ANNO XXVII. Capodistria, 16 Agosto 1893. N. 16 LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il lß d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e qua-iriraestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la filiazione. Il Castel Leone di Capodistria (Continuazione vedi N.i 10, 11, 12, 13, 14) Segue nel primo anno del secolo (1401) altro ordine al podestà Giovanni Zorzi di riparare con la spesa di 150 lire i tetti delle quattro torricelle di Castel Leone nelle quali si conservano le munizioni d' armi e di altro. Nel disegno fatto a mano del castello dal sigmoide Zorzi non si vedono che due torrioni, ne pare che lo sviluppo della fabbrica ne richiedesse quattro. Il testo dio« poi -torricelle:.-saranno, state adunque opere minori ; a meno che non si voglia malignamente supporre avere i podestà per ragioni loro particolari ingarbugliato alquanto le carte ; e i Serenissimi così di lontano veduto le cose all'ingrosso. Certo è che se la larghezza del Senato nello spendere dimostra la grande cura si poneva nel tener ben guardata Capodistria e quindi tutta l'Istria da un colpo di mano dei Patriarchi e degli Ungheresi; dall' altra parte quelle continue riparazioni ; quel fare oggi per rifare domani c'induce a sospettare che ingegneri, maestri falegnami ecc. (vecchia piaga degli stati cotesta) tirassero un po' 1' acqua al loro mulino. I tempi grossi si avvicinano : il governo prepara le difese, e perciò addì 16 febbraio 1403 m. v. decreta — Trovandosi Capodistria in caso di guerra senza difese verso il mare, e dovendosi poi avere principal riguardo alle fortificazioni verso terra, veduto il rapporto inviato da quel podestà e capitano di Easpo ; si ordina al primo di convocare quei cittadini ed esporre loro : esser contento il Senato di contribuire con metà della spesa per la ferramenta ed il legname, e di mandare platas et navigia necessaria per la fortificazione della città; ma volere che prima di tutto il Castel Leone sia Articoli comunicati d'intere»« generale b! stampano gr». tuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — U» numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati ridotto a tal forza e grandezza in modo sia utile, buono e necessario. Castrum Leonis reducatur in illa fortitudine et magnitudine que sit u-tilis, bona et necessaria; e poi si alzi un forte sul luogo detto Musella, quod postea fiat unum fortilicium super loco Muselle. Se i detti cittadini aderiranno a pagare il residuo delle spese necessarie pel detto lavoro solvere residuum omnium eìppensarum pro dieto laborerio tunc in bona gyatia convengano quel podestà e capitano, il capitano di Raspo e il Capitano di Montona, e si lauderà maestra-Piziuus ad altri ingegneri per consigliare i detti rettori i quali delibereranno a maggioranza sui lavori da fare (Atti e Memorie. Volume V. Fascicolo 3 e 4 pag. 304). C' è da cascare dalle nuvole. Il forte Musella con tanta solennità decretato più volte nel 1348 (vedi Cesca — La sollevazione di Capodistria) era ancora dopo mezzo secolo in mente Dei. Quando però si pensi alle guerre disastrose con Genova, alle momentanee tristi condizioni di San Marco, tutto intento a difendersi in casa sua, il ritardo è giustificabile. Forse qualche cosa si fece dopo il 1348: saranno stati disegni, e al piii qualche lavoro nelle fondamenta : col presente decreto poi si* ordinava la sollecita erezione del forte stesso. E quanto al Castel Leone ecco la solita filza di decreti per riparare gorne, tetti, ponti ; cioè assegno di 60 ducati nel 1405 al Podestà Venier per riattare i ponti che da quella città mettono al castello. — 1407. Simile ad Antonio Michiel per 100 lire in riparazioni. — Item al podestà Pisani nel 1409 e a Nicolò Cappello nel 1411 con la spesa di 200 lire di piccoli per iscavare una fossa e alzare due rastelli e un ponte levatojo a mezzo miglio di distanza dal castello : all' ingresso nelle saline adunque a pie' del colle di San Catizianu. Segue decreto di spesa di 50 ducati per riparare le gorne nel 1411, e per iscavare di nuovo la fossa davanti al castello. (Op. cit. passim pag. 306, 309, 311, 312 e 313). Di molta importanza per la storia dell' Istria è il seguente decreto nei Senato Misti, che riferiamo intero. 1413 4 Luglio. — Risposta data ad istanze di alcuni cittadini di Capodistria venuti personalmente a Venezia: onde quella città non corra pericoli come in passato, si accorda che essa venga murata contribuendovi gli abitanti le pietre, la rena e la calce ; i legnami pei ponti ed i manovali ; il podestà e capitano ripartirà tali prestazioni (angariasi fra cittadini e rustici, et faciat nichilomi-nus facere alia publica consueta-, il dazio della muda che produce da 1500 a 2000 lire l'anno resterà devoluto alla erezione delle dette mura, e alla riparazione delle strade battute dai mussolati, del Castel Leone, dei ponti, del porto, della fontana ecc. Le mura saranno cominciate dalla parte di San Pietro, et sequendo murum inceptum et veniendo ab Arsenatu usque portam Busadrage et postea incipere debeat ab alia parte porte majoris pontis et venire usque portum Sancii Martini; fatti tali tratti si erigerà un castello in angulo Musele secondo sarà ordinato dalla Signoria ; da quest' ultimo luogo fino alla porta Busadraga non si faranno le mura se non dopo finito il castello; il podestà e i capitani terranno esatto conto di tutte le spese. Si restituisce a quel comune Consilium suum\ il podestà e capitano ne eleggerà i membri nel numero che stimerà conveniente; il consiglio nominerà offitiales suos per un anno, lo stipendio dei quali non eccederà le lire 450 l'anno a carico del comune (nostri comunis deinde); i quattro giudici che eleggerà quel consiglio sederanno presso il podestà e capitano, il quale nelle cause civili domanderà il loro consiglio, ma giudicherà da solo; le cause criminali spettano esclusivamente al detto podestà e capitano. Alla domanda che le grasce per uso della città possano essere portate colà per mare (come fa Piranó) quando strate clauduntur anche pei cattivi raccolti in partibus superioribus ; si risponde che ciò potrà essere accordato, quando lo chieggano nei singoli casi. {Atti e Memorie. Voi. VI, fascicolo 1° e 2° pag. 4). Da quanto si è letto emergono due fatti importanti; il primo il pessimo stato in cui si trovavano le mura della città, e secondo la piena amnistia pei fatti del 48, e il ristabilimento del patrio consiglio. Da questa epoca, memorabile per la storia della nostra città, Capodistria diventa veramente la figlia privilegiata e fedelissima di San Marco, e la capitale della provincia. Ma quanto al Castel Leone, al forte Musella, e al restauro delle mura, le cose vanno al passo della lumaca, e dal dire al fare c'è di mezzo il mare. E tutto ciò per le guerre col re d'Ungheria. Le lentezze nelle suddette opere appare dai frequenti decreti. 1424. 10 Aprile. — Essendosi formati degli interrimenti fra Castel Leone e la terra ferma dalla parte di ponente, considerata l'importanza di quel fortilizio si delibera: I rettori di Capodistria faranno che i proprietari delle 25 saline per ratam da-turam da essi rettori, senza profitto dello stato dal 1410 in poi, cioè Ila parte Semodelle, e 15 a parte Sermini, tolgano i detti interrimenti, portandone il materiale in mare, o dove vorranno, in modo che tutta la palude sia ridotta libera; ciò si farà al più presto sotto pena di lire 1000 ai rettori contrafacienti. Se poi altre persone, oltre i detti proprietari volessero accipere de dictis barinis pro comodo suo, potranno Mas accipere. Resterà vietato a chiunque di far saline nuove fra rLCastèl Leone e la terra ferma, sotto pena di lire 1000 ai rettori che ne dessero la licenza e di perdita delle saline ai proprietari; parimenti è annulata ogni simile concessione che fosse stata fatta, senza consenso della Signora, dopo la partenza di Alessandro Zorzi da quel reggimento (Op. cit. pag. 25). Certo è da lodarsi la premura del governo nell' opporsi all'estendersi del palude; ma pur troppo era questo il supplizio di Sisifo ; da una parte si scavava, e dall'altra nuova terra scendeva dai monti o portata dal Risano e dal Fiumicino ; una lotta insomma contro le forze naturali, per cui lungo tutta la costa, le isole e gli scogli furono uniti alla terra ferina. Da altri due decreti poi del 1431 e 1439 appare che a spese del comune si cominciarono a ricostituire le mura fra le porte di San Martino e di Buserdaga, sempre fermo 1' obbligo di erigere il castello progettato all' angolo Mussele ; opera rimasta poi nuovamente interrotta. (Op. cit. pag. 34 e 41). Seguono altri decreti di poca importanza con cui si concede nel 1444 licenza a Biagio Minio castellano di poter venire a Venezia; nel 1455 a Pietro Civran; a Nicolò da Mosto nel 1460 e a Paolo Orio nel 1464 e 1465. (Vedi Atti e Memorie Voi. VII. Fascicolo 3 e 4 passim — Senato Mare pag. 236.. 260, 262, 264 e 265). Ma non si può saltare a piè pari altro decreto — Senato Mare del 1452, pei nomi degli oratori capodistriani mandati in quell' anno a Venezia, e che è del seguente tenore. 1452 24 Aprile — Essendosi presentati alla Signoria Andreas de Gavardis, Rantulphus de Masuchis, Manferdinus de Petrogma et Sar-dius de Brattis, oratori della Comunità di Capodistria, pregando a voler loro concedere di nuovo il nostro dazio della Muda si stabilisce ecc . . . . Segue il solito latino interpolato, che, gettato in moneta spicciola, vuol dire: Poiché rimane ancor da fare una parte delle mura e della rocca, e la strada abbisogna di continua riparazione, siamo contenti che si ristabilisca il dazio della Muda, e sia impiegato nella fabbrica delle mura, e della rocca Mosella, e per tenere in buon ordine la strada della fontana e del porto, e restaurare il Castel Leone, col patto che col prodotto di detto dazio paghino il Camerlengo che lo riscuote . . . (Op. cit. pag. 254). Detti cognomi di famiglie illustri capodistriane si trovano di fatti nell' opuscolo — I Nobili di Capodistria e dell' Istria — di Gedeone Posteria. Andrea de Gavardo probabilmente è figlio di Ga-vardo Gavardo aggregato ai nobili del Consiglio dopo il decreto succitato del 1413. Rantolfo dei Muzzucchi di Guidone fu arruolato tra i nobili nel 1430; Sardio de Brati è pure probabilmente figlio di quel Almerigo Bratti di Giovanni, ascritto al consiglio nel 1423. Nessun indizio si trova in detto opuscolo di Manfredino de Petrogmo. 0 è cognome di famiglia subito spenta, o forse è un errore d' amanuense e si ha invece a leggere Pe-drusio o Petronio. (Continua) P. T. --:-t-—--- Di cose nostre in scritti stranieri I dialetti istriani (Die istrianischen mund-arten). | Del | dottor Antonio Ive. \ Vienna. \ A spese dell' autore. — Coi tipi del figlio di Carlo Gerold. \ 1893. In -S di pag. 42, caratteri latini. Ed ecco che, non ò ben finito di significarne uno, e mi capita sul tavolo quest' altro libro, che si occupa di noi, delle nostre care parlate. L'autore, veramente, non ci è straniero, tutt' altro : il dottor Ive da Rovigno, chi non lo conosce? chi di noi non à letto i suoi pregevoli lavori nel campo della letteratura popolare dell'Istria italica? Che se questa volta scrive in tedesco, lui avrà a così fare le sue belle e buone ragioni. Forse crede di potere così meglio diffondere 1' opera sua e, ad un tempo, la conoscenza del nostro paese fra i dotti d' oltralpe. Quantunque la lingua tedesca non sia ancora nè sia destinata, mi pare, a diventar sì presto lingua internazionale. Ma già gl' italiani, ai tempi che corrono, il tedesco se lo studiano bene anch' essi e bene lo intendono. E sia pur così. Ma il fatto è, fatto importante da vero, che il dottor Ive con questo suo lavoro à cominciato a ricolmare un baratro, eh' era dai dotti, e dietro a loro dai men dotti ancora, altamente lamentato : la mancanza, voglio dire, d' una grammatica completa e ordinata e d' un lessico dei parlari istriani, tut-t' altro che privi d'importanza sia come curiosità per se stessi sia come ausiliari a spiegare e ad illustrare gli accidenti vari e la varia fortuna a cui soggiacquero le parole sia delle altre regioni d'Italia sia delle altre terre sorelle, nelle quali si parla il romanzo. Il dottor Ive con questo libretto ci regala intanto il vocalismo di otto dei nostri dialetti : di quelli, ciò è, di Pirano, di Rovigno, di Valle, di Diguano, di Gallesano, di Fasana, di Sissano e di Pola, „di questi otto luoghi situati nell'Istria occidentale, compenetrati di elementi veneti e ladini", com' ei dice. Ossia, per chi intende meno di me, ei ci fa vedere i mutamenti, a cui nel corso dei secoli andarono soggette, nelle parole della lingua romana rustica, o sia pure della italiana o della veneta, in bocca alle popolazioni di quegli otto luoghi, le vocali toniche : d, é, i, ó, ù, du e atone : a, e, i, o, u, au, eu — fino a prendere i suoni che vi anno presentemente od ebbero fino a qualche tempo fa. E, perchè s'intenda ancor meglio, torrò fra i tanti anche un esempio. „Quale vero continuatore dell' e tonico italiano o veneto, scrive l'autore al n.o 11, specialmente quand' è in posizione, appare a Rovigno e a Gallesano senz'eccezione, a Fasana qua e là il dittongo ié: *vet(e)re, soltanto in nomi locali, a Rovigno (Dré'o) vièr, a Dignano (Lakunsel de) vièr (confronta il veneto viero, il friulano viéri in Ascoli, Archivio glottologico I 405 527, e il muggesano vidr, nome locale, in Cavalli, Archivio glottologico XII 328)".*) *) Avrebbe forse chiarita meglio la faccenda un altro esempio, quale sarebbe questo tolto al n.° 16: "frixòria, a Rovigno farsura, a Fasana fersura. a Dignano fresura, a Pirano, a Valle (sul mercato) ed a Pola fersora, a Valle (fuori del mercato) frisóra, a Sissano farsora (confronta il muggesano fresòra, il veneto antico frissura, l'antico padovano fersura, il calabrese fressùra, Dove que' segui, che si vedono di su di giù di qua di là per le lettere delle parole, ci stanno a significare appunto la loro varia pronuncia e non devono sorprendere i lettori profani : i dotti gl'in-tendono bene e questo libro è fatto più per i dotti che per gl' ignoranti, quali siamo noi, è un libro rigorosamente scientifico. Intanto dunque il dottor Ive, come dico, ci regala — in 51 numero — il vocalismo di questi otto dialetti. Ma promette ancora di fargli seguire col tempo il consonantismo e la morfologia, l'uno, come a dire per le consonanti quello eh' è il vocalismo per le vocali, e l'altra sarà la dottrina della formazione organica delle parole e delle sue leggi — per chi non intende. E poi toccherà forse della sintassi. E finalmente compilerà, io m'immagino, anche il lessico, al meno di questi dialetti, come promette certo di occuparsi di proposito un'altra volta di tutt' i nomi locali dell' Istria. Di questo ultimo studio à dato già un saggio in Dialetto rovignese, dove in fondo à raccolto tutt' i nomi locali del territorio di Rovigno. E vorrà essere molto importante. E allora 1' opera così intera, opera di gran pazienza e di gran dottrina, nella quale penso che il dottor Ive prenderà a considerare altri dialetti ancora, oltre a quegli otto, d'altri luoghi dell'Istria, allora, quest' opera 'sarà un invidiabile monumento, che il dottor Ive si sarà eretto, aere perennius. Così il ciel lo aiuti! in Mussafia, Contributo per la conoscenza dei dialetti dell'Italia settentrionale nel secolo XV 13; Wendriner, 11 dialetto padovano in Ruzante 12; Scerbo, Sul dialetto Calabro 93) — per significare il passaggio o meno dell' o tonico in u. Ma scelsi più tosto quel-1' altro, per dedicarlo al chiarissimo nostro archeologo Gedeone Posteria seu Andrea Tommasich, benemerito segretario della Civica commissione di archeologia, il quale si degnava, alli 22 d'agosto dell' anno dall' incarnazione 1892, di dirigere a me la lettera, da cui trascrivo il brano che segue. ,,Lo scrivente desidera sapere il significato della parola Vidro, nome d' una località sull' isola di Ossero (Cherso), nella quale esisteva, cinquanta anni addietro, un convento del Terz' ordine religioso di San Francesco. Nella graziosa Alieto (Isola) esiste una contrada, sull' altipiano del duomo, denominata Vidro, detta dal popolo Vidr o Vier. In Venezia venivano battezzati molti col nome Viäro. Neil' albero genealogico dei Vittori (conti Capo d'Istria [recte Capodistria, a Rovigno Kapudè'stra, a Pi-rano Kapudistra, terzo esempio : sincope dell' ì atono (n.o 41) e passaggio dell' o atono in u nei composti (ri." 42)]) di Corfù vi sono quattro membri col nome Vidro. Io mi rivolsi all'erudito professore di Corfù, dottor Francesco Di Mento, canonico della metropolitana corcirese, mio amico, ma non ebbi il conforto di esauriente risposta E porgo ora alla Signoria Vostra Illustrissima la preghiera di voler impiegare la di lei erudizione (!) nell'argomento, per deciferare il significato della parola Vidro." Ed ecco il chiarissimo archeologo nostro servito ora dall' erudito dottor Ive assai meglio che da me allora. E, poi che il dottor Ive potrà a sua volta giovarsi del brano di lettera su trascritto, quando tratterà dei nomi locali dell' Istria, ecco inoltre come qualmente negl' imperscrutabili fati fosse deciso che due piccioni si cogliessero quest' oggi ad una fava e 1' archeologia porgesse mano alla grammatica e la grammatica all' archeologia. Ma intanto voglio che dica egli e in italiano le norme che seguì nel libro di cui parlo. „In quest' abbozzo, die' egli modestamente, io mi parto dal dialetto della mia natale Rovigno; ma accanto a questo i dialetti degli altri luoghi vengono anch' essi compresi nel trattamento linguistico. Il che accade per duplice modo. Se fra tutt' i dialetti regna pieno accordo, questo è fatto capire col semplice silenzio ; ma se alcuni di loro si consociano in un gruppo, se ne fa menzione nel processo del trattato. Dei caratteri poi dei dialetti contermini, che si discostano dal gruppo principale, servono a dar ragione le note abbondanti e fanno sì, che l'esposizione riesca comparata. Ma poi che nella maggior parte de' nostri dialetti si tratta di fattori del tutto sconosciuti, ò creduto bene di non essere avaro di esempi. Inoltre così nel testo come nelle note si fanno confronti con altri dialetti italiani e ladini, e in questo dovrebbe, cred' io, consistere pure il pregio di questo mio tentativo." Come nella grafia dei suoni — della quale dànno un saggio gli esempi recati di sopra — così nella disposizione del lavoro soggiunge l'autore eh' ei si attiene quanto alle vocali più esattamente che può al metodo del maestro Ascoli, siccome quello che meglio si adatta al caso suo. Segue quindi la letteratura del soggetto — come dicono i tedeschi — ossia l'indice di quei lavori, sia d' altri che dell' autore stesso, ne' quali prima che nel presente si trattò de' nostri dialetti, lavori eh' egli, accingendosi allo studio presente, com' era conveniente ed utile, consultò non meno di quelle altre opere filologiche, di cui il non breve elenco è dato in nota. Certo che, per dire di questo lavoro come si dovrebbe, bisognerebbe eh' io fossi più a deutro nella materia. Pure ò voluto dirne come ò potuto, già che dovevo indicarlo ai lettori della Provincia. G. V-a -----——---— n^r o 11 z i e La direzione dell'Istituto agrario provinciale ha pubblicato l'avviso di concorso ai nuovi posti di allievi stipendiati presso la Scuola pratica di viticoltura enotecnica e pomologica in Parenzo per 1' anno XII di fondazione. Eccone le condizioni : In conformità del piano di ordinamento di questa Scuola eno-pomologica, approvato dall'eccelsa Dieta, viene aperto il concorso ai nuovi posti di allievi stipendiati, per la durata del corso scolastico biennale 1893-94, 1895, da conferirsi dall'inclita Giunta provinciale. La Scuola, oltre ad impartire le nozioni più indispensabili di agricoltura, tende più specialmente la preparare giovani atti all'esercizio pratico della Icoltivazione razionale della vite, della preparazione le conservazione del vino, e della razionale coltiva-liione dei frutti; e rilascia un attestato di licenza agli allievi, che superano con buon successo gli esami finali del Corso. Gli allievi stipendiati sono tenuti a prestarsi all'esecuzione dei lavori di coltura del Podere, delle operazioni di Cantina e degli altri lavori manuali inerenti all'arte campestre, e ricevono gratuitamente ritto ed alloggio nell' invernato annesso alla scuola. I concorrenti dovranno inoltrare alla scrivente Direzione, non più tardi del giorno 31 agosto a. c., la propria domanda corredata: 1. Daila fede di nascita, da cui risulti che il concorrente abbia l'età di 16 anni compiuti; 2. Dal certificato della locale autorità comunale, ove venga comprovato che il concorrente appartiene alla classe degli agricoltori; 3. Di documenti che valgano a dimostrare la «onoscenza delle prime quattro operazioni dell' aritmetica, e una sufficiente abilità nel leggere e scrivere, da eventualmente comprovarsi con un esame orale ed in iscritto. II corredo personale si comporrà almeno dei seguenti capi: N. 6 camicie, 4 paia mutande, 12 paia walze, 6 fazzoletti, 2 paia scarpe, 1 abito da lavoro, 1 abito festivo, il tutto corrispondente alle modeste esigenze di un agricoltore. LI-- Appunti bibliografici Giuseppe Garzolini. Contro la conferenza. Pennel-| late di un impressionista. Trieste. Balestra 1893. Il nostro secolo, si dirà forse un giorno, il secolo delle conferenze. E contro le conferenze se la piglia con garbo il signor Garzolini con la trovata del tenere una conferenza contro l'abuso delle inferenze stesse. Sono pennellate con quel fare disinvolto di qne' tali pittori illusionisti, che in un quarto d' ora, tra una suonata di professori d'orchestra a spasso, e un gioco di bussolotti, vi improvvisano in un caffè chantant una marina, una vallata, un precipizio, e da ultimo vi buttano sopra certe chiazze di caffè coll'uovo, e di vino rovesciato ■the subito dopo con opportune fregagioni si mutano in un' avvoltolata di nubi, o in un cielo a pecorelle secondo il caso. Tale la disinvoltura con cui il signor Garzolini si presenta dal suo banco ili conferenziere, guardando a stracciasacco perfino l'innocente e immancabile bicchiere d'acqua fresca. Non «mvien però prendere alla lettera le sue parole : quella disinvoltura non è ciarlatanesca, ma è sicurezza che viene da studio ; i periodi si succedono franchi, spigliati, multa pomice expoliti direbbe Catullo ; anche troppo mormorano i faciloni. Neppure si ha a credere ad un assalto alla cieca contro conferenze e conferenzieri. Dio guardi. Qui lene distinguit bene docet, dicono i casuisti, e il signor Garzolini sa benissimo fino dalle prime mosse distinguere tra conferenza, tra una consuetudine della civiltà e il tarlo del conferenzajo ; e preso una buona volta l'aire, punzecchia, pizzica, scappellotta qua e là tra il serio e il faceto, il conferenziere novellino, o di mestiere, il conferenziere ad hoc, il nomade ambulante, a rivoltella, arruffone, fossile, ipnotico, intermittente, uniforme, tenebrone ecc. ecc. Qualche volta fa anche la voce grossa come contro il conferenziere tenebrone e il fossile ; e allora non mancano forse i sottolineati e le accentuazioni. Viene poi la volta del rispettabile pubblico ; e qui nuova lepida divisione, e nuovi pizzicotti agli amici, ai marchesi Colombi, ai curiosi, ai giornalisti, che il Garzolini con frase felice chiama gli Atei dell' uditorio. Ben fatta poi la descrizione del l'ambiente quando il discorso si tira per le lunghe, e si cominciano a vedere i primi effetti della distrazione e della noia. La lingua è buona, lo stile brioso, se ne e-scludi qualche alzata d'ingegno o alcune citazioni dantesche non sempre a proposito. Se non che in sul più bello si presenta all' autore il dilemma : le conferenze sono o una buona, o una cattiva istituzione. Nel primo caso, perchè gridi? nel secondo perchè tieni il sacco? e n' esce pel rotto della cuffia. Comunque, il tema ha un peccato originale, e mi rammenta il caso di quel povero poeta il quale mentre leggeva alcuni versi, più belli che brutti in fondo, ad una società di pacifici borghesi e rispettabili matrone, ma tutti pieni nel 1866 di entusiasmi da caserma, fu ad un tratto bruscamente interrotto da un seguace di Marte che gli gettò in faccia una filippica contro i poeti corruttori, rinforzata alla chiusa dalla nota strofa: "La terra dei fiori, dei suoni, dei carmi Ritorni qual era la terra dell'armi.. Ma il povero poeta ebbe la presenza di spirito di ripetere a quello scrollapennacchi : Poteva ben dirmelo in prosa, senza dimostrarmi invece con quei versi la necessità della poesia. Così gli amatori delle conferenze potranno sempre rispondere al Garzolini : La tua conferenza contro le conferenze è troppo bella; dunque inchiostro sprecato. Vuole il signor Garzolini un tema nuovo, vasto, originale? Storia delle conferenze. Da quella del diavolo con la madre Eva, tenuta sulla cattedra di quel tal pomo, fino alle ultime conferenze inter- rotte a Milano testé dagli anarchici con relativo rompimento di sedie, quanto spazio, e quanta varietà di colori ! Prima edizione della Eneide di Virgilio tradotta da Giovanni de Medici. Capodistria, tipografia Cobol-Priora 1893. Che un Giovanni de' Medici, non so per quali casi balestrato in un umile borgata dell'Istria, a esercitare l'umile professione di maestro, si sia sobbarcato all' ardua impresa di dare al parnaso italiano una nuova traduzione dell'Eneide e che per di più l'abbia intitolata Prima edizione ecc. parrà pazza impresa a quei molti che stimano l'opera secondo il posto occupato dall' autore. A chi giudica invece senza prevenzione, il solo fatto di un umile maestro elementare che imprende a tradurre Virgilio e ne mandò innanzi, lodato, come provini due libri tradotti, è indizio d'una grande cultura, e d'una volontà ferrea, non domata da nessun caso di avversa fortuna. Ed è certo che non solo un'umile borgata ma una grande città potrebbe andar superba sotto questo aspetto di averlo a maestro; e qualunque altra scuola più alta vantarsene. Il caso però di maestri elementari dimenticati non è nuovo, e basti l'esempio del lodigiano Agnelli autore di un' opera su Dante, ammirata anche, e condannato per poche lire ad insegnare 1' abbicci e la ginnastica ai sordomuti di campagna, mentre tanti altri maestruoli di balzo, furono tramutati in professori, ispettori, proveditori ecc. senza alcuna classica cultura. Dunque il nome del De Medici non è da strapazzo ; uè l'opera sua vuol essere giudicata così alla leggera da que' critici faciloni della stecca che tra un articolo di fondo, e la cronaca buttano giù nel giornale un appunto, facendosi belli di una sentenza d'autore, o d'un proverbio, che col libro e con l'autore c'entrano come il Cristo oggi in tribunale. Diciamo adunque con diligenza e brevità nei limiti d'un giornale di questa nuova traduzione. Premetto che in fatto di traduzioni, o dritte o storte che siano, ci ho certe norme direttive. Ritengo senza altri discorsi, miglior traduttore quello che sa darmi in altra lingua franco e di getto il pensiero originale d'un autore, dando al periodo quelle movenze, e alle parole quella forma che è propria della lingua incili tradurre, nel modo che avrebbe fatto l'autore stesso, se invece di servirsi della propria avesse composto nella lingua del tradutore. Certo la fedeltà, la cura d'imitar in tutto lo stile sono per sè doti eccellenti ; ma se la maggior fedeltà, e lo stile non si confanno alla natura della lingua in cui si volta un' autore, allora la fedeltà diventa difetto, e il pensiero stesso, per la soverchia cura di renderlo esatto riesce oscuro, e non si raggiunge quindi l'intento. In ciò mi sostiene l'autorità di un grande maestro. "Nec verbum verbo curàbis reddere fidus Interpres, nec desilies Imitator in are tum T ha detto Orazio, e giù il cappello. D' altra parte, (e qui sta la massima difficoltà)' è necessario che il traduttore conosca bene quale sia la natura della lingua in cui scrive e non ritenga per leggi intrinseche del linguaggio quelle che sono invece imposte dal gusto dominante, o che è peggio-dal gusto suo particolare. Senza questa necessaria distinzione si corre rischio di giudicare per cationi fondamentali d'una lingua quelli che sono invece] capricci momentanei o difetti del proprio stile. Allora, i la stringatezza originale d'un autore diventa con la scusa della lingua propria, prolissità, e viceversa.. Ciò premesso vediamo come il Medici abbia adempiuto all'arduo uffizio di traduttore. Piglio in mano la sua opera e leggo. Vediamo prima la tecnica del verso: in generale è buona, j 1' endecasillabo scorre, P accentuazione e le spezzature* varie, senza la monotouia dell' Alamanni ; ci mancano forse le novità, non sempre inconsulte, dei i decadenti, l'arditezze, la modernità del D'Annunzio, j del Graf; la lingua è buona, e così via. Tutte queste impressioni rimangono nel lettore, che o non conosse il testo originale, e i migliori traduttori o cerca di dimenticarli, e d'immergersi tutto nella lettura di. questa traduzione. Ma se si accosta il De Medici al sommo latino ; se si raffrontano alcuni brani, allora ; appare qua e là un non so che di stentato nel j traduttore che lotta con la difficoltà della eleganza e della solennità dei concetti e della veste che indossò ad essi Virgilio. Prendiamo ad asempio il primo capoverso del poema. Il Medici, più del Caro accostandosi al giro del periodo latino, traduce così Cauto 1' armi e 1' eroe, che dall' iliache Spiagge all' Italia e di Lavinio ai lidi Esule per destin primo giungea. E in terra e in mare lo travolse a lungo Alto poter, per l'implacabil ira Dell' aspra Giuno. Anche fra 1' armi assai Sofferse, mentre la città fondava, E i propri numi riponea nel Lazio ; Onde il latin germoglio, i padri albani ■ E l'alte mura sorsero di Roma. Il Caro invece foggiò un largo periodo nello | stile del suo tempo, periodo tutto d'un pezzo che si attacca alla proposizione principale — L' ar- ■ mi canto — e riesce piacevole all' orecchio. Il De Medici ha adunque il merito di attenersi al- l'organismo e alla economia del periodo virgiliano. Pure ci si sente lo stento, ed ecco perchè. Virgilio •per unire le idee accessorie alla principale ha aggiunto nel terzo verso il multum Me che è un tratto da maestro, e che cerco invano nella traduzione, e perciò il periodo nel De Medici zoppica. Il Tasso nella prima ottava della "Gerusalemme,, imitando Virgilio, scrisse: Canto 1' armi piatose e il capitano Ce il gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò....... Ecco il virgiliano multum Me che torna a capello. Il difetto appare più grave in chi si è proposto di riprodurre la forma. Senza perdersi in fan' analisi minuta basterà qualche esempio. .... Tantaene animis coelestibus irae ? cosi finisce Virgilio l'invocazione alla musa. E il Medici ? ........Ire sì grandi Vivono dunque de' celesti in petto? (pag. 9) Ire grandi pare un cavicchio, nè il vivono mi compensa della mancanza dell' efficacissima elissi virgiliana. Peggio il Caro ; ire e sdegni è un' instile sinonimia. Anche la costruzione grammaticale del periodo lascia spesso qualche cosa a desiderare nell' uso dei tempi. Audierat dice il testo al verso vigesimo, «invece del trapassato il Medici usa il passato rimoto t scrive — Ma intese già.....Maggior difetto 61'abuso del presente storico in moltissimi luoghi : ....... . allor che Giuno Serbando eterna la ferita in petto Tra sè prorompe .... (pag. 10) La proposizione elittica fa supporre il passato nel testo latino, bene reso dal Caro col disse. Peggio dove il verbo è espresso al trapassato nell' originale come nell' ammirabile prosopografia di Venere: su-spenderat arcum, dederat coman scrisse Virgilio, e il presente che scatta all' improvviso nella traduzione nei versi : Ove in bel nodo i flessuosi seni Raccoglie della veste .... Riesce disarmonico e lezioso. Così dicasi nella traduzione degli incompara-Mli versi : Dixit, et avertens rosea cervice refulsit, Ambrosiaeque comae divinum vertice odorem Spiro cere; pedes vestis defluxit ad imos Et vera incessu patuit Dea. E il Medici : Finì, si volse, e di fulgor divino Brilla il candido collo...... 11 brusco passaggio da un tempo all'altro mi fa tremare per quel candido collo, minacciato all'improvviso da un pugno. Sono artifizi questi da lasciarsi a' novellieri ; assai ne ha abusato il Gozzi stesso : pur troppo di simili costruzioni è ripieno il volume. Trattandosi d' una traduzione che aspira a fedeltà, pur riconoscendo qua e là molti meriti, mi duole di aver trovato dei versi dove si fa dire a Virgilio tutt' altro di quanto avea in mente. Così a pagina 16 verso quarto. .......Poiché la fame Dal convito sparì tolser le mense, E ragionar con dubbia speme, e incerti ancora Vivi all' idea se li pingean, ma in preda A certa morte e ad ogni voce sordi E il testo: Spemque, metumque inter dubii sen vivere credant Sive extrema pati nec jam exaudire vocati. Secondo il Medici i compagni sarebbero vivi e morti nell' istesso tempo : caso inaudito ! Benissimo il Caro : De' perduti compagni in dubbio ancora Se fosser vivi, o se pur giunti al fine Più de' richiami lor nulla curassero. Tutti rammentano la stupenda reticenza di Nettuno : Quos ego....! sed motos praestat componere fluctus, Udiamo il Medici: Che io potrei..., ma calmar prima i commossi conviene........... Sul testo virgiliano il senso è chiaro ; e tutti capiscono che le parole motos praestat componere fluctus non sono già di Nettuno ma dell' autore che dipinge così al vivo l'azione del Dio ; e ciò perchè il praestat è in terza persona. Nella traduzione il senso non è chiaro ; e adoperando il Medici il verbo conviene impersonalmente, può far nascere il dubbio nel lettore, che siano proprio parole del Dio ; perchè tanto si può leggere conviene a me come conviene a lui. Tutto ciò poi ha in Virgilio un' alta ragione di stile. Fare che il Dio si perda in chiacchiere non è majestati cum: agire bisogna ; le minacce più gravi verranno poi. Anche Dante ha imitato il maestro, anzi lo ha superato. L' angelo "Giunse alla porta, e con una verglietta L' aperse, che non v' ebbe alcun ritegno. — Oh cacciati dal ciel, gente dispetta (Cominciò egli in sull' orribil soglia) Ond'està oltracotanza in voi s'alletta?, (Inferno IX) Prima 1' azione ; la lavata di capo verrà poi. Ancor qualche cenno di varie improprietà che nuocciono all' intelligenza del testo. La Giunone del Medici (pag. 10) Serbando eterna la ferita in petto ( Tra sè prorompe..... Prorompe tra sè è falso. Il testo dice semplicemente „Haec secum" e il Caro aggiunge benissimo „disse". 11 ni faciat di Eolo voltato in che se no è locuzione dialettale (pag. 11). Giunone in Virgilio dice: Sunt mihi bis Septem praestanti corpore Nymphae ; e il De Medici: 15en sette e sette di leggiadre forme Ninfe sou mie....... Bene il primo verso ma è guastato da quel che segue ; perchè quel ninfe son mie, detto così con la sintassi inversa e rettoricamente, vorrebbe dire mie e non di altri. Sape vallicelo, ma il sunt possessivo qui non vuol dir altro che — io posseggo, ho. Atque rotis summas levibus perlabitur undas; verso che vale in arte tutto 1' oro del Perù. Sopra lievi ruote sorvola all' acque, è tradotto a pagina 13. Meno male il sorvola; sull' però e non all' acque, che è lezioso. I Trojani Et sale tabentes artus in litore ponunt ; e il Medici : ........e sull' arena Le membra riversar dall' onde affrante Il riversare improprio; il sale tabentes manca (pag. 14). . . . Allor che ei giunse, la regina Sovra gli arazzi, di dorata sponda Compostasi nel mezzo, si assidea (pag. 31). Adagio; Virgilio dice: . . . aulaeis jam se regina superbis Aurea coniposuit sponda, mediamque locavit. E il Caro bene con la solita abbondanza: E già sopra la sua dorata sponda Con real maestà s' era nel mezzo A tutti gli altri alteramente assisa ; chè a sedersi nel mezzo della sponda, la regina" correva rischio di fare un ruzzolone sotto la tavola. Ma forse è questione di virgole, da girare al proto. Questi ed altri appunti si potrebbero fare al De Medici ; ma non è qui luogo dire di tutti, e al valoroso traduttore basterà un cenno per ritoccare qua e là. A debito di giustizia dovrei quindi rilevare le bellezze e i brani dove supera le difficoltà, e riporta la palma sul Caro: pochi esempi basteranno. Il difficile passo, dico difficile pel proluit se così è reso felicemente dal De Medici Ed egli pronto la spumante coppa Di un tratto ingola fino all' aureo fondo, (pag. 33) Meglio assai del Caro : A piena bocca infìuo a 1' aureo fondo Vi si tuffò col volto, e vi s'immerse, che è un po' secentistico._ Bene tradotto il brano celebre del Laocoonte,. eccezione fatta pel presente immola, mentre il testo-dice mactabat, e pel prendono che è debole e non risponde al corripiunt (pag. 43). Ottima la traduzione della similitudine dei toro: Clamor es simul horrendos acl sider a tollit: Quales mugitus, fugit quum saucius ararti Taurus, et incertam excussit cervice securim. E in un solleva orrendo grido all' aure Qual toro, che ferito 1' aitar fugge Alto mugghiando, se dal collo scosse L'incerta scure, (pag. 44) Il Caro invece parafrasa così: E d' orribili strida il ciel feriva : Qual mugghia il toro allor che da gli altari Sorge ferito, se del maglio appieno Non cade il colpo, ed ei lo sbatte e fugge. Anche con fedeltà e parsimonia è voltato il brano famoso dell' onda che capovolse la nave d'Oronte senza la similitudine dello stanco palèo, della frottola volgare che il Caro ci ha messo di suo. Perciò io penso che questo coscienziozo lavoro del De Medici potrà riuscire di qualche utile ai giovani studiosi che non si appagano della solita traduzione scolastica, ma amano rilevare le intime bellezze di quel Virgilio che fu veramente il mago dell' arte. Conclusione: se anche i tempi non corrono propizi a sì fatti studi, la storia letteraria terrà forse parola un giorno di questo tentativo di un umile maestro elementare dell'Istria. La nostri provincia poi ne può in ogni modo andar fin di oggi superba ; quello è certo si è che mentre molti maestri elementari, di parte avversa, mutati in arrutfapopoli, urlano per le osterie e bestemmiano la nostra civiltà, e non hanno probabilmente udito mai nominare Virgilio, un maestro elementare ita* liano ha dimostrato a questi lumi di luna in Istria tanta cultura e tanto squisito sentire da tradurre il massimo dei poeti latini. In ciò tutti devono convenire gl'Istriani: il De Medici ha bene meritato della provincia che lo ospita, ed è questa oggi per lui e per noi lode non poca. P. T. j —-----------—--J PUBBLICAZIONI È uscita coi tipi di Gaetano Coana in Parenzo l'opera : La liturgia slava con particolare riflessa all'Istria, studio di Giov. Pesante. Il libro di 175 pagine in 8.vo grande, cnn caratteri compatti elzeviriani, si trova vendibile presso il tipografo in Parenzo Gaetano Coana al prezzo di f. 1.35 franco di spese postali. Studi di letterature straniere di B. Zumbini. — Firenze, successori le Mounier, 1893.__j Pietro Madonizza edit. e redat. responsabile