AJSTNO II. Capodistria, addì 9 Novembre 1875 N. 3 Soldi IO al numero. L'arretrato soldi 5SO L'Associazione è anticipata: annua o semestrale • Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 75 — 25 settem. 76 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia L'UNIONE CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore L'integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 9 Novembre 1778 — Muore a Roma l'incisore Giambattista l'i ram* i — (V. Illustrazione). I novi pesi e le nove misure Semo alla visilia del zorno che bisogua-rà buttar da parte i pesi e misure vece e meter a man i pesi e le misure nove. Ancora el 23 de lugio de l'anno 1871 xe stada publicada dal governo la lege che col primo de geuaro del 1876 andarà in uso i pesi e le misure nove. Da quela volta fin a oggi se gaveva tempo de avezarse, e col primo de l'anno no se scherza-rà miga perchè la comission sarà in tei so bon diritto de portar via tutto quel che la tro-varà de vecio, e per queli che vorà ciorsela in ipanega ghe sarà le so brave multe, e al bisogno anca la preson. Se no se avezemo a tempo sarà dano nostro, e no solo gavaremo pericolo de vegnir imbrogiai ma no savaremo far nissun conto, e se trovaremo intrigai più che i pulisi ne la stopa. No se dovaresimo scordar el tibidoi che xe nato nel 1859 nel cambiamento de la moueda, e la stessa storia nas-sarà anca adesso, perchè el governo no scherzala, e come l'ha fato sparir alora i carantaui el farà spai ir sta volta i pesi e le misure vece. Dunque alla carlona via cerchemo fra nu de intenderse su sta novità. Prima de tutto no bisogna farse el diavolo più grando de quel chel xe, e convinserse che con uu po de pazienza se ghe veguarà fora che sarà una mara vegia, e quando saremo avezai trovaremo el nostro drito assai megio da desso. Incominciaremo col peso, confrontando el vecio coi novo e facendo qualche calcolo pratico per i piccoli bisogni delle famege e dei piccoli mercanti. Fin adesso el funto, come tuti sa. vegniva diviso in 12 onze o 32 loti; el mezo funto gaveva 6 onze o 16 loti; el quarto 3 onze o 8 loti; el mezo quarto l'onza e 1/2 o 4 lotti. El novo peso, che se conosarà col nome de chi' logramo e che in breviatura se ciamarà chilo el vien diviso in cento parte e la centesima parte se ciamarà decagrama opur deca. Ghe sarà el 122 chilo ossia 50 deche ; el quinto o 20 deche, el decimo (megio ancora, come se dise a Venezia, 1 ' Eto) o 10 deche, el ventesimo APPENDICE. DOLLY GEERTS racconto di Xavier K y in u Traduzione dal francese di luigia g. p. Appena egli fu uscito, William e Dolly si gettarono nelle braccia della signora Ben-ton, la quale fra i singulti uon poteva articolare che queste sole parole : — Povere creature! povere creature! — Signora, disse Dolly rivolgendosi alla Benton, fatemi condurre a casa mia, ve ne prego. VII Otto o dieci giorni dopo questa scena, circolavano a New-York alcune voci sinistre sul conto della casa Benton. Si parlava di fallimen- 0 5 deche el eiuquantesimo o 2, per finir come gavemo dito de sora col decagrama che xe la centesima parte. Anca questa centesima parte, per comprar le robe più minue e care, le se dividi in diese parte, e ogniduua de queste se ciamarà gramo, in maniera che questa decima parte del decagrama sarà la milesima del chilo. Adesso che savemo come vien diviso questo uovo peso passaremo ai confronti. El mezo loto, che xe la frazion più piccola che se adopera per i bisogni ordinari, xe egual a 9 grami, dunque chi comprava fin adesso 1/2 loto de pever, col primo de genaro el ghe ne domandarà 9 grami ; invece de un loto una deca e sette grami e mezzo; per do loti tre deche e cinque grami; per quattro loti sette deche: dunque el 1/2 quarto vecio fa 7 deche, el 1/4 14, el 1/2 funto 28, i 3/4 42, el funto 56 deche. Te-guiudose a mente sto confronto uo xe pericolo de vegnir imbrogiai uè de imbrogiar, perchè chi compra aucuò 1/4 de funto de risi, de carne, de zucaro, etezetera, domandarà dopo el primo de l'anno 14 deche e el pagarà come per el 1/4 vecio, e così avanti fin alle ÒG deche che fa el funto. Xe facile drio de questo a far i conti anca per de più, perchè chi comprava 1 funto e 1/2 de roba domandarà 56 e 28 che sou 84 deche; e chi comprava 1 3/4, domandarà 98 deche che fa quasi un chilo, per i 2 funti, che fa 112 deche, bisognai à domandar 1 chilo e 12 deche.. A qualchedun tuta sta roba ghe comin-siarà a far za confusion de testa; ma se el vorà meterse in calma, senio sicuri che el ghe deve vignir fora presto. Iusoma el più importante xe de teguirse a memoria che el funto vecio xe egual a 56 centesime parte del funto novo, cioè a 56 deche. Per comprar col novo peso un funto de carne che costa soldi 32, 28 o 26, andarò in beccaria e ghe domandarò 56 deche, sbor-saudoghe senza bisogno de domandar gnente 1 so bravi 32, 28 o 26 soldi secondo la qualità. Cussi farò colla farina, col pan, coi risi, ti numerosi e considerevoli al Messico, al Brasile, a Liverpool, dai quali anche il siguor Benton ne poteva essere colpito. Il suo credito s'incomiuciava ad oscurare. — Questa sera, di» èva egli a William, lo Steamer arriveià da Liverpool annunzia-doci o la rovina o la salvezza nostra. Diffatti lo Steamer giunse e per tutta la piazza di New-York si sparse la notizia del fallimento d'una delle primarie case di Liverpool. Questo sinistro era lo scioglimento del dramma che tanto paventava il signor Benton. Il sogno crudele di Dolly si realizzava! Rimaneva ancora la speranza di salvare alcuni avanzi di questo naufragio, per la qual cosa William fu costretto e risoluto d'intraprendere un viaggio a Liverpool. Il giorno seguente alla scena più sopra descritta, Dolly non si fece più vedere nella famiglia Benton e nemmeno volle ricevere William in compagnia della madre e delle sorelle. Ma allorquando la rovina del siguor col zucaro, col caffè, e con tuto el resto. — Questo podarà bastar per i principii tanto de no confondesse e no vegnir gabai da qualchedun che starà sulla trinca; ma sarà pur necessario imparar a conoscer con una certa facilità la riduzion de qualunque peso de vecio iu novo, e anca del so rispettivo prezzo. E per far questo in do e do quattro, volemo d&rve la ciave. Come gavemo visto più indi io la deca xe più picola del loto, e senza perderse ne le frazion tanto minue, vemo visto che el loto de confronto alla deca sta come el numero 7 al numero 4, perchè 7 deche fa 4 loti. Metemo, per esempio, che gavessimo de comprar in deche 24 loti do roba; bisognarà divider i 24 loti per 4, che no darà 6, e moltiplicar sti 6 per 7, che ta 42; domanderemo dunque 42 deche; e così avendo de comprar un funto, che xe 32 loti, dividemo el 32 per 4 e gaveremo 8, uioltiplichemo sto 8 per 7 e ne saltarà fora 56 deche, che come vemo mostrà prima xe el funto giusto. Per affari più grandi, dove se tratta de più funti, bastarà servirse de una semplice operazion de moltiplica, e precisamente se moltiplicarà el numero dei funti per el numero 56. (Continua) C—l. IGIENE (Cont. V. dal N. 13, dell'anno 1 in poi) Anche pegli animali terrestri è 1' acqua un elemento non solo importante ma sibbene assolutamente necessario. Se volete nutrirvi abbisognate dell' acqua, con questa ottenete il brodo di carne, con essa cuocote i legumi, gli erbaggi e in generale tutto ciò che v' occorre per cibo. È vero che potreste mangiare carne arrosta o anche cruda, che potreste cibarvi di frutta; ma nella carne e nelle frutta entra 1' acqua, e se non vi entrasse si ridurrebbero ad un corpo secco, ad un composto di fibre durissime immasticabili e indigeribili. Peraltro se anche riusciste a cibarvi bene Benton fu dichiarata in tutta New-York, Ir prima che si presentò in quella casa sventurata fu Dolly. La sua apparizione portò balsamo soave a quei poveri cuori angosciati. — Io parto, cara Dolly, le disse William. L' esito dei miei tentativi io non lo posso ancora sapere; ma i motivi che contrariarono sino ad ora il nostro matrimonio noi devono più esistere agli occhi di mio padre. Dolly, promettete d'aspettarmi? — Voi mi chiedete una promessa inutile, William. Partite; il vostro ritorno sia o non sia causa di lieta fortuna alla vostra famiglia, i motivi che si opponevano alla nostra unione esistano o non esistano più, di venga io o no vostra moglie, William, i» v' amerò sempre. Egli partì. Il colpo fatale piombati sul capo del signor Benton era troppo grav» per un vecchio la cui salute era già rovinata. Vi sono dei ricchi che nou sanno adattarsi alla povertà e così avvenne di lui. Duo gioì o male senz'anche, l'avreste sempre dentro di voi. L'acqua entra come elemento nella composizione del sangue, il nostro cuore sta rinchiuso in una specie di borsa entro la quale c'è 1'acqua. Se l'acqua non rammolisse la pasta alimentare, che late andar giù dalla gola, i succhi dello stomaco non potrebbero compenetrarla nè ridurla tale da poter passare dallo stomaco oltre al piloro negl' iute-stini ; se il fegato ed in generale i visceri digestivi nou venissero umefatti continuamente da un'atmosfera acquosa, non avreste segie-gazione di fiele e di succo pancreatico, non avreste il fluido latteo che s'appella chilo, nelle vostre budella scorrerebbe una materia compatta, ed i poveri canaletti del mesenterio avrebbero un bel che succhiare per cavare da quella dura pasta una qualche gocciolina di succo nutritivo da trasmettersi al sangue. E se non fallo, mi par d' avervi persuasi della grandissima importanza che ha 1' acqua. Passeremo ora al vero argomento di cui ini sono proposto d'intrattenervi con queste mie chiacchere, cioè agli effetti meravigliosi dell'acqua considerata come medicina. La medicina suppone una malattia; che cosa è dunque una malattia? Quando nell'economia della nostra vita organica entrano certe relazioni anormali che potrebbero produrre la dissoluzione delle forze organiche, allora siamo in una condizione che sta fra la vita nella sua pieuezza e la morte, e questa condizione del nostro individuo animale la chiamiamo malattia. Il numero delle malattie confina coli' infinito, ma ve ne ha una contro la quale nulla giova e nè anche 1' acqua : questa la portiamo coii noi nel nascere e diventa sempre più seria fino a che ci manda sotterra. Voi tutti l'avete, lettori miei, questa malattia e v'auguro di cuore che la vi duri un gran pezzo e non abbiate a morire d'altra malattia che di questa, cioè di vecchiaja. Per tutte le altre malattie possiamo trovare rimedio in qualcho medicina, e il compito della medicina che prendiamo dev' esser [uello di togliere le cause che produssero lo squilibrio e la disorganazione delle nostre forze, senza impedire che la benigna madre natura provveda allo ristabilimento della nostra salute. L'acqua è nata fatta per sciogliere questo compito purché la si usi a temilo, cioè fino a che 1' organismo animale nou è di troppo dissestato. Vedremo le virtù medicinali di questo famoso liquido. (Continua) G. F.—A. IL FICHE QUIETO Riproduciamo dal Dizionario Corografico dell'Italia del prof. Amato Amati (Milano D.r Vallardi) il seguente articolo del cav. Luciani, che, mentre riesce nuovo ai lettori dell' Unione, reca complemento alle Notizie .storiche di Montona compilate dal D.r Kandler ed edito per cura di quel Municipio (Trieste Tip. d?l Lloyd austro-ungarico 1875) per la circostanza che in quella città raccoglievasi ni dopo la partenza di William, il signor Benton morì in seguito ad un attacco cerebrale. La miseria, che la presenza d'uomo può alcun poco impedire, si fece, allora larga strada ed aggravò quell'infelice famiglia. Quale resistenza potevano opporle una donna già avanzata negli anni e due giovani educate nel lusso?.... Ma Dolly era là. Il suo lavoro bastava press'a poco alla esistenza di quattro persone. E quella piccola camera ch'ella sognava come porto di salvezza a quella famiglia di naufraghi, divenne un pietoso santuario in cui la sommissione figliale ed il lavoro completavano un quadro il più nobile e commovente che si possa i-deare. A capo di sei mesi William ritornò. Regolati e finiti gli affari di suo padre egli vedeva innanzi a sè un profondo abisso. Lo scoglio di Susyphe gravitava sulle braccia e sulle spalle di lui! la montagna gli si presentava aspra, erta, formidabile. nel decorso settembre l'VITI Congresso agrario istriano : (Nengon). Fiume e porto nel Litorale Veneto-Istriano, provincia d'Istria. Il fiume ha origine nei distretti di Pinguente e Pisino. attraversa quello di Montona, e fa confine tra quelli di Pllrenzo e di Buje: il porto è allo sbocco del fiume, sull'Adriatico, tra Cittanova e Punta del Dente. Il Quieto, come fiume, non ha importanza assoluta, bensì relativa, perchè è il maggior fiume dell' Istria, e perchè corsero molte favole e molto si questionò- e lungamente intorno al suo nome e alla origine sua. Ne scrissero più o meno opportunamente molti autori greci, latini e dei tempi moderni: se ne occupò poi con un particolare interesse in sulla fine del secolo scorso il conte Giaurinaldo Carli, ed in quest'ultimi anni il Kandler, Gii ìtUdii dei due dotti Istriani inducono a concludere" the' 'gli antichi Celli (gaelici) lo dicessero Butte, cioè il fiume; che i Tracci grecanici, sopravvenuti 600 almi prima dell'era comune lo denominassero Istro, in memoria deli'antica patria abbandonata sul Ponto; elio i Romani, con voce parimenti grecanica lo appellassero Nengon (navigabile), perchè allora effettivamente il Callaie salso giungeva sotto Montoni), ed era navigabile per ben 37 chilometri fra terra, cioè fin sotto Pietrapelosa, porto e foro (mercato) dei Subocrini, e fin sotto Glandosella, porto e foro dei Secusses; che nell'alt» medio evo fu detto Laymae, perchè poco a poco interratosi, divenne più lama che fiume; che finalmente i Veneti 10 dissero Quieto per le quete acque del Porto, nel quale condotte le galere appena uscite dall' Arsenale, potevano a tutto loro agio metterle in assetto di guerra. Il fiume Quieto raccoglie per molti fili e molte sorgenti le acque degli ultimi scaglioni della Vena e del Maggiore che girano da Socerga a Rozzo, Colmo e Glandosella. Le sorgenti sue principali sono quattro: quella che diremo di Socerga e si noma Brazzana; quella di Rozzo, detta propriamente Quieto; quelli di Colmo, detta fiumera o fiume grande, e quella di Glandosella detta Bottenega; quasi Bottenilla, fiume piccolo. L'altezza di queste quattro scaturigini, distanti 1'una dall'altra, varia dai 58 ai 04 metri sopra il livello del mare. La Fiumera ed il Quieto si uniscono sotto Pinguente ; la Brazzana sotto Pietrapelosa; Bottenega sotto Montona. Fino a questo punto la pendenza dell'acqua sta come 1 a 600: da qui tutte quattro le correnti unite in una, 11 Quieto per eccellenza, scendono come 1 a 1000, che è a dire più quiete. A Pinguente il fiume sta sopra il livello del mare metri 46 ; tra Pietrapelosa e Sovi-gnaco, alle così dette Porte di ferro, sito di antichissima chiusa e fortificazione, sta metri 31 ; alla confluenza della Brazzana metri 22 ; sotto Montona metri J6; al l'orton dove passò con porto o traghetto di barche la strada consolare romana, come ora passa con ponte stabile la postale, metri 5. Ali« citate correnti sa no uniscono molte altre da destra e sinistra; precipue i torrenti di Portole, di Piemonte, MonWrriiio, Chervasso. La Bottenega, detta anche Baino di Zumasco, unisce in se i torrenti di Racizze, di Draguccio, di Grimalda, di Glandosella. Quest' ultimo, detto oggi volgarmente Mar-tiansca, si disse forse in latino vernacolo Martiaqua (aqua martia); a dir breve, il Quieto raccoglie quante sono le acque dell' Istria centrale, lasciate le orientali al torrente Borutto, al Bcgliuno ed all'Arsa, lo settentrionali al Dragogna e al Risano. La lunghezza totale del Quieto dalla Vena allo sbocco nel mare è di chilometri 40, la larghezza della sua valle da Montona in giù si tiene sui 1500 metri salvo che al Portone, ove per l'avanzarsi di due promontori s' restringe di molto. La sua direzione, da quando piglia corso unito è da greco a libeccio. Nelle grandi rotto di pioggia la valle s'allaga fin sotto Montona, e le torbide si spingono per motti chilometri, nell'alto Adriatico, all'incontro di quelle del Po. I monti principali che chiudono dai due lati la valle del Quieto e che gli versano le loro acque sono a destra il monte 8. Girolamo di Sdregna, alto metri — Moglie m a, diss'egli a Dolly, l'azione ch'io ho compito in quella sera che t'incontrai sulla mia via, mi è stata dal cielo largamente rimunerata; grazie, generosa creatura, per tutto quello che hai fatto per mia madre e per le mie sorelle. Io non so se il mio cuore troverà giammai bastante tenerezza ed affetto per ricompensare tanta devozione! Suvvia dunque, disse poi, volgendosi verso sua madre e le sue sorelle, io sono giovane, Dolly è coraggiosa e forte : partiamo per l'Ovest; l'avvenire è nostro ed il lavoro è la salvaguardia dell'onestà e l'inspiratore di magnanimi e nobili pensieri : Dolly ce ne diede la prova ed il suo esempio ci serva d'aiuto e di guida! Dolly fu la benedizione di questa famiglia. Il suo cuore come anche la sua saggezza raddolcirono questa lotta col lavoro e William Benton è divenuto, come si seppe dall' America, uno dei più ricchi proprietarj dell'Iowa. line | 471, il monte Carso di Portole metri 419; il San Giorgio di Piemonte, metri 381, e il monte di Grisi-gnana, metri 289; a sinistra il Subiente di Montona metri 350; il Pecovizza di Visinada metri 317; il Bai-cini di Visinada, metri 286 ; e il poggio di Torre, metri 103. Il Quieto e nelle prime sue branche e nel tronco suo principale dà moto a molti molini da grano e ad alcune gualchiere : alimenta barbj, marsioni, gamberi, anguille, e nella sua valle, presa in spnso largo dà piriti, gagote, fili d'acque acidulp, stillicidi, di petrolio, ed in maggior quantità allume, vitrioli, marmi e carboni, ed ha una sorgente termale, nota anche ai Romani, che la segnarono nella Tavola Teodosiana. All'epoca romana, specialmente in principio del secondo secolo, come osserva il Kandler, lungo cotesto canale c'era ben molta vita e movimento. Oltre i castelli di Portole, Montona e Pinguente, oltre Castagna, sito di tombe di coloni romani, oltre Aemonia (Cit-tanuova) colonia agraria romana, Graeciniana (Grisi-gnana) e Bosarium (Visinada), e Terrannova. c'era ì\o-vetium nel sito come pare di Castel S. 'Giorgio, con porto e lanterna, c'era Ningon con cambiatura di cavalli e stazioni di barche, e Nigrinianum, che nel 1170 figurava ancora come Plebania, e Metulinum, e forse altre castella delle quali è perduta o sepolta la traccia. Caduta Roma, ogni cosa fu in abbandono. Le acque trasportarono a valle la terra dei monti, e colla terra, semi, radici e tronchi di quercie e di olmi, e là dove prima veleggiavan le barche, in breve si impaludò, si inselvatichì, s'inselvò. E buono ancora che siasi inselvato, chè la selva fu per più secoli una vera ricchezza e per le popolazioni circostanti, e per la repubblica, la quale dal bosco di Montona trasse abbondante ed ottimo materiale specialmente per le costruzioni navali. Se non che più tardi abbandonate ancora o mal governate le acque stesse incominciarono a distruggere l'opera propria, soffocando colla troppa terra le quercie e ingombrando il porto già rinomato. La repubblica aveva preveduto fin dal secolo XVII il pericolo ed il danno; chè nel 1631 e nel 1663 aveva accolto progetti per rendere nuovamente navigabile il fiume fin sotto Pinguente ; ma non ne fece poi nulla, forse perchè volle far troppo. Così fu poi in pr ncipio di questo secolo. Adesso un consorzio privato si propone di guadagnare all'agricoltura una parte almeno dei troppi terreni invasi da acque quasi stagnanti, ed è a sperarsi che non mancherà la lena al compito più modesto e più pratico. Il porto Quieto poi è, come si disse, alla foce del fiume, sull'Adriatico, fra Cittanova e la Punta del Dente. Ha un'apertura di 1800 metri e s'interna per tre chilometri e mezzo in direzione di greco con una profondità di metri 22alla bocca. A misura che si restringe la superficie, anche la profondità degrada, così che a mezzo porto è di inetri 12, e in/ondo presso la foce del fiume si riduce a un metro. È ben riparato dai venti, ha tenitore abbastanza buono, ed ha il vantaggio di una ricca fontana d'acqua duice. In questo porto, giova ripeterlo, si dava assetto di gner a alle venete galere che, accogliendo nel loro seno di molti Istriani, partirono assai volte per l'Oriente colla sicurezza della vittoria. In esso nel 1798 vi fece lunga stazione una squadra portoghese, e nel 1800 dovette sostarvi Pio VII nel suo viaggio da Venezia ail Ancona. E al giorno d'oggi ancora, sebbene guastato e ristretto per le gran melme del fiume, è ottimo porto di poggiata alle barche che vanno e vengono per il Golfo non solo, ma vi si fanno anche di molte e importanti operazioni commerciali, specialmente in legname. L' uccellagione (Bozzetti) Vienna 28 Ottobre Mentre la vaporiera col suo uniforme tic tac mi trasportava celeremeute sbuffando e fischiando in queste regioni, la mia fantasia ribelle con ali più rapide prendeva la via proverbiale del crostaceo retrogrado (passatemi la metafora) e ritornava fra voi all'ombra del patrio campanile. Tentennando il capo per le scosse e sbalzi del convoglio, in un atteggiamento ed abbigliamento per nulla poetici, mi pasceva delle più poetiche visioni. Rivedeva anco una volta il terso azzurro del mare, la campagna dell'autunno brulla brulla, il glauco degli oliveti, i pampini rossi e giallicci; e rammentava i giorni che furono. Lo spettacolo della vegetazione morente destava anche nella mia mente, che non sortì vena poetica, sentimenti i più dolci di melanconia e per pochi minuti... non ridete veh !, mi sentiva trasportato nelle nuvole. D'idea in idea, di visione in visione, di ricordo in ricordo, causa quella benedetta regola della successione d'idee, mi trovai d'un tratto fra boschetti, macchie, paniuzze, vergelli, panioni, vischio, reti e gabbie: — il tic tac della macchina mi sembra il canto cadenzato dei quagliotti, uel rauco suon della tartarea tromba emesso dal conduttore sento cinguettio simulato del fischietto, mi par di vedere la civetta immobile sulla sua gruccia fissarmi cogli occhioni verdi ed incantati. Non resistetti, lettori miei, all'attrattiva di fare, come .vi suol dire, una strada e due servigi, ricordare cioè a me ed a voi i bei tempi in cui ci permettevamo la crudele voluttà di Nerone facendo strage dei più vaghi, più vispi e più cari esseri che siensi rifuggiati nell'Arca di Noè. Detto e fatto: contai non indarno sulla cortese ospitalità dell' Unione ed eccomi qui, benché da luogo poco propizio, colle mie visioni, coi miei ricordi e colla piccola dose di e-sperienza acquistata nel campo cruento dell'uccellagione. Ma.......c'è anche qui il solito ma, la barriera insormontabile, il bastone che si caccia fra le ruote di ogni carro, l' ostacolo che cerca frapporsi all'esecuzione del mio piano. Mi occorrerebbe cioè la penna pittrice e la tavolozza fiorita dell'autore della Spagna e dell' Olanda,Mi quel simpatico scrittore che è il De Amicis! Purtroppo mi è forza rincacciare in gola il mio ardito desiderio e farne senza dal momento che certe - cose sono gelose privative de' fortunati, nè si danno a prestito. Mi par di sentir alcuno esclamare ironicamente: "Adoperate la penna d' . . . . oca! „ — Dio me ne scampi! il cric cric di quelle penne ha urtato sempre i miei nervi sensibili, e più d'una volta fuggii di casa per non sentir scrivere con esse un mio amico che scarabocchiava delle notte musicali più o meno verdiane. Le oche stesse benché candide ed inoque mi souo oltremodo uggiose. E dirvi che ogni giorno mi tocca sentire il loro grido fastidioso e vederle (nell'atraversare il parco di città) in riva al laghetto artificiale dimenare il loro corpo invero poco gentile. Esse stesse sono causa della propria deformità: destinate all'acqua invadono il campo riservato ai quadrupedi ed ai bipedi. È la vecchia storia di Apelle e del ciabattino, e si riproduce ogni volta che alcuno oltrepassa la sua sfera. Eppure, ritorno alle oche, furono esse che salvarono il Campidoglio e che fornirono ai nostri nonni il mezzo di tramandarci le creazioni de'loro ingegni! lufelici bestiole: da Manlio a Guttemberg che vi fece famosa concorrenza vi dovreste pur aver meritata la stima dell'uomo! Vedi invece ingratitudine! — Colui trovò iu voi simbolo di scherno e dileggio; e per tutti questi esseri, che si chiamano ragionevoli, informò l'ame/io Pasquino che crea cavalieri del vostro nome. Lasciando le oche, e domandandovi venia di questa digressione filosofica, ritorno sulla mia strada. Non adoprerò dunque la penna dei nostri avi fm>ri d'uso nel nostro secolo del progresso, e vi giuro che scriverò con una penna di metallo, uè vi posso assicurare se sarà d'oro, d'argento o di rame. A dirverla in confidenza il colore di quella che uso presentemente è rosso ed il rosso che io e voi sappiate non è proprio ai due metalli nobili. Tuttavia sotto le spoglie dei nostri capicomici di provincia mi rivolgo a voi "colla lusinga di un begni-gno compatimento,, se il color rosso avesse da perseguitarmi. Accettateli come souo questi miei scarabocchi, non v'infastidisca il Continua che troverete a pie d'ogni squarcio. Imitate Giobbe, lettori, nella sua virtù proverbiale ed almeno leggeteli. A voi poi, occhi elettrizzanti del sesso... gentile faccio caldo appello perchè siate benigni verso di me. I puntini (coufessandovelo ingenuamente, voi lettrici me lo perdonerete del pari?) che vedete prima dell'aggettivo lusinghiero che vi siete guadagnato, gli ho messi perchè era in forse se dovessi scriver debole. Le mie idee, non vanno a cappello con quelle dell' egregia signora Clementina N: mi direte che porto la parrucca incipriata ed i calzoni corti del secolo scorso, ma in fatto di diritti virili non cedo palmo e vedo di mal'occhio le donne entrare nel nostro campo come fanno in A-merica ed in Inghilterra dove salgono cattedre e diventano dottoresse. In questo rapporto sto dalla parte dei vecchi e dirò che il mondo minaccia di andare a rovescio...... Toh! adesso m'accorgo: origine de'bozzetti , oche e penne mi allungarono più del bisogno l'introduzione, e non posso cominciare, come voleva le mie escursioni in ispirito. Per oggi vi basti questa cicalata, poiché nel prossimo numero, se vi aggradirà, mi terrete buona compagnia all'uccellagione di quelle care e timide bestioline che conoscete col nome di quaglie. (Continua) E. L. SCENE Da giovane studioso ci furono inviate queste tre scene; e premettendo egli che tituba per la continuazione, ci fa l'onore di chiedere il nostro parere. Rispondiamo col pubblicarle, nella speranza di impegnarlo così a terminare la commedia. L' azione ha luogo a Trieste. Comincia destramente il giovane autore col dialogo tra Giorgietti e Lorenzo, il quale, venuto per fare un' ambasciata da parte del suo padrone (Saverio Bonciani), s'intrattiene coli' innamorata e dimentica ogni cosa; diciamo "destramente», poiché per alcuni istanti, in ispecie nei teatri grandi, alzata la tela, il pubblico non presta ancora la necessaria attenzione: chi si acconcia, chi entra, chi termina il discorso incominciato ecc., quindi la prima scena è tessuta in modo che per quanto disattento sia ancora il pubblico, certo non gli può sfuggire la relazione amorosa che esiste tra i due giovani, circostanza questa che se anche non riapparisse più nel corso della commedia, e per conseguenza fosse ignorata dallo spettatore tardivo, non gli incepperebbe per nulla la comprensione (Ielle scene successive. Costretta poi Giorgietia ad assentarsi, rimane Lorenzo solo pochi istanti : iu seguito rientra il padrone di casa (Raimondo Tranquilli possidente) discutendo col suo amico l'avvocato Ulpiauo Sassetti. SCENA PKIMA Salotto in casa Tranquilli. In fondo la comune. A sinistra del pubblico porta che mette nell'appartamento ; a destra quella della cucina. Giorgetta, e Lorenzo (in livrea). Giur. Vìa, stia bollino. Io sono una cameriera ammodo. e certi discorsi le mie pure orecchie nou li possono comportare. Lor. (Fa l'atto di abbracciarla). Ali, Giorgetta! Gior. (Schermendosi) Indegno! the cosa fate! Lor. (ritentando) Batto il ferro mentre è caldo... Gior. A voi (gli dà una guanciata). Eccovi il ferro ed il calore. Vi ho detto tante volte che con ine facciate conto di aver le, mani legate. Lor. (Colle munì salii guancia) Giorgìetta! Voi 11011 lo crollerete ... il mio amore per voi è sì intenso che ini riesce cosa dolcissima perfino il dolore che mi avete procurato. . . Vi chiedo perdono . . so che ho errato ... fui vittima di uno slancio di castissimo amore . . . (sono parole che ho inteso ieri sera al Filodrammatico; spero ehe la-ranno effetto). Gior. (Nel frattempo gli avrà voltate le spalle). Lor. Deh! pronunciate la bramata paiola ; essa sarà un balsamo pel mio cuore trafitto . . . parlate .. . attendo la mia sentenza (non mi ricordo altro). Gior. (Povero Lorenzo alla fin fine è un buon diavolaccio). Ebbene, la nostra magnailiinitàè tanto grande che... che... che dimentichiamo ogni cosa. Di ciò il nostro cancelliere stenda analogo atto. Lor. Ed il suggello da apporsi sul documento sia un bacione sopra questa crudele ma bellissima mano (le bacia la mano). Gior. (con vezzo). Ci metto peraltro una poscritta. Lor. Veramente per un documento la cosa non mi sembra troppo regolare . .. ma sorpassiamo . . . quale è il tenore di questa poscritta? Gior. Dice che qualora il sig. Lorenzo si dimenticasse di aver le mani legate, si ricorderebbe infallibilmente che questo spillone (che trarrà dal capo e col quale farà l'atto di pungergli le mani) ha la punta molto aguzza. Lor. Ma un briciolino di confidenza potreste pure accordarmi .. . non siamo promessi? Non vi ho giurato che sarò sempre il vostro Lorenzo fino alla consumazione dei secoli ? Gior. Quando saremo usciti d Lila chiesa di S. Maria Maggiore, allora si potrà scemare la rigida ri-serbatezza, che presentemente dobbiamo osservare. Lor. Allora poi, vivabacco, la confidenza me la prenderò a briciolo»i. (Fa un principio di tentativo per abbracciarla, ma poscia si ritrae). Gior. Eli? (con sdegno ; ma dopo raddolcita dal vedere che Lorenzo e indietreggiato) siete ben smemorato ! Lor. (fiutando) Uuum . . . quale soavissimo odore ! Gior. Uh poveretta me ! Colle vostre chiacchere mi dimenticava la colazione della padrona (corre via). SCENA SECONDA Lorenzo solo Lor. (che avrà guardato dietro a Giorgietta). Quanto è carina. È proprio una sorprendente eccezione alla regola . . . cameriera e severità per lo più concordano come il fuoco e l'acqua . . . posso dire davvero che ho battuto il naso in un tesoret-to . . oh ! come fu opportuna per me la malattia della signora Tranquilli. Questo autunno, appena che sarò licenziato definitivamente dal servizio militare, me la sposo ... ci vorrebbe che frattanto il mio padrone ricevesse una frecciata dal ricciuto bambino . . . allora una cameriera gli sarebbe necessaria . . . ma ha la pelle troppo dura, le frecce bì spuntano .. . ebbene, vuol dire che ritorneremo entrambi al nostro vecchio mestiere . . . metteremo su casa, ... Giorgetta crestaia ed, io sarto ... e poi ... e poi contribuiremo a mantenere popolato il nostro pianeta (tutto giulivo va per uscire). SCENA TERZA Detto, Raimondo e Ulpiano (entrano dando a conoscere che discutono). Hai. Scusami, caro avvocato, ma il tuo sistema di discutere è poco leale. Lor. (battendosi la fronte, dice tra sè:) Sono la gran bestia ; me ne andava senza aver fatto l'ambasciata. Rai. (scorgendo Lorenzo) Va pure, va pure, Lorenzo; I10 parlato testé col tuo padrone. Lor. In tale caso 11011 mi resta che inchinare le signorie loro. Signor Raimondo! Signor Avvocato! (s'inchina e parte). Vip. Fammi il piacere di dirmi come mai c'entra la lealtà quando si cerca di accampare argomenti e svolgere concetti in appoggio della propria asserzione? Rai. La lealtà c' entra benissimo, perchè tu 'sei del numero di quelli che slanciano improvvisamente una sentenza latina . . . come quella di poco fa . . . evocano Cicerone, Seneca, Platone e che so io ... ed il povero avversario, che di latino 11011 ne sa una sillaba, resta lì perplesso; in faccia alla montagna di sapienza si sente divenir piccino, piccino; si avvilisce, la sua mente si tramuta tosto in una sala da ballo, ove gli argomenti, di cui prima aveva intrav-veduto un lembo, ora danzano intrecciandosi confusamente; ed il sapientone, spesso solo in apparenza, rimane vincitore : 1' altro 11011 è persuaso ma è convinto. Ulp. Mi fai torto. Io poco fa ho citato un passo di Cicerone, perchè ini era sembrato opportunissimo per dare vigore al mio sillogismo che tu combattevi a oltranza ; (Fulvia suona il campanello: poco dopo Giorgetta attraversa la scena colla colazione) l'ho citato ingenuamente, senza fine mascherato. Alla tua . . . audace confutazione volli opporre le parole di un uomo, a cui il mondo tributa riverenza da oltre dieciotto secoli. Rai. Alla tua dichiarazione 11011 replico, ma voglio giustificare il mio sospetto. Io credetti che le tue citazioni fossero mezzi sleali di combattere perchè diceva tra ine: egli sa benissimo che io di latinorum ne conosco quanto egli di chi-nese, dunque perchè ricorrere sì di frequenti alla lingua da me ignorata? Ruminando, venne alla conclusione che francamente ti lio manifestata. Ulp. Vedi, iu me i motti, le sentenze, gli adagi della dotta lingua mi passarono nel sangue ... ho studiato all'epoca della latinomania . . . e già noi avvocati senza un po'di latino siamo come un soldato senza cartucce. Rai. Dunque, caro Sassetti, patti chiari e amicizia lunga. Articolo unico; le citazioni latine nelle nostre discussioni vengono abolite. Ulp. No, non è chiaro; bisogna continuare il periodo Cusì: e dovranno essere sempre volgarizzate. Rai. Bellone, benone. L* unica cosa in cui vado d'accordo con mio tìglio repubblicano è l'abolizione del latino nelle scuole. Ulp. Ma quanti anni ha tuo figlio? Rai. Quattordici. Ulp: A quattordici anni è già repubblicano ? Rai. Eh? questo si chiama progresso, mi pare! Ulp. Qualche giornale direbbe che è un segno dei tempi. Rai. Io per me dico che Vittorio nella sua testolina crede che colla repubblica vi sarebbero meno ore di scuola. Ulp. Ma come mai gli venne questo ghiribizzo? Rai. UI1111, e chi lo sa. Un giorno delle passate vacanze entrò iu casa che pareva ispiritato, e cominciò a gridare: Viva la repubblica! viva la repubblica ! e con queste grida si affacciò alla finestra, che abbiamo avuto un bel da l'are per chiuderla. Da, quel giorno è sempre rosso scarlatto. Figurati che dice di arrossire per suo cognato che mangia " 1' i. r. pagnotta „ . . . impreca contro le -sottanne nere,, contro -l'infame setta,. . . consiglia sua madre a fumare, a vestirsi da uomo . . . Hip. È insomma un estremo. Rai. Sai tu che medicina ho adoperato? Ulp. M'immagino, il collegio. Rai. Già. Sono quattro mesi che l'ho accompagnato a Treviso. Nelle prime lettere continuava l'apo- . stolato per aprirci gli occhi . . . adesso il vulcanello va chetandosi... ci parla d' Ile belle marce che fanno vestiti da soldatini, del teatro che preparano.... Illustrazione dell' anniversario Celebre incisore, nato a Venezia nel 1707. Nessuno del suo secolo lo superò nell' inventiva e nel pittoresco, quale riproduttore di architettura e di rovine non ebbe emuli. Sedici volumi, di misura atlantica, di 1733 tavole contengono i suoi lavori, in gran parte illustrazioni di Roma, dalla quale città egli li diffondeva in tutta Europa. Fu pure architetto pratice due delle sue opere, che non si può a meno di accennare, furono i ristauridi Santa Maria del Popolo