received: 2010-11-25 UDC 930.2:341.222(450.367+497.473) original scientific article LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA RICERCA SULLE IDENTITÁ DEI CONFINI E SUI CONFINI FRA LE IDENTITÁ Alessandro CATTUNAR Istituto italiano di scienze umane, Palazzo Cavalcanti, Via Toledo, 348, 80132 Napoli, Italia e-mail: cattunar@gmail.com SINTESI Nel tentativo di superare alcune contrapposizioni manichee e alcuni paradigmi pre-stabiliti che hanno spesso caratterizzato gli studi relativi al confine tra Italia e Jugoslavia (poi Slovenia), l'intervento riflette sulle possibilita offerte dalla storia orale nello studio di quest'area. L 'autore assume come oggetto di studio privilegiato la memoria, nelle sue tre prin-cipali declinazioni - individuale, collettiva e pubblica - sottolineando l'importanza di un'analisi approfondita, critica e multi sfaccettata dei racconti di vita dei testimoni anche in relazione con le fonti piú tradizionali. Viene proposta una riflessione articolata su tre piani, tutt'altro che separati, che interagiscono e si intrecciano in modo complesso: 1) l'analisi "interna" dei singoli racconti di vita, concentrando l'attenzione sulla dimen-sione narrativa, discorsiva, linguistica e retorica; 2) l'analisi dei legami che sipossono riscontare tra i diversi racconti di vita nel momento in cui vanno a creare delle memorie collettive; 3) il confronto fra le memorie individuali e le narrazioni pubbliche. Parole chiave: storia orale, confine, memorie, identita, nazionalismi, Gorizia ORAL SOURCES ON THE ITALIAN-SLOVENIAN BORDER: RESEARCH PROPOSALS ON THE SUBJECT OF IDENTITIES IN THE BORDER AREA AND ON BORDERS BETWEEN IDENTITIES ABSTRACT In an attempt to overcome certain Manichean oppositions and pre-established paradigms that have often characterized studies made on the subject of the border between Italy and Yugoslavia (and later Slovenia), this contribution examines the possibilities arising from studying the history of this area from oral sources. The author focuses on memory as the main object of study and divides it in three key forms - individual, collective and public - emphasizing the importance of a thorough, multi-faceted and critical analysis of the stories told by people who witnessed various events and how they compare to more traditional sources. The author proposes a dis- 151 Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 cussion on three different levels, which are all but separate and that are intensely interconnected and interacting with each other: 1) an "internal" analysis of individual life stories, focusing on the narrative, discursive, linguistic and rhetoric dimensions, 2) an analysis of the connections that can develop between different life stories when they become part of collective memories, and 3) a comparison between individual memories and public narratives. Key words: oral history, border, memories, identity, nationalism, Gorizia INTRODUZIONE. CONFINI MOBILI E IDENTITÀ FLUIDE I confini, e soprattutto le aree di confine, le borderlands, sono luoghi dove s'intrec-ciano processi e dinamiche complessi e spesso contrastanti. Sono spazi dai molteplici significati: di natura territoriale e sociale ma anche simbolica e identitaria. Il confine, se considerato come linea di divisione, di demarcazione, porta con sé profonde implicazioni innanzitutto politiche, poiché rappresenta l'area dove si combattono le guerre e dove agiscono principalmente le forze armate e le diplomazie. In quest'accezione, il confine segnala, sia sul piano fisico che simbolico, la delimitazione di una comunità. Definisce chi "è dentro" e "chi è fuori"; stabilisce, impone, delle identità che dovrebbero essere chiare e condivise. Ma se al termine confine sostituiamo frontiera, la prospettiva cambia: come suggerisce Sandro Mezzadra, le frontiere sono "luoghi di transizione", aree d'incontro, connessione e contaminazione dove "soggetti diversi entrano in relazione, si scontrano e si incontrano mettendo comunque in gioco (e modificando) la propria 'identità'" (Mezzadra, 2001, 82-83). Anche se consideriamo le linee immateriali, imma-ginarie, i punti di vista possono essere molteplici. A lungo i confini fra "gruppi etnici" sono stati delineati in base ad elementi apparentemente oggettivi (culturali, linguistici, geografici) dimenticando che questo tipo di demarcazioni identitarie si basano principalmente su dinamiche pratiche e simboliche che gli stessi gruppi mettono in atto per autodefinirsi. Si tratta quindi di confini mobili, in continuo mutamento, che servono per lo più a garantire una continuità a livello di autorappresentazione e, al contempo, a individuare forme di comunicazione e scambio con "gli altri" (Barth, 1982). Si tratta di "linee tratteggiate" e, quindi, valicabili. Per quanto riguarda il territorio italo-sloveno, non è quindi strano che alcune macro-categorie - come ad esempio "mondo latino" e "mondo slavo" che, soprattutto in passato, sono state spesso utilizzate per definire in modo chiaro e definitivo la superiorità storica e oggettiva di un gruppo sull'altro - si rivelino inadeguate e non vengano fatte proprie dalla popolazione dell'area. Se in un caso, quindi, le aree di confine possono essere viste come luogo privilegiato per l'elaborazione di nazionalismi e per l'"invenzione" di comunità contrapposte, nel secondo possono essere intese come luoghi d'ibridazione e creolizzazione rivelandosi teatri di rivendicazioni contrapposte di "purezza ed ibridismo" (Ballinger, 2010, 421-424). Si tratta di dinamiche contraddittorie che ci obbligano a tenere sempre in conside-razione, come ricorda Silvia Salvatici, la "profondità storica dei processi di costruzione Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 dei confini, l'intreccio tra il loro profilo territoriale e quello che invece si gioca sul piano delle identità e delle appartenenze, i diversi significati attribuiti alle frontiere dai diversi soggetti politici e sociali" (Salvatici, 2005a, 8). In questa direzione si rivela proficuo focalizzare l'attenzione sulla pluralità dei punti di vista e delle interpretazioni, senza limitarsi a studiare i fatti ma cercando di comprendere anche le conseguenze che questi hanno avuto sugli individui e sui gruppi, determinandone scelte, percorsi di vita, definizioni identitarie. Nel caso degli studi storici sull'area di confine tra Italia e Slovenia questo approccio ha potuto affermarsi con difficoltà, e comunque solo in tempi piuttosto recenti. Se si prende in esame la produzione storiografica e pubblicistica sviluppatasi recente-mente in Italia, si noterà come al centro delle analisi si siano posti, per lo più, problemi di carattere politico. La maggior parte delle pubblicazioni e degli studi gravitano attorno ad alcune macro tematiche che, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, hanno riscosso crescente interesse anche nel dibattito pubblico nazionale, al di fuori dei contesti acca-demici: la questione degli esuli, il problema delle deportazioni e delle foibe, la "corsa per Trieste". Nello studio di tali problematiche è stato generalmente adottato un punto di vista che privilegia la dimensione militare, diplomatica e ideologica. I soggetti principali sono i governi nazionali, gli eserciti e i partiti politici. Sotto questo aspetto la storiografia slovena mostra tendenze simili, configurandosi, nel dopoguerra, come una "costruzione della memoria pubblica funzionale alla nuova Slovenia socialista" (Verginella, 2008b, 43). Anche in questo caso i temi centrali sono pochi e ben selezionati: la vittoriosa guerra di liberazione si erge a mito fondante della nazione jugoslava e il riconoscimento del sacrificio dei combattenti partigiani spinge nel dimenticatoio le esperienze, più o meno traumatiche, delle altre componenti della popolazione. Con la dissoluzione delle Jugoslavia si assiste ad una svolta: emergono tematiche inedite, nuovi problemi vengono posti sul tavolo dagli storici e molte figure apparente-mente dimenticate affiorano dal sottosuolo, prime fra tutte quelle dei collaborazionisti cetnici, domobranci e belogardisti. Anche la main narrative relativa alla Guerra di liberazione nazionale e la sua sostanziale coincidenza con la costruzione del nuovo Stato viene ampiamente messe in discussione. Si ha peró l'impressione che le metodologie della ricerca storica, le visuali e gli strumenti del mestiere utilizzati non varino in modo sostanziale. La prospettiva dominante appare sempre quella politica e ideologica. Entrambe le storiografie hanno quindi contribuito all'affermazione di paradigmi in-terpretativi che, alle volte, sono stati assunti in maniera acritica, scoraggiando l'emergere di nuovi approcci. Come ha scritto recentemente Marta Verginella: "vi sono paradigmi utilizzati in modo particolare dalla storiografia di confine [...]. Il più frequente [...] si richiama all'esistenza di 'nazionalismi opposti' e viene inteso, a seconda di chi ne fa uso, come una categoría interpretativa o una formula magica in grado di esemplificare e sintetizzare gli eventi precedenti le tragedie del Novecento, la persecuzione fascista, le violenze della seconda guerra mondiale, l'esodo e le foibe. Complessi processi storici, caratterizzati non soltanto dalla nazionalizzazione ma anche dalla modernizzazione delle società, vengono interpretati unicamente come effetti di uno scontro nazionale, senza Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 che vengano valutate a sufficienza le specificitá dei vari contendenti nazionali presentí nell'area e le particolaritá della formazione delle comunitá 'nazionalmente immaginate' in competizione" (Verginella, 2009, 11; si veda anche Verginella, 2007). Anziché sottolineare la fluiditá della situazione identitaria e la molteplicitá di prospettive, una parte degli studiosi ha analizzato la storia del Litorale austriaco e poi del Litorale adriatico e della Venezia Giulia sulla base di uno schema "binario" che tendeva ad assumere come categorie date due comunitá nazionali contrapposte e ben identificate. Due soggetti, chiaramente delineati, omogenei e consapevoli, che lottava-no per la propria affermazione e cercavano legittimazione in una tradizione nazionale piu o meno inventata e costruita ad hoc. Questa lettura, come ricorda sempre Marta Verginella (2009, 16), si puo cogliere anche nella relazione finale della Commissione mista storico-culturale italo-slovena,1 in cui alcuni passaggi avallano una visione degli italiani e degli slavi come gruppi nazionali ben distinti e fortemente coesi al loro interno. Italianitá e slovenitá sembrano divise da una linea netta e invalicabile: "la presenza storica degli italiani e degli sloveni viene collocata quasi in una dimensione metastorica" (Verginella, 2009, 16). Se l'analisi muove da un'osservazione esterna e distaccata della carta geografica, se si assumono come fonti privilegiate i documenti e i discorsi pubblici e probabile che la concezione di un confine che divide e definisce in modo chiaro possa apparire convincente. Ma se cambiamo angolazione, possiamo notare come questa prospettiva potrebbe non essere: "condivisa dalle popolazioni locali, che nella loro esperienza quotidiana vivono spesso l'intensitá degli spazi economici, linguistici e culturali tra l'una e l'altra 'sponda'. E dunque la complessa identitá (territoriale, culturale, socio-economica) dei confini a svelare la fallacia di una loro presunta 'ragion d'essere per natura', e a rende-re viceversa piu urgenti gli interrogativi sui processi e le logiche che ne presiedono la costruzione (Salvatici, 2005a, 11). Ecco quindi che, per evitare contrapposizioni manichee, bisognerebbe iniziare a ragionare proprio sull'"identitá dei confini" e, al tempo stesso, sul "confine fra le identitá", cioe sulle pratiche definitorie - formulate dallo stesso soggetto o imposte dall'e-sterno - che consentono di tracciare le linee di demarcazione tra "noi" e "gli altri".2 Bisognerebbe provare a comprendere i significati che la condizione liminale ha assunto in momenti diversi e per le diverse comunitá e individui, cercando di cogliere le emozioni connesse allo spostamento fisico della frontiera: le aspettative, le speranze, i traumi. Cio 1 Nell'ottobre del 1993 venne istituita la Commissione mista storico-culturale italo-slovena su iniziativa dei Ministri degli Esteri di Italia e Slovenia. Nel 2000, al termine dei lavori venne redatta una relazione dal titolo: Relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena. Un tentativo di costruire una memoria storica condivisa dopo un secolo di tragiche contrapposizioni. La relazione e stata pubblicata ufficialmente in Slovenia in tre lingue, mentre in Italia e stata solo recentemente riproposta in appendice a diversi volumi, tra cui Algostino et. al., 2009. 2 Il concetto d'identita riguarda da un lato le categorie attraverso cui l'individuo definisce e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali e, dall'altro lato, la formazione di sistemi di regole e proiezioni all'interno delle collettivita che consentono ai singoli di pensarsi e di relazionarsi con "l'alteritá", sia interna che esterna al gruppo stesso. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Fig. 1: Partigiani jugoslavi sfilano in Corso Verdi a Gorizia - maggio 1945 (Fototeca dei Musei provinciali di Gorizia). Sl. 1: Jugoslovanski partizani paradirajo po Corso Verdi v Gorici - maj, 1945 (Musei provinciali di Gorizia, fototeka). significherebbe studiare non solo i confini fisici ma anche quelli simbolici e immaginari tra identità fluide (Bauman, 1992) e cangianti, quasi mai esclusive e totalizzanti. Per intraprendere un'analisi di questo tipo, puô essere utile assumere come oggetto di studio la memoria, nelle sue tre principali declinazioni: individuale, collettiva e pub-blica.3 Sui profondi legami che si instaurano tra dinamiche del ricordo e identità già 3 Non e possibile, in questa sede, fornire una precisa descrizione di queste complesse categorie. É comunque utile ricordare che la memoria collettiva puó essere definita come l'insieme delle immagini del passato che un gruppo conserva e riconosce come elementi significativi della propria storia, ed e "frutto di una selezione e di una ricostruzione, piu o meno volontaria, e un fattore essenziale dell'identita del gruppo: in ció sta la sua funzione" (Jedlowski, 2002, 61). La memoria collettiva trae la sua forza dai rapporti "affettivi" che legano un individuo a un determinato gruppo, in quanto egli e portato a narrare i propri ricordi, a forgiare interpretazioni comuni e a condividere il senso di ció che e memorabile. Le memorie collettive hanno una forte funzione pratica di integrazione, ma al contempo rislultano profondamente legate alla gestione della memoria pubblica, cioe degli eventi e interpretazioni che la sfera pubblica e la politica ritengono opportuno conservare e promuovere attivante tra i cittadini di una determinata area. Per approfondimenti si rimanda a Halbwachs, 1987; Ricoeur, 2003; Ricoeur, 2004; Jedlowski, 2002; Rampazi, Tota, 2005; Rampazi, Tota, 2007; Belelli et al., 2000. 155 Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 molto si è scritto. In questa sede, perô, vorrei soífermarmi specificamente sul contributo che la storia orale, attraverso la raccolta e l'analisi dei racconti di vita, puó portare alla comprensione dell'area di confine tra Itala e Slovenia. Un approccio critico alle testimonianze orali, in grado di far interagire le fonti memorialistiche con quelle più tradizionali - documenti d'archivio, giornali, pubblicazioni scientifiche e non - potrebbe oífrire nuove e interessanti prospettive interpretative. Alcuni degli esempi proposti in questa sede faranno riferimento ad una ricerca sulla rielaborazione delle memorie e delle identità nell'area del goriziano negli anni dell'im-mediato dopoguerra e della costruzione del confine.4 L'attenzione si concentrerà su tre possibili livelli d'analisi relativi alle fonti orali e alle loro declinazioni all'interno del contesto di confine. Sono tre piani, tutt'altro che separati, che interagiscono e si intrecciano in modo complesso: 1) l'analisi "interna" dei singoli racconti di vita, e quindi la loro dimensione narrativa, discorsiva, linguistica e retorica; 2) lo studio dei legami che è possibile riscontare tra i diversi racconti di vita nel momento in cui vanno a creare delle memorie collettive; 3) il confronto fra le memorie individuali e le narrazioni pubbliche. MEMORIE DI CONFINE In prima istanza, bisogna considerare che le argomentazioni riguardo al tema della memoria si sono configurate in maniera diversa, e spesso contrastante, in Italia e in Jugoslavia (poi Slovenia). Come sottolinea Pamela Ballinger: "La tendenza generale in Italia era indirizzata alla creazione di narrative più inclusive, in Jugoslavia ad analisi esclusive; a livello locale e regionale, tuttavia, il quadro si dimostra molto più complicato [...]. A Trieste, come in gran parte della ex Jugoslavia, le narrative sul conflitto civile sono sempre più in termini di divisioni etnico-nazionali più che politiche, e ció s'inserisce in un'ampia tendenza nel mondo del dopo Guerra Fredda" (Ballinger, 2010, 205). Tuttavia, le geografie della storia e della memoria, soprattutto da un punto di vista pubblico, sono state profondamente ridisegnate nel corso degli ultimi due decenni sia sul territorio italiano che su quello sloveno puntando a far emergere temi comuni ma anche "interrogativi relativi a memoria e imposizione del silenzio, colpa e innocenza, carnefici e vittime" (Ballinger, 2010, 205). Il periodo compreso fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta ha visto, nell'area di nostro interesse - quella goriziana -, il susseguirsi di cinque diverse amministrazioni (italiana, tedesca, jugoslava, anglo-americana e poi nuovamente italiana e jugoslava), che hanno portato con sé politiche spesso opposte nei confronti dei gruppi etnico- 4 La ricerca e stata inizialmente condotta congiuntamente da chi scrive e da Kaja Širok per poi svilupparsi in due percorsi di ricerca differenti. L'analisi si basava originariamente su 30 videointerviste condotte in Italia e in Slovenia nel periodo 2007-2010. Alcuni risultati di questa ricerca sono stati pubblicati in Cattunar, 2009; Cattunar, 2010 e Širok, 2009. Chi scrive sta proseguendo il percorso di ricerca raccogliendo nuovi racconti di vita e sviluppando un'analisi parallela delle fonti orali, dei documenti d'archivio e degli articoli sui quotidiani. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Fig. 2: Manifestazione filo jugoslava a Gorizia - 1946 (Istituto Friulano per la Storia del Mo-vimento di Liberazione). Sl. 2: Filojugoslovanska manifestacija v Gorici leta 1946 (Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione). linguistici presentí sul territorio. Strategie di dialogo e concessioni si sono alternate a pratiche di repressione e imposizione. Per decenni la storia politica ha cercato di appu-rare e approfondire i complessi fatti che si sono verificati e l'attenzione degli studiosi si e giustamente concentrata sulle numerose violenze di cui questi regimi si sono resi promotori. Violenze di diversa natura di cui si e tentato di comprendere le motivazioni, le dinamiche, le responsabilitá, i numeri. Accanto a questi lavori, di carattere per lo piu accademico, si e assistito, soprattutto negli ultimi anni, ad un fiorire di iniziative editoriali incentrate sulle esperienze biografiche, sulla vita quotidiana e le testimo-nianze orali.5 Queste indagini, si sono spesso focalizzate sugli eventi, sui contenuti di "veritá" che emergono dai ricordi, sui casi esemplari, trascurando, a volte, di mettere in luce alcune importanti specificitá insite nelle narrazioni di vita. Naturalmente le eccezioni non mancano,6 ma un aspetto su cui forse non si e riflettuto a sufficienza, 5 Solo per citerne alcuni fra i piu recenti, su temi e con metodologie molto differenti: Covaz, 2012; Covaz, 2010; Simonetti, 2010; Mondoni, 2009; Sessi, 2007. 6 Si pensi innanzitutto ai lavori curati da Anna Di Gianantonio, Gloria Nemec, Kaja Širok e Marta Verginella. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 soprattutto nella memorialistica relativa all'area del goriziano, e il fatto che i testimoni sono innanzitutto portatori di un punto di vista specifico e orientato. Uno sguardo che rispecchia una particolare identitá, declinata non solo in senso nazionale - italiani contro slavi - o ideologico - comunisti contro anticomunisti - ma fortemente anco-rata alle esperienze del proprio vissuto e ai quadri sociali di riferimento. Un'identitá fluida e mutevole che trova un riscontro proprio nel modo di trasmettere e narrare la memoria. Se, anziché limitarsi a ricostruire gli avvenimenti, si prova ad analizzare i racconti di vita dei testimoni in quest'ottica, si riesce, probabilmente, a comprendere meglio le caratteristiche che la "cultura della memoria" assume in questo territorio. Una cultura della memoria che si configura essenzialmente come una "cultura ferita" (Ballinger, 2010, 69) in cui i ricordi dei singoli si scontrano con l'uso e l'abuso politico della memoria (cfr. Ricoeur, 2004). In questa prospettiva, riprendendo alcune riflessioni di Barteaux (1981), si puo af-fermare che ogni testimonianza va assunta come documento da analizzare a piu livelli e da comprendere ermeneuticamente, come un testo in cui la veritá fattuale di cio che il soggetto dichiara puo essere meno rilevante della sua veritá emotiva, e in cui i conte-nuti di cio che e narrato, a volte, possono essere meno importanti dei modi in cui sono espressi.7 I racconti di vita documentano non il fatto storico in quanto tale, ma il modo in cui l'individuo si inserisce al suo interno, l'impatto che un evento ha avuto sull'in-terioritá della persona. Puo darsi che le interviste non aggiungano molto a quello che sappiamo riguardo agli eventi accaduti, ma riescono a dirci cose altrimenti piu nascoste sui costi psicologici. "Ci informano su cio che i fatti hanno voluto dire per chi li ha vissuti e per chi li racconta; non solo su cio che le persone hanno fatto, ma su cio che volevano fare, che credevano di fare, che credono di aver fatto; sulle motivazioni, sui ripensamenti, sui giudizi e le razionalizzazioni" (Portelli, 2007, 12). In un recente saggio, Olimpia Affuso ha affermato che "i ricordi si strutturano per immagini, conoscenze, emozioni" (Affuso, 2010, 117). Queste tre dimensioni risultano effettivamente molto utili per un'analisi dei racconti di vita. Spesso, infatti, nella memoria dei testimoni si formano delle vere e proprie raffigurazioni del passato, dei quadri legati da un lato all'aspetto emotivo e dall'altro alle conoscenze acquisite sugli eventi. "Prima di parlare, il testimone ha visto, sentito, provato (o anche creduto di vedere, sentire, provare, poco importa), insomma e stato 'impressionato', colpito, choccato, fe-rito, in ogni caso raggiunto e toccato dal fatto. Cio che il suo dire trasmette e qualcosa di quell'essere impressionato da" (Ricoeur, 2004, 18). Sono immagini che veicolano una prospettiva ben precisa, determinata innanzitutto dal contesto e dal luogo in cui il testimone ha vissuto. Ma le percezioni e le interpretazioni, e di conseguenza le immagini che si generano nella memoria, sono influenzate, oltre che dalla collocazione sociale, anche dai "saperi" e dalle emozioni provate. Prendere in considerazione i diversi punti di vista, e i termini utilizzati nel descriverli, puo aiutare a capire come la percezione degli eventi da parte degli in-dividui spesso si discosti ampiamente dalle versioni ufficiali fornite dalla stampa e 7 A riguardo si veda anche Saraceno, 1986, 19 e sgg. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 dalle spiegazioni proposte dalla storiografia. La conoscenza degli avvenimenti, delle ragioni politiche, ideologiche e militari, delle strategie e dei rapporti diplomatici da parte dei comuni cittadini è generalmente molto parziale. Nella maggior parte dei casi prevalgono l'incertezza o le interpretazioni lacunose fornite dai ristretti contesti sociali e politici frequentati. Gli elementi discriminanti nelle visioni e nelle scelte delle persone non appaiono legati a questioni ideologiche, politiche o di identità na-zionale, bensi alla vita quotidiana, alle strette relazioni familiari, amicali e lavorative. Tutti aspetti che, come si diceva all'inizio, difficilmente possono essere inseriti in una dinamica binaria di tipo nazionale. Paradossalmente, in un'area di confine come quella considerata non ci si puó limitare a riflettere solo sulla categoría di "memorie divise" (Contini, 1997) ma risulta forse più utile e analiticamente stimolante ragionare in termini di "memorie plurime": non è sempre possibile identificare due (o più) chiare modalità di ricordare/interpretare gli eventi del passato, bensi ci si trova di fronte ad una parcellizzazione dei punti di vista, in cui ogni elemento viene osservato attraverso una pluralità di lenti legate, a seconda dei casi, alle esperienze individuali, alla condizione sociale, alle credenze politiche, alle relazioni familiari ecc. I racconti di vita dei testimoni dimostrano cosi di avere punti di contatto e di contrapposizione variabili: non è facile, quindi, collocare le singole narrazioni all'interno di memorie collettive che, in quanto tali, dovrebbero condividere alcuni elementi fondanti in grado di unificare il gruppo a cui si riferiscono.8 Nella percezione degli eventi si insinuano anche "l'immaginario, il simbolico, il desiderio" (Portelli, 1999, 155), tutti fattori che entrano in stretta relazione con le identità, con la propria definizione e percezione di sé. Questo approccio tende essenzialmente ad "analizzare la mentalité storica degli individui del passato, le credenze, le pratiche e le rappresentazioni simboliche che formano la rappresentazione del passato dei singoli" (Confino, 1997, 1389) e che guidano le loro azioni, facendo emergere "le rappresentazioni e le immagini, miti e valori condivisi o tollerati dai gruppi o dall'intera società" (Confino, 1999, 1389). In questa direzione, puó essere utile soffermarsi sui diversi modi di ricordare le medesime "date simbolo" come, ad esempio, l'8 settembre 1943 e il primo maggio 1945. Cosa hanno rappresentato, al di là dalle narrazioni e commemorazioni pubbliche, per i singoli individui e per le diverse comunità? È già indicativo il fatto che queste due giornate vengano assunte da quasi tutti i testimoni intervistati come snodi decisivi della propria vita. Bisogna poi capire come vengono definite, "nominate", e a che stato d'animo vengono associate. L'8 settembre rappresenta forse il caso più ovvio ma anche quello più emblematico. In Italia questa data viene collegata, sia nel discorso pubblico che in buona parte delle testimonianze orali, a valori positivi: è il giorno dell'"armistizio", una sorta di redenzione e liberazione da un regime imposto e oppressivo. Al contrario per alcuni testimoni soprattutto di origine slovena (ma non solo), indica il giorno della "capitolazione dell'Italia". 8 A questo rigurado appaiono estremamente stimolanti le riflessioni di Jeffrey Olick relativamente alle categorie di "collected memories" e "collective memory": Olick, 2011; Olick, 1999; Olick, 1998. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Franco Z. nasce a Idria da una famiglia di origine slovena, proprietaria di un seghe-ria. Oggi vive a Gorizia. Cattunar: "Lei è venuto a Gorizia a studiare...". Franco Z.: "Naturalmente! Ho fatto le tre medie a Tolmino, nel '43, poi è venuta la capitolazione eccetera. Poi sono andato a Gorizia, al collegio dei Salesiani". Cattunar: "Voi la chiamavate capitolazione, l'8 settembre?". Franco Z.: "Capitolazione, capitolazione, si. È vero. [sorride]... Armistizio ovvia-mente. Ma era capitolazione del Regno d'Italia". Cattunar: "Quindi voi l'avete vissuta come sconfitta dell'Italia!". Franco Z.: "Si, si. È capitolata. Calata le brache, detta proprio in [parole] spiccio-le...". Silvino Poletto operaio tessile prima della guerra, diventerà esponente di spicco della Brigata Garibaldi Natisone. Silvino Poletto: "Poi vi è l'8 settembre del '43. Che è l'armistizio, con il crollo dell'esercito italiano, dell'esercito fascista. E il modo come viene ricordato qui. ci sono interpretazioni molto controverse. Per i fascisti è una giornata di lutto, per gli antifascisti è una giornata di liberazione". Quella tra armistizio e capitolazione è una differenza tra definizioni che riassume al suo interno tutta la complessità del periodo e la varietà di implicazioni che si manife-starono a livello di percezione individuale. Il crollo del regime, al di là dell'immediata soddisfazione di molti per la fine della dittatura, si configura - nelle zone di confine in maniera ancora maggiore rispetto al resto d'Italia - come un forte trauma e sembra attiva-re alcuni meccanismi identitari che fino a quel momento non erano riusciti ad emergere. Il collasso del fascismo segna la fine di un mondo e delle sue regole e pone le premesse per una rapida presa di coscienza da parte degli individui e delle comunità. Una presa di coscienza che sarà politica, civile e nazionale. Con l'8 settembre si amplia "il campo del possibile" . Maria F.: "Perché poi c'erano solo contadini, erano quasi sempre in campo e non si interessavano di politica e cosi... c'erano pochi che si interessavano; dopo hanno incominciato a interessarsi, dopo l'8 settembre è cambiata la vita ecco...". Claudio Fumolo:9 "Con quel fatidico 8 settembre era cambiato tutto, la mia infanzia, il mio modo di vivere, un'epoca". Ancora più significativo è il caso del 1 maggio 1945. I racconti di vita dei testimoni ci forniscono una serie di "versioni contrastanti" su ció che avvenne in quel giorno e sulle possibili spiegazioni. A partire, ancora una volta, dalla definizione lessicale dei fatti. Per un segmento della popolazione fu l'ora della "liberazione da parte dei partigiani", per l'altra fu il momento dell' "occupazione da parte dell'esercito titino". In questa sede, purtroppo, non è possibile analizzare nel dettaglio questa contrapposizione e l'ampia gamma di mezzitoni che si possono cogliere nelle differenti testimonianze (al riguardo si veda Cattunar, 2009). É tuttavia importante rilevare come la data in questione assuma, in un caso, una valenza emotiva - oltre che politica - estremamente positiva, legata 9 Testimonianza tratta da Di Gianantonio et al., 2005, 46. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Fig. 3: Manifestazione filo italiana in Corso Italia a Gorizia - marzo 1946 (Fototeca dei Musei provinciali di Gorizia). Sl. 3: Filoitalijanska manifestacija na Corso Italia v Gorici, marec 1946 (Musei provinciali di Gorizia, fototeka). ai sentimenti di libertá e pace, mentre nell'altro venga ricordata con rammarico come l'inizio di "una nuova, violenta, occupazione straniera". Sul piano delle definizioni, le memorie si presentano in questo caso effettivamente divise, ma se andiamo a considerare la terminologia usata per riferire i fatti di quei giorni, le strategie narrative, le figure retoriche utilizzate dai testimoni e soprattutto i motivi che portarono a tali definizioni, noteremo che le posizioni si fanno estremamente piu sfumate. La percezione di essere "liberati" oppure "nuovamente occupati" non si riferisce semplicemente a sentimenti nazionali precostituiti ma si basa su una molteplicitá di diverse esperienze vissute; sul fatto di aver subito o meno violenza da parte dei partigiani; sulle speranze e sulle attese che si avevano per il futuro, da un punto di vista personale e familiare oltre che politico ed ideologico. Altrettanto interessante e il periodo dei "40 giorni" di amministrazione Jugoslava sulla Venezia Giulia e gli episodi di violenza che li connotarono. Se nella storiogra-fia italiana l'analisi di questa fase si concentra essenzialmente sul tema delle foibe, cercando di individuarne responsabilitá e dinamiche, dalle fonti orali emerge invece un quadro estremamente piu variegato. Innanzitutto, se da un lato molti testimoni italiani pongono la questione delle deportazioni al centro della propria narrazione di vita, dall'altro, gli sloveni e molti italiani di orientamento comunista, sembrano quasi Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 dimenticarsene. All'origine di questo divario possiamo sicuramente riscontrare diversi modi di rielaborare il trauma e diverse influenze da parte dei contesti nazionali sui ricordi individuali. Oltre a questo, pero, i racconti di vita ci fanno anche capire come, in realtá, al momento dei fatti la situazione non apparisse per nulla chiara a chi la stava vivendo. Renata S.: "Dopo il '45, finita la guerra, noi eravamo in corso Verdi e dalle finestre abbiamo visto arrivare le truppe... Ma i primi ad arrivare sono stati i neozelandesi. Dopo sono venuti i partigiani, che hanno sfilato per il Corso. E dopo di quella volta e venuta fuori una tragedia." [...] Cattunar: "Avete avuto qualche rapporto con i partigiani?". Renata S.: "Noi. Si sentiva parlare di queste cose ma non sapevamo la vera veritá". Cattunar: "Cosa sentivate dire?". Renata S.: "Tutti c'avevano paura... ci portano via. Insomma comunque a noi non c'hanno portato via nessuno. Pero la gente un po' parlava. ma non parlava mai chiaramente. Noi cosi siamo andati avanti. Ci si cercava di aiutare come si poteva... [.] Cosi e passato tutto quel brutto periodo. Che voi sapete benissimo cos'era... ed e successo quello che e successo. noi non avevamo niente da nascondere. Io ero con il mio bambino. i miei genitori uguale, mio fratello uguale. Ma altri forse avevano qualcosa da nascondere. non si sa. Si doveva parlare il meno possibile perché si aveva paura di dire qualcosa che magari non era giusto.". Cattunar: "Ma voi cosa speravate appena finita la guerra?". Renata S.: "Noi, dico la veritá, come italiani volevamo che venisse l'Italia e che la finiamo e ci mettiamo a posto. cosa dire...". Cattunar: "E come avete vissuto il fatto che fossero arrivati prima gli sloveni?". Renata S.: "Eh. niente. Dovevamo star zitti, non potevamo far niente. Cosa pote-vamo fare?". [.] Cattunar: "Si sentiva di violenze degli jugoslavi verso gli italiani". Renata S.: "Si, si sentiva. Sono sempre parole. Perché non si poteva mai chiedere 'ma e giusto quello che dicono? E vero?'. 'Questa persona cosa ha fatto?'. Non si e mai capito bene". Se da un lato dominavano incertezza e paura dovute all'ignoto e ai profondi scon-volgimenti in atto, dall'altro, soprattutto per la popolazione slovena, la liberazione av-venuta il Primo maggio e il periodo di amministrazione jugoslava furono vissuti come un momento di rinascita, in cui le aspirazioni nazionali, politiche e culturali potevano finalmente riemergere dopo anni di persecuzioni. In molte testimonianze, dunque, non prevale il ricordo della violenza ma riaffiora la voglia di tornare ad esprimere liberamente la propria identitá e di costruire un futuro diverso. Adele D.: "La mia amica mi ha detto: 'Avverti tutti gli altri'. abbiamo iniziato a gridare: 'Jugoslavia!'. insomma abbiamo iniziato ad inneggiare alla Resistenza e alla Jugoslavia. Li e stata la mia prima manifestazione. adesione a qualche cosa.". Italico C.: "Mio nonno. questo lo dicono tutti. Quando i soldati del IX Korpus hanno sfilato per il Corso lui li e andati ad accogliere con un fazzoletto rosso nel ta-schino. Le avevo detto che mio nonno aveva sentimenti socialisti!". Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Stana F.:10 "Siamo andati incontro, a Gorizia siamo andati. È stata convocata una manifestazione e siamo andati tutti a Gorizia a dimostrare e gridare. C'erano scritte per tutte le case, ma questi c'erano già al tempo dell'Italia, quando andavano di notte a scrivere sui muri. [...] Per il primo maggio c'è stata la prima grande manifestazione. Andiamo tutti, gridiamo: 'Qui è Jugoslavia' e cosi via". Širok : "Chi convocava le manifestazioni?". Stana F.: "Sembrava spontaneo. La gente era cosi infiammata, noi anche ci impe-gnavamo, ma dietro c'era l'organizzazione, sullo sfondo...". Si tratta solo di alcuni esempi ma già fortemente indicativi. Come spesso è stato notato, lavorare con le fonti orali vuol dire innanzitutto confron-tarsi con delle narrazioni: "le fonti orali sono fonti narrative. Per questa ragione la loro analisi non puô prescindere dalle categorie generali dell'analisi del racconto" (Portelli, 1999, 152). In un'area di confine questo aspetto risulta ancora più determinante. Le terminologie con cui vengono definiti gli avvenimenti, ma anche il modo di strutturare il racconto e soprattutto la lingua o il dialetto che il soggetto decide di utilizzare per raccontare la propria vita, sono elementi essenziali. L'esame delle forme linguistiche puó fornire molte informazioni anche sull'approccio del testimone ai fatti narrati. Nel caso della ricerca sul goriziano, coloro che hanno riela-borato la propria esperienza, che hanno continuato a mantenere un ruolo attivo nella vita pubblica e politica, leggendo sui libri le ricostruzioni storiche dei fatti vissuti, molto spesso, si sforzano di raccontare la propria vita "in lingua" (ovvero in italiano o sloveno) cercando di utilizzare un vocabolario appropriato e facendo riferimenti bibliografici precisi. Si possono, altresi, riscontrare nei racconti dei testimoni approcci molto più emozio-nali, impulsivi, intimi. In questi casi, spesso, l'uso del dialetto affiora quasi involontaria-mente, senza che il testimone se ne renda conto. Viene impiegato l'idioma che risulta più naturale per esprimere eventi che appartengono al proprio vissuto e che non sono stati rielaborati "scientificamente": il dialetto, da un punto di vista sociolinguistico, è infatti il linguaggio della famiglia e delle relazioni intime (cfr. Berruto, 2003). La lingua scelta per raccontarsi, si lega a doppio filo con l'affermazione dell'i-dentità. Un esempio eclatante ci viene fornito da una signora di origine italiana, spo-sata con un uomo sloveno. Nata e cresciuta a Gorizia, nel 1947, dopo la nascita del confine, decide di andare ad abitare in Jugoslavia per motivi di natura ideologica. In seguito agli Accordi di Udine del 1955, la testimone sceglie di vivere tre giorni della settimana in Italia e gli altri quattro in Slovenia. Da una parte, si fa chiamare con il cognome italiano da nubile, e dall'altra, con quello sloveno da sposata. Possiamo dire che, da un punto di vista nazionale, la sua identità sia scissa. Questa condizione ha delle ripercussioni dirette sul modo di raccontare: nella narrazione dei suoi ricordi, i passaggi dallo sloveno all'italiano, dall'italiano al dialetto sono continui. È interessante che queste ibridazioni linguistiche si presentino soprattutto quando la testimone prova a definire la propria appartenenza: 10 Intervista rilasciata in sloveno. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Anamarija M.: "A casa parlavano tutto: italiano, friulano, sloveno. Mio papà era più friulano che italiano, goriziano ecco. A Gorizia sapevano tutti parlare friulano, mio padre diceva che chi non sa parlare friulano non è goriziano... si lui era nato a Goriziaproprio... a Straccis, la mamma era nata a Sežana (Sesana)... si sono conosciuti a Gorizia. Loro sono arrivati da Sežana (Sesana) e sono venuti a vivere a Štandrež (Sant'Andrea). Noi eravamo Goriziani mio papà ha sempre detto: Che sei italiano? Io sono goriziano. Sono goriziano... si era Goriziani si parlava tutte e due le lingue... e una vicino, il furlano".11 Le strategie discorsive e gli espedienti linguistici e retorici utilizzati nel corso della narrazione riflettono gli assetti interni della persona che narra, ci consentono di capire i processi logici, i percorsi di rielaborazione e l'immagine che il testimone vuol dare di sé. Molto spesso, è proprio a partire da un'analisi narrativa che prenda in considerazione anche gli aspetti ritmici e sintattici del racconto, che si possono far emergere questo tipo di influenze, soprattutto nel contesto di una borderland in cui le dinamiche della memoria sono state profondamente influenzate dalle politiche dei diversi regimi che si sono susseguiti e che, a seconda degli interessi del momento, hanno cercato ricordare o obliare determinati episodi e di promuovere precise interpretazioni facendo cadere nel dimenticatoio quelle non gradite. È possibile capire quali sono i "nodi della memoria", quegli elementi che, con ogni probabilità, hanno condizionato le interpretazioni degli eventi vissuti ma anche l'azione nel presente. Considerare l'andamento narrativo del racconto, l'alternarsi di momenti fluidi e "inceppamenti", ci svela molto sulla dimensione psicologica del testimone, sugli effetti che il passato ha ancora sul presente, sulle influenze che i discorsi pubblici e i media possono aver avuto sui ricordi individuali (cfr. Starace, 2004, 63). Senza dimenticare che le fonti orali sono di natura dialogica e pre-vedono sempre l'interazione fra almeno due attori, un intervistato e un intervistatore che si influenzano a vicenda, confrontandosi e a volte scontrandosi e, comunque, costruendo assieme l'inter-vista (cfr. Portelli, 2007; Portelli, 2010). Oltre a ció che viene esplicitato dobbiamo prestare anche attenzione al non detto. I silenzi e le pause spesso ci raccontano molto di più rispetto alle parole. I punti in cui il testimone si interrompe, i momenti in cui chi parla "non trova le parole", sono fondamentali. Gli errori e le reticenze ci possono fornire molti più elementi d'analisi rispetto ad una narrazione dettagliata e precisa, e hanno un valore storico paragonabile alle testimonianze più lucide e particolareggiate. Un contesto caratterizzato da memorie plurime e fluide ci costringe a prestare maggior attenzione a questi aspetti. La mancanza di accenni ad un fatto particolarmente traumatico - come puó essere il caso delle perse-cuzioni durante i quaranta giorni, da un lato, e la snazionalizzazione degli sloveni e croati durante il fascismo, dall'altro - l'ipertrofia di altri, la descrizione minimale di elementi apparentemente secondari, sono aspetti in grado di stimolare riflessioni approfondite e che rischierebbero di sfuggire alle fonti "tradizionali". Non che un documento scritto non presenti lati oscuri, omissioni più o meno volontarie o vere e proprie falsità. Ma 11 In corsivo sono riportate le frasi pronuncíate originariamente in sloveno. Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 Fig. 4: Il confine presso la Stazione Transalpina a Gorizia (Fototeca dei Musei provinciali di Gorizia). Sl. 4: Meja pri Stazione Transalpina v Gorici (Musei provinciali di Gorizia, fototeka). nel caso delle fonti orali si hanno forse a disposizione un maggior numero di elementi per individuarli, esplicitarli e renderli "significativi. In questa direzione, le fonti orali sono utili a comprendere le complesse "dinamiche emozionali" che hanno caratterizzato il periodo in analisi ma anche quelle che riscontria-mo nel momento della narrazione. Dai racconti di vita riemergono i sentimenti provati nel passato - paura, sollievo, odio, rabbia, amore - ma anche le emozioni provate oggi - speranza, gioia oppure indifferenza o diffidenza - nel momento in cui si raccontano quegli eventi. Le fonti orali sono fonti contemporanee alla ricerca più che all'evento, "costruite, variabili, parziali" (Portelli, 2007, 17). I fatti storici intercorsi, la congiuntura politica, la situazione personale attuale dell'intervistato, le condizioni in cui si svolge l'intervista, sono tutti elementi che hanno una forte influenza sui modi e i contenuti delle narrazioni. Il testimone oggi è diverso da quello che era quando prese parte agli avvenimenti di cui parla e spesso riconsidera l'esperienza vissuta sulla base degli elementi emersi in seguito, delle svolte storiche epocali. Narrare la propria esperienza di militante comunista in piena Guerra fredda o dopo la caduta del muro di Berlino non puô portare al mede-simo risultato. Analogamente, parlare del confine orientale d'Italia subito dopo la sua Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 costruzione o dopo l'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea portera a ricostruzioni e interpretazioni differenti. Ecco, dunque, che emerge l'importanza del contesto socio-politico, dei quadri cul-turali e delle memorie pubbliche all'interno delle quali gli individui erano inseriti nel passato e all'interno dei quali si inseriscono oggi. Questi fattori influenzano in modo determinante il giudizio su ció che è dicibile o non lo è. INDIVIDUI E COLLETTIVITÀ Rifacendosi a quanto afferma Silvia Salvatici, si puó sostenere che, attraverso lo studio dei racconti di vita, emerge: "l'intreccio fra i confini che delimitano gli Stati nazionali e quelli - cui non corrisponde un'estensione territoriale - che invece sanci-scono le diverse appartenenze socialmente costruite, come la classe, l'etnia, il genere. Le classi, le etnie, i generi non sono infatti semplici divisioni interne alla comunità racchiusa all'interno dei confini dello Stato, viceversa la creazione, la raffigurazione, l'esplicitazione delle une e degli altri si intersecano ed interagiscono [...]" (Salvatici, 2005a, 10-11). Per capire questo legame tra la memoria, le diverse appartenenze sociali e le identità collettive è importante non solo sviscerare le singole narrazioni, ma anche porle in rela-zione le une con le altre e con la società intera. È il secondo punto della nostra analisi (su questo tema si veda anche Contini, Martini, 1993, 51 e sgg.). La memoria si forma in un ambito di dinamiche e di conflitti che investono il rapporto tra sfera pubblica e immaginario e che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, non riguardano i fatti nella loro reale occorrenza, ma le relative interpretazioni. "Proprio tali interpretazioni, anzi, si portano dietro identità, valori, emozioni, che non si possono definire una volta per tutte, né estendere oltre i diversi contesti, né gestire necessariamente attraverso argomentazioni razionali. Tali identità, valori, emozioni possono essere tradotti, filtrati in spazi sociali e ad opera di attori che favoriscano il riconoscimento di presupposti di senso alternativi, di complessi di immagini diverse" (Affuso, 2010, 190). Da un lato si evince che, se determinati avvenimenti sono ricordati dai singoli, è perché questi continuano ad essere rilevanti per la comunità nel suo insieme, o quanto meno ad essere ritenuti tali. Dall'altro lato, peró, esiste una pluralità di memorie in competizione tra di loro: "qualunque definizione di passato operata da un gruppo deve fare i conti con le definizioni alternative proposte dagli altri" (Affuso, 2010, 25) ma, soprattutto, deve confrontarsi con i poteri e le istituzioni che sono in grado di definire e modificare i paradigmi della memoria pubblica. Studiare i racconti di vita in relazione gli uni con gli altri, ci permette proprio di esplorare le identità condivise che uniscono i gruppi sociali, siano essi la famiglia o la nazione, i cui membri hanno i medesimi interessi e motivazioni. In questo tipo di analisi, la questione fondamentale è cercare di comprendere non tanto, o non solo, come il passato è rappresentato ma soprattutto perché una determinata interpretazione è stata accettata o rifiutata collettivamente, perché alcune visioni trionfano e altre falliscono; Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 perché le persone preferiscono una certa spiegazione piuttosto che un'altra (cfr. Confino, 1997, 1390). Se prendiamo in considerazione il periodo in cui è stato delimitato il confine nel goriziano, ovvero il 1947, non possiamo non notare che il momento in cui viene tracciata la linea bianca è una fase di nette contrapposizioni in cui, anche in una terra di frontiera caratterizzata da appartenenze fluide, si inizia a ragionare nei termini di "chi è di qua e chi è di là", "chi siamo noi e chi sono loro". Come sostiene Étienne Balibar i confini sono "formidabili riduttori di complessità" (Balibar, 1997). E le persone vi si devono adattare, devono rientrare per forza in una delle due categorie: noi o loro, italiani o ju-goslavi, comunisti o non comunisti. La linea va a identificare comunità precise. Gli anni che precedono immediatamente la nascita del confine sono il periodo in cui queste due comunità vanno effettivamente definendosi, iniziano a confrontarsi, a prendere coscienza di se stesse e a scontrarsi. È il periodo in cui le complesse identità individuali iniziano a "rientrare" all'interno delle identificazioni nazionali o ideologiche. "Per effetto delle emozioni e del clima emotivo che esse generano a livello col-lettivo, il ricordo di un evento è sempre legato alla corrente di pensiero maggioritaria in un certo periodo nella società. In questo modo, oltre che come momento di in-contro tra la Storia e la storia individuale, tale ricordo puó anche essere momento di incontro-scontro tra una visione condivisa della Storia e le possibili altre memorie" (Affuso, 2010, 64). In una zona di confine, proprio il confronto tra le memorie dominanti e le "memorie degli altri" rappresenta un nodo analitico cruciale. Nel corso del tempo diversi gruppi presenti sul territorio - gruppi di carattere etnico, politico, ideologico o culturale - hanno fondato la propria identità su interpretazioni del passato, su memorie collettive che erano in contrasto con la narrativa pubblica ufficiale. È stato il caso della minoranza slovena rimasta in Italia prima e degli esuli istriani poi. Ma l'elenco potrebbe essere lungo. Cristina Benussi ricorda che la nascita del confine crea "memorie dell'esilio" (Benussi, 2008, 55). Memorie che non riguardano un unico gruppo ma tante diverse comunità, costrette a varie tipologie di esilio. Le fonti orali ci aiutano a comprendere come questi diversi esili si sedimentino nella memoria e nella costruzione di identità plurime ma sottolineano anche come molti ricordi e interpretazioni siano rimasti esclusi dalle narrative pubbliche. RICORDI PERSONALI E NARRATIVE PUBBLICHE Ecco allora che l'ultimo aspetto fondamentale da prendere in esame è il rapporto tra racconti di vita e memorie pubbliche, in particolare cercando di capire come i primi possano essere stati influenzati dai diversi usi pubblici della storia e dalle narrative di cui stampa e media si sono fatti portatori nel corso degli anni. Ma, aspetto ancora più importante, bisogna tentare di comprendere come e perché molte memorie individuali si distinguano e spesso contraddicano le narrative pubbliche. La memoria pubblica è il risultato di un continuo processo d'interazione, mutamento e raccolta. Accumulazione di oggetti e simboli (monumenti, musei, commemorazioni, Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 manifestazioni ecc.) ma anche di pratiche discorsive, di racconti e narrazioni, di conflitti e di rapporti di potere. Attraverso tutti questi elementi la memoria viene creata, ripro-dotta, conservata e trasmessa da una generazione all'altra. In questi processi assumono facilmente un ruolo fondamentale le istituzioni e i poteri politici. "La commemorazione e il processo di istituzionalizzazione di un ricordo [...] rap-presentazioni che riguardano eventi ritenuti significativi da e per un determinato gruppo. [...] Nella sua fase originaria [la commemorazione] e qualcosa di simile all'elaborazione di un lutto. Commemorare e ricordare assieme, dar voce e gesto a un dolore" (Jedlowski, 2002, 99). Commemorare, dunque, non e mai un'operazione neutra: implica decisioni e valuta-zioni. Si tratta, evidentemente, di una scelta politica all'interno del gruppo, attraverso cui si seleziona cosa si deve ricordare e in che modo: "gruppi diversi che hanno valori e giu-dizi diversi, vogliono ricordare eventi e persone diverse, con nomi diversi" (Jedlowski, 2002, 99). E naturale che, proprio lungo i confini, i meccanismi di rielaborazione pub-blica della storia finalizzati alla costruzione di una memoria comune vengano alla luce nel modo piu chiaro, evidenziando una contrapposizione tra un "noi" e un "loro". Nel momento in cui ci si accosta ai racconti di vita sull'area italo-slovena, bisogna sempre prendere in considerazione le molteplici linee di forza su cui hanno agito i discor-si pubblici. Ogni regime, ogni amministrazione ha promosso una determinata lettura dei fatti, ha eretto monumenti e memoriali tesi a rafforzare alcune identitá in contrasto con le altre. Comprendere come la retorica pubblica, i discorsi e le interpretazioni istituzionali siano entrati a far parte anche delle narrazioni individuali e un lavoro complesso ma indispensabile. Bisogna cercare di capire come e perché un testimone accetti, accolga, all'interno della storia della sua vita e quindi nella propria auto-rappresentazione, elementi provenienti dalle narrative pubbliche. E occorre analizzare le modalitá in cui i discorsi circolanti all'epoca dei fatti ma anche quelli che dominano l'attuale sfera pubblica siano andati a riempire vuoti, amnesie, incertezze e come abbiano fornito interpretazioni forti rispetto ad alcune delle questioni piu problematiche. La particolaritá del contesto confinario e anche legata al fatto che alcune narrazioni pubbliche dominanti nel passato sono rapidamente state sostituite da altre, di segno totalmente opposto, diventando cosi "discorsi dell'opposizione". Ovvero: "esistono numerosi collegamenti discorsivi tra le storie sponsorizzate dallo stato nelle epoche passate - e ora trasformate in discorsi dell'opposizione - e la narrazione di storie di vita e delle esperienze individuali. Questa modulazione e resa ancora piu evidente dalle profonde penetrazioni reciproche tra memorie orali e scritte nella Marca giuliana" (Ballinger, 2010, 49). Proprio la compenetrazione e la reciproca influenza tra memorie orali e discorsi scritti e un campo di studi ancora poco frequentato ma che puo risultare stimolante. Di particolare interesse puo essere un'analisi parallela dei discorsi proposti dalla stampa dell'epoca - in particolare quotidiani di diversa matrice politico-ideologica - e i racconti di vita dei testimoni. Se, ad esempio, si concentra l'attenzione su alcuni termini di primaria importanza all'interno del discorso pubblico dell'epoca - espressioni come democrazia, liberta, Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 fascismo, fratellanza italo-slovena, popolo, reazione - si notera come tutte le testate provino a farli apparire un patrimonio esclusivo del proprio schieramento ponendoli come punti di riferimento per la propria definizione identitaria. Bisogna poi capire se e come queste operazioni discorsive agiscano nei meccanismi di formazione e trasmissione del ricordo, per somiglianza o per opposizione. Proviamo a soffermarci sull'area semantica costruita attorno al binomio nazione-patria. Si tratta di due parole che compaiono estremamente di rado nei racconti di vita dei testimoni, i quali dimostrano una certa difficoltá a identificarsi in questi termini. Gli intervistati riconoscono l'importanza assunta, in particolare nel periodo 1945-1947, dalla "questione nazionale", ma quando raccontano i motivi che concretamente spinsero ad agire gli individui e le famiglie, la nazione e la patria non appiano particolarmente rilevanti. A contare sono questioni meno astratte ed ideali, come il lavoro e la casa, le reti familiari ed amicali. Sui quotidiani, invece, nazione e patria vengono poste al centro di un tentativo di "invenzione" di comunitá coese fondate su radici storiche, linguistiche e culturali comuni. Nell'immediato dopoguerra, lungo la frontiera, la nazione ritorna ad essere un "mito" tramite cui comunicare valori e ideali - sociali e politici - ma anche attraverso cui suscitare emozioni, creare un senso di appartenenza per promuovere azioni condivise. L'affermazione della nazione in quanto mito significa che, in quegli anni, non si attuo soltanto una lotta politica per l'appartenenza statuale dell'area - assolutamente compren-sibile considerata la condizione contesa del confine e la Conferenza di pace in atto - ma che effettivamente si formarono due universi discorsivi contrapposti, fondati entrambi su mitologie e simbologie non troppo dissimili da quel discorso nazional-patriottico formulato in epoca risorgimentale e portato all'apice sotto il fascismo. Si trovano riferimenti specifici ad una concezione di patria in cui a prevalere sono i legami di sangue e di suolo, configurandosi espressamente come una comunitá parentale. Predomina una retorica, esplicitamente connessa a quella religiosa, in cui la nazione e considerata sacra, in quanto ha richiesto enormi sacrifici in passato e ne richiederá ancora nell'immediato futuro. E un paradigma che tende a descrivere il sé e l'altro in modo radicalmente antitetico interpretando "le due realtá limitrofe come entitá geografiche e sociali per secoli conflittuali, perché etnicamente diverse e culturalmente estranee l'una all'altra" (Verginella, 2010, 45). Il passato viene accuratamente riletto, selezionato, in-terpretato e fornito "in pillole" con lo scopo di affermare l'esistenza di lunghe e gloriose tradizioni che avallano determinate tesi e che confermano innanzitutto l'esistenza, e poi anche la superioritá, di una comunitá identificabile in termini nazionali. Provare a comprendere come queste formulazioni discorsive abbiano interagito con la trasmissione individuale del ricordo e sostanziale per esaminare i meccanismi concreti di formazione dell'identitá lungo una frontiera che, in particolare negli anni della sua costruzione fisica, e stata caricata di significati simbolici, politici e ideologici proprio attraverso i discorsi pubblici. In questa direzione, prendendo spunto dal lavoro di Alberto Banti sul discorso na-zional-patriottico, potrebbe essere interessante, anche nell'area di confine, analizzare "immagini, figure, miti e tropi condivisi" (Banti, 2005, XI). Impostare, cioe, un'analisi Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 che si concentri sui "campi semantici" (Di Gianantonio, 2006, 119) maggiormente ri-correnti nella sfera pubblica e nelle narrazioni individuali. In questo modo si potrà anche capire perché, dai racconti di vita raccolti, emerga un panorama della memoria frammentato, una costellazione di ricordi, differenti ma non per forza divisi, che sostengono o contraddicono le narrazioni dominanti nei diversi contesti nazionali. "Una pluralité di voci emergeva lungo i confini segnati dalla soggettività, dalle dif-ferenze di genere, dai conflitti generazionali e socio-culturali. La molteplicità di queste voci diventa [spesso] espressione delle contraddizioni, delle lacerazioni e delle fratture prodotte o esacerbate dall'esperienza della guerra" (Salvatici, 2005b, 37). Nel momento in cui si decide di mappare, in modo parallelo, le memorie pubbliche e individuali, evidenziando i punti di contatto e quelli di separazione, è necessario do-mandarsi anche il perché di queste dinamiche, cercare di capire le esigenze psicologiche individuali e quelle legate al rafforzamento di identité collettive "altre" e "minoritarie" rispetto a quelle dominanti. È proprio questa attenzione alle "memorie alternative", alle "identité differenti" che puô fornirci una chiave di lettura determinante per comprendere e analizzare "il confine degli altri" (Verginella, 2008): "lo spirito si abitua alla pluralité dei racconti riguardanti gli stessi avvenimenti e si esercita a 'raccontare altrimenti' [...] [bisogna] imparare a raccontare la nostra storia da un punto di vista estraneo al nostro e a quello della nostra comunità. 'Raccontare altrimenti', ma anche lasciarsi 'raccontare dagli altri'. [...] La cosa più difficile è raccontare altrimenti gli avvenimenti fondatori stessi della nostra identité collettiva, principalmente nazionale, e lasciarli raccontare dagli altri: è questo di gran lunga il più difficile" (Ricoeur, 2004, 90). Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 USTNI VIRI O SLOVENSKO-ITALIJANSKI MEJI: PREDLOGI ZA RAZISKAVO O IDENTITETAH MEJA IN MEJAH MED IDENTITETAMI Alessandro CATTUNAR Italijanski inštitut za humanistične vede, Palazzo Cavalcanti, Via Toledo 348, 80132 Napoli, Italija e-mail: cattunar@gmail.com POVZETEK Prispevek se osredotoča na možnosti, ki jih ponuja ustna zgodovina v okviru študij obmejnih območij, s poudarkom na meji med Italijo in Jugoslavijo (in kasneje Slovenijo). Ustni viri so predstavljeni z analitičnega vidika, ki sega onkraj določenih manihejskih nasprotij in v naprej določenih paradigem, kot je denimo nacionalizem na obeh straneh meje, ki sicer že vrsto let zaznamujejo raziskave, ki se ukvarjajo s tem področjem. Namen tega prispevka ni zagotoviti dokončnih odgovorov, ampak predvsem ponuditi metodološke in interpretativne iztočnice, ki bi omogočale problematiziranje in razumevanje pojmov, kot so meja, spomin in identiteta, ki so medsebojno odvisni in povezani. Avtor z uporabo ustnih virov ter z raziskovanjem dinamike oblikovanja in posredovanja spominov skuša ugotoviti, kaj je življenje ob meji pomenilo različnim skupnostim in posameznikom, ki so tam živeli v različnih obdobjih. Prispevek se posveča tudi trenutku fizičnega premikanja meje in si postavlja vprašanje, kako so ga doživljali tamkajšnji prebivalci, kakšna so bila njihova pričakovanja ali upanja in kako jih je ta dogodek zaznamoval. Meje niso zgolj fizične, temveč lahko govorimo tudi o simbolnih in imaginarnih mejah, kjer se oblikujejo in srečujejo identitete, ki se nenehno prelivajo ter spreminjajo in niso nikoli izključujoče ali absolutne. Glavni predmet raziskave je spomin, ki ga avtor razčleni na tri osnovne komponente: individualni, kolektivni in javni spomin. Poudarek je na poglobljeni, kritični in večplastni analizi pripovedi in pričevanj, pri čemer avtor razmišlja o pristopu, ki bi združeval ustne vire z bolj tradicionalnimi. Predstavljena je analiza na treh različnih nivojih, ki so neločljivo povezani: 1) "interna" analiza pričevanj posameznikov, pri čemer je poudarek na pripovednem, diskurzivnem, jezikovnem in retoričnem vidiku, 2) analiza morebitnih povezav, ki se vzpostavijo med posameznimi pričevanji, ko ta postanejo del kolektivnega spomina, 3) primerjava med posameznimi spomini in javnimi zgodbami. Avtor predstavi nekaj specifičnih primerov, povzetih iz študije o obnovi spominov in identitet na območju Gorice v letih takoj po vojni in v času vzpostavitve meje. Ključne besede: ustna zgodovina, meja, spomini, identiteta, nacionalizem, Gorica 171 Alessandro CATTUNAR: LE FONTI ORALI SULLA FRONTIERA ITALO-SLOVENA: PROPOSTE PER UNA ..., 151-174 FONTI E BIBLIOGRAFIA Affuso, O. (2010): Il Magazine della memoria. I media e il ricordo degli avvenimenti pubblici. Roma, Carocci. Algostino, A. et al. (2009): Dall'Impero austro-ungarico alle foibe. Conflitti nell'area alto-adriatica. Torino, Bollati Boringhieri. Balibar, É. (1997): Democratizzare le frontiere. Prima conferenza - 5 maggio 1997. In: Forum for a New World Governance. Http://www.world-governance.org. (6. 6. 2012). Ballinger, P. (2010): La memoria dell'esilio. Esodo e identità al confine dei Balcani. Roma, Il Veltro. Banti, A. M. (2005): L'onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra. Torino, Einaudi. Barth, F. (1982): Ethnic Groups and Boundaries: The Social Organization of Culture Difference. Oslo, Univeritetsforlaget. 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