ANNO XVI. Capodistria, 16 Febbraio 1882. N. 4. LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Dn numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo.*) 1232. Aquileja, 29 aprile. Il patriarca conferma la sentenza che Corrado decano aquilejese aveva pronunciata in base ad esame del Vescovo di Capodistria, Assalone, e del canonico arcidiacono di essa città, che si credeva in diritto di partecipare col capitano tergestino all' elezione dei Vescovi di Trieste. Perg. nell' Arch. cap. di Trieste. - Scuss. St. crcxngr. di Tr. pp. 59. — Orniteo Lusitanio ('And. Gius, de' Bonomo). Sopra le monete dei vesc. di Tr. pp. 33. - Kand. Indie, ecc. pp. 28. — Cod. dip. Istr., e Arch. tr. Nuov. ser. T. V, 273. L'istituto di Credito Fondiario Provinciale L' Istria del 11 febbraio contiene un notevole articolo in risposta ad uno dell' Indipendente (dd. 28 Gennajo) col quale si consigliava alla direzione dell' istituto di credito fondiario provinciale, di aumentare il percento delle obligazioni, che sarebbero così più ricercate; e di autorizzarne la vendita in più luoghi della provincia, affinchè sia reso più facile ai comprovinciali di farne acquisto. L'onorevole autore dell'articolo dell' Istria, che si capisce assai addentro negli affari dell'istituto provinciale. si dichiara subito di opinione diametralmente opposta, ed in ciò anche noi siamo pienamente d'accordo. L'aumento del percento a vantaggio dell'acquirente, rentier, sarebbe tutto a scapito del mutuante, per solito un possidente senza quattrini, pel quale la provincia ha fondato l'istituto di credito, onde salvarlo dagli usurai; e che si dovrebbe per conseguenza costringere a pagare un tasso più alto del denaro ottenuto a mutuo. E quale vantaggio potrebbe sperare l'Istituto se favorisse l'acquisto delle obbligazioni da parte degli Istriani, anziché dei forestieri? Il credito delle obbligazioni sta unicamente riposto sulla solidità delle ipoteche e sulla buona amministrazione dell'Istituto, ed è indifferente che le obbligazioni sieno in mano di inglesi oppure di comprovinciali per ciò che riguarda il credito dell' Istituto stesso. Nè si può dire che sia tanto difficile farne l'acquisto presso la.filiale in Trieste dello stabilimento di credito per il commercio e l'industria di Vienna, dove si trovano al prezzo corrente di 98 p. 0/°, senza trattenute per provvigione ; mentre che se si autorizzasse la vendita presso i cambiavalute, questi non vorrebbero certo lavorare gratis per amore dell'istituto provinciale. L'onor. articolista dell' Istria si propone di ritornare sull'argomento. Società agraria istriana Ecco le modificazioni proposte allo Statuto di questa società, dal Comitato eletto dal Congresso generale di Buje, raccoltosi in Parenzo il 23 gennajo p. p.: La sede permanente della Società agraria viene trasferita a Parenzo. I soci effettivi che attualmente fanno parte della Società, sono obbligati a perdurarvi per un decennio a contare dal 1. Gennaio p. v. I soci effettivi pagano il canone di fior. 4 V. A. all' anno. La Società è rappresentata da un Comitato dirigente, costituito da un presidente e da quattordici deputati, dei quali uno funge da vice-presidente, ed uno da cassiere. I Soci eleggono dal loro consorzio il presidente ed i quattordici deputati. Dei quattordici deputati eletti a far parte del comitato dirigente, sette almeno, oltre il presidente, devono avere il loro domicilio nella città di Parenzo. II Comitato elegge dal suo grembo, il vice-presi-dente ed il cassiere, i quali pure devono avere sede a Parenzo, e nomina il segretario. Il comitato si raduna di regola ogni mese a Parenzo. Ogni comizio agrario potrà farsi in quello rappresentare con voto deliberativo da un membro eletto dal proprio seno. Per la validità delle decisioni del comitato si richiede la presenza di almeno sette membri, compreso il presidente, non calcolati i rappresentanti di singoli comizi agrari. È pure in facoltà del comitato di scegliere e nominare, fuori del luogo di sua residenza, dei propri rappresentanti, onde ottenere da essi prestazioni, pareri e relazioni inerenti allo scopo della società. È ammessa in ogni comune locale la costituzione di un comizio agrario, purché i soci effettivi iu quello domiciliati raggiungano il numero di dieci. La Società dev'essere dal preside convocata una volta all'anno in primavera nella sua sede, ainuieuochè nel congresso precedente non sia determinato un luogo diverso di convocazione. Qualora entro il mese di gennaio del decimo anno dalla rispettiva accettazione, il socio effettivo nou avverta con lettera l'ufficio sociale di non voler più continuare nella Società, egli rimarrà obbligato alla Società stessa per un altro decennio. Sarà però dovere della Presidenza di cancellare dal ruolo sociale quel socio che per tre anni consecutivamente non avesse pagato il canone sociale, e ciò senza pregiudizio del diritto di ripetere da lui il pagamento dei canoni arretrati sino al tempo dell'avvenuta esclusione della Società. Modificazioui agli statuti possono essere proposte dal presideute, dal comitato e dai soci, i quali ultimi devono però firmare la relativa proposta da prodursi al presidente, in numero di almeno venticinque, entro il mese di Marzo precedente al congresso. — Per l'adozione delle proposte di modificazione occorre,.salvo il caso dell'articolo susseguente, la maggioranza di tre quarti degli intervenuti. Per deliberare la cessazione della Società deve essere la medesima proposta nell'ordine del giorno, ed è necessaria l'adesione di tre quarti degl'intervenuti, che devono rappresentare almeno la metà dell'intera Società. Questi, per sommi capi, sono i punti salienti del nuovo Statuto, il quale couta 46 paragrafi. (Istria). è Dobbiamo alla cortese premura della direzione della stazione eno-pomologica in Parenzo, la seguente risposta alle domande fatte in proposito da un nostro egregio corrispondente nell'ultimo numero : Alla spettabile redazione della „Provincia" in Capodistria Con riguardo alle sollecitazioni rivolte a questa Stazione, nell'ultimo numero del suo pregiato Giornale, la sottofirmata Direzione adempie al grato dovere di notiziare codesta Spettabile Redazione, e per suo mezzo il pubblico, che la Stazione è già in possesso dei modelli d'aratrini, sistema Vernette, dei quali quelli accennati ne\Y Agricoltore, organo del Consorzio Agrario Trentino, sono soltanto una modificazione introdotta dal Sig. Prof. Ugues, Segretario della Società Agraria di Rovereto. Esperimentati che sieno a tempo opportuno questi aratrini nei vigneti del podere della Stazione, ed eventualmente anche in altri fondi privati, la sottofirmata Direzione non mancherà di dare pubblicità sulP esito delle prove istituite. Per ciò che riguarda l'altra sollecitazione, cioè che la Stazione voglia far raccolta nel proprio podere delle varietà di frutta riconosciute ottime, esistenti in Provincia, la scrivente Direzione, tuttoché creda fermamente che il maggior numero delle frutta, che ora si dicono indigene siano state importate da più o meno lungo tempo dal di fuori, è lieta di poter constatare che anche a questo desiderio, altre volte manife- stato, fu in parte di già corrisposto, come ne fa fede per riguardo ad alcune varietà di peri, ciliegi ecc., l'ultimo Catalogo prezzo-corrente degli alberetti da frutta vendibili presso questa Stazioue. Il principio della selezione viene anch'esso qui largamente praticato, tenendosi sotto studio nei frutteti piante madri una buona raccolta di varietà di frutta, per moltiplicare poi a mezzo dell' innesto le migliori e diffonderle. — Nuove varietà vengono ancora annualmente aggiunte alle esistenti ; e siccome la Stazione non crede utile allo scopo di andare qua e là all'azzardo alla ricerca di talee-innesti, se prima non ne ha veduto il frutto, così la sottofirmata Direzione sarà anzi molto obbligata e fa caldo appello iu questa occasione agli agricoltori, se essi vorranno, a tempo debito, favorirle qualche esemplare del frutto di quelle qualità indigene che fossero le più pregevoli, uuico mezzo questo per non mettere il piede in fallo nell' accoglimento di talee-innesti nel podere della Stazione ed arrivare più sicuramente a quella selezione, che è da tutti ugualmente desiderata. Pregando, infine, la Spettabile Redazione di dare pubblicità a questa lettera nel suo Giornale, voglia essa in pari tempo accogliere le proteste della più distinta stima e considerazione. Parenzo, 5 Febbrajo 1882. Per la Direzione della Stazione Eno-pomologica Provinciale. R. Callegari — Reggente. La vaccinazione carbonchiosa Il ministero d'agricoltura del Regno d'Italia ha incaricato l'illustre prof. Perroncito di assistere agli esperimenti del celebre Pasteur sulla vaccinazione preventiva del carbonchio, della quale abbiamo informato i lettori nell'ultimo numero, con la lusinga che le autorità provinciali se ne vogliano occupare e promuovere da cui spetta quei provvedimenti, i quali valgano a fare partecipe anche la nostra provincia dei grandi vantaggi della provvidenziale scoperta.*) Il prof. Perroncito di ritorno dalla Francia, tenne una conferenza sul carbonchio nelle sale del Consiglio agrario di Torino, augurando che la zootecnica e l'agricoltura sappiano approfittare del trovato Pasteur. Ed ora si è già data mano con esito felice ad intraprendere i primi esperiménti nelle vicinanze di Pavia, dove la terribile malattia serpeggia ; ed a tal fine concorsero senza esitazione per i necessari dispendi, il comizio agrario di Lombardia, e le deputazioni provinciali di Pavia e di Milano. *) Veniamo a sapere che la Direzione della Società agraria istriana, si è già rivolta alle autorità competenti, perchè siano provveduti i veterinari della provincia della linfa Pasteur, onde tentare l'esperimento e riferire. Archeologia istriana Il eh. sig. Carlo Kuuz, dotto e diligentissimo direttore del Museo civico di antichità di Trieste, ha dato nel ['Osservatore del 1° febbraio n. 26, l'elenco dei doni pervenuti al Museo stesso durante il secondo semestre dell'anno 1882. Tra questi troviamo registrata una cuspide romana di bronzo di Vermo douata dal Dr. Carlo de Marchesetti. Essa ci ritorna alla memoria il fatto che il nostro Luciaui ebbe da Vermo la prima punta di freccia dì sélce che siasi rinvenuta in Istria e poi un cavalluccio di rame dal collo lungo accennante ad epoca preromana. In quella occasione il Luciani riseppe che nello stesso agro di Vermo furono dissotte-rati molti anni addietro altri oggetti di cotto, di rame, di bronzo. Così egli in una lettera al Dr. Luigi Buzzi del febbraio 1870, pubblicata dal capitano R. F. Burton nelle —Note sui castellieri dell' Istria. Ricordiamo questi fatti ai comprovinciali e in parti-coiai- modo ai giovani alpinisti di Pisino perchè insistano nelle ricerche e a Vermo e in altre località di quel vasto distretto, specialmente poi nelle vallate che menano all'Arsa, alla Foiba, al Leme e al Quieto, e nelle vicinanze di Antignana e Corridico, nella quale ultima contrada è stata trovata, come è notorio, negli anni 1876-77 una massa di frammenti di vasi, di corna di cervo lavorate, di ossa d'animali accennanti alla esistenza di un deposito e forse officina o stazione preistorica in quella località. Come —poca favilla gran fiamma seconda—così da piccoli indizii possono derivare e sono derivati in altre regioni d'Italia e dell'Europa grandi scoperte. Importa dunque tenere conto anche dei piccoli indizii e seguirli con attentissima cura per mettere l'Istria nostra, anche ^ in questo genere di ricerche e di studii, al livello di altre civili provincie. Tali studii e scoperte potrebbero essere di aiuto grandissimo anche allo scioglimento della eterna questione delle origini e affinità delle nostre primitive popolazioni. Raccomandiamo adunque la cosa alla Società alpina istriana, e allo stesso benemerito Dr. Carlo de Marche-setti. Esso non deve arrestarsi alla caverna di S. Daniele del Carso, ma visitare le molte caverne dell'Istria, da Trieste a Pola, ad Albona, alle isole del Quarnaro. Mentre spinge le sue dotte ricerche fino alle Indie, non deve poi lasciarsi sfuggire d'occhio o di mano i secreti naturali e storici che non si saprebbero dire oramai se nasconda o esibisca il sotto suolo inesplorato, del nostro paese. Dall'Istria Febbraio 1882. X. IbTotiziie I Municipi di Capodistria e di Orsera, in seguito all'invito della Società agraria istriana diretto a tutti i Comuni, hanno stanziato nel loro bilancio per l'anno in corso, a titolo di sussidio per migliorare le sorti della società stessa, il primo fior. 50, ed il secondo fior. 27. 11 giorno 29 Gennaio p. p. ebbe luogo il Congresso Generale della Società Agraria in Trieste. Gli oggetti preromani e preistorici di Vermo e Corridico si conservano nelle Collezioni dei sigg. Luciani e Scampicchio in Albona. La società nazionale di agricoltura di Francia elesse a suo membro P illustre signor dott. cav. Alberto Levi di Villanova. L'alta quanto rara onorificenza è dovuta ai suoi lavori scientifici e pratici, a merito dei quali egli si è collocato tra i più utili propugnatori del progresso agricolo. Leggiamo nella Gazzetta di Venezia del 9 corr., che l'assemblea generale tenuta dalla società di soccorso agli indigenti per la frequentazione delle scuole elementari di Venezia, il professore Carlo Combi venne eletto per acclamazione iniziatore e presidente onorario di quella tanto benemerita società; nonché membro della direzione; dopo essere stato prima presidente del Comitato promotore per fare nuovi soci e allargare l'opera del filantropico sodalizio. Lasocietàdi soccorso veneziana, che come annuncia la prefata Gazzetta, deve il suo iniziamento all'illustre nostro comprovinciale, ha potuto ormai mettere nella Cassa di risparmio il cospicuo fondo di riserva di 9511 lire. Martedì sera, 7 febbrajo, un pubblico numeroso ed intelligentissimo applaudì alla Scala di Milano la nuova opera dello Smareglia di Pola — Bianca di Cervia — per le sue belle qualità „d' ispirazione, di chiarezza, di effetto e di sentimento drammatico." Ne riparleremo nel prossimo numero. Il bollettino della Società geografica italiana, fascicolo 12 Decembre p. p. contiene una lettera da Buenos Aires 3 Novembre, dell'egregio nostro comproviuciale Dr. Lovisato, il quale fa parte, come tutti sanno, della spedizione Bove. L'illustre prof. Taramelli ha pubblicato una „Carta" geologica del Friuli, che trovasi vendibile al prezzo di L. 7. presso il Sig. G. Manzini, segretario dell'Istituto tecnico di Udine. Nel mese di Giugno p. v. avrà luogo nella città di Padova una esposizione internazionale di macchine per la raccolta e per la preparazione dei foraggi. È morto a Milano l'illustre pittore Francesco Hayez nell'età d'anni 91. Giovanetto, studiò a Roma coi consigli e la protezione di Canova; e presto si distinse come gran colorista e pittore di storia. L'Italia perde con lui il principe dei pittori viventi, il quale seppe nella nostra epoca avviare P arte ad alti e nobili ideali. Il Hayez nacque a Venezia da genitori popolani nel 1791. Cose locali Nei giorni 6, 7 e 8 febbrajo ebbero luogo le elezioni comunali nella nostra città. L'esito non ci ha lasciati soddisfatti, perchè la scelta degli onor. rappresentanti, fatta da quelli stessi che fino a jeri tennero il governo della città, ed in gran parte riuscita con P elezione, fu diretta a confermare un indirizzo di cose che noi non possiamo approvare. Ma non doveva succedere diversamente ; se quelli che avevano un programma diverso da far valere, non si sono mossi presso gli elettori. Questa inazione è da attribuirsi ad apatia colpevole in molti, per cui quei pochi che pur si sentivano in animo di agire, dovettero starsene coli'arme al braccio: perchè videro che ogni intromissione sarebbe così stata sfruttata da terzi nelle condizioni di incertezza in cui si trovarono gli elettori. Nel terzo corpo elettorale, il più numeroso, composto dei minori censiti, vi fu lotta. Lotta per questioni amministrative in buona fede da parte degli elettori ; lotta per altri scopi da parte di quelli che li capitanavano e li condussero alle urne con la vecchia arte, sempre sfruttata bene, delle promesse di diminuzione degli ag-gravii in caso di trionfo. La vittoria fu di quelli, più abili, che, come abbiamo detto da principio, diressero le elezioni. La nostra città da qualche anno attraversa un periodo poco fortunato p»r ciò che riguarda il governo dell'azienda comunale; ma, dolenti di questo stato di cose, noi non crediamo che sia da allarmarcene soverchia-meute, perchè pieni di fiducia nel buou senso della popolazione, che saprà distinguere l'oro dall'orpello, e fidenti nei buoni patrioti, che sdegnando le lotte pettegole, uniti neile speranze della patria, e desiderosi di ogni progresso, senza ostracismi, accetteranno il bene da qualunque parte esso venga, terminandola con gli appellativi di destra e di sinistra, di aristocratico e di democratico, tanto fuor di proposito applicati oggi giorno; ma vagliando piuttosto gli uomini per ciò che riguarda l'onestà; avvegnacchè occorra avere iu mente, che quelli che sono chiamati al governo delle cose devono improntare ogni loro atto alla più scrupolosa onestà; senza distinguere tra cosa pubblica e privata, — distinzione ipocrita e falsa. L' esempio cade dall' alto e coll'esempio si può educare o corrompere il popolo. Appuntì bibliografici La vita e le opere di Giacomo Leopardi per Francesco Montefredini. Milano. Dumolard. ISSI*). Lo stesso sistema è seguito dal Montefredini per insultare al Ranieri; solo che col Ranieri vivo si è contentato di mettere i punti sull'i; lasciando al lettore la briga di cavare dalle premesse le deduzioni. Il lettore sa che il Ranieri tenne per sette anni il Leopardi a loco e foco in sua casa, e gli prestò le più eroiche, le più amorose cure con la santa ed eroica Paolina; e che il Leopardi per far cessare certe chiacchiere, e perchè non si credesse da suoi Recanatesi che egli viveva alle spalle degli altri, autorizzato dal Ranieri stesso inventò romanzi e novelle e scrisse lettere a casa dalle quali apparirebbe che egli si trovava nella miseria e avea bisogno di denari. Ciò premesso tutta la questione si riduce a questo. Posto il Ranieri infra due di vedere macchiato il suo nome, od offesa in qualche modo la fama del Leopardi, avea egli il diritto di difesa? _ *) Continuazione e fine; vedi N. 3 a. c. Ed il Leopardi, ammesso siano vere le cose esposte dal Ranieri, commise proprio atto tanto vile ed infame, come, rincarendo la dose, vorrebbe dimostrare il Montefredini per torre ogni fede alle parole del Ranieri ? Ecco il nodo da sciogliersi ; nodo punto punto gordiano. Che il Ranieri messo così in piazza dall' epistolario, e facendo quella figura che tutti sanno, avesse diritto a difesa, viva Dio ! nè il Moutefredini nè alcun uomo vorrà negarlo. L'onore non di un Ranieri ma dell'ultimo paltoniere, vale la fama di tutti i letterati del mondo. Che il Leopardi poi rimanga sempre il Leopardi ; e che si possano trovare molte circostanze mitiganti nel giudicare il suo poco gentile modo di trattare con gli amici, anche è facile dimostrare. Il povero Leopardi era ammalato di nervi ; e si sa come questa malattia, per la misteriosa unione dello spirito e della materia sia causa di certa elasticità e versatilità di carattere ; di più la prima educazione ricevuta influì su tutta la sua vita. Il Leopardi che tenta di togliere denaro al padre per fuggire di casa, che gli scrive di far tridui e novene, che trae una cambiale sul Bumsen molti anni dopo l'offerta, poteva bene anche inventare le altre favole napoletane. La capacità a delinquere c' è, dicono i criminalisti, e ci vogliono ben altre ragioni per negarla. Il Montefredini invece tutto intento a divinizzare il poeta e ad esaltare la carità evangelica di lui, assale il Ranieri con una fitta di punti interrogativi ed ammirativi. Come mai il Leopardi accettò l'elemosina del Ranieri, avendo già rifiutato la generosa offerta della famiglia Tomasini? (pag. 185) Come mai lo stesso Leopardi che lasciò sì bello e pubblico monumento di gratitudine agli amici di Toscana fu poi così ingrato col solo Ranieri? (pag. 191) Contraddizioni, egregio signore, contraddizioni come se ne trovano tante anche nella vita dei sommi, perchè Vhomo sum, nihilque Immani a me alienum puto si ha ad applicare a tutta la misera prole di Gìapeto. E la storiella dei tridui e delle novene non era una contraddizione? E il desiderio della morte in poesia, ed anche in prosa, in qualche momento di orribili dolori fisici e morali, e la paura di morire non sono pure una contraddizione? Ma le sono spiegabili e scusabilissime nel povero Leopardi, mentre d'altra parte non è possibile spiegare questa immensa contraddizione : Un uomo tiene un altro uomo per sette anni in sua casa, e gli prodiga cure inaudite, e una buona ragazza gli fa da suora di carità e si sottopone a sacrifizi immensi, e tutto perchè? Per calcolo, per ambizione, per vile in- teresse. Oh questo non è Vhumanum di Terenzio ; questo è il bestiale; e nessuno mi darà mai ad intendere che l'umanità sia tanto al basso discesa per opera dell' amico Ranieri. Andrei troppo per le lunghe se avessi a rilevare qualche altro giudizio, o sentenza troppo assoluta in questi cinque primi capitoli. Solo non posso tacere di una contraddizione a pagina 72. — Privo di consolazioni religiose, (il Leopardi) con una mente che vietava inesorabilmente al suo cuore di credere all'amore e a tante altre illusioni, la libertà dovea essere, come è a tutti quelli che vivono digiuni, la sua vera ed unica divinità....... Prima di tutto sarebbe a domandare come anche la libertà non fosse per la sua mente un'illusione; e come vivendo digiuno di libertà e perciò adorandola come cosa divina; la quaresima dell' amore non abbia poi bastato a fargli credere anche l'amore un dio degno d'ostie e di altari. Ma lasciamola lì ; e piuttosto affrettiamoci a dichiarare come quel giudizio del Montefredini sulla mente del Leopardi che vietava inesorabilmente al cuore di credere all'amore, sia smentito dai fatti e dalle parole stesse del Leopardi, — Sono entrato (così scrive il Leopardi al fratello Carlo) con una donna in una relazione che forma una gran parte della mia vita...... Insomma questa conoscenza forma e formerà un'epoca ben marcata della mia vita, perchè mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri, che io credeva impossibili, e che sono ancor capace d'illusioni stabili, malgrado la cognizione e 1' assuefazione contraria così radicata, ed ha resuscitato il mio cuore dopo un sonno ed una morte completa, durata per tanti anni. (Epistolario let. 278 pag. 436 voi. I.) Le parole sono chiare abbastanza e non hanno bisogno di altri commenti. Il Leopardi, come ne fanno fede le sue poesie, amò, non donne immaginarie per esercizio rettorico, come credette YAulard, ma donne reali, con tutti gli impeti, con tutte le debolezze, con tutto P ardore della passione, lottando sempre tra la speranza e il timore, tra la fede e il nulla, tra il sentimento ed il pessimismo, come spero di avere in altro luogo dimostrato1). La seconda parte del libro dedicata all'esame delle opere del Leopardi è meglio assai, contiene di buoni e nuovi giudizi esposti con uno stile corrente e col sentimento della modernità. Ma ') L'amore nella vita e negli scritti di Giacomo Leopardi. Giornale napoletano. Agosto. (Ottobre 1878) nuocciono all'effetto del libro, come al solito, la pertrattazione unilaterale, e le sentenze assolute che rasentano il paradosso ed esposte con certo tuono alto che indispettisce il lettore. Si può a mo' d'esempio deplorare col Montefredini che il Leopardi abbia consumato i suoi anni più belli negli aridi studi filologici ; e riconoscere che molti Tedeschi gli hanno invece largamente impresi non a solo vano studio di parole. Ma perchè non riconoscere nello stesso tempo come il Leopardi debba in gran parte a questi studi quella sobrietà, ed atticismo di forme e lucidità di pensiero che rendono ammirabili e perfette alcune sue poesie come — A Silvia — lì passero solitario — Il sabato del villaggio ? E come non avvertire oggi a quell' altro fatto, non mai abbastanza deplorato, degli studi filologici, convertiti da tante teste piccole di Germania e d'Italia in uno squartamento di parole ? E perchè non una parola di biasimo per quegli anfanamenti di stitici professori, arrampicantisi coiue ragni su per gli specchi, e che si danno ad intendere di buttar giù i nostri vecchi classici, coi sofismi, con le astruserie e con le argomentazioni bizantine? E si capisce perchè. Il Montefredini ha pei Tedeschi un culto particolare ; e ogni qualvolta ne può dire tutto il bene possibile, fa la voce grossa, allarga lo stile, va tondeggiando il periodo, e quasi quasi non monta lui ! sui trampoli della rettorica. Si veda il periodo a pagina 443 con le sue brave antitesi, per enu-merationem partimi. Sedotto da questo amore, da cotesta modernità storica molto sentita in Italia dopo Sedan, il Montefredini declama contro il culto dei classici, contro le canzoni patriottiche del Leopardi, contro l'Impero Romano e contro questa benedetta Italia nella quale l'autore non trova nulla di bello, di grande, di semplice e naturale, e dove gli uomini grandi sono soffocati dai retori, dagli intriganti, dai grammatici e dai gesuiti d'ogni colore. Abbattere il classicismo è perciò una delle idee fisse dell'autore. E bisogna sentire come suona a doppio ! Del Petrarca, senza le attenuanti dei tempi e delle circostanze, senza rispetto alcuno si dicono cose de populo barbaro. Egli scrittore a doppia faccia, collegiale effeminato, innamorato, benché in ordini sacri e non platonicamente di Laura già moglie, e quel che peggio madre. Egli partigiano senz'anima, ipocrita scellerato, come hanno dimostrato vittoriosamente lo Schlosser e il Roth. Che questo dicano i Tedeschi (certi Tedeschi badiamo) si capisce ; ma non par naturale che un italiano si metta al leggìo a voltar loro le carte. Invece si vegga con quanta dottrina e moderazione parli del Petrarca, pur riconoscendone le pecche, un altro italiano vivente, ma di Trieste, e quindi uno di quelli che il Montefredini si compiace di chiamare con un nome di scherno. E quanto all'essere stato il Petrarca insignito degli ordini sacri, Lodovico Bandini, Apostolo Zeno e il Muzio giustinopolitano lo negano del tutto ; e il solo documento di certa preghiera trovata in un codice della palatina di Vienna, e che vuoisi sia stata composta dal Petrarca sacerdote, poco o nulla prova, perchè quella preghiera è un centone di frasi liturgiche, e non pare opera di lui. (Scritti inediti del Petrarca pubblicati ed illustrati da Attilio Hortis Trieste 1871, pag. 286, 299). Ma vi ha di peggio. Il Montefredini insulta al sentimento nazionale asserendo che gl'Italiani abitano fra le rovine d'un gran popolo (il romano) col quale non hanno più nulla di comune (pag. 475). Altrove nega il sentimento della nazionalità al popolo italiano che „si è lasciato sempre, non dico conquistare, che non ci è stato mai bisogno, ma dominare da tutti i vicini con la massima indifferenza senza pur tentare la resistenza, ma soltanto fantasticando qualche volta dell' antica repubblica o della gloria romana, là nell'ombra, sui banchi delle sue immobili scuole" (pag. 292). Pur troppo è da deplorare che gl'Italiani si siano per molto tempo fatti belli dell'antica grandezza di Roma „col misero orgoglio d' un tempo che fu;" ma come non riconoscere d'altra parte le attenuanti, e le tristi vicende dei tempi, per cui gl'Italiani nei secoli di mezzo non potevano ad un tratto dimenticare le glorie passate, e camminare diritti alla conquista della nazionalità senza quella grande memoria niente affatto rettorica, ma sentita caldamente, sinceramente dai più grandi ingegni del tempo? E ciò tanto più, perchè i Tedeschi medesimi, che ora rimproverano agl'Italiani quel grande errore, mandavano i loro re ogni tanto in Italia per la corona dell'imperio, e s'intitolavano i discendenti dei Cesari, e dominavano in virtù di questo stesso diritto. Se diritto era il loro, tanto più, viva Dio ! quello degl' Italiani. Bene è adunque naturale che questo sentimento della romanità fosse vivo nei nostri ; e come una fatale necessità per resistere agl'invasori e tentare di risorgere a nazione. Il Montefredini invoca la storia, e dice che la diffusione degli studi storici ci persuaderà sempre più di quell' antico errore. Ben venga la storia ; e la storia c'insegnerà che il Barbarossa pretendeva soggiogare gì' Italiani quale discendente degl' imperatori romani. Fu adunque una naturale reazione, fu necessario che gl'Italiani credessero per sì lungo tempo solo possibile la loro indipendenza con quello stesso mezzo al quale ricorreva per opprimerli lo straniero. Questa, e non altra, l'imparziale risposta della storia. Reca poi meraviglia come il critico abbia potuto sostenere così recisamente che gl'Italiani non hanno più nulla di comune col popolo romano. A questa e a molte altre sentenze recise non abbiamo che una sola risposta a dare; ed è la seguente : — „ Quando gli altri paesi in Europa più potenti, la storia dei quali comincia dopo quella di Roma, avranno vissuto così a lungo, si chiameranno fortunati di trovarsi nello stato attuale dell'Italia, la quale, benché inetta finora a difendersi, non si è lasciata mai assorbire, come si lasciarono la Gallia, la Spagna, la Germania meridionale ; ed ha esercitato una tale influenza anche nella storia moderna, nell'ultima sue decadenza, che fino al secolo decimosesto il latino è stato la lingua universale della scienza e della diplomazia." Sapete di chi sono queste belle parole? Ve la do in cento ad indovinare. Del Montefredini stesso, e precisamente alla chiusa della prefazione (pag. VIII). Ma qui l'autore è sul suo, ci manifesta le sue idee da buon italiano ; nell' onera ha spesso uno stile riflesso, e scrive sulla falsariga dei Tedeschi. Così in molte altre questioni storico-letterarie il Montefredini, dicendo pure di buone cose, dimentica troppo spesso il moto : audiatur et altera pars. La caduta dell'impero romano fu un bene ; i barbari rinvigorirono la vecchia razza latina. Sapevamcelo ; ma crede 1' autore che il gentile sangue latino fosse proprio tutto corrotto ; e che tra li lazzi sorbi non fruttasse più alcun dolce fico? E poiché è così tenero pei Tedeschi che, a sentir lui, vivono in terra di Bengodi, e rimprovera ai nostri di non aver saputo conquistare una patria, ci dica egli di grazia : Quando l'occasione fu propizia, dopo l'estinzione della casa dei Car-lovingi, chi impedì alla nazione di risorgere ? Erano forse latini i Berengari, gli Ughi, e tutta quella razza di feroci baroni intenti a sbranarsi l'un l'altro ? Come parlare di nazione ad un popolo oppresso dal feudalismo ? E quando questo stesso popolo sorse, non già sognando l'impero e il classicismo, e fece in buon volgare i suoi affari a Legnano, ben mostrò di essere della vecchia razza; e basterebbe questo solo fatto a sbugiardare la prosa del critico che ebbe il coraggio di scrivere che gl'Italiani si sono lasciati dominare da tutti i vicini con la massima indifferenza. Gli stessi appunti si devono fare ai giudizi sul Petrarca e sul Leopardi. Il Petrarca se talvolta mirò all'impero, come avviene a chi è portato via dalia piena, e si attacca ad ogni spino, anche riconobbe che l'impero era un nome vano senza soggetto, e nella stupenda canzone — all' Italia — esortò i signori italiani a combattere non già contro le compagnie di ventura, chè per cacciar que'sol-datacci bastava non pagarli, ma contro le milizie dell' impero. Nella canzone del Leopardi poi si poteva notare il soverchio movimento rettorico, e con riverenti parole, come fece il De Sanctis ; ma anche rilevarne le bellezze. Certo il Leopardi avrebbe potuto ricordare altri eroi senza evocare gli eterni Spartani e le Termopili della scuola. Mi maraviglio moltissimo però che il critico faccia di questi rimproveri al Leopardi dopo di aver scritto che gl'Italiani si sono sempre fatti pigliare a calci e conquistare da tutti con la massima indifferenza. Le citazioni classiche - del Leopardi giovanetto, e l'indietreggiare della sua mente si possono invece fino ad un certo punto scusare con lo stato dell'Italia nei tempi in cui fu scritta la canzone. Costretto a vivere tra i gesuiti di Secunati, il poeta si rifugiava tra i Greci nelle ombre della paterna biblioteca. Il classicismo ha dominato nelle scuole, ci ha fatto vivere orgogliosi del passato, ci ha chiuso gli occhi a non vedere la nostra miseria e l'altrui ricchezza. D'accordo, ma anche ha giovato a mantener vivo il sentimento nazionale, ad educare I la gioventù italiana a non lasciarsi mai pienamente assorbire. Sta bene combattere la vecchia rettorica, i suoi pannicelli caldi, lo stile riscalducciato e i 'fronzoli dell'Arcadia. Ma Dio buono! est modus li» rebus ; sunt certi denique fines ; e quanta rettorica si è fatta in questi ultimi anni, rettorica | di pessimo genere, per combattere la vecchia ! Lo studio beu inteso dei classici ha dato e darà originalità allo stile; temperanza, lucidità al pen-! siero che traspare dalla forma eletta, pura. Il | classicismo ci ha insegnato e c'insegna a fuggire j certe volgarità oggi di moda, le rapide svolte, | i bruschi passaggi che stuonano, i salti alla Heine, e il far le fiche alla grammatica per affettare naturalezza, come se l'osservare le leggi I Iella grammatica 11011 fosse anche essa una cosa I molto naturale. Ci perdoni l'egregio Montefredini, se osiamo per esempio appuntare nel suo libro i periodi seguenti: „In casa vivevasi signorilmente; e i giovani Leopardi fra di loro, e co' genitori si amavano teneramente" pag. 15. — Ha una nobiltà di sentire, che se n' è perduta fin la memoria in questi tempi (pag. 35). — Benché per lui il termine della perfezione fosse la vita ecclesiastica, e benché suo figlio, se avesse percorso la carriera prelatizia gliene sarebbe venuta grande utilità, pur lo prega di non mettersi in quello stato senza sentirsi veramente disposto (pag. 35). Ma io non la finirei più se tutte volessi citare le sentenze avventate dell'autore contro il sentimento nazionale. Ancora una parola sulla deificazione del Leopardi. Di idoli il secolo ne ha buttati giù tanti ; e bisognava pur sostituire qualche cosa. Il nostro critico intanto ha pensato a canonizzare il Leopardi. Egli il solo italiano in cui si ammira la bella unità tra lo scrittore e l'uomo, dal Petrarca in poi viceversa scissa per sempre !!! (pag. 390) Egli il solo che sente la carità evangelica: dinanzi a lui tutti dobbiamo buttarci in ginocchio. E di fatto che il Leopardi sia degno di tale culto non si può neppure discutere. Ecco il teorema dell'autore : — I poeti di primo ordine sono parimenti altezze morali ; un ingegno sovrano non può disgiungersi da un' anima sovrana. Questa consolante verità è superiore a qualunque discussione (pag. 463). Adagio a ma' passi. Se per altezza morale s'intende un'anima nobilmente altera, e, sdegnosa a parole d' ogni viltà siamo d' accordo ; ina è ovvio pur troppo che l'altezza dell'ingegno non salva dalle umane debolezze nè dagli impeti delle passioni, testimoni Byron e Dante stesso che confessò sinceramente (e in ciò sta anche la sua grandezza) i difetti e gli errori. Il Leopardi fu un grande poeta, un' anima bella, ma uomo, e i suoi difetti furono pure molti e vanno giudicati colle attenuanti dell' educazione ricevuta e dell'ambiente in cui visse. Ma non mi venite fuori con la rettorica della vita innocen-tissima e della carità inesauribile rubando le frasi al leggendario dei santi, e costringendo Tizio, Cajo e Sempronio a buttarsi in ginocchio davanti al nuovo santo ; perchè i credenti della scuola di Alessandro Manzoni (che fu la più bella testa armonica del secolo, grande romanziere e poeta, buon italiano e buon cristiano, e che voi affettate di conoscere solo qual galantuomo) i credenti, dico, ricordandosi di certi tridui e novene per cavare denari al signor babbo, potrebbero rispondervi che se non avete altri santi da collocare sugli altari, essi si attengono al credo vecchio, e pure ammirando l'altissimo ingegno del Leopardi ;Hf ,/ijmtuo'iAO se ne stanno dinanzi a lui diritti come fusi, e i non credenti, e gli scettici poi, che oggi come oggi sono i più, anche alla lor volta potrebbero rispettosamente farvi osservare che a buttarsi in terra ogni tanto, come vorreste voi, si sciupano con questi scilocchi i calzoni, e che i calzoni alla line de' fatti fini costano di buoni denari. Tiriamo adunque le somme. Ingegno molto, erudizione molta, ma pertrattazione unilaterale e sentenze assolute per cui si riesce nel contradditorio, nello strano e nel falso. Diceva Esopo: — La verità è un'anfora a due manichi, chi la piglia per un manico solo, o non la muove o la rompe. — Ammiro l'ingegno, la destrezza, la forza del critico ; ma ... ma ... ma . .. Egregio signore, favorisca di cercar 1' altro manico. P. T. Appunti storico - etnografici sull'Isola di Veglia. Risposta al Programma del Giornale rL'Istria". (Trieste, Tipografia Pisani Edit. 1882. Opuscolo di 14 pagine in 8°. Le — Due parole di spiegazione al nostro Programma — stampate nel 1. n. del nuovo Giornale L'Istria — hanno dato occasione all' opuscolo qui sopra indicato, al quale noi non esitiamo di dare il ben venuto. Lontani però dall' idea che le Due parole sieno derivate da spirito di campanile, noi riteniamo anzi che furono suggerite dal desiderio di evitare polemiche col solo partito che da qualche tempo ha dato segno di vita in quell'isola,— ma ineidit in Scyllam cu-piens vitare Carybdim. Però questo è proprio il caso di dire che tutto il male non viene per nuocere. È bene che sia sorta la polemica, perchè così almeno si sà che in Veglia non tutti la pensano come quelli che finora hanno soli parlato sui Giornali slavi ed altrove, si sà che coloro che si arrogano di rappresentare i sentimenti di quella popolazione non rappresentano in fatto che un partito. Ben venga dunque la discussione, chè soltanto per via di questa si giunge alla conoscenza del vero. E la conoscenza del vero è sempre di grande giovamento e alle popolazioni e a chi le governa, chè la maggior parte dei mali ond' è travagliata 1' umana società, derivano appunto dall'errore e dal falso. — Ma, a nostro avviso, la questione non deve agitarsi tra l'Istria periodico e l'isola di Veglia, o tra l'Istria amministrativa e l'Istria geografica, sì bene tra le due parti nelle quali pare divisa quell'isola. E là in famiglia che si deve dibattere la questione: risolta là, l'Istria giornale non potrà non accettarne i risultati, non potrà ch'esser lieta di trovare fratelli dove credeva di avere avversari. La natura del nostro Giornale non ci consente di inoltrarci nel dilicato argomento, e quindi ci limiteremo a dire qualmente l'opuscolo si propone di dimostrare — che l'isola di Veglia, nè più nè meno delle isole di Cherso e di Lussino, appartiene geologicamente all'Istria, che ha, come le altre due, comuni coli'Istria i principali momenti storici, — e che il fondo della sua popolazione, liburnica in origine, è stata latinizzata dai romani, italianizzata dai veneti. E il triplice assunto lo appoggia a solidissime basi; — alle opere del Dr. Guido Stache e del prof. Torquato Taramelli j per la geologia, — all'erudito lavoro del Dr. G. B. Cubich per la storia *) — al giudizio dell' illustre Ascoli per la etnografia. D'accordo nella massima parte cogli autori dell' opuscolo non possiamo però ammettere— che all'Istria abbiano dato la cività e la lingua da prima il dominio romano, poi il veneto, e che l'antico dialetto ladino o romancio di Veglia sia nato e vissuto per effetto dell'antica e diuturna conquista veneta. Noi francamente andiamo più avanti; riteniamo, cioè, che le popolazioni insorte avessero un grado di civiltà non disprezzabile prima della popolazione romana, locchè risulta provato ad esuberanza dalla stessa resistenza che fecero a tale occupazione, e dai modi con cui seppero lungamente difendersi ed offendere, anche stando strettamente al racconto di Tito Livio, lo storico dei vincitori. — Ammesso poi che i romani introducendo l'idioma latino in Istria ne unificassero il linguaggio, riteniamo che tale unificazione non sarebbe avvenuta così prontamente qualora i vecchi idiomi non avessero avuto un certo grado di affinità col nuovo. — Riteniamo in fine che i dialetti ladini o romani e di Veglia e dell'Istria hanno origini ben più remote che non le relazioni coi veneti. Gli stessi Liburni, se non furono d'origine italica, certo è che passarono attraverso la grande penisola. Detto ciò ce ne congratuliamo con tutte due le parti contendenti, perchè l'onesta e dignitosa contesa prova che il paese non dorme e che Veglia vuol finalmente giustificare il suo nome. La Redazione. PUBBLICAZIONI Il Giornale della Società Agraria Istriana N. 11 e 12, contiene: Avviso: sementi vendibili nell'orto sociale. — Sussidj dei Comuni. — Comunicazione Governative. — Comunicazioni della Società. — Verbale del XII Congresso generale. — Sulla Fillossera. — Notizie sulla Peronospora Viticola. — Di una malattia delle nostre viti.— Contro l'uso di piantar profondo. — Notizie delle Campagne. — Spigolature dei giornali. — Mercato. È uscito il II fascicolo dell' Archivio Storico per Trieste, l'Istria, ed il Trentino, diretto da S. Mor-purgo ed A. Zenatti. — Roma — via del Governo vecchio N. 44. L'Istria nel numero 6 ha un' appendice del nostro Luciani intorno alla Strenna Istriaua di Nono Ca jo Baccelli e ad altre opere del signor Abate Moise da Cherso. I chiari nomi dei due autori bastino a far conoscere i molti pregi che rendono degni di lode gli scritti che annunciamo. La Strenna dell'Abate Moise, che fra gli altri meriti ha quello dell'eccellente lingua italiana, si può acquistare dallo stesso autore, in Cherso, al modicissimo prezzo di soldi 20. Errata-Corrige Neil' ultimo numero, corrispondenza da Parenzo (2 nostri vini) pagina 18 prima colonna, quarto capoverso, leggi aroma e non bouquet; e nella stessa pagina, seconda colonna, quarto capoverso leggi 7-9 %„ e non 7-9%. *) ^Notizie naturali e storiche sull' isola di Veglia. " - Trieste 1874. _^