ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-03-17 UDC 262.14:340.141(234.32)"14/17" GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÄ RURALI (SECC. XV-XVIII) Cecilia NUBOLA Istituto storico Italo-Germanico in Trento, IT-38100 Trento, Via S. Croce 77 SINTESI II contributo si propone di prendere in considerazione il giuspatronato popolare, vale a dire il diritto, esercitato dal comune o dalla vicinia, di nominare il párroco o altri sacerdoti investiti di benefici fondati ad altari e cappelle. Si vuole delineare la diffusione di questo istituto, presente in particolare nell'area alpina, le modalita di esercizio del giuspatronato, i conflitti e le difficolta che sorgono tra comunita e parroci, gli interventi delle autorita ecclesiastiche e di quelle civili in materia di giuspatronato, la regolazione dell'attivita del parroco, i suoi diritti e doveri nei confronti della comunita sanciti da appositi patti. Storia di una elezione popolare Quando, nel 1413, il conté Ottone di Castelbarco muore senza eredi e discendenti diretti, prevede nel suo testamento un lascito per la comunita di Mori di 10 mila pertiche di terra il cui valore sará stimato, a inizio '800, in 15-20 mila fiorini. Pone pero alcune condizioni: gli uomini del comune ne sarebbero stati amministratori, avrebbero affittato i terreni al miglior offerente e con il ricavato avrebbero stipendiato un prete con l'incarico di "dire messa" per l'anima sua e dei suoi antenati all'altare di S. Giacomo nella parrocchiale "... e che un tal prete potessero questi uomini del Comune eleggere, mutare, rimuovere, rimettere ad ogni loro arbitrio e volonta, senza niuna dipendenza d'alcun superiore né Secolare, né Ecclesiastico" (BCTn, ms 366). Cosí l'abate Giambattista Salvadori di Mori, piccolo comune nel principato vescovile di Trento, inizia la sua opera -manoscritta e non datata (ma successiva al 1802)1 - e la sua personale battaglia contro una "strana" pratica: l'elezione di un 1 Sarebbe interessante poter stabilire l'anno esatto per capire a quali autoritä, se al principe vescovo oppure al nuovo governo napoleonico, potesse essere indirizzata l'opera dell'abate Salvadori. Nel 1803, infatti, il principato vescovile di Trento, di cui il comune di Mori fa parte, viene secolarizzato 391 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÁ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 sacerdote affidata "all'arbitrio d'una Plebe, in cui oltrecché sempre molta ignoranza s'adensa, anche molta passione alligna, e che tanto piü qui dovea divenire sfrenata, quantocché ogni Superiore per disposizione del Fondatore rimane escluso...". Piü avanti l'abate racconta, con accenti di indignazione e di caustica ironia, lo svolgimento dell'elezione popolare. Qualche tempo prima della data fissata - il primo maggio, giorno dedicato a San Giacomo - veniva affisso alla porta della sacrestia l'editto pubblico: qualunque prete avesse voluto concorrere al posto doveva semplicemente segnare il proprio nome. La sera precedente l'elezione i nunzi comunali passavano di casa in casa per invitare i vicini all'assemblea e il mattino del primo maggio le campane suonavano di buon mattino per radunarli nella casa comunale. Per prima cosa si verificavano i documenti attestanti il diritto di partecipazione all'assemblea: "Chi ha legal difetto non e ammesso. Se dell'eta d'alcuno sia dubbio, vuolsene veder la fede del battesimo. Gl'impediti mandano lor procure. Ma che dico mandano? Sono anzi queste ricercatissime dai concorrenti, e tirate in contrarie parti. S'im-petrano con arti le piü sottili dagli assenti lontanissimi, de' quali non si crederebbe appena che altri potesse averne memoria: cavansi dagli infermi, dagli storpi, quasi anche da moribondi, i morti stessi per poco si traggon di sepoltura". Dopo gli accertamenti di rito cominciano le votazioni "Di spirituale qui non c'é nulla, nulla di ecclesiastico, tutto e temporale e terreno. Dal Cielo non s'incomincia, Lumi celesti non s'invocano". Gli elettori, circa un centinaio, esprimono la loro preferenza per un candidato lasciando cadere in una delle due urne una pallina di pezza. Il sacerdote che ottiene piü voti viene dichiarato eletto. Cosí avviene l'elezione e, insiste l'abate, "Né per questa ricercasi confirmazion di Prelato o d'altro Superiore, poiché Superiore qui non ci dee entrare, né ecclesiastico né secolare". Questa istoria, che il suo autore vuole situare tra verita e giustizia, tra cronaca e denuncia, ci permette di entrare immediatamente nel vivo di una pratica - il diritto di nomina dei sacerdoti da parte della comunita o della vicinia - e nel vivo di una convinzione radicata, stabilita su un antico diritto: che il prete potesse essere eletto, mutato, rimosso, ad "arbitrio e volonta" degli uomini del comune, senza interferenze di autorita ecclesiastiche o laiche. Una convinzione e una pratica che attraversano indenni tutto l'antico regime. Il mio contributo riguardera il tema del giuspatronato popolare o comunitario vale a dire il diritto di nomina (o di presentazione al vescovo per la ratifica della elezione) da parte delle comunita del proprio parroco o curato, o di altri sacerdoti investiti di benefici fondati ad altari e cappelle. da Napoleone. 392 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÄ RURALI (SECC. XV-XVHI), 391-412 Modalita organizzative delle comunita rurali II diritto di nomina del párroco puo essere considerato come la "manifestazione piü estrema" dei diritti delle comunita rurali, la piü radicale forma di influenza comunale sulla chiesa,2 presente in particolare (ma non esclusivamente) nelle regioni alpine, dal Tirolo ai cantoni svizzeri, dall'Austria al sud della Germania, dal principato vescovile di Trento, alla Repubblica di Venezia. Ma e anche una espressione di "autogoverno" che richiama piü generali modalita organizzative delle comunita rurali cosí come, a partire dalla fine del medioevo, si possono rintracciare in ogni parte d'Europa, dalla Spagna alla Russia, dalla Francia, all'Inghilterra, dall'Impero agli stati italiani e cosí via.3 Pur tenendo conto delle differenti condizioni economiche, politiche, sociali, religiose e dei differenti contesti geografici e politici all'interno dei quali le comunita di villaggio si collocano, si possono individuare alcuni elementi caratterizzanti.4 Le comunita rurali organizzano la vita sociale ed economica sulla base di una legislazione o di regolamenti locali, di natura consuetudinaria o codificati negli statuti rurali (chiamati anche carte di regola o statuti campestri).5 Le norme riguardano la regolamentazione e l'amministrazione dei beni collettivi e dell'uso in comune del territorio (dei pascoli, dei boschi, delle acque, la protezione delle colture, il calendario delle pratiche agricole e silvo-pastorali); altri regolamenti definiscono l'ambito della comunita stabilendo chi sono i vicini in possesso dei diritti di vicinato e regolano l'ammissione dei forestieri; fissano le cariche comunali e le regole di elezione; gli statuti normalmente sono approvati nell'assemblea dei capifamiglia (o vicini) e confermati dall'"organismo" politico superiore (feudatario, principe, Repubblica). L'assemblea dei vicini si riunisce nel corso dell'anno per eleggere gli amministratori locali con sistemi diversificati e per prendere le decisioni che riguardano la vita della comunita. I comuni, in collaborazione con le confraternite, si occupano dell'assistenza e della beneficenza e quelli piü ricchi, o con una popolazione piü numerosa, provvedono ad assumere e pagare il medico, l'ostetrica, il maestro di scuola.6 2 Blickle, 1985, 181; sulla "comunalizzazione della chiesa" cfr. anche Blickle, Kunisch, 1989. 3 David Warren Sabean descrive il villaggio della regione tedesca del Württemberg della prima eta moderna come "one of self-administration with strong external controls", una definizione che puo essere estesa a molte realta europee: Sabean, 1984, 14. 4 Per un inquadramento generale, o riferito a singole aree europee cfr. Blum, 1971, 541-576; Wunder, 1986; Blickle, 1985, 172-179; Sabean, 1984, 1-36; Enders, 1993, 195-256; Dixon, 1996, 128-142; Die ländliche Gemeinde, 1988; Chittolini, 1996, 128-144; Povolo, 1984; Bianco, 1995, in particolare i cc. 1 e 2. 5 Thompson, 1993, 97-184; Raggio, 1995, 155-193; per il principato vescovile di Trento cfr. Nequirito, 1988; Giacomoni, 1991. 6 Attribuzioni consuetudinarie dell'assemblea vicinale in Friuli: nomina delle cariche locali: decano o podesta o meriga, consiglio ristretto, giurati, confinatori, stimatori, guardiani (saltari), pastori, sindaci, rappresentanti o delegati, nunzio, scrivano o notaio. Giurisdizione civile e criminale al livello piü basso. Giuspatronato o diritto di conferma del clero in cura d'anime. Amministrazione dei beni delle chiese e delle confraternite (o, almeno, controllo sulle confraternite. Organizzazione dell'assistenza e 393 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 L'elezione del párroco o del curato è solo uno degli aspetti della identifi-cazione/sovrapposizione tra comune rurale e parrocchia, della "gestione del sacro" da parte delle comunità, delle vicinie; si inquadra nella consuetudine di governo delle chiese locali da parte dei comuni nello stesso modo in cui le pratiche religiose sono costitutive di una identità comunitaria. Il comune amministra, tramite i rappresentanti eletti dall'assemblea dei capi-famiglia, i beni della chiesa e a volte quelli di alcune confraternite; la maggior parte di questi redditi sono utilizzati per la costruzione, la manutenzione, l'arredo delle chiese e per provvedere in tutto o in parte al sostentamento del parroco e di altri sa-cerdoti. I rapporti fra parroco e comunità e gli obblighi reciproci, possono essere definiti da patti regolarmente formalizzati da un notaio e sottoscritti dalle parti. Il comune, direttamente o tramite alcune specifiche confraternita, gestisce i "riti di integrazione simbolica" tra i membri delle comunità; tali possono essere considerati i pasti collettivi e le distribuzioni di cibo in particolari occasioni come la festa patronale o le processioni delle rogazioni. Queste ultime poi, nel percorso stabilito attraverso i campi, svolgono sia la funzione di riti religiosi per assicurare la fertilità della terra, sia quella di controllare, delimitare, ristabilire e fissare la memoria collettiva sui confini comunali.7 Il giuspatronato comunale puo essere letto come uno dei momenti di sovrap-posizione, identificazione, intreccio tra comune e parrocchia, ecclesiastico e laico, religioso e civile e, da un altro punto di vista, puo essere un indicatore per verificare i rapporti che legano i comuni e le parrocchie con i vescovi e la curia romana, da un lato, con i funzionari statali periferici e le istituzioni politiche centrali, dall'altro. Storiografia e diffusione del patronato comunitario I contributi storiografici sui giuspatronati popolari non sono numerosi. Fondamentale rimane tuttora lo studio di Dietrich Kurze, Pfarrerwahlen im Mittelalter il quale esamina il giuspatronato popolare negli stati europei in particolare nel periodo basso medievale. Il sottotitolo del libro di Kurze pone l'accento sulla connessione fra della beneficienza (in larga parte tramite le confraternite). Amministrazione dei beni collettivi di proprietà della collettività o in usufrutto alla comunità e di proprietà del demanio. Ripartizione del carico fiscale all'interno della collettività. Organizzazione e ripartizione dei lavori di pubblica utilità. Controllo di pesi, misure, qualità di pane, vino, carni e altri alimenti. Controllo sanitario. Controllo delle feste. Ammissione di forestieri nelle comunità di villaggio: I Savorgnan, 1984, 174. 7 Queste pratiche e istituzioni sono presenti in aree diverse dell'Europa di antico regime anche se in gradi e forme diverse. Cfr. Gutton, 1979. Sulla gestione comunale dei beni delle chiese a fine '500 nella diocesi di Trento cfr. Nubola, 1993, 117-155. Sul ruolo, compiti, rapporti con la comunità e con i parroci degli amministratori dei beni delle chiese cfr. Russo, 1984, 221-280; Knapton, 1987, 372-377. 394 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 storia délia comunità (Gemeinde) e storia délia struttura ecclesiastica locale (Nieder-kirchenwesens) (Kurze, 1966). Un contributo più recente, quello di Gaetano Greco (Greco, 1986, 533-572), prende in considerazione le tipologie di giuspatronato lai-cale negli stati italiani dedicando particolare attenzione a quello nobiliare. Greco considera il diritto di nomina o di presentazione da parte delle comunità come "Tarea più debole dei patronati laicali" in quanto soggetta ad attacchi che provenivano da più fronti: da vescovi e principi, da feudatari e proprietari laici (Greco, 1986, 542). Informazioni sui giuspatronati comunitari si possono trovare negli studi di storia delle istituzioni ecclesiastiche diocesane o di storia locale, ma il tema dei patronati è raramente approfondito soprattutto per l'età moderna. Una maggiore attenzione è in generale riservata al patronato nobiliare e dei ceti dirigenti cittadini -che si estende anche ai contadi- perché interessa benefici di più rilevante consistenza economica e peso sociale e politico, ed è una delle forme più visibili di ascesa sociale e di un acquisito prestigio familiare.8 I giuspatronati comunitari, al contrario, sono localizzati prevalentemente, in aree "marginali", montane, rurali o periferiche, in zone dove la dotazione beneficiale è meno ricca, tale da non suscitare, in genere, particolari interessi di natura economica o politica. Nonostante l'attenzione verso questo tema sia stata rivolta soprattutto al periodo tardo medievale, il giuspatronato popolare non è una istituzione tipicamente medievale destinata a scomparire con l'affermarsi dei diritti giurisdizionali dei vescovi sulle diocesi ma, al contrario, tende a crescere nei secoli centrali dell'età moderna e spesso permane fino alle soglie del XX secolo. La scarsità di studi a tale proposito permette di fornire solo qualche dato con valore puramente indicativo. Nel territorio veronese nel Cinquecento il giuspatronato comunitario è limitato quasi esclusivamente ai Tredici comuni nelle montagne dei Lessini ma successivamente si estende anche alla zona collinare e pedemontana cosicché, agli inizi dell'Ottocento, interessa una cinquantina di parrocchie nonostante non arrivi mai a toccare i centri urbani o quelli della pianura, zone nelle quali predomina l'influenza del patriziato veneto e della nobiltà scaligera (Cona, 1992, 18).9 Nella diocesi di Padova, secondo una relazione del 1698, su 294 parrocchie, 25 erano di diritto comunitario (8,5%); il vescovo pero aveva il diritto di collazione in solo 40 parrocchie mentre in altre 59 poteva solamente ratificare i sacerdoti designati e questi erano curati i quali rimanevano in carica per un anno o per sei mesi (Billanovich, 1993, 155, nota 212). Nella diocesi di Bergamo, a metà Seicento, delle 262 parrocchie del territorio, 119 (il 45,4%) erano di giuspatronato delle vicinie (Montanari, 1997, 25). 8 Cfr. in particolare: Chittolini, 1984, 415-468; Ciuffreda, 1988, 37-71; Weber, 1988 e la recensione di Rosa, 1995, 101-117. 9 Su 243 chiese cúrate una settantina erano di pertinenza laicale per la maggior parte dei parrocchiani (Greco, 1986, 548). 395 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÄ RURALI (SECC. XV-XVHI), 391-412 Nell'arcidiocesi di Udine la concessione del giuspatronato alie comunitá avviene in due momenti: alla fine del XV-inizio del XVI secolo e, in un secondo momento, a partire dalla fine del XVII secolo. Al principio del XVI secolo vi erano 30 chiese fra parrocchiali e filiali di giuspatronato delle comunitá, 5 di patronato nobiliare e 5 patronato misto (nobili e comunitá) (De Vitt, 1990, 274, 276-277); a metá Ottocento su un totale di 200 parrocchie e curazie, circa 60 erano di giuspatronato comunitario.10 Nel 1726 nella parte veneta della diocesi di Aquileia, secondo una relazione inviata al doge da parte del patriarca Dionisio Dolfin, vi erano 126 benefici curati i cui parroci venivano nominati "dalli giurisdicenti, dalle comunitá e dalli comuni de'Contadini, dalli abati" (Bertolla, 1957-60, 199). Nella diocesi di Trento il giuspatronato comunitario o diritto di presentazione interessava la quasi totalitá dei benefici curati con uno sviluppo consistente a partire dal XVIII secolo. All'inizio dell'Ottocento su 256 curazie, 44 erano di collazione vescovile, 179 di patronato comunale (poco meno del 70%), 18 di patronato privato e 15 di patronato misto comunale e privato (Benvenuti, 1984, 122-123). Nei cantoni svizzeri e in Austria il diritto di elezione o di presentazione del parroco da parte delle comunitá rurali, molto ridotto nel medioevo, fu il risultato di una evoluzione a partire dal XVI secolo (Kloczowski, 1984, 100).11 Nel Vorarlberg, in Austria, nel periodo compreso tra la fine del medio evo e il XVII secolo, il 20% delle comunitá control-lavano il diritto di nomina o di presentazione dei propri parroci (ma non tutte per l'intero periodo considerato) (Blickle, 1985, 182).12 Giuspatronato comunitario, istituzioni ecclesiastiche, istituzioni civili Le modalitá per ottenere il diritto di patronato o di presentazione erano varie. Di solito veniva concesso dall'istituzione detentrice di diritti giurisdizionali (vescovi, capitoli, abbazie, S. Sede) nel momento della costituzione di una nuova parrocchia o curazia perché la comunitá si impegnava a fondare e dotare un beneficio, a im-pegnare cioe beni stabili, terreni e altri redditi in misura sufficiente alla costruzione di una chiesa o cappella, alla sua manutenzione, e a garantire il sostentamento del parroco. Il diritto di nomina poteva essere ceduto da un patrono laico o ecclesiastico 10 54 erano di giuspatronato dei capi-famiglia, 5 di consigli comunale, 2 delle fabbricerie, 1 dei capi-famiglia e della fabbriceria (Bertolla, 1957-60, 199, 309-311). 11 A partire dal XV secolo si puo notare la diffusione del diritto di nomina dei preti in regioni che prima non erano riuscite ad ottenerla: dalla Dithmarschen, alla regione sveva nel sud-ovest della Germania, dai cantoni svizzeri, all'Alto Reno (Kurze, 1966, 323; Blickle, 1985, 181). Una larga presenza di chiese di giuspatronato laicale e presente anche nelle pievi comasche poste sotto il dominio svizzero: cfr. Bianconi, Schwarz (1991). 12 Cenni sparsi alla presenza di giuspatronati comunitari si trovano, ad esempio, per limitarsi alla zona alpina italiana, per la Lombardia: Chabod, 1962, 60; e per la Liguria: Grendi, 1981, 101-102. 396 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 alie stesse comunità;13 oppure, ancora, essere acquistato o acquisito in seguito alia rinuncia da parte dei precedenti detentori del diritto.14 Di giuspatronato popolare sono spesso anche i benefici minori, senza cura d'anime, ad altari e cappelle fondati o gestiti dalle stesse comunità. La concessione dei diritti di patronato in seguito alla fondazione di un beneficio con cura d'anime è legata alla strutturazione ecclesiastica e civile del territorio e alle sue modificazioni nel corso del tempo. A partire dal basso medioevo inizia un processo che è stato definito di "villagizzazione della chiesa" (Blickle, 1985, 179-180, 183) - un processo che si sviluppa in tutta l'Europa cattolica seguendo una evoluzione diversa da zona a zona, più precoce in alcune aree, come ad esempio, nell'area padana, molto più lenta in altre15 - che porta alla disgregazione della struttura pievanale e parrocchiale. Ogni comunità o vicinia tende ad una propria "autonomia religiosa", ad allentare o rompere i più vasti vincoli parrocchiali, a costituire propri luoghi di culto e richiedere sacerdoti residenti. Costruire e mantenere cappelle e altari nel villaggio e stipendiare un proprio sacerdote è indice dell'affermazione di una identità locale comunitaria e -non diversamente dalle fondazioni di altari e cappelle da parte della nobiltà o del patriziato cittadino- segno di prestigio. Nello stesso modo la fondazione di benefici, di altari e l'aumento dei legati pii rispondono ad una accresciuta esigenza o richiesta di "sacro" che conduce alla moltiplicazione del numero di messe, di pratiche devozionali, allo sviluppo delle confraternite.16 Nel corso dell'età moderna, le richieste di erezione di nuove cure d'anime o per ottenere la separazione dalle chiese matrici (le antiche pievanali o parrocchiali) fanno riferimento ad un decreto del concilio di Trento17: il vescovo, anche in quanto delegato della S. Sede, e nonostante l'eventuale opposizione di parroci e rettori, avrebbe potuto fondare nuove parrocchie quando la distanza dei luoghi o la difficoltà del percorso, avessero reso difficile per i parrocchiani recarsi alle chiese matrici a ricevere i sacramenti o ad assistere ai divini uffici. Le norme canoniche non preve-devano la possibilità di chiedere il distacco dalle chiese parrocchiali in seguito al-l'aumento della popolazione; in questo caso il concilio di Trento aveva stabilito che i responsabili di chiese parrocchiali fossero obbligati ad associare nell'officio di cura 13 Come avviene per il legato nel comune di Mori. 14 Una bolla di Clemente VII del 1531 concede alla comunitá di San Felice del Benaco, nel territorio di Verona, il diritto di nomina di quattro sacerdoti in cambio dell'onere del loro mantenimento e della garanzia della residenza; prima di allora il beneficio era di libera collazione episcopale e dato in commenda: Cona, 1992, 17; in generale sulle modalitá di ottenimento del giuspatronato comunitario cfr. Kurze, 1966, 323. 15 Cfr. a questo riguardo per gli ultimi secoli del medioevo i saggi in De Sandre Gasparini, Rigon, Trolese, Varanini, 1990. 16 Cfr., per questi temi Torre, 1995. 17 Che riprendeva pero l'antica costituzione Ad audientiam di papa Alessandro III (1159-1181). 397 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 d'anime un numero sufficiente di sacerdoti (vicari e cappellani) in modo da rispon-dere alle esigenze della popolazione.18 Le richieste di nuove fondazioni potevano dunque solo appellarsi alle condizioni climatiche e alla conformazione del territorio: le grandi distanze dei villaggi dalla sede della parrocchiale, la pericolosità del tragitto soprattutto d'inverno a causa del freddo, della neve, dei fiumi in piena, la mancanza o l'impraticabilità delle strade ..., condizioni che rendevano pressoché impossibile - in particolare a vecchi, bambini, donne incinte - raggiungere le chiese matrici per adempiere gli obblighi sacramentali e assistere alla messa; per i medesimi motivi il parroco non poteva raggiungere i villaggi dispersi e garantire il conforto religioso ai malati e dare sepoltura cristiana ai morti. Il principato vescovile di Trento è un esempio di maggior "tenuta" della struttura ecclesiastica tradizionale, di "ritardo" del processo di disgregazione delle pievi a cui si accompagna uno scarso numero di giuspatronati comunitari fino al XVIII secolo; un ritardo dovuto alle scelte dei vescovi e degli organismi di curia di assecondare l'opposizione di pievani e di parroci alle richieste delle comunità perché considerate lesive delle prerogative plebanali e, soprattutto, una minaccia per i diritti di natura economica (decime, pagamenti per l'amministrazione dei sacramenti, per la cele-brazione di messe, per i funerali) legati al beneficio plebanale. Modificazioni significative si hanno solo a partire dalla fine del XVII secolo. La relazione ad limina del 1724 del principe-vescovo Giovanni Michele Spaur (1696-1725) testimonia di questa mutata politica ecclesiastica. Richiamandosi direttamente alla normativa del concilio di Trento attesta la fondazione, in tutta la diocesi, di numerosi benefici semplici, cappellanie e curazie laicali "in locis alpestribus" separate dalle matrici "... ut parochiani ad percipienda sacramenta, et divina officia audienda non nisi dif-ficillime, aut saltem non sine magno incomodo, maxime hyemali et pluviarum tem-pore ad eandem accedere possunt ...".19 A queste nuove fondazioni si accompagna, di regola, la concessione alle comunità del diritto di presentazione dei sacerdoti. Nonostante il vescovo fosse, per le norme di diritto canonico, il diretto respon-sabile dell'organizzazione giuridica del suo territorio e delle modifiche da apportare per una migliore gestione della cura d'anime, alcune comunità pensano di tutelare ulteriormente i propri diritti di patronato attraverso la richiesta di un riconoscimento formale da parte della S. Sede. La comunità di Asiago, dopo aver ottenuto, nel 1580, dal vescovo di Padova Federico Corner la conferma del diritto di patronato e di elezione del parroco, invia una supplica a papa Gregorio XIII per chiedere "che tale diritto non fosse fondato su un privilegio o su una concessione benignamente elargita dall'autorità ecclesiastica, ma sul fatto che era stato il Comune a fondare e a dotare la chiesa". La supplica ottiene la sottoscrizione del pontefice (Gios, 1991, 10). 18 Concil. Trident., sess. 21 (16 luglio 1562), c. IV. de ref; cfr. Alberigo, Dossetti, Joannou, Leonardi, Prodi, 1973, 729-730; Metz, 1974, 274. 19 ASV, Congr. Concilio, "Relat. Tridentin.", 1724, f. 197v. 398 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÁ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 Approvare la fondazione di nuovi benefici e concedere il diritto di nomina dei sacerdoti non e prerogativa esclusiva degli ordinari diocesani. Altre istituzioni in possesso di giurisdizione ecclesiastica (come i capitoli cattedrali e le abbazie) richiamandosi a diritti consuetudinari, privilegi ed esenzioni, esercitavano di fatto i medesimi diritti dei vescovi nei territori di loro competenza. Nell'arcidiocesi di Udine, ad esempio, gia dalla seconda meta del sec. XV, tutte le cure soggette alla giurisdizione dell'abbazia di Moggio ebbero il proprio curato e il diritto di eleggerlo, fermo restando all'abate il "jus confirmandi et instituendi" (Bertolla, 1957-60, 210, 206-224). Nello stesso modo il capitolo del duomo di Trento doveva dare il proprio assenso per l'erezione di nuove curazie e per il distacco di queste dalle parrocchie soggette alla sua giurisdizione; in pari tempo si riservava il diritto di conferma e di investitura del sacerdote presentato dalle comunita. Ad esem-pio, nel 1695, i vicini di Gardolo - una comunita soggetta alla parrocchiale dei santi Pietro e Paolo in Trento dipendente dal capitolo del duomo - ottengono di poter eleggere e assumere a proprie spese un cappellano curato, approvato dall'ordinario, da presentarsi per la conferma al capitolo del duomo; anche quando, nel 1722, Gar-dolo diventa una curazia indipendente (con proprio fonte battesimale), il capitolo del duomo continua a mantenere i diritti tradizionali, in particolare, oltre al diritto di investitura del curato, quello di esazione delle decime di grano e di mosto nel paese e nel suo distretto (Micheli, 1986, 211-215). I diritti di patronato -cosí come, piü in generale, il conferimento dei benefici- non sono di pertinenza esclusiva dell'ambito ecclesiastico. Al contrario, ci troviamo in presenza di istituzioni la cui regolamentazione e spesso poco definita e soggetta a contrattazione e pattuizione e in cui magistrature e offici statali detengono ampi poteri di intervento. All'interno di una piü generale "politica ecclesiastica", parti-colare attenzione e dedicata proprio alle nomine ai benefici per le implicazioni eco-nomiche, sociali e politiche che il possesso di un beneficio comporta. Di con-seguenza anche il patronato popolare, come gli altri patronati, essendo legato all'as-segnazione di un beneficio puo essere soggetto alla regolamentazione statale che disciplina la materia. II giuspatronato e detenuto dal comune o dalla vicinia (come comunita civile), non dalla parrocchia (come comunita religiosa) anche se, come si e visto, non vi e sempre una chiara distinzione; di conseguenza la regolazione dell'esercizio di questo diritto, in quanto affare comunale, puo ricadere nella sfera di competenza delle magistrature civili e rientrare nei regolamenti e nella legislazione che riguardano l'orga-nizzazione dei comuni rurali e le procedure di controllo delle assemblee vicinali. Se fosse possibile tracciare una linea di demarcazione tra competenze eccle-siastiche e competenze statali in un campo che si sottrae a chiare definizioni, si puo far risalire alla distinzione tra beneficium e officium: le istituzioni civili controllano, sovrintendono, concedono il beneplacito al candidato che sta per entrare in possesso 399 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 del patrimonio e delle rendite legate al beneficio; le istituzioni ecclesiastiche si preoccupano di verificare i documenti e la preparazione sacerdotale e di conferire le licenze canoniche. In mancanza di ricerche e di dati sufficienti quelli che seguono sono solo esempi di interventi statali nelle questioni dei giuspatronati comunitari che si riferiscono prevalentemente a territori soggetti alla Repubblica di Venezia. Il Senato veneziano o le magistrature periferiche della Repubblica erano chiamate in causa dalle comunità e dai vescovi per risolvere le questioni attinenti ai patronati popolari e per definire, in ambito giudiziario o extra giudiziario, liti e problemi di varia natura che sorgevano con una certa frequenza. Il caso forse più "estremo" di intervento a vari gradi degli organismi della Repubblica, ma anche di "divisione dei compiti" tra "laico" ed "ecclesiastico" in questa materia si riferisce alla comunità di Pellestrina nel territorio di Chioggia. Nel 1626 le confraternite del SS. Sacramento e del Rosario nella chiesa di Ogni Santi si rivolgono direttamente al senato veneto, chiedono e ottengono il diritto di elezione del parroco. Nello stesso tempo la comunità invia al vescovo i capitolati - gli obblighi a cui sarebbero stati sottoposti i parroci, di cui si parlerà in seguito - per la conferma (Gambasin, 1980, 1024). Il ruolo delle magistrature statali non si limita pero a questo primo atto di concessione del giuspatronato. Secondo la procedura stabilita dalla stessa comunità, spettava al potestà di Chioggia bandire e pubblicare il concorso per l'elezione del parroco.20 Con una interpretazione più estesa del suo ruolo nel 1676 il podestà di Chioggia, Girolamo Morosini, nel concedere il permesso per l'elezione, prescrive anche le norme di ordine pubblico per il tranquillo svolgimento del diritto.21 Due deputati del podestà, infine, sovrintendevano alle votazioni e le ratificavano (Gambasin, 1980, 1034). Il vescovo, dal canto suo, non era completamente escluso: a lui spettava concedere la conferma dell'elezione e dare al prescelto l'investitura canonica (Gambasin, 1980, 1034). Uffici statali, centrali e periferici, svolgono spesso il ruolo di regolamentazione e definizione delle controversie che sorgono in materia di giuspatronato. Cause o suppliche sono indirizzate sia al senato veneziano e al doge che alle magistrature periferiche. Il comune di Fagagna, soggetto alla giurisdizione ecclesiastica del capi-tolo di Cividale, nel 1678 intenta causa civile presso il Senato veneziano (Consiglio 20 I 40 uomini incaricati dalle confraternite di scegliere il pievano (il capitolo) "debbano ricorrere al sudetto ill. mo signor podestà, supplicando ed ottenendo licenza di far proclami di suo ordine ad istanza loro in Chiozza, che chi pretende mettersi pievano curato di essa chiesa, debba in termine di giorni 8 darsi in notta a'scrivani, e l'istesso proclama sia anco ottenuto, e pubblicato" (Gambasin, 1980, 1033-1034). 21 "... Il podestà Morosini aveva prescritto che i non aventi diritto di voto, dovevano uscire di chiesa. La popolazione fuori della chiesa doveva stare alla distanza di 'dieci passi' per consentire la piu 'quieta ballottazione'. All'interno della chiesa gli aventi diritto al voto: 'ognuno sii lontano due passi dall'altro, perché non seguano collusioni et accordi'. Avvenuta la ballottazione 'nella cappella del santissimo', erano vietati 'fuochi' ed altre acclamazioni o dimostrazioni ... per non dare occasione de sconcerti et altri disturbi'" (Gambasin, 1980, 1034-1035 nota 170). 400 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 dei Pregadi) contro i tentativi di soppressione da parte del capitolo del suo diritto di elezione e di presentazione dei due sacerdoti responsabili della cura d'anime. La causa, che si trascina fino al 1718, viene vinta dalla comunità la quale, in seguito, esercita il diritto di patronato tramite i consiglieri comunali fino al 1955 (Bertolla, 1957-60, 239-241).22 Il comune di Asiago, in diocesi di Padova, nel 1619 chiama in giudizio presso le autorità della Repubblica veneta il sacerdote nominato poco tempo prima al beneficio di S. Rocco a causa delle sue frequenti assenze dalla parrocchia: quest'ultimo, sotto la minaccia di una multa di 500 ducati è costretto a rinunciare al beneficio (Gios, 1991, 15). Circa dieci anni dopo, nel 1631, gli amministratori dello stesso comune scrivono al rappresentante della Serenissima a Bassano affinché persueda un altro sacerdote ad accettare la designazione popolare "per amor del Signore e patria e per salute delle anime"; in caso di insuccesso gli si chiedeva di svolgere un ruolo di mediazione tra la comunità e la curia vescovile, di pregare cioè il vicario capitolare - la sede di Padova era allora vacante per la morte del cardinale Pietro Valier - di precettare il sacerdote "anco in virtù di santa obbedienza" (Gios, 1991, 16). Gli stessi vescovi ricorrono alla Repubblica indirizzando memoriali e petizioni in particolare a partire dal XVIII secolo. Si rivolgono al potere politico per chiedere l'eliminazione degli abusi, per modificare e precisare in senso più restrittivo i regola-menti in materia di giuspatronati comunitari, per porre maggiori controlli e garanzie nella stessa scelta dei sacerdoti. L'accento è posto prevalentemente sui problemi di "ordine pubblico", sulla fazioni, sulle liti, sui disordini. All'inizio del 1773 l'arcivescovo di Udine, Gian Girolamo Gradenigo, indirizza un Memoriale e un progetto di disciplinamento del giuspatronato popolare alla autorità civili della Repubblica lamentandosi dei disordini che avvenivano nelle "comunità villiche giuspatronanti" in occasione dell'esercizio del loro diritto: "di-scordie, brighe, fazioni, pieghevolezza e accondiscendenza alle lusinghe degli ambi-ziosi"; in questo modo, spesso la scelta cadeva su un sacerdote palesemente indegno per indisciplinatezza e malcostume. Alle osservazioni del vescovo le comunità reagivano con insurrezioni e proteste cosicché le parrocchie rimanevano a lungo vacanti (Bertolla, 1957-60, 275-279) . L'intervento statale non era richiesto solo per problemi di ordine pubblico o di indisciplina nello svolgimento delle elezioni ma andava a toccare anche il campo prettamente "spirituale" legato alla giurisdizione ecclesiastica. Il patriarca Dionisio Dolfin, ad esempio, nel 1726 aveva rivolto al doge una supplica nella quale gli chiedeva di intervenire a sostegno del diritto del vescovo di valutare e decidere della 22 Per il ruolo esercitato dallo Stato in difesa dei diritti di patronato delle comunità contro i tentativi di soppressione da parte dei vescovi e della S. Sede cfr. Chabod, 1962, 60-65. 401 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 preparazione del clero contro le decisioni della Nunziatura apostólica di Venezia. Poteva, infatti, accadere che sacerdoti presentati in curia dalle comunita, fossero giudicati inadatti alla cura d'anime e non confermati ma questi, appellandosi alla Nunziatura, ottenessero per questa via le necessarie approvazioni canoniche.23 Elezioni dei sacerdoti Torniamo ora all'inizio. Le modalita di elezione dei parroci, dei curati o di altri sacerdoti potevano essere varie. Sovente, come si e visto per il comune di Mori, il diritto spettava all'assemblea dei capifamiglia, dei vicini residenti. A volte la scelta era piü mediata. Il diritto di scelta dei sacerdoti poteva essere di pertinenza dei consigli comunali, mentre all'assemblea spettava solo la ratifica.24 In altri casi il diritto di presentazione poteva essere misto, detenuto congiuntamente dalla comunita e dal pievano, dalla comunita e dal feudatario, dai responsabili della gestione dei beni delle chiese, dalle confraternite. Normalmente le donne erano escluse dai diritti di vicinato e quindi non potevano partecipare all'assemblea del villaggio ed esercitare il diritto di voto.25 Solo raramente, in casi specifici, perché vedove di un vicino, oppure perché in possesso di una delega erano ammesse all'assemblea e alle votazioni.26 A volte avevano diritto di scegliereil parroco anche istituzioni o persone in possesso di beni e diritti nel territorio del comune. A Romagnano, un paese poco distante da Trento, ad esempio, sul finire del Settecento, nell'elenco dei vicini comparivano anche i delegati del monastero delle suore di SS. Trinita e del Collegio dei Somaschi della citta di Trento (BCTn, ms 395). 23 "... 'queste presentazioni ed elezioni vengono per lo più dirette da fini umani, o promosse per privati riguardi, cadono ben sovente in giovani sacerdoti e talvolta anche in semplici Chierici affatto inabili, ed incapaci per l'importantissimo ministero della Cura delle anime. Esendo per tali riconosciuti negli esami dalla virtù ed integrità degli Esaminatori Sinodali di questa Curia Patriarcale, restano spesso reprovati dalla giustizia de'loro voti'" (Bertolla, 1957-60, 273-274). Ma spesso si appellavano alla Nunziatura apostolica di Venezia e trovavano la desiderata accondiscendenza. 24 Ad Asiago "in un primo arco di tempo, forse sulla base degli statuti approvati dagli inquisitori di terraferma nel 1589 ... sono i 'gubernatori et li huomini del Comun' ad avere l'iniziativa, a contattare i possibili candidati ..., a vagliarli scegliendone uno, all'unanimità o a maggioranza, da presentare alla 'general vicinia de li cappi di famiglia', chiamata solo a confermarlo o a respingerlo". Poi, in seguito a una nuova regolamentazione civile, si instaura la prassi di elezione diretta da parte dei capifamiglia (Gios, 1991, 19). 25 Sull'esclusione delle donne dalle assemblee comunali e più in generale dai diritti di vicinato con riferimento all'area dell'Impero germanico cfr. Roper, 1987, 1-22. 26 Esempi di partecipazione con diritto di voto delle donne si possono trovare trovare, ad esempio, in Russia e in Savoia (Blum, 1971, 550). In Friuli, nel 1719, in occasione dell'elezione del vicario curato di Gorto, su 164 famiglie, 93 sono rappresentate da donne, probabilmente a causa della forte emigrazione maschile (Bertolla, 1957-60, 272.) 402 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 Nel corso dell'età moderna le curie diocesane, - cosí come gli organismi civili -tendono a regolamentare e a sottoporre ad un più stretto controllo le elezione dei parroci e dei curati. Nel principato vescovile di Trento, a partire da metà Settecento, l'elezione dei curati doveva avvenire alla presenza del parroco (o di un suo delegato) responsabile del territorio all'interno del quale si trovava la curazia. Affinché l'elezione fosse valida era richiesta la partecipazione di almeno due terzi dei vicini e il voto doveva essere segreto e non per acclamazione. Un cancelliere doveva redigere un regolare verbale dell'assemblea e del voto; il verbale, sottoscritto dalla stesso verbalizzante e da due testimoni, al quale veniva allegata copia degli obblighi a cui era soggetto il nuovo curato, erano inviati alla curia diocesana. Il vicario generale della diocesi confermava l'avvenuta elezione ponendo la propria firma in calce alla documentazione.27 In seguito il sacerdote che aveva ottenuto la maggioranza dei consensi doveva recarsi in curia diocesana per la conferma e l'investitura ufficiale. La comunità di Tezze sul Brenta dopo aver scelto il proprio parroco nominava anche due uomini con l'incarico di recarsi a Vicenza in curia, dal vescovo o dal vicario, per "far precetar esso reverendo sacerdote accio sii confermato" (Franceschetto, 1980, 976). La conferma da parte del vescovo o dell'istituzione in possesso della giurisdizione ecclesiastica poteva essere una semplice formalità. Solo con il XVIII secolo la procedura di controllo tende a diventare più severa: il sacerdote scelto dalla comunità doveva presentarsi in curia e sottoporsi all'esame degli esaminatori sinodali, una apposita commissione istituita per la verifica della preparazione culturale e delle capacità pastorali dei sacerdoti destinati ad esercitare la cura d'anime. In qualche caso la licenza di cura d'anime e la conferma della nomina potevano essere negate; cio apriva la strada a contenziosi lunghissimi. Nella diocesi di Verona, nel Settecento, il vescovo si limita a sottoporre ad esame o a concorso, i candidati eletti dai capifamiglia. Nel Ottocento i giuspatronati non vengono aboliti ma si modificano le procedure. La curia vescovile nel momento in cui una parrocchia rimaneva priva di titolare, indiceva un concorso e succes-sivamente presentava i candidati idonei; tra questi la vicinia doveva scegliere il proprio parroco. Ma la vicinia di Sant'Anna d'Alfaedo, ad esempio, che aveva sempre presentato in curia a Verona un solo candidato - sempre approvato - non rinuncia alle proprie prerogative: il sacerdote o i sacerdoti dichiarati idonei dalla curia non venivano poi eletti dall'assemblea vicinale cosicché spesso erano gli stessi sacerdoti a rinunciare preventivamente a presentarsi alla comunità: un braccio di ferro destinato a protrarsi per più di un secolo.28 27 ADTn, ms 9: contiene i documenti inviati dalle comunità in occasione dell'elezione dei parroci e dei curati, in particolare i verbali delle assemblee rogitati dal notaio e i capitolati sottoscritti dai sacerdoti, per un periodo di circa un ventennio a partire da metà Settecento. 28 Cona, 1992, 36-42. L'ultima conferma di un parroco da parte dei capifamiglia di S. Anna, una semplice ratifica della scelta vescovile, avviene nel 1943. 403 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÁ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 I parroci scelti in base al giuspatronato popolare, potevano essere nominati "ad tempus" avere cioe l'incarico per un preciso periodo di tempo: sei mesi, un anno, tre anni, dopo di che i patroni provvedevano alla conferma o alla nomina di un nuovo parroco; nello stesso modo potevano essere amovibili "ad nutum", essere licenziati a discrezione della comunita.29 In altri casi, invece, il parroco durava in carica tutta la vita. Nella diocesi di Chioggia nel XVII secolo, ad esempio, l'arciprete di Cavarzere era nominato a vita dal Maggior consiglio cittadino, mentre i cinque cappellani erano eletti per un biennio con "l'obligazione di officiar la chiesa e confessare e dir messa solamente a commodo de'popoli" e potevano essere licenziati (Perini, 1993, 13). Anche nel caso di nomina a vita la comunita cercava di tutelarsi in vari modi. A Tezze sul Brenta, nei patti fatti sottoscrivere al sacerdote eletto nel 1598, si prevedeva che il parroco fosse eletto dalla vicinia "... per nostro buon piacere, tutto il tempo della vita sua ... ma se per quel tempo che stara ad essa cura sara robbato qualche cosa che s'appartiene alla Chiesa (che Dio non voglia), sii tenuto alla restauration del danno ..." (Franceschetto, 1980, 975). II rischio, in realta, era quello opposto, quello cioé di un troppo frequente av-vicendarsi dei sacerdoti. Data l'esiguita dei redditi derivanti da molti benefici rurali e dei salari assegnati dai comuni, i sacerdoti si licenziavano (o semplicemente se ne andavano) con grande frequenza se solo riuscivano ad ottenere un beneficio o un incarico migliore e piü remunerativo. Proprio per evitare questo inconveniente il comune di Gradisca di Sedegliano in Friuli nel 1604 aveva inviato una supplica al patriarca chiedendo "che il curato ... sia perpetuo, et con investitura" (Bertolla, 195760, 214). Patti e capitolati Come si e piü volte accennato, nel momento dell'insediamento in una cura d'anime il sacerdote era obbligato a sottoscrivere quelli che vengono definiti come patti, capitolati o capitoli, statuti parrocchiali,30 documenti che fissavano i diritti e i 29 Riguardo alla condizione del parroco come «salariato» e al diritto della comunita di licenziarlo cfr., ad esempio, Cona, 1992, 11, 18 (XVI secolo), 12-13 (XVIII secolo); Gambasin, 1980, 1022-1023; Bertolla, 1957-60, 213-216, 244-246; Micheli, 1986, 215; per la Svizzera di fine medioevo cfr. Kurze, 1966, 319; Blickle, 1985, 181. 30 I capitolati rientrano in quelle forme di costituzione pattizia, contrattualistica delle societa di antico regime che non interessano solo l'ambito civile ma anche quello ecclesiastico. A questo riguardo una delle piü importanti forme di pattuizione sono le Wahlkapitulationen (capitolazioni elettorali) fatte sottoscrivere all'imperatore del Sacro romano impero germanico a partire da Carlo V, cosí come ai principi vescovi in occasione della loro nomina da parte dei capitoli cattedrali: cfr., ad esempio, Vierhaus, 1977. Sempre in area Imperiale si possono ricordare le Weistümer, raccolte di norme consuetudinario, di statuti rurali e anche di statuti parrocchiali: cfr. Blickle, 1977; Blickle, 1985, 172-179; Blickle, 1987, 378-384; Seemann, 1986, 61-74. 404 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 doveri delle due parti - il párroco e la comunità.31 I capitolati non sono legati alla natura giuridica del beneficio. Non sono solo le comunità con diritto di presentazione o di nomina che obbligano i loro sacerdoti a sottoscriverli; queste forme di pattuizione sono presenti anche in parrocchie con benefici, ad esempio, di libera collazione vescovile o della S. Sede.32 L'obbligo di sottoscrivere i patti non era una dura necessità di poveri sacerdoti in cerca di un salario, ma rientrava in un prassi generalizzata, indipendente dall'importanza e dal ruolo del titolare del beneficio come sembra dimostrare il caso della comunità di Illasi nella diocesi di Verona. Nel corso della visita pastorale del 1460 gli uomini del luogo si lamentano per l'assenza del loro arciprete, l'influente canonico Filippino Emilei, il quale "pacta et capitula inter ipsos facta et promissa et etiam mandata illustrissimi ducalis dominii Venetiarum non observare, cum illis promisserit residentiam in plebe ipsa facere, et nihil facit, immo intentus solummodo est ad propriam utilitatem" (Cipriani, 1993, 339). La puntuale definizione degli obblighi dei responsabili della cura d'anime è uno dei momenti essenziali della regolazione giuridica nel momento della fondazione di una nuova parrocchia o curazia e del suo distacco dalla matrice. La codificazione dei capitolati poteva essere molto risalente. Nella diocesi di Trento, ad esempio, i rappresentanti della comunità di Predazzo, dipendente dalla pieve di Cavalese (che comprendeva tutta la val di Fiemme), sono in grado di mostrare ai visitatori vescovili, in occasione della visita pastorale del 1579-1581, i patti e le convenzioni tra il pievano e la comunità: la prima stesura risaliva al 1382, ne seguivano altre negli anni 1397, 1407, 1471, 1487, 1501 (ADTn, AV, v. IV, f. 452r). Nella pieve trentina di Ossana (di libera collazione episcopale) la pergamena delle obbligazioni, stilata nel 1546, riporta in calce le firme dei pievani che si susseguono fino al 1629 (Bezzi, 1950, 285-286). La sottoscrizione dei capitolati da parte dei sacerdoti investiti di un beneficio non era, naturalmente, sempre accettata di buon grado, né si risolveva sempre con una contrattazione locale; al contrario, il rifiuto dei parroci di assoggettarsi alle richieste della comunità o di accettare il salario proposto, innescava vertenze la cui risoluzione 31 Documenti di questo tipo, trascrizioni o semplici riferimenti alla loro esistenza, si trovano un po1 ovunque nella bibliografia di riferimento. Cfr., ad esempio, per il Veneto: Gios, 1991, 8-10; Gambasin, 1980, 1008, 1022, 1024-1028; Cona, 1992, 25-29; Franceschetto, 1980, 974-976. Per il Friuli: De Vitt, 1990, 215; Bertolla, 1957-60, 219-220. Per la Lombardia: Pastore, 1975, 58-59; Zambarbieri, 1983, 74-75. Per il principato vescovile di Trento: Nubola, 1993, 178-179; per la diocesi di Napoli: Russo, 1984, 51, 258, 264-266. 32 Nel 1651 i "sindaci ed estimati" di Pognana in diocesi di Como mettono "in possesso della par-rocchia il prete Carlo Bossio, nominato dalla Santa Sede" attraverso la sottoscrizione di un atto notarile rogato sulla pubblica piazza contenente i "patti reciproci" (Aggi, 1893, 249-251; Chabod, 1962, 61, nota 1). 405 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVIU), 391-412 molto dipendeva dai rapporti di forza, dai legami del sacerdoti con i clan familiari del paese, dalla possibilité di sopportare il peso economico di lunghe cause in tribunale. Il ricorso alle vie legali da parte delle comunità per ottenere il licenzia-mento o le dimissioni del parroco che non accettava i capitolati poteva concludersi con il riconoscimento della legittimità delle richieste delle comunità.33 Proprio per meglio tutelare i diritti comunitari nei confronti del clero, nei documenti di pat-tuizione concordata tra le parti è possibile trovare esplicitamente prevista la pos-sibilità per la comunità di licenziare il sacerdote nel momento in cui lo stesso avesse disatteso gli obblighi sottoscritti. Nel corso della visita pastorale del principe vescovo Ludovico Madruzzo alla diocesi di Trento (1579-1581) gli uomini del comune di Roncone e di Fontanedo presentano un elenco in dieci punti di "pretensioni et lamentanze" contro il curato Battista Zuanelli. Le due parti, la comunità e il sacerdote, alla presenza dei visitatori vescovili giungono ad un compromesso scritto in base al quale si prevede che "... quando esso reverendo curato non servará con effetto gli soprascritti capitoli, si come ha promesso per la sottoscritione di sua mano fatta come nella fine di questa appare, s'intende che la sudetta communità di Roncone e Fontanedo puossi dargli licenza et provedersi di altro sufficiente et honesto curato, con saputa pero et consenso prima di Mons. Ill. mo et R.mo nostro signore Principe gratiosissimo, overo del suo ordinario di Trento ..." (ADTn, AV, v. V, ff. 136r-138v). Cosa era dunque previsto nelle capitolazioni? Si deve notare la grande similarità, pur in ambiti territoriali e in periodi diversi di questi documenti. Gli elenchi possono essere più o meno lunghi o dettagliati ma alcuni obblighi si ritrovano con grande frequenza. Innanzittutto la definizione del "salario" e dei beni stabili destinati al sostentamento del prete; si pattuivano, inoltre, i compensi dovuti ai sacerdoti per le prestazioni sacramentali: battesimi, matrimoni, funerali di adulti o di bambini. Si stabilivano il numero di messe da celebrare nelle chiese e negli oratori del territorio comunale con l'indicazione precisa dei giorni e delle festività particolari, le proces-sioni e altre funzioni religiose locali. Il parroco era tenuto a rispettare la residenza oppure a garantire la presenza e provvedere al mantenimento di un vicario. Vi erano poi tutta una serie di obblighi diversi di natura cultuale e simbolica, che tendono ad aumentare nel corso del tempo: pagare i predicatori in Avvento e Quaresima, offrire dei pasti in particolari ricorrenze, fornire cere, candele o olio per l'illuminazione del SS. Sacramento. A volte si cercava di impegnare il prete ad una maggiore efficienza 33 E' quanto avviene a S. Anna d'Alfaedo, nel territorio di Verona dove, a meta Settecento, i vicini si rivolgono alle autorita civili ed ecclesiastiche per rimuovere il parroco che si rifiutava di sot-toscrivere i tradizionali capitolati; dopo tre anni di sentenze e ricorsi a Verona e a Venezia, la conclusione e sfavorevole al parroco, costretto a dimettersi (Cona, 1992, 33). 406 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÀ RURALI (SECC. XV-XVHI), 391-412 pastorale34 o si tentava di controllarne la vita privata soprattutto dal punto di vista morale (in particolare riguardo alle donne a al gioco).35 Venivano regolate, spesso in maniera dettagliata, anche la ripartizione delle contribuzioni tra sacerdote e comunità e le modalità di pagamento in caso di lavori di restauro degli edifici ecclesiastici o per l'acquisto di suppellettili (una fonte di infinite controversie). I patti, infine, non erano fissi; in occasione di nuove elezioni vi potevano essere aggiunti altri capitoli, approvati dall'assemblea dei vicini, che tenessero conto di nuove esigenze della comunità. Nel corso del tempo, in particolare, tendono ad accrescersi le richieste di istruzione della popolazione e questo porta all'inserimento di appositi capitoli in base ai quali il parroco, o un altro sacerdote assunto dal co-mune, si impegnava ad insegnare non solo la dottrina cristiana a bambini e adulti ma anche a "far scuola", ad insegnare a leggere, a scrivere, a contare - in alcuni casi anche il latino - ai bambini della comunità. 34 A Gardolo, in territorio trentino, uno dei capitoli contenuti nel documento di erezione della curazia prevedeva che il curato dovesse "spiegare il vangelo per circa 15 minuti durante la messa cantata" e insegnare la dottrina cristiana "spiegando le virtu e l'utilita dei santi sacramenti" (Micheli, 1986, 214). 35 A Forcola in Valtellina (Lombardia) secondo i patti del 1556 il curato non doveva essere con-cubinario pubblico, ne giocare a dadi e a carte e non doveva "concubere cum aliqua femina" del comune della Forcola sotto pena di non ricevere per un anno le sue entrate (Pastore, 1975, 58). 407 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÄ RURALI (SECC. XV-XVUI), 391-412 LJUDSKO PRAVNO ZASTOPNIŠTVO IN KMEČKE SKUPNOSTI (15. - 18. STOLETJE) Cecilia NUBOLA Italo-germanski zgodovinski inštitut v Trentu, IT-38100 Trento, Via S. Croce 77 POVZETEK Ljudsko ali skupnostno pravno zastopništvo (juspatronat) je pravica komuna ali soseske do imenovanja župnika ali kurata ali drugih duhovnikov. To je izraz izjemnih pravic kmečkih skupnosti, oblika vpliva skupnosti na cerkev, eden od dejavnikov, ko se poenotita skupnost in župnija, cerkvena in civilna oblast. Od konca srednjega veka gre poleg te upoštevati tudi druge oblike lokalne samouprave. Družbeno pravno zastopništvo je posebej (vendar ne izključno) prisotno v alpskih regijah, od Tirolske do švicarskih kantonov, od Avstrije do južne Nemčije, od škofovske kneževine Tridenta do Beneške republike. Pravico do patronata ali zastopništva je bilo mogoče pridobiti na različne načine. Običajno jo je podeljevala ustanova, nosilka jurisdikcijskih pravic, kot so škofi, stolni kapitlji, opatije, in sicer na podlagi obveze skupnosti, da bo ustanovila beneficij in poskrbela za vzdrževanja župnika in drugih duhovnikov. Tudi civilne oblasti so posredovale, kot na primer Senat in periferni uradi Beneške republike, ko je bilo treba urediti imenovanja župnikov ali zgladiti nasprotovanja, do katerih je prihajalo v skupnostnih ob imenovanjih pravnih zastopnikov. Pravice in obveznosti obeh strani - župnika in skupnosti - so bile pogosto zapisane v župnijskih pogodbah ali sporazumih oziroma statutih. FONTI E BIBLIOGRAFIA ADTn, AV - Archivio diocesano Trento. Atti visitali. ADTn, ms - Archivio diocesano Trento. Miscellanea. ASV - Archivio segreto vaticano. BCTn - Biblioteca Comunale Trento, ms 395. Serie dei curati di Romagnano (17111798) e dei predicatori quaresimali di Romagnano e Ravina (1714-1794) coi Decreti di Regola comunale relativi ai curati. BCTn - Biblioteca Comunale Trento, ms 366. La verita al trono della giustizia, ovvero istoria di tre popolaresche elezioni state fatte per tre concorsi di preti ad un lascito pio ch'e una laicale cappellania (nel Comune di Mori) gli anni 1784, 1793, 1802... Opera divisa in tre parti scritta dall'Abate Giambattista Salvadori del Vicariato di Mori ..., s. d, pp. nn. 408 ACTA HISTRIAE VII. Cecilia NUBOLA: GIUSPATRONATI POPOLARI E COMUNITÄ RURALI (SECC. XV-XVUI), 391-412 Aggi, M. (1893): Storia della parrocchia di Pognana. Periodico della societä storica comense, 10, 4, 237-291. Alberigo, J., Dossetti, A., Joannou, P., Leonardi, C., Prodi, P. (1991): Con-ciliorum Oecumenicorum Decreta. Bologna, EDB. Benvenuti, S. (1984): Strutture ecclesiastiche della diocesi di Trento dalla caduta del principato agli inizi del secolo XX. In: Pizzini P. (ed): Problemi di un territorio: l'esperienza trentina fra storia e attualitä. Trento, Temi, 111-132. Bertolla, P. 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