Anno V. caromstria, Novembre-Dicembre 1907. N. 11-12 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Vaglia, manoscritti e cose attinenti tanto all'amministrazione quanto alla redazione del giornale vanno indirizzati al Dottor NAZARIO DE MORI — Capodistria. IL PREFETTO ANGELO CALAFATI e i Domenicani rti Capodistria. II dalmata Angelo Caiafati — era nato a Lesina —, da Venezia, dove esercitava 1' avvoeatura, venne a stabilirsi a Capodistria intorno al 1800. Di lui, e deli' opera sua come pre-fetto del dipartimento deli' Istria, diro piu ampiamente, quando avro finito lo spoglio dei copiosi documenti, custoditi in questo civico arcliivio, che ali' epoca napoleonica si riferiscono. Nel 1802, agli 8 di gennaio, egli chiese, ma invano, d'esser aggregato al Nobile Consiglio di Capodistria. Tutta via nel gennaio del medesimo anno e «soprastante ai ponti» col conte Giovanni Totto, e nel febbraio susseguente »giudice alli Danni dati*. Sempre nel 1802, il Caiafati coperše successivamente le cariche di «sindaco eletto al Fontego»;, di «gindiec attualo*, di -sindico deputato», di «giudice contumace*. Ebbe, anche, missioni di fiducia dalla Comunita che il 20 novembre del 1802 lo spedi a Venezia per acquistare 900 »stara« di frumento, contrattate con paron Gregorio Davanzo di Angelo da- Rovigno. Bel parlatore, di portamento altiero, un po' affettato come tutti i Dalmati, il Caiafati, se varita molti clamorosi trionfi come avvocato, pochissimi ne riporto come uomo. II suo com-portamento politico destavale diffidenze dei buoni Capodistriani, allora — nel 1804 — attaccatissimi al G-o verno' austriaco. Di-fatto il Lesinotto avverso fieramente il conte Filippo de Roth, ministro plenipotenziario di S. M. Francesco II, che pure era un gentiluomo perletto, benvisto dagli uomini e adorato dalle donne della nostra citta. Che in cotesto odio del Caiafati non c' entrasse la stizza di vedersi lasciato in disparte, io non oserei affermarlo: il sentimento deirambizione in lui sorpassava i limiti del credibile, e uu individuo ambizioso e naturalmente portato a eompiere qualunque azione pur di raggiungere il suo scopo. Sono disposto pero ad ammettere che il suo vivace in-gegno e il suo fine discernimento abbia.no divinato quello che due anni appresso successe in realta, cioč l'occupaziune lran-cese della penisola istriana, e che in tale aspettativa egli, da quell' astuto dalmata che era, abbia voluto cadere, come si suoi dire, con le mani avanti. E puo anehe darsi benissimo ch' egli fosse uno dei fanti ammaliati dalla gloria fulminea del primo impero; e per vero il suo indomato amore alla causa napoleonica sopravvisse alla eaduta del Bonaparte. Nel 1814, durante la cattivita deli' Elba, un tal Tempesta venne a por-targli il saluto del grande Esiliato, e nel 1820 — anno di sua morte — il suo čada vere fu esposto alla morbosa euriosit& del puhlico vestito della brillante divisa di prefetto napoleonico. Dai rapporti della polizia del tempo, pubblicati nella mia G uiti a slorica di Capodistria '), risulta a chiare note che il Calafati, sotto il reggimento del de Roth, non ristette dali'agi-tare a favoro della Francia, tanto da provocare nella nostra citta la nascita di due partiti politici, austriaco 1' uno, francese 1' altro. Metteva capo il primo alla famiglia dei eonti Totto, e rappresentava la stragrande maggioranza della popolazione, mentre il seeondo era eapitanato dal Calafati in persona, che aveva al suo fianco, valida eoadiutriee, la famiglia Cadamuro-Morgante. In seguito a coteste scissure, la sicurezza publica lasciava molto a desiderare fra noi: pareva di essere ripiom-bati nel piu flt.to medio evo, e i rapporti del 1814, alludenti a quel periodo, parlano di aggressioni armata mano consumate ai danni ora deli' uno, ora deli' altro campo. Completamente esautorato e impotente a frenare gli eceessi dei Francofili, il povero conte Filippo de Roth ne moriva di rabbia e di dolore il 1804. Ma forse meglio che dall'Astro napoleonico, il Calafati si sara sentito attrarre verso il Bonaparte dalla modernita d' idee e dallo spirito d' innovazione che caratterizzano le riforme del primo Impero, figlio legittimo della rivoluzione francese. Infatti J) BenedPtto Loiizar editore -r- Capodistria 1900. Austria significava oscurantismo, fossilizzazione liegli antichi ordinamenti, guerra ad oltranza ai santi principii spuntati dal sangue della Convenzione. Piena la mcnte e il cuore degli assiomi enunciati dai fi-losofi francesi del XVIII secolo, il Nostro fu spietato eziandio eon la defunta Repubblica veneta. Seeondo lui, la Serenissima e colpevole di avere fomentato 1' ignoranza in Istria col bandirvi i libri, le scuole e le tipo-grafie e coll' accordare agli analfabeti, solo perche nobili, il privilegio di poter essere fregiati coll' alloro dei dotti. Iraperante Venezia, lo spirito deli' avarizia era ali' ordine del giorno: il pastore espiava la trasgressione e il delitto con la perdita della sua pecora; il pescatore con la perdita della sua rete; 1'agricoltore con la perdita delle sue messi; il com-raerciante con la perdita delle sue merci. La diseordia, sempre favorita; quindi 1'accusatore aseoltato, il calunniatore non mai punito. Di qui 1' immoralitži nelle nostre plebi e nei nostri blasonati. Altri — esclama il prefetto J) — deplorano la scarsezza di popolazione! Quale popolazione poteva sperarsi nell'Istria, o ve i cibi corrotti erano in commercio; le acque salubri, in vendita; le putrefatte, in uso; le infermita, senza rimedt; le epidenue, senza vigilanza; i poveri, senza soceorso; «nell'Istria, in cui con la respirazione istessa e nelle čase e. nelle strade e perfin nelle chiese i principj assorbivansi della morte?» G! Istriani sono tacciati d' inerzia? Ma come parlare 'l industria, quando gli stessi salinari venivano obbligati talvolta a sommergere i frutti preziosi dei loro travagli ? E il commercio? Poteva esso fiorire in una provincia educata dalla legislazione unicamente per il contrabbando? L' agricoltura! Da noi 1' agricoltore, prescindendo dali' ignoranza dei metodi piu razionali, oppresso da infinite vessazioni, perdeva il suo tempo in viaggi senza profitto, in contestazioni senza soggetto, in liti senza fine, in spese senza misura. Dissanguato dalle decime, doppie decime, prande, primizie, regalle, fra- 4) Discorso pronunziato dal Prefetto deli' Istria Angelo Calafati, ca-valiere deli' Ordine Reale della Corona di ferro, ali' apertura del Consiglio Generale del Dipartimento. Bresein per Nicolo Bettoni MDCCCVIII (Ar-chivio Gravisi-Barbabianca). teme, monasteri, usueui, a lui »on restava che un po' di iialo per maledire il giorno che avcva p res o una zappa in mano! La poveraglia infestava le nostro eitta. «QuaIe ricchezza accumularsi poteva nell'Istria, in cui veniva accarezzata l'indolenza, disaninmta 1'iiulustria, depressa 1'euergia? nell'Istria, da cui il denaro pubblico e privato sor-tiva per tanti secoli senza speranza di ritorno; nell'Istria, gi;\ condannata ad esser povera dalla politica d' un Governo debole, onde non destare i desiderj di un eonfinante polente h Gl' Istriani erano inetti alla vita militare. Ma cotesta inet-titudine non dovevasi attribuire al earattere, bensl all'abitudine. Nei secoli andali s' era assuefatti a rimirar nel soldato, anziche il difensore della patria, il minist.ro delle rapine, 1' oggetto del-1' avvilimento e del disprezzo. «Marziali esser non potevano i poveri, vedendo il contrario esempio nei benestanti. Marziale non poteva esser alcuno sotto un inmarziale Governo«. Queste, per sommi capi, le aceuse rivolte dal Calafati alla Repubblica di Venezia in occasione deli'apertura del Consiglio Generale del Dipartimento. E non tutte infondate; tutte pero esagerate. E si capisce: era il rappresentante del governo nuovo che sparlava del vecchio. Bisognava strappare ad ogni costo dali'animo degli Istriani 1'immagine della morta Sere-nissima: un pizzico di calunnia non guastava punto, tanto piu che gli estinti non si ditendono .... Ad essere sinceri, si deve convenire che 1' Istria, dopo soli poclii mesi di dominio francese, tece un tale mutamento in meglio da destare le maraviglie di tutti gli storici spassio-nati. Onorata la milizia, risorta a novella vita la eoltivazione della terra, facilitati gli scambi commerciali con buone strade rotabili, perseguitati dai rigori d' una legge inesorabile i con-trabbandieri e i banditi, tolte le proibizioni che inceppavano il libero smercio dei prodotti del suolo, concesso a tutti di approfittare dei favori della natura e delle acque che rigavano il dipartimento, introdotta nell'Istria la manifattura dei lini, dei panni, ingentilita la razza delle pecore nostrane con arieti di Francia, d' Italia e di Spagna, aumentati gli stabilimenti industriali, ridotte a lavoro le estensioni abbandonate, fatti resistenti ai lunghi viaggi i nostri saporiti vini: ecco le con-seguenze immediate del felice cambiamento di governo opc-ratosi nel novembre del 1805. Per condurre a termine un' opera di risanamento morale ed economico cosi vasta e complessa, ci voleva un' energia indomata, una volonta inflessibile, una mano di ferro, insomma : e tale fu senza dubbio il prefetto Angelo Caiafati. Anche lui, come tutti, del resto, i luogotenenti e generali di Napoleone, aveva voluto essere una copia, in sedicesimo, deli' immortale Corso. Amante della scenografia, soleva circondarsi di un fasto, di una magnificenza che male si adattavano con le limitate risorse di un prefetto d' un piccolo e povero Dipartimento qual era 1'Istria. Dai subalterni e dagli amministrati esigeva cieca obbedienza: ali' ordine clato, doveva seguire 1' esecuzione im-mediata del medesimo. Onde ispiro pili timore che affetto, piu rispetto che venerazione. A Capodistria, come capo-luogo del Dipartimento, dedico cure speciali: mol ti progetti abbozzo, ma pochi soltanto pote ultimare per 1' ostilita dei suoi avversari politici e per le ca-lunnie di alcuni suoi dipendenti che vedevano in lui nienfaltro che il rigido superiore pronto a colpire senza remissione il benche minimo loro trascorso. L' ambito pošto cui lo aveva innalzato la fiducia del vice-re Eugenio, desto le invidie di certi alti impiegati del Miuistero di Milano, come fu il caso del delegato A. Porcari, il quale, mandato dal ministro «a scandagliarc con riserva e con ogni possibile esattezza gli oggetti tutti relativi al Demanio nel Dipartimento deli'Istria* (Capodistria, 0 agosto 1806), usa nel suo rapporto non solo la meticolosita del burocratico che cerca il pelo nell'uovo, ma ancora la velata perfidia del-1'emulo cui non par vero di colpire, sia pure alFombra molto comoda dei «doveri d' ufficio», un rivale fortunato. Ne giudiclii il lettore: «Gi& da tre mesi e stata da questo Sig. Prefetto instituita la Direzione del Demanio in Capo d' Istria, composta da un Direttore, da un Segretario, da due Bagionati, da un Cassiere, da un Protocollista e da. due Scrittori. II .Sig. Francesco Gallo e la persona destinata dal prelodato Sig. Prefetto in qualita di direttore: oltrecche q nest o Individuo gode di una non van-taggiosa opinione presso tutti gti A bita nt i. deli' Is tria, a eausa della passata di lui condotta privata, non ebbe mai Impiego alcuno, se non quello di Tassatore per le Tasse civili, crimi-nali e politiche. Egli solo maneggia l' Ufficio in tutta dipen- de»za del Sig. Prefetlo, e fin' ora gl' Impiegali della Direzione sono tenuti ali'oscuro di cjuanto in essa si opera*. «11 Sig. Angelo Maori') & quegli dal Sig. Prefetto destinato in qualita di Cassiere della Direzione; egli era sotto i Veneti e sotto gli Austriaci impiegato in qualita di Ragionato Scontro; nulla emerge di difettoso in conto della di lui condotta, e potrebb' essere un abile ragionato; come Cassiere perb senle tutta V iu/tuenza del Signor Prefetto, sni di cui ordini e parlicolari disposizioni ha fin' ora effettuati dei pagamenti forse 11011 abhastanza autorizzati. Risulta che in qual-che caso siasi permesso di alterare e correggere il Giornale rifonnando singolarmente due partite costiluenti in tutto L. 24,000 circa Venete che dal Sig. Prefetlo furono fatte pagare, e che in seguito si crede/te di non farle apparire». Ladro, dunque, il prefetto Calafati? Nient' aifatto, e lo prova lo stesso Porcari: «Le spese di costruzioni e di abbellimenti che il Sig. Prefetto fa eseguire ali' intorno della Citta, lo mettono in stretta situazione di prevalersi fino ad ora di ogni Fondo per sod-disfarle*. Coi decreti 8 giugno 1805 e 25 aprile 1806 era avvenuta la cosicletta «avocazione al Demaiuo» di tutte le sostanze per-tinenti ai conventi, alle confraternite e alle scuole del Dipar-timento. I raonasteri riboccavano di libri, d' incunaboli, di mano-scritti antichi, di quadri e sculture d' insigni autori, i quali oggetti, in seguito ad ordini severi di S. A. I. il Principe Vice-Re, dovevano essere raecolti e conservati in modo da garan-tirli da qualunque furto, o danno di mano imperita, e diligen-temente collocati in siti capaci e sicuri da ogni ingiuria di stagione. Proibita pertanto la vendita dei quadri esistenti nelle chiese soppresse. Tutte le tele venivano messe a disposizione del Demanio. II Ministero poi decideva quali dipinti dovevano ') Quegli che fu ucciso dalla prima bomba piovuta a Capodistria nella notte terribile deli' 11 aprile 1809, durante Pattaceo delle forze anglo-austriache collegate insieme. La časa del Macri era quella attualtnente abitata dali' egregio Dottor Antonio Paulovich. finire alla pinacoteca di Brera e quali no. Di quest' ultimi si faceva una conveniente ripartizione tra i vari Dipartimenti nella proporzione stabilita dal Signor ministro deli' istruzione publica. Incaricato di compilare e trasmettere 1' eleneo dei quadri, provenienti dai chiostri, al Signor Consigliere Consultore Mo-scati, direttore generale della publica istruzione, era il direttore del Denianio in Capodistria, il quale, in data 16 giugno 1806, partecipava a S. E. il Signor Ministro delle Finanze come qual-mente «li Rcverendi Padri di S. Domenico, ridotti senza Con-vento, senza Chiesa e senza Beni si rifugiarono in una Časa privata*. 1 sindici del nostro Comune avevano presentato un me-. moriale a S. A. I. il Vice-Re, dove si pregava «che conservato fosse in questa Citta un istituto utile alle scienze, alla cristiana istruzione, ali'assistenza dei moribondi, ed alla confessione». Ma il decreto vice-reale pariava chiaro: i Domenicani, poiche erano caduti so/to gli cffelti della nuova legge di avo-cazione, dovevano abbandonare ali' istante la citta. Infieriva in quell' anno, violentissima, un' epidemia di tifo che, fra le altre vittime, si porto via tre dei pociii frati licoveratisi nella easa pri vata di cui piu sopra si discorre. Cio nonostante il rigido Calafati intimo a quei miseri il draconiano decreto che qui si riporta: •Capo d' Istria 21 giugno 1806, <11 Prefetto del Dipartimento d' Istria •Cavaliere del R. Ordine clella Corona di Ferro «Alli «Reverendi PP. Domenicani di Capo d' Istria. «Un comando dato da S. A. Imp. e replicato dall'A. S. «li lo Aprile p. p. preserive che li PP. Domenicani di Capo-«distria vadano ad abitare nel Convento del loro Ordine a »Venezia. Esso R. Comando e stato due volte vocalmente »communicato alli PP. stessi clal Prefetto del Dipartimento, «il quale ha tollerato ora i loro incommodi, ed ora i loro «commodi. »Ogni dilazione ulteriore renderebbe responsabile il Pre-efetto in faccia al R. ineseguito Commando, ed e percio che «ordina ad essi PP. 1' immediata esecuzione, offrendo alli me-«desimi tutti i mezzi necessari per la sussistenza». Muniti di una commendatizia del Calafati stesso per il Magistrata civico di Venezia, gli espulsi Domenicani partirono da Capodistria la sera del 24 giugno 1806, e la mattina del 25 sbarcarono felicemente alla Riva degli Schiavoni, accolti con modi piu cortesi e caritatevoli dai loro confratelli del con-vento del SS. Rosario delle Zattere, e portando nel loro cuore, indelebilmente impresso, il ricordo del loro cenobio convertito in ospitale militare e della loro chiesa tramutata in stalla per gli stalloni della cavalleria francese dali' utilitario nonche sa-crilego governo napoleonico..... Domenico Tenturini. Da Orazio: I' ottavo sermone del seeondo libro Oi ■azio. Piacqueti il pranzo di quel gran signore d'un Nasidieno?*) (Mi spiego: ieri, nel mentre cercavo di te per averti con meco a tavola, seppi che la tu cioncavi, mio caro, fin dal meriggio.) Fundanio. Sicuro! ne mai stetti meglio. Orazio. Via, narra, se non t' incresce, qual cibo calmo il tuo appetito per primo. 5 Fundanio. Un cinghiale di Lucania, preso, si come lo stesso anfitrion ripeteva, al soffiare d' un blando scilocco. D' aperitivi il contorno. Cio son: pastinaca, lattughe, feccia di Coo, raperonzoli, salsa di pešce e radici. Poi, sparecchiata tal roba, un succinto garzone rasciuga 10 con una rossa pezzuola la tavola d'acero, che disbarazzata vien tosto da quanto procaceia fastidio *) Mi servo, come si vede, deli' esametro uattilico, adoperato dal Pascoli ne' snoi ben noti e mirabili saggi di tradnzione dei poemi omerici. a' commensali od e inutile: ed ecco avanzarsi, con vini cecubi, Idaspe, pomposo qual vefgiii d'Atene che rechi ostie a Demetra, ed Alcone con vin sedicente di Chio. L'ospite, allor: <-Mecenate, su dimmi: vuoi bere tu albano o preterisci falerno? posseggo si 1'uno che 1'altro.» Orcizio. Oh il miserabile fasto! ma narra, che bramo saperlo, ehi mai t' e stato compagno, Fundanio, ali' allegro simposio. Fundanio. Sommo, io medesmo; vicini miei, Visco Turino, se pure non erro, e Vario. Nel prossimo letto, i clienti Vibidio e Balatrone eol loro signor, Mecenate. Poi, prima del convitante, Nomentano, e, dopo, il buon Poreio, che n riso tutti moveva per quel suo ingollar le stiacciate d' un liato. Compito poi di Nomentano si era di tutto indicare 25 cio che ci fosse d'insolito. In fatti noialtri, profani (cio e ia turba restante), si sta gia mangiando molluschi, pešci od uccelli, da' novi sapori e non anehe gustati: come fu chiaro pur quando ci vennero ofierte non mai assaporate busecehie di rombo e di passera. Poi, Nasidieno mi afferma che le mele nane son buone, se a luna scerna spiecate. Che cosa cio voglia mai dire, tu '1 saprai meglio da lui. Balatrone qui osserva a Vibidio: »Invendicati morremo, se non tracanniamo a dovere e piu capaci bicchieri domanda. Ecco muta eolore i' anfitrione, che nulla spaventalo piu de' beoni, o perche soliti a dirne di cotte e di erude, o perche c;o' troppo torti licori s' ottundono il fine palato. Or Balatrone e Vibidio ne' ealici d'Alife intere anfore vuotano e sono da tutti imitati, ali' infuori dei convitati deli' infimo letto, che nuocer non sanno. Poi, sur un piatto, si reca, natante fra squille, un' anguilla: ed il padrone, sollecito: »Pregna fu dessa pigliata: che dopo il parto la carne, si sa, n'e mai sempre peggiore. Ed e formato l'intingolo: d'olio che viene dal primo torchio venafro, di fin caviale spagnolo e di vino fatto in Italia e cinquenne, che infuso fu proprio nel mentre esso 1' intingol cuoceva (se cotto, conviengli soltanto il vin di Chio); poi aggiunto vi fu pepe bianeo, non senza un po' d' aceto finissimo d'uva di Lesbo; ed io quindi per primo volii ehe uniti vi fossero pure uasturzi e ruche; e infine Curtillo v' incosse dei ricci di mare non risciacquati, ch6 vilice P umore lor proprio ogni salsa.» A questo punto precipita sovra la mensa il sospeso padiglione, traendo con seco tal nugol di polve, 55 quale ne men per le terre campane aquilone solleva. Noi, che ben piu temevamo, quand' ogni pericolo cessa, ci rinfranchiamo di nuovo; ma Ruto,*) chinata la testa, si mette a piangere come se morto gli fosse un flgliolo. E qui la terminerebbe, se a Rufo non desse conforto 611 quel saggio di Nomentano: »Ahime, quale de' numi, o Fortuna, e piu crudele di te che pur sempre ti godi beffarti di nostre cose?» Ma Vario a grandissimo stento poteva col tovagliolo frenare le risa. E dicea Balatrone, che si fa gioco di tutto : «Son cose che toccano ai vivi, 65 e non mai gloria eondegna risarcira te di tue pene. Di', non t' affanni tu dunque per far si che splendidamente io sia da te convitato, che non s' imbandiscano pani abbrucciacchiati, o pur salsa mai fatta, e che tutt' i donzelli bene azzimati e succinti compiscano il loro dovere'? 70 Bel pro, se poi ti succede che giu il baldacchino ruini come pur ora, o che incespichi un servo e ti spezzi un tagliere! Ma 1' eccellenza deli' oste, non meno di quella del duce, e rivelata dal malo e non gi& dal propizio destino.* Nasidieno, a sua volta: «Concedati il Cielo, o buon uomo, 75 e commensale perfetto, qualunque mai cosa tu chiegga!» Poscia domanda i calzari. E qui, Orazio, tu avresti veduto dire la sua ciascheduno ali' orecchio del proprio vicino. O/ 'azio. Ah, nessun altro spettacolo avrei piu gradito; ma dimmi, su, quali cose ti tennero allegro piu tardi. Fundanio. Nel mentre 80 chiede Vibidio ai donzelli se forse anco 1' orcio e in frantumi, da poi che non gli si reca da ber quant' ei vuole (frattanto si ride, sotto un pretesto qualunque, e Balatro 6 con noi), ecco, e tu, o Nasidieno, ritorni con ilare faccia, per contrastare, tu saggio, ali' avversa fortuna. Di poi 8r> *) E il cognome di Nasidieno. due fanti, sovra uu bacino, recarono i membri atfettati d' un grue, eosparsi di sale non poco e di bianca farina, e il fegato appetitoso d' un' oca itnpinguata con fichi, e in fine spalle di lepri, staccate dai lombi, si come piu savorose di molto. Per ultimo furo imbanditi merli col petto arrostito e colombi privati del dosso, deliziosi bocconi, se 1' oste d' ognun non ci avesse storia ed origin narrate. Ma noi, per vendetta, fuggimmo senza ne pure toccarli, quasi avvelenati Canidia con peggior fiato li avesse che quel de' serpenti africani. Pisino, novembre 1901. Giovanni Quarantotto _t-i--<--- ECHI P0ET1C1 DI LEGGI SUNTUARIE VENEZIANE di quattro secoli or sono. «Tornando dal Concilio di Trento il Padre Alfonso Sal-merone Giesuita, et fermatosi in Venetia a predicare, vedendo le nobili Venetiane andare con le spalle, et col petto coloritto, che a guisa di specchio vi si potevano le genti rimirare, si messe a biasimare questo abuso, con tanto fervore, eloquenza, et spirito, che fece alzare i corpetti delle donne sopra le ma-melle, et in cambio di quello sottilissimo velo, che portavano sopra la carne, ordino che si facessero un giupone accolato, che dal nome del Predicatore fu detto, et e ancora nominato il Salmerone*. Cosi Antonio Persio afferma d' un provvedimento consigliato dal Gesuita e accettato dalla Republica'). Quanto fosse in quel secolo diffuso ormai 1' uso dei bel-letti non solo a tingere le guance ma anche il seno e come questo si portasse scoperto si da rendere famoso 1' espoitrine-ment a la facon de Venise non giova qui ricordare; faremo solo noti in proposito alcuni versi inediti d' un anonimo preso 4) Vedi P. Molmenti. La st. di Venezia nella vita privata. P. II." pp. 428 nota I." — Bergamo 1906. appunto da cotali grazie d'una donna piu o meno gen tile che. pero, secondo il poeta, non ricorreva punto ad apparecchi artiticiosi Sia bo,ne,detto el eorpo clie te ha fatto Quelle maravigliose to t..... Ohimfe ! mo 1' & pur care e, molesine Co xe pur bianche piu ehe n' e la latte. No le xe giozo giozo contrafatte, Ne con belletti, 116 con aque fine, le xe naturalmente pichenine de so pe dure e senza pellegate. Sia benedetto el zorno che mi fu depenti dal amigo i vostri petti che fo po causa che venni da vu. Serreve pur occhi mie poveretti Quando che vu vole, 110 spere piu de veder piii de si cari pometti ! Sia donca benedetti Quanti passi che ho fatti de qua via qnando vu gieri drio la zelosia. Mi ve son rest<\, fia, Per el favor de gieri si obligao, Che sempre insina che me inscirst el flao Ve šaro affettionao E se talvolta ve voie degnarve vegnero solamente a saludarve. Mi no vogio tocarve Che a dir el vero no me parž za donna da esser cusi strappazzii Ma da esser ador;\ ; Donna da esser tegnua in bombaso E no che tutti ve daga del naso vu se una fia de raso Una fia de veluo, una anconetta, da farghe, solamente. de baretta. Oh cara speranzetta Ve son mi ben da senno rest& schiavo Quando ve visti un petto cusi bravo restiti allora un ravo o. per dir megio, un zocco, un bordonal muto, orbo, e senza calor natural. Qui il poeta, preso 1' aire, perde per due terzine il senso della misura, talche noi veniaino addirittura alla conclusione: Ve fazzo reverentia Adesso, e con sta pena e con sto inchiostro sapie pur certo che son tutto vostro. (dal codiee marciano it. IX. 173 della fine del 500 e dei primi anni del 600; cc. 420 t.°). Ma ritornando piu davvicino al nostro soggetto: alla proibizione, voglio dire, deli' ec-cessivo e disonesto espoitrine-ment, ecco quanto malignano certi versetti, pur essi inediti, d' un bello spirito anonimo che alle leggi da principio ricordate probabilmente si riferiseono, tolti dal medeslmo codiee marciano (cc. 266 t.") Del Prior de Mu ran alle donne. Douue, se tegnere le t.... fuora, i zaffi le t ora per contrabando, forsi, che no ghe e, che va spiando, che no i ve le mettesse in salamora. Teg-nille alla bonazza dalla buora, i n (i n che dura questo fredo grando, Vardele vu, che i le andarA addattando, si le ha da star cusi, staga in mai' hora. El dauuo sara po, co sia sta iustae, perche le t.... se use a star sborose se ne sobogira gran quantitae. Le vegnara salvadeghe e pelose, cd le no abbia la so libertae, Patientia, i vuol cusl, tegnele aseose. Manca mo, che ande tose, Co fa le putte da San Zane pollo, senza recchini e senza perle al collo. Risposta delle doniie. Ve vegna la giandussa e dentro e fuora za che le nostre t.... 6 contrabando, no ve agrizeu, sier vecchio, andar digando, ste bagie ? ande e cazzeve in salamora. Nella seconda quartina le donne fan mostra d' una lingua cosi mordace da dover essere ridotta al silenzio, ma il senso si puo rilevar egualmente da quanto segue: Vardeve dalle gatte questo instae, che zaffa volintiera cose aseose, pregando Dio no vegna voluntae A nu, che semo tanto fastidiose farle rostir, co semo i...... per satiar nostre vogie rabiose. Parle con le bavose Raccoinmandeve a San Zane Pollo, ehe no ve sia fracca 1' osso del collo. Donne se vu se mezze scorozzae vn ave una gran rason par questa crose, za che i vuol, che porte le t.... scose, E che davanti ande tutte serrae. Mo 1' e po pezzo assae che le brigae si va criando tutte a una vose che presto presto i vogia ehe and6, tose, con drappi curti e con scarpe tagiae. Mi mo no '1 čredo e no '1 credero iie, anzi e da creder, ste de bona vogia, che mai la prima parte stara in pie. Fe pur tanto che. i drappi no ve imbrogia che le t.... no resta sobigie E chfel doppio mal tempo no ve arcogia Creperave da dogia E farave un bordel de mille pianti Se no ve sborassfe {scopriste) tutte davanti alla piu longa, inanti che daga fuora el boccolo alle riose, che no portare pi le t.... scose. L' accenno deli' anonimo ali' uso delle perle se non mi da occasione di riparlare ora particolarmente su questa foggia di sfarzo la quale tanto avvinceva gli animi femminili e della quale tenni gia parola altrove') mi richiama pero per un istante ali' argomento: sono altri due piccoli componimenti anonimi non pri vi di šale e talora maliziosi che una delle tante «parti» prese dalla Republica ispiro a qualche spirito mordace. A quale tra le innumerevolileggi restrittive sull' uso delle perle si accenni nei due epigrammi non e facile dire; forse a quella del 23 Novembre 1562 colla quale si comandava che, eccettuata la Dogaressa e le sue figliuole, tutte le donne che «havessero finiti anni dieci, dopo il suo primo matrimonio non possino portare, ne in modo aleuno usare» perle di sorte ') Vedi in «Ateneo Veneto» Di alcune leggi suntuarie della Rep. Ven. 1903 pp. 449 sgg. veruna. Ecco, ad ogni modo, quanto maligna 1' anonimo nel codice stesso (cc. 318 t.°) : Donne, saveu perche la parte presa se osserveri al despetto de quei che no la vuol senza rispetto ? pereh6 i marij no ghe fara contesa. Aceordeve un dl tutte e co se in letto tegnive, tinehe il collo abbrazzandove stretto, no i ve promette dar le perle al collo. Mi ve so dir che allora un tal decreto sara fatto in secreto, si a vere sto consegio sempre amente, ehe i ve dara la filza e il so peudente. O mie inadoue eare me despiase la presa de sta parte che i marij vostri ha fatta far a arte azo che quando i vuol soldi col pegno i fazza co se suol, con riseg'o piu certo de zuogarle che venderle e smaltarle per piu richezze far a so tioli. Ma anehe per altro e grandi i mi duoli, che quando il tempo piu le macchie seovre piu le perle le covre, E apunto allora i vuol che le liaghe, Onde senti nel cuor piu pene amare, perche i soldi no ghe e, E vu manifeste le vostre tare. Ma era davvero tutto oro quel che luceva? Mostrava di dubitarne forte il Caravia il quale nel suo gioiello poetico detto il «Naspo Bizzarro» cosi prorompeva ingrognato: ....no de quelle, che adesso se usanza de portar che assai donne in deo se mette fazando d' esse a portarle gran smanza per creder, che le sia zoie pretiose, e no zoiaze false, e vergognose Son certo, e chiaro, che si assai de quelle belle, e de 1' intelleto, savio, e raro, che le someia in ciel lusente stelle, si 1' anemo lo havesse netto, e chiaro, che quelle zoie che par fine, e belle fusse piu false che un trufo, e un baro, le no vorave, che le ghe fosse viste che un cuor zentil no ama cose triste. No lassarave portar zoia falsa alla mia Bionda, piu presto vorave con fortuna morir in acqua salsa non ho del zentilhomo, ne del grave ne mai so opinion ghe šara valsa quei che in scrigno P honor sera con chiave, e porta, e fa portar zoie de fumo per 110 desfar de la menzoia, el grumo. Vorave pili presto portar una piera de sie ducati pretiosa, e fina che zoie false che mostra miera valor de scudi senza osso, ne spina, che le se proprio como se la ciera ipocriti, che a far mai no refina, mostrando in ciera de esser santi, e boni e al mondo 110 ghe ze i magior giotoni. I va per strada co i so coli a 1' orza mostrando d' esser zoie pretiose, a dir calcosa d' essi me se forza, perche i fa cose molto vergognose, i mostra haver in tel petto una torza che guarda el cuor 111 le opere pietose e si i se si ben couzi a 1110 diamanti, che i par boni, e se falsi sti furfanti. Porave dir de zoie false ancora, e cusi de sti hipocriti ribaldi, che con zauze, e zenochi i santi houora e a far ogaii mai i se piu saldi, che no se P oio in acqua a star de sora, che andar i possa in te 1' inferno caldi, e sia le zoie false in pezi rotte, e chi le apresia ghe vegna le gote. Perche se vede che u a tura vuol che chi tien 1' oro scoso in ti so scrigni, le gote spesse fiae vegnir ghe suol, che ghe fa star in pie strussiai e arcigni ma d' una cossa me despiase, e duol, che ghe se assai riconi, che con scrigni i se ne traze de le zoie bone, e con le false inganna la soe donne. IIo una terma speranza in tel cervelo che no passera forsi troppi mesi, che se fara de ste false un restelo, k chi havera i so danari spesi, maledira chi sara stao pello chi havera conseiai, a taliti prosi i habbia compra una zoia falsa, e gofa, che in puochi di diventa bruta, e slofa. El sarave piu meio assai eomprar un robin, o un diamante puoco, e gaio, e ste zoiazze false lassar star, le zoie fine se un zusto seandaio da squadrar quei, che '1 so honor vol stimar e de vergogna chi no se bresaio, tegnive certo brigae mie care, che chiarna zoie, se persone rare. (p. 109 r° e sgg. del N. B. Tre-vigi MDCXX Appresso Angelo Righettini). Certo alle apparenze si badava molto anehe allora tanto ehe il mio anonimo, se pur e sempre lo stesso, trova di che ridire altrove (cod. id. cc. 420 t.°) Donca chi no avera busto pontio ferario!, ninfe al colo, ne coletto i so rizzi in le tempie co '1 fonghetto per bezzo Luteran sar.l di indrio ? Donca 1' esser tilado e ben vestio 1' andar largo in ti fianchi e '1 ealzar stretto e '1 farsi coloretti col belletto fa che para da bon qnel che e da rio V Tal gondola par bella, che chi vuoi comprarla co i la vede despazza ogni čorba ogni corbollo ha un cariol. Certi par garzignoi fuora de ca che ha le carne pi raspie che un storuol, fiappi cd e una vessiga desgionfA. A tal che chi no sa buttar guado, far sazo e parangon no ghe rende mai zusto el * Chi vuoi un bon melon El togia a tagio e no se fida in flor Ne in mare, ne in bel scorzo, nč in odor. E si ben el color Ve mostra chil sia vero moscatello deghe dei denti suso e morseghello. E chi magna ve,dello xe megio che i lo paga de pi un grosso che in pi; de eomprar carne eomprar osso. * Non riesco a decifrar la parola. Tanto e vero che il lusso 6 stalo sempre la fonte prima di tutti i mali! Ed infatti che dire di tempi nei quali era pos-sibile ad un anitno, sia pur soverchiamente esacerbato. scrivere versi quali i seguenti? Sonetto alla Venetiaiia Tal va a p......, che črede lassar Sul foger so inogier. sorelle e ti a E 110 xe cusi presto volta via, che dal berton le se fa bisegar. Questa no se sententia da citar, passo de lezze, n& fllosolia ma un dir che tira al son di profetia, che se vede ogni di verilicar. Fazzo un presente de sta testa al bogia, se ghe xe maridži che no abbia corni n6 putta che no sappia zo che e cogia. Varde ehe adesso se pia piu Lioncorni ma tutti e tutte, sia ehi esser se vogia, xe p...... xe becchi a nostri zorni. (ib. cc. 78 t.°). Perdoniamo lo sfogo al poeta e che la buona stella brilli ognora propizia sul capo dei miei quattro lettori! . . . . Dr. Antonio Pilot. Venezia j7et/]icus Jsfricus fu istria no? i II canonico Pietro Stancovich, predicatore delle glorie istriane, mette fra gli uomini distinti della sua terra un Anio-nino Etico istriano, il quale (riassumo le sue notizie) fu autore deli' Itinerario attribuito ali' imperatore Antonino e di una Co-smografia e visse in sulla tine del IV, o al principio del V secolo dopo Cristo '). ') Cfr. Stancoricli, Biogr. degli uomini distinti deli' Istria, Capod. Priora, 1888«. (La I ed. e del 1828-29). Se nessuno di questi dati, o quasi, oggi risponde alla verita, non e da itnputarsi lo Stancovich, il quale altro non fece, ne piu era equo pretendere, se non rispecchiare lo stadio della ricerca critica intorno ad Etico, quale risnltava dagli studi del Simler '), del Voss, del Barth, del Cluver; non dob-biamo pero nasconderci che fu difetto di metodo o amor di campanile quello spacciare per nostro, senza pur ombra di dubbio, 1' antico cosmografo, solo perche nei codici al norae Aethicus s'aggiunge 1' appellativo Istricus o h ter. Oggi il dubbio non solo puo sorgere, ma essere anche tacilmente ri-solto, grazie alla pubblicazione di un' opera di Etico prima ignorata2), la quale contiene parecchi dati biografici, ed alla critica tedesca, la quale dopo lungo dibattito e venuta alle conclusioni che si possono brevemente compendiare cosi: II .Sotto il nome di Etico Istrico va in parecchi codici una Cosmografia, che un »Presbvter Hieronymus» avrebbe tradotta e abbreviata dali' originale greco. Etico, celebre lilosofo, stando alla Cosrnografia, viaggio tutto il mondo allora conosciuto, atteggiandosi, novello Apollonio di Tiana, a scopritore e cin-gendosi di un nimbo di mistero. II libro tratta anzi tutto della creazione del mondo, del cielo, della terra, deli'interno, della caduta deli'angelo ribelle, e poi descrive i meravigliosi viaggi di Etico, il quale, movendo da Taprobane visitb prima 1' occi-dente, indi il settentrione, il Mar Caspio, la Grecia, il Medi-terraneo, 1' India, la Libia. La lingua e un latino barbaro, spesso incomprensibile; accanto alle notizie veritiere, il libro contiene ogni sorta di favole e di invenzioni, e divagazioni intorno alle imprese di Alessandro Magno, alle conquiste degli antichi re di Roma e via dicendo, nelle quali e difficile rac-capezzarsi. II concetto del Wuttke, il quale non ebbe dubbio di sorta sulla autenticitk delle notizie deli' opera stessa e della sua cornice e credette di poter ravvisare nell' Hieronymus nominato il padre della chiesa S. Gerolamo, non regge piu, e per vari 4) E non Simlevo, come in Stancovich, 1. c., II ed. 2) Cfr. D'Avezac nelle Mem. de 1' acad. des inscr. XIX (Parigi 1852) e H. Wuttke, Die Kosmographie des Istrier Aitliikos irn lat. Anszuge des Hieronymw, ecc., Lipsia, Dvk, 1853. Cito da questa edizione. indizi s' ha da concludere che 1' opera non puo essere anteriore al secolo VII. Ad Etico 6 attribuita ancora in eerti codici la paternita di un' altra opera goografica (quella di cui parla lo Stancovich), certamente non sua. Con sodi argomenti si dimostra che la prima parte di quest' opera altro non e se non una copia un po' camuffata della cosmogratia di Giulio Onorio e che la seconda 6 ricalcata su un capitolo di Orosio 4). Nei manoscritti piu antichi essa si intitola Cosrnograpliia cum itinerariis suis et portibus et ex fastibus Romanorum et consutum nominibus et diversis sine guo nemo prudentiurn esse poteši senza che il nonie di Etico vi comparisca, e si ritrova molto spesso riu-nita coiritinerarium Antonini *), onde si spiegano le affermazioni dello Stancovich e <\ue\\'Antonino dato ad Etico quale prenome. III E veniamo al quesito propostoci: il cosmografo Etico fu istriano? Questi due passi della Cosmogratia messi a raffronto: Hic igitur Aethicus, Histriae regione, sofistu c-laruit (cap. 2) e Explicit liber Aethici philosophi chosmografi nalione schi-tica (c, 113) parrebbero contradditori, ma si conciliano facil-mente interpretando Histria non per la nostra regione, ma per quella omonima alle foci del Danubio. Ancora: due volte parlando deli' Histria Etico fa menzione delVHister, ossia del Danubio, dove e notevole specialmente il passo seguente: Histriam ingressus, cruorem tantum fudit ita ut undas Histri hurnanus cru.or praeoccupassit (c. 103). Potrebbe to-gliere valore alla testimonianza il fatto che anche il nostro Quieto anticamente chiamavasi Hister; ma ecco soccorrerci un altro passo, dove e detto che la Tracia era interclusa ab uno latere Istro amne (c. 76). Alle stesse deduzioni venne nella introduzione alla Cosmogratia anche il Wuttke 3), partendo in parte da queste, in parte da altre considera^ioni, ch' io ho voluto novamente vagliare, col presupposto che 1'Histria di Etico fosse la nostra; ne risulto piu chiara ed evidente ancora la verita contraria, 4) Cfr. Berger in Pauly-Wissowa Real-Enajclopadie d. class. Aiter-lumsvriss. I (Stuttgart 1894) p. 698. !) Tenffel-Schtvabe Gesch. d. rom. Liter., Lipsia, Teubner, 18824, p. 107. ») 1. c. pag. LXXVIII. Si cessi dunque di ostentare il nome del cosmografo quale doeumento della eivilta nostra nell' eta di rnezzo, come sulla fede dello Stancovich fece piu d' uno '). Trieste 17 nov. 1907. Baccio Ziliotto. Horatio Moreschi Da tre giorni pioveva or dirotto, or un' acquerugiola fitta e minuta da un cielo coperto di neri nuvoloni, che si rincor-revano minacciosi, eaeciati dali' insistente scilocco. Dalla per-gola dello zibibbo si staceavano ai buffi del vento le toglie inaridite, ehe prima d i stendersi tradice al suolo, frusciavano per qualche istante sul ballatoio. La tristezza della stagione morente mi metteva nell'animo quel senso di malinconia che si prova ali' appressarsi dei giorni sacri alla memoria dei de-funti. E fu allora che il desiderio di vivere con quelli che m' aveano preceduto, mi le' eercare i documenti piu antichi deli' arehivio parroccbiale di Sissano, deve mi trova va: e trassi fuori alcuni libri stazzonati a brandelli. Dalle pagine ingiallite dal tempo, guaste dali' umidore, dalla polvere e dal dente aguzzo di qualche topo, s' aizava un odor acre e spiacevole. Sentiva ripugnanza di posarvi le mani, ma quando incominciai a leggere, mi piacque, per la sua antichita veneranda, il pro-fumo delle memorie che rifiorivano in quelle monotone notizie succedentisi in ordine di anni, di matrimonl, di battesimi e di morti. Era tutto un mondo ehe si agitava al par di oggi: le generazioni nuove sospingevano verso il tramonto le vecchie; J) Per esempio L. (Jonan La storia istriana in clialoffhi famighari. Trieste, 18882, p. 68: «L' Istria diede (nell'epoca romana) aH'impero con-soli, proconsoli, scnatori, letterati e uomini di vaglia in ogni ramo della pubblica amministrazione, nella milizia, nella religione, nella medicina e nell'arte. Nomineremo.... Antonino Etico, che descrisse le vie principali deli'impero». — II Silvestri L' Istria, Vicenza 1903, p. 525 lo da come «letterato». ai maritaggi che la morte infrangeva, altri a surrogarli si con-traevano, le due razze incominciavano a incrociarsi, i bei nomi italiani s' accoppiavano con quelli di gente venuta da poco. Leggeva qua e 1& a caso: «A di 7 Aprile 1652. Piero figlio di Biacio Di Osso et di Zannina sua moglie natto di legitimo Matrimonio il 5 instanti, batizato da me Ant.o Braccaricchio Arcip.te. Compari fu Piere Bortoluzzi et Comari Catarina moglie di Marco Raditicchio.> «A di 6 Ottobre 1652. Mattio figlio di Simon Popazzi di m. (mistro) Pieron, et di Maria sua moglie, nato di legitimo Matrimonio li 28 del passato batizato in časa da d.na Marina Bosiscovich per necessita, cerimoniato alla Chiesa da me Pre' Ant. Braccaricchio Arcip. Assistenti fur.no Mattio Stanisich e Colotta moglie di m. Mattio di Toffo q.m m. Toffo.» Altrove: «A di 19 Genaro 1652. Tonin Lorenzin di m. Roco 6 passato da questa alla miglior Vita con tutti li Sant.mi Sacramenti fu sepolto nella Chiesa di Ss. Felice et Fortunato da me Pre' Ant.o.» Poi: «A di 27 Sett. 1656. Congionsi in S. Matrimonio An-tonio Chersin con Franceschina figliola del q.m m. Piero de Toffi, io Pre' Pietro Binussi Capellano fatte le solite cerimonie nella Chiesa Archipresbiterale di Ss. Felice et Fortunato, et eio alla usanza di Pola et Polisana*) presenti li infrascritti Testimonij P. Zuane de Mori Subd.o, Franc.o Poppacci et Franc.o Forlan, servatis servandis.» Indi: «A di 9 Luglio 1663. Mattio Garofal da Momorano, et Lucia fig.la di Iseppo de Facis di q.sto Loco li congiunsi in santo Matrimonio. Io Iloratio Moreschi Arcip.te et di pres.te pro Vic.o Gen.ale di Pola li ho congionti in Santo Matrimonio nella Chiesa Archipresbiterale, servatis servandis, giusto alli decreti del Sacro S.to Conc.o di Trento, alla presenza di m. Matteo Vites Meriga, di m. Piero Popacci e di m. Santo de Zuate fabro del Loco, et nella solennita della Messa li ho benedetti nel Sig.re premissa la fede statuita del Rev.do Piev.o di Momorano, intendendosi questo matrirn.o per il con-trato anteced.te a fra' e suor, usanza di Pola e Polesana.» Mi fermai con maggior interesse sul «reperitorio de' morti.* Quante tristezze, quante lagrime, quanti cuori infranti, quante *) II contratto matrimoniale rti fra c nor a Rovigno, a Sissano ed altrove voleva signifleare che gli sposi costituivano fra loro una comunione di beni di quanto portavano tutti e due nel cumolo matrimoniale e quanto durante il matrimonio sarebbero per acquistare. Lo sposo poi costituiva una contradote alla sposa in segno di amore, e questa a]>parteneva ad essa eselusivarnente. speranze distrutte! E compiangeva ripensando i bambini morti nell' epidemie, le donne giovani che discendevano nella bara inghirlandate di speranze come movessero alle nozze, i padri di famiglia o le poverette designate col nome di Elena o di Maria morlaca. Quel tono di funerea solennita con cui venivano registrati i defunti, tutti confortati dalla Religione, or sono tanti anni quando la societ& era in condizioni ben diverse dalle presenti e la fede infiorava la fossa di promesse immarcescibili. ben si confaceva alla stagione ed ai sensi deli' animo mio. Con 1' anno 1656 la scrittura si cambia e palesa una mano avvezza a trattar meglio la penna, la dizione si fa piu corretta, piu rotondo il periodo, piu scultoria la frase e qualche parola di compianto delicata e sobria lascia intravvedere un cuore ben fatto. La prima nota del nuovo arciprete nel libro dri morti suona cosi: «A di 2 I j u gli o 1656. Cappito avviso in q.o Loco qualm.te il M. R.do Pre Antonio Braecaricchio Arciprete Diocesano fosse Pass.o da q.sta alla miglior Vita nell' Inclita Citta di Venetia li 23 Giug.o nitim.te pass.o et Io Horatio Moreschi success.re al sud.o Arcipretatto Vidi humari il suo Cadavere nella Chiesa di s. Geminiano di d.a Citta L' anno di sua eta 59, il giorno 23 Giugno come sopra.» Ed un'altra, fatta piu tardi, era concepita cosi: »A di 30 Giugno 1663. Antonio Ribaricchio Cieco, nativo di Rovigno, ma habitante in questo Loco gia anni 21 1' ho congionto in s.to Matrimonio et Antonia v. g. Vedova del q. Lorenzo Sain, et per evvitare pericolo di redicolare d.o Cieco, qui nella mia Časa segui il d.to Matrimonio, presenti m. Piero Fi •ezza, e Zuanne Milossevich Testimonij hauti, e pregati, in reliquis servata forma Concilij Tridentini. Ego Horatius Moreschi Archipresbytero, et modo pro Vi-carius G.nalis Ill.mi et R.mi D. D. Patris Ambrosij Fracassini E.pi Polensis, haec solemnizavi, et mea manu conscrips\» II nome dell'Arciprete Moreschi non mi riusciva nuovo, e frugando nella memoria mi sovvenni dove 1'avessi letto: nelle »Notizie storiche di Pola, edite per cura del Municipio» nel 1876; e pochi minuti dopo vi leggeva nella prefazione: »Altro sacerdote di nome Moreschi, arciprete di S;ssano, det-tava pure una memoria storica di Pola, di cui non si ha traccia*. Cosi se ne parla anche nel Saggio di hi bi i ogra.fi a istriana. Ed allora con maggior in teressam eiito svolsi qnelle pagine su cui, or son dugento cinquant' anni egli andava no-tando i di tasti e nefasti della sua parrocchia, E mentre sfo-gliava quegli antichi documenti, mi sembrava ch' egli, tratte-nendo il respiro, mi si avvicinasse alle spalle a leggere con me le note che aveva scritto dolorando. Si, leggiamo insieme il reperiforio de' raorti, li ce ne son registrati anehe de' tuoi parecchi, o don Horatio, e mi scende al cuore, come fossi aneor vivo, la tua iattura, ch' esprimevi con quella rassegna-zione che ti veniva dali' alto. Leggiamo: «A di 26 Agosto 1660. Passo da questa alla migliore vita un fanciullino per nome Nadalin, d' anni 3, mesi 8: nepote, latere sororis, di me Horatio Moreschi Arciprete, et al R.mo Pro Vic.o Gen.le di Pola; spiro XI giorni dopo la morte della q. Mad.na Lucietta mia dilettis-sima sorella, sua madre, et moglie del q. D.no Lorenzo Taglia-piera d'Albona, et un giorno dopo la morte d'ello q. D.no suo Padre, et mio carissimo Cognato, premorti in Albona mia Patria. Fu sepolto nella Chiesa Archipresbiterale di questo Luoco nell'Arca dinanzi l'Altar di S.ta Monaca esibitami dal m. Rocco Lorencin per affetto et amore qual mi por t a. Fu accompagnato dal R.do Capell.o e M. R.do P. Ant.o Lorenzin, Piev.o di Lisgnan co 1' exequie parvulorum sepultuato, attrovandomi mesto e do-lente non solo per la perdita cl' ello, quanto delli suoi Genitori. Sit Nomen D.ni Benedictu:» Ecco in undici giorni distrutta una famiglia! Un anno di poi un' altra nota insolita mi richiama 1' at-tenzione. «A di 10 Agosto 1661. Venne 1'avviso et lettere di Mons.r Archidiac.o Bastiro-ma (?) gia Vic. G.le di Pola, qualmente li 17 Lug.o passa nella Citta di Roma era pass.o da questa alla miglior vita L' lll.mo et Rev.do Mons.r Aluise Marcello quon. Vescovo di Pola a visitare li saeri Lunini si porto ivi, havendo lasciato me Horatio Moreschi Arcip.te per suo Pro Vic.o G.nale in spi-ritualibus et temporalibus di cpiesta Diocese, havendo la med.ma governato per l'aiuti prestigli dal S. Icldio un Anno, et due mesi pieni; furono in q.ta Chiesa Archipresbiterale celebrate le sante Messe, et Divini Ufficij, et il funerale consueto con 1' assistenza di molto Popolo; fu pošto in Roma sopra il suo sepolero 11 seguente Eloggio. In San Marco. Alovsio Marcello Patritio Veneto E eongregatione Soinasca ad Episcop. Sebenicens. deinde Polens. assumpto Viro fidei propagaudae ardore, innocentia et fortitudine animi praeclaro Qui anno 1647 in Sebenicensi obsidione Pastoris partes ac I)ucis pie sinml et fortiter explevit Romae dum Sacra Limina veneraretur extincto Anno Salutis 1661, aetatis vero 65 Franciscus Bastiroma Vicentinus Archidiaconus Polensis, ejusque Vicarius Generalis moestissimus posuit. Horatius Moreschi Archipresbyter, proximus Pro Vicarius Gen.lis Polensis, praeteriens, manu pr.a in hoc libro posuit.» E a di 20 gennaio 1662, scriveva: «Madonna Domenica Vedova del q. D.no Antonio Moreschi, Madre dilittissima di me Horatio Moreschi Arciprete, passo da questa alla miglior Vita, spirando al Sig. Dio, alla meza notte in circa, dopo lunga e travagliosa infirmita di sei mesi; esseudo d' eta d' ani sessanta cinque, fu confessata; et a contemplazione della stessa Io di Lei adorato Figliuolo 1' amministrai il Sacra-mento deli' estrema ontione, non pote comnumicarsi per 1' ac-cidente periglioso che cade appopletica, gli fu rac.ta 1' anima, qual rese al suo Creatore invocando il santissimo Nome di Giesu. et tra le braccia mie et di Giacomina moglie di q. Zuanne Millossevich del q. m. Vido di questo Loco et di' mia sorella di lei figliuola morse; assistita da cortesissime et .cari-tatevoli Donne, preseliti al di lei transito. Con facolta del Rev.mo S. Vicario Cap.lare, et per cortesia deli' Honoranda Vicinanza delli Merighi e Dadodici *), fu disignato per degno Sepolcro al suo Corpo un loco sotto la Pilella dell'Aqua santa nella Chiesa Archipresbiterale di SS.ti Felice e Fortunato Martiri n.tri Protettori, qual sepolcro Io prefatto Arcip.te la-crimante benedissi; et ivi fu pošto il di Lei Cadavere, con cond.ne che non possi alcuno in nisun tempo esser sepolto, eccetto ch' io, in occorrenza d' elegerlo per mia sepoltura. Fu celebrato tutto il Divin off.o con 1' intervento del R.do P. Pietro Cucurrino Capell.o II R.do P. And.a Lorenzin Piev.o di Lisgnano, R.do Pre Michel Francolich da Medolino, Suddiac.o And.a Zuan-nich, et Chierico Franc.o Popacci. II Corpo fu levato dal d.to Clero, et portato per honorarlo dali' Honorandi Dadodici, ac-compagnato qua,si da tutto il Popolo, a quali tutti il S.r Dio conceda lunga vita. In futura Memoria di che Io Arcip.te pre-nominato per affetto della Cara Genitrice minutam.te sposi cio; Pregando li M. R.di S.ri Arcip.ti avvenienti miei Successori scusar L' affettatione di questa Diciaria proffusa; et dopo haver *) Meriga e i I mariais villae come veniva chiamato nell' Italia alta e media, ed era un capo od anziano della villa. I Dadodici o Dadcdise avrebbero dovuto eostituire una carica di ctti non saprei precisare gli uffiei. questa Letta che si compiaciano per queH'Anima dire un Re-quiem a quali prego addesso per ali' hora, sempre l assistenza del Spirito S.to» A di 22 settembre 1663 un'altra nota che dice: «L' Ill.mo e Rev.mo Fra Ambrogio Fracassini Vescovo di Pola d' eta d' anni 66 in c.a passo di questa alla miglior vita nella CittA. di Pola, al quale io Horatio Moreschi Arcip.te et suo Pro Vicario G.nale ho amministrato il Sacramento della Penitenza; hebbe L'oglio s.to per mano del M. R.do Curato della d.ta Citta, et gli fu racc.ta L' anima: et assistendolo io qual sopra, spiro al Sig.re alle sette hore della notte: fu vestito Pontificalm.te, et portato nella Cattedrale, stette sopra terra tutto il sabato 22, sett.e et Dom.ca li 23 con molto concorso di Popolo fu portato processionalm.te attorno la piazza, fati gli officii, et Sante messe; di mio ordine fu pošto in Deposito, sin' altro avviso de s.ri Parenti da Brescia. Visse Vescovo mesi 5, giorni 23, alla Residenza mesi 4, giorni 10. tene ordi-na.ni le pentecoste; fecce la Visita a Dignano, Barbana, Albona, Fianona et Fiume, dove institui il Monasterio di Monache: fu Frate di S. Dom.co, Maestro et Theologo, et Inquisitore a Vi-cenza et poi molt' anni Inquisitor Generale in Venetia. A di pr.mo d' ottobre in quest,a Archipresbiterale fu gli fatto il solito funerale con molto popolo presente. Fu poscia humato 11 suo Cadavere, a mezo della Catted.e con 1' iscrizione da me composta.* L' iscrizione e del tenore seguente: fr. ambr0siv8 ' fracasini • nob. brixien.s ord. prabdic. olim ' inq.r gnalis ' venetia. iiic ' iacet obut • ep.vs ' polen.s ano ' primo * svi ' ingresvs. d.ni ■ vero • mdclsiii ' die ' xxii ' men. sei>t. Come si A-ede, Pre Horatio Moreschi era uomo molto sti-mato e per pieta e per studio, ed e vero peccato che nulla resti della sua storia di Pola: ehi sa quale e quanto tesoro di documenti non sia andato perduto con 1'opera sua! Godeva grande stima presso i veseovi diocesani e nell' Istria, dove il suo nome era conosciuto, che non una volta accompagno i presuli nelle visite canoniche, durante le quali predicava e in italiano ed in lingua illiriea, come si eruisce dalla memoria presente, rinvenuta nell' ultima pagina del libro dei morfi, la quale anehe per altro motivo ehe non sia una curiosita bio-grafica, desidero qui riportare. Ma le carte, r6se dal tempo e forse da qualche topo malaugurato, non permettono di darla nella sua integrita: bastano pero a far comprendere quanto vo dicendo. «Laus Deo Semper. Acl futuram Dei memoriam. II primo giorno del! Anno 1660, festa della Circoncisione di N. S. Giesit Christo, p.mo di Gennaro jnditione Romana XIII sotto il Pontificato della San-tita di S. Alessandro VII, L' ano V Reggiendo la Cathedrale di Pola I Illmo e R.mo Mon.r Aluise Marcello Vescovo d' ella Citta. Essendo Arciprete in questo Luoco di Sissano Io Horatio Moreschi nativo di Albona portate processionalmente dalla Chiesa di s. Francesco, nel!Archipresbiterale di ss. Felice e Fortunato Martiri Le S.me Reliquie donate. Le due prime do-nate dal Mol. 111.mo e Rev.mo Mons.r Francesco Bastiroma, Archidiacono, et Vic.o G. na le di Pola, et queste per essere venerate nell' Archipresbiterale sud.ta, diede S. S. R.ma in reconoscenza cli' io Arciprete sud.to nel spatio di g.ni 70, L'ho concomitato nella Visita che fece S. S. R.ma sopra li luochi del! Imperio, soggietti a questa Diocese, ne quali ha ammini-strato il Sacramento della Chresima il Ill.mo e Rev.o Mons.r Vesc.o.....et io 1' ho servito per Mastro di Cerimonie, et ho predica...... della sacra Visita, et forza del Sa- cram.to della Chres......bo eseguito nella Visita del stato Veneto fatta.....luoghi di questa Diocese, mentre Mons.r.......renzo, et Conte d' Orsara nel spazio di g.ni 7.......Chres.ma servendo io anted.o Arciprete ........re Puljuti predicando sopra li stessi Pre . . . , . . . et illirica, seeondo il bisogno, et secon...... di questa Diocese, et altri Luochi: Ond.......Prelati parole di molta stima.......Ill.mo e Rev.mo Mons.r Vesc. di Pola......Diocese per il spatio die S. Ill.ma si........Infirmita, et 3 Reliquie, quali in ... . , . . liquiario a Pubblica veneratione del Popo...... NOMI DELLE SS. RELIQVIE. . . . .Esuberantia Martire, Vna di S. Timoteo Ma..... . . . . Vna di S. Vincenzo Martire, et una di s. Vale . . . .....pr.te sud.to il pres.te Attestato di manu.....» Ai 12 luglio 1665 egli serive va, col cuore angosciato e fisso in animo di provvedere alla rivendicazione d' un grave torto subito dalla sua famiglia, questo annunzio mortuario. «Lucietta figliuola di m. Gasparo Lupetin et d.a Madalena ingali d'Albona, et Cugina in 2.o grado di Consanguinitži di me Horatio Moreschi Arcip.te latere matris, d' et& d' anni 20 in c.a in stato di Virginitk passo da questa alla miglior Vita, essendo stata meco sedici mesi con esatta obbedienza, et pun-tualita per governo mio: fti confessata da R.o Pre And.a Lo-renzin Piev.o di Lisgnano suo Confessore ordinario, fu Com-municata in giorno di Dom.ca infra 1' oetava del Corpus D.ni li 7 d.o dal R.do Capell.o di questo Loco con divotione evicl.ma. Et io sud.to suo Cugino la notte anteced.te il d.to giorno 12 sud.o li ho conferito il Sacramento deli' ostrem a untione, L'as-siste per pochi momenti raccomandandogli 1' Anima esso R.do Capellano, qual spir6 al sig. Iddio assistendola la sud.a sua madre mia Ameda, et una sua sorella. Fu celebrato il suo tunerale col maggior num.o di Messe habbi potuto havere, ac-compagnato dalla Carita di molto Popolo, et quasi di tutte le Honorande Donne del Loco compiangenti le lagrime della Ge-nitrice afflittis.ma. II cadavere fu trattenuto sin ali' occaso del sole insepolto, aspetando il di lei P.re, et fratello con suoi Congionti, fu poi rispetto alla stagione pošto sotto terra nel Cemiterio dell'Archipresbiterale per modum depositi animo trasferendi, servatis servandis ad Sepulcra suorum Maiorum in Patriam. Io Arcip.te ho fatto tutte le premesse narratevi dopo haver pianto estinti qui la Madre, un Nepotino latere sororis et Giac.na mia Sorella dal perficio marito uccisa ingiuste, et innocentem.te, come lasciaro di cio memoria col favor Di-vino a pro del suo Candore non macolato.* E fu 1'ultimo. Da quel giorno il suo nome non apparisce pili. E morto? 6 partito? si reco lorse a Venezia come il suo predecessore Braccaricchio, per dimenticare nell' incanto am-maliatore della Regina deli' Adriatico 1' ambascia deli' animo esulcerato ? Quando alzai gli ocehi da quella triste lettura durata omai troppo, mi sentii stanco. Era la mezzanotte e mi recai a riposare. Ma di dormire non fu il caso. Pensava che in quelle anguste e basse camere due secoli e mezzo prima egli aveva tante volte camminato meditabondo e dolente, ora svol-gendo le lila del suo lavoro, ora piangendo i suoi cari. Come Dio volle, m' addormentai. Ed ecco una ridda di sogni macabri mi si schierano dinanzi: erano Sissanesi, vestiti nell' antico loro costume sobrio e signorile, e morlachi rapaci; vedeva battesimi e funerali e nozze e sangue in un grottesco arruffio. Quando aggiorno, andai frugando tra le carte piu vecchie e qualcosa trovai. Sono alcuni documenti che il povero Mo-reschi andava di lunga mano raccogliendo per compiere la storia divisata? O sono notizie raccolte da altri, in epoca po-steriore? Furono essi consultati e letti da qualche studioso? Sono due fascicoli: 1' uno di carte novanta quattro con-tenenti copia di molte decisioni del Senato veneto su questioni che riguardano la villa di Sissano ; 1' altro un fascicolo — il settiino della collezione — di quattordici investiture autentiche di terreni eoncessi dalla Repubblica preeipuainente a famiglie morlacbe in quel territorio, nella prima meta del settecento. Comunque sia la cosa, ritenni opportuno di presentare queste poche memorie della vita del Moresehi, come quella che da occasione di studiare le condizioni nelle quali allora trova vasi Sissano, una delle ville che piu marcatamente con-serva il carattere, la lingua, gli usi degli antichi istriani. Prof. Valeriano Monti. Hlcuni ceniti sul cottimerci deiristria antica. E risaputo oramai come alle scliiatte ibero-liguri, che occuparono 1' Istria nell' et& neolitica, sien successe poi (eta del bronzo) le stirpi traco-celtiche od Mire, come voglian chiamarsi (ben da distinguersi dalle slave), di cui furon rampolli gl'Istri, i Giapidi ed i Liburni. Gl' Istri occuparono il tratto di territorio che va dali' I-sonzo all'Arsa, i Liburni quello dall'Arsa al Tarsia (Tersatica) -estendendosi fino allo Zermagna e sulle isole, i Giapidi si sta-bilirono sull' Ocra a ridosso degli Istri e dei Liburni. E natu-rale che, e per la posizione geografica e per la conformazione del suolo e per lo sviluppo della costa assai accidentata, gli Istri ed i Liburni abbiano esplicato subito una grande attivita commerciale, essi che n' erano maestri fin da quando avevan lasciato le loro sedi primitive al Mar Nero, pur mantenendo la lor natura bellicosa e fiera per difendersi dalle incursioni dei vicini Giapidi e Carni. Infatti come prima gli Ibero-Liguri avevano avuto rela-zioni di commercio coi popoli della Sava e del Po, cosi adesso gl'Istri — e specie i Liburni — le ebbero e le svilupparono meglio ancora cogli Etruschi, coi Fenici, coi Greci. Gli Etruschi ritraevano il ferro e 1' oro da Hallstatt, 1' ambra e lo stagno dal settentrione. Gli Istri ed i Liburni non furon o estranei a tali traffici, ed i molti oggetti etruschi di lavoro pregiato tro- vati in Istria, 1' istessa fondazione di Mutila e Faveria, che i! nostro Carli vuol etrusche, i cranl brachicefali trovati ad Ossero, ci son prova che gli Etruschi avevano anche lor fattoric in Istria e che Istri e Liburni ritraevano gran parte degli og-getti di lusso dalle fonderie di bronzo, che gli Etruschi avevano nei pressi di Gorizia e a S. Daniele del Carso. II nostro museo provinciale, la raccolta archeologica di Ossero e quella degli eredi del marchese Vincenzo de Gravisi a Capodistria hanno vari oggetti etruschi, tutti rinvenuti in Istria e specie monete colla scritta HAT. (Hadria). Fin dai tempi piu remoti intenso fu anche il eommercio degli antichi Istri coi Fenici. Ce lo provan i miti di Cadmo e di Armonia, il nome di Akelim dato agli Illirf, quelli d'Istria — a quanto vuolsi — dato alla penisola e quello di Istris all'isola di Cherso, quello di Electrides al gruppo delle liburniche, le lapidi aquileiesi, i riti funerarl e 1' infinito numero di oggetti fenici ed egizl rinvenuti ad Ossero. I Liburni e gl' Istri quindi furono per lo meno gl' intermediarl del commercio fra 1'Orientc e 1' Occidente e certo Ossero ne fu lo scalo principale di scambio. Coll' accrescersi pero della potenza assiro-babilonese e colla decadenza deli' Egitto, cessa la grandezza fenicia. La Grecia si libera dal servaggio fenicio, come lo provan i miti di Ercole e Teseo; le onde deli'Adriatico non vengon piu solcate da navi d' Asia, sorge piu fulgida che mai la stella deli' Ellade ed i Greci, resisi indipendenti, si danno al commercio ed alla navigazione (mito degli Argonauti) e liberano il mare dai pirati che io infestano (guerra troiana). E cosi che il loro commercio si estende fino ali' ultimo seno dell'Adriatico e quivi fondan colonie discacciandone i Fenicii. II drago dagli occhi di fuoco, Ino figlia di Cadmo, le vittime umane sacre a Giove Lafistio, Agamennone ed Ifigenia, Ettore ed Achille, Greste e Pilade, deita o prettamente fenicie o assunte dai Fenici dai traco-celti, ci provano la lotta incessante delle tribu elleniche contro 1' Oriente. E meglio ancora della spedizione degli Argonauti, che venne a noi sol coi poeti orfici della scuola alessandrina, la colonizzazione-greca alle spiaggie nostre ci e provata dal mito di Diomede, che cacciato dall'adultera moglie Agialia si rifugia al Timavo, da quello di Perseo, che tagliato il capo a Medusa, giunge al Po, dal nome di Absyrtides dato alle isole di Cherso e Lussino e da quello di Absyrtos ad Ossero, di Curicta a Veglia, e specialmente da quello di Hera, la dea degli Istri, 1'Artemide dei Greei, la Diana cac-ciatrice, la dea lunare, la lucente deitk dei eieli, fiera vendi-catrice nel suo odio, queH' istessa a cui gli Absirti avevan eretto un tempio: E tragittaro nelle due Brigeidi lsole di Diana. Eravi un tempio Saero alla Dea sur 'una d' esse. (Apoll. Arg.) P. Errori vecchi ed errori nuovi sull'Istria. A proposito d' una recente publicazione *) Gli stranieri, speeie i Tedesehi, come non possono concepire 1'idea di un' Italia meridionale senza pensare subito al lazzarone napoletano, o al brigante calabrese o al maffloso siciliano, cosi non possono figurarsi 1' Istria senza vederla abitata da soli Slavi e per di piu miserabili e semi-barbari: gli stranieri, fatte pochissime e lodevoli eccezioni, parlano del nostro paese senza conoscerlo, senza forse averlo mai veduto ; essi non san trovarvi che pezzenti Cici, venditori d' aceto e di carbone, che rozzi Morlacchi, incolti e sanguinari. Or cio e falso, falsissimo ; in primo luogo gli Slavi deli' Istria non sono quei barbari che molti credono, essendoche anehe fra loro e penetrata la beneflca face della eivilta ; e in secondo perche nell' Istria accanto agli Slavi ci siamo anehe noi, non immigrati ma autoctoni, abitatori delle eitta e delle castella, con la nostra storia gloriosa, con la nostra ricca letteratura. Un lavoro zeppo dei vecchi errori e dei veechi pregiudizi riguardo ali' Istria e quello che ci sta davanti e ce ne oecupiamo non per il suo valore, che e discutibilssimo, ma per esser esso comparso in una importante e diffusa rivista geografica. Dali' attenta lettura deli' articolo noi abbiamo tratto il convincimento che l'A. conosca pochissimo il popolo che egli vi vuoi deserivere ; il suo , lavoro si basa tutto su fonti; ma che fonti! il Valvasor (vissuto nel secolo XVII!), un paio di guide illustrate, la famosissima «Oesterreichische * Dr. F. Tetzner, Die Istrisc.hen Slaven. «Globus», Vol. XCII, N. 6, Braunsohweig, 1907. Monarchie in Wort und Bild» e.... i conduttori ferroviari della Pola-Trieste ; non P Urbas, non lo Stradner, non il Miklosich, non i nostri Combi, De Franceschi, Covaz, Vassilieh, vere autorita in niateria ! Subito da bel prineipio da nell' oechio un periodo che contiene pareeehi errori; traduco : «Questi Rumeni (deli' Istria cioe), come anehe la popolazione slava deli' Istria, vennero in paese nei seeoli XVI e XVII dali' Oriente, e si stabilirono accanto ai resti dei primi Slavi, che avevano respinti e assimilati i Romani e gli antichi abitatori romanizzati«. Anzitutto 1' A, non accenna ali' esistenza di dne gruppi di Rumeni istriani: quelli del Carso (Cici) e quelli della Val d'Arsa (Ciribiri); poi 1'epoca della loro venuta e falsa: i primi furono importati al prineipio del secolo XVIl) e sono, eecezion fatta per Sejane, completamente sla-vizzati ; i secondi vennero da noi quali pastori erranti probabilmente gia nel secolo XIV2). Che infine le prime immigrazioni di Slavi in Istria, abbiano assorbito gli indigeni e che la lingua italiana sia stata importata cla Venezia (pg. 86) e asserzione assolutaniente erronea e gratuita : dal pttnto di vista storico essa fu ribattuta brillantemente co?i i documenti alla mano dal professor Benussi3); quanto concerne la linguistica ci faremo lecito chiedere: se fosse vero, come dite voi, che prima della venuta di Venezia 1' Istria era slava e che solo da questa sia stata italia-nizzataT come si potrebbe allora spiegare il fatto che regioni nostre le quali furono solo per breve tempo o pur mai sotto il dominio veneto sieno state sempre prettamente italiane, come p. e. Trieste, o in esse la lingua italiana sia stata sempre parlata da una buona parte della popolazione, come nella Contea di Pisino V 4j A questa popolazione slava tro-vata in tutta 1' Istria e da essa italianizzata, Venezia poi avrebbe dovuto laseiare in retaggio il suo dialetto, il veneto : come va invece che fino a poehi decenni fa a Trieste, a Muggia e forse anehe a Capodistria il popolo parlasse friulano e tutta 1' Istria da Orsera a Pola usasse e in parte usi tutt' ora un dialetto italianissimo che eol veneto non ha nulla a che fare e che i glottologi ehiamarono proprio «istriano» ? Come va che Dante, vissuto quando solo parte deli' Istria era soggetta a Venezia, e anehe da poco tempo, trovasse che vi si parlava un dialetto italiano, di cui egli fa anehe cenno nel suo «De vulgari eloquio» ? A voler sostenere piu oltre una siinile teoria si cade nel ridieolo, nell' assurdo. Anehe lo Zemrich, etnografo di solito coscienzioso ed esatto, si e lasciato trasportare dalla corrente : nel grande Atlante Spamer egli disegna una carta etno-grafica deli'Europa centrale attorno al 600 d. C. ; ebbene, lo credereste? tutta 1'Istria, fin oltre Trieste sarebbe stata abitata allora dai «Chrowaten»! Capite ! E 200 anni dopo, al Placito del Risano (804) gli Istriani protesta-rono solennemente contro le prime importazioni di Slavi in paese ! Sarebbe ') Vedi G. Vassilieh, Sull'origine dei Cici. Archeografo Triestino, III Serie, Vol. II. fasc. II. Trieste 1906, pg. 51. *) Detto, Sui Rumeni deli' Istria, Trieste, 1900. pg. 76. 3) Prof. D. Benussi, Nel Medio Evo ; pagine di storia istriana. Parenzo 1897, Cap. I, § 3. 4) Vedi C. De Franceschi, L' italianita di Pisino nei secoli decorsi, Capodistria 1904. ora di finirla con questa menzogna convenzionale che ci degrada e ci fa stranieri al nostro paese !') Ma ritorniamo al lavoro del Tetzner. Non k esatto chiainar 1' Istria «il territorio dei Serbo-Croati«, tutt'al piu si puo dire che nell'Istria vivono anche Serbo-Croati; ne g-li abitanti delle coste sono «per lo piu bilingui«; pochi di essi conoscono lo slavo e pochissimi il tedesco, che in Istria non e per nulla una «Verkehrssprache». Secondo il nostro autore la vita puhlica di Pola a merito della marina austriaca a assunto un carattere tedesco (?!); pero subito piu sotto si arnmette che la popolazione borgliese parli per lo piu italiano ; meno male ! Ne certo meglio trattati di noi sono gli Slavi. «1 contadini istriani .sono gli identici tipi descritti dal Valvasor 200 anni fa». Questo poi no! In duecento anni anche i nostri Slavi anno fatto grandi progressi; e quei tipi di semibarbari e di briganti descritti due secoli fa dallo storiografo della Carniola e presen temente ali'A. dai.... conduttori ferroviari (pg. 86) sono quasi del tutto scompargi; li troveresti forse ancora in qualche remoto villaggio della Cieeria e deli'Istria interna, Anche le fogge di vestire, specie presso i maschi, vanno scomparendo, anzi in piu regioni sono scomparse del tutto. Sulla fe.de del Valvasor l'A. descrive dettagliatamente alcuni usi e eostumi popolari ; siamo certi che da quella volta (oltre 200 anni!) parecchi di questi se non scomparsi completamente si saranno molto modifieati, la narrazione non a quindi che scarso valore; ed e falso (lo abbia pur detto Jo storiografo della Caruiola) che gli Istriani parlino «istriano-dal-matino» (h e qua e la anche un .rattivo italiano«: gli Italiani del paese che anno essi pure il diritto, ci pare, di dirsi Istriani), parlano, specie nella zona costiera occidentale, o un bellissimo dialetto veneta o 1' antico istriano, egualmente puro italiano; gli Slavi invece, tanto Sloveni che Croati, anno nelle loro parlate molte ma molte espressioni straniere. Alcune costumanze che si fanno apparire specialita degli Slavi, sono comuni anche agli Italiani e ad altri popoli: cosi la festa dei Re magi, i fuochi di S. Giovanni, la processione del Corpus Domini ecc. Ma le inesattezze sono molte ancora ; ad un certo punto sta sc.ritto : «A1 Sud e tutto fertile, la troviamo i' campi coltivati a grauoturco, fichi, patate, boschi frondosi, acacie, quercie.» Al sud ! dove ? Nella Polesana tutto questo i' Magari ! Due villaggi ignoti Neuhaus (?) e Serff, (?) sarebbero i confini della Cieeria ; sulla fede del Valvasor, 1' A. ci narra che i Cici «sono buoni froinbolieri e che molti d'essi trasportano su cavalli il sale dalla costa nell' interno«. Anticaglie ! E' falso che gli Slavi non si dedichino alle a rti e mestieri; una l) II prof. N. Krebs di Vienna, valente geog'rafo e profondo cono-scitore delle cose nostre, ci da nel suo ultimissimo lavoro Die Ilalbinsel Istrien (del quale ci occupereino fra breve) un' esatta ed imparziaie espo-sizione delle condizioni etnografiche deli' Istria dai tempi preistorici fino ai giorni nostri. Quelle bellissime pagine dovrebbero esser ben lette e ponderate da quanti, amici e ncinici, sineeri e in mala fede, sostengono la non istrianita degli Italiani deli' Istria. volta no, ora si; ed 6 per noi una grande novita che alle coste istriane gii Slavi sieno ricercati quali marinai e carpentieri. Non esistono 0 in Sicilia, ove consegui. dopo Ca-latafimi, per premio del suo valore, il grado di tenente colonnello; lirico schietto e pensoso ed efficacissimo prosatore; peri, come ilgrande Shelle.v, ne' gorghi del Tirreno, sul comiuciare del '61, tra Palermo e Napoli, su la via del ritorno a Torino coi conti della leggendaria spedizione. Peri o, ineglio, spari con 1' Ercole, il vecchio piroscafo che lo trasportava, nel modo piu misterioso, senza lasciar traccia veruna, come non fosse mai esistito ; mentre lo attendeva fiduciosa la donna amata e 1' Italia contava su lui come su quegli che sarebbe stato fra poco il piii vero Tirteo della gesta garibaldina e il prosecutore piu degno della graude arte manzoniana. Com' era giusto, non mancarono ali' illustre sventurato ne il com-pianto ne 1' esaltazione si in versi che in prosa. Prima a dedicargli un carme fu Erminia Fua-Fusinato, seguita a breve distanza da Bernardino Zendrini, che celebro il Poeta soldato e naufrago, com' egli lo disse, in una lunga e commovente elegia. Poi, capito la solita pioggia di eornme-morazioni, studii e ricordi. Finche, nel 1900, apparve 1' opera magistrale e compiuta : II poeta soldato, di Dino Mantovani: un libro d' amore e di dolore, oltre che di scienza e di meditazione, in cui il povero Nievo sembra rivivere la sua nobilissima esistenza. Ed oggi, nell' universale riliorire della poesia garibaldina, eccoci di fronte a una nuova composizione poetica, ispirata dalla tragica tine del poeta soldato : La Morte di lppolito Nievo, di Spartaeo Muratti. Si tratta di un breve poemetto di nove — come dirle? — partizioni o strofe, composte di cinque terzine ciascuna. Ben martellato 1'endecasillabo, evi-denti le imagini, decoroso il linguaggio, marradianamente (mi si passi i' avverbioeioe egregianientc, congegnata la soname terzina ; ma qua e la nella visione, pur sempre nobile ed elevata, del poeta alcunche d' evanoscente, di eoufuso, di non bene determinato, proveniente forse, a nostro modo di vedere, da un troppo affrettato oppur inanchevole lavoro di lima. Ad ogni modo, convien pur dirlo, una cosa non certo indegna del Nievo e atta a produrre in chi la legga in suo pio raccoglimento un non passeggero piacere. (i. tr. Štefani, II primo noggiorno di A. Gcizzoletti a, Trieste, in «Arehivio Trentino» A. XXII, Fasc. III, Trento 1907. II poeta trentino venne a Trieste nel '37, raccomandato ai compi-latori della FaviUa da Vincenzo de Castro, piranese, «al quale 1' Austria tolse piu tardi la cattedra di Padova per motivi politiei». II G. entro come eandidato d' avvocatura nello studio deli' avv. Damillo, poi in quello del dott. Burger e abbandono la citta nel '48 per invito della polizia; assieme al Somma e al Dali' Ongaro, il G. fu tra i piu assidui collaboratori della FaviUa, fondata nel 1836 dal libraio Orlandini e dal nostro concittadino avv. Antonio Madonizza; del piccolo cenacolo face-vano parte ancora il piranese Giov. Tagliapietra, Pasquale Besenghi di Isola, «mordace ed irrequieto, che la cura di due studiosi ha tratto flnal-mente dali' oblio» e Michole Fachinetti di Visinada < dolee ma scolorito poeta:>. Nell' appendice si leggono alcune poesie del G. publicate per nozze. (*• (il. Sabitlieli, La Dalmazia nei commerci della Serenissima, Zara, Vi-taliani, pp. 112, 1907. 10 una novella prova che il cav. Sabalich da di attaccamento al suo paese natale e di perfetta eonoscenza della storia del medesimo. Quantunque questa volta il soggetto sia piuttosto arido, pure 1' A. lo sa svolgere con tale maestria che alla lettura del libro si prova un vero godimento intellettuale. Tanto ai tempi romani come sotto il dominio veneto le industrie ma specialmente i commerci della Dalmazia erano di importanza si puo dire, mondiale ; quel ricco paese era allora, e in parte lo 6 ancora, il ponte d'unione fra 1'Oriente e 1' Occidente. II libro a anche molti accenni alla nostra provincia. Alla line sono diligentemente elencati i documenti, i manoscritti ed i libri, che furono dali' autore consultati. (i. Fra i canti popolari. in o di attribuire un premio di Lire 3000 ad un romanzo italiano inedito. 1. E lasciata ai eoneorrenti la piu assoluta liberta circa il sog-getto e il genere del romanzo. — 2. II romanzo premiato sarž, pubblicato e dif fuso per cura ed a spese di «Poesia> nelle proprie edizioni. — 3. Sni guadagno netto che dara la vendita 1' autore pcrcepira il 50 n/„. — 4. II resto sara devoluto al fondo premi per i successivi concorsi di «Poesia». — 5. Ogni manoscritto potra essere firmato col nome o con un pseudonimo, e dovra essere aecompagnato dalla bolletta d'abbonamento 1907. — 6. II prezzo d' abbonamento a «Poesia» e di L. 10, e deve essere mandato di-rettarnente ali'amministrazione (Via Senato 2, Milano) mediante cartolina vaglia. — 7. La chiusura del Concorso e fissata improrogabilmente al 30 Aprile 1908. * II nostro egregio collaboratore sig. Giuseppe Vassilich puhlica nell'«Alto Adige» di Trento (31 dic.) un artieolo su La battaglia di Calliano, combattutasi nel 1487 fra i Veneziani e le truppe del conte Sigismondo del Tirolo. * Con sincero rainmarico dobbianio registrare che dopo un anno di esistenza il valoroso «Palvese» ha cessato le sue publieazioni. Nazario Dottor De Muri editore e redattore rpsponsabile. _ 11 —■^''(il Tip. Carlo l'riora, Capoilistria.