Broz Tito, Primavera di Praga, Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa behind the visit of tito in rome - 1971: the local and the international context seen by the british diplomacy ABSTRACT The article provides the viewpoint of the British diplomacy on the problem of the definition of the border between Italy and Yugoslavia. Special emphasis is given to the backgrounds of Tito's visit to Rome in March 1971 and the contemporary international context characterized by the concerns of Yugoslavia in the period after the Warsaw Pact invasion of Czechoslovakia in 1968. The analysis represents the attempts of London to help Yugoslavia to maintain its independence from Moscow and the points of convergence between Tito and Great Britain. Key words: Yugoslavia, Italy, Great Britain, Soviet Union, NATO, Treaties of Osimo, Josip Broz Tito, Prague Spring, Conference on Security and Co-operation in Europe INTRODUZIONE La visita del capo di stato jugoslavo a Roma nel mar-zo 1971 ebbe una importanza notevole per i rapporti italo-jugoslavi dell'epoca, ma per comprenderne i si-gnificati, che vanno oltre il contesto bilaterale tra i due stati, va pure inserita nel periodo dalla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo. Nel contesto locale erano gli anni in cui l'Italia e la Jugoslavia cercarono - con molte difficolta - di chiudere definitivamente il contenzioso legato al confine: ci riuscirono infine nel novembre 1975 con la firma degli Accordi di Osimo, ma poi ci vollero ancora due anni per la loro ratifica da parte di entrambi gli stati. Nel contesto internazionale invece si trattava del periodo nel quale da una parte la Jugoslavia si sentiva minacciata dall'Unione Sovie-tica, dopo che nell'estate del 1968 le truppe del Patto di Varsavia avevano invaso la Cecoslovacchia, dall'altra si registravano i primi tentativi piu concreti di trovare un dialogo tra i due blocchi che portarono infine nel biennio 1973-1975 alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE). Il contesto della visita di Tito nella capitale dello stato vicino, i timori jugoslavi nel post "primavera di Praga" e le reazioni occidentali a cio, come pure la posizione jugoslava nei tentativi di intavolare un dialogo Est-Ovest, risultano di indubbio interesse per gli storici; ci e parso opportuno pertanto proporre una rilettura di tali eventi alla luce della documentazione britannica, finora non del tutto analizzata dagli studiosi. Siamo partiti dal presuppo-sto che Londra seguisse gli avvenimenti che coinvolsero (anche) la Jugoslavia con molta attenzione, cercando di dare una mano a Tito. Ci siamo posti le seguenti doman-de: come veniva percepita dai britannici la posizione della Jugoslavia e in quale maniera volevano aiutarla? IL MICLIORAMENTO DEI RAPPORTI ITALO-JUCOSLAVI DOPO IL MEMORANDUM D'INTESA DEL 1954 E LA VISITA DI TITO A ROMA NEL 1971 I rapporti italo-jugoslavi erano nei circa primi 35 anni della storia jugoslava caratterizzati da forti tensioni e violenze, che videro l'apice nell'occupazione della Jugoslavia durante la Seconda Cuerra Mondiale. Tensioni, anche forti, non mancarono neppure nel periodo post-bellico; poi, dalla seconda meta degli anni Cinquanta, incomincio il periodo della distensione. Tra i temi piu scottanti era la questione del confine tra i due stati. Un territorio conteso, che vide nell'autunno 1947, con l'at-tuazione del Trattato di pace delle forze vincitrici della Seconda Cuerra Mondiale con l'Italia, una prima par-ziale spartizione territoriale tra i due stati, seguita poi, con la firma a Londra del Memorandum d'Intesa, il 5 ottobre 1954, dalla seconda. Lo stesso giorno, quando il Memorandum venne firmato dai rappresentati italiano, jugoslavo, statunitense e britannico, il governo di Lon-dra fece la seguente dichiarazione: [...] Il Governo di Sua Maesta accoglie favorevol-mente l'intesa oggi raggiunta, che ritiene portera a migliorare le relazioni e ad una piu stretta cooperazione tra l'Italia e la Jugoslavia. Il Governo di Sua Maesta coglie l'occasione per dichiarare che non dara alcun sostegno alle rivendicazioni ne della Jugoslavia ne dell'Italia sul territorio sot-to la sovranita o l'amministrazione degli altri. Il Governo di Sua Maesta e fiducioso che sara pos-sibile per i due paesi risolvere ogni notevole problema per via negoziale amichevole in uno spirito di reciproca comprensione. [...]1. Una chiara e inequivocabile presa di posizione, e cioe che in futuro non si intendeva dare alcun appog-gio nell'eventualita di future rivendicazione territoriali. Molto simile fu lo stesso giorno la dichiarazione del Di-partimento di Stato americano, alla quale segui quella del governo francese. Dopo che il Memorandum fu co-municato al Consiglio di Sicurezza dell'Organizazione delle Nazioni Unite, il rappresentante sovietico Andrej Vysinskij il 12 ottobre dichiaro a sua volta che il suo governo prendeva atto del fatto che l'accordo risultava accettabile per la Jugoslavia e l'Italia e intendeva percio promuovere la normalizzazione delle relazioni tra di loro e con cio contribuire alla distensione in questa parte d'Europa2. Per quanto riguardava le grandi poten-ze dunque la cosidetta "questione di Trieste" era chiusa. Secondo le fonti britanniche - prese in esame dagli stessi funzionari del ministero degli esteri a Londra, in occasione dell'acuirsi dei rapporti tra Roma e Belgra-do nel 1974 - sembrava che tra i loro documenti non ci fossero altri riferimenti direttamente inerenti alla po-litica di Londra nei confronti del problema confinario tra l'Italia e la Jugoslavia (sebbene i funzionari del Foreign and Commonwealth Office, nel verificare la documentazione, avessero notato che quella per l'anno 1955 risultava persa3), tranne in una lettera scritta da TNA FCO 51/391, East European Section [EES] Research Department [RD] Foreign and Commonwealth Office [FCO], RD Memorandum: Yugoslavia, Italy and Trieste (DS(L)498 Departmental Series RD DS No. 1/75), 2. 1. 1975, 19 [Annex II] e le versioni, 22. 8. 1974 e October 1974, rispettivamente in TNA FCO 51/348 e TNA FCO 28/2804. Cfr. TNA FO 482/9, Clarke, Rome to Eden (No. 8): Italy: Annual Review for 1954, 10. 1. 1955; TNA FCO 28/2637, Jenkins, EES RD (R, 58/3: C-719) to Creen, Eastern European and Soviet Department [EESD]: Italian-Yugoslav Relations - Trieste, 2. 4. 1974, 1-2; Udina, 1979, 151. TNA FCO 51/391, Memorandum cit., 1, 7-8; YPD, 577, 581; FRUS 1952-1954, VIII, 570, No. 293. Cfr. Cviic, 1975, 434; Udina, 1979, 1 51-1 52, 154; Valdevit, 1986, 273; Rabel, 1988, 160-161; Pirjevec, 1995, 93; Pirjevec, 2007, 477-478; Mljač, 2008, 144-145. TNA FCO 28/2637, Creen, EESD to Burrows, Legal Adviser: Italo/Yugoslav Frontier Dispute, 3. 4. 1974 [due volte]. Dalla documenta- zione presa in esame non risulta se tali documenti del 1 955 vennero poi ritrovati. 2 uno dei funzionari del Foreign Office, K.R.C. Pridham, il 12 aprile 1957, al collega nel Commonwealth Office, A. R. Swinnerton, nella quale esprimeva cosi il punto di vista del Regno Unito: "L'accordo dell'ottobre 1954 non cede la sovranitä formale agli italiani e agli jugoslavi sulla zone /4 e B, ma speriamo che possa effettivamente risultare come definitivo."^ Breve ma essenziale sintesi del Memorandum, ma pure delle speranze britanniche che i due stati vicini potessero prima o poi trovare quel necessario compromesso, avendo il Memorandum per la parte italiana - a differenza di come lo interpretaro-no gli jugoslavi - solamente lo status di provvisorieta5, ma era chiaro che cosi la pensavano anche i britannici. Come noto Roma, per ragioni di politica interna, non voleva infatti accettare come definitiva la delimitazione che avrebbe portato alla rinuncia del territorio della co-siddetta ex zona B del Territorio Libero di Trieste. Comunque, se non propriamente de iure, le sorti del confine erano pero de facto gia segnate e tale dato di fatto veniva negli anni ulteriormente ribadito. Sebbene rimanessero aperte anche alcune altre questioni, questo non fece desistere i due stati vicini a iniziare una frut-tuosa collaborazione. La volonta di un miglioramento dei rapporti a livello politico, culturale ed economico, come pure tra i parti-ti comunisti di entrambi gli stati, vennero prontamente notati dagli addetti dell'ambasciata britannica a Belgra-do, sia nel periodo immediatamente dopo la firma del Memorandum di Londra che nel decennio successivo; l'unico neo erano le restrizioni subite dalla minoranza slovena, qualche piccolo incidente lungo la frontiera, problemi legati alla pesca nell'Adriatico, i processi in Italia contro gli ex partigiani e qualche altro incidente di percorso. L'Italia divenne poi, dal 1957, il primo partner commerciale della Jugoslavia6 e dal 1962 invece - secondo i britannici - uno dei pochi paesi dell'Ovest che continuava a coltivare buoni rapporti con Belgra-do. Negli anni Sessanta, infatti, Tito riusci almeno ap-parentemente a migliorare i rapporti con Mosca e cio produsse un raffreddamento con la maggior parte degli occidentali. Inoltre, le popolazioni di entrambe le parti incominciarono ad attraversare continuamente il confine7. Cio fu messo in risalto anche dagli annalisti britannici che negli anni Settanta annotarono come nel 1965, dopo dieci anni, furono registrati addirittura 70 milioni di passaggi di frontiera8. A Londra era molto chiaro che si trattava del cosiddetto "confine piu aperto" nella divi-sione dell'Europa postbellica. Quella provvisorieta doveva pero trovare prima o poi una sistemazione definitiva. Dopo alcuni infruttuosi tentativi negli anni Cinquanta (Cviic, 1975, 434; Mišic, 2013, 57), i segnali in questa direzione incominciarono a delinearsi nel 1964. I tentativi delle due diplomazie interessate a far partire le prime trattative non portarono a qualcosa di concreto a causa delle opposte interpreta-zioni del Memorandum di Londra e di problemi interni nei due stati. Da una parte c'era la volonta italiana di discutere il problema del confine insieme ad altre questioni aperte per cercare di trovare almeno una specie di contropartita in termini di vantaggi economici, dall'altra le autorita belgradesi avevano bisogno di trovare una sistemazione adeguata ad uno dei problemi irrisolti della Jugoslavia che era anche molto sentito dalla compo-nente slovena (Bucarelli, 2008, 54-56, 60; Imperato, Monzali, 2011, 46; Bucarelli, 2013, 41-44). Da non sottovalutare infine la diffidenza reciproca causata delle passate tensioni. Nel 1968 ci fu un rilancio delle trattative per la defi-nizione del confine, e, sebbene l'anno seguente la visita in ottobre in Jugoslavia del presidente della Repubbli-ca italiana Giuseppe Saragat e del ministro degli esteri venisse giudicata positivamente - almeno questo era il giudizio degli analisti britannici9 - e gli esperti da ambo le parti continuassero a discutere, non si verificarono importanti passi concreti. Anzi si arrivo di li a poco ad una crisi. Agli inizi di dicembre del 1970, poco prima della pianificata visita di Tito a Roma10, l'allora ministro per gli affari esteri Aldo Moro, incalzato dalle interro-gazioni parlamentari di alcuni esponenti del Movimen-to Sociale Italiano e della "sua" Democrazia Cristiana (dopo le "inquietanti" notizie apparse su uno dei quo-tidiani nazionali), dichiaro davanti ai parlamentari che l'Italia non avrebbe rinunciato ai "legittimi interessi nazionali" (Bucarelli, 2008, 53; Bucarelli, 2013, 42; cfr. Mišic, 2011, 512), ovvero alla sovranita sulla zona B. Di conseguenza il capo jugoslavo cancello la visita, sebbene nell'ottobre di quell'anno fece un vero e proprio tour negli stati europei occidentali che erano membri sia TNA FCO 28/2637, Jenkins to Creen cit., 1. Il 7. 10. 1954 il Memorandum venne approvato durante una seduta straordinaria del Consiglio federale esecutivo jugoslavo (YPD, 577), mentre il 25 del mese Tito aveva presentato l'accordo durante la seduta congiunta dell'Assemblea federale, tra l'altro elogiando la dis-ponibilita di tutte le parti per aver saputo trovare una soluzione (YPD, 583; cfr. TNA FCO 51/391, Memorandum cit., 8; Pirjevec, 2007, 483). La ratifica venne pubblicata dalla Cazzetta ufficiale jugoslava il 27. 10. 1954 (per es. Troha, 2004, 142). Sebbene agli inizi degli anni Sessanta venisse registrato uno stallo nelle relazioni economiche (Imperato, Monzali, 2011, 27-28). YPD, 580, 583, 586, 589-590, 592, 595, 599-602, 614-615, 625, 635, 647, 652, 656, 658, 660, 664-666, 677, 682, 684-686, 689-690, 698, 701, 704, 763, 765, 767-769, 782, 784, 790, 794, 820, 822, 836, 838-839, 846-847, 849, 859, 862, 876-877, 880, 886-887, 889; cfr. TNA FO 482/9, Clarke, Rome to Eden (No. 8): Italy: Annual Review for 1954, 10. 1. 1955. Sulla cooperazione eco-nomica per es. Cviic, 1975, 434; Capriati, 2004; Milano, 2011. TNA FCO 51/391, Memorandum cit., 8. Nel 1957 vennero registrati oltre 5.800.000 passaggi di frontiera, nel 1969 invece quasi 15 milioni (Troha, 2004, 143). TNA FCO 51/391, Memorandum cit., 9. Nella diplomazia italiana la questione della visita di Tito veniva posta gia nel 1966 (Imperato, Monzali, 2011, 31). 8 dell'Alleanza Atlantica (NATO) che della Comunita Eu-ropea: in Belgio, Lussemburgo, nella Germania Ovest, in Olanda e Francia (Vrhunec, 2001, 70-75, 77-81; Pirjevec, 2011a, 570). Gli mancava appunto solo l'Italia. Il motivo della mancata visita e stata ascritta alla dichiarazione di Moro, ma risulta interessante anche un'altra versione, proposta dal quotidiano britannico The Guardian che riporto che solamente due giorni prima della visita di Tito si era svolto in Italia il tentato colpo di stato e che dovevano essere state coinvolte anche alcune centinaia di emigranti sloveni che avrebbero avuto il compito di dare una mano ai gruppi neofascisti e di rendere impossibile la visita dello statista jugosla-vo11. Che ci fosse allora uno dei tentativi di presa del potere non democratico in Italia risulta al giorno d'oggi ben chiaro12. Comunque l'interpretazione del giornale britannico risulta interessante, da indagare ulteriormen-te, tenendo conto che le visite all'estero dei rappresen-tanti jugoslavi erano in quegli anni spesso bersaglio di manifestazioni anche violente degli oppositori, che alla fine della guerra ripararono all'estero e che riuscirono (in particolare gli ustaša e i cosiddetti cominformisti) a mettere in atto non pochi atti terroristici all'interno dello stato jugoslavo, provocando anche incidenti oppure diffondendo propaganda antiregime. In conseguenza di cio si manifesto una certa psicosi, anche strumentaliz-zata da alcuni nelle lotte intestine ai vertici (Pirjevec, 2006b; Pirjevec, 2011a, 515, 519, 523, 525, 543, 557561, 568, 571, 575, 577, 584-585, 588, 624, 645, 666667; per quanto riguardava le visite all'estero: Vrhunec, 2001, 99, 101, 109-110, 115-116, 127, 138, 187-188, 245-246, 257-258, 265, 270). Sebbene alla fine dell'anno 1970 la visita del leader jugoslavo falli, gli jugoslavi continuarono a nutrire la speranza di risolvere il problema del confine e cer-carono l'appoggio dei britannici. Alla fine di dicem-bre il membro del Presidium della Lega dei Comunisti Dimče Belovski e il membro del Consiglio Federale Aleš Bebler incontrarono l'ambasciatore britannico a Belgra-do Terence W. Garvey manifestandogli l'auspicio che l'Occidente e in particolare il Regno Unito potessero convincere gli italiani a riconoscere il confine. Garvey ribadi il punto di vista sulla provvisorieta dell'accordo del 1954 e che era qualcosa di completamente diverso la conferma definitiva del confine. Si chiese inoltre chi o che cosa avrebbe potuto costringere il governo italia-no a risolvere un problema che non affrontava forse per debolezza, pur essendo di suo interesse trovare una so-luzione13. Una vera e propria previsione delle difficolta che in effetti si verificarono nei successivi cinque anni, prima di arrivare alla firma nel novembre 1975 degli Accordi di Osimo. Dagli inizi dell'anno seguente i rappresentati della diplomazia britannica nelle due capitali notarono che, sebbene il discorso di Moro avesse lasciato il segno e rimanessero aperte varie questioni, i rapporti tra le due parti incominciavano a mostrare segni di miglioramen-to. Nelle relazioni, nei dispacci e nei commenti che seguirono vennero a galla i principali problemi aperti, molti dei quali si ripeterono negli anni seguenti. Potrem-mo sintetizzarli cosi: la parte italiana pur ritenendo che la sua sovranita sulla zona B non si fosse mai esaurita, voleva comunque raggiungere un accordo, ma dal punto di vista di Roma sarebbero stati gli jugoslavi a non essere disposti a compromessi e a correggere il confine, in particolare a nord di Trieste e vicino Gorizia e quello marittimo, per consentire il regolare arrivo delle grandi navi nel porto triestino; Tito era interessato a risolvere in breve il problema del confine, ma gli italiani non erano ancora pronti perche speravano di ottenere qualche vantaggio, per esempio per quanto riguardava gli immo-bili in Istria; la parte italiana fece anche sapere ai britannici che era sotto una forte pressione dell'opinione pub-blica e percio chiese di intavolare trattative segrete; oltre alla questione del confine erano dunque aperti anche altri problemi e per gli jugoslavi il piu importante era quello che riguardava la minoranza slovena in Italia. Ai rappresentanti di Londra era dunque chiaro che c'erano diversi punti di vista e apparentemente poteva sembrare che non ci fossero da ambo le parti vere e proprie in-tenzioni di cedere a compromessi e di conseguenza non mancarono esagerazioni. In verita pero - come notava-no anche nel Foreign and Commonwealth Office - c'era la possibilita di trovare un accordo, ma sarebbero stati i problemi di politica interna a tenere banco per quanto riguardava le questioni di politica estera; la previsione era che allora molto probabilmente si sarebbero dovute aspettare le elezioni presidenziali in Italia14. Una politica del tira e molla, ma gia agli inizi di feb-braio del 1971 i diplomatici italiani a Belgrado riferiro-no ai colleghi britannici che probabilmente l'empasse si sarebbe risolta di li a poco con l'incontro a Venezia tra i due ministri degli esteri. Inoltre essi speravano che in breve Tito potesse venire a Roma e che addirittura potesse esserci la possibilita che entro l'anno si arrivasse a un accordo definitivo, ma, a causa delle prossime elezioni, l'ottimismo tra gli italiani doveva venir meno15. Dunque segnali abbastanza incoraggianti. Il 9 febbraio i due capi delle diplomazie, Aldo Moro e Mirko Tepavac, si incontrarono a Venezia. Dopo due 11 12 13 14 George Armstrong: Italians ready for Tito's postponed visit. The Guardian, 22. 3. 1971. Il rittaglio si trova per es. in TNA FCO 28/1640. Il golpe Borghese, 7. e 8. 12. 1970 (Ganser, 2005, 93-97; De Lutiis, 2010, 106-122; Giannuli, 2011, 13 7-1 51). TNA FCO 28/263 7, Jenkins to Green cit., 1. TNA FCO 28/1640, Wood, British Embassy Rome to Stitt, FCO Western European Department [WED], 15. 1. 1971; Belgrade to FCO (No. 31, 48 e 58), 22., 26. e 30. 1. 1971 (cfr. WED to EESD, 4. 2. [1971]); Garvey, British Embassy Belgrade to Bullard, FCO EESD, 28. 1. 1971; Giffard, FCO EESD to Garvey, Belgrade, 28. 1. 1971. TNA FCO 28/1640, Bentley, British Embassy Belgrade to Sparrow, FCO EESD, 2. 2. 1971. giorni i rappresentanti britannici a Belgrade erano gia in grade di riferire a Londra che I'incontro porto dopottutto a un piccola convergenza tra le due parti e che di conse-guenza venne per la prima volta pubblicamente ammes-sa l'esistenza di discussioni a livello di esperti. Secon-do l'autore della relazione, W. Bentley, questo avrebbe dovuto soddisfare parecchio gli jugoslavi perche erano loro che insistevano che ci fossero maggiori progressi nelle trattative. Inoltre era chiaro che dalla parte jugo-slava si erano fino ad allora maggiormente impegnati gli sloveni, i quali fecero anche appositamente notare a Bentley e al suo collega Joe Dobs che i prossimi emen-damenti costituzionali avrebbero dato un maggior ruolo alle singole repubbliche nella definizione della politi-ca estera della federazione, in particolare per quanto riguardava questioni legate alle singole realta. Per la Slovenia si trattava di rapporti con i paesi confinanti: l'Italia, l'Austria e l'Ungheria16. Come spesso accadde - ed e evidente dall'analisi della documentazione del Foreign and Commonwealth Office di allora - ci furono dopo l'incontro diverse dichia-razioni e diversi punti di vista. La dichiarazione fornita dell'agenzia di stampa jugoslava Tanjug dopo l'incontro era in parte diversa dalla comunicazione menzionata; in essa, pero veniva tra l'altro posto l'accento come in futu-ro, per la soluzione dei problemi legati alle popolazioni lungo il confine, degli esperti sarebbero stati affiancati alle diplomazie17. Ancor piu distanti dalla versione degli jugoslavi erano le parole di Luca Pietromarchi, uno dei diplomatici italiani piu esperti che partecipo all'in-contro veneziano: a suo parere l'incontro non era da considerarsi un successo, siccome si discusse solamente del confine. Lo stesso Pietromarchi riferi a T. C. Wood, uno dei membri dell'ambasciata britannica a Roma, che era in disaccordo con il comunicato della Tanjug e che in realta Moro cercava di spiegare a Tepavac le proprie difficolta di politica interna nell'intavolare trattative uf-ficiali, ma era invece disposto a quelle segrete poiche gli avrebbero dato la possibilita di negarle. In cio i due interlocutori si trovarono d'accordo. La fretta con la quale gli jugoslavi cercavano di chiudere la questione del confine era - sempre secondo il diplomatico italiano - dovuta al fatto che si era voluto trovare una soluzione fino a quando c'era ancora Tito alla guida del paese. Di seguito, nella propria relazione Wood non manca-va di esporre il proprio punto di vista sulle possibilita d'intesa mostrandosi abbastanza pessimista: secondo lui Moro non sapeva in effetti come o non osava risol- vere l'intricato problema, ed esplico il "nodo gordiano" in modo molto efficace con questa metafora: La questione della Zona B e una patata molto piu bollente di quanto non lo fosse e dubito che vorrä rischiare di bruciarsi le dita. [^]". Comunque - continuava Wood - il tempo era dalla sua parte e bisognava tener conto comunque di altri due ostacoli: da una parte l'opinione pubblica italiana che era fortemente contro la Jugoslavia e secondo Pietromarchi persino i comunisti triestini era-no contrari a una resa della zona B; dall'altra una delle questioni maggiori veniva ascritta alle aspirazioni slovene che avevano incominciato a fare pressione in favore della minoranza nella regione Friuli-Venezia Ciulia. Un problema che pero secondo Pietromarchi non esisteva, ma si trattava di un atteggiamento, questo degli sloveni, simile a quello che succedeva nei rapporti con l'Austria18, dove come ben sappiamo i problemi legati alla minoranza erano all'ordine del giorno19. Se non un passo almeno un accenno in avanti. Le impressioni dell'incontro che si fecero i britannici a Bel-grado erano dunque piu positive di quella che emersero dopo la conversazione avuta da Wood con Pietromarchi. In seguito l'ambasciata a Belgrado raccolse nuove informazioni che confermavano come gli jugoslavi po-tevano ritenere l'incontro di Venezia positivo, sebbene pure loro fossero consapevoli che si sarebbe dovuto aspettare le elezioni nel paese vicino e che durante la visita di Tito non si sarebbe discusso del confine20. Dunque esistevano punti di vista in parte differenti, di cui erano consapevoli anche a Londra, come lo erano del fatto curioso che tra le due parti esistevano addirittura diverse interpretazioni degli stessi fatti21. Nonostante le diffidenze tra le diplomazie dei due paesi i tempi si dimostrarono maturi per la visita di Tito a Roma. Che ci fossero molto buone possibilita in questo senso era stato comunicato dalla parte italiana all'amba-sciata britannica a Roma agli inizi di marzo22, e ripetuto alcuni giorni dopo che il termine era stato fissato, e cioe tra il 25 e 29 del mese corrente. Per questioni di sicu-rezza veniva sottolineato che l'opinione pubblica ne sarebbe venuta a conoscenza solamente il 22 del mese23. A riferire da parte jugoslava in maniera confidenziale ai britannici della visita a Roma in data 25 del mese fu lo stesso Tito. Durante l'ultimo incontro con l'ambascia-tore Carvey (di li a poco venne sostituito da Dugald L. L. Stewart) parlarono anche dei rapporti italo-jugoslavi: anche al capo jugoslavo era chiaro che per la questione del confine si sarebbero dovute aspettare le elezioni in 16 TNA FCO 28/1640, Bentley, British Embassy Belgrade to Sparrow, FCO EESD, 11. 2. 1971. 17 TNA FCO 28/1640, Edited Extract from the English Language Bulletin Tanjug of 10 February 1971. 18 TNA FCO 28/1640, Wood, British Embassy Rome to Sparrow, FCO EESD, 16. 2. 1971. 19 I problemi della minoranza slovena nella Carinzia austriaca sono stati ampiamente trattati (per es. Necak, 1982; Liška, 1985; Necak, 1985; Pleterski, 2000, 205-236; Jesih, 2007, 143-167; Klemenčič, Klemenčič, 2008). Per una rassegna bibliografica cfr. Klemenčič, 2012. 20 TNA FCO 28/1640, Bentley, British Embassy Belgrade to Sparrow, FCO EESD, 18. 2. 1971. 21 TNA FCO 28/1640, Sparrow, FCO EESD to Stitt, FCO WED, 2. 3. 1971 e commenti. 22 TNA FCO 28/1640, Selby, British Embassy Rome, 12. 3. 1971. 23 TNA FCO 28/1640, Rome to FCO (No. 188), 18. 3. 1971. Italia. Potremmo dire che Tito non mostrava di aver fret-ta, facendo capire all'interlocutore che dopotutto per la Jugoslavia il Memorandum del 1954 aveva gia fissato il confine. Non manco infatti di ricordare all'interlocutore che sia la Cran Bretagna sia gli USA avevano a suo tempo dichiarato (come abbiamo gia menzionato) che non avrebbero dato appoggio ad alcun tentativo di ridefinire i confini; Carvey confermo. Inoltre Tito fece capire che anche l'opinione pubblica jugoslava aveva il suo peso, ma che egli stesso riteneva che il governo di Roma fosse di orientamento progressista e dunque favorevole alla Jugoslavia. Ribadi pure che gli scambi tra i due paesi erano buoni, in particolare lungo il confine, e auspi-co che rimanessero tali anche in futuro24. Tito insom-ma fece capire che la Jugoslavia voleva una soluzione e rapporti sempre migliori con lo stato vicino, sebbene volesse evidentemente anche sottolineare che de facto il confine c'era gia. Vale qui anche notare che entrambe le parti anticiparono alla diplomazia britannica - ognu-na a modo suo - la data della visita che doveva sancire la fine della cosidetta crisi incominciata nel dicembre del 1970. Come si evince dalla documentazione, non fu questa l'unica volta in cui ognuna delle parti cerco di informare in anticipo Londra dei passi piu importanti che portarono alla definizione del confine (retroscena che analizzeremo in un'altra occasione). Tra il 25 e il 29 marzo 1971 Tito fece visita al paese vicino25. Cli studiosi sono concordi nel valutarla come un fatto positivo nei rapporti tra i due stati, sebbene non risolse la questione principale. Le informazioni sulla visita raccolte dalla diplomazia britannica confermarono la linea generale dei buoni rapporti tra i due stati: l'Italia era sempre uno dei partner piu importanti nelle questio-ni generali della politica estera jugoslava, sia per quanto riguardava i rapporti economici con l'Europa occiden-tale che per la volonta di una distensione tra i blocchi e nel territoro "caldo" del Medio Oriente; restavano aper-te alcune questioni, in particolare sugli aiuti economici di cui la Jugoslavia aveva bisogno per stabilizzare la propria moneta, sebbene l'Italia non potesse permettersi di fornirle aiuti sostanziosi. In etrambe le capitali i rap-presentati britannici ricevettero conferma che durante la visita le due parti avevano parlato, ma solamente in linee generali, della questione confinaria: Tito comun- que non intendeva forzare la questione; i problemi non erano risolti ma c'era volonta di trovare una soluzione, continuando con l'agenda politica intrapresa prima della crisi di dicembre dell'anno precedente, dunque anche a livello di trattative segrete26. Infine, il 29 di marzo, Tito fece anche visita al papa. L'incontro rappresentava per lui un indubbio successo personale, essendo stato il primo capo di uno stato co-munista a far visita al papa (Kramer, 1980, 289; Vrhunec, 2001, 95-97; Pirjevec, 2011a, 571-572). L'impor-tanza stava anche nel fatto che poteva rappresentare per la Jugoslavia una ulteriore affermazione internazionale e di questo gli uomini di Londra ne erano ben consape-voli. Cia agli inizi di agosto dell'anno precedente perce-pirono che il capo jugoslavo arrivando a Roma avrebbe preferito incontrare il papa che il presidente della Re-pubblica d'Italia27. La sua preferenza non dovrebbe sor-prenderci, difatti, di li a poco, il 15 agosto 1970, la Jugoslavia e la Santa Sede instaurarono rapporti diplomatici ufficiali28. Ai britannici non poteva certo sfuggire l'inter-resse di Tito per la questione, anzi, egli stesso fece loro chiaramente capire di nutrire sentimenti positivi verso Paolo VI e che semmai - secondo il capo jugoslavo - il papa avrebbe avuto intorno a se oppositori conserva-tori29. Si trattava evidentemente di un prestigioso successo per la Jugoslavia, politicamente molto importante, essendo stato il secondo paese comunista (preceduto solamente da Cuba) ad aver normalizzato a tutti gli ef-fetti i rapporti con il Vaticano. Una coronazione di sforzi comuni dopo le tensioni del primo periodo postbellico e dopo il significativo miglioramento dei rapporti che porto il 25 giugno 1966 alla firma di un protocollo segreto tra Belgrado e il Vaticano che ebbe, secondo alcuni (Škorjanec, 2006a, 112; Škorjanec, 2007, 42; Imperato, Monzali, 2011, 30-31), conseguenze positive anche sui rapporti italo-jugoslavi. Comunque, almeno secondo le informazioni che il rappresentante di Sua Maesta presso la Santa Sede riusci a raccogliere (e in sostanza si trattava di cio che gli aveva riferito il rappresentante statu-nitense Cabot Lodge), la visita in Vaticano non aveva portato a risultati degni di nota30. Quella di Tito dunque una visita positiva, ma non solo per i rapporti con il vicino (e la Santa Sede), ma per altre questioni - decisamente piu importanti. La 24 TNA FCO 28/1644, Carvey, British Embassy Belgrade: Farewell Interview with President Tito, 19. 3. 1971, 4-5. 25 Sulla visita di Tito vedi in particolare la ricostruzione di Saša Mišic (2011). Nella letteratura si parla solitamente dei giorni 25 e 26 (Bu-carelli, 2008, 59; Imperato, Monzali, 2011, 47; Bucarelli, 2013, 46), oppure dal 25 al 27 (Cattaruzza, 2007, 337), probabilmente perche si prendono in considerazione solo i giorni quando Tito soggiorno a Roma. Secondo le memorie di Marko Vrhunec il 27 la delegazione jugoslava visito Torino, poi si sposto a Pisa, il giorno 28 fu domenica ed era prevista una giornata di riposto, il giorno dopo, infine, Tito fece visita al papa (Vrhunec, 2001, 95; cfr. Mišic, 2011, 518). 26 TNA FCO 28/1640, Rome to FCO (No. 223, 224 e 231), 30. 3. e 2. 4. 1971; Belgrade 359, 1. 4. 1971; Rogers, Rome 350, 6. 4. 1971; Wood, British Embassy Rome to Sparrow, FCO EESD, 6. 4. e 8. 6. 1971; Sparrow, FCO EESD to Wood, Rome, 15. 4. 1971; cfr. WD to EESD, 4. 5. [1971]. 27 TNA FCO 33/1244, Wilton, British Embassy Belgrade to Sparrow, EESD FCO, 4. 8. 1970. 28 TNA FCO 33/1244, Duke, British Embassy Belgrade to Sparrow, EESD FCO, 18. 8. 1970. John M. Kramer (1980, 289) datava la formaliz-zazione dei rapporti diplomatici al giorno 14 agosto. 29 TNA FCO 28/1644, Carvey, British Embassy Belgrade: Farewell Interview with President Tito, 19. 3. 1971, 5. 30 TNA FCO 28/1640, Crawley, British Legation to the Holly See Rome to FCO EESD, 5. 4. 1971 [due volte]. documentazione di Londra ci offre infatti alcuni spunti molto interessanti. Forse il piu significativo e la doppia sottolineatura da parte dei funzionari del Foreign and Commonwealth Office sulla copia del comunicato con-giunto a fianco della seguente frase: [...] Fedeli agli accordi internazionali che sono stati stabiliti, essi hanno sottolineato la loro de-terminazione a continuare a basare le loro rela-zioni sull'osservanza reciproca di indipendenza, sovranita e integritä territoriale e sulprincipio del-la non-ingerenza negli affari interni. [...]31. Si trattava del concetto base che riguardava i rappor-ti bilaterali, ma non solo: era quel concetto base - anzi un vero proprio conditio sine qua non - per quanto riguardava la politica occidentale ovvero della NATO nei confronti dello stato jugoslavo, ancor di piu dopo l'in-vasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968. Difat-ti, come vedremo nel capitolo che segue, la Jugoslavia manifesto da subito la propria preoccupazione di poter diventare la prossima vittima di Mosca. CONVERCENZE TRA LONDRA E BELCRADO NEL POST "PRIMAVERA DI PRACA" Dalla meta degli anni Cinquanta e tanto piu dagli inizi del decennio successivo gli jugoslavi e i sovietici superarono molte divergenze e stavano gradualmen-te rafforzando il loro riavvicinamento (Pirjevec, 1993, 290-291, 346-356; Pirjevec, 2011a, 317, 516-522, 525-527). Lo scoglio sul quale un "nuovo innamora-mento" con la "patria del socialismo" si scontro e, alme-no per un certo periodo, frantumo i "sogni" era l'atteg-giamento nei confronti della Primavera di Praga. Con la visita non pianificata di Tito a Mosca alla fine di aprile 1968 divenne nei retroscena ben chiaro che, se da un lato il capo jugoslavo cercava di assicurare il proprio aiuto per stabilizzare la politica interna ceco-slovacca - che agli occhi del Cremlino e di alcuni stati dell'Est rischiava di sfociare in una pericolosa "controri-voluzione" -, dall'altro pero respinse decisamente qual-siasi interferenza sovietica sulla situazione interna ju-goslava (Pelikan, 2010). Una linea dettata dal timore di non provocare (troppo) Mosca, che pero gli stessi jugoslavi (inter)ruppero, incominciando, nei mesi successivi, ad appoggiare pubblicamente le riforme di Alexander Dubček. Tra il 9 e l'11 agosto Tito persino visito Praga e ai leader cecoslovacchi suggeri di non tirare troppo la corda, in pubblico pero auspico che da parte sovietica non venisse usata forza. Il capo jugoslavo venne ricam- biato da un entusiasmo locale non indifferente e alcuni giorni dopo anche Nicolae Ceausescu, il leader dell'al-tro stato comunista meno ligio alla disciplina verso il Cremlino - la Romania - si reco a Praga (Pirjevec, 1993, 356-358; Vrhunec, 2001, 46; Hadalin, 2010; Pirjevec, 2011a, 528). Evidentemente troppo anche per Leonid Brežnev che era stato a lungo indeciso e piu incline a rimettere "in riga" Dubček con le parole che con la forza. La spe-ranza di vedere concretizzarsi un socialismo dal volto umano subi la piu fredda delle docce: sotto la forte pres-sione di alcuni leader del blocco dell'Est (Loth, 2002, 96-98; Fowkes, 2004, 129; Di Nolfo, 2006, 1151; Service, 2007, 383; Savranskaya, Taubman, 2011, 144-145; Kemp-Welch, 2011, 225-227) e del servizio segreto KCB, che a causa della propria cecita ideologica ve-deva dappertutto complotti dell'Occidente (Andrew, Cordievskij, 2000, 510-513; Andrew, Mitrokhin, 2000, 327-335), Mosca decise di intervenire militarmente. Nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 le unita del Patto di Varsavia incominciarono l'invasione della Cecoslovacchia: una mossa da molti sottovalutata, che spiazzo lo stesso Tito, come fecero credere gli jugoslavi all'am-basciatore statunitense32. Un fatto, dodici anni dopo l'invasione di Bucarest, che fece molto preoccupare gli jugoslavi33. Ma fu contemporaneamente quello anche il momento che mostro agli jugoslavi e ai britannici che i loro interessi potevano convergere. A Belgrado (come pure a Bucarest) condannarono da subito l'invasione. Sebbene Tito nella sua prima presa di posizione pubblica non menziono l'Unione Sovietica (Pelikan, 2008, 191-214), non volendo provocare troppo Cremlino (Režek, 2010, 173), fece - secondo le analisi dei britannici - infuriare Mosca. Risulta evidente che all'inizio gli jugoslavi non manifestarono in maniera diretta a Washington la propria preoccupazione di poter diventare la prossima vittima (Pirjevec, 1993, 360). Durante il colloquio con Tito il 23 agosto l'ambasciatore statunitense a Belgrado ebbe comunque l'impressione che da parte jugoslava le richieste di aiuto materiale o morale potessero sopraggiungere piu in avanti nel tempo34. L'ambasciatore jugoslavo a Washington fece poi capire il 27 del mese al Segretario di Stato americano che il suo paese non era preoccupato e che era dispo-sto a reagire per difendere la propria indipendenza. In quell'occasione ci fu da parte americana l'invito di ri-ferire se ci fossero sviluppi nel senso di pericolo per la Jugoslavia, ma sembra che gli jugoslavi non volessero approfittare della situazione35. Cli jugoslavi espressero le loro paure in maniera diretta piuttosto a Londra e attraverso i britannici vennero 31 TNA FCO 28/1640, Joint Text of Communique Issued at the Conclusion of President Tito's Visit to Rome, March 25-29, 1971, 3. 32 FRUS 1964-1968, XVII, 505-508, No. 190 e 191. 33 Sulle preoccupazioni jugoslave e di alcuni paesi non allineati vedi per es. Jakovina, 2011, 64-65. 34 FRUS 1964-1968, XVII, 508, No. 191. 35 FRUS 1964-1968, XVII, 509-513, No. 192. poi interpellati indirettamente gli americani e l'Allean-za Atlantica e in seguito arrivarono delle rassicurazioni. Dapprima, dunque, il 27 agosto, l'ambasciatore jugo-slavo a Londra cerco di sondare presso il Segretario di Stato Michael Stewart quale atteggiamento il governo del Regno Unito avrebbe adottato in caso di un inter-vento sovietico. Agli inizi del mese successivo i vertici britannici decisero di consultarsi con gli americani e di conseguenza alla fine del mese di settembre e agli inizi di ottobre ci furono a Washington colloqui anglo-a-mericani. Il 12 ottobre gli statunitensi chiarirono il loro punto di vista: il presidente Lyndon B. Johnson, dopo aver ricevuto l'ambasciatore jugoslavo, dichiaro il suo interesse per l'indipendenza, la sovranita e lo sviluppo economico della Jugoslavia. Un'affermazione che venne ripetuta il 18 del mese dal sottosegretario di Stato statunitense Nicholas Katzenbach durante la sua visita di Belgrado. Il 16 novembre poi la NATO dichiaro che un intervento diretto o indiretto dell'Unione Sovietica in Europa avrebbe potuto provocare una crisi internazio-nale con risvolti problematici nel Mediterraneo e infine il 26 novembre il Sottosegretario permanente britannico Paul Core-Booth trasmise all'ambasciatore jugoslavo a Londra il contenuto della dichiarazione NATO. Secondo la documentazione britannica il capo del Foreign and Commonwealth Office riusci dunque ad ottenere dalla NATO un segnale diretto nei confronti di Mosca36. Alcuni autori sostengono che nell'ottobre del 1968 gli anglo-americani si erano gia convinti che la mi-naccia di un intervento sovietico era diminuita e che pure gli jugoslavi erano gia meno preoccupati (Hughes, 2004, 127). Inoltre nel gennaio dell'anno seguente la diplomazia britannica riteneva che, sebbene gli jugoslavi rimanessero preoccupati, era invece da ritenere piu probabile che i sovietici preferissero lo status quo: il loro scopo era piuttosto aumentare il gap tra le nuove forme socialiste e il Patto di Varsavia, ed il loro obiettivo principale rimaneva la diminuzione dell'influenza americana in Europa37. Indipendentemente da cio da parte degli jugoslavi la percezione del pericolo sovietico rimaneva attuale e non mancarono di menzionarlo ai rappresentanti della diplomazia britannica. Questi prontamente riferivano a Londra cercando di sollevare il timore che gli jugoslavi, a causa di problemi interni e poca attenzione da parte dell'Occidente nell'aiutare una economia in crisi, po-tessero essere attratti da Mosca: infatti nell'autunno del 1971, dopo la visita di Brežnev in Jugoslavia, i rapporti in parte migliorarono, mentre i britannici non registrarono grandi cambiamenti nei rapporti dopo la visita di Tito a Mosca, dal 5 al 10 giugno 1972. I diplomatici britannici avvertivano inoltre i superiori che i sovietici avrebbero potuto approfittare delle difficolta interne o della mancanza della leadership di Tito per influire sulla politica interna e piazzare ai posti di comando perso-naggi piu ligi alla disciplina "internazionale"38. Tito evidentemente anche in questa fase non man-co di oscillare tra "Scilla e Cariddi" e nell'ottobre del 1972 la diplomazia britannica percepiva un certo cam-biamento di rotta, ma al contempo anche un nuovo irrigidimento verso Mosca. Se dunque da una parte il capo jugoslavo fece capire a Londra che probabilmente un'aggressione sovietica non era poi piu tanto attuale39 e di li a poco, vennero firmati accordi economici e a livello di tecnologia tra Mosca e Belgrado40, dall'altra, e quasi contemporaneamente, Tito nego alle navi so-vietiche di poter usare il mare jugoslavo. Nelle fila della diplomazia britannica interpretarono tale decisione come intenzione da parte sua di ristabilire - prima di lasciare il potere - l'indipendenza nei confronti dell'Unione Sovietica41. Nelle comunicazioni e commenti dei britannici che seguirono, dal dicembre 1972 in poi, ri-sulta abbastanza evidente questa linea "di mezzo", di questo rapporto di "amore" ciclico con Mosca42. Simile 36 TNA FCO 28/2412, to Sparrow, FCO EESD: Yugoslavia after Tito [1 973]; Annexe A: Yugoslavia - Contingency Planning since 1968; Annexe B: Western Statements etc. in relation to Yugoslavia since August 1968; cfr. TNA FCO 28/2119, The Outlook for Yugoslavia [Draft], 31. 8. 1972, 2, 16, 20. 37 DBPO III/I, No. 23, 112-113. 38 TNA FCO 28/1629, Carvey, The British Ambassador in Yugoslavia to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 76/71, Yugoslavia: Annual Report for 1970, 1. 1. 1971, 4; TNA FCO 28/1647, Belgrade to FCO (No. 49), 29. 1. 1971, 3; Porter, UKDEL NATO to Sparrow, FCO EESD, 10. 2. 1971; TNA FCO 28/1644, Carvey: Interview with Dr. Bakaric, 20. 2. 1971; TNA FCO 28/1 635, Under-Secretary of State for External Affairs Ottawa to Canadian Embassy Belgrade, 25. 6. 1971; Belgrade to FCO, 3. 8. 1971; Her Majesty's [HM's] Ambassador at Belgrade to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 488/71: Mr. Brezhnev's visit, 14. 10. 1971, 3; TNA FCO 28/1645, Sparrow, FCO EESD to Brimelow, Private Office, 11. 8. 1971; TNA FCO 28/2155, Killick, Moscow to FCO (No. 767), 25. 5. 1972; TNA FCO 28/2163, The Queen's State Visit to Yugoslavia: 17-21 October 1972 [September 1972], 6; TNA FCO 28/281 3, Cable to Bullard: Options for Support of Yugoslavia, 4. 2. 1975; DBPO III/I, No. 104, 497-499; DBPO III/II, No. 57, 277-284; in maniera dettagliata anche TNA FCO 28/1 636 e TNA FCO 28/2122. 39 TNA FCO 28/21 65, FCO: Record of a Conversation between the Minister of State for Foreign and Commonwealth Affairs and president Tito, 18. 10. 1972. 40 TNA FCO 28/2410, Stewart, HM's Ambassador at Bucharest [Belgrade] to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 102/73, Yugoslavia: Annual Review for 1972, 19. 1. 1973, 10. 41 TNA FCO 28/2116, Brief for the Meeting of the Political Directors: The Political Situation in Yugoslavia, 2. 11. 1972. 42 TNA FCO 28/2116, Stewart, Belgrade to FCO (No. 608), 6. 12. 1972; Creen, FCO EESD to Bentley, Belgrade, 15. 12. 1972 (lo stesso in TNA FCO 28/2123); TNA FCO 28/2122, Stewart, HM's Ambassador at Belgrade to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 520/72, Yugoslav/Soviet Relations, 14. 12. 1972; TNA FCO 28/2801, Stewart, British Embassy Belgrade to Bullard, FCO EESD, 20. 1. 1975; Stewart: Soviet/Yugoslav Relations, 10. 4. 1975; TNA FCO 28/2816, Burns, British Embassy Belgrade to Creen, era anche il punto di vista di una delegazione america- presse la NATO nel marzo 1971 (con il titolo The Brezh- na nell'aprile del 197343. nev Doctrine and a European Security Conference), se- Nella strategia sovietica - secondo gli jugoslavi - c'e- condo la quale esisteva tra l'altro il pericolo che l'Unio- ra anche l'intenzione di provocare tensioni interne. Da ne Sovietica usasse la forza anche al di fuori del Patto di una parte un appoggio diretto o indiretto alla Bulgaria Varsavia e che questo avrebbe rappresentato il pericolo per la questione macedone che si protraeva da tempo e maggiore per la pace in Europa. Se cio fosse accaduto si ripresento negli anni Settanta, percio i rapporti della in Jugoslavia e in Albania le truppe sovietiche sarebbero Jugoslavia con lo stato vicino venivano giudicati come arrivate fino alla parte meridionale della NATO. Cli stati i peggiori in assoluto44. Dall'altra invece la strategia del occidentali avrebbero dovuto percio criticare la dottrina terrorismo, sia degli ustaša che dei cominformisti, che e cercare di dimostrare che la sua applicabilita avreb- sarebbe stato fomentato in parte anche da Mosca (in be creato molte difficolta a Mosca. Ci si sarebbe potuti parte invece dalla CIA)45. Un quadro molto inquietante; aspettare infine che gli stati cosiddetti neutrali, come la da notare che da parte dei rappresentanti di Londra le Jugoslavia e la Romania, avrebbero potuto tacitamente numerose affermazioni, almeno per quanto concerne le appoggiare una tale politica occidentale47. Una necessi- accuse che ci fosse dietro lo zampino di Mosca, non ta dunque di limitare o addirittura contrastare la minac- venivano rigettate. Una percezione jugoslava dell'om- cia sovietica non solo sul piano strategico-militare ma, bra di Mosca, come se si trattasse della spada di Damo- anzi, in particolare su quello politico e della (contro) cle. Agli occhi degli uomini di Londra questo scenario propaganda. Anche in questo senso il ruolo della Jugo- si ripresento anche negli anni seguenti, tra l'altro anche slavia aveva il suo peso e in prospettiva anche qui pos- dopo la morte di Tito46. siamo notare una convergenza con la Cran Bretagna. Non erano evidentemente solamente paranoie di Tito e della sua cerchia oppure uno dei tentativi di Belgrado CONVERCENZE INTORNO ALLA DISTENSIONE di assicurarsi aiuti economici in cambio della "dissiden- EUROPEA za" nel mondo comunista. Che in Occidente ci fosse la percezione di una certa aggressivita da parte di Mosca Spesso e a ragione al contesto locale della soluzione lo dimostra per esempio l'attenta analisi della dottrina della controversia tra l'Italia e la Jugoslavia viene paral- di Brežnev elaborata in seno alla delegazione britannica lelamente riproposta la Conferenza per la Sicurezza e la FCO EESD, 16. 5. 1975; TNA FCO 28/2959, Cornish to Pike, Head of Chancery, 8. 1. 1976; TNA FCO 28/2960, Stewart, British Embassy Belgrade to Cartledge, FCO EESD: Yugoslavia General, 14. 9. 1976; DBPO III/III, No. 55, 263-273; No. 57, 277-284; No. 81, 393-397. 43 TNA FCO 28/2408, US Delegation: Some possible conclusions regarding Yugoslavia, 16. 4. 1973. 44 TNA FCO 28/1625, Crowe, British Embassy Washington to Sparrow, FCO EESD, 30. 12. 1970; Sparrow, FCO EESD to Crowe, British Embassy Washington, 18. 1. 1971; TNA FCO 28/21 34, Record of a Meeting between the Permanent Under-Secretary and Mr. Jaksa Petric, deputy Foreign Minister of Yugoslavia in the Foreign and Commonwealth Office, 6. 3. 1 972; TNA FCO 28/2410, Stewart, HM's Ambassador at Bucharest [Belgrade] to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 102/73, Yugoslavia: Annual Review for 1972, 19. 1. 1973; TNA FCO 28/2412, EESD, Yugoslavia: Implications of Possible Future Instability, 7. 9. 1 973 (lo stesso in TNA FCO 28/2620); TNA FCO 28/2637, Boothe, British Embassy Belgrade to Creen, FCO EESD, 28. 3. 1974; TNA FCO 28/2622, Cable to Bullard: Yugoslav Minister, 22. 5. 1974; Permanent Delegation of the Kingdom of the Netherlands to the North Atlantic Council: Developments in Yugoslavia (No. 3670), Brussels, 28. 5. 1974, 1-2; TNA FCO 28/2621, Stewart, Belgrade to FCO (No. 127), 25. 5. [1974]; TNA FCO 28/281 3, Cable to Bullard: Options for Support of Yugoslavia, 4. 2. 1975; TNA FCO 28/2961, Stewart, HM's Ambassador at Belgrade to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 103/76, Yugoslavia: Annual Review for 1975, 14. 1. 1976; TNA FCO 28/2798, Burns: Yugoslavia: Internal Developments, 27. 3. 1975; Burns, British Embassy Belgrade to Sullivan, FCO EESD: Current Points of Interest on the Yugoslav Scene, 19. 6. 1975, 4; TNA FCO 28/31 56, Stewart, British Embassy Belgrade, Yugoslavia: Annual Review 1976, 1. 1. 1977; DBPO III/III, No. 55, 263-273; TNA DEFE 13/984, Record of a Meeting between The Secretary of State and The Federal Secretary of National Defence for Yugoslavia in the Ministry of Defence, Belgrade, 20. 4. 1977; TNA FCO 28/391 8, Miller, Belgrade to FCO, 25. 1. 1979; TNA PREM 19/236, Record of a conversation between the Prime Minister and Representatives of the Socialist Republic of Macedonia in Skopje, 29. 9. 1980, 1-2. 45 TNA FCO 28/2801, Stewart, British Embassy Belgrade to Bullard, FCO EESD, 20. 1. 1975; Stewart, Belgrade to FCO (No. 70, 94 e 103), 6. 3., 3. e 8. 4. 1975; to Under-Secretary of State for External Affairs Ottawa: Yugoslav/Soviet Relations: Comments of Soviet Embassy Official, 9. 4. 1975; TNA FCO 28/2961, Stewart, HM's Ambassador at Belgrade to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 103/76, Yugoslavia: Annual Review for 1975, 14. 1. 1976, 8, 10; TNA FCO 28/2802, Murrell, British Embassy Belgrade to Figgis, FCO EESD, 30. 12. 1975; TNA FCO 28/2798, Rennie, EES RD to Sullivan: Belgrade Chat - Parts 1 and 2, 9. 10. 1975; Belgrade, Reuter, 2. 10. [1975]; Rennie, EES RD to Figgis: Dapčevic, the Missing Cominformist, 3. 10. 1975; Shea to Fletcher: The Dapčevic Case, 21. 10. 1975; Stewart: Cminformist in the Vojvodina, 22. 12. 1975; Cresswell, British Embassy Brussels to Thomas, Belgrade, 30. 12. 1975; TNA FCO 28/2959, Murrell, British Embassy Belgrade to Figgis, FCO EESD: Cominformists, 30. 12. 1975; Cresswell, British Embassy Brussels to Sullivan, FCO EESD: The Dapcevic Case, 13. 1. 1976; TNA FCO 28/2960, Murrell, British Embassy Belgrade to Figgis, FCO EESD: Trial of Dapčevic, 21. 6. 1976; Murrell, British Embassy Belgrade to Figgis, FCO EESD: Dapčevic, 7. 7. 1976; Booth to Figgis, FCO EESD: Dapčevic, 14. 7. 1976. 46 TNA FCO 28/3909, [Wood]: A Final Analysis, [end of April 1979], 12; TNA PREM 1 9/237, FCO EESD Brief: The Prime Minister's Visit to Yugoslavia for President Tito's Funeral, A. Yugoslavia, 1. Background Note on Yugoslavia's internal situation and foreign policy with annexes, 6. 5. 1980. 47 DBPO III/I, No. 62, 317-319. Cooperazione in Europa - quel processo di distensione in Europa che ha portato negli anni Settanta i due bloc-chi contrapposti a confrontarsi intorno a un "tavolo co-mune". L'approvazione, quattro mesi prima degli Accor-di di Osimo, da parte dei 35 stati del documento finale di Helsinki, aveva infatti tra l'altro sancito il principio dell'inviolabilita dei confini sul "vecchio continente". Sebbene a livello multilaterale le discussioni pre-paratorie per la Conferenza iniziarono nel novembre del 1972, e poi in luglio dell'anno successivo i lavo-ri in forma plenaria incominciarono formalmente (per concludersi tra il 31 luglio e il primo agosto 1975 con gli Accordi di Helsinki), la strada verso questo tipo di distensione in Europa era lunga. Venne spesso proposta dai sovietici e secondo il loro punto di vista gia nel 1917 Lenin aveva mostrato - ovviamente nell'ottica dell'ide-ologia marxista - la via verso soluzioni pacifiche (un gesto che gli valse addirittura la nomination da parte del Partito social-democratico norvegese per il Nobel della pace), poi, dagli anni Trenta, la diplomazia di Mo-sca aveva incominciato, invano, a proporre di discutere della sicurezza in Europa (Bykov, 1974, 97). Nel dopo-guerra, dal 1954 in poi, il Cremlino propose un paio di volte che si organizzasse una grande conferenza sulla sicurezza in Europa48. Nel 1955, tra il 18 e il 23 luglio, si svolse a Cinevra tra alcune potenze di entrambe le parti una conferenza tra l'altro in merito alla sicurezza europea: nell'occasione erano all'ordine del giorno anche questioni sulla possibilita di riunificare la Cer-mania, sul disarmo e la possibilita che l'Est e l'Ovest avessero dei contatti. Nel 1958 e 1959 la riproposta questione di una comune sicurezza europea era in pra-tica legata alle sorti della Cermania. Cli occidentali, tra i quali la Cran Bretagna, dal canto loro ponevano le proprie condizioni. Un dialogo vero e proprio riusci a decollare dopo la crisi cubana del novembre 1962, ma solamente per quello che riguardava gli accordi volti a ridurre qualitativamente e quantitativamente gli effetti della cosiddetta corsa al riarmo e la cosiddetta non pro-liferazione nucleare (conosciuta in seguito come Tratta-to per la limitazione degli armamenti strategici, ovvero SALT - Strategic Arms Limitation Talks, che venne sigla-to tra l'Unione Sovietica e gli USA negli anni Settanta), nella quale erano coinvolti, oltre alle due superpotenze, almeno in parte alcuni stati europei (Lindley-French, 2007, 51, 60-61, 63, 68). Nel dicembre del 1964 ci fu un altro approccio sebbene molto timido e nuovamente infruttuoso per una conferenza sulla sicurezza europea. Il ministro degli esteri polacco Adam Rapacki, durante l'assemblea generale dell'ONU, fece una proposta in tal senso, che venne ripresa in gennaio dell'anno successivo dal Comitato politico consultivo del Patto di Varsa-via. Nel luglio 1966 il blocco sovietico si fece di nuovo promotore in questo senso. Questi approcci videro sfu-mare ogni possibilita di successo con l'intervento sovietico contro la Cecoslovacchia nel 1968. L'anno suc-cessivo fu nuovamente il Patto di Varsavia a riproporre l'idea di una conferenza comune europea49, come pure nel marzo del 1971 durante il 24° congresso del Partito Comunista Sovietico (Bykov, 1974, 98). Londra percepiva tali "aperture" con molto scettici-smo, ritenendole come uno dei tentativi di Mosca sia per indebolire la presenza militare statunitense e della NATO in Europa, che per poter formalizzare ovvero ri-badire lo status quo e dunque la propria egemonia sui paesi dell'Est50. I funzionari del Ministero per gli affari esteri britannico erano gia dagli anni Cinquanta con-sapevoli che i sovietici erano per cio disposti anche all'uso della forza (e, com'e noto, la usarono nel giugno 1953 a Berlino, nel giugno 1956 a Poznan e in ottobre e novembre dello stesso anno in Ungheria, oltre che in certi casi di soppressioni violente contro agitazioni in alcune regioni interne dell'Unione Sovietica), ma rite-nevano alla fine del decennio successivo che Mosca, dalle minacce contro le riforme, figlie della cosiddetta "primavera di Praga", non avrebbe osato passare ad un intervento militare. Si sbagliarono. L'intervento, come gia accennato, sorprese Londra e le altre potenze occidentali (Hughes, 2004, 118, 125-126, 132). Tanto piu, dunque, si puo comprendere quello scetticismo britannico nei confronti delle proposte di una conferenza europea. Avere percio qualche alleato in questo senso era per la Cran Bretagna molto importante. Ancor prima della ritorsione contro Praga i britan-nici erano infatti del parere che i loro rapporti con gli jugoslavi fossero piu che buoni e che avessero in loro un buon alleato nel contrastare le proposte per un Conferenza. Verso la fine di giugno del 1968 valutarono per esempio molto positivamente la visita in Jugoslavia, dal 5 al 10 del mese, del loro ministro per gli affari esteri Michael Stewart. Il punto di vista del governo jugoslavo sui problemi tra l'Est e l'Ovest era infatti allora simile al punto di vista di Londra, che vedeva anche con piacere che neanche gli jugoslavi fossero favorevoli ad una im-mediata conferenza sulla sicurezza europea51. Nelle re-lazioni della diplomazia britannica risulta che gli jugoslavi ritenevano la CSCE come una buona occasione per indebolire l'egemonia sovietica e la dottrina di Brežnev, o che ci si dovesse astenere dall'intervenire nelle fac-cende interne degli stati; emerge inoltre che gli stessi 48 Per es. FRUS 1969-1976, XVI, 300, No. 86; FRUS 1969-1976, XXXIX, 932, No. 323; CIA FOIA, ERR, doc. 0000283803, National Intelligence Analytical Memorandum 11-9-74: Soviet Detente Policy, 23. 5. 1974, 2-6; doc. 0000498586, CIA Memorandum, CSCE: The View from Moscow, 18. 7. 1975, 1. Vedi pure Nuenlist, 2008, 202; Rey, 2008; Lindley-French, 2007, 46-48. 49 DBPO III/II, No. 5, 25; cfr. con il punto di vista sovietico in Bykov, 1974, 98. 50 DBPO III/II, No. 5, 24-33; cfr. No. 3, 18-20; No. 68, 250-251. 51 TNA CAB 128/43/31, CC(68) 31st Conclusions of a Meeting at the Cabinet, 20. 6. 1968, 6. jugoslavi mostravano una certa contrarieta rispetto alla conferenza perche essa avrebbe spostato gli equilibri di forza in Europa. In generale i britannici notarono che gli jugoslavi erano contrari ad un indebolimento della NATO (questo era uno degli obiettivi principali di Mo-sca) e che il loro atteggiamento era parecchio diverso dai membri del Patto di Varsavia (simile era anche l'at-teggiamento della Romania)52. Nelle fasi preparatorie per la CSCE i punti di vista degli jugoslavi erano spesso diversi dai piani sovietici (e questi non mancavano di certo di criticare le proposte di Belgrado53), ma in parte anche da quelli statunitensi e in certi casi anche da quelli britannici54. Londra era per esempio contraria che la partecipazione alla CSCE venisse allargata a tutti i paesi mediterranei (come pure non condivideva l'idea di Moro di organizzare una conferenza apposita per il Mediterraneo55; in seguito in parte modifico questo atteggiamento, potremmo de-durre poiche la questione della sicurezza mediterranea avrebbe creato problemi a Mosca, e in questo "gioco" la Jugoslavia aveva un certo peso56). Divergenze che pero non rovinarono i rapporti tra britannici e jugoslavi, cosi che sembra - stando alla documentazione presa in esa-me - che durante i lavori preparatori e la Conferenza negli anni 1973-1975 gli jugoslavi e i britannici riusci-rono a trovare parecchi punti in comune, spesso non pubblicamente57. La CSCE veniva da una parte vista da Londra come un efficace deterrente contro le intenzioni sovietiche nei confronti della Jugoslavia58, ma dall'altra alcuni diplo-matici britannici non si facevano facili illusioni poiche ci si rendeva conto che in fondo la Conferenza avrebbe potuto offrire agli stati "dissidenti" solamente un appog-gio psicologico, di sicuro pero non si trattava di una difesa concreta davanti alle minacce sovietiche59. La convergenza tra Londra e Belgrado per quanto ri-guardava la sicurezza collettiva derivava anche dai loro rapporti politici che videro nella prima meta degli anni Settanta un salto di qualita. Nella situazione creatasi dopo l'invasione della Cecoslovacchia, Londra prese delle drastiche contromisure politico-diplomatiche: tra esse, a livello europeo, i suoi ministri per circa un anno interruppero i viaggi in Unione Sovietica e nei paesi del cosiddetto Est, tranne per quanto riguardava la Romania. Intanto pero alcuni stati occidentali erano meno re-ticenti nel riallacciare il dialogo con i paesi socialisti (in particolare la Francia, la Repubblica federale tedesca60 e anche l'Italia), mentre il riavvicinamento britannico procedeva a rilento. Agli inizi del 1972 il ministro degli esteri Alec Douglas-Home propose di cambiare rotta -una specie di Ostpolitik britannica. In questo riteneva la visita del primo ministro britannico in Jugoslavia come prioritaria rispetto agli altri paesi dell'Est. Inoltre voleva proporre agli altri ministri di recarsi in visita nello stato jugoslavo (come pure nei paesi del Patto di Varsavia)61. In effetti, lo scambio di visite dei vertici anglo-jugosla-vi riprese nuovo vigore. Gia la breve visita di Tito nel novembre del 1971 a Londra venne valutata dal gover-no britannico come un successo, poiche l'ospite ribadi che la sua nazione non avrebbe permesso interferenze sovietiche62, ci fu poi la visita di grande prestigio della regina in Jugoslavia nell'ottobre dell'anno seguente, Tito ritorno poi a Londra nel 1978 e dopo la sua morte Margaret Thatcher visito lo stato jugoslavo (settembre 1980), per citare solamente le visite piu importanti. La visita della "Iron Lady", dal 24 al 26 settembre, era anche la prima visita di un premier britannico in Jugoslavia (con l'eccezione del funerale di Tito). Veniva cosi riconfermata la volonta di continuare ad offrire sup-porto alla politica jugoslava per la sua indipendenza e il non-allineamento. Avevano discusso degli armamen-ti, della riconferma di buoni rapporti a livello politico, nel cosiddetto rispetto dei comuni interessi, degli scam-bi commerciali e dei crediti ecc. (non abbiamo tratta-to in questa sede la questione economica per motivi di spazio). In merito alla situazione internazionale le due parti mostrarono convergenze di vedute, per esempio per quanto riguardava la Polonia (alla fine di agosto di quell'anno nasceva il sindacato libero Solidarnošč). Gli jugoslavi erano del parere che le richieste di cambia- 52 53 54 55 56 57 58 59 60 DBPO III/I, 319-320; No. 46, 234-235; No. 95, 467-471; DBPO III/II, No. 5, 24-33; TNA FCO 28/1629, Garvey, The British Ambassador in Yugoslavia to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 76/71, Yugoslavia: Annual Report for 1970, 1. 1. 1971; TNA FCO 28/2134, Record of a Meeting between the Permanent Under-Secretary and Mr. Jaksa Petric, deputy Foreign Minister of Yugoslavia in the Foreign and Commonwealth Office, 6. 3. 1 972. DBPO III/II, No. 21, 92. TNA FCO 28/2165, FCO: Record of a Conversation between the Minister of State for Foreign and Commonwealth Affairs and president Tito, 18. 10. 1972. DBPO III/II, No. 10, 46-49. DBPO III/II, No. 17, 77; No. 20, 90; No. 21, 93. Per una posizione invece contraria alla questione mediterranea vedi No. 57, 215. Per es. TNA FCO 41/1 783, FCO to Belgrade (No. 29), 29. 1. 1975; Talking Notes on Yugoslavia and European Security and Cooperation [January o February 1975]; Booth, British Embassy Belgrade to Figgis, FCO WED, 4. 6. 1975; cfr. TNA FCO 41/1579, Adams, Western Organisations Dept to Burns, WOD FCO: CSCE: Yugoslav Proposal on National Minorities, 3. e 20. 5. 1974; DBPO III/II, 19. TNA FCO 28/2414, Fielding, Planning Staff to Green, FCO EESD: Scenarios for Yugoslavia, 22. 1. 1 973. DBPO III/II, No. 28, 112. Sul notevole miglioramento dei rapporti tra la Germania Ovest e la Jugoslavia alla fine degli anni Sessanta vedi in particolare Nečak, 2013a e Nečak, 2013b. DBPO, III/I, No. 89, 438-446; cfr. TNA FCO 28/1645, Sparrow, FCO EESD to Brimelow, Private Office, 11. 8. 1971. TNA CAB 128/49/55, CM(71) 55th Conclusions, 11. 11. 1971, 3. mento in Cecoslovacchia nel 1968 provenivano dagli intellettuali e dal partito, mentre in Polonia dalla classe dei lavoratori e probabilmente le ripercussioni sarebbe-ro state molto piu ampie per l'Europa dell'Est e il mondo intero; inoltre gli jugoslavi ritenevano che l'Unione So-vietica aveva sicuramente preso in considerazione l'uso della forza, decidendo fino ad allora di non usarla63. AIUTARE LA JUGOSLAVIA: QUEL CORDON SANITAIRE STRATECICO-MILITARE TRA L'EST E L'ADRIATICO Nell'estate "calda" del 1968 anche l'Italia fece la sua parte, probabilmente in linea con la NATO. Agli jugoslavi assicuro infatti, il 2 di settembre, che non avrebbero dovuto temere alcuna minaccia dal versante italiano, per poter cosi concentrare le proprie forze militari verso l'Est (Monzali, 2004, 53; Bucarelli, 2008, 38; Bucarelli, 2013, 39). Dunque - stando alla documen-tazione - prima delle rassicurazioni anglo-americane e della NATO64. Un appoggio apprezzato da Tito che non manco di farlo notare durante la sua visita a Roma, ag-giungendo nel contempo che i suoi timori erano piutto-sto rivolti verso i Sovietici e il Patto di Varsavia che nei confronti della NATO e inoltre che era deciso a portare il proprio paese il piu possibile all'interno delle integra-zioni europee occidentali65. Il gesto dell'Italia nei confronti dello stato vicino va inserito nel contesto della posizione strategica dello stato jugoslavo nei piani difensivi della NATO - e con cio anche dell'Italia e viceversa della Jugoslavia - per arginare eventuali interventi sovietici nei Balca-ni e nel Mediterraneo. In gioco c'era pero anche una delle questioni non risolte che riguardava direttamente l'Italia e in generale la NATO. Se nei giorni prima della firma del Memorandum di Londra del 1954, come scrive in una delle migliori ricostruzioni della soluzione del "problema Trieste" Massimo De Leonardis, basan-dosi su documentazione del Foreign Office, "[...] gli italiani furono rassicurati sul fatto che le truppe italiane di stanza nella ex-Zona A avrebbero goduto della co- pertura della NATO." (De Leonardis, 1992, 487-488)66, la questione - secondo noi - non poteva ritenersi del tutto risolta. Avendo, come gia menzionato, per lo stato italiano (come pure per i britannici) il Memorandum so-lamente valenza provvisoria, potrebbe risultare qui, su un confine non del tutto definitivo, molto problematico un intervento dell'Alleanza atlantica in difesa di uno de-gli stati membri. Che sia stata questa una delle ragioni di fondo che avrebbe spinto Washington a far pressio-ne su Roma e Belgrado per risolvere definitivamente il problema Trieste, e in particolare fino a quando c'era ancora Tito in sella, e una delle tesi che varebbe la pena indagare a fondo. In questo senso risulta interessante una comunica-zione britannica da Washington sull'incontro di meta aprile 1974 tra il Segretario di Stato americano Henry Kissinger e l'ambasciatore italiano Egidio Ortona. Il capo dello State Department aveva fatto capire che gli Stati Uniti seguivano con preoccupazione la situazio-ne (la crisi tra l'Italia e la Jugoslavia nella primavera di quell'anno67) e che il governo italiano avrebbe dovuto risolvere la questione della zona B. Ortona aveva espo-sto i principali nodi della controversia e che l'Italia era disposta alle trattative ma voleva risolvere anche altre questioni aperte. Uno dei collaboratori di Ortona, che voleva rimanere anonimo, spiego infine ai britannici il vero motivo della visita dell'ambasciatore italiano: voleva chiedere a Kissinger se potesse lui a sua volta chiede-re agli jugoslavi se sarebbero stati disposti ad accettare che la parte italiana riconoscesse loro la sovranita sulla zona B in cambio di una "soluzione globale" che pre-vedesse tutti i problemi principali irrisolti, tra l'altro le compensazioni per le proprieta degli italiani che furono nazionalizzate e una delimitazione precisa tra i due stati. La fonte anonima sosteneva infine di aver visto le istruzioni dello State Department all'ambasciata statu-nitense di Belgrado di far presente in modo urgente agli jugoslavi la proposta68. Che ci sia stato di conseguenza lo "sblocco" delle trattative che hanno portato finalmen-te a risolvere i problemi ovvero che la potenza americana fosse riuscita ad esercitare quelle "giuste" pressioni 63 TNA PREM 19/236, Belgrade to FCO (No. 274): Prime Minister's Visit to Belgrade, 25. 9. 1980; Record of Conversation between the Prime Minister and President Mijatovic in Belgrade, 25. 9. 1980; Record of Conversation at Breakfast between the Prime Minister and Leading Yugoslav Personalities in Belgrade, 25. 9. 1980; Visit to Creece (22-24 September) and Yugoslavia (24-26 September), [October 1980], 2. 64 Jože Pirjevec scrive (1993, 420) che ad offrire a Tito garanzie di carattere militare c'erano oltre all'Italia anche gli altri stati della NATO (cfr. Škorjanec, 2001, 470). 65 TNA FCO 28/1640, Rogers, Rome 350, 6. 4. 1971, 2-3. 66 Vale la pena ricordare che secondo l'altro specialista, Jože Pirjevec (2006a, 17-18), ed anch'egli si basa sulle fonti del Foreign Office, gli americani e i britannici non risposero alla domanda di Roma se dopo il ritorno dell'Italia a Trieste intendessero estendere le garanzie della NATO su questo territorio. 67 Agli inizi del 1974 le autorita jugoslave decisero di forzare lo stallo nelle trattative innalzando nei punti di transito tra la "Zona A e B" la scritte che si trattava di territorio statale: il che provoco forti polemiche e tensioni tra le due parti. Dalla documentazione di Londra risulta che la diplomazia britannica seguiva con molta attenzione tutte le fasi di questa disputa (in particolare TNA FCO 28/2637 e TNA FCO 28/2638; cfr. TNA FCO 51/391, Memorandum cit., 9-11). 68 TNA FCO 28/2638, Cornish, British Embassy Washington to Hulse, FCO WED, 30. 4. 1974. Sulle "pressioni" di Kissinger cfr. Bucarelli, 2008, 70; Imperato, Monzali, 2011, 56. Che ci sarebbero state probabilmente pressioni internazionali sull'Italia vedi i pareri in Cattaruz-za, 2007, 335, 342-343. a Roma e Belgrado non possiamo dirlo con certezza, ma come risulta, in particolare dagli studi di Viljenka Škorjanec, proprio il mese dopo, nel maggio del 1974, venne attivato il cosidetto canale segreto dei due rap-presentanti, Eugenio Carbone da una parte e Boris Šnud-erl dall'altra69, che in effetti riuscirono con trattative top secret a trovare le soluzioni che vennero poi confermate a livello ufficiale con gli Accordi di Osimo (Škorjanec, 2006a; Škorjanec, 2006b; Škorjanec, 2007). Resta comunque il fatto che la sicurezza italiana sul versante orientale dipendeva molto dalla Jugoslavia. Se ne resero conto addirittura gia alcuni politici italiani durante la Prima Cuerra Mondiale, ma le loro visioni, per dirla come scrisse uno dei maggiori esperti britannici della storia del "Belpaese", erano soppresse dall'isteria nazionalista e in seguito fascista (Seton-Watson, 1980, 175). Nel secondo dopoguerra la percezione di sicurezza "adriatica e mediterranea collettiva" venne ripresa con vigore dalle strutture militari (o difensive) occiden-tali e in particolare a Washington, ma anche a Londra: dopo l'espulsione dal Cominform del 1948, in particolare dal 1949 e tanto piu dopo il fallimento nel periodo 1950-1952 del progetto di una difesa comune europea - e in fondo piu autonoma dalla NATO - la Comunita europea di difesa (European Defence Community), fino alla meta degli anni Cinquanta e tra l'altro con la so-luzione del problema triestino nel 1954. Ci fu anche il tentativo - non del tutto riuscito - con il Patto balcani-co: da una parte due membri dell'Alleanza Atlantica, la Crecia e la Turchia, e dall'altra la Jugoslavia che si vide cosi negli anni 1953-1955 avvicinarsi notevolmen-te e in maniera indiretta alla NATO70. Alla diplomazia britannica negli anni Cinquanta non sfuggi che anche i colleghi della Farnesina pensavano che per la sicurezza nazionale il paese dall'altra parte dell'Adriatico potesse svolgere un certo ruolo71. Ovviamente dopo i tentativi di riavvicinamento di Tito a Mosca ci furono in questo sen-so anche degli alti e bassi, essendo la Jugoslavia sempre in bilico tra l'Est e l'Ovest (per es. Valdevit, 1992, 104, 126-127). Durante la crisi cecoslovacca del 1968 tra i diplo-matici italiani veniva riproposta l'idea dell'utilita stra-tegica jugoslava come scudo contro possibili avanza-te dell'Unione Sovietica e/o dei suoi alleati (Monzali, 2004, 52-53; cfr. Mišic, 2013, 57-58). Alla fine degli anni Sessanta, come scrive Massimo Bucarelli, per gli allora vertici italiani, Pietro Nenni e Ciuseppe Saragat, "[...] la vera frontiera orientale italiana era quella della Jugoslavia con le vicine democrazie popolari e non quella che correva lungo l'Isonzo." (Bucarelli, 2013, 39; cfr. Bucarelli, 2011, 137). Non a caso dunque poco prima di Osimo Moro dichiaro che era interesse dell'Italia che la "[...] Jugoslavia sia indipendente, integra, tranquilla. In queste condizioni noi non siamo esposti, ma difesi sulla frontiera orientale." (Imperato, Monzali, 2011, 52-53) e in seguito alla firma degli Accordi il governo italia-no auspico che la Jugoslavia fosse forte e indipendente (Seton-Watson, 1980, 176). In altre parole, la Jugoslavia di Tito - sebbene con un regime comunista autoritario ma indipendente da Mosca - rappresentava una sorta di cordon sanitaire tra l'Est e l'Adriatico strategicamente molto importante per l'Italia e per l'Occidente72. Dall'altra parte anche il ruolo dell'Italia aveva una certa importanza strategica per gli jugoslavi. Dalla do-cumentazione americana analizzata da Massimo Bucarelli risulta che tra gli jugoslavi il gesto di Roma al mo-mento della crisi cecoslovacca veniva visto con molto favore e di seguito nel gennaio del 1969 ci furono anche i primi contatti tra gli ambienti militari dei due paesi; inoltre, nella primavera-estate 1971, il governo jugo-slavo sentendosi nuovamente minacciato dai sovietici continuava a chiedere la collaborazione militare dell'Italia. Le richieste andavano anche nella direzione dello scambio di informazioni, della fornitura di armamenti e collaborazioni tra i rispettivi Stati Maggiori e, addirittura, si fece riferimento alla possibilita di giungere ad una sorta di alleanza che avrebbe permesso all'aviazione jugoslava di utilizzare basi italiane, una collaborazione delle due marine per una difesa comune delle coste adriatiche e l'intervento delle truppe italiane in territo-rio jugoslavo in caso di aggressione sovietica. A Roma ci si rendeva conto dell'importanza strategica e politica dello stato vicino ma preferirono intavolare una collaborazione senza sottoscrivere un accordo formale. Una linea intermedia condivisa dagli Stati Uniti. Ovviamente la non risolta questione del confine rappresentava un ostacolo alla piena e leale collaborazione tra i due paesi (Bucarelli, 2008, 38-44). Bisogna pero qui aggiungere di come - secondo Marina Cattaruzza, sulla base di fon-ti primarie - in seno alle principali forze della NATO 69 Il "canale segreto" era stato precedentemente concordato durante l'incontro a Dubrovnik (19. e 20. 3. 1973) tra i ministri degli esteri Miloš Minic e Ciuseppe Medici (per es. Škorjanec, 2001). 70 La posizione strategica jugoslava in funzione difensiva dell'Occidente negli anni Cinquanta e stata gia ampiamente trattata (per es. Bekic, 1988; Heuser, 1989; De Leonardis, 1992, 22-27, 134-160, 273, 449-454, 465-466; Valdevit, 1992, 30-32, 51-53, 91-93, 97; Lane, 1994, 29-34; Stone, 1994; Valdevit, 1995; Varsori, 1995, 67-72; Valdevit, 1999, 159-165, 168-1 71; Jakovina, 2003, 384-389; Miloševic, 2007; Pirjevec, 2007, 430, 471; Bucarelli, 2008, 25-26; Miloševic, 2008; Mljač, 2008, 145, 147; Pirjevec, 2011a, 298, 300, 302-304; Lakovic, 2011, 444). 71 TNA FO 482/9, Clarke, Rome to Macmillan (No. 118): The Effects of Recent Events in Austria and Yugoslavia on Opinion in Italy, 28. 5. 1955. 72 Anche uno degli annalisti americani, Robert D. Putnam (1978, 340-341), aveva tra l'altro sostenuto alla fine degli anni Settanta che per i comunisti italiani e in generale l'Italia, lo status jugoslavo non allineato e fuori dalla dipendenza sovietica rappresentava un interesse vitale, essendo in pratica una difesa strategica sia per i confini statali che in generale per la NATO. (Stati Uniti, Cran Bretagna, Francia e Cermania Ovest), un mese dopo la firma degli Accordi, un coinvolgimen-to militare italiano nel caso di una invasione sovietica della Jugoslavia dopo la morte di Tito era visto come problematico (Cattaruzza, 2007, 344). La documentazione di Londra conferma l'importan-za strategica interdipendente per i due stati. Un proba-bile intervento sovietico in Jugoslavia avrebbe infatti avuto ripercussioni molto serie per la NATO nella parte dell'Europa sud orientale aumentando la minaccia diret-ta per l'Italia e gli altri paesi mediterranei, in primis la Crecia. Ovviamente i britannici erano ben consapevoli che il ruolo principale spettava agli Stati Uniti73 e alla fine del 1975 notarono che l'interesse di coinvolgere gli altri paesi non era stato mai cosi sottolineato dagli ame-ricani come in quel momento. In questo senso secondo i britannci anche la partecipazione italiana sarebbe sta-ta indispensabile. Dall'ambasciata britannica a Washington pero avvertivano di tener conto dell'interdipenden-za delle forze della NATO in questa parte del mondo: " Naturalmente, ad esempio, sarebbe impossibile per gli americani attivare le forze attraverso Udine qualora il governo italiano non fosse d'accordo"74. L'interesse di Londra si puo intravedere anche dal fatto che il Foreign and Commonwealth Office era molto interessato a carpire quali aiuti l'Italia era disposta a fornire allo stato vicino. L'addetto navale presso l'amba-sciata britannica a Roma supponeva che si trattasse di apparecchi radio "Selenia"75. Dal canto suo anche Londra intendeva offrire colla-borazione diretta sul piano militare alla Jugoslavia. Un tema interessante che per motivi di spazio possiamo qui solamente accennare. Durante la visita a Londra dal 23 al 26 febbraio 1970 il primo ministro jugoslavo Mitja Ribičič manifesto per primo il forte interesse per l'acqui-sto di attrezzature di difesa76. Sebbene ci fosse da allora molta volonta da parte della Jugoslavia, il problema della fornitura degli armamenti - in particolare quelli di alta tecnologia - all'Esercito jugoslavo, non si concretizzo per circa 5 anni. Dalla documentazione risulta in questo senso molto interessante l'analisi dell'ambasciatore Stewart alla fine del 1973. Da una parte avvertiva Londra di non sbilanciarsi troppo nell'accettare le richieste sempre piu frequenti, poiche la Jugoslavia dopotutto oscillava continuamente tra l'Est e l'Ovest, dall'altra pero bisognava tener conto di dover in qualche modo aiutare Tito anche nel campo militare. Stewart ricordo ai superiori che agli inizi degli anni Cinquanta la Cran Bretagna aveva incominciato a vendere per oltre die-ci anni armamenti all'Esercito jugoslavo e suoi ufficiali presero parte a corsi di addestramento in Cran Bretagna. Una collaborazione che si interruppe alla meta degli anni Sessanta quando il governo di Sua Maesta valuto che la Jugoslavia era diventata nuovamente uno stato comunista pericoloso, a differenza pero degli Stati Uniti, che - secondo Stewart - per fortuna continuarono a rifornire gli jugoslavi. Un atteggiamento dunque piu intransigente da parte dei governi di Londra, che conser-varono questa linea severa anche dopo l'invasione della Cecoslovacchia del 1968. Appena nel 1972 si registrarono i primi cambiamenti positivi. Una nuova stagione veniva inaugurata dall'allora ministro per la difesa bri-tannico Peter Carrington che alla fine del 1973 si reco personalmente in Jugoslavia77. Le sue dichiarazioni hanno un po' frenato gli entusiasmi dalla parte dei vertici militari jugoslavi, in particolare il Ministro per la Difesa Jugoslava il generale Nikola Ljubičic. A raddrizzare il tiro ci penso il Capo di Stato Maggiore della Difesa Bri-tannico, il Filed Marshal Michael Carver, durante la sua visita in Jugoslavia nell'aprile del 1975. In seguito au-mentarono notevolmente gli scambi dei vertici militari, finche anche Ljubičic all'inizio di luglio 1975 fece visita - la prima di un ministro per la difesa Jugoslavo - nel Regno Unito. Le sue richieste erano ad un certo punto anche troppe per Londra. Intanto gli ufficiali jugoslavi ripresero a seguire i corsi specializzati britannici e il Foreign and Commonwealth Office era molto favorevole a questo78. Tra i britannici si erano insomma convinti che 73 Oltre a molti documenti in TNA DEFE 11/862, vedi per es. TNA FCO 28/1647, FCO to Davidson, UKDEL NATO, 28. 1. 1971; Belgrade to FCO (No. 49), 29. 1. 1971; TNA FCO 28/2119, UD of S (RAF) to Secretary of State (V.23/72/7/538), 16. 8. 1972; Naire, DUS(P) to PS/ Secretary of State: Yugoslavia, 2. 10. 1972; Douglas-Home, FCO to Hague (No. 206), 5. 10. 1972; Ambassador Ducci and Yugoslavia, 16. 10. 1972; TNA FCO 28/2408, Bullard, EESD to Brimelow: The Future of Yugoslavia, 31. 10. 1973; TNA FCO 28/2620, Creen, EESD to Mars-den, European Integration Department: The Political Committee on 10 and 11 January: Yugoslavia, 7. 1. 1974; TNA FCO 28/2622, Stewart, British Embassy Belgrade to Bullard, EESD, 28. 5. 1974; TNA FCO 28/2798, Stewart, 19. 2. 1975 e The Kosovo, 19. 2. 1975; Burns: The "Second Letter", 19. 3. 1 975; Burns: Odds and Ends, 14. 4. 1975: Information picked up during the Weekend 11, 12 and 13 April [1975], [1]-3; TNA FCO 28/2813, Morton, Vice Admiral, Assistant Chief of the Defence Staff (Policy): Chiefs of Staff Committee Defence Policy Staff, Changes in Threat to NATO and Options for UK Reaction arising from Warsaw Pact pressure on Yugoslavia (DP Note 203/75(Final)), 3. 6. 1975, 4, 6, 9 e Annex A: DIS Input to MOD Study on Yugoslavia e Annex B: Draft Submission to the Secretary of State. 74 TNA FCO 28/2803, British Embassy Washington to Cartledge, EESD, 4. 12. 1975. 75 TNA FCO 28/1640, Sparrow, FCO EESD to Wood, Rome, 15. 4. 1971; Wood, British Embassy Rome to Sparrow, FCO EESD, 8. 6. 1971. 76 TNA CAB 128/45/10, CC (70), Conclusions of a Meeting of the Cabinet, 26. 2. 1970, 3; TNA FCO 28/1629, Carvey, The British Ambassador in Yugoslavia to the Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs, Diplomatic Report No. 76/71, Yugoslavia: Annual Report for 1970, 1. 1. 1971, 4-5. 77 TNA DEFE 11/862, Stewart, HM's Ambassador at Belgrade to the Secretary of State, FCO, Diplomatic Report No. 130/74: Lord Car-rington's Visit to Yugoslavia, 5. 12. 1 973. 78 TNA DEFE 13/984, Stewart, HM's Ambassador at Belgrade to the Secretary of State, FCO, Diplomatic Report No. 174/75: Yugoslavia: Defence Attache's Annual Report, 4. 3. 1975; Cassels for CDS: Note of Discussions during Visit to Yugoslavia 22-25 April 1975 (1227/19), 28. 4. 1975 (lo stesso in TNA DEFE 11/862); Meeting between the Defence Secretary and His Excellency Ceneral Nikola Ljubicic, con gli Jugoslavi - sempre in bilico tra Mosca e l'Occi-dente - gli eventi bisognava anticiparli, tra l'altro con gli aiuti militari79. Negli anni seguenti, a causa di un nuovo riavvicinamento di Tito a Mosca, si verificarono nuove difficolta nella vendita delle armi, che pero ripresero nel 1980 quando la Cran Bretagna sarebbe diventata addi-rittura per la Jugoslavia il primo partner militare tra gli stati occidentali, sebbene non mancasse lo scetticismo britannico di vendere armamenti considerati sensibili e di alta tecnologia80. CONCLUSIONI L'analisi delle fonti diplomatiche britanniche ha di-mostrato che la Cran Bretagna dava molta attenzione alla soluzione della controversia confinaria tra la Jugoslavia e l'Italia; contemporaneamente era molto interes-sata ai rischi jugoslavi in quell'estate "calda" del 1968 e nel decennio successivo81. Nella politica britannica il contesto locale (ovvero italo-jugoslavo) della visita di Tito a Roma nel marzo 1971 veniva percepito come interdipendente al contesto internazionale quando bisognava a tutti costi prevenire il pericolo (diretto o in-diretto) sovietico. Risolvere la ormai "vecchia questione triestina" e con cio consolidare i rapporti italo-jugoslavi poteva giovare alla politica di Tito per conservare l'indi-pendenza da Mosca, sia a livello politico che militare. L'Italia e la Jugoslavia erano infatti legate tra loro nella comune difesa nel caso di una invasione sovietica. Non a caso dopo la firma degli Accordi di Osimo e dopo la loro ratifica nella primavera del 1977 uno dei diplomatici britannici da Belgrado riferi ai superiori la seguente constatazione: [...] gli jugoslavi possono ora, se lo desiderano, deviare le forze che in precedenza erano sempre di stanza in Slovenia e Croazia, nel caso in cui la controversia dovesse infiammarsi in una guerra, in altre parti del paese. Tradizionalmente, le unitä jugoslave sono state stanziate in gran numero in queste due repubbliche, dove ci sono molte caserme. Ora, se vogliono, queste forze possono essere deviate per difendere altre frontiere [...]82 Era pero chiaro che allora il rapporto Jugoslavia -Est/Ovest non era sempre lineare e percio di difficile in-terpretazione. Cli equilibrismi di Tito potevano dunque produrre malumori tra gli occidentali. In questo senso risulta molto interessante l'analisi della situazione della Jugoslavia nei confronti del mondo occidentale fornita nell'aprile del 1973 dall'ambasciatore a Belgrado che riusciva - secondo noi - a leggere appieno la comples-sa realta e a cogliere il vero senso delle innumerevoli sfumature. Stewart era infatti convinto che se da una parte gli jugoslavi esprimevano pubblicamente critiche, anche forti, contro l'Occidente, dall'altra in verita rima-nevano molto scettici nei confronti dei sovietici e dei loro servizi segreti. Cli attacchi contro la NATO erano dunque solo di facciata (quasi obbligatori in pubblico), mentre il vero nemico rimaneva il Patto di Varsavia83. Dello stesso Stewart risulta illuminante un'altra anali-si, dell'aprile 1975. Evidentemente si sentiva in dovere di tranquillizzare Londra, a causa dei timori di alcuni esperti britannici che avevano notato un rinnovato avvi-cinamento della Jugoslavia all'Unione Sovietica, aven-do i due stati raggiunto ormai rapporti bilaterali molto importanti, i migliori dopo la rottura del 1948 (Clis-sold, 1975)84. L'ambasciatore aveva dunque notato che nell'ultimo periodo il numero degli jugoslavi che avevano preso parte alle esercitazioni in Unione Sovietica era si aumentato - se confrontato con gli anni Sessan-ta -, ma rimaneva comunque chiaro che la Jugoslavia nei momenti critici, nel 1948, 1958-60 e 1968, aveva sempre saputo dimostrare di voler difendere la propria 79 80 81 82 83 84 Minister for Defence of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia, in the Ministry of Defence, 8. e 11. 7. 1975; Meeting between the Lord Chancellor and His Excellency Ceneral Nikola Ljubicic, Minister for Defence of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia, in the House of Lords, 10. 7. 1975; Record of a Conversation between the FCO Secretary and the Yugoslav Defence Minister Ceneral Ljubicic, 11. 7. 1975; Call on Secretary of State by Ceneral Potocar, Yugoslav CDS, 8. 11. 1978: Anglo/Yugoslav Defence Relations; TNA DEFE 11/862, Stewart, Britsh Embassy Belgrade to Callaghan (A4982; 10/6): Visit of the Chief of the Defense Staff, 30. 4. 1975; Carver, Ministry of Defence to Stane Potočar, 5. 6. 1975; Abraham, Head of DS6 to PS/Minister of State (D/DS6/34/3 71): Visits by Senior Yugoslav Army Officers to the UK, 18. 7. 1975; Sandars, PS/Minister of State (D/MIN/WR/19/7): Visits by Senior Yugoslav Army Officers to the UK, 24. 7. 1975; TNA FCO 28/2814, Stewart, British Embassy Belgrade to Cartledge, FCO EESD, 24. 7. 1975 e Annex A, to DA 83: Army Ceneral Nikola Ljubičic, 10. 6. 1975. 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TNA FCO 28/31 58, Booth, British Embassy Belgrade to Brown, EESD: Treaty of Osimo, 8. 6. 1977, 2. TNA FCO 28/2415, Stewart, British Embassy Belgrade to Bullard, FCO EESD, 12. 4. 1973. Copia della pubblicazione di Clissold si trova in TNA FCO 95/1836, dove ci sono anche le annotazioni interne dei funzionati del FCO. Le copie della pubblicazione vennero spedite alle principali ambasciate britanniche (ivi, note vergate a mano in data 16, 19, 28 e 30 maggio e 10 e 16 giugno [1975]). indipendenza, anche davanti ai sovietici85. E questo era dopotutto quello che la Cran Bretagna realisticamente poteva aspettarsi da Tito. Nei rapporti con l'Occidente e la NATO un problema chiave per la Jugoslavia era evidentemente ottenere fiducia in una delle capitali occidentali. Sebbene si pos-sa considerare come un punto di vista soggettivo, vale la pena riferire la seguente affermazione del febbraio 1975 del "solito" Stewart sul ruolo che avrebbe potuto giocare Londra. Se gli americani avessero sempre avuto quel ruolo principale da superpotenza, la funzione del Regno Unito avrebbe potuto essere la seguente: Cli jugoslavi incominciano a pensare che potrem-mo essere il partner affidabile di medie dimen-sioni di cui hanno tanto bisogno. Se riusciremo nei prossimi 2 o 3 anni a fare molti ulteriori pro-gressi avremmo dato un vero e proprio contributo alla sicurezza in questa parte alquanto sensibile d'Europa86. Per Londra non era un sfida impossibile. Come abbia-mo visto i rapporti tra Londra e Belgrado migliorarono a livello politico, si rafforzarono grazie alle convergenze che si notavano anche per esempio nell'approccio verso la CSCE, e si arricchirono dalla meta del decennio nel campo degli aiuti militari. Non risulta poi tanto esagera-to dire che Londra divenne una specie di primo alleato degli Jugoslavi; non per ultimo grazie al ricordo della collaborazione durante la Seconda Cuerra Mondiale -un fattore di fiducia e rispetto reciproco che e molto presente nei documenti. 85 TNA FCO 28/2801, Stewart: Soviet/Yugoslav Relations, 10. 4. 1975. 86 TNA FCO 28/281 3, Stewart, Belgrade to FCO (No. 34), 6. 2. 1975. v zakulisju titoveca obiska v rimu leta 1971: pocledi britanske diplomacije na lokalne in mednarodne razsežnosti Gorazd BAJC Inštitut Nove revije, Zavod za humanistiko, Cospodinjska ulica 8, 1000 Ljubljana, Slovenija e-mail: gorazd1.bajc@gmail.com POVZETEK Od konca šestdesetih let dalje, v mednarodnem kontekstu Titovega obiska v Rimu marca 1971 (ki je imel precejšen pomen za jugoslovansko-italijanske odnose, saj sta državi poskušali dokončno urediti sporno vprašanje o meji), se je Jugoslavija znašla v težavah, saj jo je po intervenciji Varšavskega pakta na Češkoslovaškem leta 1968 skrbelo, da bi postala naslednja žrtev Moskve. Analiza britanskih diplomatskih virov kaže, da je Velika Britanija namenjala veliko pozornosti reševanju t. i. tržaškega vprašanja, hkrati pa je spremljala tudi posledice, ki bi jih lahko imelo "vroče" češkoslovaško poletje za Jugoslavijo, saj je obstajalo tveganje, da bi klonila pod pritiskom Kremlja. V Londonu so lokalne razsežnosti Titovega obiska, torej jugoslovansko-italijanske odnose, dojemali v kontekstu širših mednarodnih razmer, ko je bilo treba preprečiti neposredno ali posredno sovjetsko nevarnost, ki bi lahko ogrozila ne le Jugoslavijo, temveč tudi Italijo in NATO v južnem delu Evrope in v Sredozemlju. Izboljšanje odnosov med Rimom in Beogradom z ureditvijo mejnega problema bi torej lahko pripomoglo k utrditvi neodvisnosti Jugoslavije od Moskve. Dobrim političnim odnosom med Londonom in Beogradom se je tako pridružilo tudi čedalje boljše sodelovanje na vojaškem področju. Analiza britanskih primarnih virov nam pokaže, da je poslednje iskanje rešitve "tržaškega vprašanja" presegalo okvir dvostranskih odnosov med državama in da sta bili Jugoslavija in Italija soodvisni tudi v obrambi pred Sovjeti. Ključne besede: Jugoslavija, Italija, Velika Britanija, Sovjetska zveza, NATO, Osimski sporazumi, Josip Broz Tito, praška pomlad, Konferenca o varnosti in sodelovanju v Evropi FONTI E BIBLIOCRAFIA DBPO III/I - Documents of British Policy Overseas, Series III (DBPO III), Vol. I: Britain and the Soviet Union 1968-1972. Bennet, C., Hamilton, K.H. (eds.). London, The Stationery Office, 1997. DBPO III/II - DBPO III, Vol. II: The Conference on Security and Cooperation in Europe 1972-1975. Bennet, C., Hamilton, K.H. (eds.). London, The Stationery Office, 1997. DBPO III/III - DBPO III, Vol. III: Detente in Europe 1972-1975. Bennet, C., Hamilton, K.H. (eds.). London, Portland, Whitehall History Publishing, Frank Cass, 2001. 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