, ANNO XII Capodistria, 1 Giugno 1878 N. 11 DELL' ISTRIA Esce il 1" od il d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Effemeridi della città di Trieste e del suo Territorio diligilo 1. 1427. — Ser Federico Mercatelli di Padova, poeta, entra in carica qual rettore delle pubbliche scuole. - 4. 1. 1516. — Il nuovo giudice dal malefizio, ser Gian Battista dottor Mortiferio da Ancona, giura di amministrare giustizia in base al civico statuto. - 16. . 1842. — Si dà principio alla demolizione delle civiche mura antiche lungo la ria che conduce alla cattedrale. - 8. 2. 1324. — (Avignone). Giovanni XXII delega il vescovo di Castello per inquirere contro i canonici di Trieste don Raimondo da Cremona e don Michele da Padova (Paduino ?) i quali avevano obbligato l'inquisitore fra Fabiano dei frati Minori a scendere dal pulpito bistrattandolo con pugni. - 27, I, 157. 2. 1424. — Il maggior consiglio delega i giudici a scegliersi dodici consiglieri a fine di procedere con questi in tutta segretezza e con ogni sollecitudine a tutela della città contro Donato de Scorpioni. - 13, 41b. 2, 1696. — Il civico consiglio, depositario della storia patria di fra Ireneo della Croce, gliela rimanda, perchè la faccia stampare a Venezia. - 10. IV, 352. 3, 1447. — Nicolò papa V, rigettata la nomina capitolare del canonico Antonio Goppo a vescovo di Trieste, conferma Enea Silvio Piccolomini, segretario imperiale e canonico di Trento, presentatogli dall' imperatore Federico per quel posto, quantunque non fosse per anco insignito dell'ordine sacerdotale. - 3, VIII, 702. 3. 1464. — I veneziani invadono novellamente il territorio triestino. - 26, 135. 1 1509. — Fatta la pace tra Venezia e l'imperatore, il prò veditore veneto Francesco Cappello consegna la città di Trieste a Pier Paolo dell'Argento, il civico castello al canonico-decano Leonardo de' Bonomo. - 23, VII, 40. I 1401. — Rodolfo de Walsee, signore di Duino, presenta al capitolo di Trieste il proprio Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. cappellano don Gerardo, perchè lo investa della Vicaria di Cosana. - 10, IV, 230. 5. 1494. — Contratto stipulato in Ferrara tra il nunzio triestino Messalto de' Messalti e ser Gofredo di Antonio de'Confaloneriis de laFrata; questi promette di servire il comune di Trieste in qualità di giudice del malefizio per un anno, quegli gli promette a nome del comune un aunuo di ducati ciuquanta da lire 6 e soldi 4 l'uno ed alloggio gratuito. - 20. 5. 1601. — In conseguenza della mala purgazione delle masserizie degli infetti, la peste, che s'era sviluppata in città nello scorso novembre, scoppia novellamente. - 1, III, 145. 6. 1509. — Il civico consiglio delibera di scrivere al podestà e capitano di Capodistria perchè lasci in libertà certe farine e barche confiscate. - 5. 6. 1518. — Ser Pietro Bacchino, vicecapitano della città, proibisce ai cittadini di allontanarsi dal territorio senza un suo permesso. - 16. 7. 1508 Girolamo Contarmi, proveditore della flotta veneta, raccomanda al doge il comune di Pirano il quale con cento uomini si prestò molto all'impresa di Trieste. - 5. 7. 1627. — Si colloca la pietra fodamautale del civico forte, detto di San Vito. - 1, III, 236. 7. 1642. — Una deputazione di Trieste, presentatasi al podestà e capitano di Capodistria, Andrea Morosini, fà i suoi lagni per la forza usata dalla veneta galera li cinque del corrente mese contro due barche cariche di sale di ragione de' Giuliani e dei Brigido. - 1, III, 251. 7. 1794. — Si ripetono le scosse di terremoto da obbligare i cittadini ad abbandonare le loro ^ case. - 11, I, 20. 8. 1375. — I proveditori veneti Francesco Bembo, Giovanni Trevisan, Marco Giustinian, Giacomo Moro e Michele Morosini, consultati Giacomo cav. Delfin podestà, e Nicolò Loredan capitano di Trieste, presentano al senato un nuovo piano del castello da fabbricarsi in Trieste, presso il mare. - 10, II, 357. 8. 1427. — I giudici - rettori della città fanno proclamare che chiunque denunciasse il colpevole dell'appensione delle corna alle porte di diversi cittadini li 24 del mese p. p. verrebbe aggregato al corpo del maggior consiglio, ove non vi appartenesse già, e riceverebbe cento ducr ' d'oro; che se poi molti fossero i colpev . ed uno di questi manifestasse i rei sareb > esentato da ogni pena e riceverebbe i cer » ducati d'oro. - 13, 50. 8. 1768 —Il celebre antiquario Giovanni Wiukelmann, alloggiato nel grande albergo posto sulli pubblica piazza di San Pietro, cade vittimi dell'ingordigia d'un di lui servo. - 8. 8. 1843. — Celebrata in San Giusto una messa per il defunto Giovanni Winkelmann, si fal'apertur» del civico museo di antichità inaugurandolo il dottor Pietro Kandler con un suo discorso che vide anche le stampe. - 8. 9. 1415. — Il comune cede dei terreni verso Trebecan a Giacomo de Cadorico ed agli eredi suoi, col patto di porli in coltura eptro due anni e di corrispondere alla cassa civica l'annuo censo di soldi venti di piccoli. - 13, 7b. 9. 1505. — Il monastero delle monache di S. Benedetto s' obbliga di sborsare alla cassa del comune annue lire dieciotto di piccoli per i possedimenti che teueva nella villa di S. Croce; contributo che venne a cessare nel 1563 quando le monache cedettero alla città una loro casa ed un casale situati sulla pubblica piazza. - 16. 9. 1663 .— Si apre il Civico Monte di Pietà nell'oratorio della chiesa della B. V. del Rosario, e sono eletti in amministratori don Cristoforo Iurco, ser Alvise de' Giuliani e ser Nicolò de' Giu-liahTT- " 1 ~ 1 ■ 10. 1477. — Papa Sisto IV unendo la chiesa di Rozzo al capitolo di Trieste annulla l'unione fatta dal vescovo Antonio Goppo. - 6. 10. 1501. — Don Gian Battista Cancellieri de Sassolo, canonico di Trieste, il primo in diocesi cha canta la messa secondo il rito romano. - 5. 11. 1206. — Il vescovo Gibardo presente in Nirenberga quando l'imperatore Filippo Augusto investiva il patriarca Volchero dei diritti principeschi. - 25, XXI, 178. 12. 1424. — Il comune cede a ser Pietro Argento un pallido in Zaulis col patto che entro tre anni eriga un fondamento di saline e paghi annualmente alla città la decima del sale. -13, 41.b 12. 1463. — Il capitolo della cattedrale delega i canonici Francesco Mirez, Michele Sutta e Pietro de Auremo per decidere in Senosecchia con i Walsee, Signori di Duino, intorno al diritto di iuspatronato delle pievanie di Tomai, di Torre Nova (ora Dorncg) e d'Elsacco (ora Ielshanc). 27, I, 484. 12. 1797. — Infanteria ed artiglieria austriaca partono da Trieste per occupare la costa dell' Istria ex-veneta. - 7, 641. 13. 1511. — CastellanoBarbo, uno dei tre giudici-rettori di Trieste, viene confinato nella città di Salisburgo. - 5. 13. 1842. — Viene atterrata 1' ultima porta civica che esisteva presso la cappella di San Servolo e metteva al fu giardino del capitano della città. - 8. 14. 1418. — I triestini Pietro de Teofanio e Bartolomeo di Valentino mastro sarte, rifugiati in Muggia, invadono armata mano le possessioni in San Sabba nel territorio di Trieste e feriscono mortalmente i patrioti signori Nicolò dell' Argento e Conforto Lisiza. - 13, IT.1 14. 1523. — Sigismondo dottor Lallo, vice-capitano della città, comanda che chiunque possiede libri di Lutero o di altro suo seguace debba consegnarli entro il termine di tre giorni. - 5. 14. 1654. — Il vescovo Antonio de' Marenzi consacra la chiesa di San Nicolò, eretta fuori della porta di Riborgo e frequentata per lo più dalla gente di mare. - 23, V, 317. 15. 1422. — Il maggior consiglio delibera di vendere in credenza sino li 11 novembre dell'anno venturo il frumento vecchio del foctico a chi volesse averne, previo sicura garanzia, e di fare acquisto di grano nuovo pel foutico. - 13, 36." 15. 1427. — Il civico consiglio vuole che il ducato veneto d' oro corra tra' cittadini e distrettuali al prezzo di soldi centocinque di piccoli e con i forastieri a soldi centodieci di piccoli. - 13, 50.b 15. 1667. — La città di Trieste elegge Sant" Antonio di Padova e San Francesco Saverio a suoi protettori. - 1, III, 310. LETTERE su argomenti di bachicoltura del marchese GIANNANDREA de GRAVISI DA CAPODISTRIA AL COMMENDATORE GAETAAO CAATOM I. E per venire di botto in argomento, sono a pregarla di volermi dirigere nell'acquisto di un trincia-foglia, tra quelli conosciuti da Lei come i più atti a non alterare il cibo dalle dimensioni volute per le prime età de' bachi, e che guarentisca l'estremità delle dita alle troppo spensierate operatrici. Bramerei inoltre tre crivelli per compartire equabilmente i pasti nelle tre differenti età in cui adoprasi la foglia tagliata. Ora poi Le dirò un nonnulla, ma che pure spero mi presterà un qualche servigio. Da due anni io mi occupo col sistema celllulare, e sprovvisto di quanto meglio ne può favorire l'imtento, confesso di aver lavorato assai per unire della seimente che fosse affatto immune da corpuscoli. Dopo imfiniti scarti ottenni nove oncie, di cui una mi riserbto per la mia particolare bigattiera, la quale è disgiunta centinaia di metri da ogni altra e perfino da quelha ch'è diretta dalla mia famiglia. Il metodo da me usato per conseguire l'isokamen-to dei bozzoli è il seguente: Ho mille e più callotte di garza a tessuto largo, aventi allo ingiro dell'apertura un cerchietto di ferro del diametro di sei centimetri. Sotto ciascuna caillotta pongo un bozzolo di quella partita che prima imbo- scata dev'essere anche la prima a sbocciare. Uscite le farfalle, combino gii accoppiamenti fra le eccellenti per forma, per vivacità e per tiuta. Le adagio poi sotto coni di cartone, numerati, e fo rimpiazzare da altri bozzoli le vuote calotte. Tengo allato un telaino maneggiabile, sovra cui sta fermo un pannilino per accogliere le coppie: la qual cosa mi economizza gli spessi andirivieni che altrimenti sarei obbligato di fare. Di questi isolamenti sono riuscito a ottenerne meglio di ottocento. Adopro per asciugare le coppie certi borsellini, i quali tenuti mondi dal dermeste, li vuoto dopo pochi giorni perchè alberghino le mummie. Alcune tavole della grossezza di centimetri tre e larghe venticinque, faccio pertugiare a fori del diametro di centimetri due e mezzo, disposti in ischiere di sei file, distanti l'una dall' altra centimetri due abbondanti. Base di queste nicchie è una carta grossa spalmata con colla forte alluminata; e, per togliere l'inesattezza dell'aderenza e facilitare la disinfezione, tingo ad olio e suolo e pareti. Congegnate in breve spazio meglio di cento nicchie immobili, atte ad ogni trasloco senza sconcerto, vi adagio per entro la farfalle asciutte, che copro con quadrettini di carta gommata, apponendovi il numero corrispondente a quello del borsellino e conetto. Questo è il mio processo, che semplicemente presento quale risveglio ad uno migliore; ma caldamente raccomando l'isolamento de' bozzoli, come cosa riconosciuta d'indubbia utilità. Con stima ecc. II. Sarà già a cognizione di Lei come il ministero austriaco di agricoltura ebbe a commettere al professore Haberlandt un'istruzione ad uso di quelli che si occupano nell'esame de' bachi, e come, essendosi essa stampata in tedesco, ne venissero distribuite varie copie ai pochi chesanno edai moltissimi che ignorano quella lingua straniera. Pochi giorni di poi, essendo stata tradotta in i-taliano, e prima che fosse data alle stampe avendola io avuta per leggere, me ne copiai quel tanto che inte-ressavami e che ardisco di presentarle unitamente all' originale. Il professore Haberlandt parla ex professo sopra la materia; ma siccome nel 1866 divergeva da Lei in cosa assai massiccia, ora diffido un po' della nordica scienza, e non mi ricrederò fin tanto non venga assicurato da chi è meritevole di tutta la fiducia. La sarà una spinta esigenza cotesta mia; ma quando Ella, signor professore, ebbe la degnazione di dar luogp al mio povero nome nel pregevole Almanacco di Lei, penso che non Le tornerà discaro il farlo apparile meno disadorno presso coloro che per avventura avessero brama di conoscere quest'omicciattolo più davviciuo. Dalla metà dello scorso agosto io posseggo un buon microscopio Harnak, con quattro obbiettivi, e quattro oculari, del quale l'avanzata mia età non m'impedisce di servirmi, e per discreta vista ch'io ho, e per fermezza di mano. Desidero sollecita la buona stagione per occuparmi nel metodo di Lei: esaminare cioè il sangue della farfalla prima dell'accoppiamento. Ma non essendo io certo del preciso punto e della profondità della ferita, voglia, signor professore, indicarmelo, facendo un segno sopra la farfalla che qui in calce Le ho baroc-camente disegnata. Anticipo i più vivi ringraziamenti e per non tediarla con inutili scritturazioni, riserbomi di darle in 'eguito relazione sull'andamento della semente eh'Ella Hbe la bontà di esaminarmi. Frattanto ecc. Ecco il semplicissimo metodo che io adopero per preparare l'esame delle sementi: Scelgo de' gruppetti a capriccio o sulla carta o sulla tela, da cinquecento a mille granellini. Li stacco e colla lama del temperino o col pestello li stiaccio per modo da ridurne una poltiglia omogenea, dalla quale estraggo con una sottilissima punta di acciajo una gocciolina, che pongo sopra il portaoggetti del microscopio. Quantunque facciala mistura colla possibileattenzione, mi resta però sempre il dubbio che quella gocciolina possa essere la esatta rappresentante della intera massa, tanto più poi che, essendo i corpuscoli ovoidali pesanti a paragone delle moleccole componenti l'interno del seme, è probabile che molti di essi, i quali dovrebbero appartenere alla gocciolina da esaminarsi, scivolino e restino nella massa. Io ho creduto di porre in chiaro la cosa col seguente mezzo: Prendo un piccolo imbuto di vetro e ne otturo colla punta di una spilla 1' uscita, — faccio scorrere per entro tutto il liquido, — e dopo breve istante rimovo la spilla, a cui è rimasto attaccato quel tanto d'umore eh'è sufficiente per l'esame microscopico. AL COMMENDATORE GIOVANNI CANTONI. A non importunarla con ripetute lettere, ho creduto bene di attendere il termine della campagna bacologica per darle una veritiera relazione del mio operato. Non vorrei che per evitare Scilla fossi urtato in Cariddi. La primavera di quest'anno fu disastrosa. Pioggie frequenti, scilocco quasi continuo, abbassamento di temperatura fino a gradi 14 Reaumur, accompagnarono la, nascita, la vita e l'imbozzolamento dei bachi. E se molti in questa provincia furono meno sfortunati degli auui decorsi, fa d'uopo attribuirlo all'anomalia del caso. I bachi della semente ch'Ella fu così cortese di scegliermi, ebbero una nascita assai stentata, avendo incominciato appena ai 27 di aprile. Negli ultimi giorni della quarta muta occuparono uno spazio di piedi quadr. 45; la pebrina ne macchiò 5 o 6; circa 20 ebbero abbrustolito il solo cornetto e nou più di 15 furono colpiti da apoplessia. Io non mi maraviglio della pebrina, perchè i bachi di Lei coabitarono negli stessi locali dove venivano allevati, in 47 graticci di 34 piedi quadr. 1' uno, altri bachi della stessa origine, ma che bersagliati da a-poplessia furono ridotti a più della metà. Quelli di Lei lentamente imboschirono nè' primi di giugno, e fra i 10 e i 22 del mese pesai a tre riprese funti 12 di belle gallette, delle quali mi propongo di far la semente per l'anno venturo, parte col metodo di Lei e parte come meglio potrò, sempre servendomi del microscopio, la cui utilità nessuno potrà oppugnare. Se male ho corrisposto ai dotti intendimeuti di Lei incolpi la pochezza della mia mente, ma non la buona volontà; anzi mi sarà vera prova del suo compatimento se mi farà conoscere cou altre ordinazioni di volermi accettare per suo devotissimo. (Continua) (Continuazione e fine. Vedi m.° 10) Nè men bello, e forse più imponente, si present il descritto paesaggio veduto dall'accennata chiesuola i S. Vito. Il nonzolo che ne aprì la porta, ci mostrava sulla costa del Montemaggiore le rovine del castello di Vragua, e lontano, a sinistra, il moderno Lupoglavo, e sovra quello, su una rupe, le rudera dell'antico. Aggiungeva che poco discosto da Pas, ma di là non visibili, erano gli avanzi di quello di Gradigne. — Quanto ci vuole per andare al Castello di Vragua? — gli chiesimo. — Colle vostre giovani e svelte gambe potete arrivarci in poco più d'un ora, — rispose. — Andiamo, disse uno de' miei compagni, a dare un bacio al venerando nostro padre Caldiera ! — E noi giù lesti per la ripida strada al piano sotto Bogliuno, e passata la villa Mandici, imboccammo la via che conduce alla chiesa parrochiale ed attigua canonica di Vragua, da dove per uu sentiero arrivammo alla nostra meta. Quale imponente spettacolo ci si presenta d'un tratto dinanzi] Un largo e profondissimo burrone a costiere perpendicolari si spalanca tagliando tutto il fianco del Montemaggiore dall'alto della Fontana sino al piede della montagna, e sopra una sporgenza della costiera settentrionale sorgono le rovine dell'ampio, antichissimo castello di Vragna, il cui vero nome era Aurania, giusta il Kandler, o Urania, secondo la tradizione popolare, che narra relegata colà una principessa di questo nome. Sotto il castello s'ergono dal fondo parecchie rupi in forma di meravigliosi obelischi o campanili. Dalle caverne della contrapposta parete stilla per la medesima il mele delle api selvatiche che in esse si annidano. Questo sorprendente e romantico burrone, la cui ampiezza supera di gran lunga la Foiba I di Pisino, sebbene esso sia una delle rarità naturali j dell'Istria, e poco disti dalla strada erariale del Monte- I maggiore, a pochissimi è noto. Non lo trascurino i nostri alpinisti ed ogni viaggiatore, i quali, vedutolo, sono sicuro che mi saranno grati d'averlo loro additato. — Anche Pas ha le sue tradizioni, come ne hanno molti luoghi in Istria; e sarebbe cosa utilissima, patriottica, il farne raccolta. Ne narro una, non priva d'importanza, accennata anche dal Kandler nostro. L'ebbi dalla bocca di un contadino; e si riferisce ad alcuni pezzi di grosse colonne che il viaggiatore può osservare sul piazzale dinanzi la chiesa di Pas. — Signore, mi disse egli, nei tempi antichi passarono di qui le fate che dal Monte Maggiore portavano nel grembiale a Pola le pietre per costruirvi l'Anfiteatro; giunte esse iu questo punto, il gallo cantò e stracciatisi improvvisamente i grembiali, le pietre caddero e qui rimasero. — Questo racconto sta in relazione con quanto narra il popolo di Pola, attribuendo alle fate la costruzione dell'Arena. Sarebbe questa tradizione indizio di rapporti commerciali fra le spiaggie e l'estremo interno dell'Istria all'epoca romana? Intorno la metà del secolo decimosettimo, lo storico Barone di Valvasor visitò queste regioni, allora sotto il titolo di contea di Pisino in nesso della Carniola, mentre j ogni altra parte dell'Istria apparteneva a Venezia e ne descrisse i luoghi principali nella sua voluminosa opera Die Ehre des Herzogsthums Krain (Laibach, 1689). Qui riporto tradotto quant'egli narra di Pas: „11 castello coll'unita borgata di l'as dista 15 miglia da Lubiana. Ebbe questo nome per la posizione in cui giace, essendo il varco o passo per entrar nella contea di Pisino. La borgata è sita sur un monte alto e fertile che produce grani di varie qualità, frutta, olio e dell'eccellente vino. Nou lungi dalla borgata vi è un piacevolissimo boschetto. Ha case di meschino aspetto e tre chiese, di S. Vito, della Beata Vergine e di S. Antonio. Il castello è di media grandezza, condotto secondo lo stile antico, a tetto acuminato. Il conte Francesco Carlo Barbo vendette questa signoria al principe Giovanni Vicardo d'Auersberg, di buona memoria, che la unì alla contea di Pisino; perlochè ora essa appartiene al signor principe Francesco Ferdinando d'„Auersberg". — Anche il Kandler visitò Pas; ne parla nello scritto Fogli stracciati dal libro Memorie di un viaggiatore (nell' „ J stria", anno IV, 1849): "Pas era detto altravolta Pozzuoli, ma non apparteneva alla contea di Pisino, sibbene a quel distretto cbe abbraccia, la Valdarsa da Bogliuno a Chersano che era dei patriarchi d'Aquileja; che al cessare della dominazione temporale di questi venne in potere della casa d'Austria; che fu baronia detta di Wachsenstein o di Cosliaco, il quale altravolta aveva nome Felicia; che fu dei Barbo i quali avevano castello in Pas; che fu dei Ginnani di Ravenna, che poi passò nei principi d'Auersberg sotto nome di Bellai. Pas conserva le rovine del castello dei Barbo e rocbi di colonne di pietra calcare, delle quali la tradizione dice essere state recate dalle streghe, cosa che basterebbe solo per ritenerle romane, perchè il volgo attribuisce alle fate le opere di quei tempi,. Oggidì Pas offre eerto migliore aspetto cbe non l'offrisse ai tempi del Valvasor. Il progresso stende ormai le sue ali ne' luoghi i più modesti. Il forestiero vi trova, in una decentissima osteria, buon cibo, buon vino, buon letto; e non mancano al certo buona ciera e cortese affabilità; nè osserverà senza soddisfazione, in un decente stanzino, sovra un tavolo coperto da un bel tappeto verde, libri di educazione e giornali, tra cui il Bazar e il Monitore della moda, indizio sicuro che la moderna civiltà si fa strada auche negli angoli più remoti della provincia nostra. — È molto, pensavo ritornando da quella gita contentissimo, è molto provar tante soddisfazioni di spirito e di corpo in uua regione isolata, povera fin di villaggi, in un paesello tanto vicino allo squallido Monte Maggiore, e forse sconosciuto di nome alla maggior parte degli istriani. — E la storia di quei dieci castelli? Ahimè! ella è ancora avvolta nelle tenebre. Giovani studiosi della patria storia, tocca a voi dissiparle. Eovigno, Maggio 1878 g. p. i>. f. Nel numero 6 anno corrente della Provincia, tra le Effemeridi della città di Trieste, leggesi di uu certo fra Giacomo da Lodi, vescovo che fu della mia patria nel secolo 15. Convinto che nessun anello debba trascurarsi di quella grande catena che ci tiene dolcemente avvinti alla gran madre, mi rivolsi per informazioni ad un dotto sacerdote di qui, bibliotecario nella comunale ; ed ecco le notizie che ho potuto raccogliere, e che spero nion torneranno inutili ai dotti istriani, e specie al clero teir-gestino-justinopolitano: Il vescovo fra Giacomo, al secolo Giacomo Arrigoni, ncque nel 1360 in Lodi sotto la parrocchia dei santi iKaborre e Felice, ora santa Maria del Sole, da poveri genitori. Aucor fanciullo, avendo in istrada ferito, per jgiuoco credesi, un suo compagno, si ricoverò in una ■chiesa; e quivi trovato da un francese che rimase toccò Mia sua franchezza e de'suoi modi spigliati, s'ebbe ajuti e conforti per fuggire dalla chiesa, e dalla città, e ricoverarsi quindi in Francia col suo protettore. Vestì tolà l'abito dei Padri Domeuicaui, si dedicò con molto ardore agli studi, e divenne in breve valente oratore. Ritornato in Italia, passò poi in Germania, ove venne detto maestro di teologia dal capitolo generale di Norimberga, e poscia nel 1405 reggente degli studi nel convento di Bologna. Gregorio XII lo chiamò a Roma in qualità di maestro del sacro palazzo, e lo promosse nel 26 febbrajo 1407 al vescovato di Lodi. Nell'anno 1414 intervenne al concilio di Costanza, ove tenne moltissimi discorsi che furono pubblicati poi da Abramo Brovio nella continuazione degli aunali del Baronio,tomo 15, sotto l'anno 1815; e da Hermanno Harat negli atti del concilio di Costanza, tom. I. parte XX, tom. III parte I, pag. 55 e tom. V pag. 115. Nel tom. I della iibreria ordinaria dei predicatori del Quetisio, pag. 785, si legge il discorso tenuto dall'Arrigoni ai cardinali che entravano in conclave. Nel 1410 ospitò nell'episcopio papa Giovanni XXIII, che s'era recato a Lodi per venire a arlamento con l'imperatore Sigismondo e trovar modo i cessare il noto scandalo degli antipapi. Dimorarono entrambi due mesi a Lodi. L'imperatore era ospitato el palazzo di Giovanni Vignati duca di Piacenza e Lodi. Il Papa e l'imperatore conchiusero di convocare il concilio nel seguente anno a Costanza, anzi la bolla d'intimazione porta la data di Lodi. Tra i 160 vescovi riuniti a Costanza si legge pure il nome di Monsignor àrrigoni, che fu segretario e predicatore nel concilio stesso. Accompagnò poi papa Martino V in Italia il quale 10 volle qualche tempo ad latus ; e lo eccitò perciò a lasciare l'amministrazione della chiesa laudense a Monsignor Landriano. Finalmente nel 1418, dall'antica sede 11 Lodi (Laus Pompeja) fu trasferito al vescovato ter-{estino ove morì circa il 1425. Giacomo Gabbiano latinista canta di lui nella Lau-iiade III, pag. 110: JSrexit celso laus Arrigonia coelo Antistes sanctis Jacobus moribus, alma Doctrina precibusque Deo, lagrimisque profusis Laudenses patrio qui laetabuntur houore. Si sta qui stampando un Panteon degl'illustri lodigiani. Se taluno volesse completare questo cenno, scri-; vendo dell'Arrigoni quale vescovo di Trieste, voglia benignamente dirigere lo scritto e lo stampato a don Andrea Timolati bibliotecario della comunale. t. ambrato DI TRIESTE Secondo i risultati di quest'anagrafe la popolazione dell'intero Comuno di Trieste raggiungeva la cifra totale di 126,653 abitanti, dei quali 61,288 maschi e 65,335 femmine. Il I distretto urbano — S. Vito — il quale abbraccia la parte della città posta a pie' del colle di S. Tito e parte della frazione suburbana di Cliiarbola Inferiore, comprendeva 10,744 abitanti. Il II distretto urbano Città Vecchia —, che racchiude la città vecchia e si estende fino alla marina comprendeva 20,278 abitanti. 11 III distretto urbano — Città Nuova, comprendete il Rione della città nuova e le case esistenti nei pressi della stazione, contava 14,868 abitanti* Il IV distretto urbano — Barriera Nuova, comprendente parte delle frazioni suburbane di Scorcola Colonna, Guardiella, e Guadili», nonché quella parte della città, ch'è sit a al nord-est della Via del Torrente, contava una popolazione di 11,800 abitanti. Il V distretto urbano -- Barriera Vecchia — che abbraccia il colle della Fornace, posto fra il Castello e la Via della Barriera Vecchia, nonché parto della frazione suburbana di Chiadino col Civico Ospedale e la Pia Casa dei Poveri, contava 19,515 abitanti, Il VI distretto urbano — San Giacomo, — comprendente Chiarbola Superiore e gran parte di Chiarbola Inferiore, contava 11,433 abitanti. Il VII distretto urbano— Sant'Anna, — comprendente le due Sante Marie Maddalene e la Villa di Sorvola, contava 5.291 abitanti. L'VIII distretto urbano — Farneto — comprendente Rozzol e parte di Chiadino, contava 12,130 abitanti. Il IXdistretto urbano—San Giovanni, — comprendente parte di Scorcola, Cologna e Guardiella, contava 8,210 abitanti. Il X distretto urbano, comprendente Rojano, Gretta e Banola, contava 4,897 abitanti. Il I distretto rurale ~ Prosecco -- comprendente le ville di santa Croce, Contovello, Prosecco ed Opicina 4,703 abitanti. Il II distretto rurale — Basovizza, —composto delle ville di Banne, Trebici, Padrici, Gropada, Basovizza e Longera, 2,756 abitanti. Eruiti i dati relativi alla Lingua parlata in famiglia, i risultati conseguitisi furono i seguenti: Abitanti appartenenti a famiglie che dichiararono di valersi come lingua loro propria : Italiani — 95,896 Serbi — 11 Sloveni — 24,605 Croati — 9 Tedeschi — 4,790 Norvegesi — 8 Greci — 586 Valacclii — 5 Illirici — 270 Armeni — 3 Inglesi — 225 Polacchi — 3 Francesi — 122 Russi — 2 Spagnoli — 51 Olandesi — 2 Ungheresi — 27 Turchi — 2 Boemi — 16 Prendendo a base questi dati si avrebbe quindi sul totale della popolazione il 75,73 °|o d'appartenenti alla nazionalità italiana, il 19,67 % alla slovena ed altre affini, il 3,78 °|o alla tedesca, 88 2|i0o ad altre nazionalità. Secondo la religione vengono divisi gli abitanti così: Cattolici — 119,095 Israeliti — 4,534 Evangelici — 1,499 Altre confess, — 4 Greci disuniti — 1,398 Senza confess, — 103 Per i 4790 tedeschi esistono una I. R. Scuola cittadina, uua I. R. Scuola reale superiore, un I. R. Ginnasio, tutti e tre istituti coll'insegnamento in lingua tedesca e la lingua italiana posta fra le materie libere. Per i 95,896 italiani mantiene il municipio di Trieste coll'annua spesa di 60000 fiorini circa una Scuola reale superiore ed un Ginnasio superiore. MOTWMMTO A f @MM4®®@> Domani, 2 giugno, verrà inaugurato su la piazza di Settignano, presso Firenze, il monumer to a Nicolò Tommaseo, che volle esser sepolto accanto a sua moglie nel cimitero di quel leggiadrissimo paesello. Il monumento consiste in una statua di marmo di Carrara, alta 2 metri circa ed altrettanto di base. Ella ò lavoro dello scultore Leopoldo Costoli, il quale proferse l'opera sua per qualsiasi somma fosse stata raccolta dalle oblazioni. Sulle quattro faccie della base leggonsi le seguenti inscrizioni, dettate dal professore Augusto Conti: Di frorde Quale tu lo vedi Ascoltare soleva E meditare Nicolò Tommaseo Degli occhi cieco Fiso la mente Agli interni splendori. A tergo Quattro anni Dopo la morte di lui Nell'aprile del MDCCCLXXVIII Cooperanti gli amici Poneva Il comitato settignanese A sinistra Qui Dov' ebbe Grato soggiorno autunnale Volle nel prossimo cimitero Con la moglie buona Il sepolcro A destra Dalmata di nascimento Italiano Per insigni benemerenze Tornato a Dio Dalla città dell'Alighieri Precederà l'inaugurazione del monumento l'apertura di una mostra artistica fatta dai settignanesi con lavori di scalpello e di lima nella villa dove Michelangiolo fu a balia, e dove poi abbozzò col carbone un satiro che ancora ivi si conserva. La mostra artistica durerà tre giorni; nell'intermezzo il professore Augusto Conti leggerà un discorso, e poi verranno distribuite elemosine ai poveri. La sera vi saranno luminarie, rallegrate da razzi, e dai concerti della banda cittadina e di quella dei ciechi. NOTIZIE Il Dottor Carlo de Marchesetti, lesse nella Società Adriatica di Scienze Naturali, un lavoro intorno ad oggetti preistorici, scoperti nella Grotta di San Servolo, sita fra Trieste e Capodistria. Il ministro della Eeal Casa d'Italia, per incarico di Be Umberto, consegnò all'istriano Lodovico Brunetti da Eovigno, professore di anatomia all'Università di Padova, un orologio con catena d'oro, fregiato della cifra reale in brillanti. L'Associazione italiana di Beneficenza, residente in Trieste, presentò nel suo Congresso generale, ch'ebbe luogo il 12 decorso, il suo rendiconto annuale. Da questo risulta possedere essa attualmente una sostanza di fior. 48122, compreso il capitale di fior. 15092, investito in lire 2100 di rendita e intitolato: Fondo Vittorio Emanuele, il quale è il frutto della recente sottoscrizione commemorativa il glorioso Se Galantuomo, Padre della Patria. La Società degV ingegneri ed architetti di Trieste tenne nei passati giorni una conferenza nella quale si analizzò il deplorevole stato di decadimento in cui trovansi le piccole industrie in quella città, indagandone le cause ed esponendo «alcuni giudizii sui mezzi atti a sollevarle al livello in cui furono portate in parecchie altre città italiane. Biescì eletto a membro della Civica Eappre-sentanza della città di Trieste con voti 302 sopra 308, l'avvocato Bartolomeo Dottor DeRin, figlio dell'integerrimo e compianto giureconsulto Nicolò Dottor De Ein da Capodistria. Il Municipio di Trieste concorse pel monumento Tommaseo con f.ni 200, e destinò altri f.ni 300 per quello da erigersi in Sebenico, patria del grand'uomo e del grande scrittore. L'illustre bacologo Luigi Pasteur, membro dell'Istituto di Francia, è giunto a Milano in compagnia di un assistente addetto al Laboratorio della Scuola Normale di Parigi. Egli s'è recato colà per istudiare durante l'allevamento de' bachi la loro flaccidezza ed ha fissato perciò la sua dimora nell'Istituto bacologico Susani. A Milano si starebbe organizzando una festa lette-teraria per commemorare il centenario della mascita di Ugo Foscolo, nato a Zante nel 1778. Verrebbe perciò , a quanto dice la Perseveranza, rappresentaita una delle sue migliori tragedie, e poi si eseguirebbe una Cantata, scritta per l'occasione. All'esposizione di Parigi è assai ammirata nella - Galleria italiana, la macchina stenografica del professore piemontese Michele Quassolo d'Ivrea,, che riproduce i discorsi iu tutte le lingue. Alcune giovanetto la fanno funzionare a meraviglia. Il Corso d'istruzione nella bachicoltura presso l'i, i. Istituto bacologico sperimentale di Gorizia,"verrà a-perto il 17 giugno e avrà fine il 20 luglio a. c. L'istruzione, che si terrà in lingua italiana e tedesca, consisterà in prelezioni teorico-pratiche sulla anatomia e fisiologia del bombice del gelso, sulle sue malattie e mezzi di prevenirle e sull'allevamento razionale. Alle prelezioni seguiranno esercizii pratici sul maneggio del microscopio per gli scopi del confezionamento del seme a sistema cellulare. Per ulteriori informazioni è da rivolgersi alla Direzione dell 'i. r. Istituto bacologico sperimentale in Gorizia. Un aliro nemico Sella vite In una ridente collina dei Colli Berici palesavasi fino dall'anno 1872 qualche danno nelle giovani vigne, coltivate a palo secco e a basso ceppo, che mostravano evidentemente la presenza di qualche insetto nocivo. Dopo parecchi anni, e precisamente nel maggio del 1877, fattesi le più minute ricerche, si venne a scoprire i primi soggetti di un coleottero chiamato dai naturalisti Eumolpus vitis — eumolpe della vite. Questo insetto, comparso ad epoche diverse in molte località della Francia, ha portato dei guasti considerevoli, particolarmente ai vigneti del mezzodì e del centro. Esso attacca tutte le parti verdi della vite ; perfora prima le gemme, poi i giovani sarmenti, le foglie ed anche i grappoli. La vite attaccata dall'eumolpe si mostra senza vigore e d'una vegetazione incompleta. L'insetto perfetto arriva alla grossezza di un seme dell'uva, è di color marrone e vola assai poco. Un agronomo francese, P. Thénard, suggerisce il seguente mezzo di distruzione dell'eumolpe: Mille e duecento chili di panello di colza o ravizzone preparato ad una temperatura non superiore a gradi 80. Si riduce in polvere e si sparge sul terreno prima di lavorarlo dai 15 febbrajo ai 15 marzo. Ogni mattina se lo sporge alla volata quanto basta per il lavoro del giorno, e poi si volge il terreno, e così si copre il panello. Tutto il segreto, a quanto pare, sta nella preparazione fatta espressamente per questo impiego ad una conveniente temperatura. La conclusione poi è questa: raccolta dell'insetto perfetto; zappatura d'inverno ; impiego del ravizzone preparato a bassa temperatura. L'aereolite del 9 maggio Sebbene un po' tardi, diamo anche noi un breve ragguaglio di questa meteora, che si mostrò anche a Capodistria, il 9 del decorso, poco dopo del tramonto del sole. L'aereolite o bòlide, come la chiamano gli astronomi, presentava a tergo una marcatissima striscia bianca, la quale restò visibile per alcuni minuti. Diritta da principio, si fece ben tosto per le ondulazioni dell'aria srpeggiante e divenne un po' alla volta tutta ajtorcigliata e sinuosa. EU'era evidentemente formata dai vapori che l'aereolite sviluppò durante il suo passaggio per l'atmosfera terrestre. La traiettoria percorsa da questa meteora in tre secondi circa, faceva capo alla stella di prima grandezza, denominata la Capra nella costellazione Auriga, muovendo verso l'orizzonte occidentale con un'inclinazione di 33° e descrivendo un arco di 20°. Da indicazioni attinte dai diversi giornali ("Indip., Ison., Gazz. di V.„ ecc.) si dovrebbe arguire che l'aereolite rasentò la nostra atmosfera allo zenit del Veneto fra Treviso e Belluno, proseguendo il suo cammino nello spazio, anzicchè cadere, come asserì l'Isonzo, a Cormons. Se ciò fosse avvenuto, si sarebbe levato grande rumore, perchè l'aereolite in discorso, a giudicare dalla sua grandezza apparente e dalla sua altezza e distanza presumibili, poteva avere ben cento metri di diametro. X. Un busto A BARTOLOMEO BIA.SOLETTO da dignano (Istria) A Bartolomeo Biasoletto — Dignanese — botanico insigne — di questo già sterile poggio — ravvivatore — Trieste e VIstria — riconoscenti — MDCCCLXXVIII. Questa modesta epigrafe leggesi ora sotto il busto del defunto istriano, che l'amore de' suoi comprovinciali fece collocare sull'ameno Colle dei Pini presso Trieste. L'inaugurazione fu semplice e solenne. Il Dottor Marchesetti ne lesse l'elogio, ristretto in brevi ma eloquenti parole, ch'ebbero il suffragio di tatti: "Uniamoci, ei disse alla fine del suo discorso, a questo atto di estimazione e di affetto, reso alla memoria del distinto naturalista, dell'egregio istriano ; uniamoci tutti ad onorare nel suo nome la scienza, che dalla modesta officina, rese il nome del Biasoletto caro e riverito a quanti si occupano di discipline botaniche, e tutti ossequiosi innanzi a questo marmo, che ricorderà a' nostri figli le virtù sue, stringia- moci in un unico pensiero, in un'unica aspirazione, il benessere e la gloria della nostra patria ! Dopo la cerimonia tutti gli astanti si dir Isserò al Cacciatore a visitare il giardino Revolter»; quindi verso Basovizza a visitarvi le piantagioni che da circa ventanni si vanno facendo per l'imboschimento del Carso. Fu anche notato con grande soddisfazione un bel progresso nei lavori d'imboschimento; ci sono dei tratti di vero bosco coltivato con amorosa cura; egregiamente disposti i vivai di Basovizza. La gita finì in banchetto all'Obelisco, dove vi furono lieti brindisi a tutti i benemeriti dello sviluppo che va prendendo a Trieste la coltura dei campi, dei giardini e dei boschi. Il venerando Tommasini propinò con grande affetto all'Istria, e il podestà di Dignano gli rispose con sentite parole, ringraziando per le dimostrazioni di simpatia che furono fatte alla provincia nostra, e disse molto a proposito della comunanza di interessi e di sentimenti che legano triestini ed istriani, r. Pubblicazioni Besenghi degli Ughi Ecco il sommario della Biografia di questo illustre nostro comprovinciale, la quale si sta ora stampando dal professore Oscarre de Hassek: Isola. La famiglia Besenghi. Nascita del poeta. I suoi primi studi a Isola ed a Capodistria. Va all'università di Padova. Sua vita come studente di legge. I primi versi. Aneddoti. Nel 1820 compisce il corso politico-legale. Va a Udine. Suoi congiunti dal lato materno. Stupenda canzone, finora poco conosciuta, pubblicata in quel tempo a Venezia. Il Besenghi vuol portarsi coli' Ippoliti a Napoli, ma fa sosta a Taranto e ritorna in patria. Vive romito a Isola dedicandosi a studi letterari di ogni genere. Entra come ascoltante al tribunale mercantile di Trieste. Ha un battibecco col suo superiore e si dimette. Sue pubblicazioni letterarie a quel tempo. Il principe di Porcia, governatore di Trieste; il professore Lugnani ed il medico Gobbi. Il Besenghi frequenta le sale del governatore. Sue satire. Suoi amori con una bella giovane triestina che poi divenne moglie di un greco. Le sue relazioni colla mima AntoniettaPal-lerini. Chiacchiere che se ne facevano a Trieste. Frequenta i teatri e amoreggia colle prime donne e colle ballerine. Studia l'ebraico. Scoppia la rivoluzione di Grecia. Il Besenghi vi accorre volontario. Ottiene l'amicizia del Colocotroni, dell'Ypsilanti, del generale Nikitas; combatte a fianco dell'Ypsilanti. Si aggira per le isole jonie; un vescovo lo vuol ordinare prete. A Corfù conosce il barone di Poerio, emigrato napoletano. Viene invitato a rappresentare una parte sulle scene di Corfù. Coi dotti mandati da Carlo X fa un viaggio scientifico sul continente greco. In Argo s'innamora di una bella fanciulla. Gli viene offerto un posto di segretario al ministero degli esteri. Ritorna in patria. Va in Friuli. Come passi i giorni a Gorizia. A Ramoscello vive in casa di suo cugino il conte Gherardo Freschi d'Attems. S'innamora in una gentildonna, che però si ride di lui. Sa ch'essa fu ad una festa da ballo a Portogruaro ove dimostrò col fatto ch'ella non lo amava. Monta sulle furie e scrive una delle più stupende sue canzoni in cui impreca alla donna amata. Sue relazioni intime con un'altra gentildonna. Il Besenghi va con essa a Venezia. Baruffe letterarie fra il Besenghi ed il prof. Quirico Viviani. La Manega del caffè Meneghetto a Udine. II conte di Toppo, la contessa Margherita Brazzà-Morosini; Giuseppe Gerardi. Il famoso dialogo dei tre morti. Come vi risponde il Besenghi. Sue poesie a quel tempo. La canzone del Bro-vedani. Le ire del Venanzio di Portogruaro ed i professori del seminario di Udine. Entusiasmo fra i giovani sacerdoti del Friuli e dell'Istria alla comparsa della canzone. Besenghi a Venezia. Fine di un dramma d'amore. Besenghi e Tommaseo. Il poeta ritorna a Trieste e prende alloggio in casa del cognato D.r Barsan. La sua vita a Trieste. Suoi studi. Sua vita solitaria. L'attività letteraria ed artistica di Trieste a quel tempo. G. Bazzoni, Valussi, Kandler, Revere, Tagliapietra, Fachinetti,* Orlandi, Dall'Ongaro, Caffi, Gatteri, Somma, Gazzoletti. Episodio di Besenghi e Fachinetti. 1849. Colèra. Morte del Besenghi. Un dolce rimprovero a Trieste. Besenghi prosatore e poeta. Qual posto gli spetti nella storia della letteratura italiana. La poesia della scuola così detta realista e la poesia idealista. Un voto. La Biografia del Hassek sarà in vendita a Trieste, presso il libra j o Colombo Coen in Corso, e presso l'autore, Via Rossetti, N. 229. NAVIGAZIONE A VAPORE GIORNALIERA FRA TRIESTE-CAPO»ISTRIA col piroscafo G1IJSTINOPOLI Col giorno 31 .Maggio 1878, fino a nuovo avviso, verrà attivato (tempo permettendo) il seguente: ORARIO partenze nei giorni feriali : Da Trieste per Capodistria I. corsa alle ore 9 ant. escluso il Venerdì II. III. 12 mer. 7 pom. Da Capodistria per Trieste I. corsa alle ore 7 ant. IL » „ 10jjt „ escluso il Venerdì IH- >i », » 5i,2pom. partenze nei giorni festivi: Da Trieste per Capodistria I. corsa alle ore 9 ant. II- „ „ „ 12 mer. III. „ „ „ 81/4 pom. Da Capodistria per Trieste I. corsa alle ore 7 ant. II. .. „ „ 10i[2 „ III. pom. Prezzo di passaggio Per ogni persona indistintamente soldi 40. Ragazzi sotto i 12 anni soldi 30. Il punto d'arrivo e partenza in Trieste è il Molo S. Carlo, ed in Capodistria il Porto. Trieste, nel Maggio 1878 L'IMPRESA Capodistria, 1 Giugno 1879 N. 11 SUPPLEMENTO ALLA "PROVINCIA, Scritti inediti del Dottor Kandler (Proprietà dell'Archivio Provinciale) Nomi romani di località in Istria lo credo che li nomi di località dati dai Romani per qualsiasi contingenza, durino ancora, e ne abbiamo recato le testimonianze per l'Agro colonico di Pola, per quello di Capodistria e Pirano, e potremmo recarne altri copiosissimi per Parenzo, per Trieste pel Carso, e pel Castelnovano. Questi nomi furono conservati dalla lingua italiana, però anche la lingua slava ne ha conservati, e mediante questa si possono riconoscere gli antichi. La voce Caput è della lingua dei Gromatici per indicazione di tarmine, o se si preferisce di principio, che è tutt' uno, secondo la postura dello spettatore. I Gromatici conoscono Caput bubulum, caput limitis, caput centuriae, caput agri; ai quali si può aggiungere Caput ageris, il notissimo Cavarzere. Colla guida di questi Caput si possono riconoscere i confini come di campo, così di centuria, di agro colonico, e di agro giurisdizionale; ned è raro di rinvenirvi accoppiato il nome della città dominante, più frequentemente quello di Trieste — caput Tergestinorum. La quale ultima voce crediamo sia celtizzata, oppure slavizzata, colla desinenza ek od uk, contratto il nome di Tergeste in Trst. Così troviamo il Trstl monte al confine fra Monocaleni e Rantii, a cavaliero di Ranziano della Valle del Frigido, un Terstenik fra Tergestini e Monocaleni sul colle fra Opciena e Prosecco. Così Terstenik sopra le porte di ferro, sopra 1'Albiano, al colline dell'agro giurisdizionale di Trieste colla Giapidia, incorporata alla Li-burnia. Del quale Terstenik è memorabile che li slavi stessi circostanti, lo dicono Capo di Terstenik, ed è in vero 1' estremo confiuo dei Tergestini. Così Terstenik a settentrione di Muue nell' odierno Castelnovano, e forse tanti altri all' ingiro nell' estremo confine e nelle interne ripartizioni di agri colonici compresi nella comune giurisdizione. Così nell' Agro Rociano presso Lanischie vi ha Terstenik, appunto nel lato che l'agro giurisdizionale di Trieste tange l'agro dei Liburni Flanati, che stavano sotto alla giurisdizione di Pola. Questa ripetizione del nome di Terstenik, od affine, siccome Trstl all' ingiro di Tergeste romana, certo non è accidentale. E possiamo sospettare che quel nome si ripeta in altre località che non sono monti, o villaggi segnati nelle carte geografiche di scala maggiore, e che dovrebbero raccogliersi dalla voce dei villici, minor speranza si avrebbe nei così detti urbarì. Abbiamo detto di un Caput bubulum siccome termine di agro qualsiasi. Di tale voce abbiamo tre esempì. L'uno verso Arbores od Auber termino dell'agro colonico di Trieste, oggidì detto Cobillaglava. L' altro a Levante di Poiane che sta nel Castelnovano a piedi della Vena, alla quale cominciano i Subocrini, ed il noto villaggio di Racize dove termina l'agro Castelnovano, soprastante a quello dei Catali, e dei Flanati. Lo dicono Lipova Glavizza, voce che crediamo affine con Lupoglau, già feudo dei Conti Brigido, che sta a cavaliero delle due vallate, da un lato del Quieto che scende a Pinguente, dall' altro della Bogliunschizza che scende al lago d'Arsia; ohe fa confine tra i Rociani ed i Finalesi (Bogliuno o Finale) fra 1' agro dei Subocrini, e 1' agro colonico di Finale, fra l'agro giurisdizionale di Trieste, e 1' agro giurisdizionale di Pola. Questa voce di Lupoglau si incontra anche nella Croazia terrestre, forse per segnare in quella regione termine di colonia o di municipio romanizzato. Crediamo che Lupoglau, nella cui desinenza troviamo tradotto in serblico o croato il Caput latino, sia Caput bubulum di questi. Talvolta ho trovato Capo Cavallo, Cobillaglava, non soltanto nell'Istria, ma auche altrove, senza che la sommità del monte abbia figura di cavallo. Questa voce caput, tradotta nello slavo in Glava e Glaviza, la riscontriamo ripetuta più volte, ed in siti, che sarebbero confini. Abbiamo verificato una Glaviza fra Altura e Montichio, confine dell' antica città di Nesazio, atterrata dai Romani nella guerra contro Re Epulo, ripopolata con cittadini romani, sospettiamo dopo la spedizione di Cajo Sempronio Tuditano. Altre duo al Nord Est di Sejane nel Castelnovano, una delle quali porta nome di Dovorslca Glaviza ; altra detta Grabrova Glaviza, in levante del monte Shabnik; una VcliJca Glaviza a Levante del villaggio di Dane sul filone della Vena, nel Carso di Pinguente, fra Dane ed il Monte Shabnik. Altra Glaviza è a mezzogiorno di lavorio nel Castelnovano verso Pregarie, e sulla Vena un Monte Coinih che darebbe grave sospetto di termine. Altra Glaviza sta al limite dell' antica giurisdizione di Monte-cavo; o piuttosto della Recca, che pare sia in altra lingua ciò che si dice Searis sul Botaz, a Settentrione della Villa di Presniza altra volta feudo Vescovile, precisamente a piedi della Vena, la quale coi due versanti, forma confine naturale, e fu confine politico interno, entro l'agro giurisdizionale della Colonia di Tergeste. Non io presumerò di entrare in quesiti che devono in prima linea risolversi da slavisti, poi appena venire a riconoscimento dei confini naturali, e dei confini convenzionali antichi fra gente e geute di stirpe non identica. Certo, come i nomi dei predii guidano alla ricognizione di Agri colouici, e la voce frequentissima di Castellari alla ricognizione delle vie principali e dei porti vivi; la voce Glaviza potrebbe giovare. E ne facciamo calda raccomandazione, notando che non ogni sommità di monte dicesi Glaviza, e che segnati questi Caput su carta geografica, il numero maggiore forma aggruppamento appunto in regione altra volta abitata da rumeni di lingua, cbe poi cangiarono colla serbiica, mantenutasi ancor viva e parlata in Sejane, ormai cancellata in Mune, e della quale i così detti Cicei conservano molte voci. Dal cbe potrebbe indursi cbe Glaviza sia traduzione di Caput. Appunti bibliografici P. Fanfani. IVovelle e Ghiribizzi. Milano, Carrara, 1879. Ecco una voce d'oltre tomba del celebre filologo Pietro Fanfaui. Non è già una voce in nota lamentevole che ci riveli altri mondi, e ci susciti in fondo all'anima le malinconie dell'infinito: qui veramente il morto è più che mai vivo, iracondo, bilioso con tutti i suoi spiriti battaglieri; souo echi della voce del Fanfani vivo, perchè, come l'editore ci avverte nella prefazione, le novelle furono già stampate in giornali qua e là e solo i Ghiribizzi si pubblicano quasi tutti per la prima volta. Pigliando occasione da questo volume a dire chiaro e netto il mio giudizio, nessuno vorrà accusarmi di dare al Fanfani il calcio dell'asino; perchè, di lui, quando era vivo e verde, ho parlato sempre col debito rispetto, ma senza barbazzale, specialmente allorché lo vidi proposto nelle scuole ad educatore della nazione. E ciò feci, prima nel Mente e Cuore di Trieste, poi nella Rivista Europea diretta dal professor Gu-bernatis, e da ultimo nella Perseveranza di Milano. E se ora torno alla carica, non è già per irriverenza ad una tomba recente. Le lodi esagerate e le pietose menzogne servono di qualche conforto agli eredi: la storia non si scrive sulle croci dei cimiteri ; e ben diverso è il giudizio del pubblico. Ora, a scanso di equivoci intendiamoci sul valore scientifico e letterario del Fanfani. Mi sta a cuore che i giovani non si lascino fuorviare da' pregiudizi di nessuna sorte, nè rimangano ingannati dalle smodate lodi 0 da biasimi eccessivi. Il Fanfani fu un celebre filologo, fu il primo, e speriamo l'ultimo dei filoioghi italiani di vecchio stampo. Dico speriamo, perchè di una filologia, scienza della parola non istudiata nelle sue relazioni con la nazione, e con le parole, col movimento delle altre nazioni, in tanta luce di studi di filologia comparata, l'Italia ne ha già avuto abbastanza. Il Fanfani fu ai nostri tempi il primo de' filoioghi e l'ultimo di quella schiera belligera di letterati astiosi, piccosi, che in altri tempi misero sossopra l'Italia, come oggidì avviene per questioni d'ordine politico. La sua opera tornò utilissima, a frenare l'irrompente licenza, e rese popolare la questione dell'unità delta lingua. 1 briosi scritti, filologici del Fanfani, il suo vocabolario resteranno monumento di operosità ammirabile, e verranno per lungo tempo consultati con frutto. Ma non tutti i filoioghi hanno l'ingegno del Monti, non tutti sono artisti e non possono quindi aspirare al titolo di efficaci scrittori. Il linguista è il paziente ope-rajo che trova con molta fatica le pietre preziose nelle viscere delle montagne; l'artista, il romanziere, il poeta sono il cesellatore che le lega in oro, e le mette quindi in commercio. Se il Fanfani si fosse accontentato, come cominciò, di rimanere tra i dotti a illustrare codici, a compilare vocabolari, avrebbe lasciato dopo di se fa- ma inconcussa di filologo di primo ordine; e, se vuoisi, anche di buono scrittore in cose di lingua. Il guajo per lui comincia dal giorno che la moda ne fece uno scrittore di romanzi, di novelle, e di libri educativi. Dal giorno che la celebre teoria del Manzoni (un po' troppo recata alle ultime conseguenze dall'ingegno analitico e scrutatore di lui, e peggio dalle storte applicazioni degli imitatori, che come al solito rin-carirono la dose), fece credere agi' Italiani che dopo sei secoli di letteratura non avevamo ancora una lingua, gli occhi di tutti furono rivolti alla Toscana. Ma pel-disgrazia nostra la gentile provincia era esaurita di forza dopo il Nicolini ed il Giusti; ed i pochi valorosi rimasti, volti ad altri studi, o educati ad altra scuola, non aveano voglia nè tempo di mettersi sul nuovo sentiero. Poi, di Toscana uscirono (è dovere di giustizia rammentarlo) gli scrittori d'altre regioni, non solo battezzati, ma immersi nell'Arno; troppo toscani e quindi come argutamente fu detto, poco toscani ; i cacciatori di riboboli, e di storpiature, di per bene di ammodo, e di noi eramo, noi si fa, noi si dice e di quelle altre leziosaggini del novo dizionario, della bona scola e del coco che coce e che li frigge : tutta roba da far dar nelle stoviglie a chiunque sente e parla italiano, e si trova ogni tanto quel benedetto dittongo sulle labbra, a rinforzare la parola e sto per dire il concetto. E se tanto furono accetti i toscaneggianti, pensate poi i toscani, e un filologo di quel calibro, quale era appunto il Fanfani. Fu adunque la moda che lo fece novelliere, romanziere, e, per poco che la ragia durava, commediografo e poeta. Uno dei primi frutti di questa nuova letteratura fu il vocabolario dell' uso toscano, libro che, se è utilissimo a tutti gli studiosi dilla lingua, e dischiude lo fresche sorgenti dell' uso, pure non si può introdurre nelle scuole, perchè pieno zeppo di sconcezze in modo da tramutarlo nel vocabolario dei beceri e delle ciane ; e se la Civiltà Cattolica come ci racconta il bravo Gar-zolini nel Mente e Cuore 1' avesse fatto mettere all' indice, e non avesse altro peccato che questo, la si potrebbe venerare per santa, senza dar troppo a fare all' avvocato del diavolo. Poi venne il Cecco d'Ascoli, il più stucchevole dei romanzi che siano stati mai scritti, e si scriveranno; e che qualche pedante ebbe la sfrontatezza di paragonare ai Promessi Sposi; e poi giù giù, poiché le commissioni fioccavano, una farraggiue di novelle, di scritti umoristici, di libri educativi come Lingua e Nazione, dove la nazione ci sta come il cavolo a merenda, e il Plutarco Maschile e femminile, libri abborracciati e peggio immaginati, e non sono altro che temi di scolari, che con ridicolo apparato si suppongono ogni tanto letti in iscuola; e dove tra gli uomini illustri d'Italia, proposti ad imitazione dei giovanetti si trova horresco referens, quel mal capitato Dino Compagni ! e così via via fino al Giusti, il più simpatico dei nostri poeti, potato ad usum Delphini, e dove si fa la famosa scoperta che i Croati del Sant' Ambrogio erano biondini. E questi difetti, e se vuoisi questi pregi si trovano tutti anche in questa edizione postuma delle novelle e dei ghiribizzi drammatici. Apriamo il libro alla prima pagina — Don Ficchino. È una novella raccontata come solo sapeva scrivere il Fanfani. Don Ficchino fu un pretazzuolo della Toscana,.. Il fatto suo era uno spasso, un frucchino, un lecchino vi so dir io. E due righe più sotto: Poi gli venne gli àscheri di essere un po' letterato.. ma, eramo sempre a piedi. Si ficcò alle costole di un letterato valente, e lì striscia e li loda; il letterato gli fece pa, lo resse per le maniche del sajo. E basti questo per vedere quauto tra filologo ed artista ci corra. Le locuzioni si succedono alle locuzioni ; troppe grazie sant' Antonio. Ce n' è a braccia quadre, a caf-fisso, a fusone, dirò anch'io, vogando sul remo al Fanfani. — "Ma questo non è toscano vivo, mi diceva proprio un toscano a' passati giorni. Noi non si dice: il fatto suo era.„ — E gli àscari, dove diamine gli ba pescati fuori questi àscari il signor Pietro? Non si trovano neppure nel Novo vocabolario ; e nel vocabolario dell' uso toscano il Fanfani ci fa una lunga tiritera per dimostrare che vengono dal greco, e che gli ha usati la beatissima vergine Catterina da Siena. Si legga il Thuar, o meglio il Giusti ; e si vegga quale differenza passa tra l'uso e l'abuso; tra il toscano vivo, ed il toscano dei libri. Perchè qui sta il nodo della questione. Que' periodini con la cantonata del se non che, ma che ed altre costruzioni arcaiche, dove un modo vivo si trova a ridosso di una locuzione del 500, non mi renderanno mai netto, fresco il concetto, non saranno la veste del pensiero italiano. Non dico già con questo che l'uso non debba essere corretto dallo studio, e che allo scrittore sia proibito di far rinascere tocaboli, e ritornarli, quando sia bisogno in onore. Ma simt certi denique fmes; e il come e il quando ciò si lossa fare, insegua solo il buon gusto, l'intimo senso dell' arte, che è maestro di ordine, di quel benedetto lucido ordine, che, secondo la stagione, fa sudare ed ^ghiacciare lo scrittore. Leggendo il Fanfani e ci pare di leggere il Lasca, : qualche altro novelliere del secolo d'oro; la sua è bramente una letteratura di ricostruzione; e può recare, '.incedo, qualche vantaggio, perchè serve di correttivo Ile licenziose scritture, e come tale da egregi uomini il raccomandata. Ma se le improprietà e le licenze guatano le scritture, anche rompono le scatole le pedan-erie e l'esagerato purismo. Chi è, che parla e scrive osi ai nostri giorni? Lo si capisca una buona volta; i lingua vive, si modifica, si trasforma, segue il momento del pensiero, rappresenta le abitudini, i costu-ii, la vita nuova di un popolo. "La lingua italiana, isse egregiamente l'illustre professor Ascoli, sarà quello Ìe saranno gì' italiani ; un barbarismo cacciato fuori Ila porta, se è necessario, rientrerà per la finestra; può deplorare che questo avvenga, ammirare le scritte del secolo d'oro ; ma pretendere che tutti abbiano scrivere così anche oggi, è un assurdo, è un rinnegare progresso. Diano opera piuttosto gli scrittori ed lucatori a far rinascere 1' attività, l'ingegno, il carat-re; invece di gridare tanto a mo' d'esempio contro | barbarismi introdotti dalla Francia con la lista del rto e della modista, perchè non si declama piuttosto litro l'importazione della merce? Quando l'Italia era le della civiltà dei commerci, dell'iudustria, e diffon-ta sui mercati europei le sue merci, anche i nomi i Ile cose erano italiani. Ma anche in ciò si hanno a [ettare le tendenze cosmopolitiche derivanti dai liberi imbi, dalle facilitate comunicazioni, ed i riguardi ili-nazionali. Altrimenti correremo rischio di imitare il famoso professorone, il quale, avendo trovata nella i infinita sapienza che stoccofisso viene da Stoch tone e Fisch pesce, cominciò a declamare contro il ibarismo, e a proporre che lo stoccofisso, il baccalà ibbia a chiamare quindi innanzi — Pesce bastone, fvero che viene una matta voglia di far assaggiare al professore di questo pesce. Ora, che cosa ha fatto il Fanfani per l'educazione del popolo ? Eappresentauo i suoi libri la vita nuova della nazione? p. t, (Continua) Wilclielm Gerhard'« Gesiinge cler Serben, zweite Auflage, heruus gegeben, eingeleitet und mit An-merkungen versehen von Karl Braun - Wiesba-den. Leipzig, Verlag von loh. Ambr. Berth. 1877. (Guglielmo Gerhard, Canti Serbi, II ediz. pubblicata e provveduta di una prefazione e di note da Carlo Braun - Wiesbaden, Lipsia presso Giov. Amb. Barth. 1877). — Dedicata al sig. Edoardo Simson primo presidente della dieta germanica. Scopo di questa raccolta di canti serbi, come dice l'editore, si è quello d'invitare il lettore aduna scorreria piacevole ed istruttiva al tempo stesso, attraverso l'antico e romantico paese delle poesia serba, dandogli a guida un uomo il quale ad una rara conoscenza del soggetto unisce un gusto sì squisito, da acquistarsi persino l'ammirazione di Goethe. Dice poi che l'introduzione, la quale è piuttosto lunga, ad altro non serve insieme alle note che a fare gustare vieppiù la raccolta al lettore. Domanda quindi: "Chi è G. Gerhard?,, — Guglielmo Cristoforo Leonardo Gerhard fu mercante e ad un tempo amico delle muse e del viaggiare. Nacque a Weimar il 1780 e fin dalla giovinezza dimostrò ogni simpatia al risorgimento della poesia tedesca, la quale dovfà preparare il risorgimento della patria tedesca. A Zittau e Lipsia si diè alla mercalcta che più tardi abbandonò per secondare al tutto la sua inclinazione alle scienze ed alla poesia. La lotta fra Turchi e Serbi scoppiata al principio del secolo trasse 1' attenzione dell' Europea anche alla poesia serba. E diversi scrittori tedeschi e nazionali ne pubblicarono i canti originali o tradotti o semplicemente imitati. Fra gli scrittori serbi va ricordato Mitutmovic, che sovvenzionato dallo Czar di Russia poetò la "Serbiauka,, raccolta di poesie epiche, la quale imitando nel metro e nella lingua le antiche canzoni eroiche de' Serbi esalta la sollevazione del 1804-15. Da questi apprese Gerhard l'idioma serbo, e si accinse quindi a tradurre ed imitare or questa or quella delle serbe canzoni. Goethe lo ammirò e più gli piacquero le imitazioni. Gerhard che mai non si stancava di studiare il mondo e gli uomini morì, duraute un viaggio intrapreso già vecchio, ad Eidelberga il 2 ottobre 1858. Così avendo sodisfatto alla domanda : »Chi fu Gerhard? l'editore passa a chiarire la ragione che lo indusse a ripubblicare i Canti Serbi e soggiunge: "Durante l'ultimo lustro, mosso dalla persuasione che il prossimo atto della storia mondiale dovesse avere suo principio nell'Oriente, peregrinai quasi ogni anno verso le contrade del Danubio della Turchia e della Grecia, e scrissi su di questi viaggi diverse impressioni accolte a seconda da riconoscenza od ostilità.,, "Venuto poi a sapere delle mirabili traduzioni del Gerhard non potei a meno di rinfrescare in esse le impressioni ritratte della Serbia.,, "Infine d'accordo col libraio scelsi fra esse le più belle e interessanti affine di accompagnarle d'una introduzione e di note, cbe ne rendessero pia facile l'intelligenza ed orientassero il lettore ne' fatti della Serbia, cbe fanno al presente e più faranno di sè parlare nell' avvenire. Appresso rende noti i principi che lo guidarono nel compilare il lavoro ; e dà del paese e della popolazione, delle condizioni di lei e dei costumi, sulla storia e sulla poesia serba quelle notizie, cbe per la ripetuta dimora in questo paese e per studi eh' ei ne fece, può dare. Lasciò l'editore di pubblicarle 1' "appendice,, delle poesie del Gerhard perchè imitata da una mistificazione del francese Prospero Mérimée, il quale a sua volta attinse alla raccolta dell'italiano abbate Fortis: e così i canti tolti da altri serbi di cui non si sa che abbiano raccolto dalla bocca del popolo e che inventato essi medesimi. "Del resto, prosegue, mi adoperai, scegliendo, a ricercare specialmente ciò che avesse impronta originale antica e popolare, così nel campo dell'epica come in quello della lirica,,. „Non si dee credere però che l' odierno principato di Serbia, dove ora regna Milano ObrenoviS IY, sia i-dentico al paese abitato dagli antichi Serbi.,, "L'antica Serbia comprendeva: Eascia, Primordia, Bulgaria, Macedonia^-Sup.e, Dalmazia e Bosnia; e le canzoni degli antichi eroi cantano di tutta questa regione. Segue a dire dell' origine e dei primordi del popolo serbo, della religione di lui, delle lotte sostenute contro i Eomani d'Oriente, del regno di Dušan e della grandezza di Serbia sotto di lui. Lottano poi i Serbi coi Turchi e la lotta va a finire colla battaglia di Cossovo. La quale porse occasione a innumerevoli canzoni improntate dal dubbio e dalla speranza. In esse la battaglia è considerata come sciagura irreparabile ; e tale sentimento è significato col fare cad&re in essa anche eroi eh' erano già trapassati prima del 15 giugno 1389, in cui la battaglia accadde. Descrive la battaglia secondo i cronisti turchi. Con essa battaglia tramonta il grande splendore dei Serbi, finché man mano tutte le provincie che componevano il reguo di Serbia son soggette il 1390 alla Turchia. Appena tre secoli dopo la Serbia si fa viva e dopo varie vicende uel 1872 sale il trono di lei il principe Milano. L'odierno principato di Serbia ha un'estensione d' un po' meno di 1000 miglia quadr. e uu po' più di 1000000, abitanti. Le condizioni economiche han molto sofferto nell'ultima guerra. La maggior parte degli abitanti è d'origine serba. Iu mezzo ci son però anche Bulgari, Valachi, Tedeschi, Ungheresi, Ebrei e Zingari. Ma la razza serba si trova anche nella Turchia e nell'Austro-Ungheria. Nella Turchia: iu Bosnia, Erzegovina, Macedonia Sup.e, Serbia antica, Albania set-tentrio-orientale, Montenegro. Neil'Austria-Ungheria : in Dalmazia, Croazia, Slavonia, parte dell' Istria,*) antichi Confini Militari, Banato e lungo il Danubio fino all'isola di S Andrea. *) Neil' Istria inferiore sotto il Quieto e di recente immigrazione. Vi furono portati dalla veneta repubblica, ed erano per lo più gente infelice, che riparavasi nella Dalmazia per sottrarsi al terrò dei Turchi, e a cui Venezia per tempo, finché potente, diè patrocinio anche alla scoperta. Vedi i Cenni etnografici dell' Istria di C. Combi nella Porta Orientale dell' anno 1859. n. d. K. Si calcola che tutt' insieme contino da 6 a 7 milioni di anime. Dice poi 1' editore come ne' diversi territori si sia sviluppata la razza serba in modo differente. E si ferma a dire della Serbia odierna. E conchiude: "Ad ogni modo nella sventura che or grava sulla piccola Serbia non dobbiam dimenticare che°la nazione ha un passato relativamente grande, e questo paese è chiamato a farne la parte sua in certo qual modo anche per l'avvenire. Ha il compito cioè di congiungere le ferrate turche colle austro-ungariche; ; e con le tedesche e in genere con quelle dell'Europa centrale. La Eussia nelle sue operazioni in Serbia ha misconosciuto che questa regione non spetta alla sfera d'azione russo-asiatica, ma bensì all'europeo-austriaca ha tagliata la questione orientale da un lato falso e in modo in quanto al diritto delle genti assai infelice, nella forma cioè "di neutralità con intervento armato.. Così si fa la politica in Europa. Il modo è un po' asiatico.,, Al titolo "Vila, (fata), il quale comprendeva tutto il libro del Gerhard, l'editore ha sostituito solo i titoli delle due parti: „Gusle„ per le composizioni epiche, „Kolo„ per le liriche. . I La "gusla, è uno strumento musicale dei berbi. La gusla è uno strumento a corde fatte con crine di cavallo, sovra le quali si muove un arco pure di crine di cavallo, e vi si percuote con le dita, e somiglia pertanto ora al violoncello ora alla chitarra. La musica ne esce monotona quanto mai, nè impedisce l'udire ciascuna parola della canzone e assai bene si adatta al melanconico verso trocaico. Con tale istrumento, accompagnano i rapsodi, che sarebbero ciechi, le loro epiche canzoni, dette "tavor,, parola che l'editore mette in relazione con "tabor,,; (meeting), sicché tavor sarebbero le canzoni, cantate in tali festive riunioni. "Queste canzoni epiche hanno per molti riguardi grande somiglianza coi canti omerici. Eappresentano condizioni guerreseo-buccolico-patriarcali simili a quelle di Omero. Son ricche di ripetizioni e di frasi stereotipe. Il lor pentametro trocaico rammenta l'esametro omerico,,. "Le canzoni eroiche, soggiunge, dell'antico serbo sono non solo interessantissime alla coltura storica, ma poeticamente bellissime.,, J »Kolo8, significa ruota o cerchio. Diverse paia di giovinotti e fanciulle formano un cerchio e pigliandosi per la cintura danzano a tondo. Nel mezzo trovasi la musica. La danza si fa all'aperto cielo, all'ombra di annose quercie e perfin nel cimitero, che presso i popoli del Danubio non riveste carattere funereo. E al suono della musicasi danza e si canta alternativamente o insieme, ed anche qui l'intelligenza delle parole non si confonde punto a cagione dell'accompagnamento. Il ritornello è: "Lodole mile — oj lodo oj — oj dode oj dodole — oj leljo poleljo — Tedena redena,, , parole che probabilmente, dice l'editore, non hanno alcun senso, come non si potrebbe attribuire alcun senso al ritornello tedesco: "hudiSh, hodiuh ecc.,, Seguono alcune osservazioni sopra singole specie di cauti lirici. Abbiamo ricevuto i primi numeri dei seguenti periodici : La vita italiana di Torino, l'Ateneo romagnolo di Forlì, Prime armi di Parma. Il Grillo del focolare di Lendinara (Veneto), La rivista misena di Sinigaglia. Questi periodici son tutti compilati con molta cura e diligenza e meritano essere raccomandati.