ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) ricevuto: 2000-12-20 UDC 17:342.59-005,2"17" NOBILDONNE E CAVALIERI SERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: IL PARADOSSO DELL'ONORE Mila MANZATTO IT-30022 Ceggia, Via Loreto 2 SINTESI La figura più rappresentativa della società galante del Settecento fu il cavalier servente: un nobile che offriva il proprio servizio ad una dama con il consenso del marito. Da un'ampia lettura della realtà storico-culturale dell'epoca e, in parti-colare, del sistema familiare aristocratico da cui il nobile cavaliere traeva origine e nel quale svolgeva il ruolo di servente, emergono elementi che portano a nuove ipotesi sulle sue reali funzioni nel sistema cetuale. Il saggio rappresenta una sintesi del lavoro di ricerca basato su fonti diverse: memorie, testi letterari, fonti d'archivio ed epistolari. Dalla documentazione esaminata prende consistenza un'immagine di cavalier servente lontana dallo stereotipo tramandatoci e indubbiamente più complessa. Essa appare come l'esito del tentativo, da parte del gruppo cetuale, di riassorbire un fenomeno generato dal sistema omeostatico familiare e che si concretizza mantenendo nella rete degli scambi sociali, giovani nobili esclusi dal circuito matrimoniale e patrimoniale. Il serventismo trova nella tradizione italiana delle plausibili analogie e nel contesto culturale cetuale dell'epoca un fertile humus, essendo già in atto una notevole trasformazione dei canoni comportamentali che regolavano le relazioni tra i sessi. Il caso della contessa Laura Valle ne rappresenta un esempio quanto mai efficace. Parole chiave: cavalieri serventi, nobildonne, onore, XVIII secolo, Repubblica di Venezia Introduzione La presenza del cavalier servente nel contesto culturale italiano, sembra ormai relegata a remote memorie poetiche e teatrali di un secolo, il Settecento, la cui im-magine rinvia ad un modello di vita fatuo, nel quale il gioco della seduzione fra i sessi trova nella galanteria una forma di relazione raffinata quanto effimera. 385 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 Un fenomeno culturale non nasce per caso ma è in relazione al contesto in cui si manifesta e da cui trae gli elementi che lo caratterizzano. Per questo, nel proporre una "rilettura" del serventismo, inteso come servizio quotidiano reso a una dama da un nobile cavaliere con il consenso del marito, e oggetto già all'epoca di feroci at-tacchi per l'ambiguità che sottendeva la relazione, si è proceduto con un'analisi della realtà storico-culturale in cui esso apparve: la Repubblica di Venezia. En secondo luogo, trattandosi di una manifestazione di costume che coinvolgeva non solo la nobildonna e il cavaliere ma la stessa famiglia aristocratica, si è focalizzato lo studio su tale sistema. Di esso si sono presi in considerazione aspetti istituzionali e strutture come il matrimonio e la dote che, pur subendo delle trasformazioni, hanno contri-buito a consolidare, assieme ad altri istituti funzionali al mantenimento dell'integrità patrimoniale, il modello della famiglia aristocratica come ci appare nel Settecento. Aspetti politico-sociali della Repubblica di Venezia nel Settecento La seconda metà del Settecento era stata percorsa più volte da segnali di profondo disagio in cui si dibatteva una larga parte del ceto aristocratico veneziano che, non trovando una adeguata risposta nell'ambito politico-sociale, aveva finito col trasferire, in gran parte, le tensioni nella sfera privata. Giacomo Nani nel Saggio politico del corpo aristocratico della repubblica di Venezia del 1756, propone un quadro della stratificazione nella quale si era venuto assestando il ceto aristocratico veneziano. La sua analisi si basava su due variabili: le "varie situazioni e ricchezze" e il "costume morale". Ne seguiva una suddivisione in cinque classi che, oltre a considerare come variabile il reddito, poneva in relazione "bisogni" ed "entrate" (Venturi, 1990, 13). Al vertice stavano le case "assai ricche", alla base quelle che "non (avevano) niente". Fra la seconda e la quarta classe si andava riducendo il rapporto tra risorse economiche e bisogni, rapporto che risultava equilibrato nelle famiglie della terza classe (Huneche, 1992, 286-287).1 Al di là di una lettura statistica del fenomeno, che evidenzia una certa lacunosità nei dati del Nani, ció che l'autore conferma era la consistente presenza di famiglie prive di risorse adeguate ai loro bisogni, problema che caratterizzava la nobiltà da secoli e che ormai, con la concentrazione dei beni in mano di un gruppo piuttosto ristretto, non sarebbero più uscite dalla condizione di povertà; il loro stato era divenuto un problema politico oltre che sociale. La progressiva diffusione della 1 L'autore propone una serie di chiarimenti sul significato attribuito a " famiglia" o "casa" nel Settecento. II significato di famiglia e casata poteva coincidere, intendendo con ció "l'insieme delle famiglie della stessa stirpe che portano lo stesso cognome". La "Temi Veneta" dell'anno 1797, riteneva ancora opportuno distinguere fra le "famiglie patrizie estinte per casato" e le "altre famiglie estinte che per altro sussiste il casato" (n. 19). Con "casa" si intende la famiglia basata su stretti rapporti di parentela che a volte, per distinguerla dal casato, e stata anche definita "ristretta". Nel patriziato veneziano essa era una famiglia "estesa" cioe un gruppo domestico che includeva altri parenti oltre alla famiglia coniugale composta da marito, moglie e figli (Casey, 1991). 386 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 propriété fondiaria aveva accentuato le divisioni all'interno del patriziato e coloro che non potevano accedere all'acquisto di terreni in Terraferma, vedevano preclusa la possibilité di inserirsi, di ricavare cioè da essa margini o spazi per qualche loro affare, come avveniva nel commercio (Cozzi, 1993, 126 ss.). Mancando delle strategie politiche che contribuissero ad un rilancio economico a largo respiro, si accentué la cesura fra la "nobiltà maggiore", più propensa ad amministrare i propri interessi in Terraferma e la "nobiltà minuta" utilizzata in mansioni al servizio dello stato; cié contribuí a irrigidire le posizioni dei gruppi all'interno del ceto aristocratico, a salvaguardia dei privilegi che ancora rimanevano loro. La differenziazione interna, creatasi con la diversa distribuzione delle risorse economiche, era andata progressivamente corrodendo la originaria parità di diritti tra i patrizi, divenuti non più che un ricordo del passato ed una vuota formula costi-tuzionale (Berengo, 1956, 5). Era evidente che la soluzione delle tensioni attribuite a problemi di precedenza nella distribuzione del potere, avrebbe comportato una revisione della gestione di esso nelle principali magistrature; gli scontri fra le forze all'interno dello stesso ceto avrebbero definito o meno tale possibilità. Il problema, peré, era insito nel sistema stesso e nemmeno le soluzioni di compromesso sarebbero state sufficienti a tacitare le pressioni della fascia più povera dei patrizi. Infatti le cariche pubbliche di maggior rilievo, come le rappresentanze diplomatiche ed i reggimenti nelle principali città di Terraferma, comportavano, sempre più, l'assunzione di oneri ingenti2 e percié erano precluse ad una buona parte del patriziato; tali oneri erano aggravati dalla necessità di acquisire e manovrare i voti dei nobili poveri per le competizioni elettorali (Berengo, 1956, 5 ss.). Enoltre le esperienze di investimento manifatturiero in Terraferma, legate all'agricoltura e per lo più stagionali, non comportavano una consistente e continua fonte di reddito, mentre un'ingente quantità di denaro veniva assorbita dall'elevato tenore di vita (configurato in lusso e sfarzo e non certo comodità) che i patrizi si concedevano nelle ville delle loro proprietà fondiarie, durante le villeggiature divenute status simbol dell'élite aristocratica (Mometto, 1985, 617). A cié si contrapponeva la povertà di 2 A questo proposito si citano due lettere di Marc'Antonio Michiel alla madre Elena (BCMCV), in cui il patrizio esprime la preoccupazione per una probabile elezione al reggimento (?) di Vicenza: 19 luglio 1784, Ponte Ella riceverà al Dolo questa lettera con la buona notizia dell'onesta ballottazione da me fatta per Vicenza. Non sono neppure entrato nelli quattro superiori di balle in un giorno molto pericoloso, e con la mancanza a Consiglio di molti delli miei più attaccati e sinceri difensori e protettori. Calcolo moltissimo una simile combinazione, che non sarà molto gustata dalli Ranieri che non erano dopo assai lieti di fisionomia. Eo sono a Ponte Casale e mi fermeré fino che il cognato Barbarigo mi chiamerà a Venezia per calar stola. Venezia 2 (...) febbraio 1784 m.v. Sono in mezzo a mille occupazi oni. Giovedí fanno il scrutinio di Vicenza, dunque conviene difen-dersi la mattina prima di (...) alla Quarantia, dopo in Collegio poi a caccia di Senatori... 387 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 larga parte dei patrizi la cui condizione era ineluttabile e per i quali lo svolgimento di un'attivitá lavorativa non professionale, trovava un forte condizionamento culturale poiché non rientrava nei parametri mentali del patriziato. Nel Sognatore, Gaspare Gozzi esprimeva in modo chiaro questo stato esistenziale involutivo. Miglior cosa e dunque fare di necessitá virtú, ed accomodarsi alla meglio alle umane disgrazie, sentendole meno che sia possibile, ed anzi profittandone d'esse, quant'altri meno sel crede (Torcellan, 1969, 187-189). Nelle pagine del suo giornale Gozzi dava voce non solo alla sua personale esperienza di nobile povero che aveva rifiutato le convenzioni del suo ceto sposando una donna non nobile, ma anche al-l'"amabile disilluso spirito della cultura veneta settecentesca" (Torcellan, 1969, 188). Momenti di vita quotidiana nella societa veneziana Come altri dispositivi comportamentali che caratterizzarono questo secolo in cui la vita stessa, per molti, aveva assunto la configurazione di un gioco con modalitá differenti, ma pur sempre unico momento capace di provocare emozioni profonde da assaporare intensamente, con aristocratico distacco, il gioco non si contrapponeva al lavoro con tempi a sé stanti come nella mentalitá contemporanea, ma costituiva un importante dispositivo relazionale e di scambi sociali. La massiccia partecipazione di entrambi i sessi al gioco (Costantini, 1794, 176-177), in luoghi sociali esclusivi, rap-presentava un importante momento convenzionale di aggregazione nel quale i parte-cipanti trovavano una conferma alla loro identitá sociale e personale; inoltre il rispetto del rituale del gioco contribuiva a mantenere un'atmosfera che permetteva alla com-petitivitá individuale, cosí epidermica nel ceto aristocratico, di raggiungere soluzioni compromissorie per lo piú informali.3 Piú ancora svolgeva la funzione di spostamento 3 Nella lettera del 12 febbraio 1752, Costantini rende in modo efficace la smania del gioco che pervade la società aristocratica settecentesca e nella descrizione esprime il suo giudizio graffiante contro il ceto ozioso ed ignorante. "...Questo è un esercizio divenuto quasi si necessario alla vita, come il mangiare, poiché in questa sola bellissima disciplina concorrono tutti li generi di persone, di ogni rango, e di ogni qualità. Tro-verebbe facilmente de'Signori, che non sappiano, che malamente leggere, e peggio scrivere, ma giuocare? Tutti san farlo.E come una volta sarebbe stata un'ingiuria il chiedere ad un Cristiano, se va nel giorno di festa ad ascoltar la Messa, cosi in oggi sarebbe un'offesa il dimandare a qualunque persona, ma specialmente alle qualificate, se sanno giocare. Come vorreste voi, che potessero tanti Signori, e benestanti impi egare tante ore oziose? Forse nel leggere libri, nello studio delle belle arti, o delle Lettere umane, o delle materie sacre, oppure nell'andare in Chiesa a fare orazione? Pensate voi; queste sono occupazioni melanconiche, bisogna darsi a quelle che soll evano l'animo, che fanno passar le ore con qualche allegria. Per questo qui tutto è giuoco. Si giuoca in Città, in Villa, in Casa, nelle Botteghe, ne' Ridotti, e fino in Carrozza. Non vi dico delle conversazioni, poiché queste s'intendono adunanze di giuoco; ed è vero che si passa qualche ora in discorsi galanti sopra il contegno delle persone, scoprendo qualche segreto rigiro, o dando risalto a qualche de-bolezza, non pero con l'oggetto di mormorare, ma di discorrere; per altro la maggior parte del tempo 388 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 di somme consistenti di denaro liquido e di beni di immediata fruizione (ad esempio i gioielli) in mani diverse, in tempi relativamente brevi, all'interno di un circuito ri-stretto e percio facilmente controllabile, con rituali che garantivano, secondo il codice d'onore, tali transazioni.4 Ed ancora attorno alle sale in cui si tentava la fortuna con il bassetto, il biribissi, il faraone, il panfilo, vi era un indotto che traeva il proprio sosten-tamento dalla vendita di bevande, di dolci, frutta ed altri cibi (Jonard, 1967, 276). All'esterno fioriva un intenso artigianato di capi di vestiario e di maschere e, per via indiretta, il commercio era alimentato dalle stesse vincite. Era un'industria prospera quella del gioco, lo Stato non poteva non tenerne conto.5 Se il gioco rispon-deva a certe funzioni economiche e relazionali nella societa dell'epoca, per le sue stesse caratteristiche, era portatore di conflitti a livello familiare o nella vita sociale. Le famiglie coinvolgevano direttamente le istituzioni pubbliche per evitare la rovina minacciata dallo sperpero al gioco di ingenti somme da parte di qualche membro. Il controllo esercitato dagli informatori degli Inquisitori di stato era zelante e l'intervento moralizzatore da parte del governo quasi scontato. L'ambiguita dell'inter- si giuoca. Anzi se talora passa qualche momento in cose indifferenti, non manca qualche zelante, che per non lasciar cader in ozio la compagnia, la sollecita a non perder il tempo, ma ad impiegarlo utilmente giuocando. Per conchiudere, si giuoca sempre, e non mancano molti, che per non esser accusati di gettar in vano i suoi giorni sono si assidui a questo bell'impiego, che giuocano non solo tutto il giorno, ma anche quasi tutta la notte, rubandone solo quel poco, che basta a prendere una scarsa refezione col cibo. Giungono alcuni poi a tale finezza e sottigliezza d'ingegno, acquistata nell'assiduo esercizio di questa gentile disciplina, che fanno travedere, cambiando con ammirevole sveltezza le carte sotto gli occhi de' spettatori, e facendole cadere come ad essi più cade in acconcio.. Allorché uno sia giunto a questo alto grado di cognizione, non teme più povertà perché il giuoco è ad esso lui il Lapis Philosophorum, facendo ricadere in se stesso a man franca tutte le ricchezze di chi poco esperto vuole arricchirsi a cozzarla col loro ingegno meraviglioso...". 4 La Nd. Giustiniana Winne, contessa di Rosemberg ed il patrizio Carlo Antonio Donà sono i protagonisti di un episodio di gioco, segmento di un ben più intrigante gioco delle parti in cui le nobil-donne rappresentavano un punto nodale nella rete di relazioni sociali. In una serata poco fortunata del 1773, nel casino del Luganegher in Frezzeria a Venezia, in un testa a testa con il patrizio, la contessa aveva perso la somma di 3192 fiorini. Su tale somma aveva dato in acconto un anello di brillanti del valore di 320 zecchini e poi più nulla nonostante i solleciti. A distanza di dieci anni, nel 1783 il patrizio Donà, durante la luogoteneza a Udine, presento un'istanza al tribunale di Klagenfurt contro la nobildonna per insolvenza di debiti di gioco. Qualche mese prima aveva ordinato il se-questro di 700 fiorini che il figliastro, conte Vincenzo Orsini di Rosembergh, mandava alla contessa ogni tre mesi attraverso una banca di S. Vito. Il ricorso della contessa agli Inquisitori di stato aveva prodotto un richiamo nei confronti del patrizio a sospendere l'atto che avrebbe dovuto inoltrare, per competenza, al foro veneto. L'anno successivo la contessa subi un sequestro per i debiti di gioco e dovette trovare alloggio in terraferma (ASV, ES, 100; Damerini, 1959, 99 ss.). 5 En occasione della chiusura del Ridotto, il 27 novembre 1774, Goudar scrisse "Tutti i Veneziani sono colpiti da ipocondria: gli Ebrei sono gialli come limoni, i negozianti non vendono più nulla, i fabbricanti di maschere sono alla fame; i nobili barnabotti, che maneggiavano le carte dieci ore al giorno, vedono le loro mani atrofizzarsi; i vizi sono assolutamente necessari all'attività di uno Stato" (Jonard, 1967, 277-278). 389 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 vento sanzionatorio stava nella sua motivazione etica che, pur trovando conferma nel notevole cambiamento del costume avvenuto nel corso del Settecento, tanto più evidente se considerato come reazione all'ossessiva oppressione etico-religiosa del secolo precedente, assunse, nel corso del XVEEE secolo, un notevole rilievo nell'at-tività degli Enquisitori in particolare nei confronti del ceto aristocratico. Più che nemici da controllare o complotti da sventare, erano le numerose denunce per il malcostume che sembrava dilagare nella città ad impegnare tale organo di polizia. Quella voglia di godere la vita da parte della gente di tutti i ceti dopo tante vicis-situdini, che faceva desiderare e perseguire piaceri immediati e rimuovere gli ideali coinvolgenti, quel torpore che avvolgeva gli individui, quasi che l'effimero fosse la risposta esistenziale all'inutilità di ogni tentativo di cambiamento, non preoccupa-vano tanto l'autorità quanto le manifestazioni più evidenti di disagio che ne stavano alla base e che richiedevano interventi continui. C'è da chiedersi se effettivamente il livello di corruzione fosse tale da motivare tanto zelo da parte delle istituzioni dello Stato in misura forse maggiore di quelle religiose, che sembravano più accondiscendenti. Oppure il tipo di intervento reso plausibile dalla mutata realtà, non fosse un modo per mascherare l'insicurezza del governo, derivata dalla sua l'incapacità di affrontare problemi ben più profondi della società, deviando verso il controllo della sfera comportamentale, l'esercizio di un potere che, secondo le motivazioni per cui era nato, non avrebbe avuto una giusti-ficazione politica, considerata la secolare e collaudata neutralità della Repubblica e la sua uscita dai circuiti internazionali del potere. O il fatto che la famiglia aristocratica ricorresse con una frequenza notevolmente superiore rispetto al passato all'autorità pubblica per la gestione di conflitti privati, non rappresentava, forse, un forte indi-catore della trasformazione che stava avvenendo al suo interno e con quest'azione, mentre si dichiarava impotente a ripristinare l'ordine, segnalando il suo disagio, apriva all'autorità nuovi ambiti di intervento nella gestione di problemi della sfera privata, rinforzando cosí il suo potere?. Quest'ultima ipotesi sembra la più attendibile; le cen-tinaia di suppliche e i numerosi processi civili e criminali6 offrono lo scenario di una evidente situazione di disagio esistenziale dei singoli individui che sfocia nel conflitto 6 I problemi afferenti l'ambito familiare, in particolare la questione dei "divorzi", investirono il Con-siglio dei dieci a tal punto che l'organo di stato, in previsione di una riforma, ricorse nel 1782 alla consulenza dei canonisti dell'Università di Padova e ai consultori in iure. Emersero diverse proposte di riforme. A questo proposito commenta G. Cozzi in Note e documenti sulla questione del "divorzio ": "Nel corso del consulto la bilancia dei due consultori aveva sempre inclinato a favore dei mariti; e a una discriminazione antifemminile erano ispirati anche i punti di riforma da essi suggeriti. Ma il fatto che nel chiudere il loro lavoro ritenessero di dover fare questo ammonimento in favore di una equa comparazione dei diritti e dei doveri dell'uomo e della donna, sta ad indicare che tra le voci della cultura e della sensibilità del loro tempo che li aveva colpiti, e che filtrano qua e là nello spesso conservatorismo della loro trattazione, ci fosse anche quella che invitava a considerare in modo nuovo il ruolo ed i diritti della donna nella famiglia e nella società" (Cozzi, 1981, 301-313). 390 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 con l'autorita rappresentata a livelli diversi, dagli organi di governo, alla famiglia. E una dissonanza fra le istanze personali che manifestano una maggiore consapevolezza della propria individualita e autonomia di scelte e il dover agire in conformita a regole imposte dalla tradizione e dal gruppo di appartenenza. Pur mantenendo la propria identita sociale i patrizi di entrambi i sessi, con connotazioni profondamente diverse, stavano vivendo una trasformazione che investiva la loro identita personale e che fa-ceva anteporre ai valori condivisi dal gruppo, le loro esigenze psicologiche, gli in-teressi culturali, i gusti personali e non da ultimo, con uno spazio sconosciuto in passato, i propri impulsi e i propri sentimenti. Il singolo patrizio in crisi d'identita, sembrava irretito dai propri problemi esistenziali e, come si e visto, culturalmente incapace di inventare una soluzione al di fuori delle norme di comportamento del gruppo cetuale. Il gruppo condizionava enormemente l'agire dell'individuo, al di fuori di esso egli non era nessuno, al suo interno nel bene e nel male egli si riconosceva ed era rico-nosciuto come patrizio. Era uno status che nell'economia esistenziale dell'individuo comportava continui ed elevati costi nella maggior parte delle situazioni, non adeguatamente sostenuti da rendite consistenti cui attingere. Dalla capacita di muoversi all'interno della rete di relazioni personali che caratterizzava la societa cetuale, e di svolgere dei ruoli funzionali al sistema, il giovane patrizio, non destinato dalla famiglia al matrimonio o alla carriera politica od ecclesiastica, avrebbe tratto una certa sicurezza per successive ordinanze, la trasmissione dell'esercizio del poil suo futuro esistenziale. La fiera delle opportunita Nel Settecento a Venezia il matrimonio cetuale determina ancora, secondo quanto decretato il 26 aprile 1526 dal Consiglio dei dieci e successive ordinanze, la trasmissione dell'esercizio del potere alla prole e questo avviene solo se la madre e riconosciuta, o per origine o per ricchezza, "abile a procreare figli capaci del Maggior consiglio". Conserva, inoltre, quelle funzioni complementan, ma non meno importanti nelle strategie familiari, di stabilire allenze, di acquisire ricchezze con la dote della sposa, di confermare o consolidare prestigio in vista del conseguimento di riconoscimenti politici. Si puo ben comprendere, allora, come nel perseguire l'unione di due sistemi familiari, gli investimenti economici, oltre che morali, assumessero nel tempo un ruolo sempre maggiore. Significative sono le considerazioni di James Casey in relazione alla politica matrimoniale, al ruolo assunto dalla dote ed, in particolare, al nesso tra dote, status ed autonomia della donna nelle diverse realta culturali europee (Casey, 1991, 96), segno della sua autonomia e della sua virtú, per 391 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 la famiglia era un mezzo per limitare l'eredità femminile7 ma, nello stesso tempo, costituiva un legame permanente tra la figlia e la sua famiglia natale, che conservava sulla dote interessi patrimoniali (Hughes, 1996, 35). E evidente che la dote, sia per la rilevanza quantitativa che andava assumendo, che per la sua provenienza come nel caso di figlie di ricchi non aristocratici, venisse investita di nuovi significati strettamente legati alle trasformazioni economiche, divenendo un meccanismo di mobilità sociale. L'accesso al patriziato era aperto alle figlie dei nuovi ricchi e questo connubio fra onore e ricchezza se da un lato era ambito dai nobili che potevano risanare cosí il patrimonio di famiglia, dall'altro era considerato come un affronto al proprio onore da quelle famiglie che non potevano competere nell'elevazione sociale con cospicue doti alle figlie se non a spese dei figli (Hughes, 1996, 41). Tocqueville e Le Play osservarono come il sistema della dote minasse l'autorità del marito nella sua stessa casa a beneficio di quella del suocero, suo patrono dal punto di vista economico (Casey, 1991, 106). Diane Owen Hughes nel saggio From brideprice to dowry in mediterranean Europe, conclude il suo studio sul tema della dote, con una perspicace con-siderazione. Individua una stretta relazione fra l'aumento dell'"appetibilità" economica della dote e la diminuzione del potere sessuale dei mariti sulle mogli. Ció avrebbe introdotto nella società mediterranea il cicisbeo o galante e divulgato in letteratura il cornuto. Secondo la studiosa il fenomeno è ravvisabile, lungo il litorale settentrionale mediterraneo, fin dal XEE secolo nella poesia dei trovatori in con-comitanza con il declino del dono del marito (Hughes, 1978, 291). E, senza dubbio, un'ipotesi suggestiva che trova conferma nell'importanza strategica attribuita alla dote in tempi lunghi, ma desta qualche riserva sulla funzione del cicisbeo costretta nella sfera sessuale. L'affermazione personale della donna aristocratica, la sua maggiore autonomia sostenute, come si è visto, dalla possibilità di disporre di consistenti beni dotali o di eredità, e dal diffondersi delle idee illuministiche che non avevano prodotto incisivi mutamenti nell'ambito politico veneziano, ma avevano trovato terreno fertile nella società dell'epoca, comportarono una serie di ripercussioni nella vita privata e sociale. L'intensa produzione editoriale permise una notevole circolazione degli scritti dei philosophes, in cui il disagio di molti trovava un riscontro ideologico che suffragava e alimentava il rifiuto di costrizioni derivate da una tradizione politica, religiosa e culturale fino ad allora mai messa in discussione. La famiglia aristocratica sperimentó al suo interno una serie di tensioni che scossero i due pilastri su cui poggiava il sistema familiare tradizionale: l'autorità assoluta e indiscussa del padre e del marito e la piena obbedienza e sottomissione dei figli e delle mogli: tenuti in condizioni di minorità giuridica e su cui padre e marito potevano esercitare poteri 7 Quest'ipotesi si scontra con l'aumento vertiginoso delle doti nel periodo rinascimentale. Ció com- prometteva il futuro del patrimonio di famiglia. 392 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 che andavano dalle percosse, lecite anche sulle mogli, a quello di farli privare della liberta (Cozzi, 1981, 279). El matrimonio aristocratico, in cui l'aspetto patrimoniale era l'elemento determinante delle stategie di conservazione e di alleanze che si aprivano, divenne terreno di scontro fra la logica parentale e le istanze di liberta e di rispetto della personalita dei singoli membri. La forzata vocazione al celibato laico o ecclesiastico dei cadetti, gli istituti delle primogeniture, dei fedecommessi per impedire la frantumazione dei patrimoni diseredando gli altri figli e destinando il primogenito o uno solo dei figli, alla dipendenza del capofamiglia con la conseguenza di una la drastica sempli-ficazione delle genealogie mediante la scomparsa dei rami collaterali8 furono, ancora nel Settecento, i punti nodali di tale scontro (Fiume, 1997, 78). Inoltre, considerando la dote come strumento di allocazione nel sistema cetuale, tanto che alcuni statuti stabilivano dovesse essere congrua non solo al patrimonio familiare della sposa, ma anche a quello del marito (Saraceno, 1992, 105), si puo ben comprendere come assumesse un peso notevole nelle relazioni fra i coniugi, dal momento che essa costituiva un apporto fondamentale per il patrimonio, un salutare flusso di nuove risorse per garantire crediti, alleggerire ipoteche, sanare diverse situazioni di instabilita economica (Fazio, 1996, 167-168). Estanze individuali dei figli estromessi dal sistema patrimoniale e matrimoniale, istanze di autonomia delle donne appartenenti all'élite sempre meno disposte a subire una vita coniugale imposta dalla logica familiare e che, con sempre maggiore frequenza, si trasformava in una storia di quotidiana violenza, istanze delle famiglie aristocratiche incapaci di mediare le tensioni che si manifestavano al suo interno, divennero i ricorrenti contenuti delle suppliche rivolte ai Capi del Consiglio dei dieci, agli Inquisitori di stato nel corso del Settecento. Gli interventi censori, in taluni casi limitativi della liberta individuale, da parte dell'autorita pubblica, rappresentavano, comunque, un momento straordinario del-l'esercizio del potere. Il sistema cetuale, congegnato in modo tale da autoconservarsi, aveva avviato al suo interno dei meccanismi di riassorbimento delle deviazioni generate dal sistema stesso. Far riaffiorare la memoria del cavaliere che il tempo e la mediazione culturale avevano reso piü sfumata nei contorni e nelle prestazioni e riproporla nella cultura italiana del tardo Seicento e di tutto il Settecento in una nuova veste, priva della drammaticita originale e della rappresentativita del potere rinasci-mentale, appare un'operazione quanto mai funzionale all'obiettivo da raggiungere. Al di fuori della corte e dei rigidi canoni dell'onore, il giovane nobile, si prestava ad assumere il ruolo del cavalier servente accanto ad una dama in nuovi spazi sociali: 8 Nel saggio Nuovi modelli e nuove codificazioni: madri e mogli tra Settecento e Ottocento, G. Fiume porta come esempio la " rivolta dei cadetti" del patriziato milanese del XVEEE secolo che contribuí a modificare la struttura familiare, nuclearizzando la stessa famiglia aristocratica e influenzando una serie di provvedimenti legislativi riguardanti il regime successorio e la patria potestas (Fiume, 1997). 393 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 a teatro, nelle conversazioni e soprattutto nei salotti, proponendo la relazione come un gioco di affabilità e gentilezze secondo una rinnovata immagine di cortesia. El profilo del cavaliere puo essere delineato con pochi tratti essenziali: apparte-neva, nella maggior parte dei casi, alla folta schiera di figli non destinati al matrimonio (De Giorgio, 1996, 320),9 "sacrificati" dalla famiglia per il mantenimento dell'integrità patrimoniale; la sua situazione esistenziale, che non trovava più uno sbocco nell'attività delle armi come in passato, lo rendeva disponibile a cercare nel proprio ceto nuove opportunità, a cogliere, cioè, quello che un'intensa vita di relazione poteva offrire. Poiché il codice d'onore aristocratico bandiva il lavoro come fonte di reddito, si sarebbe avvalso di quelle transazioni che la rete di relazioni sociali gli avrebbe offerto. L'aspetto che dà luogo ad una sostanziale trasformazione della relazione tra cavaliere e dama rispetto all'antica cavalleria cortese e alla cor-tigiania del gentiluomo del XVI secolo, sembra manifestarsi proprio nella trans-azione che sottende, per lo più tacitamente, le regole della relazione, intendendo, genericamente, per transazione quello scambio sociale in cui per "restituire" certi valori "materiali" o "sociali", colui che li ha ricevuti dà in cambio obblighi (azioni che soddisfano il ruolo, come le chiama Gouldner) che sono espressioni di sub-ordinazione nei confronti di colui che ha dato... (Schneider, 1985, 170). Trovato un avallo alla sua disponibilità-necessità a sostenere degli obblighi, e reso plausibile l'affermarsi di questa figura, appare interessante comprendere l'espe-diente che ne sottendeva il reclutamento da parte del marito. II paradosso dell'onore. En un "affare di famiglia" qual era il matrimonio aristocratico l'affetto, se si manifestava, aveva, spesso, dei tempi limitati nella vita di coppia e ben presto ad esso subentrava l'indifferenza più o meno dissimulata dalle buone maniere. L'onore del marito non comprendeva più il coraggio fisico e la non disponibilità ad accettare umiliazioni: l'appartenenza ad un ceto elevato e la precedenza personale con il supporto della ricchezza, lo liberavano da quelle incombenze derivanti dal concetto tradizionale dell'onore e che erano ancora determinanti per il riconoscimento sociale nei ceti subalterni. Ad esempio l'iniziativa di un duello per riparare l'onore offeso della dama non veniva più compresa fra i comportamenti civili da esibire, essendo la sfera sessuale 9 Riguardo al fenomeno del celibato tra gli aristocratici, i dati rilevati da Dante Zanetti sul patriziato milanese, offrono un valido sostegno all'ipotesi (Fiume, G. Storia della maternité, n. 8). "E celibi all'età di 50 anni passano nei due cinquantenni del Seicento dal 49% al 56%, nel primo cin-quantennio del Settecento al 50,5% per crollare al 36,5% nell'ultimo cinquantennio del Settecento. Di contro la percentuale delle nubili è in costante calo e nei quattro cinquantenni indicati passa dal 75% al 48,5%, al 34,5%, al 13%. 394 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 della donna aristocratica legata alla sua coscienza e la sua reputazione ancorata allo status. Le convenzioni degli strati piü elevati della societa rifuggivano dall'accettare tale affronto e d'altronde l'azione legale cui avrebbero potuto fare ricorso, avrebbe aggravato il disonore rendendolo pubblico. Fra le offese piü gravi che prevedevano ancora come risposta il "pugnale", una era sicuramente l'accusa di mentire: un nobiluomo non ha bisogno di mentire (Kiernam, 1991, 62). Mentire non era di per se considerato un disonore, colui che mentiva veniva disonorato solo quando, contestato come mentitore, non riusciva a vendicare il suo onore offeso (Pitt-Rivers, 1977, 42). Non era certamente facile conciliare le pretese di autonomia della moglie senza incappare in sconvenienti "malintesi", e mantenere la relazione matrimoniale al di fuori della tentazione di una separazione legale, spesso dannosa per il decoro e soprattutto per il patrimonio della famiglia. Se la reputazione della donna non era direttamente contestabile, le conseguenze del suo comportamento potevano ancora ricadere sul marito. La difficolta da superare stava, quindi, nel trovare un garante disponibile ad assecondare la moglie nelle sue incombenze sociali, a proteggere la sua reputazione. L'altro valore della transazione fra servente e dama riguardava l'onore del marito; infatti era consuetudine che questi scegliesse il giovane e lo proponesse alla moglie, che si riservava di accettarlo o meno. Il reclutamento seguiva un rituale maschile che comportava l'assunzione in servizio del servente da parte della coppia per l'esple-tamento delle obbligazioni verso la dama. Egli l'avrebbe accompagnata nelle occasioni in cui il marito non sarebbe stato in grado di farlo. Con il consenso di questi, avrebbe assecondato nel migliore dei modi le sue richieste, in quanto sarebbe entrato a tutti gli effetti nella vita familiare, cosicché ben si confaceva il moto 'Honi soit qui mal y pense' (sia biasimato chi pensa male).10 El rischio di ricevere la mentita, quindi, era risolto dalla presenza di un garante e con esso era definitivamente evitata la barbara possibilita di un duello. Inoltre il marito era sollevato dalle noiose pretese di relazioni sociali della moglie. Le nuove opportunita erano state ben presto accolte dalla societa aristocratica tanto da farle diventare una vera e propria moda. Nessuno all'interno del sistema si sarebbe mai sognato di rilevare il paradosso su cui si reggeva la relazione. Ma coloro per i quali l'onore-virtü rappresentava ancora un valore forte: gli appartenenti ai ceti subalterni e gli ecclesiastici, non tardarono a farlo emergere. El cavalier servente, per dimostrare, infatti, che era un uomo "d'onore" secondo i canoni, avrebbe dovuto esternare il suo coraggio, la sua mascolinita ritenuti compo-nenti essenziali della sua virilita, ma se avesse intrattenuto relazioni sessuali con altre, avrebbe infranto ció che gli era stato prescritto: la fedelta alla dama, e se avesse avuto una relazione sessuale con la stessa, avrebbe macchiato la sua reputazione e l'onore del 10 E il moto dell'ordine della Giarrettiera, il piü alto ordine cavalleresco inglese, istituito da Edoardo EEE nel 1347. 395 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 marito. Egli si trovava preso, cosí, in una situazione paradossale: dimostrare di essere un uomo d'onore senza avvalersi degli attributi che sostenevano tale condizione. Non era sicuramente una situazione chiara per il cavalier servente, né tanto meno per la dama che con questa risposta alle sue istanze di autonomia, si trovava avvilup-pata in una situazione relazionale indefinibile. E non erano certo i vezzi della galantería a qualificare l'indipendenza raggiunta. Come si e piü volte visto, la contrap-posizione fra consapevolezza dei propri diritti naturali e la subordinazione di questi ad una logica patrimoniale per la conservazione di interessi cetuali, aveva portato all'esasperazione delle regole di convivenza coniugale in nome di una "civiltá" ormai ridotta ad apparenza. L'orgoglio derivato dallo status esponeva molte relazioni ad una escalation simmetrica, che si manifestava con l'indifferenza, la ricerca di una afferm-azione della propria autonomia, l'infedeltá, l'ostentazione della mancanza di gelosia. En questo gioco in cui uno dei due coniugi non avrebbe mai ammesso la propria sub-ordinazione all'altro e che, sicuramente, avrebbe portato ad un punto di rottura come avveniva con preoccupante frequenza, la presenza del cavalier servente svolgeva la funzione di "ammortizzatore" della relazione, data la sua posizione complementare al-l'interno della coppia e nei confronti della dama. La sua non era, tuttavia, una vocazi-one oblativa ma confermava l'esistenza di scambi sociali su cui si basava la relazione. El marito, nell'estraniarsi dalla relazione, avrebbe ricoperto un ruolo del tutto marginale in seno alla famiglia assumendo, spesso, al suo esterno lo stesso ruolo di cavalier servente e alimentando cosí gli attacchi della borghesia e del clero nei confronti di tali situazioni coniugali "scandalose". L'errore generato dal sistema omeostatico familiare in qualche modo era riassorbito dal gruppo cetuale con il serventismo. El fatto stesso che il ruolo del servente non fosse messo in discussione dalle autoritá, che pur avevano un occhio particolarmente attento alla condotta morale del patriziato, e giá un elemento a sfavore delle teorie che lo considerano causa di corruzione dei costumi fra cui le frequenti crisi coniugali. La dama e il cavalier servente nell'ineffabile gioco del vivere quotidiano Nel momento in cui il cavalier servente entrava al servizio della dama, assumeva una serie di mansioni che lo vedevano sempre piü presente nella sfera privata della famiglia; accompagnatore nelle sue uscite, attore di un cerimoniale galante i cui riti, assecondando o anticipavando i desideri della dama, materializzavano l'ineffabile gioco del fluire della vita. Mattino, pomeriggio e sera egli era presente accanto a lei. Luigi Valmaggi ha lasciato negli anni venti del Novecento, un'opera ricca di particolari di quel mondo da cui emerge il contrasto fra la vacuitá dei compiti e la rigorositá con cui essi venivano espletati. Ma nel gioco delle apparenze tutto ció doveva avere una funzione: assaporare sensazioni e ritmi diversi, assecondare la dama nella toilette, 396 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 nella vestizione, darle consigli sull'acconciatura, e ancora rendere piü accattivante la convesazione con qualche maldicenza, la letteratura dell'epoca ha proposto in numeróse versioni i giochi della coppia, con un tono sarcastico, di censura morale. Forse proprio l'intravedere alla base della relazione una componente ludica provoca in noi la sensazione di vacuita. E difficile rapportarsi con una mentalita che considerava il gioco, nelle sue diverse espressioni, un elemento importante e non occasionale nella vita quotidiana degli adulti, superando la barriera attuale che confina il gioco all'infanzia o come forma deteriore dell'esistenza. Proprio l'eccessivo coinvolgimento nel gioco e la perdita del limite tra questo e la realta, rappresentavano i momenti piü pericolosi per la coppia. Il rituale che impegnava il cavalier servente in modo quasi ossessivo ai voleri della dama, lo rendeva un partner indispensabile, ma rappresentava anche la condizione entro la quale era permesso qualcos'altro, che non fosse assolutamente vietato. Era evidente pero che tale cerimoniale se da un lato consolidava il divieto, dall'altro riproponeva la paradossalita della relazione. Il rispetto degli obblighi qualificava il cavaliere come esecutore provetto, in cambio egli aveva l'accesso ad una rete di relazioni di cui la dama rappresentava un nodo importante e stava nella sua abilita saperne trarre vantaggi materiali e sociali. Come partecipava al rito della cioccolata mattutina, cosí era sempre presente ai pranzi di cerimonia che, se avvenivano nel palazzo della dama, rientravano nelle sue incombenze (Valmaggi, 1927, 80).11 Nel pomeriggio, altri riti come l'uscita in carrozza o a Venezia il fresco in gondola sul Canal Grande, oppure il listón in Piazza S. Marco favorivano i maneggi della galanteria. Non si perdeva occasione di conversare e come scriveva Clemente Biondi. Ogni ora ha le sue proprie; il mattino si usurpa le confidenti e secrete, al tardo sol si protraggono quelle di semplice formalita, e a le lunghe sere si riserbano quelle di costume, o d'impegno (Biondi, 1783, VE). Le assemblee o conversazioni pubbliche, non erano solo occasioni di chiacchiere banali, ma anche di incontri che potevano offrire nuove opportunita ai cavalieri ser-venti, conoscenze maschili e femminili, inviti a pranzo o in villeggiatura, la vera mania dei patrizi veneziani del XVEEE secolo. Nella villa in campagna il lusso, la prodigalita e la presenza di una allegra e numerosa compagnia rientravano nella rappresen-tazione dello status simbol della famiglia. La vita in villa era il regno della galanteria e per i cavalieri serventi di professione era un comodo mezzo per sbarcare il lunario. Accanto ai cavalieri fissi, proliferavano i serventi d'occasione, coloro che nello scegliere la dama da servire ponevano allo stesso livello l'ambizione e il tornaconto, che sapevano far carriera sostituendosi ad altri, che si facevano agenti d'affari del marito (Valmaggi, 1927, 144). 11 Scrive a questo proposito l'autore "Gli onori delle mense toccavano ai cicisbei,e questo spiega perché i professionisti (...) si adattavano senza difficolta a qualsisia piü grave molestia, e sopportavano con rassegnazione le furie di qualsisia piü bisbetica signora, per assicurarsi almeno una buona tavola". 397 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 Pietro Longhi, La cioccolata del mattino (Venezia, Museo del Settecento veneziano, Ca'Rezzonico). La presenza, accanto una dama, di più serventi in ordine gerarchico differenziato, si riscontra dell'opera di madame De Stael: Corinna o l'Italia. El brano qui riportato, offre una visione efficace delle diverse interpretazioni culturali del codice d'onore e quanto ció influisse nella relazione fra dama e cavaliere. ... Tre o quattro uomini,a titolo diverso, seguono la stessa donna, che li conduce con sé senza darsi nemmeno la pena, qualche volta, di dire il loro nome al padrone di casa che li riceve: l'uno é il preferito, l'altro colui che aspira ad esserlo, un terzo si chiama il patito, ed é del tutto trascurato, ma gli si permette tuttavia di far la parte dell'adoratore, e tutti questi rivali vivono pacificamente insieme. Solo la gente del popolo ha conservato la tradizione del colpo di pugnale (De Stael, 1961, 147). Non erano inevitabili le rotture fra la dama e il suo cavaliere, spesso causate dalla eccessiva volubilità femminile ed anche di questo si rintracciano testimonianze nelle memorie di viaggiatori stranieri. El brano riportato di seguito, conferma come il reclu-tamento dei giovani nobili disponibili a servire la dama, avvenisse anche nel "sotto-bosco aristocratico", nel caso specifico tra il patriziato veneziano più povero, i barna-botti. Al prescelto, la dama dava mezzo zecchino o più al giorno, per le spese di "rap-presentanza". Une dame de la noblesse ne peut avoir de cavalier que parmi les nobles, 398 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENT! NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 tellement que, si elle se brouil-le avec celui qui la sert habituellement et qu'elle n'en trouve pas dans la société qui veuille l'accompagner, elle est obligée de prendre un barnabotte, à qui elle donne un demi-sequin ou plus, par jour, pour lui servir d'écuyer en public (D'Hauterive, 1912, 116). Accanto ai cavalieri serventi d'occasione, che prestavano la loro opera temporáneamente alla dama, vi era una folta schiera di ecclesiastici, soprattutto abati, al servizio di famiglie aristocratiche presso le quali svolgevano mansioni di istruire i figli o di segretari; essi venivano introdotti alla vita di società e praticavano sapientemente la galanteria col chiaro intento di uscire dall'anonimato della massa dei sottoposti. Una patetica figura di abatino galante con funzioni di segretario, emerge dal carteggio Michiel-Renier. Elena, figlia del patrizio Marcantonio Michiel, nella intensa corrispondenza che intrattenne col padre, fra gli anni 1792-1799, cita di frequente, ora con tono ironico, ora amichevole, la presenza del "galante Michelin" la cui funzione, rispetto a quella conclamata da tanta letteratura sull'argomento, risulta notevolmente contenuta. Egli svolgeva principalmente le mansioni di corriere e segretario del patrizio (BCMCV). II caso della contessa Laura Valle Dalla realtà processuale emerge il caso inedito della contessa Valle che offre una sintesi quanto mai efficace delle osservazioni fin qui proposte. Laura, figlia unica del conte Ottaviano Valle e di Margherita Revese, discende da una famiglia originaria di Brendola, ascritta nel 1510 al Consiglio nobile di Vicenza. Una nobiltà relativamente recente, quindi, sostenuta da una apprezzabile ricchezza che Laura eredita e che le apre la via ad un matrimonio con il conte Antonio Egnazio da Porto Barbaran, esponente di uno dei lignaggi più prestigiosi di Vicenza. El contratto nuziale redatto il 10 aprile 1739, prevede che Laura porti in dote 12000 ducati in gioielli e argenteria, 100 campi, la villa, il brolo di Brendola e il palazzo di Vicenza (BCBV, 90-96). Nel 1741 a 17 anni, sposa il conte Antonio Egnazio di 31 anni. La coppia ebbe sette figli. A 68 anni l'anziano conte accolse nel suo palazzo il giovane conte Vittorio da Porto di Giovanni come cavalier servente della moglie cinquantaquattrenne; mai avrebbe supposto le conseguenze di quella che avrebbe dovuto essere una semplice nobile amicizia e che, invece, sotto il suo tetto, si era trasformata in legame amoroso e, in breve, aveva assunto la tumultuosità di una passione. Su pressione del figlio Luigi e dei nobili parenti della famiglia, il marito denuncio la contessa Laura, per adulterio, agli Enquisitori di stato. El processo, istruito il 13 ottobre 1780, venne condotto dal podestà di Padova che, 11 28 ottobre, alla fine della fase istruttoria, invio una relazione agli Enquisitori. En essa le considerazioni emerse nel corso della ricerca,trovano un preciso riscontro: lo stato di indigenza della nobiltà minore che porta il giovane conte ad entrare a 399 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALIERI SERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 servizio in una casata insigne che la contessa Laura aveva contribuito a rendere piü solida con una considerevole dote, la relativa autonomia di maneggio di consistenti somme da parte della nobildonna, le transazioni che migliorano in modo evidente l'esistenza del cavaliere. Il giovane, di 24 anni, da due frequentava palazzo da Porto; 11 rapporto galante, divenuto relazione amorosa, venne esibito nella nuova versione, senza troppe cautele, anche nei salotti durante le conversazioni. In un frammento della relazione del podesta di Padova (ASV, IS, 1125) si legge: Alcuni per altro riflettono (...) che il conté Vittorio coltivasse la contessa Laura per oggetto di solo interesse, mentre essendo di ristrettissime fortune, né potendo comparire in modo decente, fu veduto dopo che correva la corrispondenza con la medesima in magnifico (...) di vestiario, biancheria, con denaro ed altri apprez-zamenti necessari ad un giovane per far una decente figura e comparire nelle piü nobili adunanze... Il "comparire" accanto alla nobildonna, conferisce al giovane delle opportunita che, altrimenti, gli sono precluse.12 Percio, diventa essenziale "far una decente figura": la forma esteriore e la regola principale per essere accolto nelle "nobili adunanze", segno della politesse del conte piü che della prodigalita della contessa. Secondo le testimonianze dei familiari, Laura aveva accumulato un debito di oltre 40.000 lire ed aveva impegnato una somma simile in argenteria e preziosi per conferire uno stile adeguato al suo cavaliere. Il patrimonio dei da Porto stava ricevendo un notevole salasso e la famiglia compatta si era mossa per bloccare la "disinvolta" generosita della nobildonna. Il podesta descrive il carattere della dama come: ...depravato, incorreggibile, capriccioso, e risoluto sacrifica alle sue passioni la vita del marito e defigli e quello del marito come ...onestissimo, probo, leale, di talento assai minore di quello che dimostra, 12 M. Sardo, nell'opera Ottavia le Bisce e Bonaparte, narra un episodio analogo riguardante la nobildonna Teresa Capra, figlia del marchese Mario e di Cecilia Trissino, andata sposa al Conte Girolamo Saverio Bissari il 23 novembre 1754. Teresa apparteneva ad uno dei casati piü in vista di Vicenza, anche se la famiglia Capra aveva dovuto alienare, nel tempo, una buona parte della propria ricchez-za. Nel contratto di nozze si legge infatti che Teresa portava a Girolamo una dote di dodicimila ducati; meta della somma subito, il restante - com'era uso corrente - in ragione di cinquecento ducati all'anno (Sardo, 1989, 19). Cavalier servente della nobildonna divenne un ragazzo di poco piü di 18 anni, "gagl iardo piü che bello, appariscente piü che piacente, Bissari anche lui, di nome Gualdinello. Quei Bissari eran pa-renti alla lontana di Girolamo. nove o dieci generazioni prima, nella seconda meta del '400 i loro avi erano fratelli..." (Sardo, 1989, 31). Il giovane, che all'inizio si era attivato per mettersi al servizio della dama, sbirciando fra le carte di Girolamo, venne a conoscenza di poter vantare pretese sulle proprieta dei parenti piü ricchi. Fece valere i suoi diritti successori presso il Consiglio dei dieci ed ottenne meta del patrimonio Bissari. Continua l'autore "....appena qualche anno dopo l'inganno di Gualdinello con le conseguenze che conosciamo, ella si prese un altro cavalier servente, che a dirla col nominato da Schio (... ) Iu Vincenzo Scroffa... (Sardo, 1989, 44). 400 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 incapace di calcolare che alcuno lo inganni, cosicché ha sempre ceduto alie lusinghe e carezze della moglie in confronto della quale divenne cieco nel proprio interesse, credepiú alle di leiparole che all'evidenza degli occhipropri, e si dimostra imbecille, El rovesciamento dei canoni comportamentali, la destrutturazione di un ordine sessuale, la conclamata impotenza di affermare la propria mascolinita da parte del marito anziano e malato e di esercitare la propria autorita sulla famiglia, l'incapacita da parte degli uomini di casa da Porto e del gruppo di nobili legati ad essa di difendere l'onore di famiglia attraverso il controllo del comportamento sessuale della contessa, e il dissennato sperpero del patrimonio di famiglia, sono i detonatori che proiettano questa storia di turbolenta passione verso una soluzione giudiziaria. La relazione si consuma nell'appartamento privato della nobildonna. Viene stabi-lito il rituale: quando la famiglia si ritira, il lacche riceve il giovane ad una porta secon-daria del palazzo e lo accompagna nell'appartamento della contessa. Le visite notturne si fanno sempre piú frequenti. El lacche, pero, non sta alle consegne e avverte il figlio maggiore della contessa, che si avvale dell'aiuto di parenti ed amici per verificare il fatto. Cosí, le notti attorno al palazzo da Porto diventano straordinariamente affollate di ombre furtive. El marito non sa di essere "cornuto", la moglie e l'amante non sanno di essere dei sorvegliati speciali, ma la societa vicentina sa tutto della intensa vita notturna dentro e fuori casa da Porto. Cominciano gli appostamenti per controllare l'andirivieni del giovane. El conte Antonio da Porto, per primo, lo vide uscire all'alba dalla porta segreta. El conte Fracanzan assistette ad una notte piuttosto affollata nell'appartamento della contessa. L'idea di cambiare posto di osservazione e di appostarsi dietro una finestra del mezza di palazzo Thiene, che fronteggiava palazzo da Porto, si rivela strategicamente felice. La notte del 26 settembre il nobiluomo Scroffa e il conte Fracanzan videro Vittorio entrare dal portello. Al gruppo di auto-revoli guardoni, si unirono un religioso maestro di casa da Porto e numerosi servi. Poiché tutti avevano paura di tutti, nemmeno il giovane cavaliere si muoveva sprovvisto di scorta. Era noto, inoltre, che Laura tenesse delle pietre sul davanzale per lanciarle contro colui che avesse osato assalire Vittorio. Sebbene piú volte i due amanti fossero stati invitati a desistere dalla loro relazione, entrambi, con motiv-azioni differenti, continuarono piú determinati che mai a frequentarsi: la contessa travolta dalla passione, il contino dai consistenti benefici economici. Ma non e con-cesso nemmeno ad una nobildonna, ostentare al di la delle apparenze una relazione adulterina e soprattutto assumere schemi di comportamento maschili. Per un uomo maturo avere una relazione con una donna molto giovane non solo e accettabile, ma e una esibizione della sua mascolinita; al contrario la passione di una donna matura per un giovane desta nell'immaginario conturbanti riferimenti ad un rapporto materno. Non emergono nella relazione particolari considerazioni sul comportamento del giovane cavaliere che da garante dell'onore della dama diviene causa compiacente del suo disonore rinviando ad altri il compito di ripristinarne la 401 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERISERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 reputazione. E evidente, pero, che l'assumere un comportamento d'attacco della virtú della dama consenziente, contribuisce a rafforzare la sua fama e pone in secondo piano il fatto di tradire la fiducia del marito e di renderne palese l'inettitudine. Una chiara conferma e data dalle osservazioni di Julian Pitt-Rivers: ...Se la sessualita maschile e essenziale alia fondazione della famiglia (...) la virilita di un marito deve essere esercitata soprattutto nella difesa dell'onore della moglie dal quale dipende il suo stesso onore, percio l'adulterio di lei rappresenta non solo una violazione dei suoi diritti ma la dimostrazione del fallimento del suo compito (...) La responsabilita e sua non dell'adultero poiché il secondo stava soltanto agendo in conseguenza della sua natura maschile, il ruffiano non il libertino e il prototipo del disonore maschile poiché si puo presumere che il secondo difenda questi valori quando gli venga richiesto di farlo cioe quando il suo onore sia messo in questione (Pitt-Rivers, 1977, 23-24). Alla fine, piú che l'onore della madre e della famiglia, l'intervento del gruppo dei pari in sostegno del figlio Luigi si manifesta come un estremo tentativo di salvare cio che resta del patrimonio. Che l'onore sia un concetto ridotto a pura convenienza, appare evidente dal comportamento dei vari personaggi che concorrono a rappre-sentare il caso della contessa Valle e del suo cavalier servente con la coloritura di una farsa di fine Settecento, in cui i nobili si propongono come simalacri di un mondo cavalleresco in dissoluzione. La stesura di questo saggio offre alla scrivente l'opportunita di esprimere profonda gratitudine a Claudio Povolo, infaticabile guida nel corso degli studi e fonte continua di riflessioni durante la ricerca. PLEMKENJE EN KAVALERJE - LJUBIMCE V BENEŠKE REPUBLIKE V 18. STOLETJU: PARADOKS ČASTE Mila MANZATTO IT-30022 Ceggia, Via Loreto 2 POVZETEK Na koncu 17. stoletja in tekom 18. stoletja so iz celotnega ozadja pravil obnašanja, različnih za oba spola in povezanih v kompleksen splet tako imenovanega kodeksa časti, izstopali vidni znaki transformacije na območju spolnosti s pojavo fenomena serventizma. Uveljavljanje vloge kavalirja - ljubimca, pojmovana kot vsakdanja usluga, ki jo je plemkinji s privolitvijo njenega moža nudil kavalir, zaznamo kot moderen izraz kulture medsebojnih odnosov, osvobojenih obsesivnih protireforma-cijskih omejitev. Če pa fenomen opazujemo natančneje, v njem prepoznamo indikatorja korenitega spreminjanja vlog, kjer se v težnji za modeli, ki bi ustrezali novim družbenim potrebam, zatemnijo tradicionalni modeli. V tem spreminjanju vlog sta 402 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mila MANZATTO: NOBILDONNE E CAVALEERI SERVENTI NEL SETTECENTO VENETO: ..., 385-404 prisotni tako kriza osebne identitete moških kot samostojnejše ter samozavestnejše nastopanje žensk. Se preden vsakdanje ljubimčevo spremstvo ob dami odgovori na moralistične kritike o njegovi spolni dvoumnosti, nam razodene šibkost družinskega sistema, ki je posledica izključevanja številnih mladeničev iz poročnih in premoženjskih vezi. V tem pojavu lahko torej uvidimo poskus razreševanja s strani plemiškega sloja problema, ki ga je ustvaril homeostatičen družinski sistem, in sicer z namenom, da bi omilili neprijetnosti, do katerih je prišlo s pojavo kadetov. Zelo uporaben prispevek za obravnavo te teme je sledeče besedilo - akt procesa: poročilo o preiskavi, ki ga je pripravil podestat iz Padove dne 28. oktobra 1780 in ki se nanaša na čustveno zgodbo premožne plemkinje Laure Valle iz Vicenze in mladega kavalirja - ljubimca Vittoria da Porta. Po navedbi plemkinega moža, grofa Antonija Ignazija da Porto Barbaran, se je njun odnos moral omejevati na preprosto in plemenito prijateljstvo, ki pa se je hitro pretvorilo v ljubezensko vez s temu primerno vznemirjujočo strastjo. Zaradi izredno transgresivne konotacije njunega odnosa, še bolj pa iz bojazni, da bi darežljivost dame do kavalirja z zelo omejenim imetjem ogrozila družinsko premoženje, se je sorodstvo odzvalo izredno kritično in vplivalo na grofa do te mere, da je svojo ženo Lauro ovadil državnim preiskovalcem zaradi prešuštva. Ključne besede: kavalirji ljubimci, plemkinje, čast, 18. stoletje, Beneška republika FONTE E BEBLEOGRAFEA ASV, IS, 100 - Archivio di Stato di Venezia, Enquisitori di stato, busta 100. ASV, IS, 1125 - busta 1125. Barbagli, M., Kerzer, D. I. (ed.) (1992): Storia della famiglia italiana 1750-1950. Bologna, El Mulino. BCBV - Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza. Porto Barbaran, M. (1979), La famiglia Da Porto dal 1000 ai giorni nostri. Dattiloscritto. BCMCV - Biblioteca civica museo Correr di Venezia, mss. PD/C. 1998, 1433. Lettere della famiglia Michiel. Berengo, M. (1956): La societa veneta alla fine del Settecento. Firenze, Sansoni. Biondi, C. (1783): Conversazioni. Venezia. En: Valmaggi, L. (1927): E cicisbei. Contributo alla storia del costume italiano nel secolo XVEEE. Torino, Chiaratore. Bizzocchi, R. (1997): Cicisbei. La morale italiana. En: Sorica, 9. Casey, J. (1991): La famiglia nella storia. Roma-Bari, Laterza. Costantini, G. A. 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