received: 2011-04-10 UDC 316.77:394.46(450.36)"1945/1947" original scientific article IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, TRA MANIPOLAZIONI DELLA STORIA E COSTRUZIONE DELLE IDENTITÀ NEL SECONDO DOPOGUERRA Alessandra CATTUNAR Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM), Palazzo Cavalcanti, Via Toledo 348, 80132 Napoli, Italia e-mail: cattunar@gmail.com SINTESI L 'articala prapane un'analisi delle strategie discarsive adattate dai quatidiani di diversa arientamenta palitica e nazianale in relaziane agli "scantri" per l'affermaziane delle giornate commemorative che si verificarono nella Zona A della Venezia Giulia tra 1945 e 1947. Al centro della contesa fra lo schieramento filo italiano e quello filo ju-gaslava si travana sia il tentativa di legittimaziane di alcuni "giarni del ricarda" (in particalare 25 aprile, 1 maggia), sia l'interpretaziane degli eventi ad essi legati. Le nar-razioni proposte dai quotidiani appaiono emozionanti ed efficaci, in grado di creare una farte mabilitaziane. Per evidenziare questi effetti perfarmativi diretti sulla papalaziane, l'analisi si safferma in particalare sugli aspetti narrativi, retarici e linguistici degli arti-cali, da cui riemergana le strutture di quel discarsa nazianal-patriattica farmulata già in età risargimentale e partata all'apice in epaca fascista. Parale chiave: commemorazioni, Primo maggio, 25 aprile, Zona A, Governo militare alleata, stampa THE DISPUTED CALENDAR. COMMEMORATIONS AT THE BORDER, BETWEEN MANIPULATIONS OF HISTORY AND CONSTRUCTIONS OF IDENTITY IN THE AFTERMATH OF WWII ABSTRACT The article presents an analysis of discursive strategies adopted by newspapers of opposing political and national orientation in relation to the "fights" for establishing commemorative days, which occurred in Zone A of the Venezia Giulia region between 1945 and 1947. At the heart of the dispute between the pro-Italian and pro-Yugoslav line-ups were both the attempt at legitimising determinate "remembrance days" (25th April and 1st May, in particular) and the interpretation of the events celebrated by them. The narratives offered by the daily newspapers were moving and efficient, capable of creating a massive mobilisation. In order to highlight these direct performative impacts on the population, the analysis focuses in particular on the narrative, rhetorical and lin- Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 guistic aspects of the articles, which regurgitate the structures of that national-patriotic discourse that had formed even in the period of Risorgimento and reached its apogee during Fascism. Key words: commemorations, 1st May, 25th April, Zone A, Allied Military Government, press Prestando attenzione al calendario, ci si rende fácilmente conto di come le ricorrenze legate alla complessa storia dell'area di confine tra Italia e Slovenia siano estremamente numerose. Ai festeggiamenti in occasione del 25 aprile, 27 aprile e 1 maggio (Worsdorfer, 2009, 218), infatti, si sono andate ad aggiungere le celebrazioni che ogni Stato ha deciso di istituire come "giornate del ricordo": in Italia si e optato per il 10 febbraio, in Slovenia per il 15 settembre mentre in Croazia per il 25 settembre (Crainz, 2008, 189-190). Questa tendenza ad attribuire grande importanza alle giornate commemorative lungo la frontiera si puo riscontrare giá nell'immediato dopoguerra. A tal proposito, vorrei sof-fermare l'attenzione su quella che potrebbe essere definita una vera e propria "lotta per le date" messa in atto nella Zona A della Venezia Giulia (e in particolare a Gorizia e a Trieste) tra 1945 e 1947, focalizzando l'analisi in particolare sugli universi discorsivi che vennero a formarsi relativamente a queste giornate cosi come emergono dai principali quotidiani dell'epoca e dalle lettere che diverse associazioni (filo italiane e filo jugoslave) inviarono al Gma (Governo militare alleato). In un periodo segnato da una forte incertezza riguardo alla collocazione nazionale della Venezia Giulia e da una crescente polarizzazione dello scontro, la manipolazione della tradizione operata dai quotidiani di opposta tendenza risulto centrale. Le rispettive operazioni di rilettura del passato e di uso pubblico dei recentissimi eventi storici trova-rono un campo di battaglia privilegiato proprio in occasione delle cerimonie e celebrazioni. Oggetto della contesa furono sia il riconoscimento e la legittimazione dei "giorni da ricordare", sia l'interpretazione degli eventi ad essi legati. Vennero cosi a crearsi nuove narrative politico-nazionali conflittuali che si riallacciano in modo piuttosto esplicito a mitologie, simbologie e strategie retoriche ormai consolidate. In particolare sembrano riaffermarsi con forza le strutture di quel discorso nazional-patriottico - formulato giá in eta risorgimentale e portato all'apice, sia dal punto di vista linguistico che di efficacia, in epoca fascista - che nel dopoguerra, in Italia, si era cercato di mettere al bando (Banti, 2011, 203). In questa prospettiva provero a soffermarmi soprattutto su alcuni espedienti linguistici e retorici facendo emergere anche il ruolo assunto da determinate parole chiave che si ritrovano al centro di uno "scontro di definizioni" che caratterizzo piu in generale tutto il periodo compreso tra il 1945 e il 1947. In questa sede prendero in considerazione unicamente la dimensione discorsiva, in quanto credo abbia avuto degli effetti performativi diretti sulle percezioni e sul modo di agire della popolazione: si tratta di discorsi emozionati, che "sanno toccare il cuore di un numero crescente di persone" (Banti, 2011, VI). Se, infatti, poteva accadere che le Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 celebrazioni in quanto tali si rivolgessero solo ad una ristretta fascia della popolazione, i discorsi che nei giorni antecedenti e successivi saturarono le pagine di tutti i principali quotidiani riuscirono probabilmente ad ottenere quell'"autentica risonanza popolare" che anche Hobsbawm e Ranger evidenziano come necessaria per una effettiva mobilitazione (Hobsbawm, Ranger, 1994, 253-254). Credo che questi effetti possano trovare una conferma sia nelle lettere ufficiali invi-ate alle autorità alleate da parte delle principali associazioni politiche e nazionali sia nei ricordi e nei racconti di vita dei testimoni. Da oltre 45 testimonianze raccolte nel corso degli ultimi cinque anni, infatti, risulta evidente come le date che si trovarono al centro del dibattito pubblico nell'immediato dopoguerra e le valenze storiche, politiche ed ideo-logiche di cui vennero caricate, diventino elementi fondamentali nella strutturazione e nella narrazione dei ricordi da parte di molte persone (Cattunar, 2010; 2011). Le celebrazioni svolte negli anni in cui la definizione del confine era ancora incerta e gli universi discorsivi ad esse riferiti sono oggetti di studio particolarmente interes-santi perché rappresentano una tappa fondamentale di quei processi di negoziazione della verità storica (Ballinger, 2010, 86) e di invenzione della tradizione che iniziarono a pale-sarsi già pochi mesi dopo la fine della guerra. La commemorazione, in quanto "processo di istituzionalizzazione di un ricordo" (Jedlowski, 2002, 99) che stabilisce e fissa nella sfera pubblica le "corrette" rappresentazioni di eventi ritenuti significativi da e per un determinato gruppo, divennero centrali soprattutto nel momento di massima tensione fra gli schieramenti filo-italiano e filo-jugoslavo, cioè nel 1946. Questa breve analisi si baserà principalmente su quattro delle testate maggiormente diffuse sul territorio goriziano: i quotidiani "La Voce libera", "Il Giornale alleato", "Il Lavoratore" e il settimanale "L'informatore".1 Furono soprattutto cinque i giorni al centro della contesa: il 25 aprile, il 27 aprile, il primo maggio, il 9 agosto e l'S settembre.2 Alcune di queste (in particolare il 27 aprile da un lato e il 9 agosto dall'altro) si configurano come un patrimonio di riferimento di un'unica comunità, tanto da essere assunte quasi come date fondative. Negli altri casi, la rilevanza dei giorni viene riconosciuta unanimemente dai due schieramenti ma le inter-pretazioni degli eventi ad essi collegati cambia in maniera sostanziale. I primi fermenti che preannunciarono l'imminente scoppio di quella che potrebbe essere definita una vera e propria "guerra delle celebrazioni" emersero quando il Governo militare alleato comunicó che anche nella Zona A il 25 aprile sarebbe stato considerato festa nazionale. Tale annuncio trovó immediato riscontro su tutte le testate. "La Voce libera", organo ufficiale del Cln (Comitato di liberazione nazionale), già nell'edizione pomeridiana inizió a promuovere le prime forme di mobilitazione: "Il Comitato di liberazione nazionale della Venezia Giulia invita ad esporre il tricolore nel primo anniversa-rio dell'insurrezione armata dell'Alta Italia (25 aprile), insurrezione che ha portato alla liberazione della Patria e alla fine del nazifascismo" (La Voce libera, 24. 4. 1946; Band-iere allefinestre nell'annuale dell'insurrezione, 1). 1 Per i dati sulla diffusione si veda (Ferrari, 1980, 219). 2 In questa sede, per motivi di spazio, potro proporre un'analisi dettagliata solo del 25 aprile e del 1 maggio. Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 Per quanto i toni appaiano piuttosto pacati bisogna notare l'utilizzo di un termine che sará ricorrente e che riveste un ruolo centrale all'interno delle piu ampie battaglie tra opposte narrative nazionali: patria. Definire cosa fosse la patria e a quale patria ap-partenessero Gorizia, Trieste e l'Istria rappresenta il cuore delle questione nazionale. Sul piano linguistico "'nazione' e 'patria' sono due termini che - per riflesso condizionato - si portano con sé una serie di formazioni valoriali specifiche che inducono a pensare la nazione come parentela, come discendenza di sangue, come memoria storica esclusiva e selettiva, come valorizzazione di narrazioni belliciste e maschiliste" (Banti, 2011, 207). Di primo acchito il termine patria potrebbe essere quindi considerato un sinonimo di nazione, ma, a ben vedere, si possono scorgere valenze alquanto differenti tra i due vo-caboli: nazione, indica generalmente un soggetto collettivo, un insieme di persone acco-munato da precise caratteristiche (genealogiche, culturali, linguistiche o territoriali) che detiene una qualche forma di sovranitá. Patria, invece, assume una varietá di definizioni e di significati molto piu ampia: puo rappresentare semplicemente il sistema statale a cui ci si sente di appartenere, ma in genere si riferisce a qualcosa di piu interiore, sentimentale, profondamente legato all'identitá di ciascun individuo. "No: lo straniero, anche con le migliori intenzioni, non puo che portare se stesso: la liberta noi e soltanto noi possiamo darcela, soltanto in quella espressione spirituale di noi stessi che é la Patria, noi possiamo trovarla. Tutta la somma di dolori e di sofferenze che abbiamo patito ci porta ad affermare questo. Per questo, noi amiamo, abbiamo e chiediamo il diritto di amare l'Italia. Epossiamo dire di piu, e non é la cosa meno importante, che soltanto attraverso l'Italia, attraverso la nostra Patria, noi possiamo riuscire a comprendere le altre patrie, perché chi non é libero, chi é senza Patria, non puo amare e comprendere la Patria degli altri" (La Voce libera, 2. 10. 1945; Diritto alla liberta. Un ordine del giorno votato dall'Universitá di Trieste, 1). Se il termine patria viene assunto nell'accezione di terra dei padri e si considera il fatto che spesso veniva collegato alla parola "madre" - diventando "madre patria" -emerge con forza una concezione della nazione come comunitá parentale/famigliare, ambito che Alberto Banti annovera tra le figure profonde del discorso nazional-patriottico (Banti, 2011, VII): "e cosi se la patria e una donna o una madre, i suoi figli, proprio per questa comune discendenza, sono tutti legati tra di loro da un vincolo di fratellanza" (Banti, 2006, 67-68). "Ma gli Slavi ci presentano il conto di ottomila morti: la rivalsa sarebbe il distacco di cinquecentomila italiani dalla grande madre patria, ricca di millenaria civiltá, con una delle sue maggiori cittá" (La Voce libera, 26. 7. 1945, Messa a punto, 1). Da questo breve stralcio tratto da "La Voce libera" emerge chiaramente anche un'altra interessante associazione lessicale e concettuale, che riguarda tre termini: patria, civiltá e cittá. Tra 1945 e 1947 sono piuttosto numerosi gli articoli e i commenti di matrice filo-italiana che, per avvalorare la propria tesi nazionale, tendono ad evidenziare ed esacer-bare un mitico contrasto tra un'unica vera civiltá, quella italiana e cittadina, e una "cultura" slava, essenzialmente campagnola, che con difficoltá puo essere elevata al rango di Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 civiltà. Il fine neanche troppo implicito è quello di sottolineare le differenze tra le due principali componenti della popolazione e stabilire una chiara gerarchia.3 Gli esempi da riportare sarebbero numerosi ed estremamente variegati: mi limitera a segnalare due brani che possono rappresentare in modo abbastanza fedele le strategie discorsive adottate. "Il sano popolo giuliano è positivo e come tale non pud allontanarsi dalle tradizio-ni secolari che hanno guidato la sua vita [...] Italia e Venezia Giulia sintesi di lotta e baluardo proteso verso altri mondi, altre civiltà, crogiuolo di popoli nella sintesi superiore della civiltà occidentale, della civiltà italiana" (La Voce libera, 24. 7. 1945, Delusioni, 1). "Un nostro compagno del Partito d'Azione recatosi a Padova ha potuto avere un colloquio con il prof. Concetto Marchesi. [...] Riteniamo che Trieste debba rimanere all'Italia perché questa è la volontà della maggioranza della popolazione, perché la civiltà italiana è ivi superiore e più antica, perché la sua attività sul mare ha bisogno di gente di mare. [...] Noi, dovendo essere il ponte di unione tra i popoli, riconosciamo cid che è giusto, ma siamo contro ogni eccesso di nazionalismo da ambo le parti" (La Voce libera, 11. S. 1945, Un laceratore di manifesti, 2). Se ritorniamo alle molteplici declinazioni che puô assumere il lemma patria, bisogna evidenziare come tale vocabolo si ricolleghi immediatamente anche all'esperienza risor-gimentale, quando una patria unitaria era stata profondamente voluta, e il concetto di patria era stato letteralmente (re)inventato, costruito e proposto alla popolazione della penisola. Il termine si caricô poi di nuove interpretazioni e ulteriori implicazioni ideolo-giche in quanto divenne la parola chiave della retorica legata alla Prima guerra mondiale. Ed è in questo legame tra Risorgimento, Prima guerra mondiale e lotta di liberazione che si realizza attraverso la mediazione del termine patria che possiamo riscontare uno dei nuclei fondanti del discorso nazionale italiano: dopo la disastrosa fine della seconda guerra mondiale, infatti, non furono rari i tentativi di creare una sorta di continuité fra la lotta partigiana di matrice italiana e quel "secondo Risorgimento" rappresentato proprio dal primo conflitto mondiale.4 È all'interno di questa rete di connessioni discorsive che bisogna collocare la lotta intrapresa dalla componente filo italiana della popolazione per il riconoscimento del 25 aprile come festa nazionale, in quanto si configurava come un elemento simbolico fondamentale nella lotta per l'appartenenza della Venezia Giulia all'Italia. Non è un caso se le commemorazioni per il 25 aprile 1946 a Gorizia si svolsero al parco della Rimembranza, davanti al monumento in onore dei caduti della Prima guerra mondiale inaugurate dal fascismo e successivamente distrutto dai domobranci. La stampa diede ampia visibilité all'evento. L'intenzione esplicita degli articoli pubblicati su "La Voce libera" sembrava essere quella di avvalorare una lettura del passato che vedeva la 3 A questo riguardo si veda la "contesa" tra Raoul Pupo e Marta Verginella sulle pagine di Contemporánea: (Verginella, 2008; Pupo, 2009). 4 La connessione tra Prima guerra mondiale e Risorgimento si ritrova già in alcuni scritti del 1939 di Silvio Benco che poi divenne uno dei principali editorialisti de "La Voce libera": "[...] la grande guerra si riallac-ciô tutta, spiritualmente, al Risorgimento incompiuto" (Baroni, 1939, III). Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 Venezia Giulia liberata únicamente dai partigiani italiani, uomini mossi da un forte senti-mento nazionale che diventava anelito universale verso la libertà. In questo senso, appare particolarmente chiaro un articolo pubblicato il 25 aprile, su otto colonne: "25 APRILE Non tanto fermare nel tempo il ricordo di avvenimenti vissuti, quanto segnare nella storia del travaglio umanoper la libertà l'espressione genuina di un'anima e i tratti in-confondibili di un volto, che è quello dell'Italia: ecco il significato del 25 aprile; la data non ci consente di pensare soltanto alla fase finale della lotta anti-nazista, ma ci ricol-lega ai moti del risorgimento, ai tempi che vedevano i nomi della città italiane scaturire come scintille nel buio mondo intorpidito dalla tirannide e già scosso in ogni sua parte da vividi risvegli di coscienza popolare, si che la volontà della gente italiana appariva come parte indissolubile di una volontà universale e in questa distinguibile solo per il modo di esprimersi. 'Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta!'- Ieri come oggi [...] nel manifestarsi più col canto e con l'esplosione di gioia che col sordo livore e con la sete di sangue, è la caratte-ristica dell'anima popolare italiana, la quale non per questo soffre di debolezza di fibra, ma gode semplicemente ilfrutto d'una chiara e serena concezione di vita. [...] vediamo in fine il sacrificio dei 20 mila fra i nostri giovani migliori, che nella lotta per la liberazione del suolo patrio vollero dare le loro forze fin al di là dei limiti della vita. Ma ilgiubilo della liberazione si è fermato allora al di là dell'Isonzo, e non canti di gioia ci furono per questo estremo lembo d'Italia, ma l'inizio di una dura quarantena. Appena il 12 giugno è apparsa tra noi la gioia del 25 aprile italiano, ma in una morti-ficata, anche se incontenibile, manifestazione; e solo il 27 marzo di quest'anno, dopo il graduale affrancamento dal terrore, l'anima dell'Italia ha parlato a Trieste senza più limitazioni di voce. L 'aurora del nostro giorno è spuntata, ed ora per un futuro che sen-tiamo prossimo e che vorremmo imminente, attendiamo il sole a meriggio, il nostro pieno 25 aprile; ma l'attendiamo con un'ansia che è già divenuta certezza" (La Voce libera, 24. 4. 1946, Anniversario dell'insurrezione italiana. Gloria ai caduti bandiere al vento, 1). Il discorso risulta estremamente efficace innanzitutto perché, oltre agli espliciti rif-erimenti alla patria come comunità familiare, si ritrovano molti dei tropi che Banti ricol-lega al discorso nazional-patriottico (Banti, 2006, 108-111): lo spirito di sacrificio "oltre i limiti della vita", il richiamo ad una volontà universale, la sottolineatura delle emo-zioni positive che contrastano con il "livore e la sete di sangue" degli avversari. L'anima e la morte, la gioia e il martirio, sono elementi particolarmente coinvolgenti in quanto profondamente legati a pulsioni, istinti e sentimenti primari. Ma se da un lato appaiono fondamentali i riferimenti alla definizione del sé, altrettanto importanti nella struttura-zione delle opposte narrative è l'immagine degli "altri" e degli "avversari". È interessante notare che, nell'articolo, non solo non si fa alcun cenno al ruolo fondamentale rivestito dalla resistenza slovena nella lotta di liberazione, ma agli "slavi" - che non vengono mai nominati ma la cui presenza aleggia come una sorta di ombra oscura - viene assegnato il ruolo di "nuovi nemici". Il 25 aprile - viene detto esplicitamente - non deve essere celebrata solamente la liberazione dal nazifascismo ma deve configurarsi come data simbolo di una più ampia lotta che vede come tappe fondamentali i moti risorgimentali, la Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 Prima guerra mondiale, la lotta partigiana e, infine, quella contro il "nemico" slavo e le sue mire annessionistiche. Già da questi primi elementi messi in evidenza si possono intuire i profondi legami che si instaurarono tra le narrazioni proposte dai quotidiani e l'affermazione di una memoria pubblica fondata su riletture del passato che avevano a che fare più con le esigenze del presente che con il tentativo di ricostruzione veritiera dei fatti. Il fattore nazionale e la creazione di un dualismo esacerbato tra una posizione filo italiana e una filo jugoslava divennero un vero e proprio catalizzatore, "caricandosi per entrambi gli schieramenti di contenuti politici e sociali, sino a diventare una chiave di lettura totalizzante per la storia della regione" (Ferrari, 1980, 216). Cosi, attraverso molteplici narrazioni, racconti, at-tribuzioni di significato, descrizioni del sé e dell'altro si consolidarono interpretazioni, immagini, miti fondativi riassumibili all'interno di due opposti master frames nazionali che ebbero delle ricadute concrete sul modo di agire e sulle decisioni assunte dalla popo-lazione (Rampazi, Tota, 2007; Affuso, 2010, 17). Di come reagi la controparte - e cioè il fronte comunista e filo-jugoslavo attraverso il suo giornale di riferimento in lingua italiana, "Il Lavoratore" - alle riletture del 25 aprile proposte da "La Voce libera" si dirà tra poco. Prima puó essere utile soffermarsi sul ruolo assunto dagli anglo-americani all'interno di questo dibattito e di questi scontri. Gli Alleati rappresentavano, in teoria, un'(id)entità "terza" che, almeno in una prima fase, cercó di mantenersi al di sopra, o almeno al di fuori, della contesa nazionale. Il Gma, soprattutto attraverso le pagine del suo organo di stampa ufficiale, "Il Giornale alleato", tentó di promuovere la propria immagine di arbitro super partes, garante delle sicurezza e dell'uguaglianza. Questo sforzo appare evidente innanzitutto dai toni per lo più pacati, dalle formule distaccate e ufficiali adottate, dalla mancanza di riferimenti espliciti ai vari contendenti e dalla quasi totale assenza di articoli di fondo, principale strumento di mo-bilitazione a disposizione dei quotidiani. Per quanto riguarda gli "scontri sulle date" il "Giornale Alleato" sembra farsi effet-tivamente promotore delle istanze delle forze di occupazione anglo-americane, dando ampio risalto alle commemorazioni che più strettamente le riguardavano, come il 6 aprile (American Army Day) e il 2 maggio (anniversario della resa dei tedeschi in Italia). Nel corso del 1946, pero, quando gli scontri nazionali si fecero più frequenti dopo l'arrivo della Commissione interalleata per la definizione dei confini, gli articoli del "Giornale Alleato" iniziarono a riproporre, seppur cautamente, alcune figure e alcune interpretazioni proprie della narrativa filo-italiana. "Cronaca Goriziana La cittadinanza italiana ha celebrata la ricarrenza del 25 aprile riunita attarna ai partigiani e ai reduci che nella latta clandestina seppera tenere testa al nemica armata ed equipaggiata. Nessun incidente ha turbata l'ardinepubblica [...] Per la ricarrenza la città era imbandierata di tricalari. La messa a Sant'Ignazio In suffragia ai Caduti il Principe Arcivescava ha celebrata una Messa [...] invitanda tutti ad elevare a Dia l'inna di ringraziamenta per la liberaziane attenuta dal papala con il sacrificio dei partigiani, che furono pronti a dare tutto per la grande causa della Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 libertà. Esortava a riprendere, in questoprimo anniversario della liberazione, l'opera di ricostruzione morale e materiale, deponendo ogni residuo di odio e di vendetta. Rievocando poi l'olocausto dei molti Caduti per la libertà, il Presule invitava alla preghiera di suffragioper le anime immortali degli Eroi! [...] Al parco della Rimembranza Poco dopo in piazza Vittoria si formava un corteo di cittadini con alla testa un gruppo dipartigiani e delle autorità. [...] Il corteo, al canto degli inni 'Piave'e 'Mameli', per-correva i due corsi cittadini e sostava quindi al Parco della Rimembranza, dinanzi al Monumento ai volontari goriziani caduti nella prima grande guerra mondiale. Deposte le tre corone d'alloro sulle sconvolte pietre del monumento, in omaggio ai compagni caduti nella guerra di redenzione, i presenti osservavano due minuti di raccoglimento. Quindi il Presidente di zona avv. Huges [...] ha rivolto brevi parole ai presenti per onorare i caduti per la libertà ed esaltare l'eroismo dei combattenti che hanno dato la libertà ai popoli della nuova Europa. 'Noi non odiamo nessuno, ha concluso l'avv. Huges, e confidiamo che i confini, che le grandi potenze decideranno, siano giusti. Ognuno deve avere libertà di lingua, di religione e di sentimento nazionale, e le proprie scuole. Evviva la libertà, l'uguaglianza e la pace'. Al canto dell''Inno di Mameli', e 'Un vessillo in alto sventola', intonati dai partigiani, si chiudeva la manifestazione [...]" (Il Giornale alleato, 26. 4. 1946, Le celebrazioni del 25 aprile. Commosso omaggio ai caduti nell'anniversario della liberazione, 1). I toni appaiono per lo più cronachistici e si nota il tentativo di riportare il contenuto dei discorsi ufficiali evitando la formulazione di giudizi, prese di posizione e commenti espliciti. I richiami principali sono senz'altro quelli al rispetto delle libertà fondamen-tali di lingua, religione e sentimento nazionale, di cui gli Alleati si erano resi paladini e di cui ribadivano con insistenza l'assoluta necessità. Le parole d'ordine riaffermate -libertà, uguaglianza e pace - sono comuni a quelle rivendicate sia dal fronte filo-italiano sia da quello filo jugoslavo. Viene poi evidenziato il ruolo fondamentale svolto dal Gma nel mantenimento dell'ordine pubblico. Tutti questi elementi sembrano rientrare perfettamente all'interno di una narrativa "terza" rispetto ai due principali contenden-ti. Un'analisi più approfondita dell'articolo, perô, non puô esimersi dal mettere in luce l'utilizzo quantomeno ambiguo di alcune parole e l'adozione di una retorica sineddotica in cui si descrive una parte per il tutto rendendo un punto di vista parziale qualcosa di oggettivo. Fuá essere interessante partire da un dettaglio, notando la descrizione della città "imbandierata di tricolori". Quella dei simboli e delle bandiere, fu una lotta che si svolse parallelamente a quella sulle date e in parte si sovrappose ad essa. In riferimento a qualsiasi evento, manifestazione o protesta, il primo elemento sulla base del quale la stampa valutava il consenso da parte della popolazione era il numero e la localizzazione delle bandiere esposte: da una parte il tricolore italiano senza stella rossa e con lo stemma sabaudo, dall'altro quello con la stella oppure il tricolore sloveno. Le bandiere venivano sventolate durante i cortei ma anche appese (e alle volte violentemente strappate) ai bal-coni e alle finestre in segno di solidarietà. In una prima fase di questa particolare "lotta" gli sloveni sembrarono molto meglio organizzati e i giornali filo italiani adottarono per lo più una strategia di ridimensionamento, denigrazione e svilimento. Quasi quotidiani, per Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 lo più tra il luglio e il dicembre del 1945, furono infatti gli articoli tesi a far credere che le numeróse bandiere dell'Italia con la stella rossa esposte sulle finestre di Piazza Vittoria e delle strade contigue non rappresentassero una reale volontà della popolazione di essere annessi alla Jugoslavia ma fossero motivate da un'imposizione da parte dei principali organi politici e di propaganda legati al regime jugoslavo. Se si tengono in considerazione queste dinamiche il riferimento fatto dal "Giornale alleato" alla città "imbandierata di tricolori" potrebbe assumere una certa rilevanza nell'agone politico-nazionale. Un secondo passaggio su cui è necessario soffermarsi è quello che sottolinea il "sacrificio dei partigiani, che furono pronti a dare tutto per la grande causa della libertà". In questo caso sono due le espressioni utilizzate in modo ambiguo: partigiani e libertà. Durante gli ultimi anni di dominio nazifascista e durante i giorni della liberazione di Gori-zia e Trieste, infatti, si trovarono a operare formazioni partigiane di diversa provenienza politica e nazionale che concepivano la libertà in modo diferente. In questo senso appare illuminante il paragrafo successivo, in cui la lotta di liberazione dal nazifascismo viene nuovamente inserita all'interno di un'unica tradizione cominciata con la Grande guerra e tesa alla definitiva "redenzione" delle terre considerate italiane. Questo collegamento simbolico tra caduti della Prima guerra mondiale e i caduti nella lotta partigiana si fa es-plicito nel momento in cui si dichiara che, in occasione del 25 aprile, vennero deposte ai piedi del monumento progettato da Del Debbio in piena epoca fascista tre corone d'alloro "in omaggio ai compagni caduti nella guerra di redenzione". Articoli di questo tipo, anche a causa di un utilizzo non cristallino dei termini, collo-cano le cronache proposte dal "Giornale alleato" all'interno di una prospettiva che poteva essere percepita come favorevole all'Italia, compromettendo l'immagine di terzietà del Gma e scatenando le proteste della componente filo jugoslava. L'articolo in esame sem-bra avvalorare un'interpretazione della lotta di liberazione fortemente legata non solo alla mitologia e alla tradizione nazional-patriottica italiana ma più specificamente alla retorica e alle parole d'ordine utilizzate dal fascismo. In questo senso è interessante anche il fatto che si parli più volte di libertà, di "liberazione ottenuta dal popolo con il sacrificio dei partigiani" ma non venga mai nominato il nemico da cui ci si era stati liberati. Vengono inoltre dimenticate le ragioni di una fetta non indiferente della popolazione portatrice di interpretazioni dei fatti radicalmente opposte e, soprattutto, si cancellano le azioni, le aspettative e i desideri della componente partigiana slovena e croata che forse più delle altre (o quanto meno prima delle altre) aveva contribuito alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Se da un punto di vista politico e discorsivo per la popolazione filo italiana risultó possibile e conveniente appropriarsi del valore simbolico del 25 aprile, dal punto di vista storico gli eventi che caratterizzarono la lotta partigiana nell'area di confine e le dinamiche che portarono alla liberazione di Gorizia e Trieste difficilmente potevano essere assimilate a quanto era accaduto nel resto d'Italia. La componente comunista e filo jugoslava, naturalmente, sottolineó con forza tali differenze, evidenziando la matrice nazionalistica e propagandistica che sottostava alla decisione di festeggiare il 25 aprile anche nella Zona A. Allo stesso tempo, peró, dimostró di non voler rinunciare alla forte carica simbolica di matrice antifascista legata a tale data, e cercó di costruire una narrazione in cui si Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 evidenziasse la natura politico-ideologica dell'insurrezione e si ribadisse il ruolo dei partigiani jugoslavi, che negli articoli de "La Voce libera" era del tutto obliterato. "I comunisti, i partigiani, i lavoratori della Regione Giulia sentono profondamente questa data, e nessuno puà apprezzare il valore e il significato meglio di essi, che sempre più di tutti solidarizzarono con le forze del lavoro e della lotta dell'AltaItalia. Cosí oggi, se gli altri qui ne celebrano esclusivamente il momento nazionale, la lib-erazione in sé per sé, come punto d'arrivo, i comunisti, i partigiani e i lavoratori la rievocano come una fase, gloriosa si, ma tutt'altro che finale, della lotta dei loro com-pagni d'oltre Isonzo, come una tappa del faticoso cammino ascensionale dell'Italia delpopolo [...]" (Il Lavoratore, 25. 4. 1946, 25 aprile, 1). A parte questi tentativi tesi ad affermare "il vero significato" del 25 aprile, la stam-pa di matrice filo jugoslava si impegno nel tentativo di definizione di quelli che fu-rono realmente - a loro parere - i fatti che portarono alla liberazione del Litorale. Un trafiletto di fondo de "Il Lavoratore" risulta particolarmente diretto ed esplicito in tal senso: "Trieste non è stata liberata il 25 aprile". Ma è in un altro articolo che lo scontro per la definizione delle date da commemorare si fece ancora più esplicito: "[I Sindacati unici], di fronte al problema di stabilire lo spostamento delle quattro giornate festive annuali, che per contratto di lavoro devono essere pagate ai lavora-tori, dopo aver sentito il parere dei propri organizzati, ha proposto il pagamento delle se-guenti quattro ricorrenze: 1° maggio: Festa dei lavoratori. 8 maggio: Ricorrenza della cessazione delle ostilità con la Germania. 25 luglio: Ricorrenza della caduta del fascismo. (1943) 27 agosto: Ricorrenza fine della guerra. [...] Ma ieri 24 aprile, apparve sui giornali la decisione del col. Bowman che consi-dera giornata festiva e pagata il 25 aprile" (Il Lavoratore, 25. 5. 1946, I Sindacati Unici contro un provvedimento parziale. Il giudizio dei lavoratori sull'odierna festività, 1). Molte furono le mozioni e le lettere di protesta fatte giungere all'amministrazione alleata in relazione al problema delle festività. Il contenuto, ma anche il linguaggio utilizzato in queste corrispondenze, ricalcano abbastanza fedelmente l'impostazione e gli espedienti retorici degli articoli del "Lavoratore". I toni propri di un reclamo uf-ficiale si mescolano con il continuo riferimento ad elementi emotivi e patetici. "Il 'Comitato popolare di liberazione di Gorizia', a nome dellapopolazione antifascista di Gorizia protesta per l'avvenuta imposizione da parte del Gma, della festa nazionale del 25 Aprile data in cui Gorizia trovavisi ancora sotto il terrore nazi-fascista. Addí 25 Aprile ed i giorni successivi cadevano ancora in questa Regione, le vittime sotto ilpiombo dell'oppressore, e fu liberata appena ilI°Maggio, dall'Armata Jugoslava, e colla collaborazione della popolazione antifascista di questa Regione. Percià la popolazione antifascista non puà riconoscere come la vera data (festa) di liberazione il giorno 25 Aprile, bensí il Primo Maggio. La popolazione antifascista esprime la somma meraviglia, e si sente col detto provvedimento menomata nei propri diritti; questo provvedimento non puà altro che Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 provocare disordini in questa Regione, che non ha nulla a che fare coll'Italia, che si trova oltre la linea di demarcazione. A decidere la sorte di questa Regione spetta soltanto ai componenti della Conferenza della pace. Morte al fascismo - Libertà ai popoli" .5 Le missive di questo tenore inviate al Gma furono numerosissime. I mittenti appar-tenevano a diversi gruppi di cittadini, riuniti a livello di città, paese o anche quartiere. Ed è in questi documenti che lo scontro sulle date mostra la sua rilevanza. La posta in gioco era determinante: stabilire chi avesse liberato la Venezia Giulia dal nazi-fascismo, e quando. Le comunità in lotta per l'annessione del Litorale alla Jugoslavia rivendicavano il fatto che Gorizia e Trieste fossero state liberate il Primo maggio dall'Esercito partigiano di Tito. Se si considera che nello stesso giorno si celebrava anche la festa dei lavoratori, ci si rende conto di come questa data assumesse un valore doppiamente simbolico. Divenne il vero elemento fondativo di una narrativa al contempo politica e nazionale, in quanto l'impatto sul pubblico era forte e immediato: rimandava a due momenti cruciali in cui la biografia di ogni individuo poteva confrontarsi con la Storia dei lavoratori e degli antifa-scisti; in cui ognuno poteva congiungere il proprio percorso di vita individuale alla storia della propria collettività e quindi, "legando alla propria identità il senso di appartenenza al gruppo, ribadi[re] il suo con-esserci" (Affuso, 2010, 58). Le descrizioni dei preparativi per i festeggiamenti del primo maggio occuparono le pagine de "Il Lavoratore" già a partire dalla metà di aprile. La mobilitazione fu massic-cia: si creó un'aspettativa sempre crescente annunciando con ampio anticipo il programma delle celebrazioni, fornendo di giorno in giorno nuovi particolari e dichiarando che sarebbero state migliaia le persone coinvolte (Il Lavoratore, 15. 4. 1946, Festeggiamenti del l.o maggio, 1). A questi proclami il Gma rispose con fermezza e rigore, ribadendo il proprio ruolo regolamentatore e la necessità di mantenimento dell'ordine pubblico. Inoltre, per evitare sovraffollamento e disordini, il Commissario di Zona di Trieste Smuts vietó la partecipazione alle manifestazioni agli abitanti della Zona B (Il Giornale alleato, 21. 4. 1946, Le celebrazioni del primo maggio, 2). L'annuncio di tale divieto provocó l'immediata reazione del "Lavoratore" che sulle sue pagine alimentó la polemica durante tutta la settimana successiva: "Il Comitato coordinatore dei festeggiamenti e delle celebrazioni per il l.o Maggio qui a Trieste, desideroso di dare a tali manifestazioni un carattere di fraterna unione dei popoli di questa Regione, si era da tempo assicurato la parte di coristi e ginnasti - in prevalenza giovani partigiani combattenti della guerra di liberazione - di tutta la Re-gione Giulia. Il Comitato ha appreso dai suoi rappresentanti [...] che il G.M.A. non intendepermet-tere ai coristi e ginnasti della Regione Giulia l'accesso nella Zona A e persino nella città di Trieste dalle altre località della Zona A. [...] A questo punto i delegati espressero il loro profondo risentimento per la negazione delle piu elementari libertà per cui questa popolazione ha combattuto, versando sangue 5 ACS-ACC, 11302/115/14 (1 of 4), Comitato Popolare di Liberazione di Gorizia al Governo Militare Alleato del 29 aprile 1946. Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 per le vie di Trieste, liberata col suo concorso ed i suoi sacrifici. Ora si arriva al massimo assurdo per cui gli stessi Alleati proibiranno persino alla popolazione della Re-gione, che contribuisce all'approvvigionamento della città, portandovi giornalmente del latte e delle verdure, l'accesso nella stessa il giorno del l.o maggio [...] Tale ingiusto e antidemocratico divieto ha profondamente turbato tutta la popolazione antifascista italoslava della Regione Giulia [.] Il Comitato, mentre ricorda che il l.o maggio coincide con la liberazione della Regione Giulia da parte della IV Armata jugoslava in fraterna collaborazione del popolo insorto in armi [...] dichiara che di fronte all'inesplicabile divieto [...] esso Comitato declina ogni re-sponsabilitàper quantopud accadere in relazione alprovvedimento [...]". (Il Lavoratore, 29. 4. 1946, Lettera aperta al gen. Harding. Il popolo deve partecipare liberamente alla sua festa). L'interesse del pubblico venne continuamente sollecitato anche attraverso le pole-miche con "La Voce libera" e "Il Giornale alleato". Ogni editoriale del "Lavoratore", invitando la popolazione a partecipare in prima persona era teso soprattutto a "rianimare" e "riattivare" gli eventi di un passato recente ma estremamente traumatico, definendo e ribadendo ció che si doveva (e di conseguenza ció che non si doveva) ricordare. In questi articoli si ritrovano quegli espedienti linguistici, quei tropi, quella retorica del sacrificio e dello scontro tra atteggiamenti democratici e antidemocratici che furono il vero leitmotiv di un'intera stagione. Altrettanto esplicita appare una strategia di auto legittimazione (parallela e contraria a quella evidenziata dal fronte filo italiano) che porta a identificare in toto "gli antifascisti" e i "democratici" con i membri dei Comitati popolari di liberazione. Ad ogni modo, la questione principale posta sul tavolo è quella relativa al diritto di manifestare liberamente in occasione degli anniversari che ogni gruppo riteneva fondanti della propria identité: antifascista e comunista da un lato e italiana dall'altro. Al di lé di questo, è interessante analizzare le diverse interpretazioni e valenze che i tre attori davano al Primo maggio. " Viva il Primo Maggio PER LA LIBERTA ' E LA FRATELLANZA DEI POPOLI: AVANTI! Viva il Primo maggio, festa internazionale del lavoro e della libertà dei popoli, gior-nata di [festa] per l'avvento della democrazia [.] Viva il Primo maggio, giornata della liberazione di Trieste da parte dell'Armata jugoslava [...] Viva la solidarietà nazionale dei popoli, viva la fratellanza italo-slava [...]. Viva l'unione fra le masse lavoratrici della città e della campagna" (Il Lavoratore, 1. 5. 1946, Per la libertà e la fratellanza dei popoli: avanti!). In queste poche righe ritroviamo il vero nocciolo della narrativa filo-jugoslava: il Primo maggio rappresenta l'unico, vero giorno della Liberazione, avvenuta a seguito dell'intervento determinante della IV Armata jugoslava e grazie alla solidarietà di tutta la popolazione unita nella lotta contro il nazi-fascismo. Tale collaborazione tra italiani e sloveni ma anche tra abitanti della citté e della campagna, doveva continuare e radicarsi all'interno della Jugoslavia socialista sotto lo slogan della "fratellanza dei popoli". Come ricordato da Liliana Ferrari "l'opportunité di aderire alla federativa [.] è motivata dalla Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 natura stessa del nuovo regime jugoslavo, regime socialista che solo puô garantire la real-izzazione della giustizia sociale ed il rispetto dei diritti delle diverse popolazioni, quindi anche della minoranza-maggioranza italiana di Trieste. L'annessione è l'unico modo per rafforzare l'alleanza italo-slava" (Ferrari, 19S0, 251). Anche l'esplicito riferimento ai rap-porti tra città e campagna, come si è detto, non è secondario in quanto buona parte della polemica sulla questione nazionale si era incentrata proprio sui rapporti fra queste due realtà: i toni spesso razzisti e discriminatori utilizzati dagli italiani nei confronti degli "slavi" trovavano terreno fertile nella dicotomia tra cultura cittadina e campagnola. Il simbolismo legato al Primo maggio si moltiplica grazie alla coincidenza con la festa dei lavoratori, che permette di creare un vincolo ancora più saldo tra elementi militari, nazionali ed ideologici. "Un anno fa era la vittoria delle nostre armi, attraverso cui si manifestava quella di unafede, di un'idea. Ieri è stata la nostra vittoria ideale epolitica, espressa nelleforme diverse in cui oggi pud esprimersi la vittoria della stessa fede. [...] A nulla è valsa la lotta del sordido interesse e della mistificazione patriottica contro la profonda coscienza politica e sociale, contro la tenacia, contro la combattività delle masse lavoratrici: l'ideale dell'emancipazione, della vera libertà, della solidarietà di tutti ipopoli e di tutti i ceti, l'ideale dellafraternità e dellagiustizia, haprevalso su tutte le mascherature, le suggestioni, le trame di ogni genere per quanto sapientemente ordite e abilmente condotte. [.] Ma il popolo, anzi i nostri popoli, nei loro vari ceti, italiani e slavi, operai e contadini e intellettuali d'avanguardia sono rimasti uniti, affratellati da una comune eroica lotta, da comuni interessi, da un comune ideale. [...]" (Il Lavoratore, 2. 5. 1946, Il popolo stroncherà il neofascismo. 200.000 antifascisti celebrano la Festa del lavoro e della li-berazione, 1). I termini utilizzati, le parole chiave, non si discostano in modo sostanziale da quelli proposti nella narrativa filo-italiana ma vengono interpretati e declinati in modo radicalmente differente. I riferimenti alla sfera della religiosità6 sono evidenti e vengono as-sociati alle figure della vittoria e dell'eroismo: si tratta di aver fede in un'idea, in un ideale politico più che in una presa di posizione nazionale, considerata come effimera e transitoria. Si descrive poi una vittoria della coscienza (politica e di classe) sulla mistificazione, una vittoria di quegli ideali di emancipazione, libertà, solidarietà, giustizia e fraternità che fanno esplicito riferimento alla Rivoluzione francese. In questo modo si cerca di costruire narrazione seducente e impattante che riesca a congiungere la sfera del sacro con quella politica e civile. Si tratta di un discorso inclusivo e rassicurante, rivolto a entrambi i popoli, coinvolgendo "vari ceti, italiani e slavi, operai e contadini e intellettuali d'avanguardia", accomunati dal fatto di aver combattuto insieme contro il nemico comune e di riconoscersi nella medesima visione del futuro. Non a caso, un altro articolo dello stesso giorno intitola "Una festa di tutto il popolo": 6 L'importanza del recupero degli stilemi del discorso religioso viene ribadita sia in (Ballinger, 2010), sia in (Banti, 2006, 120). Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 "Già sull'imbrunire di martedi le colline circostanti la città erano anímate da vivaci fuochi, composti simbolicamente: stelle rosse, falce e martello, i nomi più cari alle masse popolari. Lungo la strada di Opicina ondeggiavano piccoli palloncini che offrivano uno spettacolo veramente inconsulto. Fuochi artificiali solcarono il cielo sereno insieme ai palloncini di fuoco. Intanto in diversi punti della città, interminabili colonne di popolani recanti 20.000 torce, convergevano verso il centro come fiumi di fuoco. [...] Nell'attraversare i rioni popolari i cortei venivano festosamente salutati con grida, con agitar di bandiere, con battimani. Molti si unirono ai cortei stessi, che procedevano con in testa una bandiera rossa, una italiana e una jugoslava, ambedue stellate, fra il suono delle bande e delle canzoni cantate a gran voce [...]" (Il Lavoratore, 2. 5. 1946, Una festa di tutto il popolo, 2). In occasione del Primo maggio, anche se per un breve periodo, i toni gioiosi sembra-rono prendere il sopravvento sugli attacchi diretti contro l'avversario (che riprenderanno regolarmente nei giorni successivi). L'importante era evidenziare l'imponente e sponta-nea partecipazione da parte della cittadinanza e ribadire i concetti e le parole chiave fon-damentali attraverso una descrizione dettagliata degli elementi simbolici: fuochi e torce, canti e bandiere, naturalmente stellate. Per comprendere quanto fossero contrastanti le interpretazioni dei fatti che portaro-no alla liberazione di Gorizia puó essere utile soffermarsi su un articolo pubblicato da "L'Informatore" il 30 aprile: "I GIULIANIINSORGONO. LIBERANDO DA SOLI LE LORO CITTÁ Tutti i Goriziani conoscono la successione drammatica degli avvenimenti di quei giorni. La mattina del 30 aprile, mentre l'ultimo tedesco passava il ponte 9 agosto e i serbi s'accingevano ad attraversare la città, fu suonato il segnale d'allarme convenuto, per chiamare a raccolta prima gli appartenenti alla guardia civica, poi tutta la popolazione maschile atta alle armi conforme ai piani concertati di conserva del C.L.N. e dall'O.F. [...] Nel pomeriggio del 1.o maggio giunsero stanchi, sporchi, cenciosi, ma ben armati di armi tedesche, i primi partigiani sloveni; una sessantina in tutto cui si aggiunsero altri pochi nella serata, i quali per prima cosa si preoccuparono d'installarsi nelle sedi dei comandi militari tedeschi e di celebrare con abbondanti libazioni l'occupazione di Gorizia... [...] Gorizia, come Trieste, quindi, non è inutile ripetere agli italiani e al mondo, non devo-no affatto la loro liberazione alle truppe di Tito le quali si precipitarono come cornacchie sulle nostre città inermi lasciando Lubiana e Zagabria in mano tedesca. Gli italiani delle due città devono soltanto a se stessi la loro liberazione che era un fatto compiuto allor-ché i partigiani di Tito fecero il loro ingresso, preceduti dai segugi dell'O.Z.N.A. i quali iniziarono subito la loro opera che aveva lo scopo preciso di terrorizzare la popolazione e renderla incapace di qualsiasi azione. [...] La data della nostra liberazione è il 30 aprile, ed è questo giorno in cui essi insorsero e cacciarono l'invasore che i giuliani ricorderanno domani fra le vicende più eroiche Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 della lara staria" (L'informatore, 30. 4. 1946, Igiuliani insargana liberanda da sali le lara città, 1). In questo estratto i meccanismi di invenzione della tradizione finalizzata ad avva-lorare una determinata soluzione della questione nazionale si fanno piuttosto espliciti. Alla visione forzatamente "inclusiva" - proposta dal "Lavoratore" - che sottolineava il valore della lotta comune di tutta la popolazione contro il medesimo nemico portata a buon fine grazie all'intervento determinante dell'Esercito di Tito, si contrappone una lettura fortemente "esclusiva", in cui gli unici soggetti attivi e legittimi erano gli italiani, che si sarebbero liberati da soli, senza alcun intervento dall'esterno. Letture radicalmente differenti degli eventi accaduti in quei giorni non caratterizzarono solo i discorsi attorno alle commemorazioni del Primo maggio ma diventarono il nucleo fondativo delle intere narrative filo italiane e filo jugoslave. Ad apparire determinante era soprattutto il ruolo che doveva essere riconosciuto ai partigiani di Tito e, di conseguenza, la loro rappre-sentazione nel discorso pubblico. Nella narrativa proposta dal "Lavoratore", l'Esercito jugoslavo è liberatare per definizione: "Il 1° maggio 1945 con l'aiuto della IV Armata dell'Esercito di liberazione jugoslavo, ci conquistammo la libertà, avemmo il potere nelle nostre mani" (Il Lavoratore, 12. 8. 1946, Respingiama qualsiasi saluziane che ci stacchi dalla Jugoslavia. Cosí decine di migliaia di persone hanno risposto ieri a De Gasperi, 1). In quanto liberatari i partigiani del Maresciallo avevano pieno diritto di assumere il controllo sull'area, annettendola alla Jugoslavia. Al contrario, le testate filo-italiane, oltre a negare il ruolo avuto dai partigiani di Tito nella liberazione di Gorizia e Trieste, cercano di decostruirne l'immagine vittoriosa. Ció avvenne soprattutto attraverso la restituzione di descrizioni fisiche volutamente deni-granti che mettevano in evidenza la povertà, la bruttezza e la poca disciplina delle forze jugoslave. I titini "sporchi e cenciosi" sono descritti come approfittatori mossi unicamente da mire annessionistiche e completamente asserviti alle ragioni e ai metodi oppressivi dell'Ozna (Odeljenje za Zaštitu Naroda, Dipartimento per la sicurezza del popolo) venuta in città con l'esplicito scopo di "terrorizzare la popolazione". La costruzione di questo tipo di immaginario si ricollega a doppio filo con le contrapposizioni città/campagna, ci-viltà/barbarie. L'Italia doveva apparire come l'unica detentrice di alte tradizioni culturali, nazionali e letterarie ponendosi come strenuo difensore della civiltà occidentale contro il rischio di regressione e imbarbarimento rappresentato dalle "incolte" e "giovani" pop-olazioni slave. Risultano interessanti - all'interno di questa strategia narrativa - anche gli espedienti retorici tesi ad accomunare i titini ai tedeschi: i partigiani appaiono "armati di armi tedesche" e non esitano ad installarsi nelle sedi occupate dai nazisti facendo festa per l'occupazione della città. Colpendo l'immagine dei soldati di Tito, si cercava sostanzial-mente di colpire tutto quell'universo di ideali - certamente nazionali ma in gran parte so-prattutto politici e sociali - sulla base dei quali si era costituito il movimento resistenziale in Jugoslavia e nei quali moltissimi partigiani, sia italiani che sloveni e croati sicuramente si riconoscevano. I medesimi elementi - sia le opposte interpretazioni degli avvenimenti, sia l'immagine e la descrizione dei partigiani di Tito - si ritrovano nei racconti di vita dei testimoni che sembrano cosi confermare l'influenza delle narrative nazionali sulla rielaborazione e Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 7G3-72G narrazione individuale del passato e sulla costruzione dell'identità dei singoli (Cattunar, 2GG9). Gli esempi da citare potrebbero essere ancora numerosi ma in questa sede, tenuto conto dei limiti di spazio, si è ritenuto di proporre soltanto alcuni spunti che mettessero in evidenza la centralità che i "giorni della memoria" assunsero all'interno del dibattito pubblico relativo alla "questione nazionale". La scelta di concentrarmi unicamente sulla costruzione di opposte narrative e sugli aspetti retorico-lessicali senza accennare a quelle che furono le concrete e variegate posizioni e proposte politiche dei diversi partiti e as-sociazioni (e quindi dei giornali di riferimento), è motivata dal fatto che, a mio parere, queste narrative ricoprirono un ruolo autonomo nell'evocazione di valori e ideali, nella mobilitazione della popolazione e nella successiva formulazione e trasmissione della memoria rispetto a quegli eventi. DATUM PROTI DATUMU. KOMEMORACIJE NA MEJI, MED MANIPULACIJO ZGODOVINE IN GRADNJO NACIONALNIH IDENTITET PO DRUGI SVETOVNI VOJNI Alessandro CATTUNAR Italijanski inštitut za humanistične vede (SUM), Palazzo Cavalcanti, Via Toledo 348, 80132 Napoli, Italija e-mail: cattunar@gmail.com POVZETEK Prispevek obravnava dogajanje, ki bi ga lahko imenovali pravcata "bitka za datume" in ki se je v coni A Julijske krajine (ter zlasti v Gorici in Trstu) odvijalo med letoma 1945 in 1947. Analiza se še posebej osredotoča na diskurzivne strategije, ki so se jih posluževali dnevni časopisi nasprotujočih si političnih in narodnostnih usmeritev v zvezi s spominskimi dnevi. V središču spora med italijanskim in jugoslovanskim tiskom sta tako poskus legitimiziranja nekaterih 'dnevov spomina' (predvsem 25. aprila in 1. maja), kot tudi interpretacija z njimi povezanih dogodkov. Podrobneje bodo obravnavani predvsem pripovedni, retorični in jezikovni vidiki, saj naj bi imeli neposredne performativne učinke na dojemanje in odzivanje ljudi: gre namreč za razvneto in učinkovito pisanje, ki mu je pogosto uspevalo doseči večjo mobilizacijo prebivalstva kot same slovesnosti. Izkazalo se je, da je bilo v obdobju, ki sta ga zaznamovali velika negotovost glede državne pripadnosti Julijske krajine in vse večja polarizacija nasprotij, manipuliranje s tradicijo s strani dnevnega časopisja nasprotujočih si taborov poglavitnega pomena. Rein-terpretacija preteklosti in javno sklicevanje na izbrano verzijo polpreteklih zgodovinskih dogodkov na obeh straneh sta se najizraziteje odražala prav ob tovrstnih spominskih slo- Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, ..., 703-720 vesnostih. Tako sta se pojavili dve novi nasprotujoči si politično-nacionalni pripovedi, ki sta se precej eksplicitno navezovali na že konsolidirane mitologije, simboliko in retorične strategije. Zdi se, da so se še posebej odločno začele znova uveljavljati predvsem strukture tistega nacionalno-patriotskega diskurza, ki se je oblikoval že v času risorgimenta in je vrhunec dosegel v obdobju fašizma. V tej smeri bomo v članku poskušali izpostaviti tudi vlogo, ki so jo v tem kontekstu dobile določene ključne besede - kot na primer domovina, svoboda, demokracija -, ki so se znašle v središču nekakšnega "spopada definicij", ki je širše zaznamoval celotno obdobje med letoma 1945 in 1947. Ključne besede: komemoracije, 1. maj, 25. april, Cona A, Zavezniška vojaška uprava, tisk FONTI E BIBLIOGRAFIA ACS-ACC - Archivio Centrale dello Stato di Roma (ACS), f. Allied Control Commission (ACC). Il Giornale alleato. Trieste, [A.I.S.], 1945-1947. L'informatore. L'informatore settimanale goriziano. Gorizia, [s. n.], 1945-194?. Il Lavoratore. Il Lavoratore: organo del partito comunista di Trieste. Trieste, [s. n.], 1945-1964. La voce libera. La voce libera: quotidiano politico d'informazioni. Trieste, [s. n.], 1945-[1949?]. Affuso, O. (2010): Il magazine della memoria. I media e il ricordo degli avvenimenti pubblici. Roma, Carocci. Ballinger, P. (2010): La memoria dell'esilio. Esodo e identità al confine dei Balcani. Roma, Il Veltro. Banti, A. M. (2006): La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell'Italia unita Torino, Einaudi. Banti, A. M. (2011): Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo. Roma - Bari, Laterza. Baroni, F. (1939): Memorie di un internato triestino: Storia di martiri e d'ignorati eroi nella Grande Guerra, 1915-1918. Milano, Società Anonima Editrice Dante Alighieri. Cattunar, A. (2009): La liberazione di Gorizia. Identità di confine e memorie divise: le videointerviste ai testimoni. In: Storicamente, 5. Http://www.storicamente.org/05_ studi_ricerche/cattunar.htm (3. 12. 2012). Alessandro CATTUNAR: IL CALENDARIO CONTESO. COMMEMORAZIONI DI CONFINE, 703-720 Cattunar, A. (2010): Confine, memorie, identità. Il Governo militare alleato tra politiche pubbliche e percorsi privati. Italia Contemporánea, Marzo 2010, 258, 26-56. Crainz, G. (2008): Il difficile confronto fra memorie divise. In: Crainz, G., Pupo, R., Salvatici, S. (eds.): Naufraghi della pace. Roma, Donzelli, 175-192. Ferrari, L. (1989): Trieste 1945-1947: la questione istriana nella stampa. In: Colummi, C., Ferrari, L., Nassini, G., Trani, G. (eds.): Storia di un esodo. Istria 1945-1956. Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 215-273. Hobsbawm, E. J., Ranger, T. O. (1994): L'invenzione della tradizione. Torino, Einaudi. Jedlowski, P. (2002): Memoria, esperienza, modernité. Memorie e società nel XX secolo. Milano, Franco Angeli. Pupo, R. (2009): Alcune osservazioni su storici di campagna e storici di città lungo le sponde adriatiche. Contemporanea, aprile 2009, 2, 405-412. Rampazi, M., Tota, A. L. (eds.) (2007): La memoria pubblica. Trauma culturale, nuovi confini e identità nazionali. Novara, Utet - De Agostini Scuola. Verginella, M. (2008): Paradigma città/campagna e rappresentazione dualistica di uno spazio multietnico. Contemporanea, ottobre 2008, 4, 779-792. Wörsdörfer, R. (2009): Il confine orientale d'Italia. Bologna, Il Mulino.