ANNO VII—N. 39 Sabbato 25 Settembre 1852 Esce una volta per settimana il SabbatO. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proponione.— Li'abbonamento non va pagato ad altri che alla Redazione. Annunciamo con dolore il passaggio del Canonico D. Pietro Stancovich, nestore dei letterati istriani, cui l1 Istria va debitrice della diffusione in questo secolo del suo nome fra i cultori della storia e dell' antichità, e del rinascere di siffatti studi in provincia. Deponiamo sulla venerata tomba i modesti cenni biografici che altri dettava. La Redazione. L'Istria, non ha guari, perdette uno de'suoi più operosi e benemeriti illustratori, il Canonico Pietro Stancovich di Barbana, che dopo breve malattia, nella grave età di 81 anno, esalò l'anima a Dio, la sera del 12 corr. settembre. Chiunque ebbe la fortuna di conoscerlo, di pregiarne le doti dell' animo ed ammirarne da vicino la non comune erudizione, e chiunque ama sinceramente questa povera nostra patria, non può non sentirne dolore e non tributargli una lagrima di riconoscenza. Fu uomo di scienza e favorevolmente conosciuto all'Italia; fu socio di varie illustri academie, fra le altre, delle due Archeologiche di Roma, del R. Istituto di incoraggiamento di Napoli, della C. R. di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, di quella di Gard a Nimes, degli Atenei di Brescia e di Treviso, e di molte altre ancora; fu membro dei Congressi scienlifici italiani di Torino, di Firenze, di Padova e di Venezia, e divulgò per le stampe molte opere di vario argomento. Ma non per questi titoli, che d' altronde sono commendevolissimi, vuoisi qui ricordare il Canonico Stancovich ed encomiarlo. Altri di me più dotto e giudice più competente ne potrà tessere l'elogio scientifico ed analizzarne le opere. Solo qui vuoisi ricordarlo siccome imitabile esempio, eh' e' ne porse, di buon sacerdote e di buon patriota. Il Canonico Pietro Stancovich nacque in Barbana, Piccolo castello alla foce dell'Arsa, nel Febbraio del 1771, da onesti e civili genitori. Incominciò i suoi primi studj 'n Istria e li proseguì indi in Udine e poscia in Padova, °ve apprendeva ambidue i diritti ed ove frequentava pure contemporaneamente le lezioni di chimica, di fisica, di botanica e di astronomia. Nel 1795 fu ordinalo sacerdote, e nel successivo 1797, giovine ancora, venne prescelto con generale soddisfazione a Canonico della patria insigne Collegiata di S. Nicolò. Contento di questa carica che gli permetteva di dedicarsi con sufficiente agio a' suoi studi prediletti, rifiutò cariche ecclesiastiche più eccelse, cattedre di pubblico insegnamento ed anco l'offertogli onorevole incarico di Capo-sezione pel Culto nfel Dipartimento del Brenta. Però se a tutti questi onorifici impieghi di buon animo rinunziò, non potè dispensarsi di accettare la grave incombenza di dirigere per alcuni anni la Parrocchia della sua terra nativa, la quale tuttodì ricorda con amore e gratitudine i molti sagrifizi ch'egli a sè stesso aveva imposti pel bene spirituale della greggia a lui affidata. Quanti dissidj compose, quanti scandali tolse, quante beneficenze elargì, e sempre con perseveranza, con prudenza e con carità veramente evangelica! Sollevato, dopo 11 anni, dall'ardua direzione parrocchiale, ritornò alle sue occupazioni scientifiche. Viaggiò più volte in Italia e in Germania in cerca di nuove cognizioni e di buoni libri, de' quali potè raccorne molti e formarsi una libreria che può dirsi cospicua per un privato. Frutto de' suoi viaggi e delle conferenze eh' ei teneva co' dotti di altri paesi furono l'invenzione di modelli di nuove macchine, il miglioramento di metodi agronomici e la disapprovazione di pratiche agrarie poco utili; si fu 1' acquisto di medaglie antiche e moderne, di vari oggelti d' antichità, di petrefatti e di qualunque altra cosa che in un modo o nell'altro poteva riuscirgli giovevole alla illustrazione dell' Istria, alla quale tutto si dedicò sino dagli anni suoi giovanili. E ne sia una non dubbia prova la pubblicazione eh' egli fece delle biografie degli uomini distinti dell' Istria, opera che gli costò molto tempo, molta pazienza e che non andò disgiunta da significante spesa. Scrisse della patria di S. Girolamo eh' egli con orgoglio nazionale riteneva istriano, illustrò l'Anfiteatro di Pola e dissertò su varie patrie lapide. Ricordevole degl'innocenti sollazzi eh' egli godette fanciullo in Rovigno, e grato dell'amica ospitalità che vi trovò mai sempre, e fatto anche riflesso alla circostanza che Rovigno è il luogo più popolato dell'Istria e che perciò no potrebbe più d'ogni altro ritrar vantaggio, egli lasciò a questa città la sua libreria, ricca di ben 4000 volumi, con tutti gli oggetti de' vari suoi studi, vale a dire, stromenti di chimica, di fisica, di meccanica, una bella collezione di marmi, un'altra di petrefatti istriani, di medaglie antiche e moderne ed altre rarità, e ciò tutto per l'istituzione di una pubblica comunale biblioteca a beneficio di chiunque amasse approfittarne. In mezzo però a'suoi molti e prolungati studi, anzi in conseguenza di questi, Io colse una grave sventura, la più grave che a persona erudita e desiosa di sempre più apprendere possa toccare. E difatti che v' ha mai di più disastroso per uno scienziato che consuma il giorno nel suo gabinetto fra libri, medaglie e petrefatti, che vi ha, dico, di più disastroso di quello di perdere la luce degli occhi? Da 10 anni circa, una lenta oftalmia che più specialmente invadeya l'iride, e che con varia vicenda ora si esacerbava ed ora sembrava volersi attutire, lo colse, e un po' alla volta io privò della vista, cosicché da quasi 5 anni era divenuto affatto cieco da distinguere appena il giorno dalle tenebre. Ma non perciò*si smarrì egli, e sopportò con cristiana rassegnazione questa gran disgrazia, e bello era il vederlo le lunghe ore rimanersene immobilmente seduto, e stare attento alla svariata lettura che alcuno andavagli facendo, onde dar pascolo a quell' anima che mai era sazia d'imparare. Per questo suo irreparabile male varie opere che egli aveva ideate ed anco incominciate non poterono essere condotte a buon fine, di che spesso se ne lagnava, ma di quel dolce lagno che, mentre ti fa sentire tutto il peso di una grave sciagura, ti ricorda pur anche che a'voleri di Dio si conviene rassegnato chinare la fronte e adorarlo anche fra i tormenti e le molestie della travagliata nostra esistenza. Eccoti, o lettore istriano, chi era il Canonico Pietro Stancovich. Possa la sua memoria esserti mai sempre onorata e cara, e possa il suo esempio eccitarti ad amare d'affetto operoso la tua patria che n'ha tanto bisogno! Rovigno li 23 Settembre 1852. L. B. Archivio di Capodisiria £Continuazione) E noi abbiamo fidanza che se si volessero raccogliere i nomi volgari delle varie parti dei fondi salini, degli stromenti, delle operazioni singole, dei lavoratori, e di quanto appartiene a quella manipolazione si avrebbe non solo materiale di lingua antica, ma prova in questa dell'antichità dell' arte salifera, facendone confronto colla lingua latina volgare. A queste investigazioni non fu ristretta la nostra curiosità ; ma la preveniente gentilezza del D. Belli ci fe' conoscere parecchie pergamene per lo più di chiesa, le quali sebbene de'tempi moderni, cioè dal secolo XV impoi, possono dare qualche materiale non isterile affatto. Tra quelle pergamene che ci vennero affidate dal proprietario, su d'una ci siamo fermati, su d'una ducale del doge Cristoforo Moro del 1464, colla quale ordinava al podestà di Capodistria Castellano Minotto di fornire le paghe arretrate e puntualmente le correnti al castellano Francesco Verga del suo carissimo castello di Mocho. È questo il castello di Montecavo nella valle di Bagnoli (Bollunz dicono gli Slavi) presso a Trieste che stava su colle sporgente presso alla casa signoriale che dicono do'Funfenberg, a presidio della valle della Lus- > Sandra, a custodia del passaggio dal Carso di Castelnuo-vo a Trieste, castello che insieme a quello di Moncola-no (Contovelo) è spesso nominato nelle carte triestine e del quale i triestini erano gelosi^ essendo a loro ca^ rissimo come lo fu al doge Moro, sebbene per opposte ragioni. Quel castello era dei vescovi di Trieste, 1' ebbe il comune quando si emancipò dai vescovi nel 1295 0 nelle guerre continue coi Veneti ora fu degli uni ora degli altri, ora dei Patriarchi. Per la pace di Torino rimase stabilmente ai Triestini, ma scoppiata nel 1463 asprissima guerra fra lo città istriane prossime, i Veneti ed i Triestini, Trieste sarebbe stata a male partito, se Pio II Papa, stato vescovo di Trieste, non si fosse interposto come paciere. La pace fu umiliante per Trieste; e 1' abbiamo stampata nell' operetta "Documenti,,. Scoppiata la guerra fra Massimiano imperatore ed il Principe Veneto, Montecavo fu nel 1511 preso sui Veneti, dal vescovo Pietro Bonomo che lo fece totalmente diroccare, per ragioni facili a vedersi. Nel 1464 il principe veneto era in timore e voleva^ che le paghe fossero puntualmente pagate; chè così il pericolo di defezione era certamente minorato. II comune di Trieste mandava, mentre l'ebbe, Castellani in Moccò, e furono nel 1330 e 34 un Stefano de Niblis, nel 1365 un Natale de Gasparini, nel 1463 un Domenico de Mirissa che non potè resistere ai Veneti; dei Castellani veneti, per la ducale sopradetta ci è noto un Francesco Verga certamente stipendiano della Repubblica Veneta, e del 149. . , un Gregorio Lo-redan. Dacché lo spazio il concede ritorneremo al Codice Madonizza per trarne copia di un diploma rilasciato dall'imperatore Corrado al monastero di S. Nicolò del Lido, dell'anno 1151 col quale prende in protezione regia le possessioni del monastero, ed accorda esenzioni da tributi, e concede che sia preso ad avvocato del monastero qualunque persona aggrada. Allorquando Carlomagno muoveva contro suo cognato il re Desiderio dei Longobardi e lo spogliava del regno, desso si era dichiarato re dei Longobardi; però questo suo nuovo regno non doveva abbracciare più di stati di quello che li avessero posseduti i Longobardi medesimi. Ma siccome negli ultimi tempi della dominazione di questi avevano allargato le loro conquiste a danno dei bizantini; di queste nuove conquiste non bene fermate, o reclamate da altri, la sorte non era bene certa. Fra queste provincie fu l'Istria che rimasta immune dall' occupazione di Alboino durò insieme a Ravenna in potere dei bizantini, maltrattata soltanto da qualche escursione, P ultima delle quali sembra essere stata dominio sebbene di breve durata. Durante il dominio dei Longobardi nella terraferma veneta e nel Friuli, il nome di Venezia aveva interamente cessato di applicarsi alla terraferma scompartita in tanti ducati, né più rivisse come proprio al paese fra l'Adda ed il Timavo; il nome, di Venezia rimase proprio alle isole dell'estuario fra S Giovanni di Tuba e Capodargine, quasi unica terra cho conservasse legittimamente il nome antico sotto gli antichi imperatori. L'Istria, conservato nome e dominio antico, fu abbinata alla Venezia anche nei tempi bizantini, come lo era in precedenza. Ma venuta questa ultima in potere di Carlomagno per la massima parte, non fu sì facile appianare la cosa cogli imperatori di Costantino- poli, cd a lungo durarono i trattati con Irene, con Nice^ foro, e con Michele ; la stesse isole dell' esluario volevan-si unite a quel regno che allora si disse d'Italia, al che poi Carlomagno dovette rinunciare. Un trattato si fece tra Carlomagno ed i Greci per riguardo all'Istria; quale, lo ignoriamo. Se fosse lecito di trarre congetture da un diploma del primo Ottone del 967, ponendolo di confronto ad altro del 933 dovrebbe dirsi che la cessione dell'Istria dai Bizantini a Carlomagno seguisse con riserva delle relazioni tra Istria e Venezia; e censervata la distinzione fra comuni di mare e comuni di terra, tanto il doge che il patriarca di Grado avessero conservato nei comuni di mare, quello le esazioni ed il diritto al servigio di mare con certe esenzioni che riguardavano il traffico; questo le esazioni che godeva o per concessione di popolo o per liberalità di principe ; origine quelle cose di mare ed esazioni ed esenzioni di quelle guerre tra veneti e città istriane "che terminarono poi in perfetta dedizione. La chiesa all'incontro tenne opposta via, poiché le interminabili questioni se i vescovati d'Istria dovessero sottostare al patriarca Gradense all' insulare, od al patriarca Aquilejense o terrestre, terminarono a favore di quest'ultimo cui tutti i vescovi istriani prestarono obbedienza al principiare del secolo XI. Molto si è detto, molto si è scritto, mollo si scriverà sulla soggezione dell' Istria ai duchi di Baviera insieme duchi di ( arintia, e ciò non può essere posto in dubbiezza, ma ben possono rigettarsi le credenze che questa investitura ai duchi bavaresi portasse di conseguenza necessaria e naturale da quel regno che fondò Carlomagno ed al quale i Veneziani mai parteciparono, come sembra. La concessione dell' Istria alla casa di Baviera sarebbe del 961, però frequenti diplomi posteriori concordano cogli anteriori nel mostrare intatte le condizioni fissate ai tempi di Carlomagno e questo tratto dal Codice Madonizza viene ad accrescerne la serie per riguardo ad Aquileja ed all' Istria. I diplomi istriani non lasciano dubbio sulla dominazione che durava al tempo del loro rogito, e con tutta precisione si conosce da questi la condizione sudditi-zia della provincia. Il segnare le note croniche col nome di principe, fu cosa riservata ad imperatori o re, non attribuita ai vassalli loro, la serie dei quali dedotta dai diplomi è ben più certa che le narrazioni o induzioni di scrittori. La serie che precede gli Ottoni registra i nomi di Carlomagno, di Pippino, dei due Lottarii, di Lodovico, di Carlomanno, di Berengario, di Ugo; dopo gli Ottonila serie non registra i nomi di Filippo di Svevia e di Ottone IV, i tempi dei quali si segnano negli atti — nullo «»» Italia imperante, ricompariscono i nomi di Federico II e di Corrado IV, né altri più si registrano; un solo ci ® accaduto di leggere rilasciato da Rodolfo ; ma non ci-l«to il nome di questo imperatore come nota cronica, in »'Ira carta qualsiasi. Certamente ebbe l'Istria confini precisi a'tempi di Carlomagno e poi, e nei tempi del diploma che portiamo ned è sì difficile a riconoscerli, ma non annoieremo i »ettori nostri con argomento nel quale si hanno troppe Prevenzioni, e troppa varietà di principio da cui diparti— re. Ma rileveremo come nel diploma di Corrado II parando dei possessi del monastero di S. Nicolò del Lido in Parenzo, si dice nella città di Parenzo, degli altri che erano nell' agro Bujeso e Giustinopolitano si dice semplicemente nell' Istria. A noi queste espressioni, indicano che P isola di S. Anastasia, o di S. Nicolò dello scoglio dinnanzi a Parenzo era veramente incorporata alla città, loc-chè non può volersi delle altre possidenze. E come vediamo nei tempi antichi chiamarsi gli urbani di colonie o , municipii col nome proprio della città ; i rurali e provinciali col nome della provincia, così vediamo usarsi altrettanto nel medio evo, e durare fino ad oggi. Imperciocché non crediamo giusto il rimprovero che si fa a qualche città di dire istriani quelli di altri agri, quasi pensasse di non essere lei medesima in Istria, mentre ciò è soltanto antico uso che piuttosto ricorda 1' antica condizione propria di metropoli, 1' altrui di provincialità ; come pensiamo altrettanto di qualche città che nel ricredere di appartenere a qualche provincia, mostra appunto nel dirsi sola e nel volerlo essere l'antica condizione per cui le città erano in condizione diversa dall'agro. Le esenzioni che imperatore Corrado accorda alle terre del monastero di S. Nicolò del Lido, riguardano le pubbliche imposizioni che si devolvevano al fisco regio e la giurisdizione di bassa istanza che si riservava al convento. Queste" esenzioni si accordarono alla chiesa di Aquileja da Carlomagno, e vennero confermate da Carlomanno, mediante carte che per buona ventura non perirono ; vennero accordate alla chiesa di Grado da Carlomagno medesimo in carta della quale non si ha che desiderio, confermate da Ottone I in carta del 967, conservala sebbene maltrattata. Le quali giurisdizioni competenti alla chiesa, anche se le terre fossero entro il territorio giurisdizionale di barone o di comune, preparano il dominio laico dei patriarchi di Aquileja, ma furono causa di alterazioni negli scompartimenti e nell' amministrazione. I comuni che vollero ricondotto il reggimento pubblico ad altro principio, cioè a quello che la giurisdizione fosse entro distretto prefisso, unica e generale, e senza personali privilegi che si attribuirono alla terra, sottoposero bensì le terre delle chiese agli oneri tutti ed alla giurisdizione comune, ma ciò valeva piuttosto pei nuovi acquisti, di quello che pei vecchi, sebbene le giurisdizioni per questi fossero sì ristrette da non dovervisi dare gran peso nel pubblico ordinamento. Rileviamo che 1' esenzione accordata alle terre del convento per ciò che si doveva all' imperatore, non era assoluta ; l'imperatore poteva esigere i suoi diritti di fodro e di albergano, qualora calasse in Italia, o la mandasse ad esigere. Queste concessioni ed esenzioni accordavansi da Corrado, per le terre che erano situate entro lo stato suo, tra le altre provincie, pel Friuli e per l'Istria, nominatamente per Aquileja città. E concedeva altresì al convento di nominare avvocato qualunque persona fosse di aggradimento dei monaci. E dicendosi che ciò veniva concesso per dono del regio potere, regie auctoritates dono, dovrebbesi inferire che l'officio di avvocato delle chiese, fosse munere pubblico, incombente di diritto ed obbligo a qualche carica, siccome vediamo oggidì col diritto di avvocazia. Certo che il pubblico governo si fu protettore delle chiese fino dai primi tempi in cui la chiesa ebbe libertà; ma come si svolgesse la cosa quando prevalse il sistema baronale non ci fu dato di riconoscere; però non disperiamo di arrivarvi. Queste cose abbiamo rilevato dall'esame di un codice e di altra raccolta; ma possiamo credere che ad onta della soppressione dei conventi del 1806, e della dispersione delle carte, parecchie se ne conservino in altre raccolte. Dalle quali rimovendo 1' occhio, che non vuole indagare, speriamo sieno per sortire materiali pregevoli per spontaneità dei possessori, ai quali ci permettiamo soltanto di ricordare che il desiderio di una storia, è desiderio impossibile a realizzarsi, se non precede la raccolta dei materiali, e che i materiali sono anche quelle carte che a primo aspetto si giudicano indifferenti. Diploma isolano del 1189. Abbiamo tra le carte nostre diploma in copia antica ed autenticata dell' anno 1189 col quale il patriarca di Aquileja Goffredo si fece a decidere lite fra il monastero di dame di S. Maria d'Aquileja fuori le mura, ed il vescovo di Capodistria, Aldigero, o Adalgero, o Alii-chiero o Aldigardo o Ardicario (che la lezione è variata). Isola, che già era villa soggetta a Giustinopoli, passata in proprietà d' un doge di Venezia, indi dei patriarchi di Aquileja era stata legata in testamento dal patriarca Popono al monastero di dame, che egli aveva fondato fuor delle mura d'Aquileja e che nella riduzione dei conventi operatasi da Giuseppe II era stato incamerato. Questa possessione di Isola importava il diritto di decima laica (il quartese era del capitolo cattedrale di Capodistria) e con questa il diritto di governo baronale, così che il gastaldo di quel luogo veniva per tre anni nominato del monastero di Aquileja, fino a che Isola si emancipò divenendo comune libero. Delle questioni nate per le decime, per le nomine del gastaldo, pei quartesi, si hanno parecchi documenti che bene chiariscono come le condizioni pubbliche sì di chiesa che di governo, andavano sviluppandosi da villa a borgata libera, come divenne allorquando datasi ai Veneziani ebbe podestà, e leggi statutarie. Con Bernardo vescovo di Trieste ed insieme di Capodistria cessava l'abbinazione di queste due diocesi, ed il novello eletto di Capodistria, Aldigero (1187) al quale questa città aveva assegnato apposita dote, cercò di rifare la finanza episcopale, reclamando dalle chiese soggette quelle contribuzioni che per legge generale erano dovute ai vescovi. Lunghissimi litigi ebbe con Pirano, che agitate amplissimamente terminarono con decisione dei vescovi di Ferrara e di Chioggia giudici dati dal Papa i quali nel 1205 non diedero ragione al vescovo Giustinopolitano per le decime ecclesiastiche ; le decime laiche non erano argomento di controversia allora, nè ci è noto che lo fossero di poi. Anzi dalla percezione di queste decime laiche tiriamo argomento a ritenere che il vescovo di Capodistria fosse signore territoriale del Carso di.Pirano, dato poi in feudo a questa città, Aldigero mosse lite anche al monastero di S. Maria d' Aquileja, per le decime e la lite trattata dinanzi | a giudici dati dal Papa erasi pronunciata in favore del monastero. Non pertanto s'interpose il patriarca Goffredo (chè le liti erano allora interminabili) e pronunciò che il monastero dia al vescovo per le speso dieci marche ed una libbra d'incenso in og..i anno, con che le parti si composero. Dal diploma di patriarca Goffredo si apprende che le decime dell'olio e di altri prodotti erano state possedute dal conte Engelberto a titolo di feudo, e date poi da questi al monastero di assenso del vescovo di quel tempo. Il documento non ispiega più che il diritto colla voce decima, non la quota parte che era d'indole clericale, e che deve essere stata unita colla decima laica che il monastero ebbe da Ottone, così che non crediamo esservi identità di oggetto fra le cose donate da Popone e quelle reclamate da Aldigero. Queste decime ecclesiastiche erano state date al convento da un conte Engelberto, di assenso di un vescovo di quel tempo, il qualB certamente non era Aldigero, nè da Bernardo suo predecessore, potendo appena credere che il patriarca Got-tofredo ignorasse nel 1189 il nome, del vescovo che era morto tre anni innanzi, mentre Goffredo era da quattro anni patriarca; Bernardo poi sedeva fino dal 1148. Nessun altro conte d'Istria di nome Engelberto ci è noto all'infuori di quello che nel 1090 usurpò il marchesato, che poi fu tranquillamente conte fino al 1150 e più, e ceppo di famiglia durata lungo tempo nel dominio della contea. Intorno il 1040 ebbe il monastero d' Aquileja la baronia di Isola ; non sarebbe inverisimile che Engelberto avesse donato le decime ecclesiastiche (nella porzione vescovile) nei tempi in cui mosso a religiosa pietà fondava nel 1134 il convento dei Benedettini a S. Pietro in Selve e ne avesse l'assenso da Adalgero vescovo di Trieste, che insiemo era di Capodistria, e non povero ; le cose della chiesa davansi in feudo, se v' era urgente necessità, e ne fosse per ridondare vantaggio alla chiesa, e come Engelberto le ebbe dalla chiesa, col consenso di questa le dava a corporazione religiosa. Non possiamo persuaderci che l'Engelberto conte il quale interviene come testimonio all'atto, fosse il donatore al convento, perchè quest'Engelberto morto nel 1220 (sepolto in S. Pietro in Selve) non può giungere coli'età matura fino all'antecessore del vescovo Bernardo, ed allora v'era altro conte d'Istria, ed altri lo precedono nella contea. Notiamo nel testo del diploma che reggeva in allora il monastero di S. Maria fuor le mura d'Aquileja 1' abbadessa Ermelmda, nota per. altre carte di quei tempi. Figurano testimoni : il vescovo di Cittanova istriana Giovanni, noto fino dal 1176 per atti del patriarca Vo-dalrico ai quali intervenne, e che sembra essersi trattenuto più in Aquileja che nella sua diocesi : figurano i due conti Mainardo ed Engelberto, il primo conte regnante (se così è lecito dire di semplice barone maggiore) di Gorizia, l'altro d' Istria, un Everardo ei Liienz nel Tirolo, quello stesso Luenz che fu poi addetto alla Carin-tia e divenne palatinato dei conti della linea di Gorizia ; il conte Guidone figlio del conte Ugocione di Pertenstein, un Enrico de Lauriano, ed altri i cui nomi abbreviati non sono facili a sciogliersi in perfetta lezione. Anno 1387. i. Giugno. Indizione Y. Giustinopoli. ! Podestà Leonardo Mocenigo, di assenso dei suoi officiali, investe Vidolo del fu Almerico de Astimio, di un terreno paludoso al Risano per farne Saline. (Dal Codice Madonizza). Anno Domini millesimo trecentesimo trigesimo septimo. Indic-tione quinta. Actum Justinopoli in palacio Comunis die primo mensis Junii, presentibns Domino Anco polco de cizlago officiali comunis, et aliis. Comparuit coram Egregio et Potente Viro, Domino Leonardo Mozenigo, honorando Pote-state et capitaneo Justinopolis existente cum suis officialibus Yidolus quondam Almerici de Astimio, exponendo dicens, quod cum comune Justinopolis liaberet certam quantitatem terreni, seu paludis, po-sitam in rexano, quae erat apta laborerio Salinarum, de qua dictum comune nullum consequebatur u-sumfructum, supplicabat dicto domino Potestati, et suis officialibus quatenus dignaretur eidem concedere paludem predictam prò salinis construendis in ea, ut ipse de predictis salinis per eum ibidem fiendis ut supra, aliquam utilitatem, et fructum reciperet, et dacium salis comunis Justinopolis auge-retur. Qui vero Dominus Potestas, audita expositione et supplicatione dicti Yidoli, quae justa et ra-tionabilis videbatur, et habita primo relatione discreti viri Domini Bertholi Blancholini de Arimino, socii ipsius domini potestatis, et suorum officialium Aestimatorum per dictum Dominum Potestatem ad vi-dendum terrenum et paludem predictam sive petitam, dicentiurn et exponentium undique vidisse paludem predictam. Et quod ipsius concessio in nullis partibus damnum redundabant vel delfe . . . . , dumtaxat infrascriptae duae Arae per quas tenditur ad alias possessiones sitas ibidem quae arae sunt juxta paludem predictam dimitterentur largae et expeditae .... pocius in comodum et utilitatem con-vertebatur comunis predicti, de voluntate et Consilio dictorum suorum officialium vigore et virtute unius reformationis captae et firmatae in publico et generali majori Consilio Civitatis Justinopolis, tempore regiminis Egregii et potentis viri Domini Johannis Mauroceno, t une honorandi Potestatis et Capitanei Justinopolis continentis inter cetera quod dominus potestas cum suis officialibus l'berum habeat arbitrami concedendi de territorio, seu palude comunis predicti prò salinis construendis, cum persomi fa-cieutibus vel se obligantilius facere angarias dicti Comunis, ut in libro reformationum predicti olim domini potestatis, coram dicto Domino Potestate et suis officialibus prelecto plenius continetur. De caetero improprium nomine et vice dicti Comunis Justinopolis, dedit cessit, tradidit atque concessit praedicto Vidolo, prò se suisque haeredibus et successoribus recipienti supradictum terrenum. seu paludem comunis, prò ut superius petitur • Cujus hii sunt confines • Versus Solis ortum, apud terrenum comunis quod nuper est concessum mihi Putro de Argento Notario, sunt perticae comunis vigin-tinovem • versus septentrionem apud Salinas Francisci quondam Seymi ara mediante et apud mare sunt perticae comunis quinquagintaduae, versus solem occasum apud salinas Vivaldini de Mantua stipendiano in Justinopoli, ara mediante similiter, sunt perticae comunis trigintauna, versus meridiem apud salinas Berthoni Cavaza sunt perticae comunis quadragintanovem. Et si qui alii sunt confines • Ita (amen quod praedictus Vidolus teneatur et debeat, suis propriis expensis, a festo Sancti Michaelis proxime venturi in antea, usque ad tres annos completos proxime secuturos, in dieta palude construere vel contiari facere salinas taliter, quod ad predictum terminum dictae Salinae ibidem construendae, dicto laboratori, et praedicto Comuni fructum et utililatem producere sint paratae. Et ipsas Salinas perpetuo laborare per se, suosque haeredes et successores, vel laborari facere, sub pena in Statuto Ju-stinopolis contenta : dando et reddendo dictus Vidolus per se suosque haeredes et successores in perpetuum dicto Comuni Justinopolis decimum totius Salis processuri ex praedictis Salinis, ut alii sui Circavicini de suis salinis, sitis ibidem solvere et recidere tenentur, sub poena dupliciler expeditas et amplas, quum per eas iri possit sine aliquo impedimento • Quas quidem Salinas construendas ut superius cum condictione dicti redditus, cum omnibus et singulis suis pertinentiis, finibus, accessibus et egressibus suis, praedictus Vidolus per se suosque haeredes et successores imperpetuum habeat, teneat, gaudeat, et possideat, vendet, donet, alienet, vel prò anima judicet, et de ipsis ad suam voluntatem plenarie faciat quicquid sibi, suisque haeredibus et successoribus melius placuerit, tanquam de suis rebus. Et hoc cum warentatione et deffensione (lieti Comunis Justinopolis contra universas hujus mundi personas, sub poena dupli praedictarum salinarum volentium tunc temporis • Et ne dictae Salinae contra formam reformationis praedictae, transeat ad manus nlicujus personae non facientis, vel facere nolentis angarias praedicti Comunis, Jussit et ordinavit dictus Dominus Potestas quod praedictus Vidolus per se suosque haeredes et successores praedictas Salinas per ipsum fiendas, vel partem ipsarum vendere, obligare, vel modo aliquo alienare seu cedere alicui praesumat, absque Iicentia et auctoritate dominationis, quae prò tempore fuerit ad regimen hujus Civitatis. Et si in aliquo praedic-toruin, praedictus Vidolus, ejusque haeredes et successores fuerit contrafactum, scilicet in non con-struendo praedictas Salinas ad terminum anteilictum, vel eas non colendo, seu non laborando ut prae-dicitur, aut eas vendendo vel alienando contra ordinem antedictum, ex nunc prout ex tunc, praesens concessio nullius valoris existere discernatur, et praedictae Salinae, vel pars earum taliter venditarum vel alienatarum, seu non laboratarum, in dictum Comune Justinopolis redundent. Quibus omnibus su-pradictis, dictus dominus Potestas, suain et dicti Comunis Justinopolis interposuit auctoritatem, et Judi-ciale decretum. Ego Beraldus de Baldino Vicedominus subscripsi. Ego Simon Lugnanus Vicedomipus subscripsi. Ego Petrus de Argento de Justinopoli Imperiali auctoritate Notarius et nunc Comunis Can-cellarius subscripsi. ■ ■ / ' Jni'I Anno 1151* Indictione Xini. •)•;•;} .'ivi .: :. ?- • • » 11 • Imperatore Corrado assume in protezione reale i beni del Monastero di S* Nicolò del Lido di Venezia, accorda esenzioni per questi, e concede di nominare avvocato qualunque persona. (^Tìal Codice Madonizza.) In nomine Sancie et individue Trinitatis* Salutaribus Sanc- tarum scripturarum ................... Quapropter omnium tam futurorum quam presentium noverit industria, qualiter nos antecessoris nostri Henrici Quinti romanorum imperatoris Augusti, pia facta comprobantes, petitionem Dominici venerabilis Abbatis monasterii Sancti Nicolai de Littore Venetiarum et fratrum suorum Cristi fidelium, preces cle-menter exaudimus: Et eos cum omnibus possessionibus eorum; quae in Regno nostro Italico juste possident et decetero justa et legitima donatione conquerere et possidere poterint, precipue que in terminis istis, in Sacco videlicet, in Aquilegia, in Istria, in Parentina Civitate, in parlibus Bononiensi-bus, in Episcopatu Tarvisiensi habent et de caetero juste conquisierint, sub Tuitione Regie Majestatis nostre, ad usus predicti Cenobii et fratrum Deo inibi deserventium conservanda et deflendenda reci-pimus, Fodrum quoque et albergariam et districtum, collectam, banum> placitum, assaltum, et cetera que Juris Regii sunt, et de possessionibus predicti cenobii ad nos expectant, in manu Abbatum predicti cenubii convertimus. Ita videlicet, ut nec Patriarcha, nec Archiepiscopi, nec Episcopus, nec Marchio, nec Comes, nec aliqua magna vel parva persona de possessionibus praedicti Cenobii et nominatimi de bis, que in territorio quod Saccus dicitur, kabent: aliqua de his que nostri Juris sunt, ab eis expostulent : Sed Abbas et fratres predicti cenobii, fodrum et cetera que nostri juris, bine inde de possessionibus suis colligant, et quando nos Italiani ituerimus, vel specialiter nuntios ad eos direxerimus, ea que nostri Juris sunt, nobis persolvant. Hoc a nostra regia auctoritate sancitum, ne quis infringere audeat, precipimus, et regali nostro banno corroboramus. Preterea supradicto Abbati suisque successoribus, regie auctorilatis dono, concedimus ut habeant liberam potestatem assumendi sibi advocatum personam quameumque voluerint. Quod ut ab omnibus credatur, et ratum habeatur presentem inde paginam, sigilli nostri impressione, assignari jubemus, adhibitis idoneis testibus quorum nomina hec sunt. Peregrinus Aquile- gensis Patriarcha, Everardus Salzburgensis Epus, Everardus Tribergensis Epus, Henricus Ratisponensis Epus, Otto Frisingensis Epus, Hermanus Constantiensis Epus, Albertus Missinensis Epus, Daniel Pran- gensis Epus, Henricus Dux Bavarorum, Federicus Dux Svevorum, Lutius Dux. . . . , Hermanus Palatinus Comes Rheni, Uldaricus Marchio Tuscie, Hermanus Marchio Verone. Signuin Domini Conradi Regis secundi, secundi Augusti. Ego Arnoldus Archicancellarius recognovi. Acta sunt Anno Dominice Incarnationis M • C • LI • Indictione XIIII Regnante Glorioso Romanoruin Rege Conrado Augusto Anno vero regni ejus XIIII. / Tipografia del Lloyd Austriaco. Anno 1189. Die XV exeunte Decemb. Indiz. VII. Aquilejae. Goffredo Patriarca decide lite fra il Convento di Maria d'Aqui-leja ed il Vescovo Aldigero di Capodistria per le decime d'Isola. (Dall' originale). Gotefridus Dei gratia sanctae Aquilegensis sedis patriarcha omnibus tam presentibus quam luturis in perpetuum. Aquilegensis eccle-siae gubernatione divina dispositione suscepta sollicitadinis curam prò ecclesiis et maxime prò bis quae nostrae subsunt jurisdictione tenemur suscipere. In quibus si ea quae sunt hone-statis et pietatis vel instituta confirmando vel ommissu instituendo vel etiain controversias sedando digna animadversione prospicimus ab ipso perfecto expectabimus premium et mercedem laborum qui solus et vere omnium retributor et honorum eterna voluit beatitudine remunerare. Et propterea atten-dentes quod per se ipsam veritas die ... . habere salutem in vobis et pacem inter vos . . . atten-dentes etiam quod causarum controversiae quae lic sibi sint bonerose maxime etiam religiosis domi-bus perniciose inveniuntur. Controversia inter venerabilem fratrem nostrum Aldigerum Juslinopoli-tanum episcopum et dilectam in Xro filiam nostram Ermilindam abbatissam monasterii sancte Marie de Aquilegia super decimis de Insula tam olei quam aliarum rerum omnium quas illustris Comes Engelbertus quondam nomine feudi noscitur possedisse, et dicto monasterio causa pietatis, autoritate episcopi qui tunc temporis erat contulisse vertebat partium praecaventes jacluram ex utriusque partis consensu taliter terminavimus per compositionem. Statuimus siquidem quod Abbatissa nomine expensa-rum tantum X marchas ipsi episcopo dedit, et quamvis sententia a delegatis domini pape quibus causa appellationis interdicto juvamine fuerat commissa prò ipsa abbatissa jam lata fuisset adjunximus quod annuatim Justinopolitanae ecclesiae libram incensi persolveret in signum transactionis constituentes quod si aliquo casu interveniente aliquo anno dietam incensi libram sicut dictum est non persolveretur primo anno, sequenti duos dare teneretur. Quibus episcopus contentus omni juri suo tam privilegiis quam omnibus instrumentis prò parte sua introduclis vel introducendis juxta statutum nostrum sub pena XX marcarum examinati auri prò se ac successoribus suis abrenuntiavit, ita videlicet quod si dictus episcopus vel aliquis suorum successorum contra hoc nostrum statutum aliquo unquam tempore venerit vel adversus dietam abbatissam aut ejus ecclesiam questionem super ejusdem decimis moverit, ut jam dictum est XX marcas examinati auri dimidiam partem camere nostre, et dimidiam partem supradicte ecclesie persolvat hiis quae dieta sunt nichilominus in suo statu manentibus, quia ecclesiastice mode-rationi omnino est conveniens ut ea quae ex utriusque partis consensu ordinala fuerint et rationabi- liter decisa nulla in postcruin debeant refragatione turbari. Quisquis igitur hanc nostre constitutionis et compositionis paginam infregerit, vel infringero attentaverit iram omnipotentis dei et beatissimorum apostolorum Petri et Pauli et sanctorum niartyrum Hermachore et Fortunati et omnium san-ctoruin maledictionem incurrat atque in ultimo die non valeat evadere judicium ultionis divinae nec unquam sibi dei aut sancte Mariae auxiliuin adesse sentiat. Amen. Acta sunt ista autem Aquileja in patriarcali palatio. In presentia Johannis Emonensis episcopi, Wernardi, Andreae magistri Aldregen . . . Wigandi. Johannis Medici amici domini Gotefridi pa-Iriarchae cappellanoruin Henrici de Lauriano. Comitis Meynardis et fratris ejus Engolberti. Comitis Guidonis filii comitis Ugutionis .... phtenslain, Alberti de Rinbec et Pertoldi marsalci. Everardi de Lune et aliorum plurimoruin. Anno domini M • C • L ■ XXXYII.II ■ M ■ C - L- XXXVI11I. Indictione VI! die XII exeunte mense decembre ex utriusque partis consensu. Tectes autem donationis que facta est in altare sancte Marie sunt isti. Joannes Episcopus E-monicnsis, Andreas cappellanus Arnoldus presbiter de Abnita. Simeon pbr. Absalo pbr. Alduinus Advo-catus. Johannes fuentin juratus Andreas Deurossul juratus Wu....lius Raz Miles, Lazar celerarius, Martinus gener ejus. Johannes X pian. Ulricus incidens Abbatisse, Adalper fruzer fratres der Tertio.... Dominicus cappellanus episcopi de Bullis et alii quam plures. Ego Stephan Domini Gotefridi pathe. cappellanus de ipsius mandato scripsi et sigillo suo corroboravi et dedi. Anno 1464. 24. Sett. Ind. XIII. Venezia. Doge Cristoforo Moro commette al Podestà di Capodistria, d'inviare le paghe al Castellano di Montecavo Francesco Verga. (Da originale posseduto dal Dr. Betti.} Christophorus Mauro; Dei gratia: Dux Venetiaruin etc. Nobi-libus et Sapientibus Viris Castellano Minotto de suo mandato potestati et Capitaneo Justinopolis et successoribus suis fidelibus dilectis Salutem et dilectionis aflectum. In quanta necessitate reperiatur fidelis noster Franciscus Verga castellanus Castri Mocho, nemo est qui non intelligit, diu Nam est ex quo non recepit pagas et subventiones suas ab ista camera. Et ut nostis, habet alere se et pagas sibi commissas. Et quam magnopere conqueritur et petit ut mandare dignemur, quod habeat subventiones suas, sine quibus stare et attendere custodiae ipsius castelli, qui est nobis carissimus non valet: Mandamus vobis efficacissime ut omnino mittere eidem Francisco debeatis : omnes pagas, quae sibi jam cursae sunt, et providere ut mensuatim recipiat solutionem suam. Quas quidem pecunias sic dabitis ut tuto sibi deferantur. Qua in re tantum vos oneramus : quantum plus dici poteste ut amplius causam non habeamus de hac re vobis scribendi. Date in nostro ducali palatio die XXIIII Septembris Indictione XIII • M CCCC L X UH.