ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) ricevuto: 2001-02-28 UDC 17:342.59-058.38(450) L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA Lucia FERRANTE Universitá di Bologna, Dipartimento di Discipline Storiche, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2 SINTESI Questo lavoro si propone di indagare la soglia di onorabilita oltre la quale un povero aveva il diritto di essere considerato vergognoso e di essere come tale aiutato. L'analisi dei documenti conservati presso l'archivio dell'Opera Pia dei Poveri Vergognosi di Bologna ci fa capire che si tratta di una questione molto complessa: i vergognosi degni di aiuto possono infatti appartenere alle categorie dei nobili, dei possidenti, dei mercanti, degli artigiani possessori di qualche capitale e devono essere bolognesi o forestieri in citta da lungo tempo. Quello che li accomuna e il forte legame con la citta. L'Opera si occupa innanzitutto di salvare l'onore civile dei declassati, ma ovviamente non pud tralasciare di salvaguardare l'onore sessuale delle giovani donne. Questo crea una contraddizione, perché la necessita di proteggere l'onore femminile fa saltare tutte le barriere di ceto. Il concetto di onore inoltre cambia col tempo: fino a quando Bologna vive uno sviluppo economico che comporta mobilita geografica e sociale l'Opera e disponibile ad aiutare i forestieri, quando invece soffre il declino economico e non ha piú bisogno di nuove energie esclude dagli aiuti gli immigrati. Parole chiave: poveri vergognosi, onore, Bologna, eta moderna Con questo intervento mi propongo di affrontare il tema dell'onore in eta moderna in relazione ad un particolare gruppo sociale: i poveri vergognosi. Essi rappre-sentavano una categoria di poveri assolutamente particolare, perché ció che li caratterizzava non era tanto la poverta, che poteva essere relativa, quanto la vergogna per l'avvenuto declassamento e la necessita di ricorrere ad un aiuto esterno. La vergogna di cui soffriva il declassato era proporzionale al grado di onore di cui godeva il suo gruppo sociale: la perdita di risorse economiche, e quindi la perdita di un livello di vita simile a quello dei propri pari, causava un sentimento di vergogna tanto maggiore quanto piu era alto il ceto di provenienza. Infatti, in una societa di ordini, il ceto piu elevato era naturalmente dotato di un patrimonio di onore piu 431 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 cospicuo rispetto a quello degli altri gruppi sociali. Gianni Ricci, che descrive con notevole cultura e grande finezza il formarsi del concetto di povero vergognoso dalla tarda antichità all'età moderna, ci rende un'immagine di vergognoso che corrisponde a quella dolente del povero in cui la vergogna si nutre del proprio onore e si legittima col proprio status, tanto elevato da renderla scevra da qualunque ombra di superbia (Ricci, 1996). Si tratta di una visione gerarchica ed elitaria della società in cui il massimo di onore coincide con il massimo di virtù, una virtù qui offesa e ferita dalla povertà. Risarcire l'offesa, lenire il dolore inferto da questa ferita non è compito facile: rimediare alle ingiurie fatte all'onore implica procedimenti codificati, com-plessi, spesso dolorosi. In questo caso, da sempre, la strada obbligata è l'aiuto portato segretamente. Questo ha voluto dire, per secoli, un'offerta assistenziale più che discreta, un'amministrazione degli aiuti tesa ad eliminare le prove del proprio operato: la memoria di un passato felice imponeva un lenimento di cui si dovesse annullare il ricordo, fonte di vergogna. Una tale ansia di segretezza si traduce, per noi, in un'enorme difficoltà a reperire la documentazione necessaria per fare ricerca su questi temi. Tuttavia, talvolta, qualcosa è rimasto per lo sguardo indiscreto degli storici. È allora, quando si riesce a conoscere qualche nome, a collocarlo in un segmento della società, ad inserirlo nella struttura di una famiglia, che il mondo segreto della povertà vergognosa sembra lasciarsi interrogare. È dai documenti che sono rimasti nell'archivio dell'Opera Pia dei Poveri Ver-gognosi di Bologna che vorrei partire per affrontare un problema cruciale per la comprensione della povertà vergognosa: quello del livello di onorabilità che costi-tuiva la soglia oltre la quale un povero poteva aspirare ad essere considerato vergognoso e quindi poteva avere il diritto di chiedere aiuto. L'ideologia elitaria che, come ha dimostrato Gianni Ricci, ispira questo tipo di assistenza, assicura l'intervento nei confronti dei membri in difficoltà dei ceti più elevati, per definizione "ver-gognosi" della propria eventuale povertà. Resta tuttavia aperto il problema dei confini che delimitano le aree sociali che possono accedere a queste risorse. Insomma chi possiede abbastanza onore e quindi chi soffre abbastanza vergogna per poter chiedere legittimamente sussidio all'Opera? A questo interrogativo di fondo altri se ne aggiun-gono: quali sono gli elementi che concorrono a definire la soglia dell'onorabilità sufficiente a definire un vergognoso? Si tratta di un livello che rimane costante nel tempo? Ed è questo livello interessato dal mutamento del contesto economico e politico? Per affrontare questi interrogativi l'ideologia va confrontata con la gestione quotidiana degli aiuti, con le scelte, le esclusioni, gli inevitabili compromessi. Nel momento in cui scelgono, stabiliscono criteri, accettano o respingono una supplica i "procuratori" dell'Opera compiono una mediazione tra i valori ispiratori del-l'istituzione e le aspettative, le richieste di individui e gruppi che esprimono a loro volta non soltanto dei bisogni concreti, ma anche degli atteggiamenti mentali nei confronti dei valori e dell'ideologia che l'istituzione rappresenta. L'attività che risulta 432 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 dal quotidiano intrecciarsi di ideologia, bisogni, mentalità fornisce indicazioni preziose, espresse nel linguaggio dell'onore, circa i rapporti tra i diversi ceti sociali. Pertanto indagare gli elementi costitutivi dell'onore del povero vergognoso significa individuare i vocaboli di un lessico politico le cui diverse combinazioni narrano di relazioni e di ruoli sociali anche al di là delle consuete suddivisioni cetuali. Ma occorre fare attenzione: l'onore non è soltanto un linguaggio in cui si esprimono i rapporti politici, è esso stesso, come ci hanno spiegato gli antropologi, bene, patrimonio, risorsa (Pitt-Rivers, 1977). E come tale, al pari della terra, pur appartenendo per la maggior parte ad un gruppo ristretto e ben individuato di persone, tuttavia analogamente a qualunque altra risorsa, è oggetto di contese, di negoziazioni, di scambio, puo essere accresciuto o diminuito. È quindi un elemento dinamico, soggetto a mutamenti. L'individuazione della soglia di onorabilità che definisce il vergognoso ha quindi lo scopo di mettere in luce delle relazioni sociali, dei rapporti politici ovviamente destinati a mutare nel tempo. Per compiere questa operazione vorrei partire dalle fonti normative dell'Opera, proponendomi di coglierne l'evoluzione interna e di incrociare le informazioni che ne derivano con quelle provenienti da documenti amministrativi. Va detto a questo proposito che la maggiore quantità di informazioni ci deriva dalla documentazione relativa all'assistenza alle donne, quelle ricoverate nel conservatorio di S. Marta, gestito dalla medesima Opera, e quelle beneficiarie di sussidi dotali. La ragione della migliore sopravvivenza di questi documenti non è al momento ipotizzabile. Sta di fatto che, attraverso queste fonti, noi siamo in grado di cogliere una parte molto consistente dei fruitori dell'assistenza ai vergognosi, in quanto le notizie relative alle assistite aprono squarci di notevole ampiezza sul mondo da cui esse provengono. Quindi la lettura di questi documenti risulta utile tanto per analizzare la politica assistenziale dell'Opera nei confronti delle donne, come sappiamo le maggiori fruitrici di tutte le istituzioni caritative, quanto per indagare in generale il gruppo dei vergognosi. Naturalmente questa tematica si ripropone per tutta la lunga storia dell'opera pia che è tuttora attivissima, anche se ovviamente persegue finalità diverse. Tuttavia, in questa sede, mi riprometto di scandagliare a fondo il problema per un periodo limitato, ma cruciale: quello che comprende la seconda metà del XVI secolo e i primi decenni del XVII secolo. Questa scelta appare giustificata da diverse ragioni: il periodo indicato, il primo per il quale è rimasta una documentazione consistente, coincide con l'avvio della gestione del conservatorio di S. Marta che si accompagna ad una considerevole erogazione di sussidi dotali ed è caratterizzato da condizioni economiche stabili e piuttosto modeste. Nel 1626, infatti, grazie ad una cospicua eredità, le finanze del conservatorio miglioreranno tanto da consentire di cambiare il tipo di assistenza prestata alle giovani ricoverate con conseguente complessiva 433 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 modifica della politica assistenziale dell'Opera (AOPPV, GG 100; EE 57 bis, c. 48 e segg.). Quando parliamo di fonti normative occorre innanzi tutto dire che facciamo riferimento a diversi tipi di documenti: gli statuti dell'Opera Pia dei Poveri Ver-gognosi, datati 1507, gli statuti di S. Marta, compilati nel 1554, ma con integrazioni che arrivano al 1646, infine i decreti registrati nel Libro Bianco, emessi tra il 1633 e il 1722 e che riguardano tanto l'Opera quanto il conservatorio.1 Negli statuti dell'Opera si dice, secondo una tradizione che non prevede dettagli esplicativi di tipo sociologico, che si tratta dei "Capitoli della Compagnia delli Poveri Cittadini Vergognosi" e, più avanti, si afferma di voler provvedere "alli poveri alli quali era qualche vergogna el mendicare" (AOPPV, EE 170, Quivi, c. 1). Negli statuti di S. Marta leggiamo che i requisiti richiesti per l'ammissione delle ragazze sono l'essere "veramente vergognosa et in evidente pericolo" di perdere l'onore, "purché sia da Bologna" (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 31, 33). Compito irrinunciabile dell'Opera è dunque tanto la salvaguardia dell'onore sociale quanto la salvaguardia dell'onore sessuale, ma nei suoi documenti fondativi la provenienza sociale, l'onore posseduto, la vergogna sofferta continuano a non aver bisogno di essere esplicitati né tantomeno discussi. Sembra che sia chiaro a tutti, tanto ai gestori quanto ai fruitori degli aiuti, chi debbano essere gli assistiti. Soltanto negli statuti di S. Marta, redatti circa cinquant'anni dopo l'inizio dell'attività dell'Opera, cogliamo la preoccupazione che le giovani appartengano alle categorie sociali che si vogliono aiutare allorché leggiamo che devono essere davvero vergognose, in pericolo, bolognesi. Soltanto nel 1567, nel tentativo di chiarire chi abbia il diritto di entrare nel conservatorio, per la prima volta la congregazione dichiara che vergognosi "s'inten-dono essere li gentiluomini, cittadini, mercanti et anche artefici buoni nati nella città di Bologna o che almeno in quella habbino abitato e vivuto civilmente per anni 20 continui quali siano decaduti e venuti in povertà e miseria" (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 52). Questa definizione verrà ripetuta in futuro più volte con poche variazioni e designerà i poveri che hanno diritto all'aiuto dell'Opera nelle varie forme in cui essa eroga le sue elemosine: dai beni di prima necessità donati settimanalmente alle famiglie bisognose, al denaro equivalente, al ricovero delle fanciulle in S. Marta, all'erogazione dei sussidi dotali, e più tardi anche alle elemosine speciali per specifici bisogni. In poche righe viene tracciata una molteplicità di profili possibili, da quello del 1 AOPPV, queste fonti sono raccolte in un libretto, copia settecentesca, segnato EE 170: Quivi cominciano li statuti e capitoli della compagnia delli procuratori delli poveri cittadini vergognosi di Bologna fatti nell'anno 1495; Statuti, capitoli e provisioni cominciati dell'anno 1554 dalli procuratori e governatori dell'Opera de Vergognosi e Putte di Santa Marta sopra il buon governo dell'una e dell'altra delle suddette opere e che terminano dell'anno 1646; Copia dei decreti registrati nel Libro Bianco. I primi statuti non sono del 1495, anno in cui si costitui la Compagnia dei Poveri Vergognosi, ma del 1507 (Ricci, 1996, 68-69). 434 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 nobile a quello dell'artigiano, che hanno tuttavia qualcosa di importante in comune: il legame con la città in una forma più articolata e complessa di quanto non apparisse negli statuti del 1507. In questi si esortavano i beneficiati a pregare, oltre che per i benefattori e i procuratori dell'Opera, proprio "per la nostra città di Bologna" sot-tolineando il carattere spirituale della comune appartenenza (AOPPV, EE 170, Quivi, c. 12). Sessant'anni più tardi il tema del rapporto con la città si articola su più piani investendo ambiti diversi tra loro. La nascita in città è requisito fondamentale, ma puo essere sostituita da una permanenza ventennale. Sappiamo che negli statuti bolognesi è presente un concetto di cittadinanza, fondato sul privilegio della nascita, cui sono connessi una serie di diritti e privilegi tra cui l'esercizio di uffici e magistrature. Tuttavia nel XVI secolo non mancano i casi in cui il Senato concede ai forestieri una cittadinanza che prevede la possibilità di ottenere incarichi pubblici, oltre l'esenzione dal pagamento dell'estimo rurale (Angelozzi, Casanova, 2000, 23). Proprio nella seconda metà del secolo, nonostante un formale irrigidimento delle norme, aumenta notevolmente il numero delle concessioni di cittadinanza ai forestieri che, "attratti da una Bologna che presenta ancora i connotati di una metropoli in piena crescita demografica ed economica, si dimostrano in grado di sostanziare con ingenti risorse economiche, intellettuali ed imprenditoriali, nonché con l'appoggio influente di membri del patriziato bolognese e della curia romana, il loro progetto di inserimento a pieno titolo nella società bolognese" (Angelozzi, Casanova, 2000, 38-38). Ecco che il requisito della nascita a Bologna rinvia a questo tipo di legame politico con la città, mentre la dimostrazione di una ventennale residenza richiesta ai postulanti nati altrove sembra indicare proprio quei forestieri che hanno le carte in regola per integrarsi definitivamente nella comunità bolognese. La qualità della vita condotta prima dell'impoverimento deve essere sempre stata "civile", e ricordiamo a questo proposito quanto prescrive un decreto del Senato del 1584 circa la concessione della cittadinanza ai forestieri: questo privilegio puo essere concesso soltanto a colui il quale eserciti una qualche arte "civilem et honestam, vel alias laudabiliter vitam ducat" (Angelozzi, Casanova, 2000, 47). Ancora una volta è la qualità del rapporto con la città che fa la qualità della persona, i concetti di civitas e civilitas sono complementan, come suggerisce Pietro Costa, ed "è dalla città che l'individuo riceve il dono di una vita 'civile'" (Costa, 1999, 29). Notiamo inoltre che, dopo i nobili e prima dei mercanti, sono indicati tra i vergognosi i "cittadini", affermazione a prima vista incongrua, visto che tutti devono essere nati nella città o, almeno, in essa devono essere vissuti per vent'anni continui. In realtà l'accezione in cui viene usato il termine "cittadino" non è qui di tipo anagrafico e nemmeno politico, ma cetuale: secondo l'interpretazione di Angelozzi e Casanova: "se una qualificazione sociale del cittadino si puo individuare anche a Bologna, essa è piuttosto riconducibile alla figura del rentier" (Angelozzi, Casanova, 2000, 11). Riscontro puntuale di questa interpretazione la troviamo, seppur in epoca 435 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 successiva, proprio in un decreto dell'Opera che, enumerando nel 1682 ancora una volta gli aventi diritto agli aiuti, spiega: "intendendosi per cittadini in questo luogo quelli che sono vissuti d'entrata onorevolmente abbenche non siano in riga di nobili" (AOPPV, EE 170, Copia, c. 54). Quando non sia nobile il povero degno di aiuto deve essere una persona che ha comunque un legame forte con la citta: luogo di nascita, residenza stabile, modo di vivere, proprieta ne sono gli elementi fondamentali che, in vario modo combinandosi, determinano la collocazione dell'individuo nella gerarchia d'onore. Il legame con la citta significa quindi la partecipazione, pur in grado e misura diversi, al suo stesso onore.2 Cosí anche i forestieri meglio integrati sono considerati degni di aiuto da parte dell'Opera nel caso in cui siano colpiti da rovesci di fortuna. Dunque la prima descrizione della fisionomia del vergognoso viene fatta ben sessant'anni dopo la redazione degli statuti quando l'Opera, sotto la spinta del-l'impegno finanziario e organizzativo derivante dalla gestione del conservatorio di S. Marta, decide di esplicitare le caratteristiche che consentono ad una fanciulla di entrare in conservatorio. Ció significa che questo tipo di attivita assistenziale, intrapreso da poco piu di un decennio, si e rivelato fondamentale e ha imposto un nuovo modo di operare, probabilmente piu incline alle discriminazioni su basi cetuali ed economiche. Non a caso infatti la nuova normativa coincide con il desiderio di escludere finalmente dal conservatorio le figlie di "persone basse e mendicanti" che ormai possono essere accolte in altri luoghi confacenti: proprio in quello stesso 1567 l'Ospedale dei Poveri Mendicanti apre un reparto per le sole ragazze, la Casa di S. Gregorio (Fanti, 1984, 68).3 Non solo, la volonta di distinguere e privilegiare il vero vergognoso si esprime anche con l'individuazione di una categoria, quella dei "necessitosi", "che essendo nel mezo tra veri vergognosi e mendicanti non gl'e molta vergogna domandar elemosina". A loro verra dato l'aiuto che si potra ed essi dovranno accontentarsene (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 53). L'Opera sembra quindi compiere uno sforzo per selezionare la propria utenza escludendo dagli aiuti quei gruppi economicamente e socialmente deboli cui in passato si era prestata assistenza in ragione, probabilmente, della sola condizione di cittadino originario, cioe nato in citta da padre bolognese. Ormai lo sviluppo 2 Su questo tema e utile richiamare P. Costa il quale scrive che, per quanto riguarda la citta medievale, "ci si e opportunamente riferiti alla cittadinanza come al momento di una complessiva strategia personale e familiare, ad un insieme di oneri e privilegi che costituisce il contenuto (volta a volta variabile) dell'appartenenza dei soggetti alla comunita politica" (Costa, 1999, 16). E ancora: "il discorso della cittadinanza... tende a valorizzare e a legittimare le differenze di status attribuendo a ciascuna di esse un ruolo insieme civile e sacrale. La citta appare cosí naturalmente e prov-videnzialmente composta di ceti diversi e fra loro complementari e il governo del corpo politico viene ad essere investito di un potere- dovere di intervento e soccorso nei riguardi dei poveri" (Costa, 1999, 23). 3 Riunione del 13 gennaio 1567 (AOPP, EE 1, c. 55). 436 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 economico, la mobilita sociale e geografica hanno sensibilmente mutato i requisiti necessari per ottenere la qualifica di vergognoso: sempre di piu, accanto alla qualifica di cittadino, occorre la dimostrazione di un precedente buon livello di vita. Finora abbiamo fatto riferimento alla documentazione di S. Marta per ragionare della soglia di onorabilita che distingueva, in generale, i beneficiati dell'Opera, sof-fermiamoci adesso sul tema dell'onore sessuale legato all'integrita fisica e morale delle giovani di famiglie vergognose. S'e gia detto che la gestione stessa del conservatorio e la prova inconfutabile di quanto questo problema stesse a cuore ai procuratori dei Vergognosi. Del resto sembra improbabile che un'istituzione assis-tenziale nata per provvedere ai piu onorati tra i bisognosi trascurasse di proteggere l'onore delle loro figlie in un'epoca in cui stavano nascendo luoghi di ricovero per fanciulle in pericolo di perdere l'onore. Sia per la carita pubblica che per quella privata, l'aiuto alle giovani donne era un imperativo inderogabile. Che l'Opera Pia dei Poveri Vergognosi si preoccupasse di salvaguardare tanto l'onore civile quanto l'onore sessuale dei propri assistiti non deve destare quindi alcuna meraviglia, sarebbe strano il contrario. Eppure proprio in questa preoccupazione della salvaguardia a tutto tondo dell'onore si cela una contraddizione che crea ai procuratori dei vergognosi non poche difficolta. Infatti quando nel 1567 essi cercano di delimitare l'area sociale del proprio inter-vento, dopo aver enumerato le qualita necessarie ai poveri vergognosi e aver affer-mato che solo le figlie di coloro i quali possiedono queste qualita possono entrare in S. Marta essendo disponibili per le altre di persone "basse e mendicanti" altri luoghi in citta, affermano che pero se "fusse trovata altra putta che fusse in estremo o gran pericolo della sua pudicizia che per provedere non incorra nella perdita dell'onor suo, si concede possa essere accettata" (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 52). Questa frase, limpida nella sua formulazione, vanifica gran parte dello sforzo fatto per selezionare finalmente l'utenza dell'Opera, perché essa fa in qualche modo prevalere le ragioni dell'onore sessuale su quelle dell'onore civile: l'onore di ogni giovanetta e dichiarato sufficientemente prezioso da dover essere salvaguardato indipendentemente dal ceto, dalla nascita, dal legame con la citta della propria famiglia. L'onore delle donne, tante volte identificato con l'onore sessuale, si presta qui ad una lettura in cui il corpo femminile, qualunque corpo, simboleggia a livello tanto alto l'integrita fisica della comunita da dover essere salvaguardato a qualunque costo. Il problema emergerá di li a poco meno di due anni, infatti nella riunione di congregazione del 9 settembre 1569 i procuratori scelgono alcuni tra loro affinché chiariscano quale interpretazione si debba dare a quel passo che evidentemente ha creato problemi e discussioni (AOPPV, EE 1, c. 84). Ma non e facile sciogliere un nodo come questo e infatti non si giunge ad alcuna chiarificazione definitiva, almeno nel breve periodo. Ancora nel 1580 la congregazione decide, come puntualmente viene poi registrato 437 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 negli statuti, che quando viene proposta una ragazza per il conservatorio, prima che si istruisca la pratica, coloro tra i congregati che la conoscono debbano dire se rientri o meno nel novero dei vergognosi cosí come stabiliscono gli statuti (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 55; EE 2, c. 52). Questo capitolo ripropone un assunto ovvio, cioe che si debba aiutare soltanto chi ne ha diritto secondo le finalita dell'istituzione, ma dimostra anche che esisteva tra gli stessi congregati la tendenza a disattendere le norme statutarie. E probabile che a temperare il loro rigore in materia di ammissione agli aiuti non fosse esclusivamente l'imperativo morale di cui s'e detto, ma, in qualche misura, anche un atteggiamento clientelare. Quel che e certo e che una chiara presa di responsabilita a livello individuale sembrava il modo migliore per evitare che fanciulle prive dei requisiti richiesti entrassero in S. Marta. Dunque, nella seconda meta del XVI secolo, probabilmente in ragione di uno sviluppo che modifica l'antica fisionomia della citta facendo emergere nuovi gruppi e professioni, si alza il livello di onorabilita richiesto dall'Opera Pia dei Poveri Vergognosi di Bologna ai propri assistiti. Ma questa operazione pone un interrogativo drammatico: e giusto salvaguardare l'onore di chi appartiene ai ceti piu agiati e, cosí facendo, lasciare che giovani donne vengano macchiate dal disonore? Dalla lettura dei verbali di congregazione e della normativa statutaria e emerso che questo problema travaglio a lungo i responsabili dell'Opera; a questo punto cerchiamo di capire se e in che misura tale travaglio ebbe riscontro nell'azione assistenziale. Abbiamo infatti la possibilita almeno dal 1554, anno in cui incomincia la gestione di S. Marta da parte dell'Opera, di conoscere l'identita di molte giovani donne beneficiate mediante il ricovero in conservatorio e non c'e dubbio che il ventaglio di situazioni sociali risulta estremamente ampio, a conferma dell' attenzione nei confronti di giovani appartenenti ai piu diversi ceti. Tra le ragazze che entrano in conservatorio nella seconda meta del Cinquecento registriamo la presenza di membri di famiglie nobili e altolocate, come le nobili Banzi, Bargellini, Sampieri e Bentivoglio, naturali destinatarie dell'assistenza dell'Opera (AOPPV, EE 1, c. 42, 47; EE 2, c. 2). Sono pero presenti anche le figlie di artigiani, alcune di loro entrano con un consistente aiuto da parte delle famiglie come la figlia minore di un Giacomo, di professione fabbro, che fu accettata nel 1560 con la promessa che le sarebbero state date L.24 l'anno e una somma, non definita, per dote (AOPPV, EE 1, c. 18). Altre vengono accolte, come si diceva amore Dei, per esempio nel 1557 entra in S. Marta Doralice figlia di un maestro Giacomo, carpentiere, stante la sua poverta e il pericolo che corre, senza che la famiglia fornisca alcun contributo per il suo mantenimento (AOPPV, EE 1, c. 2). Nel 1563 Barbara e Camilla gia orfane di padre, Giovan Battista, mastro barbiere, e ora anche di madre, entrano senza che sia loro richiesto alcunché mentre nello stesso anno Dorotea, figlia del gia Francesco da Lolio, mastro di legname viene accettata ripromettendosi la Compagnia di verificare se sia possibile ottenere qualcosa per lei dai parenti (AOPPV, EE 1, c. 26, 25). 438 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 E plausibile che queste ragazze appartenessero a famiglie di "artefici buoni" come recitava il capitolo del 1567, ma sicuramente ci sono altre la cui provenienza sociale e difficilmente collocabile nel numero dei vergognosi individuati dallo stesso capitolo. Per esempio Pantasilea Baron, presente nel conservatorio nel 1569, viene definita semplicemente come figlia di una serva, mentre Geronima Minghini, rico-verata nel 1576, e figlia di una levatrice che proprio a causa del suo lavoro non puo badarle; il padre, defunto, faceva il garzolaro (lavoratore della canapa) (AOPPV, EE 1, c. 82; EE 2, c. 22). Non sappiamo grazie a quali interventi le figlie di una serva e di una levatrice siano entrate in S. Marta, ma abbiamo le prove che ragazze inidonee entravano grazie all'appoggio di persone importanti: nel 1565, una ragazza orfana di madre, figlia di un Marco muratore, gia sedicenne e quindi piu vecchia di quanto non ammettessero gli statuti, viene tuttavia accettata, perché raccomandata da Lenardo dal Pino, probabilmente un parente di quel don Girolamo dal Pino che alcuni anni prima aveva lasciato all'Opera un capitale di quasi 600 lire le cui rendite avrebbero dovuto servire "in maritare o monacar figliuole di poveri vergognosi e massime di quelle che siano in pericolo di perdere la lor pudicizia" (AOPPV, EE 1, c. 82; EE 170, In-combenze, c. 25). Cosí nel 1572 entra Orsolina figlia di Piero, tessitore di damasco, "a contemplazione dell'ill.mo signor Boncompagni", mentre un anno dopo Olimpia Pippi entra grazie all'interessamento della signora Giulia Boncompagni (AOPPV, EE 1, c. 115; EE 2, c. 20). I documenti ci dicono che la ragazza entra in deroga agli statuti, ma non specificano il motivo che dovrebbe escluderla. Naturalmente non vi furono problemi nemmeno nell'accettare nel 1604 Maddalena Pagnoni "a istanza e particolare grazia di monsignor illustrissimo arcivescovo Paleotto" (AOPPV, EE 2, c. 249). Negli statuti di S. Marta si diceva che le ragazze dovevano essere "da Bologna", ma non doveva essere una norma ferrea, perché nel 1558 un Ludovico beccaro, senese, propose per l'ammissione al conservatorio alcune fanciulle, presumibilmente forestiere, che vennero tutte accettate, mentre nel 1566, allorché un benefattore aveva voluto fare una donazione, a patto che le beneficiate fossero tutte cittadine, si era dovuta fare una lista apposita (AOPPV, EE 1, c. 10, 45, 11).4 Sono infatti noti i nomi di alcune ragazze i cui padri provenivano sicuramente dal contado. L'apertura nei confronti dei forestieri viene del resto confermata dal gia citato capitolo del 1567 con il quale si stabiliva che il padre doveva essere bolognese o, in alternativa, doveva essere residente da almeno 20 anni in citta. Che il rapporto tra l'Opera e i forestieri benestanti fosse buono lo dimostra anche il legato in favore delle fanciulle di S. Marta che Alberto Alberti, padovano, di professione barbiere, lascio nel 1570 (AOPPV, EE 2, c. 96). Segno che gli immigrati meglio integrati guardavano a S. 4 II problema della cittadinanza, già difficile in questo periodo per quanto riguarda gli uomini, diventa di notevole complessità nel caso delle donne che sono comunque escluse da gran parte dei diritti civili e del tutto da quelli politici (Angelozzi, Casanova, 2000, 140-143). 439 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 Marta come a una risorsa da cui, in caso di cattiva sorte, non si sentivano esclusi. Il problema del requisito della cittadinanza era destinato a rimanere a lungo irrisolto se circa trent'anni dopo, nel 1599, i congregati riuniti sentirono il bisogno di affermare che le ragazze ammesse in S. Marta dovevano essere nate a Bologna da padre bolognese (AOPPV, EE 2, c. 170). Uno sforzo in questo senso fu effettivamente compiuto, perché il 30 aprile 1607 fu rifiutata Bianca, nonostante i suoi meriti e la oggettiva situazione di pericolo in cui si trovava, probabilmente perché il padre, Marco Leggieri, che aveva esercitato il mestiere di orefice a Bologna per più di vent'anni non era originario della città. Tuttavia, ancora una volta, le norme furono disattese nel breve volgere di una settimana, infatti nella congregazione successiva, quella che si svolse il 7 maggio, Bianca fu ammessa con tutti i voti favorevoli tranne uno (AOPPV, EE 2, c. 274, 275). La difficoltà ad escludere le ragazze in difficoltà dal conservatorio, perché mancanti di qualche requisito doveva permanere assai forte se, in un capitolo aggiunto agli statuti nel 1609, si riconferma sostanzialmente che "se fosse proposta o si trovasse una donzella in gran pericolo di perdere l'onore, se bene non avesse le qualità che si ricercano da sopradetti statuti, purché non passi l'età danni XVI possa esser accettata" (AOPPV, EE 170, Statuti, c. 57). Insomma se l'origine bolognese per le ragazze che chiedevano di entrare in S. Marta era sicuramente importante, tuttavia non era più importante del loro onore. Passiamo, infine, dalla riflessione sulle famiglie di origine delle ragazze a quella sulle famiglie che, spesso con l'aiuto dell'Opera, acquisiscono: in più di un'occasione infatti i procuratori dicono che occorre provvedere dei mariti per le putte di S. Marta e, ad esempio, nel 1574 decidono di prendere informazioni su un certo Mariotto, che fa l'asinaro, per verificare se possa essere un maritio conveniente per una delle ragazze (AOPPV, EE 2, c. 12). Le indicazioni relative agli uomini che sposano le putte di S. Marta sono piuttosto scarse, ma quelle che abbiamo confermano che essi spesso appartengono agli stessi ceti produttivi da cui proviene la maggior parte delle loro spose: Camilla Pellizzari sposa Paolo Berti nel 1574; Paolo è un cordellaro e chiede di poter spendere parte della dote concessa alla moglie dall'Istituzione "ad effetto di poter pagare della seda et altre cose per il suo esercizio". La sua richiesta viene accolta (AOPPV, EE 2, c. 11). Sappiamo anche di un tessitore, Francesco Borella, che nel 1572 domanda in moglie una delle putte di S. Marta chiedendo che sia "segondo il suo bisogno" (AOPPV, EE 1, c. 115). Sappiamo che effettivamente una Angelica Monari sposa Domenico Maria,tessitore di raso nel 1576 (AOPPV, EE 2, c. 27). Difficile non pensare allora a quella Lena Volta, entrata nel conservatorio nel 1574, "per dui mesi o più o meno... a fine d'imparare di texer" (AOPPV, EE 2, c. 5). Il lavoro, senz'altro previsto dai capitoli di S. Marta, rappresentava l'esercizio e il potenziamento di alcune abilità che, in una certa misura, erano componenti della dote delle ragazze a cui i piccoli artigiani dovevano guardare con grande interesse. L'analisi della condizioni delle assistite in S. Marta ha ampiamente confermato 440 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 quanto è stato detto in precedenza: la volontà di selezionare un gruppo di poveri d'élite cede ripetutamente di fronte al dovere di salvaguardare l'onore femminile. Fanciulle di modestissima origine vengono accolte nel conservatorio, tanto da far supporre che al corpo della donna sia connesso un surplus di onorabilità in grado di compensare quella eventualmente mancante alla sua famiglia. Questa ipotesi risulta confermata dall'indagine relativa ai sussidi dotali che comportavano un esborso di risorse assai minore dell'internamento e, proprio per questo, risultano essere stati assai più numerosi. Infatti nel corso del XVI secolo il numero delle ragazze accolte in S. Marta fu sicuramente modesto, nell'ordine delle decine, si pensi del resto che anche quando il miglioramento delle sue finanze permise di aumentare il numero delle assistite non si superarono mai le 26 presenze (AOPPV, DD 37, foglio 4°).5 Nello stesso periodo centinaia di sussidi dotali vennero erogati tanto alle ragazze che si sposavano tanto a quelle che entravano in monastero. Si trattava di somme a volte più consistenti a volte molto modeste, date in generale come integrazione di una dote fornita dalla famiglia o da altri benefattori. L'area sociale in cui queste elemosine venivano distribuite erano quello dei mestieri artigiani spesso, ma non esclusiva-mente, legati alla lavorazione della seta. Per esempio nel 1564 a Lucia di mas tro Famiano, sensale, sposa di un muratore sono date 10 lire; nel 1566 a Zoanna figlia di Zoanmaria, bavellino sposa di Francesco Calvi, filatogliero (lavorante nei filatoi da seta) sono date altre 10 lire; nel 1574 a Francesca figlia di mastro Giorgio tiraloro ( fabbricante di fili d'oro per la tessitura), sposa di Bartolomeo, tessitore di tessuti di raso, vengono date 14 lire (AOPPV, EE 1, c. 29, 45; EE 2, c. 13). Queste somme di danaro sono un aiuto importante per tutte le nuove famiglie, ma diventano un sussidio prezioso allorché si trasformano in un investimento produttivo come quando, nel 1567, il marito di Domenica, figlia di Michele, "lanarolo", chiede di poter spendere parte dei danari ricevuti dall'istituzione 11 anni prima, al momento del matrimonio, 25 lire, per investirli "nel suo esercizio di tessere taffetani" (AOPPV, EE 1, c. 65, 5).6 Cosí a Caterina figlia di un Battis ta facchino vengono date 10 lire per pagare l'istrumento dotale nel 1560 e, nello stesso anno vengono offerte soltanto 8 lire alla figlia di madonna Alessandra che fu moglie di un tintore per comperare una "lettiera" mentre a Camilla, sposa di un cocchiere della grande famiglia Albergati, vengono concesse 10 lire nel 1571 "per bisogno di vestire la sposa" (AOPPV, EE 1, c. 16, 99). Nell'elargizione dei sussidi dotali lo sguardo protettivo dell'Opera si allarga fino ad abbracciare una povertà assai lontana da quella collocazione sociale che giustifica la vergogna e l'aiuto: nel 1560 viene beneficiata con 12 lire la figlia di una madonna Cinzia che serve le suore del convento del Corpus Domini e nel 1569 una ragazza figlia di un fabbro, lei stessa serva, riceve la somma di 28 lire (AOPPV, EE 1, c. 79). 5 Dalle fonti non risulta chiaro se il numero di 26 comprendesse anche alcune persone di governo. 6 Sulle modalitá con le quali venivano concesse le doti di un'importante istituzione assistenziale bolognese si veda Ciammitti, 1983. 441 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 Caterina, di cui si è già detto, non è l'unica figlia di facchino beneficiata (AOPPV, EE 1, cc. 16, 24). I sussidi dotali potrebbero quindi costituire, almeno in parte, la beneficenza indirizzata a quelli che erano stati definiti "necessitosi", gente alla quale mendicare non dovrebbe arrecare troppa vergogna, secondo la definizione del capitolo del 1567. Eppure la carità dell'Opera raggiunge anche individui collocabili nella scala sociale ben al di sotto della categoria dei "necessitosi": nel 1564 Paola, figlia di Francesco, guardiano delle prigioni, riceve 24 lire (AOPPV, EE 1, c. 28). Se pensiamo all'infimo livello sociale degli sbirri e di tutti coloro che avevano a che fare coi malviventi, questo sussidio sembra raggiungere un gruppo completamente privo di una qualsiasi onorabilità. Lo scarto tra l'ideologia dichiarata e la pratica as-sistenziale segnala una serie di problemi che affronteremo più avanti. Adesso torniamo alla natura dell'onore dei vergognosi che, come si è detto in precedenza, rispecchia, in gran parte, il rapporto che gli individui vivono con la città. Vediamo allora quali legami caratterizzano le beneficiarie di sussidi dotali. In maggioranza naturalmente si tratta di bolognesi che sposano bolognesi, tuttavia tra di loro alcune sono figlie di forestieri trapiantati a Bologna e altre sposano dei forestieri, ma non si tratta di scambi matrimoniali endogamici al gruppo dei nuovi arrivati, bensi di alleanze tra forestieri e famiglie bolognesi, modalità attraverso la quale si realizzava e si completava l'integrazione alla città. Infatti il matrimonio con giovani bolognesi dotate da istituzioni assistenziali non soltanto garantiva una moglie integra, di buona moralità e ben inserita nella comunità, ma dava la possibilità di incominciare un rapporto con le istituzioni cittadine in grado di evolversi felicemente fino al-l'acquisizione della cittadinanza. Una moglie bolognese e dei figli nati in città, dimostrando la volontà di radicamento, erano infatti elementi che grandemente favorivano la concessione della cittadinanza da parte del Senato (Angelozzi, Casanova, 2000, 33, 180). I forestieri provengono in parte dal contado e in parte da luoghi più lontani: per esempio nel 1560 vengono date 20 lire alla figlia di un genovese e un anno dopo 25 lire alla figlia di un piacentino, nel 1570 un altro sussidio di 20 lire viene erogato per la figlia di un mastro Emilio proveniente da S. Giorgio, nel contado bolognese (AOPPV, EE 1, c. 17, 19, 96). Simmetricamente nel 1566 Marsibilia Spisi sposa un mastro di legname del contado, Bartolomeo Consoni di Crevalcore, nello stesso anno Angela Belitelli sposa uno stampatore di Malalbergo, nel '71 un'altra ragazza si accasa con tessitore di lana di Cento, nel 1573 Caterina Gabrielli sposa Marco, genovese, di professione tessitore e queste non sono le uniche che si accasano con uomini di origine non bolognese, ne troviamo altre accasate con persone di Modena, Lucca, Fano, Fabriano, Venezia ecc. (AOPPV, EE 1, c. 45, 53, 1, 112; EE 2, c. 3).7 Col passare del tempo pero, analogamente a quanto si è già visto per il conservatorio, il possesso della cittadinanza sembra diventare un requisito sempre più 7 Le due località di Malalbergo e di Cento sono nella pianura ferrarese. 442 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 importante, anche se non imprescindibile, e nel 1605 Elena di Francesco Colarini, proveniente da una localita del contado, riesce ad ottenere un sussidio dotale di 12 lire forse soltanto grazie all'interessamento del padre spirituale della Compagnia (AOPPV, EE 2, c. 251). Questi scambi matrimoniali, che sicuramente avvengono con l'approvazione delle famiglie delle giovani e con l'appoggio dell'istituzione, confermano l'ipotesi di una citta disposta ad accogliere e, anche, ad integrare i forestieri. I sussidi dotali dell'Opera donano dunque un po' di serenita a molte coppie che certamente non appartengono ai ceti privilegiati e il cui grado di onorabilita e sicuramente modesto facendo supporre che molte di loro appartengano al gruppo dei "necessitosi". Del resto se, per individuare la fisionomia dei poveri che godevano di questi aiuti, scorriamo gli statuti, scopriamo che i sussidi dotali negli statuti, semplicemente, non esistono. Di essi, del loro ammontare, delle aventi diritto, delle modalita di as-segnazione non si parla fino al 1661, quando, nei decreti del Libro Bianco, si afferma soltanto che non si possa destinare "veruna sorta di legato, dote o sussidio dotale ed altra elemosina tanto per maritare, tanto per farsi religiosi o per qualunque altra causa, sin tanto che non saranno effettivamente riscossi li denari" (AOPPV, EE 170, Copia, c. 15). Insomma nessuna elargizione senza la disponibilita di cassa, ma si da per scontata la donazione di queste somme di danaro, senza tuttavia specificare alcunché circa i destinatari. Questo silenzio farebbe credere che essi siano, naturalmente, i vergognosi, ma come abbiamo visto nell'analisi della pratica assistenziale i contorni di queste figure diventano a tal punto evanescenti da essere difficilmente riconoscibili. In verita la normativa non indica i destinatari di questo tipo di aiuti, ma ci illumina circa la sua provenienza permettendoci di avanzare delle ipotesi. Infatti quando nel 1667 si specificano le mansioni del computista, uno degli impiegati dell'Opera, al capo 7° si dice che "li mandati di pagamento da farsi de sussidii dotali destinati dalla Congregatione a povere giovani per maritarsi per addempimento de legati, li spedira ogni volta che le sara esibito il decreto della Congregatione" (AOPPV, EE 170, Copia, c. 43, 44). In questa frase sta, con ogni probabilita, la spiegazione del problema: la Compagnia dei Poveri Vergognosi, impegnata nella distribuzione settimanale delle elemosine e piu tardi nella gestione del conservatorio, non aveva tra i propri obiettivi dichiarati la distribuzione di elemosine dotali e pertanto non aveva redatto una normativa che ne regolasse la distribuzione, tuttavia i numerosi legati testamentan che a questo fine le vennero lasciati la obbligarono ad operare anche in questo settore. Ma la necessita di rispettare la volonta dei testatori impediva all'Opera di emettere un regolamento coerente con le proprie finalita istituzionali, mentre invece occorreva seguire il piu possibile le indicazioni fornite dai benefattori. Sappiamo infatti che nel 1592 furono annullate delle elemosine che erano state destinate contravvenendo ai vincoli testamentari e, proprio per poter ot- 443 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 temperare meglio alla volonta dei benefattori, si decise nel 1602 di mettere in ordine e di riunire tutte le indicazioni che accompagnavano i legati "acció si possi con piu facilita eseguire la mente dei testatori e non commettere errore alcuno" (AOPPV, EE 2, c. 191, 186). Ma se andiamo ad analizzare i testamenti troviamo una straordinaria varieta di orientamenti che, lungi dal designare come beneficiarie semplicemente le povere vergognose, di volta in volta, tendono a privilegiare la cittadina, l'abitante di una certa parrocchia, l'orfana di padre, la non nobile, la putta di S. Marta o di un altro conservatorio cittadino (AOPPV, EE 170, Incombenze). Talvolta si vuole destinare il legato soltanto a qualche povera fanciulla. Qualche benefattore stabilisce che sia il piu anziano della propria famiglia ad assegnare l'elemosina ad una fanciulla designata dall'Opera controllandone in tal modo l'operato (AOPPV, EE 2, c. 300).8 Diversi testatori, al contrario, si astengono da qualunque prescrizione rimandando diret-tamente alla Compagnia la scelta della fanciulla da aiutare. Questo significa che agli occhi di molti la condizione di povera vergognosa non aveva affatto un profilo preciso e, in fondo, non era nemmeno imprescindibile. D'altro canto l'indeter-minatezza di parecchi testamenti lasciava ai procuratori dell'Opera una certa liberta nella scelta delle beneficiarie delle elemosine creando la possibilita di intervenire in aiuto di persone, come abbiamo visto, anche di modestissima estrazione. Che ne e allora della soglia minima di onorabilita necessaria per accedere agli aiuti concessi ai poveri vergognosi? Osserviamo innanzi tutto che la politica assistenziale dell'Opera era si rivolta ai gruppi sociali piu diversi, ma che l'assistenza non veniva data in maniera indif-ferenziata: sovvenire una famiglia fornendo i beni di prima necessita in misura diversa secondo il ceto, ricoverare una ragazza in consevatorio per 5-8 anni gratuitamente o a parziale carico della famiglia, fornendo in taluni casi anche una dote, sovvenire con un sussidio dotale di poche lire o, invece, di rilevante quantita sono modalita significative di rapporti specifici tra i vari gruppi e l'istituzione.9 Da questa osservazione deduciamo che i tentativi di assicurare gli aiuti soltanto a chi ne avesse veramente diritto, secondo l'impostazione elitaria dell'istituzione, almeno per il periodo qui preso in esame, cioe dalla meta del XVI secolo ai primi due decenni del XVII, non ebbero pieno successo. La ragione prima sta probabilmente nell'enorme importanza attribuita all'onore sessuale: tutte le fanciulle dovevano essere aiutate a salvaguardare il proprio onore e quindi tutte, in linea di principio, avevano diritto all'aiuto. Ma forse anche altri motivi giocavano un ruolo rilevante: la citta godeva di un notevole sviluppo economico e quindi favoriva l'immigrazione di 8 È il più anziano della famiglia Scappi che controlla l'assegnazione di un legato del cardinale Ugolino Scappi ad una fanciulla bisognosa. 9 Una notevole complessità nell'assistenza ai vergognosi viene intravista anche per Firenze medievale (Spicciani, 1985). 444 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 forestieri che, una volta inseritisi, non potevano non essere aiutati. Il barbiere padovano non avrebbe probabilmente lasciato alcun legato a S. Marta se non si fosse sentito accolto, se non avesse visto che i forestieri che erano stati meno fortunati di lui erano venivano aiutati. L'ipotesi piu probabile e che l'Opera abbia affrontato la questione in maniera pragmatica aiutando molti, ma differenziando gli aiuti in relazione ai livelli di onorabilita dei postulanti. Non a caso nel XVIII secolo, quando l'economia di Bologna e ormai irri-mediabilmente asfittica e la popolazione in lento, ma sicuro declino, non si deroghera mai dal requisito del possesso della cittadinanza per ammettere le fanciulle in S. Marta. L'onore dei poveri vergognosi, insomma, lungi dall'essere definito una volta per tutte, si dimostra un bene prezioso e deperibile, sensibile alla temperie economica, politica e culturale nonché ai suoi mutamenti. ČAST OSRAMOČENIH OBUBOŽANCEV. PRIMER IZ BOLOGNE. Lucia FERRANTE Universita di Bologna, Dipartimento di Discipline Storiche, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2 POVZETEK Pričujoče delo skuša raziskati problem časti osramočenih obubožancev. Raven njihove osramočenosti je bila proporcionalna s častjo, ki so jo uživali kot pripadniki višjih družbenih stanov. Zaradi tega so jim pomoč ponavadi nudili na skrito ali zelo diskretno. Dokumentacijo o uživalcih pomoči so pogosto uničili, da ne bi nihče mogel izvedeti v kako obubožanih razmerah so živeli. Zato je to tematiko zelo težko raziskovati. Osnova pričujočega dela so dokumenti, ki so se, na srečo, ohranili v arhivu Dobrodelne ustanove za osramočene obubožance (Archivio dell'Opera Pia dei Poveri Vergognosi) v Bologni. Raziskava zajema obdobje od približno polovice 16. stoletja pa do prvih desetletij 17. stoletja. Ko govorimo o osramočenih obubožancih je očitno, da mislimo na deklasirane pripadnike višjih stanov, vendar pa ni jasno, kako visoko na družbeni lestvici so stanovi, ki jih ta opredelitev zajame. Plemstvo ima namreč že po naravi dovolj časti, da sodi v to kategorijo, manj trdnih podatkov imamo o tem, katere druge skupine so še bile deležne pomoči za osramočene obubožance. Zato smo s to raziskavo želeli ugotoviti, kateri je bil najnižji prag časti, ki je še dajal pravico za prejemanje pomoči od Dobrodelne ustanove. Uporabljeni viri so tako s področja predpisov, kot s področja upravljanja. Viri s področja predpisov govorijo o tem, da je Dobrodelna ustanova šele leta 1567, to je 445 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia EERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 šestdeset let po začetku svoje dejavnosti, začutila potrebo po opredelitvi socialnega profila osramočenega obubožanca, v katerega naj bi poleg plemstva sodili tudi "meščani", trgovci, obrtniki, lastniki nekega premoženja, ki so bili Bolonjci ali pa dolgoletni stalni prebivalci mesta. Skratka, šlo je za sicer zelo različne osebe, ki pa so bile z mestom v trdnih in dobrih odnosih. Vzrok temu je bila verjetno velika finančna obveza, izhajajoča iz upravljanja konservatorija sv. Marte. Dejavnost konservatorija in številne dotalne pomoči pričajo o izjemni pozornosti, namenjeni ne le javni, temveč tudi spolni časti. So pa tudi zelo protislovne, saj je elitistična ideologija po eni strani izključevala pomoč za pripadnike nizkih slojev prebivalstva, po drugi strani pa je prav nuja po ohranjanju časti vseh bolonjskih deklet nalagala nudenje pomoči mladenkam najnižjega stanu. Dobrodelna ustanova je torej dolgo omahovala med nujo po privilegiranju najvišjih stanov in moralnim imperativom po nudenju pomoči vsem dekletom v nevarnosti. Poleg tega se je pojem časti vseskozi spreminjal, nanj so vplivale ekonomske in družbene spremembe. V 16. stoletju, recimo, ko sta bila za bolonjsko gospodarstvo značilna močan ekonomski razvoj in geografska ter družbena mobilnost, so bili deležni pomoči tudi tujci, ki so dlje časa prebivali v mestu, medtem ko je bil sčasoma, in še posebej po ekonomskem zatonu Bologne, katerega posledica je bila manjša geografska in družbena mobilnost, status stalnega meščana vse bolj pomemben in neizogiben pogoj. Ključne besede: osramočeni obubožanci, čast, Bologna, novi vek FONTI E BIBLIOGRAFIA AOPPV, DD 37 - Archivio Opera Pia Poveri Vergognosi (AOPPV), Bologna. 1696 Copia del calcolo mandato a Roma all'em.mo e rev.mo signor cardinale Giaco-mo Boncompagni li 18 aprile anno sudetto. AOPPV, EE 1 - Serie archivistica EE, nro di inv. 1. AOPPV, EE 2 - Serie archivistica EE, nro di inv. 2. AOPPV, EE 57 bis - Serie archivistica EE, nro.di inv. 57 bis. AOPPV, EE 170, Copia - Copia dei decreti registrati nel Libro Bianco. AOPPV, EE 170, Incombenze - Incombenze e notizie per tutte le assonterie del- l'opera de Vergognosi e signori priori e visitatori delle putte di Santa Marta. AOPPV, EE 170, Quivi - Quivi cominciano li statuti e capitoli della compagnia del- li procuratori delli poveri cittadini vergognosi di Bologna fatti nell'anno 1495. AOPPV, EE 170, Statuti - Statuti, capitoli e provisioni cominciati dell'anno 1554 dalli procuratori e governatori dellOpera de Vergognosi e Putte di Santa Marta sopra il buon governo dell'una e dell'altra delle suddette opere e che terminano dell'anno 1646. 446 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 AOPPV, GG 100 - Serie archivistica GG, nro.di inv. 100. Angelozzi, G., Casanova, C. (2000): Diventare cittadini. La cittadinanza ex privilegio a Bologna (secoli XVI- XVIII). Biblioteca de 'TArchiginnasio", III, 1. Bologna. Belotti, G. (1995): La virtu e la carita, orfane, citelle, convertite. I conservatori bresciani e il caso Castegnato. Castegnato, Fondazione civilta bresciana. Carboni, M. (1999): Le doti della "poverta". Famiglia, risparmio, previdenza: il Monte del Matrimonio di Bologna (1583-1796). Bologna, Il Mulino. Cavallo, S. (1995): Charity and Power in Early Modern Italy. Benefactors and their Motives in Turin, 1541-1789. Cambridge, Cambridge University Press. Chabot, I., Fornasari, M. (1997): L'economia della carita. Le doti del Monte di Pieta di Bologna (secoli XVI-XX). Bologna, Il Mulino. Ciammitti, L. (1983): Quanto costa essere normali. La dote nel Conservatorio fem-minile di Santa Maria del Baraccano (1630-1680). Quaderni Storici 53. Bologna, Il Mulino, 469-497. Ciammitti, L. (1986): La dote come rendita. Note sull'assistenza a Bologna nei secoli XVI-XVIII. In: Prodi, P. (ed.): Forme e soggetti dell'intervento assi-stenziale in una citta di antico regime. Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 111-132. Cohen, S. (1992): The Evolution of Women's Asylums since 1500. From Refuges for ex-Prostitutes to Shelters for Battered Women. Oxford, Oxford University Press. Costa, P. (1999): Civitas, storia della cittadinanza in Europa. Dalla civilta comunale al Settecento. Roma-Bari, Laterza. Ferrante, L. (1983): L'onore ritrovato. Donne nella Casa del soccorso di San Paolo a Bologna (secc. XVI-XVII). Quaderni Storici 53. Bologna, Il Mulino, 499-527. Ferrante, L. (1986): "Malmaritate" tra assistenza e punizione (Bologna secc. XVI-XVII). In: Prodi, P. (ed.): Forme e soggetti dell'intervento assistenziale in una citta di antico regime. Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 65-109. Fanti, M. (ed.) (1984): Gli archivi delle istituzioni di carita e assistenza attive in Bologna nel Medioevo e in Eta Moderna. Bologna, Istituto per la storia di Bologna. Fubini Leuzzi, M. (1999): "Condurre a onore". Famiglia, matrimonio e assistenza dotale a Firenze in Eta Moderna. Firenze, Leo S. Olschki Editore. Gazzini, M. (1998): Devozione, solidarieta e assistenza a Milano nel primo Quattrocento: gli statuti della Scuola della Divinita. Studi di storia medioevale e diplomatica, 12-13. Como, Edizioni New Press, 91-120. Groppi, A. (1994): I conservatori della virtu. Donne recluse nella Roma dei Papi. Roma-Bari, Laterza. Molho, A. (1994): Marriage Alliance in Late Medieval Florence. Cambridge Mass., Harvard University Press. 447 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Lucia FERRANTE: L'ONORE DEI POVERI VERGOGNOSI. IL CASO DI BOLOGNA , 431-448 Prodi, P. (ed.) (1986): Forme e soggetti dell'intervento assistenziale in una citta di antico regime. Bologna, Istituto per la storia di Bologna. Pitt-Rivers, J. (1977): The Fate of Shechem, or Politics of Sex. Essays in Anthropology of the Mediterranean. Cambridge, Cambridge University Press. Ricci, G. (1966): Poverta, vergogna, superbia. I declassati fra Medioevo e Eta Moderna. Bologna, Il Mulino. Spicciani, A. (1985): I poveri vergognosi e l'arte dei mercanti di Calimala nella prima meta del Trecento. Aspetti della vita economica medievale. Firenze, Istituto di Storia Economica, 803-842. Zamagni, V. (ed): Povertá e innovazioni istituzionali in Italia dal medioevo a oggi. Bologna, Il Mulino. 448