ANNO XVI. Capodistria, 1 Gennaio 1882. N. 1. LÀ PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo. *) 1231. — Aquileia, 22 febbraio. 11 patriarca Bertoldo stipula convenzione col comune di Pirano. Bertoldo accorda a Pirano di poter ritirare dal Friuli tutto ciò che gli fosse necessario, Pirano poi promette al patriarca di voler venire in aiuto alla Chiesa aquileiese con 50 uomini, mantenuti dal comune, qualunque volta ed ovunque Ella si trovasse in guerra : tra testimoni, havvi Leonardo, vescovo eletto di Trieste. •Top. Aggiunte al Cod. Dipi. Istr. - Pag. 23 e seg. 1232. — 11 patriarca di Aquileia vuole che ad ogni suo cenno ciaschedun capo di famiglia di Castel Venere gli si presenti armato, col suo cavallo ed un altro soldato, sotto minaccia di perdere nonché la grazia del marchese anche i beni. Noi. Corografia di Capodistria ecc. - Pag. 439 e seg. 1232. — In seguito ad eccitamento del patriarca Bertoldo papa Gregorio IX delega don Bartolomeo, canonico arcidiacono di Capodistria, per indurre fra Gerollo abate di Millestadt nella diocesi di Salisburgo, a rinunciare ad ogni pretesa sì spirituale che temporale sulla villa di Caporetto, essendo quésta di ragióne del capitolo di Cividale. Meme. Ann. del Fri. To. II, p. 313. 1232. — Federico II conferma il bando di que' di Pola, pronunciato dal patriarca Bertoldo, ove si rifiutassero di obbedire e di dare soddisfazione al patriarca annullando la nomina fatta da essi del proprio podestà **) senza (Cont.) un permesso patriarcale. Lir. Not. delle cose del Fri. - To. IV, p. 220 e seg., - Kandl. Indie, ecc. - Pag. 28, Not. St-di Pola, pag. 31 e 167, - e Carli. Ant. Ita], -____To. V, pag. 180. 189, 211, e seg. *) Continuazione ; vedi N. 1-24. **) Il Manz. Annali del Fri. To. II, p. 312 e seg., vuole col Nicoletti, l'ite Ms dei patriarchi acqui!., elio impulso a questo bando vi abbiano dato la renitenza dei cittadini nell'adempiere a certi obblighi che aveano verso il proprio vescovo e verso il patriarca, l'averodiato e perseguiti i messi del vescovo, uccisi parecchi loro vicini innocenti, e l'aver rigettato l'invito imperiale che li chiamava alla corte, perchè rendessero ragione di tutto ciò e ritornassero a loro dovere. CORRISPONDENZE Dell' avvicendamento agrario in Istria Parenzo, 23 dicembre Neil' ultimo numero del vostro periodico procurai di chiamare 1' attenzione dei nostri agricoltori sull'importanza dei lavori frequenti e profondi, e ho voluto far loro conoscere la necessità di adottarli per principio, e per ristabilire la fertilità dei loro terreni. Ammesso ora, che convinti della loro efficacia, si dessero ad' eseguirli col maggiore impegno, si noterebbe senza drobio uu miglioramento in provincia; ma sarebbe esso duraturo? E quei lavori sarebbero il vero mezzo per assicurarci anche nel lontauo avvenire una ricchezza di prodotti? Coli'insistere nell'erronea coltura, in ptatica oggi, e col somministrare magre letauiazioui allo strato coltivabile, si arriverebbe in capo a pochi anni a sfruttare e spogliare quel po' di strato inerte, e si finirebbe, com'è naturale, col chiamare ingrato quel terreno, che anche fecondato dal lavoro assiduo e diligente, ricuserebbe di corrispondere alle aspettative ed ai bisogni dell' agricoltore. Per poter sempre mantenere allo stesso grado di fertilità lo strato attivo, anche adottando i lavori profondi, si rende indispensabile una quantità di letame, che noi assolutamente non abbiamo. Come ingegnarci allora? Coli'abbandonare 1' avvicendamento biennale in uso tra noi, tanto fatale, specie pel contadino, e col-i' adottare delle rotazioni che stieno più in armonia colle svariate condizioni del paese, si potrebbe benissimo supplire alla deficienza del letame, e mantenere fertile e ferace il suolo ; giacché è verissimo, che scopo principale d' una buona rotazione è quello di ricavare tre e quattro ricolti abbondanti con una sola Marnazione. Questa non è fredda teoria, ina pratica pura ; ella è una esperienza fatta, ed una verità constatata. 11 possidente istriano dovrebbe molto apprezzare e studiare tale questione; perchè nelle sue condizioni, deve realmente esultare ogni qualvolta la Provvidenza lo arma d' un mezzo per impedire l'indebolimento delle sue terre. Questa mirabile proprietà d' una razionale rotazione si basa prima di tutto sul principio che le diverse specie di piante per crescere e raggiungere il massimo loro sviluppo, abbisognano o degli stessi prin-eipii inorganici, ma in tempi ed in quantità differenti, oppure senz' altro di differenti sostanze minerali nutritive; poi, per accennare soltanto ai fattori principali, si basa sulla lentezza con cui si rendono assimilabili le sostanze minerali nelle viscere del terreno, con ispe-ciale riguardo alle combinazioni di acido fosforico e di potassa di cui indistintamente più o meno tutti i vegetali abbisognano; quindi, sulla proprietà delle diverse piante di mettere le radici più o meno profonde, e finalmente sullo sviluppo e sulle esigenze di coltura delle piante stesse. Da ciò ne risulta principalmente che un razionale avvicendamento farà seguire ad una pianta che si nutre d'un certo elemento, un' altra che sottragga al suolo un elemento diverso, ed a questa una terza che richiedendo soltanto quantità esigue di que' sali indispensabili alle due prime, abbisogni d'uua sostanza nutritiva disponibile di altra natura, e così di seguito ; per cui al frumento non succederà il frumento, ed al frumentone il frumentone, nè al frumento il frumentone; ma in generale, ad uu cereale che sottrae al terreno i silicati, dovranno seguire piante da foraggio, le quali si prendono a preferenza i carbonati di calce, ed a queste p. e. piante a radici alimentari (rape, patate ecc.) che richieggono specialmente sali di potassa; nella maggior parte delle rotazioni si osservauo nel primo anno piante sarchiate (frumentone, patate, fave, ecc.j, nel secondo foraggi annui (trifoglio incarnato, veccia ecc.) oppure cereali ; e ciò trova spiegazione nel fatto ben noto, che il letame ad alcune piante, come sono le sarchiate p. e. è di gran bene ; mentre su altre (cereali) influisce in guisa che non si possono normalmente sviluppare, ed è anzi più volte cagione del lc'-ro allettamento. In questo modo le parti nutritive del letame che si amministrano ai campi coltivati razionalmente, vengono un po' per anno esportate dalla vegetazione, cosicché il terreno si mantiene sempre fertile senza soffrire alcuna perdita fino alla seguente concimatura. L'agricoltore intelligente può quindi dividere il proprio terreno iu tre, quattro, e più parti ; eonci-mare una sola divisione per volta, e per conseguenza concentrare le letamazioni e far bastare ai bisogni della produzione il letame di cui può disporre. È dunque vero che sopra una letamiuatura si possono ricavare tre o quattro derrate egualmente belle ; a conoscenza di ciò vorremmo noi forse persistere in questo nostro rovinoso sistema di coltura? Esso non dorrisponde ai principi d' una razionale agricoltura, specie nella nostra provincia, che non possiede i prati tanto ubertosi ed estesi che si rendono indispensabili al buon esito della vicenda biennale. Col far succedere senza interruzione al frumentone il grano, piante che : esauriscono e spogliano il terreno, si comprenderà che ! lo stesso dopo breve giro d' anni, deve essere sfiuito ; ! è ben vero che il frumentone è pianta che mette ra- ; dici profonde e non superficiali come gli altri cereali, I e quindi capace a cercarsi il nutrimento in una prò- ' t'ondità dove le radici di questi ultimi non arrivano, ! come pure essa domanda sarchiature e lavori, 1' effetto dei quali è di distruggere le mal' erbe, e di aumentare la fertilità del suolo ; ma è pur vero che essa sottrae al terreno 1' elemento stesso che preferisce il frumento. A questa circostanza del resto non occorre attribuire ! tanto peso in vista appunto alle differenti profondità j da cui queste due piante sottraggono-i materiali ne- | cessari alla loro trama organica. Ciò che chiama piuttosto P attenzione si è il fatto che secondo la vicenda biennale esse troppo spesso si succedono sullo stesso terreno, talmente che quest' ultimo, letamato come viene, non può preparare loro i materiali di cui abbisognano, iu quautochè, come venne osservato prima, questi si rendono solo lentamente assimilabili. Per lo stesso motivo quindi che nessun pratico ed esperto agricoltore fa succedere al trifoglio il trifoglio, ed alla medica la medica, piaute che mettono, come ognuno sa radici profonde, senza lasciar riposare il terreno, per il primo 4-5 auni, e per la seconda almeno 8-10; così credo che nessuno dovrebbe far seseguire il frumentone al frumentone seuza attendere almeno 3 auni; pel grano non fa bisogno un tempo sì lungo, perchè mette le sue radici in uno strato pericoloso ove per l'influenza dell'aria più facilmente hanno luogo que' processi necessari alla formazione dei sali solubili cui egli abbisogua. Non credo necessario di mostrare più oltre 1' erroneità della coltura in uso, in quautochè mi sembra che 1' eco sola dei coutiuui lagni del possidente basti a fornirci la più bella prova che essa si bilancia se non sempre con perdita, certo con pochissimo benefizio. La miseria che flagella il contadino di questo distretto e di qualche altro ancora dell' Istria, si può a ragione attribuire in gran parte alla estesa e ripetuta coltivazione del grano turco ; egli ripone quasi tutte le sue speranze su questo prodotto, seuza riflettere, che il terreno mal preparato, le scarse letamazioni, le arature superficiali, le leggiere sarchiature, le insistenti siccità, tutto concorre a renderglielo incertissimo. — Se gli accade poi, e ciò succede spesso, di non produrre quanto gli basta per vivere l'inverno, lo vediamo venire in città a doman lar pane, che gli sa poi tanto di sale; da ciò i debiti continui e 1' impossibilità di lavorar bene le sue tene. E qui cade iu acconcio di dire che una buona rotazione ha il vautaggio di rendere meno temute le carestie, perchè la produzione è più complessa, ed oltre a ciò fa sentir meno i danni delle siccità, perchè conserva il suolo in buone condizioni. Io vorrei ora indicare la via che si dovrebbe battere in provincia per arrivare a felice meta, ma mio malgrado ciò non posso fare; 1'Istria, benché piccola, offre condizioni telluriche e climatiche diverse, per cui 1' assegnare un avvicendamento che si adatti a ciascun distretto, è cosa difficile. Questa è questione la cui esatta soluzione domanderebbe un luugo studio sul campo pratico e la cooperazione dei più intelligenti possidenti; tuttavia io voglio esporre il mio debole modo di vedere, ed andrei superbo se qualcuno stimasse opportuno di tenerlo per buono, e ne facesse le rispettive esperienze. Mi pare che sarebbe necessario nelle presenti condizioni che l'istriano adottasse per massima la coltivazione dei foraggi artificiali tanto annui che vivaci, e precisamente in modo da diminuire la superficie che al presente si destina alla coltura del frumentone ; uel proporre ciò mi appoggio prima di tutto sul vecchio aforisma „chi ha fieuo ha letame, chi ha letame ha pane" e poi sul fatto constatato generalmente, che, quando il terreno viene lavorato profondamente, i foraggi rendono per lo meno tanto quauto il frumentone. Conscio di questa verità, dovrà l'agricoltore stare in forse per coltivarli? Quali ne siano gli svantaggi della coutinua coltura del frumentone, ognuno lo sa, ed io credo di averne parlato abbastanza; per cui nessuna convenienza economica suggerisce all' agricoltore di attenervisi strettamente, tutto anzi lo spinge ad introdurre qualche cosa di nuovo e di più buono ; si provi quindi a lavorar bene il tei reno, ed a seminare dopo il frumentone pianto foraggiere annue: le quali, come è ben noto, non esauriscono il terreno, ma anzi lo migliorano in forza ai loro organi fogliacei molto estesi e robusti, per cui posseggono la proprietà di assimilare l'azoto dell'atmosfera; co'loro numerosi detriti poi di foglie e di radici, lo preparano bene a ricevere dopo di esse il grano. Coli' adottare questo sistema, si avrebbe meno terreno coltivato a frumentone, ma il prodotto sarebbe più sicuro, e quasi eguale a quello che si ricava colla presente coltura: il grano renderebbe per certo di più; si avrebbe poi foraggi a sufficienza per poter nutrire bene gli animali necessari a lavorare ripetutamente le nostre terre, e si potrebbe per conseguenza mantenerle sempre fertili. Si tenti adunque, e credo di poter assicurare, che specialmente nel distretto di Parenzo, come quello che meglio conosco, una simile pratica sarebbe coronata di felice successo ; l'uso del sovescio sarebbe anche qua e là di gran bene. Siili' importanza dello stesso mi riserbo di parlare estesamente iu altra occasione, quantunque esso sia pratica vecchia e assai conosciuta; ma le cose utili, (lo ha detto più volte anche questo periodico), bisogna ripeterle fino all' importunità; ed io sarò importuno perchè vivo è il mio desiderio che il nostro paese non sia per nulla da meno degli altri. Se fino ad oggi abbiamo lasciato che gli altri facciano, destiamoci ora ed ajutiamoci a vicenda ; mostriamo di saper fare anche noi qualche cosa, e che siamo troppo orgogliosi per permettere agli altri che c' i-struiscano e ci correggano. Z. Relazioni tra Arbe, Pola ed Albona nel secolo XIII Il eli. sig. Giuseppe Alacevich di Spalato, uno dei due fondatori e direttori del Bullettàio di archeologia e storia dalmata, nel fare gli estratti (ripeto le di lui parole) da un manoscritto di Giovanni Lucio Traguriense, esteso la massima parte di suo carattere e portante la data IO settembre 1(153, ha copiato due documenti intitolati — Pax Inter Albonenses et Arbenses — del 1214 e del 1237, e con cortesia da vero gentiluomo, me ne comunicava copia, ritenendo che siccome inediti possano avere molto interesse per la storia o la cronaca della mia terra nativa e dell'Istria. E 1' hanno davvero perchè, se anche non isvelano una condizione assolutamente nuova, certo mettono fuori di dubbio presunzioni storiche alle quali mancarono finora prove documentate. Che nell'alto medioevo Albona ed Arbe fossero in relazione d' affari tra loro è stato già altre volte asserito. È stato scritto perfino che al porto di Albona, detto Pabaz, sia venuto questo nome dacché alcune famiglie di Arbegiani (Balzani) si sono stanziate colà. I due documenti citati accrescono la probabilità di un tal fatto, imperciocché il loro testo, per quanto semplice e scarso di particolarità e di allusioni ai passati conflitti, lascia però vedere che il territorio di Albona veniva frequentato dagli Arbegiani e viceversa quello di Arbe dagli Albonesi, che vi fu lotta d'interessi fra i due paesi, pignorazioni violenti e rappresaglie, e che i pirati, flagello di quei mari in quell'epoca, approfittavano dei loro litigi per nuocere ad entrambi giovandosi degli uni contro gli altri. È popolare anche in Albona il proverbio — infra due litiganti il terzo gode — e quello che gode è solitamente il pili tristo. Pare che anche gli Arbegiani e gli Albonesi del secolo XIII. edotti dalla esperienza, l'avessero capita e in conseguenza concludendo pace e concordia fecero solenne giuramento di rispettarsi reciprocamente, di farsi reciprocamente giustizia, di rendere a ciascuno il suo, di non comperare robe o persone dai pirati, ma di prestarsi anzi a riscattarle e restituirle o almeno a darsene avviso, e di non prendere le armi gli uni contro gli altri, salve il caso di ordine imperioso del loro Signore, — nec eis offendere, nec per se, nec cum societatibus aliorum, exrepto si eorum Dominus eis violenter impe-raret. — I due istromenti di pace sono stati stipulati entrambi in Albona, il primo nel 1214, mense fébruarij, V die exeunte, indictione II; il secondo nel 1237, indictione X die VI exeunte septembris. Col primo, al quale tra gli altri apparisce intervenuto il plebano, era stata stipulata pace e concordia, in foto districtu, per anni venti, sotto pena di venti bisunti a carico di chi rompesse i patti e a tutto vantaggio della parte che fedelmente li osserverà. Col secondo la pace e concordia venne confermata a perpetuità, (in sempiternum), presente tra gli altri 1' Arcidiacono e scrivente un Subdiacono ante Eccìesiam Sonde Marie. Contemporaneamente lo stesso eli. Consigliere inviava all'amico Carlo De Franceschi in Parenzo copia di altro atto pubblico intitolato — Compo-sitio inter Arbenses et Polenses stipulato die duodecimo mirante aprilis, senza indicazione di anno, in palatio Domini Comitis Roberti quod est in Pola, tra il Podestà di Pola Ioannes de Posa, assistito da altri cittadini, e il Conte Marco di Arbe assistito pur esso da alquanti de'suoi. Dal testo di questo atto risulta principalmente che ai Polesi, andati colle loro galee presso Arbe, erano stati fatti dei danni gravi da quegli isolani. Ma nel componimento mettendo in dimenticanza il passato e rinunziando a rappresaglie, si garantivano le parti reciproca sicurezza nei rispettivi territorii e distretti, (per quanto riguarda Pola, a Barbami usque ad mare), sotto pena di C marche, confermando i patti con giuramento solenne. A questo documento manca, come ho detto, la indicazione dell'anno, ma il snllodato signor Consigliere notando come nei manoscritto del Traguriense Lucio Giovanni, che lo estrasse da un certo Sommario della chiesa o comune di Arie nell'anno 1653, esso trovasi registralo tra altri due, l'uno del 1289, 5 marzo e l'altro del 1305, 28 febbraio, crede giustamente che il Podestà Ioannes de Uosa possa collocarsi tra Martino della Torre (1294) e Bartolomeo di Veglia (1300). Vedasi il Sillabo dei Rettori di Pola nelle Notizie storiche di Pola (Parenzo 1876). Dal fin qui esposto capiranno facilmente i lettori come i tre documenti siano un vero guadagno pel Codice diplomatico e per la storia della nostra provincia in generale. Essi poi indirettamente confermano anche quanto io non mi sono peritato di asseverare in una recente pubblicazione, che cioè gl'Istriani si sono in ogni tempo distinti sul mare, (V/''Venezia e il Congresso. — Giornale mimerò unico, 15 settembre 1881), e firni-cheggiauo piti specialmente l'asserto che dopo il 1000, gl'Istriani della costa continuarono sulle antiche vie la navigazione e il commercio dell'Italia coli'Oriente. Ai trattati di pace e concordia tra Pirano e Spalato da me ivi citati, d' ora in poi si dovranno aggiungere anche le Paci, seguite tra Albona ed Arbe, negli anni 1211 e 1237, e il Componimento tra Polesi e Arbegiani concluso negli ultimi anni del secolo XIII. Resterebbe ora a vedersi di che natura fossero le relazioni tra Pola c Albona da una parte e l'isola d'Arbe dall'altra. Arbe, patria di S. Marino e di Marco Antonio de Dominis, poteva esportar, come pare, a quell* epoca legna da fuoco, vino, olio, capretti, pelli, lana, pesce, sale, marmi e seta; ma i territorii di Pola e di Albona e il resto dell'Istria non potevano abbisognare di cotesti generi, perchè, meno forse la seta, anche essi ne possedevano a sufficienza. Non è probabile adunque che tra quell'isola e la nostra costa si esercitasse un commercio di scambio, ma è ragionevole piuttosto il supporre che Polesi e Albonesi, come anche Arbegiani, navigando colle loro barche da capo a capo, si prestassero ad un commercio più vasto in servizio di territorii lontani e aventi prodotti, bisogni e civiltà diverse ; è ragionevole supporre cioè, come è detto più sopra, che continuassero sulle antiche vie la navigazione e il commercio dell'Italia coli'Oriente. — I porti di Arbe da una parte e i porti di Pola e di Albona dall' altra saranno stati probabilmente i porti di poggiata, quasi stazioni, per le barche che attraversano in un senso e nell'altro il Quarnaro. — Nello stato attuale delle cognizioni a ciò relative è questa la ipotesi che si affaccia per la più semplice e naturale. Documenti nuovi e studii piti pazienti metteranno forse col tempo in più chiara luce le cose, ma pel momento giova fermarsi qui. Lieto pertanto di aver segnalato ai miei comprovinciali 1' atto cortese del snllodato Signore, credo utile di rendere pubblico in questa occasione anche un altro fatto. — Ancora nel 1856, essendo io di passaggio per Arbe, ho avuto il vantaggio di fare conoscenza col sacerdote Don Giovanni Gurato, ora defunto, persona di soda coltura e studiosissimo della storia patria non meno che della cronaca locale. Egli sentendo eh' io sono istriano di Albona, mi disse che esaminando pergamene e altre carte vecchie di Arbe, (e ne aveva sparse e aminontichiate quantità notevole intorno a se), più volte gli era accaduto d'abbattersi in documenti che riescirebbero interessanti per la mia Albona. Mi aveva anche promesso di mandarmene copia; ma essendomi io allontanato dal paese temporeggiò, trascorsero gli anni e, certo senza deliberata volontà di mancare alla data promessa, sopracolto dalla morte, mancò. —■ Ora importerebbe vedere se quelle carte e gli estratti e gli studii ch'egli stava facendo su di esse, sieno ancora in Arbe, e se sieno passate altrove, dove e in mano di chi. Porto il fatto a conoscenza del pubblico perchè se ne interessi chi può e m'auguro che chiunque ne sia l'attuale possessore imiti l'esempio nobilissimo del Consigliere Alacevich comunicando a me o al De Franceschi, al Connine di Albona o alla Giunta provinciale dell'Istria quei documenti che potessero interessare la città o la provincia, comunicandoli, dico, o almeno dandone indicazione sommaria e permettendo che ne sia presa copia. — È un servigio che i paesi vicini giova si prestino reciprocamente: i bisogni della storia lo esigono, la civiltà dei tempi lo impone. r. l. Venezia decembre 1881 Lapidaria istriana Parenzo 26 Decembre 1881 Spettabile Redazione ! Devo riparare ad una ommissione nella copiatura delle iscrizioni pubblicate nel precedente numero di questo giornale. Quelle ili Cittauova ui N.i 1, 2, 3, 4, 5 mi furono comunicate dal sig. Domenico Verginella di quella città, e v1 erano aggiunte le seguenti : 6. Sopra un embrice rinvenuto tra Daila e S. Lorenzo, e posseduto dal parroco B. Mosses Q • CECILI • VALERIANI. 7. Sulla casa diG. Urizio di Cittauova il frammento: i i ! [pio I II i I l'R ■ ri n ta RI • IV | | | DIO 8. Al Duomo : MIRI' | | TITIRTIO • CO | | SV i | | i SITI | | | TVNA | | I ! I i l I I I I :H I O XXV | | Villi -11111111 NCTV I \ Non avendo io stesso veduto le comunicatemi iscrizioni, non mi faccio garante della loro esattezza. Carlo De Franceschi ITotizie In seguito al memoriale presentato dalla Camera di Commercio ed industria iu Trieste al Ministero in Vienna, coi quale sciogliendosi dagli accordi presi altra volta col Consiglio della città, solleva la questione delle due linee, della Laak e del Predi!, e si manifesta favorevole a quest' ultima, — il Consiglio della città di Trieste nella sua seduta del 20 Dicembre, deliberava a voti unanimi la seguente proposta; „I1 Consiglio Municipale, deplorando che la Camera di commercio, nel chiedere senza precedenti accordi dai fattori legislativi la costruzione di una ferrovia che metta la Rodolfiana in congiunzione diretta ed indipendente con Trieste, abbia propugnata esclusivamente la linea del Predil — declina ogni responsabilità per le conseguenze che eventualmente derivare potessero dall' essersi con tale procedere ridestata l'assopita questione della linea da preferirsi e persiste nel-l'invocare la sollecita attivazione di una seconda congiunzione ferroviaria ed indipendente qualsiasi fra la Rodolfiana e Trieste". Accettiamo anche noi a pieni voti questa deliberazione e siamo certi che da parte delle autorità provinciali e dei deputati al Consiglio dell' impero sarà diretta ogni azione allo scopo di conseguire la desiderata linea indipendente a vantaggio di Trieste e della nostra provincia. Avendo accolto uu comunicato coutrario alle nostre opinioni nell' ultimo numero della Provincia, unicamente per far conoscere anche le opinioni degli avversari, riportiamo una corrispondenza scritta da un nostro egregio amico nell' Indipendente del 18 Dicembre nella quale sono ribattute assai bene tutte le ragioni adotte a danno nostro nell' accennato comunicato. Ecco la corrispondenza. La nostra questione ferroviaria. Ci scrivono da Capodistria iu data di jeri : Notizie da Vienna recano che la commissione d'inchiesta del ministero austriaco del commercio, sulle tariffe ferroviarie, ha già raccolto i materiali necessari onde prendere le sue deliberazioni. Sembra che in quest' occasione sorgerà una viva lotta intorno ai gravi iuteressi che vi sono compromessi. Si discorre già di una possibile convenzione del Governo con la Siidbahn per una riduzione di tariffe da parte di questa a vantaggio di Trieste, per offrire così almeno qualcosa eh e abbia V apparenza di appagarla, mentre essa da molti anni con tutta ragione e tanta insistenza, appoggiata da parecchie proviucie, chiede di venire totalmente liberata dal monopolio di questa società coli' attuazione di una lin a indipendente — unico mezzo di efficace giovamento ! Senonchè la suaccennata convenzione per una riduzione di tariffe fortunatamente è già combattuta da quelli che vorrebbero assolutamente la linea Laak Di-vacia-Cosina-Trieste, la quale, come è noto, fra altri vantaggi, congiungerebbe il tronco della ferrovia istriana più sollecitamente a Trieste ed hanno ragione, poiché valga il vero : Da Pola a Trieste percorresi attualmente chilometri 169 di ferrovia, cioè: Pola-Divacia (ferrovia dello stato) . . . chil. 123 Divacia-Nabresina-Trieste (Siidbahn). . „ 46 chil. 169 mentre con la desiderata nuova linea si percorrerebbe soli chil. 141. Pola-Cosina (ferrovia dello Stato) . . . chil. Ili Cosina - Trieste (nuova ferrovia dello Stato) circa.............. „ 30 chil. 141 ovverosia circa 30 chilometri di meno e totalmente indipendenti dalla Meridionale ! Per l'Istria sarebbe una vera fortuna qualora venisse risolta la costruzione della suaccennata linea di Laak voluta dai triestini. Solamente un tale ferrovia indipendente ed in proprietà dello Stato, il quale certamente non concluderebbe accordi con altre private società ferroviarie, con generale beneficio, risulterebbe quale efficace moderatrice dei noli attuali ancora di molto elevali. Se dovesse trionfare, contrariamente ai voti generali, l'adozione di nuove e transitorie mezze misure come quella della temporaria riduzione dei noli — Trieste ed il commercio di trsnsito potranno forse sentirne qualche vantaggio, ma l'Istria, questa povera provincia, rimarrebbe esclusa da ogni diretto benefizio. Confidiamo negli eventi e calcoliamo adunque nella saggezza e previdenza dei deputati istriani. Ci scrivono : Con l'ultima petizione del 25 Novembre a. p. l'inclita Giunta Provinciale di Gorizia, dichiarando esplicitamente che ora non vi sarebbe nè la necessità nè l'opportunità di costruirla, non chiede più la difficilissima e costosissima linea Gorizia-Canale-Tolmino-S. Lucia- -Prafo7-Tarvisio, ma avanzò al Governo la bizzarra raccomandazione acciocché, invece di tosto costruire la linea Laak per la naturale, diretta ed indipendente sua via di Prewald-Senosec-Divacia-Co-sina sino Trieste, si volessero perfezionare gli studj (!) per condurla per la via di S. Lucia-Tolmino-Canale per Gorizia!! Tale proposta è ben strana! Se dovesse venir presa in considerazione — locchè ci sembra impossibile — non rimarrebbe invero altro da dire che : Fortunate le famiglie posseditóri terreni fra Gorizia e S. Lucia! Per queste la questione ferroviaria Predil o Laak sarebbe favorevolmente risolta : per i loro privati interessi gioverebbe egualmente tanto l'una cbe l'altra linea ! I tagliandi delle Lettere di pegno 5 °/0 dell' Istituto di Credito fondiario istriano, che vanno a scadere oggi 1° Gennajo, vengono pagati, come apparisce dal testo dei medesimi, sema alcuna trattenuta oltreché a Parenzo, anche presso lo stabilimento austriaco di Credito in Vienna e presso la filiale dello stesso a Trieste. Riceviamo da Roma il seguente manifesto: Roma, la città delle grandi memorie artistiche di tutte le epoche e di tutte le scuole, sede di tauti illustri Istituti interuazionali, ha per voto del Parlamento italiano, col concorso del Comune e della provincia, eretto un palazzo onde raccogliervi a solenni gare le opere degli artisti viventi. La prima di queste gare, che avrà a precipuo scopo il riassunto delle varie manifestazioni dell' arte italiana a confronto di quella straniera, sarà aperta nel dicembre del 1882. II Comitato esecutivo, il quale ebbe l'incarico di preparare quest' Esposizione e di attuarla, rivolge pertanto un caldo appello a tutti gli artisti, affinchè concorrendo con 19 opere del loro ingegno alla nuova Mostra, provino come l'Italia, a misura che afferma il suo risorgimento politico afferma pure il suo risorgimento artistico. Il Comitato fin da ora si occupa alacremente a trovare per quest,' Esposizione i più larghi incoraggiamenti: e profondamente convinto di quanta importanza sia la desiderata istituzione di una Galleria d'arte moderna, procurerà con ogni mezzo che lo Stato la inizi con acquisti alla Mostra. Affrettata dal voto di tutti, l'Esposizione di Roma attua un' aspirazione da lungo tempo nutrita. Essa porrà le opere dell' ingeguo moderno accanto a quelle dell'antico sforzandosi di emularle, e fornirà la prova che il genio italiano è sempre pronto alle nobili emulazioni. Il Comitato lavorerà con zelo indefesso alla riuscita immancabile ove tutti gli artisti italiani, in concorso di quelli stranieri, vi portino le opere loro. In breve saranno rese pubbliche le norme destinate a regolare quest' Esposizione. Roma, dalla sede del Comitato (palazzo Euglefield, via Nazionale) novembre 1881. Ci scrivono da Pirano il 22 Dicembre: Nei paesi ove rigoroso domina il sistema parlamentare, ove in fatto di elezioni lo Stato non esercita diretta influenza e così libere vengono demandate al voto popolare, havvi uno scoglio sul quale urta la suscettibilità di un certo grado di persone, invogliate di prender parte alla vita publica del paese. A questo scoglio venne dato il nome d'incompatibilità. voce che nel linguaggio comune denota la qualità di ciò che non può sussistere assieme,-di ciò che non può associarsi, e che nel linguaggio publico significa l'impossibilità di riunire nell'i-stessa persona più uffizi publici. Noi ci atterremo al secondo significato, però che da esso ci venne data la spinta a publicare queste righe nell' intendimento di fare emergere l'inconvenienza qui di questi giorni avvenuta, di volere ad ogni costo introdurre nella civica rappresentanza tre sacerdoti ed inoltre tre signori appartenenti al corpo insegnante. L'avere accennato alle incompatibilità parlamentari non faccia credere forse, che ad un'aula legislativa noi intendiamo somigliare il nostro piccolo municipio, siamo troppo lontani da tanta presunzione : l'accenno ci giustifica nella analogia con la quale noi consideriamo, sia pure molto alla larga, l'uno e l'altro istituto. L'indipendenza assoluta, uno dei primi requisiti per chi vuole onoratamente dirigere le molteplici bisogna della publica azienda, è il fondamentale punto di contatto fra la vita parlamentare e quella comunale, indipendenza non intesa a fare e sfare a seconda dei proprii capricci, ma in quello di non essere tenuti a regolarsi giusta un ordine d'idee inerente al proprio officio, ad un programma più o meno raccomandato dai circoli superiori. Infatti chi dipende da altri, se tiene cara la grazia di questi", entrato che sia nella vita publica, raro è il caso che vi porti le proprie idee, che si ribelli all'ambiente in cui respira, che diventa naturalmente l'unica p più potente ragione della sua esistenza. A riparare pertanto a questo pericoloso statu quo, nei paesi dati al più rigoroso reggane parlamentare venne sancita con forma di legge 1' accennata impossibilità di poter fungere e come impiegato dello Stato e come rappresentante del proprio paese. Voi direte: siete in errore, a che ci venite fuori con le leggi degli altri Stati quando nel nostro non possono trovare applicazione? La ragione è certo dalla vostra se vi richiamate alla legge scritta; non però se vi date briga di consultare la coscienza popolare, universale, che in questo riguardo è tutto con noi e desidera in argomento una pronta riforma. Vengo a noi ; è certo che i tre sacerdoti nel nostro municipio sono pesci, come si suol dire, fuori di acqua; così pure, e con miglior criterio, i tre signori professori nel piti ampio significato impiegati dello Stato; persone del resto rispettabilissime, anzi fornite di talenti non comuni, ma sempre incompatibili a fungere una carica municipale. Ammettiamo il contrario; vogliamo anzi che questi signori siano le persone le più adatta al posto loro conferito, le più indipendenti ; però, consentiteci un'osservazione che si presenta spontanea : sono essi in grado contemporaneamente di adempire con tutto rigore al ministero del sacerdote, del docente ì Di qui non si scappa, qui desideriamo una franca risposta dai lettori. Terminiamo : per quanto ridette i tre signori professori noi raccomandiamo l'incidente al consiglio scolastico provinciale. x Appunti bibliografici Alberto Róndani. Saggi di critiche letterarie. Firenze, Tipografia della Gazzetta d'Italia, 1881. Di Alberto Róndani valente critico d'arte e gentile poeta si è già parlato in questi appunti. Nell'annuario bibliografico dell'ottantuno, passato la scorsa notte nel numero dei più, il suo nome comparirà degnamente anche fra i critici letterari con uu grosso volume di cinquecento pagine circa. 11 bravo professore continua nella tranquilla sua Parma le gloriose e classiche tradizioni letterarie; ed è uno di quei pochi che scrivono per rispondere all'affetto che li governa, popolari senza volgarità, moderni, ma senza le rabbiose e sterili negazioni del passato, scevri dalla bislaccheria e dall'affarismo che qualche volta nelle grandi città viene strombazzato come 1' ultima parola dell'arte. Questi saggi, già pubblicati ue' migliori periodici letterari sono i seguenti: — Iacopo Sanvitale e le sue poesie — Francesco Petrarca, sua casa in Selvapiana e accusa fattagli di magia. —• A proposito d' un corso di lezioni sulla Divina Commedia. — Le Puniche di C. Silio Italico f tradotte da Onorato Occioni. — A proposito dei bozzetti di Giuseppe Revere. — I tre canti più famosi della Divina Commedia. Com6 si vede adunque dalla scelta degli argomenti, il libro non aspira alla fama di un giorno, non demolisce nessuna celebrità, non butta giù dal piedestallo nessuna statua; non ha insomma la smania tutta moderna di mettersi dinanzi al ritratto di qualche illustre defunto per persuadere i visitatori della pinacoteca, con certe ragioni di ottica e di prospettiva che l'illustre defunto de quo è proprio guercio e gobbo, mentre tutti sanno che camminava diritto come un fuso, e co'suoi due occhi I iu fronte: e tutto ciò per la grande ragione che il critico ha veduto così e gli toma conto che così sia e così deve essere. Vi potrei citare non pochi esempi di simili novità artistieo-lett,orarie ; ma acqua iu bocca per ora. Che se certe qualità dell'ipercritica non si trovano in questi scritti, il lettore vi trova iu cambio assennati giudizi, temperanza e un tranquillo e sodo ragionamento. Così lo stile. Se qualche volta l'autore insiste troppo uel suo giudizio, e've lo presenta sotto vari aspetti, e foggia periodi come a pagina 280, che possono benissimo citarsi quale modello in un' antologia pei giovani colti ed onesti anche da Monsignor Berengo (che la mitera mantovana, migliore del berrettino di mansionario d'Isola, gli sia leggera) molte altre volte assume le forme stringate della critica del De Sanctis e con uu c' è mi coudeusa le idee, ma Iquasi sempre alla sua maniera; e del vecchio e del nuovo della sintesi e dell'analisi mi forma un tutto che è suo, un libro di piacevole ed istruttiva lettura. Perciò paragonerei volentieri il suo stile ad un ruscelletto, che viene via placido tra le rive fiorite, e mostra i bianchi sassolini del fondo; solo che talvolta si distende e forma un laghetto, onde, al restringersi delle due rive, esce mormorando e saltellando in freschi zampilli sulla lucida ghiaja. Pagato un tributo di patrio affetto nello studio su Jacopo Sanvitale, un'altra volta la carità del natio loco lo spinge a cercare sull'Appennino parmense, tra i beati colli di Selvapiana tradizioni locali su Francesco Petrarca; in due appositi scritti parla di Dante, ed auche dopo le stupende critiche del De Sanctis dice cose, se non nuove, piacevoli e con aspetto nuovo. Ma la nostra attenzione deve essere rivolta specialmente ai due capitoli dove tratta di Onorato Occioni e di Giuseppe Revere; illustri scrittori entrambi e nostri; per nascita il secondo, per lunga dimora il primo. L'esame che l'autore instituisce sulla splendida traduzione di Silio Italico ha per noi istriani un pregio particolare, usi come siamo ad ammirare noli'Occioni il letterato, 1' amico ed il galantuomo. Della prefazione all'opera dice „che è uu lavoro di risurrezione come se ne fa qualche volta dai Tedeschi con la differenza che il lavoro del Tedesco riesce inanimato (essendo i Tedeschi freddi e sospettosi nel giudicare il mondo romano) mentre i quadri che ci presenta l'Occioni son pieni di calore e di vita." Passi questa tiratina abbastanza coraggiosa adesso che è di moda giurare nel verbo d'Arminio; per debito di giustizia e d'imparz'alità m'affretto a rammentare però splendide eccezioni, e tra queste nel campo della storia le resurrezioni del Gregorovius che sono splendide e piene di vita come quelle della natura. «Nulla vi ha a desiderare, continua il critico, nelle due diverse prefazioni dei volumi Siciliani, tutto è stato esaurito e discusso. Persino il confronto fra le condizioni presenti della nostra letteratura e quella della letteratura latina dei tempi di Silio ha avuto uno svolgimento rapido ma completo e sapiente nella prefazione dell'ultimo volume ; una prefazione piccante dove le cose vecchie fanno pensare alle nuove, dove la politica, la letteratura, la morale dei nostri tempi spira all' Occioni satire fine e sdegni onesti." E qui il Róndani passa a studiare il poema, gli inteudimeuti di Silio Italico, ed esclama : La grande attrattiva di Silio sulle anime incorrotte e la sua costante elevatezza morale." Parole al vento, caro Róndani, fiato sprecato, perchè, oggi, come oggi, ce/ti omenoni, tanto per coutinuare la gloriosa tradizione delle baruffe chioggiotte in letteratura, hanno fatto la famosa scoperta che il bello, il buouo e il vero, sono tre cose che non hanno nulla a spartire fra di loro, e che vivono affatto indipendenti l'una dall'altra, come anche ha dimostrato il Giacosa domenica scorsa nella sua seconda conferenza a Milano.') E lo stesso dimostrerà a Torino, e chi sa in quante altre conferenze nelle principali città italiane; e molti ne saranno persuasi ; e perciò caro Róudaui, Io torno a dire, parlare di onestà e di elevatezza morale in arte, gli è in oggi come un abbajare alla luna; e ciò pure ripeto all'amico Occioni dalle satire fine e dagli sdegni onesti. E aggiungete pure dagli sdegni patriottici, conciofossecosaché la critica letteraria, teatrale, a due lire ') Così rilevo dai pubblici fogli. Non vi ho potuto assistere di persona, causa il tempo cattivo. all' ingresso, compreso il sedere, abbia, come due I e due fanno quattro, dimostrato cbe il Berchet, il JDall'Oiigaro, il Leopardi banno proprio sprecato il tempo a scrivere versi non solo belli, ma buoni ; e cbe la canzone all'Italia del Leopardi non ha nulla aggiunto alla fama letteraria del grande recanatense. É vero che al Giacosa gli si potrebbe rispondere che la descrizione della battaglia delle Termopili e le due ultime strofe di quella canzone sono stupende, due volte belle perchè anche buone, e valgono, con tutto il rispetto parlando molte altre filosofiche, sconsolate e schopenhauriane dello stesso poeta; e che versi come quelli pochi, o forse nessuno li sa fare oggi; ma le marchesine e le contesse e il chiarissimo uditorio chiamato dalle giornalisLiche stamburate continuerebbe a giurare nella parola affascinante del simpatico autore — del Fratello d'armi e — della Partita a scacchi, e di altri versi non solo belli ma buoni, non accorgendosi della contraddizione del Giacosa che capovolge i proverbi, e nuovo padre Zappata razzola bene e invece predica male. Torniamo adunque a bomba. Il Róudani da par suo continua l'esame del poema siliano, ne dimostra i difetti organici e i vizi propri dei tempi di decadenza: l'eccessivo, l'analitico, l'esteriore, la mancanza di misura e il realismo sanguinario. Seguono citazioni del testo e della traduzione. Un esempio basti per tutti. Nella battaglia di Canne, Annibale con un palo fumigante sconcia agli inguini Perosino: ......un foco infernale Entra l'aperta bocca, e col respiro Si dilata giù giù sino al polmone. Il critico adduce molte buone ragioni per ispiegare quest'orrido che rasenta sempre il grottesco; una sola mi sia lecito aggiungere : la vista dei frequenti spettacoli di sangue, delle lotte cruenti dei gladiatori delle eft'erat'zze neroniaue. Tali spettacoli dovevano produrre una forte impressione nella fantasia del poeta. Il Róu-dani conchiude così il suo studio. „In questo modo (cioè nel miglior modo possibile) dopo diciotto secoli, sorge rivendicato Silio Italico: la sua voce veramente romana trova finalmente un' eco robusta più di lei nel ^etto robusto di Onorato Occioni. A proposito de' bozzetti di Giuseppe Revere, che ci gloriamo di chiamare nostro, 1' autore dice molte buone cose, comincia ab ovo. studia sotto ogni aspetto l'ingegno del Revere, e vuole spiegare il perchè del suo lungo silenzio. „L:i famiglia letteraria-politica, a cui appartiene il Revere, è quella dei galantuomini arditi, irrequieti e scontenti: famiglia antichissima in Italia, dove non sono mai mancate miserie da far piangere a caldi occhi." — Segue un lungo raffronto tra il Revere: dite, dite, chi lo ridusse a tale? Il De Gu-bernatis, Tulio Masserani, il Molmenti, Ugo Sogliani sono passati in rassegna, il Ròudani ha pieua conoscenza del soggetto. Se mi permettono, metterò anche io bocca in argomento. Revere tacque, perchè i tempi si sono mutati; ed egli non ha voluto mutarsi. Le idee politiche che trionfarono iu Italia non erano le sue; ammetto il fatto senza entrare in discussione. Gli egoisti, i faccendieri, le nullità montate iu scanno gli avrebbero dato quindi buon giunco a perseverare nella sua querula nota; e perchè questa stouava con gl'inni del trionfo si tacque. Nè certo l'esempio del povero dall'On-garo, della medesima fede che accettò un posto e continuò a scrivere, e fu poi ammazzato a colpi di spillo da un giornalista, valeva a incoraggiarlo nella lotta. E ciò in ordine alle idee; quanto alla forma artistica è noto come il Revere, benché un po' della scuola del Heine e del Foscolo, ha una maniera sua propria, e caratteristica dell' umorismo italiano. Il Bonghi nega il vocabolo e la cosa all'Italia; ma il Revere basterebbe a confutarlo. E 1' umorismo consiste non solo in un continuo intromettersi della persona col suo spontaneo capriccio nello sviluppo del soggetto cbe tratta, interrompendolo e riprendendolo a piacere, e dall' aver pronto sempre un nesso ; come scrive l'illustre Bonghi; ma anche in certe capestrerie, ardite antitesi, e nell' accennare in coppe por uscire invece in bastoni, e in dire e non dire, tanto per non dar troppo nell'occhio al principale. E questo stile, fu per molto tempo la forma necessaria dell'umorismo italiano. Cotesta letteratura un po' cabalistica si giovava specialmente di visioni, di resurrezioni di morti che faceva parlare con parole viete, abbujando a bella posta il concetto. Così scriveva il Correnti nel Vesta Verde; così si scrisse (^i licet magna con quel che segue) nella nostra Porta Orientale; così l'umile sottoscritto ha fatto parlare in diebus illis uu certo fiate balzano, che fu sempre figliuolo devotissimo di Cecco d'Ascoli, di Anacleto diacono, e di altra gente scomunicata che bazzica uei famosi Bozzetti. Ma adesso che è morto don Rodrigo ; ed anche i don Abbondi possono predicare la repubblica in piazza, questo stile non ha più ragione di essere. I tempi si sono mutati; e si conviene mutare registro. E dovere dello scrittore di concedere qualche cosa al tempo, di accogliere il buono e progredire, per opporsi poi con maggior forza al male. Alla volgarità, all'affarismo, alla strombazzata conviene opporre uno stile dignitoso, ma semplice, chiaro ma senzadiluire il concetto, coscienzioso, ma popolare e. se è lecita la parola commerciabile. Anche Raffaello ha mutato tre volte lo stile. Tornasse il Gozzi, non iscriverebbe oggi così elegantemente la sua Gazzetta; e non darebbe per questo nelle volgarità del moderno linguaggio babelico1) Il Revere caposcuola dell'umorismo in Italiar e che per tauti anni si è trovato bene col suo stile, piuttosto di mutarlo sdegnosamente si tacque. Ecco in moneta spicciola le ragioni del suo silenzio. E in quanto a idee poi, il Revere revisore degli atti consolari sta come torre fermo e non crolla „ Giammai la cima per soffiar de' venti;" e non crollerà, lo facessero anche ministro della pubblica istruzione: ne stia pur sicuro l'egregio De Gubernatis. (Vedi biografia del Reveie nel Dizionario biografico). Ma in questo che doveva essere uno studio oggettivo sul Róndani, troppo mi sono lasciato trasportare dal signor me. Un mirallegro adunque al Róndani che progredisce coi tempi e sa insieme essere colto e popolare scrittore, e sì bene assimila il vecchio e il nuovo con senno antico e con giovanili ardimenti. P. T. ') Veda l'egregio De Gubernatis come siamo d'accordo. Anche piglio occasione a dichiarare di non aver mai scritto nella vecchia. ..Favilla", come egli mostra di cre lere nel suo recente Annuario bibliografico. E ciò per la semplice ragione che allora faceva i latinucci a Portogruaro.