LI N G U I S T I С A UREJUJETA MILAN GROŠELJ IN STANKO ŠKERLJ LETO III 1958 ST. 1 Stanko Š k er l j IL C O STRUT T O «PER RICCO CHE SI A» II senso del costrutto 1 è uno solo ed è cliiaro: è concessivo, ma caratteriz-zato da un particolare tratto elativo: non vuol dire semplicemente ,beuche sia ricco', ma ,pcr quanto ricco sia\ ,sia pur molto ricco'. Ma nonostante la chiarezza del suo significato, il cosirutto attira una certa atenzione per-il doppio problema che présenta: a) donde vienne alla pre-posizione per il senso concessivo? E, risolto questo, b) come si spiega la combinazione della preposizione per con un aggetivo, anzi con un agge-tivo predicativo? 1 Ni, sarebbero questi: i costnitti concossivi d'i per (*>n un sostantivo (seguîto, 'per lo più, da una proposizione relativa) si trovano y i à in Uguccione, L ihr о, 274 («Deu uel comanda bem, qe no deui (jugar, | Ne falso testemonio per nigmn orno far | Per aor ni per auer q'elo te [wssti dar»), nei Proverbia quae dicuntur super natura feminarum, 115, nelle Rirne genooesi (а. c. di Lagomaggiore, Arch, glott. ital. II) LXXIX, 111, in Bon-vesin. False scuse (а c. di Biadene, Pisa, 1902) 60 ( stesso tempo venga negata (almeno implicitamente) la conseguenza che era logicamente da attendersi dal nesso causale: «Cosi io ancora, cosi bestia corne sono, se fussi buono a servirvi in qualchc cosa, ... vaUetevi dei servi tori vostri» (F. Berni, in: D'Ancona-Bacci, Manuale detla lett. ital. 1Г. 575); e ancora, dallo stesso serittore: «e forse forse che, cosî frati come sono ( = ,pur essendo frati'), se a quest'ora non lianno fatto scala, potrebbe mol to ben csserc che qualche fiume o fossato o pozzo non avesse avuto quel rispetto che si conviene a san Domenico» (ib.. 577). Non sarebbe giusto dire che la relazionc concessiva qui s,i esprima coll'ihdicat'ivo, perché l'effetto di eoncessiviità prodiotto da questo costrutto non provient' dal-l'aggiunta «corne sono», ma daM'acc<»stamen,U» aiutiitetico di «oosi bestia» e ,pure posso servirvi', di «cosi frati» e ,possono puire eseer caduti in qualche fiume о fossato o pozzo'. Non è poi che l'aggiiunta corne sono sia superflua e pri va d i senso, essa lia pero un altro senso e un'aJitra funzionc, quella cioè di sottolineare — iper mezzo deH'ndontifica'zioine» espHoita: «C4>si bestia come sono» = ,sono veramente bestia' — il fatto deU'esserc uno stupido, dell'essere frati. (Anche di questa specie d» cidentifica-zkme» с del srno senso si parlera nel nostro stiudio su giunto che fu, bello com'è e sim.) — Un effetto molto simiile a quello dei passi bernesclu provoca un esemipdo che abbiunio inconitrato in un testo oontempora-neo in cui l'autore, Italo Calvino, s'ingegna di riprodurre fedelmcntc il disordi-nato linguaggio naturale di un personaggio inoolto: «Mon d oboi a. tante parole che [ai, Duca, poi più che strozzarc galline e spellare conigli non t'ho visto fare (Il sentiero dei nidi di ragno. p. 191) — šil che équivale ad un di presso a: ,per qualité parole tu faccia...'. — È anche vero che d semiplice acoostamento di faitti o momenti contraddititori put) produrre con tanta intensité e chiarezza la coscienza di una relatione concessiva, che la lingua parlata, per esprimerla debi-tamente, non erode più di aver bwogno del congiuntivo, ma si contenta dell'in-dicativo. Mi è présenté un esempio in friula.no: D. Zorzut, Sot la паре. . ., (Udine, 1926) 111. 87 «Ti corin gnot che jè là di chè mari» ,Ti corrono, per quanto faccia notte. da quella nian-ferme più esplicite e sicure, Г i poteši non si raccomanda, e biisognerà probabil-inente spiegare il passo cosi: ,Non lasciô il dolce paclre nonostante il camminare quanto mai rapido'. — Del resto, anche se altri esempi venissero a oonvalidare l'ipotesi dell'uso di per ricco che sia fiai dal Trecento, questo non infirmerebbe 3a epiegazione deU'imp'iego di per davanti ad aggetivo predicativo che noi proviamo di dare qui sopra ne testo, poiclié le formule cli per + sostantivo e d,i per + in-finito soiiio ben doeumentate almeno nella stessa epoca. la sfumatura particolare del senso concessivo clie consiste nel «conce-dere» anche il grado più elevato possibile della qualità espressa dal-l'aggettivo — sfumatura che è l'effetto, come sappiamo, della proposizione relativa col verbo al congiuntivo e della «esposizione» del predicato nominale in testa al costrutto. È vero, perô, che nella formula vecchia che sia la detta sfumatura è meno esplicita e chiara di quel che si potrebbe desiderare, ineno sicura — anche per il fatto che la stessa formula puo ugualmente servire come espressione della relazione condizionale (in un esempio come questo: «ma, abbandonato che si sia il terreno storico per il mondo dell'immagi-nazione, essa (cioè: l'autobiografia), in quanto forma artistica, deve essere informata, come si dice, da un'idea,...» |B. Croce, Letteratura della Nuod a Italia I4; 1943: p. 129]; oppure nel seguente: «... in fatto de coscenza, | male che Dada, se ne pô fa' senza!» [Trilussa, Ommini e be-stie; Milano, 1946; Le coscenze all'asta]). Che la detta sfumatura non riluca sempre, dalla formula vecchia che sia, cou la necessaria chiarezza, parc esser confermato anche dal fatto che nel francese, per esprimerla chiaramente, appare di buon ora un avverbio dimostrativo о altrimenti elativo: si, tout. Possiamo dunque supporre che l'italiano, anche se pos-sedeva un costrutto (composto di una parte nominale, della particella che e di un verbo al congiuntivo) suscettibile di esprimere, più o meno forte, quella sfumatura del senso concessivo, sentisse pure, in un dato momento, l'opportunité o perfino la necessità di precisare il senso per mezzo di qualche particella. Niente di strano, allora, che la lingua scegliesse appunto per, che introduceva, da parecchio tempo, costrutti composti analogamente : parte nominale prolettica, seguita da che e il verbo al congiuntivo («per tirar che facessb), caratterizzati della stessa cadenza ritmica ed esprimenti la stessa sfumatura del senso concessivo (,per quanto fortemente tirassi'). Ebbe luogo una specie di «contaminazione sintattica»: per si intruse nella formula vecchia che sia per nefas, ma non superfluamente, perché aveva da adempicre una funzione ben determinata: quella di esprimere senza ambiguità l'idea di ,per quanto (vecchia)'. La capacità di farlo, per l'ha acquistata grazie all'impiego pcrseverante e fréquenté in costrutti con un sostantivo e, soprattutto, con un infinito. Una volta inse-diatosi nella nuova formula, pare che per adempisse bene il suo com pito e fosse giudicato utile e necessario: l'italiano fino a oggi lo prcferisce a qualunque dei suoi rivali possibili (si, cosi, tanto, tutto). 2 Linguistica 17 Tirando le somme, bisogna dire che la formula per ricco che sia, se all'analisi logica appare enigmatiea e ingiustificata, с invece comprèn-sibilc dal punto di vista storico e anche da quello della sintassi analitica. Anche questo fenomcno è dunque una prova di più, se ancora fosse necessaria, della debole parte che ha la logica nella compagine di quel-l'istrumento, delicato quanto vigoroso, pieghcvole quanto ribelle, che è la lingua. P o v z e t e к Konstrukcija per ricco che sia, ki jo mutatis mutandis poznajo vsi romanski jeziki (v franc, n. pr.: pour riche qu'il soit), ima koncesivni pomen s tem odtenkom, da se v njej kaj »dopušča« d največji možni meri: .čeprav je še tako bogat', ,naj je še tako b.'. Pozorivost vzbujata v tem obratu dva momenta: a) odkod predlogu per koncesivni smisel? — b) kako more stati predlog pred golim adjektivom, in to pred prediikativnim ? Na prvo vprašanje sta odgx>vorila že Mussafia in Tobler. Per prvotno uvaja vzročno prislovno določilo (,za\ .zaradi') : »joka zaradi bolečine« alii »joka, кет (perché) ga boli«; če se glavno dejanje, zanika, dobi vzročno določilo koncesivni snvisel: »zaradi bolečine — ne joka«, »sicer ga boli, vendar ne joka«, »kljub bolečini ne joka«, »čeprav ga boli, ne joka«. Ta prehod je utemeljen v bistvu kavzalnega razmerja: če vzrok sicer nastopi, a nima pričakovanega učinka — ,ker boli, bi pričakovali, da bo jokal, a ne joka': glavno dejanje je zanikano —, se iz kavzalnega razmerja razvije adverzalno (.sicer boli, vendar ne joka') in dalje koncesivno (.čeprav boli...' ali .kljub bolečini...'). Na drugo vprašanje: kako da stoji per pred samim adjektivom, je odgovor težji in je odvisen od posebnega razvoja sintaktičnih oblik v vsakem posameznem jeziku. Y glavnem jc moral biti proces ta, da se je'per ukoreninil in razširil v obratih, v katerih je bil kot vzročni predlog na svojem mestu, a ki so pred negativnim glagolom naravno dobili koncesivni smisel: «per potere ch'egli abbia, qui non puö riuscire» .zaradi (vse) svoje moči...', .kljub vsej svoji moči tu nc bo imel uspeha'. In resnično je v italijanščini per v takih obratih udomačen vsaj že v 13. stoletj-u. Posebno značilna je njegova raba pred infinitivom: «per tirar ch'io facessi» = ,per quanto tirassi', ,če sem še tako vlokla'. Po tej ]K>ti je v takem per polagoma obledela vrednost (vzročnega) predloga, a hkrati se mu je prilepila veljava dopustne partikule, s pomenom ,če še tako...'. — Na drugi strani pa je v italijanščini vsaj sredi 15. stoletja obstajala formula «vecchio che sia», z dopustnim smislom. Tudi le-tâ je že izražala oni posebni odtenek: ,če še tako' (: ,naj 1м> še tako star'), toda manj poudarjeno, manj jasno. Zato je razumljivo, da jc obrat vecchio che sia privzel partikullo per, ki se jc že bila razšopirila ob starejših obratih, kjer je bila — kot predlog pred su.bstant.ivom aH infinitivom — logično utemeljena. Da v novi formuli: per vecchio... ali per ricco che sia — stoji per pred predikativnim adjektivom. kar »ni logično«, »ni pravilno«, to govorečih očitno ne moti. »Sintaktična atrakcija« je zmagala nad logiko — kakor tolikokrat v razvoju jezika. M. Regula: Réflexions sur l'origine du passif formé aoec venire M. Regula REFLEXIONS SUR L'ORIGINE DU PASSIF FORME AVEC VENIRE Le but que nous nous sommes proposé dans cette étude, est assez modeste: Il s'agit de combler une lacune de la réfutation des raisons alléguées par K. v. Ettmayer contre venire + participe passé comme base primaire du passif1 et d'expliquer l'origine de cette formule. Dans la ZRPh XLI, 42 ss., K. v. Ettmayer a fait les hypothèses suivantes: venitur ereptum puellam > *venit ereptum puellam > puella venit erepta. Cette dérivation de la périphrase verbale du passif nous paraît trop scrupuleuse et diffuse. On sait que ce savant a fait deux objections contre l'explication la plus naturelle de la formation du passif avec venire. La première, c'est que la séquence venire + p. p. ne pouvait être attesté par le latin. Mais, voici des exemples qui servent de contre-argument: Eodem die legali ab hostibus missi ad Caesarem de pace venerunt (bell. Gall., IV, 16, 1). Dicit se misum a consule venisse (Salluste, bell, lug. 109, 2). —. .reddilaque Eurydice superas veniebat ad auras (Virgile, Géorgiques, IV, 486). Il va sans dire que ces passages ne contiennent pas encore la forme du passif vrai, mais pourtant ils nous indiquent clairement la voie de l'évolution. D'ailleurs, il est bien possible que le tour venire in + substantif (in amicitiam, in odium, in invidiam, in deditionem, in potestatem, etc.), qui pouvait remplacer le passif de verbes défectifs (oclisse, invidere), n'ait pas été sans influence sur l'extension du type en question, d'autant plus que venire in exprime exactement l'attitude passive du sujet, comme c'est le cas pour la tournure impressionniste, mais déjà grammaticalisée: il eut un sourire (un cri, un regard désespéré, un geste vague). Cette construction, qui remonte probablement à Flaubert, exprime l'imméd i a t et I'i n a 11 e n d u du fait, tout en soulignant la passive té du sujet. Il eut le visage allongé approche déjà d'une forme particulière de l'expression passive, 1 Cp. L. Spitzer, Stilstudien, p. 192 ss. p.e. Robespierre eut la mâchoire fracassée ; Van Meulen a eu le col tranché sur la place de Haarlem (P. Simmare).2 La seconde objection que amicitia venit facta n'aurait pas de sens, parce que ce n'était pas le «devenir» du sujet qui devait être la visée principale du locuteur, mais sa qualité exprimée par le participe, manque également de fondement solide. La mise d'un sujet «procréé3, qui, ou pour mieux dire, dont l'objet ne naît que dans ou du procès, exclut a priori la prédominance psychodynamique du composant sémantique du prédicat (facta). Tout sujet procréé attire l'accent d'intensité. Cela étant, il ne peut y avoir deux prédicats psychologiques dans une phrase simple: loi de l'impénétrabilité des centres de force. Exemples: Decern milia armatorum compléta sunt (Nepos, Mil-tiade). Omnibus locis fit caedes (César, bell. Gall., VII, 67, 6) avec rythme ascendant. Senati decretum fit (Salluste, bell. Cat. 53, i). Urbs oritur (Ovide, Fastes, IV, 857). Amicitia est facta (iuncta, pacta). Dans tous les cas précédents les termes nominaux ne sont pas des sujets (au sens étymologique), parce qu'un sujet doit être donné ou du moins pouvoir être supposé tel. Mais jusqu'à présent, tous ces membres énoncés furent pris pour sujets, et cela, croyons-nous, à cause de leur place en tête et de l'accord du prédicat. En vieux français, la pensée grammaticale du latin continue, p.e.: Soleiz n'i luist; pluie ni chiet; rusée n'i adeiset. Pierre n'i ad que tute ne seit neire (Chanson de Roland, 980—982). Un Sarrazin i out de Sarraguze (Chanson de Roland, 1483. Pour le français moderne, on peut citer les tournures plus ou moins figées: Défense fut faite, mention fut faite, ordre fut donné (= il fut ordonné), où l'élément nominal constitue un composant sémantique de la phrase prédicat (—pli. sans sujet). Des phrases «decrescendo» (Ettmayer) telles que: L'hiver vint; le soir tombe; des passions ne troublaient pas sa vie; une peur la prit contiennent un sujet énoncé, qui ne fait pas face au prédicat, mais forme avec lui un groupe indécomposable. F. Strohmeyer voit à juste titre dans la phrase: La levée en masse fut décrétée le prédicat psychologique. Comme le sujet énoncé est le porteur de l'action, il représente le stade intermédiaire entre le sujet véritable (Pierre écrit. Le maître est content, etc.: cas décompo- '■' Cette construction se trouve déjà en latin classique: vastata Poenorum tumultu fana deos habuere rectos ( = statutos) (Horace, Odes, IV, 47/48) ties temples dévastés par la guerre punique eurent les dieux restaurés». я Terme paradoxal: ce qui est énoncé ne peut être «sujet». M. Regula: Réflexions sur l'origine du passif formé aoec ne il ire sables, puisque le «sujet» est donné et le prédicat eu énonce une action, un état, une qualité ou l'existence seule4) et le pseudo-sujet qui est un composant sémantique du prédicat analytique (ordre fut donné —,il fut ordonné'; défense fut faite; si besoin est = ,s'il en est de besoin'); rien n'y fit, etc. Revenons donc à notre problème et tâchons d'expliquer la catachrèse qui s'est opérée dans l'emploi du verbe venire. Quant à la phrase Puella venit erepta «la fillette vient (vint) enlevée de force —la fillette est (fut) enlevée de force», il s'agit d'un cas typique de l'antinomie entre le contenu réel et l'expression linguistique. Il y a sur-recou-v rem en t («Überdeckung») de la signification primaire par la valeur fonctionnelle. Ce phénomène s'explique aisément par le fait que le déroulement de l'action inhérent au passif soit explicité par un verbe de mouvement.5 Par suite du caractère psychologique la langue est sujette à une transformation perpétuelle, si bien que le ndvza ne produit pas seulement des curiosités ou des monstres logiques dans le domaine sémantique (p.e. être à cheval sur un baudet, saupoudrer un gâteau, s'habiller quatre à quatre*), mais aussi dans celui de la syntaxe (p.e. La soupe du soir a sonné —on a sonné pour la soupe du soir [Erckmann-Chatrian, L'Histoire d'un Conscrit]; — Les chiffres, ça me connaît avec transposition du sujet; — Les magasins ouvrent avec pseudo-activité du sujet; — Le moment était on ne peut plus favorable [P.Mérimée, Tamango] : on ne peut plus est une expression bloquée, = ,excessivement', extrêmement'). 11 ne faut pas perdre de vue que la nécessité d'exprimer des «sujets énoncés» n'est pas limitéé à la voix active, puisque tout verbe d'action permet l'emploi d'un passif personnel ou impersonnel. Par conséquent, la périphrase avec venire peut être employée aussi avec 4 Que la négation fasse une partie intégrante du prédicat, nous est prouvée par une phrase comme: Rien n'est constant, où l'accent de phrase frappe le mot rien. 5 Cp. les périphrases suivantes: saepe roges aliqid, saepe re pulsus eas (Properce, II, 4, 2; cp. l'imitation apud Ovide, Am. II, 9, 46: saepe fruar domina, saepe repulsus eam. — Trimalchio (gallum) occldi iussit, ut aeno coctus fieret (Pétrone, 74). La conjuration s'en allait dissipée (Corneille, Cinna ГП. 426). Cp. esp. todo ira perdido, it. le buone usanze oanno rispettate (cité par Sneyders de Vogel, Synt. § 156). Cp. G. Gougenheim, Etude sur les périphrases verbales, p. 111. • Originairement: monter, descendre l'escalier quatre à quatre. un sujet «procréé», qui — axiome logique et psychologique! — doit être énoncé, faisant partie du prédicat, qui embrasse la phrase entière, de sorte que celle-ci n'a pas de sujet au sens étymologique (subiec-tum = base, point de départ, déterminand). Dans certaines conditions, le sens concret du verbe venir pouvait s'effacer: de centre sémantique (L. Tesnière), le verbe a glissé à centre fonctionnel (= auxiliaire).7 Les expositions précédentes ont révélé la force motrice du sur-recouvrement, phénomène qui explique les changements dans les différents secteurs de la linguistique.8 C'est lui qui amène la «stéréo-ty pisat i on» (S. Škerlj)." Graz, juin 1957. Povzetek Razmišljanja o izooru pasiva, toorjenega s /ютогшкогп venire. O tej zanimivi perifrazi pasiva (puella o eni t erepta) je bil Karl Ettmayer mnenja, da se je morala razviti po ovinku prek vmesnega *venit ereptum puellam iz prvotnega venitur ereptum puellam; najenostavnejše razlage direktnega prehoda iz ustrezajoče latinske konstrukcije se je E. ognil iz dveh razlogov — tukaj pa se dokazuje, da ta razloga ne držita in da je direktni prehod možen in verjeten. Proti Ettmayerjevi domnevi, da v latinščini ni primerov kombinacije venire + pasivni particip, je tukaj navedeno več primerov iz klasične latinščine, ki lahko predstavljajo vsaj izhodišče za pravo pasivno perifrazo. Tudi obrat venire in + s übst an ti v (venit in odium) je lahko podprl nastanek peri fraze. Drugo, zaradi česar je E. zavračal kot presumptivno izhodišče tip amicitia venit facta, je bila misel, da hi glagol venire poudarjal »nastajanje* subjekta, ko pa je — >po Ettmaye.rjevcim mnenju — naravni logični naglas vendar na subjektu pripisani kvaliteti, ki jo izraža partioip (facta). Toda to mnenje je zmota, zakaj v primerih kakor omnibus locis fit caedes (Cozar), Senati décrétant fit (Salust) in pod., in tako tudi v amicitia venit facta, nominalni del dejansko ni subjekt (kakor trdi običajna formalna analiza), temveč del pre-dikata — in je zato seveda naglašen. (Treba je razlikovati pravi subjekt — 7 Pour le développement aibstra.it d'un verbe oonoret, le verbe habere nous offre un purallèle. Voici les exemptles: satis partum habeo (Plaute, Trin. 838): possession réelle; — cognitum (exploratum, perspectum, persuasum) habeo: possession intellectuelle; — missum habeo (Plaute, Pseud. 602): tournure dépourvue de l'idée de possession. 8 V. ZFSL 60, p. 129-145. " S. Skerlj traitera de la «s iér éo t y p i s a t io n» dans un numéro prochain. na pr. v stavkih « Pierre écrit», *Le maître est content», kjur je subjekt a priori dân in predikat izpoveduje kako njegovo dejanje, kvaliteto ali pod. — od pse v -dosubjekta, ki je v resnici sestavni del predikata (: ordre fut donné = ,il fut ordonné', défense fut faite). — Staven i naglas na tiste vrste subjektu, ki se sproti rodi iz procesa (»sujet procréé«) in je dejansko del predikata (saj. prav zato tudi jê naglašen) — n. pr. prav v tipu amicitia d eni t facta — pa ne onemogoča rabe glagola venire (z njegovo nuanso nastajanja). Gre torej samo za smiselni in funkcionalni premik v samem glagolu venire. In ta se da brez težave razumeti: karakteristično za pasiv je »odvijanje« dejanja, le-tö pa se prav prikladno izraža z glagolom gibanja. Ta premik, ki ob njem glagol venire zdrsne z ravni sematično polnovrednega glagola na raven funkcionalnega (pomožnega) glagola — glagol habere je šel po isti poti — se tukaj imenuje sur-recouvrement, ,Überdeokung', .prekrivanje' (ene ravni po drugi). To je pojav, ki vodi k tistemu, kar S. Skerlj imenuje stereo tipizacij a. M. Regula ANMERKUNGEN ZUR LATEINISCHEN SYNTAX I ZU EINER SONDERFORM DES ABLATIV US ABSOLUTUS Daß es subjektlose absolute Ablative mit verbalem Prädikat gibt, ist eine bekannte Tatsache. Es braucht nur an den unpersönlichen Gebrauch von augurato, auspicato, litato, compacto; optato, demonstrate), oadato erinnert zu werden. Weniger oder vielleicht gar nicht bekannt dürfte es sein, daß es einen eingliedrigen nominalen Typ gibt, -worin das Monorem, ein Substantiv, die semantische Prädikatskomponente darstellt, während die funktionelle unausgedrückt bleibt. Für diese gewiß seltsame Erscheinung bietet Vergil in den Geor-gica IV, 484 eine interessante Stelle. Sie lautet: at que Ixionii o en t о rota const itit orbis. Obzwar der Abi. oento durch Servius gesichert ist, findet sich in Stowasseis Wörterbuch dafür cantu eingesetzt, wohl deshalb, weil oento eine »crux« für die älteren Erklärer bedeutete. Diese Konjektur ist schon darum abzulehnen, weil cantu im Einleitungsvers der Schilderung des machtvollen Zaubers, den der Gesang des Ihrakischen Sängers auf die Gestalten der Unterwelt ausübt, als wichtiges Wort vorweg- genommen ist, und eine Wiederholung äußerst plump wirken würde. Zur richtigen Deutung des Verses wird die Heranziehung von Parallelstellen von Nutzen sein. So lautet in der Ovidschen Fassung der Sage der entsprechende Teil: — — st и p uit que Ixionis orbis (= rota) und in der »regina elegiarum« des Properz, in der die dahingegangene Cornelia für die Zeit ihrer Aburteilung Befreiung der als Zuhörer geladenen Frevler von ihren Strafen erbittet: — — — taceant Ixionis orbes. Aus dem Vergleich des Vergilsclien Verses mit den angeführten Stellen sowie mvt dem Inhalt der Gesamtschilderung der wunderbaren Wirkung des Sängers ergibt sich für >constitit< die Bedeutung »blieb stehen«, »stand plötzlich still«, »stockte«. Dann kann aber »oento« nur »im Winde« oder »trotz des Windes« bedeuten. Die Übersetzung des Verses würde also lauten: »Und im Winde stockte das kreisende Rad des Ixion«. Diese in keine der »gebundenen« Ablativarten einzureihende Bedeutung erklärt sich nur dadurch, daß man >vento< als Ablativus absolutus auffaßt, der sich auf dem Impersonale »ventus est« aufbaut. Mangelfi eines Präsenspartizips von esse zieht »oen/o« den Setzungston an sich und vereint so das semantische und funktionelle, die Seinsart bestimmende Element. Dagegen wird der negative Begleitumstand zweigliedrig ausgedrückt, indem nullus das negierte Partizip von esse ersetzt: nullis с omit ibus »ohne Begleiter«. Unter Umständen kann auch minus eintreten; z. В.: bis sex ceciderunt, те minus uno... »außer mir«; vgl. frz.: Les fresques représentant les principaux épisodes de la oie de Guillaume Tell étaient terminés moins une (A.Daudet, Tartarin sur les Alpes). Diese kurze Studie hat ergeben, daß es noch unbearbeitete Felder der lat. Syntax gibt, die allerlei Ueberraschung erwarten lassen, wenn neue Faktoren in die Forschungsmethode einbezogen werden. * II ZU SALLUSTS BELLUM IUGURTHINUM, c. 105, 4 Die bei Vergil im 4. Buch der Georgica, v. 484 begegnede, in der eingliedrigen, nominalen Form bestehende Sondererscheinung des ablativus absolutus (...ven t о rota constitit... »im Winde«, »dem Winde zum Trotz stocke das kreisende Rad«)1 findet sich noch im bellum Iugurthinum, c. 105, 4. Die Stelle lautet: Timor aliquantus, sed spes muior, quippe oictoribus et adoersus eos, quos saepe vi-cerant. In der Uebcrsetzuiig ungefähr: »Nicht gering (ziemlich groß) war die Furcht, größer jedoch die Hoffnung, zumal bei Siegern (waren sie doch Sieger), die noch dazu Leuten gegenüberstanden, die sie oft geschlagen hatten« oder: »da sie doch Sieger waren und noch dazu denen gegenüberstanden, die...«). Faßt man ^oictoribus«., wie bisher, als Dativ auf, dann ist zu den vorangehenden Nominalsätzen iis als Objekt und Beziehungswort hinzuzudenken; denn »oictoribus« kann nicht Dativobjekt sein, da das vorherstehende quippe als logisches Supplement nur zu einem Prädikat oder Prädikativ gehören kann — eines der vielen Axiome des Sprachdenkens! —. In unserem Fall zeigt es die kausale Bedeutung des Nebensatzäquivalcnts an, dessen entscheidender Setzungston das fehlende Partizip von esse ersetz!. Dem genialen Zerstörer herkömmlicher Satzbauarten ist die Schöpfung eines eingliedrigen nominalen ab-lativus absolutus eher zuzumuten als die banale Fügung eines appositiven Prädikativs, das auf den zu ergänzenden Dativ iis bezogen wäre. Demnach ist auch adoersus eos Prädikatsglied. Et2 hat wohl dieselbe Bedeutung wie in dem bekannten Quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentes, das fälschlich konzessiv durch: »auch wenn sie schenken« übersetzt wird. Es heißt vielmehr: »und noch dazu (und erst) schenkende (wenn sie schenken)«. In Schillers Uebersetzung: »und doppelt, wenn sie schenken« schimmert diese Auffassung deutlich durch. III ZU HORAZ, С ARM. I, 11, 6/7 Die Stelle: ...spatio brevi s pern Ion g am re se ce s wird bekanntlich auf verschiedene Weise erklärt, ohne daß der Sinn, im Grunde genommen, eine wesentliche Änderung erfährt. Bleibt doch der Grundgedanke, daß Leukonoe keiner weitgehenden Hoffnung Raum geben, 1 Den t о ist аЫ. aibs. zu ventus est. 3 Vgl. bell. lug. 85, 3: domi forisque omnia curare, et ea agere inter in-oidos occursantis factiosos, opinione, Quirites, asperius est. sondern vielmehr die allzu kurze Gegenwart weise genießen soll, bei allen bisherigen Erklärungen unverfälscht erhalten. Das der endgültigen Lösung harrende Problem steckt im Nexus spatio breoi. Es drängen sich hier unwillkürlich zwei wichtige Fragen auf: 1. Was b e d e u t spatium? 2. Was für ein Ablativ ist spatio breoi? Denn die Annahme eines Dativs verbietet die Sinnfügung. Hermann Schütz setzt spatium gleich spatium vit ae und faßt die Verbindung spatio breoi als kausalen Abi. abs. Er übersetzt demnach: »da die Lebenszeit kurz ist«, gibt aber diese Auffassung durch die unmittelbar folgende Erläuterung wieder auf, indem er hinzufügt: »eigentlich .die weit gehende Hoffnung zuschneiden oder beschneiden nach der kurzen Lebenszeit'«. Kießling-Heinze deuten spatium richtig als »Stück«, sehen aber in spatio brevi unglaublicherweise einen Abi. instrumenti. In Wahrheit ist aber spatio brevi ein innerer, effizierter, finaler oder konsekutiver Ablativus modi: »schneide den langen Hof f nungs fad e n auf ein kurzes Stück zurück« (= so ab, daß ein kurzes Stück übrigbleibt),1 also »kurz ab«. Bz. der Bedeutung von spatium vgl. Ovid, Met. 676 f.: At Libys obstantes dum vult obvertere remos, In spatium re sil ire matius breve vidit. Povzetek I 0 neki /wsebni obliki absolutnega ablatioa Pri Vergilu je v Georg. IV 484 oento očitno treba razumeti kot abl. abs. »ko je bil veter, čeprav je bil veter«. Izraz bi se glasil v neodvisnosti: ventus est, toda esse nima participa prezenta. Sail. b. lug. 105, 4 H V stavku: Timor aliquantus, sed spes iruiior, quippe oietoribus et ado er su s eos, quos saepe vicerant sta razprto tiskana izraza povedkovi določili, torej je tudi tu oietoribus absolutni aiblativ, in sicer s quippe. Ног. с. I 11, 6—7 111 Znano, težavno mesto spatio brevi spem longarn reseces je treba razumeti tako, da je spatio brevi takšen abl. modi, ki izraža učinek dejanja: »dolgo upanje priftiriži tako, da ostane le kratek kos«, t. j. »na kratko«. 1 Nach einem Begehrungssatz kann der von ihm abhängige Nebensatzinhalt sowohl final als auch konsekutiv aufgefaßt werden. Bojan Čo p : S l a o. *m č <1 ь Bo j un Čop SLAV. *MEDb »KUPFER« Dies Wort ist in folgenden Bedeutungen belegt: »Kupfer« in russ. med', klruss. m'id', bulg. med', čech. med', poln. miedx; »Erz« in aksl. medb und schließlich »Messing« in slov. med und sorb. rnčž. Das serb. mj'èd vereint beide Bedeutungen, »Kupfer« und »Messing« in sich, auch in anderen Sprachgebieten beobachtet man dies Schwanken; so im Russ., wo die verschiedenen adjektivischen Zusätze, z. B. zöltuja, zel'önaja, dies Wort zur Bezeichnung anderer farbigen Metalle machen: »Messing«, »Bronze«. Es ist aber aus der Natur der Sache selbst zu erkennen, daß die ursprüngliche Bedeutung nur »Kupfer« oder eventuell noch — unbestimmter — »Erz« sein konnte. Eine gute Etymologie ist noch nicht geliefert worden, s. die Versuche, die bei Bcrneker, Sl. EW II 46 und bei Vasmer, Russ. EW II 111 f. verzeichnet sind. Das ebenfalls ur- und gemeinslavische Wort ruda »Erz, Metall« ist das substantivierte Femininum des bekannten Adjektivs rudz »rot«, sieh die idg. Sippe bei Pokorny, Jdg. EW 873, wo außerdem noch zu nennen sind: aind. Zo/ia-»rötlich«, wovon (M. und Ntr.) /o/ia-»rötliches Metall, Kupfer, Eisen«, aisl. rauôi »rotes Eisenerz«. Da das Metall, das durch das Wort medb ursprünglich bezeichnet wird, »rot« ist, ist man gewiß berechtigt, in diesem Worte analog dem Worte ruda ein uraltes Farbwort zu suchen. Dies gestattet auch die Form unseres Wortes selbst: es ist ein femininer i-Stamm, der — wie ruda oben — ursprünglich ein Abstraktum gewesen sein wird; nun weiß man aber aus der slavischen Grammatik, daß die adjektivischen o-Stämine imstande sind, Abstraktbildungen auf -i- zu verschaffen: so z.B. /л,h »Bosheit« von Уљ1г »böse«, /. eleu/, »das Grüne« von zelem »grün« usw., s. Vondrâk, Sl. Gr. I 642. Wenn also unser Wort eine solche Bildung darstellt, kann man ohne Gefahr einen älteren Adjektivstamin * mèdo- »rot« rekonstruieren; und was noch bedeutender ist, dieser o-Stainm stimmt im Vokalismus und im Ausgang -do- mit der bekannten Gruppe der slavischen Farbadjektiva überein: gnëdz »braun«, russ. gnedöj usw., Berneker, Sl. EW 1 312 und Vasmer, Russ. EW 1 279; ohne Etymologie; &ё(1г »grau« (aksl. usw.) Vasmer, ibd. 11 601 f. und Vondrâk, SI. Gr. I 601; zu вегъ nach anderen Adjektiva desselben Typus gebildet; хтёйъ »dunkel«, Vasiner II 670f.; ohne Etymologie; blëdz »blaß« (aksl. usw.), ßerneker 1 60; zu ahd. bleiza »livor«, ags. blät »blaß«; s. auch Pokorny, Idg. EW 160, der eine idg. Urform *bhhido-s »licht, blaß« rekonstruiert. Von diesen — jetzt nicht mehr vier, sondern fünf — ganz gleichartigen Adjektivbildungen ist nur der letztgenannten und unserem *mëdo- urindogcrmanisches Alter mit vollem Recht zuzuschreiben. Für bledz erhellt dies aus den oben angeführten und restlichen Verwandten, für *mëdo- kann man dies aus den weiter unten vorzuführenden zwei verwandten Wörtern mit noch größerer Wahrscheinlichkeit erschließen. Der erste von diesen Verwandten ist das heth. mita-, miti- »rot«: es ist belegt im Nom. mi-i-ti-iš im Ritual von Tunnawi I 45, im Akk. mi-ta-a-an im Ritual von Anniwiannis I 4 usw. Imme г ist es Attribut von S1G »Wolle«, immer auch begleitet von einem anderen Farbworte andara-. Die Verbindung S1G andara- S1G miti/a- ist gewiß mit den Ideogrammen SÎG ZA.GIN S1G SA5 (z. B. Tunnawi II 28) identisch, und diese bedeuten »blaue Wolle und rote Wolle«, s. Goetze, The Hittite Ritual of Tunnami 70 f. Goetze hat schon aus diesem klaren Parallelismus geschlossen, daß mitaji- »rot« bedeuten muß; zur Gewißheit erhob aber diese Vermutung erst der Umstand, daß andara- in einigen Texten ganz sicher dem Ideogramm ZA. GIN entspricht, s. Otten bei Friedrich, Heth. Wb. 337; es nimmt also die Bedeutung »blau« für sich in Anspruch, für miti/a- verbleibt also nur »rot«. Morphologisch ist dies Wort insofern etwas dunkel, weil es scheinbar nach zwei Deklinationstypen flektiert wird: a-Stamm und i-Stamm scheinen liier ohne erkennbaren Unterschied miteinander zu wechseln. Man kann dies aus der Flexion der i-Stämme erklären, da bei diesen in einigen Kasus der Stamm auf -a- auszugehen scheint: šalli-š »groß«, Gen. šallai-aš und nach der Reduktion des intervokalischen -;'- auch Salla-š. Jedoch scheint es mir, daß dies nur ein Notbehelf sein kann und zwar der schlechtesten Sorte. Man kann diese Deklinationsschwankung auch von einer ganz verschiedenen Seite fassen: in der Ursprache haben die Farbadjektiva das Femininum nicht nur normalerweise auf gebildet, sondern es war auch die Form auf -f-/-iä- ganz geläufig: so noch im Altind.: ved. àrusï »feuerfarben« zum o-Stamm aruša-; weiter s. Wackernagel-Debrunner, Aind. Gr. II 2, 391, § 249 b а ß. Sollte das Hethi- tische einmal dieselbe Gewohnheit besessen haben, so konnte zum o-Stanun (= historisch a-Stamm) mît a- ein Femininum *mït-ï- (das Wurzelstück belasse ich in seiner historischen Form, da vorläufig die uridg. Form unsicher ist, s. unten!) gebildet werden; dies hat schon vorhistorisch sein -Ï- verkürzen müssen, da sehr wahrscheinlich schon seit Mitte des 2. Jt. die alten urindogermanischen Quantitätsverhältnisse in den anatolischen Sprachen nicht mehr in Geltung waren. Das historische mïti- mit kurzem Auslauts-i ist also sehr wahrscheinlich und sein -i-verhalf dem Worte notwendig zu seiner i-Flexion. Im allgemeinen mußte also bei den Farbadjektiven zu einem Schwanken in der Flexion kommen: im Mask, und Ntr. mußte die alte a-Flexion noch weiter bestehen, das Fem. hatte aber neben ererbtem normalen a-Stamm, der ebenso wie oben der i-Stamm seinen Auslaut verkürzen mußte, also mit inask.-neutr. a-Stamm zusammenfallen mußte, die Bildung auf -t- = histor. -i- mit in die historische Zeit hinein geschleppt. Daß sich diese recht unangenehme und vom hethitischen Formensystem sonst kaum geduldete Doppelheit so lange halten konnte, kann man mittels eines Umstandes erklären, der in der relativen Häufigkeit der Verbindungen eines beliebigen Adjektivs mit den Substantiven besteht: ein Wort, das als Beiwort der Substantiva feminin. Geschlechts mit Vorliebe gebraucht wird, wird die formellen Eigentümlichkeiten, die in solchen Verbindungen einmal geschaffen wurden, auch nach dem Aussterben des weiblichen Geschlechts als einer besonderen grammatischen Kategorie1 haben behalten können. Nun ist unser Wort, wie man aus den Texten ersehen kann, ganz häufig mit dem Worte S1G »Wolle« in Verbindung getreten; hinter diesem Ideogramm steckt aber ein hethitisches, aus der Ursprache ererbtes uraltes Wort, das in der historischen Zeit zwar hulana- lautete und gen. comm. war, wie man aus Friedrich, Heth. fVb. 743 ersehen kann, das aber recht wahrscheinlich ursprünglich Femininum war, da es zu lat. lana aus *ulänä 1 Zu diesem Vorgang s. Pedersen, Hittitisch 19 und Anin. 1 und zu den noch immer klaren Überresten der einstigen Feminina ebd. 20, 35 f. und 58; auch S. 60. 2 Friedrich, а. а. O. führt auch lu w. S1G-laniš an, was aber für die An-setzung der heth. Form eigentlich ohne Bedeutung ist, da das Wort im luwisehen Sprachgebrauch sekundär zu den /-Stämmen übergehen konnte, denn diese sind hn Luwisehen eine der produktivsten Stammkategorien, s. Otten, Zur gramm. und lex. Bestimmung des Lud. 34 mit der Anm. 32; auch Rosenkranz, Beitr. ■/.. Erforsch, des Lud. 39 f.. wo in Augen fallen muß, daß die (-Deklination gegenüber anderen Klassen außerordentlich stark vertreten ist; ferner Kammenhuber, О LZ 1955, Sp. 372 ued Verf., Slao. reoija VIII, Linguistic а 63. i n gui s ti с a und deutsch. Wolle, slav. vina gehört, also lauter fem. Bildungen entspricht und wohl auch selbst eine solche in den vorhistorischen Sprachstufen gewesen war, mithin aln besten aus einer Urform *Hulänä oder sogar *Hul-nä mit langem sonantischen -/- erklärt wird. Ein Farbwort, das zu diesem Femininum gehörte und mit ihm recht häufig verbunden war, konnte seine t-Form ohne Schwierigkeiten behalten. Aus dem lateinischen Wortmaterial kann man eine ganz gleiche Bildung, die aber bisher nicht erkannt wurde, anführen: es ist viridis »grün«; wie notorisch, geht dies Wort auf vireö zurück, ist also mit den Adjektiven nitidus : niteö, Candidus : candeö einmal bildungsgleich gewesen; wenn man aber hier ganz unerwartet auf ein -idi- stößt, so hat dies seinen Grund in der Tatsache, daß viridis gewöhnlich mit solchen Substantiven verbunden wurde, die Feminina waren, vgl. planta, frond-, vir ga, herba usw. In diesen relativ häufigsten Verbindungen konnte die oben erörtete Femininbildung auf -Г- Eintritt finden, und diese wurde dann in einer späteren Periode, wo auch schon die u-Stämme der Adjek-tiva durch *-u-ï-Feminina3 ersetzt wurden, zur allgemeinen Geltung erhoben. Das hethitische mita-, miti- wird also ursprünglich ein adjektivischer a-Stainm sein, mithin mit dem aus den slavischen Verhältnissen erschlossenen *medo- identisch sein. Ich muß jeden Gedanken an Verwandschaft zwischen slavischem substantivischen i-Stamm mëdï- und dem heth. miti- abweisen: die Funktion s Verschiedenheit selbst ist ein genügender Grund zu dieser Standnahme.4 Der dritte Verwandte in dieser Reihe ist aus dem germanischen Sprachschatz zu holen: es ist mild, mëde, mnl. mêde, ndl. mee, auch in Komposition meekrap usw. »Krapp«. Dies Wort bezeichnet die Wurzel der Farbpflanze Rubia, in Europa gewöhnlich der Art Rubia tinetorum L. »Färberröte«; diese Wurzeln haben gute Farbstoffe geliefert, insbesondere rot und gelb; so hat die Pflanze auch schon im Altertum seinen Namen von dieser Eigenschaft erhalten: griecli. /pu#p<>(Jaror,lat. rubia usw. Kein Wunder also, wenn man das germanische Wort ebenfalls aus einer alten Bezeichnung der roten Farbe herleiten will. Bisher waren aber diese Versuche nicht gerade glücklich: man hält es für verwandt mit der Sippe von slav. modrv »blau« und ahd. matara »Färberröte«, ags. 3 Zu diesen s. Pedersen, Ilitt. 35 f.: parkui- >r«iiu, rfankiü- »diuinkel« sind bikhingsgleich mit lat. suâoi-s usw.; die f-Stämme sind also in beiden Sprachen zu ï-Stâmmen geworden. H о jail Čop : SI a D. *m ë d ь maedere ds. usw., s. zuletzt Pokorny, Idg. EW 747. Es ist aber gegen diesen Vergleich von mehreren Seiten mit recht hervorgehoben worden, daß das niederdeutsche -ë-, frics. -ï- schwer mit einer solchen Wurzel, die durch die genannten modro- und matara usw. gefordert wird, vereinigt werden; schon Fick-Falk-Torp, Vgl. Wb. III4 306, nach ihm aber auch Franck-v.Wijk, EW d.nederl. T aal2 418 u. a. haben gezeigt, daß die wahrscheinlichste Urform dieser Sippe *maidö sein sollte. Diese Urform geht aber ganz glatt auf uridg. *moidhä-, wobei zu bemerken ist, daß dies das zu erwartende Femininum eines Adjektivunis *rnoidho- ist. So kommen wir wieder zu unserer Ausganssippe zurück: das urslav. *mëdo- ist ebenfalls am besten aus einem *moidho- herleitbar, ist also sehr wohl mit der germanischen Form in allen Punkten identisch. So haben wir es mit einer neuen, slav.-germ. Farbenbezeichnung zu tun; man wird sie zu dem oben genanten Paare *blëdo- = ags. blat stellen dürfen und weiter fragen, ob auch diese zwei Gleichungen auf Entlehnung seitens einer der betreffenden Sprachen beruhen. Doch auch in diesem Falle — man wird es aber recht schwer bejahen, da die Unterlagen für die Entlehnung, d. h. gleichbedeutende adjektivisch funktionierende Urformen, sehr weit zurück in die vorgeschichtliche Zeit weisen und schon damals wohl auf verschiedene Gegenstände — einerseits Metall, andrerseits Pflanzengattung — angewandt wurden — wird man dieses Wort als urindogermanisch in Anspruch nehmen dürfen: denn außer dem germ, und slav. Worte gibt es noch das heth. mïta-, also ein Worl auf einem entlegenen Gebiete, das schon mindestens seit 2000 v. Chr. jede Verbindung mit den europäischen Indogermanen verloren hat.4 Dies heth. mita- ist mit der oben erschlossenen Urform *moidlio-kaum ohne Bedenken zu vereinen: denn es scheint, daß die uridg. Diphthonge oi (und ai) zu heth. e geworden sind, s. Kronasser, Vgl. Laut- u. Forment, d. Heth. 44, § 38. Man muß also eine andere Urform ansetzen: entweder ein *mëidho- mit heth. Übergang von ëi über ë zu geschlossenem ë und weiter zu i; da aber auch dieser Lautrcgcl kein Glaube geschenkt werden kann, muß man nach der letzten Möglichkeit greifen und uridg. *mïdho- ansetzen.® Dadurch ist einerseits unsere Gruppe der 1 Jede Übereinstimmung des Heth i tischen mit den europäischen indogermanischen Sprachen stammt also aus der Zeit vor 2000, ist also unmittelbarer Zeuge des uridg. Alters. r' Uridg. i muß wegen -d- angesetzt werden; darüber in anderem Zusammenhang. L in gui s tic и viel versprechenden Einheit verlustig geworden, andrerseits kann man aber auf Grund des Ablautverhältnisses -Ï- : Diphthong auf einen schweren. Vokalismus der ersten Silbe schließen: vollstufig *mëidh-, reduktionsstufig *midh-. Für die slav.-germ. Urform kann auch an -öi- gedacht werden." Weitere unmittelbare Verwandte gibt es nicht. Wohl kann man aber die Basis *mëidh-, *mïdh- weiter analysieren: so hat Belardi, Rio. St. Or. 25, 32 heth. mita- miti- allein von der Wurzel *mei- »luccicare« in aind. тесака- »blu cupo, nerastro« abgeleitet, was das Richtige treffen kann; vgl. weiter die Sippen *mei-gh-, *rnei-k- »flimmern, blinzeln« bei Рокоту, Idg.EW 712, *mei-s- »flimmern, blinzeln, dunkel«, ebda. 714. In Verbindung mit dieser Analyse kann man weiter die Frage stellen, ob in unserem Worte mit einem uridg. Farbensuffixe *-dho- gerechnet werden kann; daß es -dh- und nicht -t-, wie Belardi a.a.O. angenommen hatte, gewesen ist, wird durch die einfache Schreibung des intervokalen -t- im Hethitischen wie aus germ, und slav. -d- zur Genüge erwiesen. Andrerseits sind positive Stützen für die Annahme des uridg. Suffixes *-dho- kaum vorhanden: s. Brugmann, Grdr. II 1, 471 f. und Leumann-Hof mann, Lut. Gr.5 225 f. Das lat. -idus kann zwar als idg. *-x-dho- erklärt werden, sicher steht dies aber nur für nüdus — = got. naqad- und hier kann man an e. einstige Konipositionsform denken; so ist es am besten, in unserem Falle -dh- als Wurzeldeterminativ zu nehmen und es dem -dh- der allgemein idg. Wortsippe *reu-dh- »rot« gleichzustellen; Bedeutungsgleichheit und Suffixgleichheit sind die besten Zeugen dafür, daß diese zwei Wortgruppen in engen Beziehungen zeinander gestanden waren. l'oozetek Sloo. *mèdь »baker. ruda. med « Slov. *médh gre kot prvotni i-jevski abstraktni samostalnik na primarno pridevniški *mčdo- »rdeč«; k pomenu prim, ruda: rudi, rdeč . *mèdo- je iz ievr. *möidho- in identično z germ. *maiöö-, fem. (*möidhä »rdeča«), kar je ime rastline Rubia tinetorum t... znane po tem, da njena korenina služi /a izdelavo rdočila: za -ai- v pragerm. *maiôô govori stalni ë v dnem. më de in nizoz. mee-krap. K *môidho-s gre hetit. pridevnik mita-, miti- »rdeč«: ievr. bi bilo *midho-. fem. *mîdh-ï. " Slav. Intonation spricht wohl für diese Annahme.