Dello stesso Autore : Una pittima, novella. Sfumiti tire, racconti. A suon di campane, racconto. Movimento Intellettuale in {''rancai /trinai e durante la rivoluzione, due conferenze, / Nostri Sonni, panine della vita triestina dal 1800-1830 Marine Istriane. Lagune di drudo. Tenrjti andati, pagine della vita triestina dal 18J0-1848, séguito ai Nostri Xohuì. Documenti per la storia di Grado. I dissiitì fra i figli di Raimondo 17 della Torre, documenti inediti. PIANURE FRIULANE GIUSEPPE CAPRIN PIANURE FRIULANE SEGUITO AI LIBRI MARINE ISTRIANE - LAGUNE DI GRADO Discoli originali «li: I,. Prof. COMEL (Gorizia), G. DE FRANCESCHI (Venezia), G. GAR-ZOLINI (Trieste), E. LANCEROTTO (Venezia), Prof. E. NORDIO (Trieste), G. SIGON (Trieste), A. TOMINZ (Trieste). Riproduzioni di: E. CROCI (Trieste), L. CHIADES (Gorizia), N. GIROTTO (Venezia), V. SCARPA (Venezia), E. SECULINI (Gorizia), TRIESTE Stabilimento Artistico Tipografico G. Caprin, edit. 1892. liepoNllarl : Gorizia c Provincia : G. PATERNOLLI I Regno d'Italia: F.lli DUMOLARD, cd.-lil>. (lorlzla. Milano. Per gli altri Stati: F. H. SCHTMPFF, Trieste 114970 I/ Autore si riserva i diritti previsti dalla legge sulla proprietà letteraria. v MESSIDORO rompa a (/reste Una sai/ra - Villotte Strada fantine II libro della morte — Filosofia romana — Cannone del dubio — Aquilcia. Messidoro In capo al bivio, un palo rivestito da quelle escrescenze fungose, che vegetano nel marciume ilei legni vecchi, sosteneva una lastra di ferro su cui la ruggine andava corrodendo le ultime tracce della scritta: 'Aquileia,. Una delle strade, tagliando il piccolo villaggio, correva dritta all'orizzonte, e la polvere della ghiaia, sollevata tini ruotabili, ricadeva sui rovi delle siepi. Non si moveva foglia nella gravezza della caldura soffocante ed afosa. Quella domenica la campagna affatto solitaria, sotto un fulgore di luce, e in una pace profonda, pareva riposarsi dall'opera della mietitura finita. Il secco non aveva svigorito la vegetazione: tutto brillava: l'aria, le acque e gli alberi; le piante selvagge pullulavano nei solchi, strisciavano 0 correvano volubili ad intrecciarsi sulle pertiche; dappertutto boccioli c fiori, ronzii ili pecchie, susurri di vespe che volteggiavano inebbriate dagli odori. ■s PIANURE FRIULANE Le spighe del formento giacevano accovonate, con lucente biondezza, e i fieni neri, sparsi sulle praterie com'eran caduti sotto le falci, esalavano il profumo dei foraggi odorosi. Lunghi filari di olmi chiudevano i campi segati sostenendo i festoni delle uve verdoline. La gioia dei colloqui aerei e l'abbondanza del suolo, la serenità del cielo e la ricchezza delle biade, l'opera del l'uomo ed il suo premio, rallegravano la terra che, esaurita la fecondità, aspettava che i fanciulli venissero a tagliare le canne per farne delle sampogne e mandar una eco del loro vergine entusiasmo al mistero eterno della creazione. Il villaggio per l'allegrezza di quella festa .aveva messo alcune bandiere sul campanile e fatto squillar eli giubilo le sue campane. Seguiva nel dopopranzo la sagra : essa ogni anno maturando gli amori acerbi, rendeva felice qualche coppia d'amanti, che sul tavolato del ballo, lietamente prometteva di aggiogarsi, marito e moglie, al lavoro, come due buoi all'aratro. 1 Attuinoli dei casali e dei pacsotti vicini giungevano a piedi o seduti trionfalmente sulla paglia che imbottiva l'arca delle carrette; (piasi tutti avevano ornato con fiocchi le bardature di corda degli asinelli, dei puledri e delle vecchie rozze, facilmente riconoscibili dalle code lunghe sino a terra o spelate come quelle dei sorci. Si sentiva tra la folla, quando gli ospiti benvenuti scendevano dai meschinissimi legni, nominar luoghi battezzati dalla vegetazione che li circondava una volta o tuttora li circonda: Fratta, che in origine stava nascosta in una macchia di pruni selvatici c sterpi; Nogaredo, ch'ebbe il suo bosco di noci ; Moraro, ancora affogato tra le corone dei gelsi ; Fogliano, che apriva la unica via alle foglie che il vento strappava da una selvetta circostante; e finalmente Olivars, schieratosi con le case presso un oliveto, del quale oggi non v'ha che il ricordo. b.rano convenuti anche i vignaiuoli di Papcriano, i coloni ilei Campidoglio di Komans e qualche molinaro di foggie friulane DEL XVIII SECOLO. • M lossl l ii >R0 Terza. Facevano dolce impressione questi richiami del mondo romano, vivo sempre sulle bocche dei contadini. Animava La folla una ilarità, che poteva dirsi nascesse per contagio, e un'aria di agiatezza velava la povertà campagnola; si assisteva veramente all' incontro di gente felice, che ormai sicura di un abbondante raccolto, veniva a godersi la breve e fraterna baldoria. E davvero nessuno avrebbe riconosciuti negli uomini che portavano indosso la giacchetta di velluto con la bottoniera di madreperla, o l'intero vestito di mez-zalana color prugna e i cappelli pelosi di feltro con le fibbie d'osso, i villani occupati un giorno a smuovere la terra ed un altro giorno a voltare il concime nero ; nò alcuno tra le fanciulle, con gli orecchini ti'oro, i grani di corallo falso al collo e i fiori a raggi gialli in testa, che tenevano legate le gonne sotto la cintura per sollevarle dal suolo, mostrando le scarpe scollate, avrebbe ravvisato la giovane andata scalza lungo i solchi acquosi ad affastellare la cannella del sorgo per rifornire il letto al bestiame. Messi i più begli abiti, portava ognuno il tributo di buon umore c di contentezza alla solenne festività; non vi mancavano neanche i vecchi, che affacciati ai ballatoi, o seduti presso alle porte, guardavano con gli occhi della memoria la bella età in cui anche il loro cuore aveva avuto affetti da nutrire e secreti da nascondere; fedeli alla foggia antica, gli uomini indossavano la bianchetto, di lana, la giubba rossa e le brache corte; le donne, una gonnella verdastra, su cui facevano bellissimo spicco il grembiale, il fazzoletto di merletti veneziani c il bustino di raso color limone. Il parroco, amico di tutti, e che tutti conosceva dentro e fuori, girava con 1' ombrello di cotone, in mezzo ai crocchi, mentre si faceva ressa agii ingressi delle osterie, e si parlava a voce alta, o si rideva a scrosci. Il vino ed il ballo eccitavano la vivacità sciolta e chiassona ; dal palco scendevano i rumorosi ballerini con il viso acceso, bagnato di sudore, untuoso ; la folla si divideva in piccoli i2 pianure; friulane gruppi, ed alcuni giovani, camminando, come soldati in ronda, cantavano le villotte: ' O buttadis tantis lagrimis Di fa corri un bici mul ni ; Il mio air se distniaeve Come ti nòli in tal la min. ' O sai sta de a confessami Benedett elici confessor! Al ni a dàt per piiiitincc Di torna a fà /' amor. Esilaravano queste canzoni ingenue e biricchine: echi melodiosi di ciò che la natura ha posto in fondo all' anima umana. Con esse il dialetto rustico sembrava sollevarsi dalle volgarità dei termini bastcvoli ai pochi bisogni e ai brevi orizzonti della vita campestre, ed appariva lo strumento della musica del cuore. Anche dalle acque dei fossi salgono delle goccio al cielo. La strada attraversando la villa andava ad Aquilcia, sempre accompagnata da due gore, piene sino agli orli, d'acqua che pareva traboccasse, tinta apparentemente dalle Salate cresciute nei limo dei fondo. Dove un ramo della via Gemina rasenta la Colombara, e con le due braccia dall'una parte va per San Canziano a Trieste, dall'altra toccando Ruda, Villcsse e scavalcando l'Isonzo s'interna nel passo aperto delle Alpi Giulie, la coltivata distesa, perche priva di ripari o di steccaie divisorie, sembrava un vasto ed unico possedimento. Aperta a tutti, non presentava varietà alcuna di vegetazione : androni e anguillaia di viti, e via così per quanto l'occhio poteva spaziare. Affatto vuota, illuminata dal chiarore rossastro del tramonto, se ne stava immersa in quel silenzio che spinge l'imaginazione a cercare in sè stessa figure, cose e voci; e per quell'intimo rapporto, che hanno i fatti col sito in cui sono avvenuti, succede appunto che s'imponga a noi la sola rappresentazione della memoria. La Colombara ricordava gli alveari in cui Aquileia deponeva le ceneri dei morti: lungo quella via e alla Tombola e sullo stradale di Terzo sfilavano due sontuose spalliere di sepolcri. Si erano scelti a luoghi di sepoltura i public! passeggi, perchè 1' uomo, anche quando cercava svago e sollievo, pensasse alla brevità della sua carriera, e gli esempi dei migliori gli parlassero col solenne linguaggio della tomba. (Musco dello Stato in Aquileia. J4 l'I WHJKK FRIULANE Una leggo consacrata dal culto ordinava il rispetto di (pici funebri asili; ma noi li abbiamo violati: la scienza, come gli spogliatola dei cadaveri, scoperchio le arche, frugò mi sarcofaghi, turbò la pace delle ossa e della polvere, si impadronì degli ori, degli amuleti, dei bronzi, delle ambre, intenta a sciogliere le bende ai misteri per trarre dalla morte gli clementi della vita di un grande popolo. Volle che (pici popolo risuscitasse per opera sua e ritornasse a provarsi nei cimenti del coraggio, ncll' arte del governo, nelle relazioni sociali, nell'intimo scambio degli affetti, in tutto il suo potente vigore e nella sua feniinile mollezza: ebbro di trionfi, di perfidia, di voluttà: glorioso signore del mondo. Alle indagini ed alle ricerche i sepolcri rispondevano: così oggi si presentava alla scienza l'episodio di una lotta nel circo, domani il domestico romanzo d'amore, il piccolo poema della felicità famigliare o la fredda parola con* cui lo stoico fieramente derideva la suprema sentenza della natura. Ai fianchi di quella strada si apriva il luogo sacro, delizioso, pieno di fiori, con le cupe arborcscenze e l'edera che fluttuava sulle bianche balaustrate ; a dritta ed a manca sorgevano lapidi, su cui erasi scolpito la dolce nota di una vita felicemente trascorsa, oppure la sfida irriverente all'eternità. Tutto ciò si ripresentava alla mente trovandosi al cospetto di quella larga e inanimata campagna, battendo <[mila via più che millenaria. Pareva di veder procedere per il grande viale il trasporto funebre di Vassilla, la più illustre attrice del secolo di Cara-calla. Gli annunzi mortuari, scritti sui muri delle case e nei publici ritrovi, hanno raccolto tutta la città intorno alla bara incrostata di avorio, in cui il corpo della defunta unto di balsami riposa sovra un letto di narcisi. Precedono i Hauti, quindi vengono le piagnone prezzolate, i coristi, gli attori. Una donna del teatro ripete la scena in cui Vassilla fu insuperabile. Lottatori, ganimedi; corpi di centuria, veliti, classari e nobili chiudono il corteo. La salma deposta sulla pira viene arsa. L' umetta di alabastro in cui stanno raccolte le reliquie scende sotterra, e un marmo col bassorilievo, che rappresenta la diva nel tipico atteggiamento della declamazione antica, resta ad indicare il sito ove giace quella gloria dei ludi scenici, morta mentre recitava innanzi all'affollato publico aquileiese. La turba dei comici grida: *Viva Vassilla tli Utlissao orientale ! t e un maestro ci £ grammatica legge ad alta voce l'epigrafe greca: «A te Vassilla, famosa nell'arte, fra molti popoli e grandi cittadi insigne per la bella voce. — A te nel dramma valentissima mima, chiara nel coro e ncll' orchestra. — A te decima musa della declamazione, Kraclide mimo, questa lapide pose. Gli onori funebri resi a te morta furon pari ai trionfi della tua gloriosa carriera. — In sulla scena volesti morire. — Tace t'implorano fervidi i colleghi. Siamo tutti mortali!» *« Anicia Glicera, schiava presa in moglie da Publio, dice con il suo epitaffio a coloro che vengono a gettar fiori il giorno delle feste violane, la suprema contentezza raggiunta: «l'ui abbastanza felice nella vita mia, dacché piacqui al mio buon marito che dalla più umile condizione m'inalzò al sommo onore.» K K Un ignoto piantò una lastra tli pietra con la breve leggenda : t Chiunque tu sia che conoscesti Alessandra, ti prego di leggere queste poche parole e di andartene dolente, pianure FRIULANE Oppure non dolertene: non c'è il male dove c'è il nulla. Morta! tu giaci come se tu dormissi!» *» Tito Vcttidio Pindaro e Vcttidia Fiala vollero distrarre dal loro avello ogni compassione mostrando ch'essi l'avevano per il sasso che celava i loro resti purificati dal fuoco: «() lapide, ti scongiuriamo ili posar leggermente sulle nostre ossa, affinchè tu sepolta con noi non abbi a dolertene.» ** Marco Antonio Valente, figlio di un veterano, fa scolpire il proprio testamento sull'alto dado funereo: egli lascia la sua casa, in cui abitava per molti anni, ai propri colleglli della centuria, a titolo e condizione, che con le rendite dello stabile, il (piale non deve venir venduto, nè ipotecato, ogni anno all'anniversario della sua morte facciano libazioni sulla sua tomba col vino prediletto che beveva all'osteria di Mariano, lungo la strada provinciale. * • * Quasi tutti lasciavano scritto su quelle tetre tavole della morte sentenze e pensieri, che presi insieme provano come nel popolo romano alcuni non credessero ad un secondo destino, altri invece ammettessero la continuità della vita, e questi facevano rappresentare nei bassorilievi un banchetto O Psiche ed Amore in atto di baciarsi, e ponevano accanto ai resti della dama le sue cuffie e i suoi monili onde potesse adornarsene, e presso agli avanzi di una fanciulletta la sua bambola e lo scongiuro contro il lascino e il mal d'occhio ossia la ietto tuia. Non tribolava nessuno lo spavento del castigo eterno, non l'eterna chiusura nel seno della madre terra: gli uni SÌ rassegnavano a tornare un atomo insignificante, gli altri sognavano una nuova esistenza senza travaglio: la immortaliti! delle anime. Urna funeraria con rappresentazione di un l>am lutto. (Musco dello Stato in Aquili-iu.) Come rapidamente la memoria era andata formandosi il bel quadro romano là, dove una volta crepitarono i roghi, cosi altrettanto presto tlileguaronsi le evocazioni; e col funebre incanto, sparirono le torri mozze, i mausolei e gli ermotafi ; e tutto tornò in quel buio che alterna le nostre visioni. 1'lANVkK KkU'LANl.'. La notte permetteva che a grande lontananza si potessero avvertire i rumori della sagra, smorzati dal frondeggio degli alberi e dalla soffice ed erbosa pianura, Da un casolare posto presso ai ruolini di Monastero, usci un canto: A muri, muri pazienza ; Che a elicsi mond non si h dì sto; Ma ì è dura la sentenza No Siive dilla si va. te * # Ero giunto in Aquileia. Nella oscurità turchina della notte si distingueva la torre della cattedrale, perfettamente nera, sur un fondo pieno di stelle. Il grido rauco dei corvi scendeva dall' aguglia : l'uccello sacro ad Apollo aveva fatto il suo nido sul campanile di uno dei primi templi della cristianità. Antica urina d'Acjuilcia. II. AQUILE IÀ /'(ics(i;/!/i<) e fi filtrine ('creatori di monete —- Orinine favolosa — la colonia militare — Vemporio commerciale — Aspetto della città -- h'diji/ì, passeggi publici, botteghe — la folla delle divinità — // Palazzo imperiale — Tassellaci — // Museo — Vanità feminilc — Bellezza tuli fidale — Arte oscena — Corruzione dei costumi — L'assedio di Massimino —- Epigrafe eloquente. A (JU I LE IA ìIjlQUILEIA antica è in buona parte ancora sotterra: la coprono te glume dei cereali, i frascati ilei vino e i fiori dèi pascoli delle api. l'osta in un angolo remoto, con pochi abitanti dediti all'agricoltura, conserva sempre La superbia del suo illustre passato. Un'ultima fronda della secolare boscaglia di pini le getta un po' di ombra solenne e il mare le invia quotidianamente il suo bacio; da una parte con la via di Eeligna, dall'altra con il fiume Natissa, essa si unisce alle lagune di Grado. Giace proprio ove la plaga fertile va a finire in un lido salso, su cui la natura assume la pittoresca selvatichezza dei luoghi ribelli alla cultura e quasi sterili. Quando le piante palesano la riluttanza del suolo a nutrire erbe utili, s'avverte un rabbioso infoltimcnto di sterpi, con terribili armature ili spini ; pili abbasso si aprono le riviere nude e lustre della maremma. l'i \M ' K E FRIULANE Il Natissa scende abbandonando le case c i broli, scivolando tra le spónde nascoste dalle Spazzole dei canneti ; alcune pioppo, con la chioma perfettamente bianca, lo accompagnano sin dove scarica la sua onda azzurrina tra gli affioramenti fangosi che il flusso giornalmente sommerge. l'i;,//a d*Aquile!* Aquilcia, per essere vicina a Grado e per le attinenze con quegli isolani, presenta un carattere particolare, originalissimo: la sua aria ha l'odore della campagna e del mare, la sua popolazione partecipa della laguna, su cui sorgevano i cantieri, la casa del prefetto marittimo e le abitazioni dei dendrofori. Vengono giornalmente a visitarla i pescatori che hanno insidiato il pesce in tutti i meandri della palude ; poi le venditrici di gùt di sogliolinc e piccoli cefali; finalmente approdano in piazza le barche con le vele spiegate e talvolta ancora gonfie di vento. LAkCAU OLA SUL l'IU.MK XAT1SSA. M,il II.KIA 25 Dalla parto opposta invero si lavora nei fenili e nelle stalle, tra i solchi ondulati delle verdure o dietro le chiudende. I fanciulli fanno all' amore con le anitrellc che vanno a rinfrescarsi nei guazzatoi, e le donne presso le rogge sono intente a lavar la biancheria nell'acqua che corre e scappa loro dalle mani. Bisogna trovarsi la dopo un acquazzone per assistere ad uno spettacolo interessante: si vedono i paesani, sbandati per i campi, andar alla cerca delle monete, delle corniole, delle agate, degli onici e ilei diaspri, che la pioggia violenta e grossa mette a nudo dilavando il terriccio. Le reliquie della cupidigia e della vanità accusano la prossimità degli avanzi umani. Difatti ;i pochi centimetri dalla superfice si rinvengono le strade, le vestigia della città cristiana e dell'epoca longobarda, poi i ruderi dell'emporio imperiale e più sotto quelli della primitiva colonia. Quanto più è profondala vena dei marmi e dei rottami, tanto più lontana la storia e piìi fosca. * -:<- I popoli antichi amavano ripetere le proprie origini dal mito: volevano sentirsi legati magari con filo sottilissimo al cielo. La voce di un nume o un segno profetico aveva indicato ai loro padri la via da percorrere in traccia di un asilo o l'asilo stesso. II cervo nero guida le tribù asiatiche attraverso 'umida e diserta Meotide ; la giovenca screziata conduce Cadmo nella Beozia e si riposa dove sorgerà Tebe; uno stormo di avvoltoi ferma il volo sul posto in cui si fabri-eherà la città eterna dei Latini. La stessa Aquileia riceverà nome, secondo alcuni, dall'aquila bianca che scortando i fondatori indica il luogo dove ne erigeranno le mura, mentre probabilmente così la chiamarono dal vicino fiume Aquilius. Essa venne edificata nell'anno 1S3-181 avanti Cristo, quando Roma, vittoriosa nella seconda guerra punica, aveva non solo offuscato il genio di Annibale, ma schiacciando 'e' razze rivali, si era assicurato il predominio sul mondo. 2<> l'I ANI* K K I Kil I.ANK La Rcpublica, che non si estendeva oltre il Lo, si accorse che i varchi alpini rimanevano aperti ai nemici, bastando dalla parte orientale della Venezia che l'invasore attraversasse la selva del Piro per trovar libera la pianura alla sua marcia. Aquileia fu l'ultima delle dodici fortezze allora costruite : il più sicuro antemurale contro le irruzioni barbariche. La cerimonia della fondazione seguì l'uso etrusco. Premesso il rito religioso, si segnò l'area con il solco d'un aratro tirato da un toro e da una vacca, badando che il coltellaccio rivoltasse le fette di terra dalla parte interna, lasciando scoperto l'orlo esterno della fossa; la pianta ricevette la forma, allora preferita, di un perfetto quadrato. I coloni, inviati allo scopo di scacciare i Galli, scesi a danno dei popoli della Venezia, si divisero l'agro dal 'ragliamento al 'limavo, imponendo i propri nomi ai predi conseguiti. Inalzarono numerosi castelli sui colli e sullo vette delle montagne. La rocca di Cormons comunicava mediante segnali con le torri in quel di Sagrado, Monfalcone e Duìno e tutte insieme custodivano i passi aperti tra Ì dirupi della grande catena. Si trasmettevano gli avvisi durante il giorno col fumo, di notte con grandi fiammate. Il vallo e il forte presso Aidussina davano quartiere a quel confine vivo, che i Romani mettevano a guardia estrema dei loro domini. Dove la giogaia pianta i suoi sproni presso Adelberga, sorgevano le colossali are postumìe, che dall'ultima altezza mandavano il fumo oleoso al nume maggiore; il ricordo delle quali ci viene conservato dal nome di quel borgo che gli Slavi, sdegnosi di un' eco italiana, chiamano corrottamente Pùstoìna. Aquileia, destinata ad albergare l'esercito e a tener forniti i depositi d'armi e d'attrezzi militari, ebbe dapprincipio uno sviluppo solamente militare: nutriva, alloggiava, metteva in moto le truppe che andavano a frenare gli Istri, i Carni, i Taurisci cd i Liburni; ingrossava gli eserciti destinati a passar le Alpi, ospitando Giulio Cesare ed Augusto cpiando mossero contro i Germani ed i Pannoni. Marco Aurelio e Lucio Vero, prima d'intraprendere la campagna contro i Marcomanni, vennero tra le sue mura, seguiti dal celebre medico Galeno, a passare in rivista i corpi militari. Svctonio racconta che vi giungesse da Galilea il grande Erode, a cui il vangelo attribuisce la strage degli innocenti, e lo ricevesse Augusto, che si preparava a varcare il confine. Tu essa cercarono riposo nei tempi di pace i più valorosi combattenti, come fanno fede le epigrafi per le legioni XIII e XIV gemina, IV appolinare e VIII augusta, e la inscrizione maggiormente nota e celebre, che mantien vivo il nome tli Tito Stazio Marrax, primo pilo (capitano) della legione XIII gemina, insignito dei torqui (collane), di armille e falere (decorazioni per la corazza), tli asta pura (due volte) e cinque volte con corone d'oro, premio al suo grande valore. Per due secoli Aquileia mantenne tutta la importanza strategica di luogo forte a pie' delle Alpi ; senonchè con Giulio Cesare subentrava Pitica di un mondo universale l'ornano. Il grande condottiero, nella sua corsa trionfale riuscito a domare le Gallio, Y Elvezia, il Belgio e la Britannia, aveva soggiogate trecento popolazioni e debellate ottocento città. L'impero fece proprio il sogno che sorrise al grande dittatore. Augusto conquistò l'Egitto, il Norico, la fandonia, la Misia; Caligola la Numidia; Claudio la Mauritania; Traiano la Moldavia, la Valacchia e la Transilvania. Quando le vittoriose legioni portarono i vessilli e le aste delle aquile sulle rive del Danubio, Aquileia da fortezza difensiva diventò solamente offensiva. Le città tli Emonia, òi Petovià e di Carminio, munite di difese guerresche, furono destinate a sostituire la piazza forte, che divenne presto il granile emporio commerciale. 28 PIANI K K l'KU'I.AM; Tu breve tempo Aquileia accoglieva nel proprio seno quasi mezzo milione di abitanti. Le leggi che regolavano i rapporti fra i cittadini e lo Stato avevano subito una importante riformai giacché la colonia era stata inalzata a municipio. I^a nuova cinta abbracciò un maggior circuito e cominciarono a formarsi grossi borghi esterni, mentre ville e giardini rallegravano la pianura sino alle rive del mare. 1 .a città cangiò fìsonomia ed aspetto con la suntuosità (.Ielle fabriche, che si moltiplicavano di giorno in giorno. Si poteva leggere su quelle costruzioni il segreto pensiero, che voleva veder riflessa la grandezza dell'impero nel mondo esterno. La folla dei mercanti, dei liberti, degli schiavi, dei naviculari invade i mercati erbari e quelli del pesce, i passeggi coperti, le gallerie, la via che conduce al mare e le strade fuori le porte, oppure si riversa nel foro, si agglomera davanti alle curie, a! campidòglio, intorno ai templi che spiccano coi bianchi intercolonni tra l'immobile verdura dei cipressi e dei bossi. Per le vie, piuttosto anguste, corrono le doppio file-di botteghe, di officine o le baracche sporgenti dei chiavaioli, pistori, venditori di vestiti tamari o di velo, oppure quelle dei tessitori, bottai, degli argentari, dei labri di lance, lavoratori di' pettini, gioiellieri e margaritari, tra .cui uno va superbo di poter esporre l'insegna Alla citta dì Roma. Grandiose fontane riversano l'acqua nei bacini levigati; gli orològi solari indicano il rapido fuggire del tempo. Il teatro, l'arena ed il circo, concesso soltanto alle città in cui tenevano residenza gì' imperatòri, alternano gli spettacoli: la commedia, la pantomima, i cori ed i ludi scenici precedono o seguono i giuochi circensi, gli agoni equestri, gli spettacoli feroci e sanguinari. Il politeismo mostra in publico la sua natura proteiforme, e la proclività a piegarsi alle esigenze dei'consacrati pregiudizi. Si vedono sotto edicole, nelle celle o cappelletto, campeggiare i geni ed i numi che presiedevano alla FRAMMENTO DI PARAPETTO NELL'INTERNO DEL TEATRO (Museo dello Stato in Aquileia.) f s> ■ < Aquii.ii a jr semina, all'abbondanza, alla forza, al commercio, alla vendemmia, alla salute, alla grazia, alla bellezza, al piacere e sino alla morte. Si allineavano come sentinelle del cielo, una dopo l'altra, le divinità ignudo, uscite dalle mani di valenti scultori, con le forme aggraziate o mostri lascivi ed immondi : Venere voluttuosa e procace, e la Fortuna barbuta a cui ricorrono i giovanetti per ottenere il primo pelo del mento; Diana efesia con un gran numero di poppe e Baccanti con tirsi e cembali, pronte alle danze notturne-; le ìmagini dei fiumi, cornute, con la canna nella destra e 1' urna al fianco. Presso ai simulacri pagani grandeggiano i monumenti equestri a Caio Verazio, protettore della plebe urbana, curatore dell' lllirio e dell'Istria, legato dell'Africa e insignito di molte altre cariche importanti; al podestà Calvio Pollone, che si è reso benemerito con la sua opera disinteressata, e finalmente a Caio Minicio Italo, che ottenne da Traiano a favore di Aquilcia il privilegio che i consorti ascritti al municipio potessero godere le stesse dignità dei cittadini. I" gran numero le tavole e le leggendo destinate a suggerire nobili azioni o che perpetuano grandi vittorie o glorificano virtù personali. Il palazzo imperiale, posto a settentrione, coronava la superbia della mercantessa romana: tutto di marmi preziosi, era degno asilo di quei Cesari, che amavano vedersi effigiati da pontefici, generalissimi o coi paludamenti e gli attributi di un Dio. Dalle epigrafi, dalle leggi e dai passi di alcuni autori latini si apprènde la frequente e lunga presenza degli imperatori nell'emporco. Si sono trovati, uniche vestigia del suntuoso edificio, quattro grandi medaglioni e due colossali figure: T una rappresentante un membro della famiglia di Tiberio, probabilmente Druso, riconoscibile dall'orecchia sinistra attaccata più m sù della destra ; V altra figura è il corpo di Caligola con la testa di Claudio: essa ricorda come si dannasse nella IMAM IRK l'Riri.W'K memoria quel pazzo crudele, che avrebbe voluto il popolo romano avessi- una testa sola per potergliela recidere, l'u «malato dai suoi stessi pretoriani, decapitate le statue che lo raffiguravano, si cancellarono in tutto l'impero le epigrafi che dicevano gli elogi dell'odiato tiranno. Medaglione con l'effige di fìiovc. (MlUeo dello Stat) in Aquilcia.l Aquileia, non lontana dalle terre dell1 Illirico, del Norico e della Giapidta, si congiungeva con i raggi delle sue strade a Roma, ai paesi della costiera veneta e ravennate ed a quelli dell'Italia settentrionale ; scavalcava le Alpi con le vie di Zuglio, della Pontebba e del ['redil, mentre una delle gemine le apriva la valle del Vipacco, 1' .altra scendendo a Trieste la ravvicinava all'Istria ed alla l.iburnia. Provveduta di facili mezzi di traspòrto, popolata di gente laboriosa ed avida di guadagni, toccando il lembo delle acque gradale", bacino in cui ancoravano sicure le galere, l'IANURK KK 11'I.ANK. diventò lo scalo dei vini, dell'olio, delle granaglie e dell'ambra. Importava le droghe, l'incenso e il papiro dall'Egitto, le frutta e la pece dalla Grecia, il vino dall'isola di Caiulia, l'avorio dall'Africa; inoltre le pelli dalla Dalmazia, le lane e le pecore dall'Istria, i metalli, gli schiavi e gli agnelli per i sagri tìzi dai paesi d'oltre alpe. Sul suo mercato boario si vendevano i bufali gibbosi delle selve presso al Timavo, che venivano domati al giogo. Le industrie sparse per la pianura producevano il lino per le armate, le vele per la flotta, le stoffe coiche, le ceramiche, i vasi di argilla sigillata o di terra d'Arezzo, dipinti e storiati, i mattoni, la porpora raffinata, i vetri e le con-terie, che passarono poi a Venezia. Si richiedeva dall'operaio lavoro esatto e sollecito. Un mattone ha incisa la seguente ammonizione: Cave malum si non raseris Interes D. C. si raseris minus molum formidabili^, cioè: 'Guardati tla un malanno se non farai seicento mattoni, se però li farai non ti coglierà la paura., Dei molti pavimenti in battuto (terrazzo) e mosaico, scoperti dentro e fuori elei muraglioni, due Spe cialmente, sfuggiti alla rovina dei volontari e ignoranti scavatori, dimostrano (piale finezza avesse raggiunto l'arte dei tassellali. Uno di questi pavimenti, probabilmente fatto per un salotto da invito, presenta un aggruppamento di pesci con le scaglie iridescenti, conchiglie, frutti marinile foglie di viti; l'altro, che formava il suolo di una stanza per lavacri, rappresenta il Ratto dò Europa. Riproduce il momento descritto da Mosco in uno de' suoi idilli: Che ratto il toro, scorsa già la sponda. Il suo cani m iu seguendo entro nel mai e Come un del fin........ E lo stessa Net tu n, o ufo, fi cu/cute. Sulla via ruffianava il flutto inquieto E la strada al (lei man siiti onde apriva. Ma la rapita Europa, assisa in dorso Al giovenco fuggente, all'un dei corni Con una mano s'atti ne a..... IL RATTO D' EUROPA — MOSAICO ( Museo dello Stato hi Anuileia. ) 11 tassellarlo adoperò minutissimi pezzetti regolari di marmo colorato, giovandosi di cubi vetrini azzurri per dare lucentezza all'acqua. Esposto alle intemperie, il mosaico deperì, ma gli archeologia lo stimarono come una delle più considerevoli fatture ili quell'arte, che i Greci dicevano delle Muse, per cui ad essa derivò anche il nome di pittura de illusivo. * * Il Musco aquileicse e le molte collezioni che custodiscono la preziosa eredità romana ci permettono di leggere il libro intimo di più di venti generazioni. Nulla pare che sia mutato nell'anima umana: la stessa sete di superiorità, lo stesso bisogno di lotte furibonde: amore ed odio, diffidenti e celati, che vivono l'un pressò all'altro. Un immenso spettacolo si affaccia alla vista. Pontefici, sacerdoti e augu-stali passano col sorriso furbesco, guardando i piedi e le mani votive o iurte al tempio da quella gente che gioca ai dadi e all'astragali; giovani ganimedi si addestrano al tin > del disco nei cortili delle terme ; sui »natori di flauto e di doppie fistole carezzano il riposo ilei corpulento parassita, mentre uno studioso consulta la rosa dei venti e depone sul tavoli) il bel calamaio di bronzo fuso, e il chirurgo esamina i suoi piccoli strumenti. (Collezione de Calamaio ili Uron/o, barone Eugenio Kìiiir di Gorliia.1 40 PIANURE FRIULANE liceo la sfilata di tutti gli ufficiali del governo e ilei municipio: il podestà, i quatuorviri, i cento senatori, il maggior tesoriere, il procuratore della zecca, seguiti dai trombettieri e dal coro musicale e spalleggiati dai littori, tutti L'apoteosi
  • sare Odoacre, quindi Teodorico, che con la vittoria sull'Isonzo andava ad assicurarsi il nuovo regno italico dei (ioti. Fu Teodorico il pìu mite dei principi ; vesti alla romana, volle che nella sua corte in Ravenna si parlasse latino, ma conservò il comando tedesco nelle milizie. Non tolse gli uffici civili e criminali dalle mani dei magistrati che già li dirigevano, affittò le cariche militari ai propri: gente teutonica. Il regno bipartito prendeva aspetto dai due popoli, dai due governi, divisi da due favelle. Era quello il prodromo delle forti influenze settentrionali e del predominio dello spirito nordico sulle razze latine: 70 PIANI'Ur. I-'KU'I, VNI-. «incora pochi anni e non cadranno più solamente le città, ma naufragheranno le istituzioni, tramutate nelle proterve signorie ducali; diverrà arbitra la spada: essa imporrà silenzio, scioglierà i litigi, le gare, sino i nodi d'amore. La terra trasfigurata, un dolore accumulato sull'altro, addoppiate le catene, il popolo parrà più non esistere, tratti) unicamente a servire o ad assistere tumultuoso ai drammi dei re ed agli spettacoli cavallereschi. Alboino, nel 568, calò con le sue turbe; occupato Qvidale, avviatosi quindi alla conquista dell'alta e media Italia, fermò residenza in Pavia, lasciando a custodia del Friuli il suo scudiero Gisulfo con un grosso numero di scelte famiglie. Il nome di Longobardi pretesero alcuni derivasse dalla città di Hardt, posta alle rive del baltico, reggia di Andoino primo duce delle imprese contro i (lepidi; qualche altro sostiene venisse dato ad un popolo scandinavo per le lunghe alabarde che portava, e v'ha chi lo fa provenire dalla seguente leggenda: Trovandosi i Vandali in guerra coi Venali, pregarono Wodan volesse; loro accordali' la vittoria, a cui egli rispose la concederebbe a chi primo si presenterà a lui al prossimo levar del sole. Freya, moglie di Wodan, avvertì i Vendi, che mandarono per tempo le donne con le trecce allacciate sotto il mento, ad aspettare chi- il Dio si presentasse al balcone del VValhalla. Vedutele, fedele alla promessa, Wodan diede ai finti guerrieri dalla lunga barba il nome di Lattg-/unteli, e la vittoria. Lo stabilirsi dei Longobardi in Italia venni1 accompagnato da una congerie di violenze e d'inumanità; però, dopo cinquantanni di dominio, si mitigò la prima ferocia. Le costumanze dei vincitori s'insinuarono nei vinti e viceversa; questi imposero le proprie a quelli, talché alcuni usi divennero comuni. Il conflitto fini fondendo insieme parte di ciò che formava il carattere speciale di ciascuna delle due nazioni. Venuti i Longobardi, senza leggi scritte, portarono il diu-llo v la pugna giudiziaria, ma accettarono dai Romani l'inviolabilità degli asili e il giuramento sugli evangeli; introdussero il servizio personale nelle opere fortificatorie e nei lavori publici, rimasto sino allo scorso secolo col nome di rabotti., e modificarono X ordinamento militare secondo le discipline romane importate. 1 capelli e la barba erano il contrassegno degli uomini liberi; gli schiavi venivano rasati ; la distinzione rimase nella tonsura ecclesiastica, che ancora oggi sacrifica le chiome dei servi e delle serve di Dio. L'avvenuto cambiamento nel carattere dei principi si palesa chiaramente in tutti i fatti della storia. I primi re longobardi violano gli altari, spogliano le chiese, le atterrano e pili tardi ne fanno edificare con proprio danaro, e, da passimi limosinieri, le arricchiscono con donazioni di prati, di vigne, di mulini Assaltano e derubano Monteeassino, ma un giorno lo ricostruiscono e fondano i cenobi di Fanano e di Nonantola. Alboino inaugura i fasti del suo insignorimento obligando la moglie a bere da un nappo prezioso formato dal teschio del di lei padre, e rimane vittima di tanta scellerata crudeltà; Clefo, che gli succede, cade col ferro infissogli nel cuore da un paggio, ed Adoaldo muore per veleno. D'allora si fanno più rade le rappresaglie ; i re si convertono alla giustizia, rigettano l'arianismo per abbracciare la religioni- del paese, proteggono il clero, muoiono tra le braccia dei monaci o gettata la spada delle prodezze, vestono le lane benedettine c si votano alla solitudine dei conventi. Il volgo narra di apparizioni vedute sui sepolcri di Rotati, di Rachis ed Anselmo, morti in odore ili santità, e parla dei miracoli di Desiderio, ultimo re, con cui si spegne un governo di duecento sei anni. «Così rapido, dice Gibbon, fu L'influsso del clima e del l'esempio, che i Longobardi della quarta generazione rimiravano con curiosità e timore i ritratti dei selvaggi loro antenati.» La vita publica e privata venne tuttavia smossa dai suoi cardini; sfatta e rifatta, acquistò nuova fisionomia e UUOVO sentimento. 72 PIANURE FRIULANE Prevalse in gran parte la civiltà antica, che assorbì il popolo nuovo e lo naturalizzo; ma essa uscì dalla lotta cruenta e valorosa, come un trionfatore con le stimate sul corpo. * # Le grandi catastrofi storiche sono talvolta accompagnate da un (piasi completo offuscamento intellettuale; si compiono sotto una crescente privazioni- di luce, come gli sconvolgimenti celesti Allorquando i Quadi e i Mareomanni (402-404) scesero per impadronirsi della Penisola, la società romana toccava quella decrepitezza, che annuncia prossima la morte; il cristianesimo contribuì potentemente allo spegnimento del genio pagano: i pergami ambulanti, le polemiche dei primi teologhi e gl'inni mistici fecero tacere le tribune classiche e la vigorosa e fresca poesia ; 1' arte, smarrito il sentimento della bellezza e il concetto della forma, era discesa ad un livello d'invilita infantilità. Le statue del 111 e IV secolo, rinvenute in Aquileia, sembrano modellate da chi non sa riprodurre la figura umana; le tombe dei ricchi, che prima avevano le proporzioni e l'aspetto di un tempio, si ridussero a piccole bare di zinco o di mattoni, mentre alla plebe era riservato il comune carnaio. 1 fùssores cd i becchini, tetri ufficiali della morte, s'incaricavano delle silenziose e solitarie funzioni ; i lapicidi non sapevano più scrivere, per cui le iscrizioni sembrano incise, da mano affatto inesperta, con la punta uncinata di un chiodo. Le epigrafi stesse mostrano coi marmi le corruzioni a poco a poco infiltratesi nella lingua, e leggi-si frequentemente il luiiis friulano per liinac, il i/icsis, precedente al uiics, per mentis, e sino riscontransi gli errori di pronuncia: botimi per votai//, bixit per vìxit. Nel Friuli non si parlava mai il latino puro e corretto. Cicerone scriveva a Bruto, che ove avesse a portarsi in queste regioni, udrebbe delle parole non usitatc in Roma. 74 PIANURE FRIULANE Il vescovo aquileiese Fortunazio, nel IV secolo, teneva i sermoni in romano rustico, allora parlato dalle plebi, con varietà regionali. I .e voci forestiere, che infestando le lettere si fermavano sul labbro in tutte le province dell'impero, furono l'avanguardia delle orde barbariche. L'occupazione longobarda, che abbiamo veduto rabbonita dopo tli essere stata vessatoria e crudele, segna la fine del bel linguaggio dei frugali e robusti figli del La/io: rifugiatosi nelle chiese, usato dai magistrati e dai notai, accostandosi fuori al parlare straniero, diede i natali al volgare italiano. Dalla confusione dei popoli e delle lingue nasceva con vocaboli e accenti di (pianti inflissero o subirono la servitù, il dialetto friulano, chiamalo tla Dante dialetto aquileiese. Intorno a questistesso tempo si smarrirono i nomi gentilizi perdendosi le cognizioni delle origini famigliari. (ìli ecclesiastici avevano rinunciato ad ogni indicazione patmnomica; i Germani in genere non usavano che il nome personale, non conoscendo le distinzioni per famiglia. Venezia soltanto sulle sue isole conservò le genealogie delle discendenze legit time dei suoi cittadini. Appena nel X e XI secolo ricomparvero i cognomi nei 1'.alternarsi dei governi municipali, nei rinfrancarsi che faceva la vita publica : alcuni longobardi avevano già adottato il nome del padre; così Paolo Diacono si chiamò Paolo Warnefried, mentre più tardi i nobili assunsero il nome proprio dei loro capo - stipiti. I Lanthieri si appellano da un loro antenato Lantherus e cosi i Rinaldis, gii Antonini, i Valentinis cd i fascili o Basilio. Si cominciò poi a cognominarsi dal paese in cui si era nati, dai feudi, dall'arte o professioni esercitate, da virtù o difetti personali, da speciali meriti o dignità. I Salamanca e i Bresciani di Gradisca spiegano chiaramente la loro origine, così i Boemi di Cividale e i Locatelli di Gorizia, provenienti questi dalla valle Locatcila, in quei di largamo ; altrettanto i Rabatta, di ceppo fiorentino, che assunsero il nome della terra di cui un loro avo era giurisdicente. I Panigai presero il nome del castello di Pani-gaglio, del quale ottennero la investitura nel 121s. Ad una famiglia tedesca, trapiantatasi nel Friuli verso il XII secolo, il patriarca Ulrico diede il feudo e la distinzione di Attimis; i Fortis, discesi coi Longobardi, trassero il cognome dalla prossimità della propria casa alle porte della città di Cividalc. 1 Del Mest ri di ( 'ornions, oriundi toscani, furono cosi cliia mati da un loro valente maestro di filosofia. A questi cenni sulle origini tli alcune famiglie, in parte esposti da Rodolfo Coronini nel suo libro sulle origini dei Waldstein, aggiungo alcune firme trovate in un vecchio documento cormonese, inedito, che giovano ad illustrare la storia del rinascimento dei cognomi. Spiegano tutte abbastanza chiaramente la loro derivazione: Domenico e Toni Graffico, Giovanni Muraro, Luca Serafin, Giacomo Ciprian, Giacomo Gasparin, Gasparo Gasparin, Domenico Baldassar, Domenico Rocco, Nadal Nadalut, Toni de Giorgio, Niccolò Ortolan, Giacomo l'iasentiii, Giorgio Furios, battista de Borgnan, Iacum G ras, Bastiano Cargnel, Bastian fiol de maistro Gal. * * * Cividalc subiva anch'essa la sorte comune e vedeva compiersi quella fusione, che nel crogiuolo scaldato dal fuoco dei barbari, preparava il nuovo elemento italico. Crollava e cadeva sotto ai suoi occhi il monumento civile dell'antichità: lungo, esatto e maestoso lavoro, che rappresentava la forte unione dell'ordine, dei sapere, del diritto e dell'arte, ed assisteva alla ricostruzione massiccia, ma rozza, a cui s'impegnava un popolo avvezzo soltanto a vivere con le armi in pugno, la cui anima però s'illuminava di un crespuscolo di fiera indipendenza. Sede dei duchi longobardi, acquistò 1' importanza di una città di confine, padrona della provincia distesa agli 7" l'I ANI ' K K, l'KU I. V NI' ultimi limiti degli alpestri baluardi. 1 .e obbediva Aquileia, focolare di rivalila ecclesiastiche; il resto della campagna, soggetto alla sua giurisdizione, aveva pochi predi e rarissime ville, la gente, impaurita e t remante, essendo esulata in buona parte sulle isole lagunari. Capitale del frinii, centro del movimento politico-militare, albergava le nove magistrature, il clero col vescovo diocesano, e il tinca, abbastanza indipendente, giacché poteva far la guerra e la pace senza attendere gii ordini o i consigli dalla reggia di Pavia, Nella dieta generale delle calende tli marzo si faceva la rivista delle forze militari, nelle quali la ricchezza otte ueva le principali distinzioni e la più onorevole armatura. I possessori di maggior quantità di terre servivano a cavallo, gli altri a piedi : a quelli l1 elmo, la corazza e la lancia; ai secondi il turcasso e la lai etra. Queste diete lasciarono il nome a molte località; il Cumarzo presso San Nicolò di Ruda servi sicuramente allo scopo accennato. Le rocche romane, distrutte e riedificate, correndo da Gemona ad Arlcgna ed Osoppo e da Cormons a Duino, davano quartiere agli avamposti ed ai cavalli per gif avvisi. Cividale era la piti forte e in pari tempo restrema barriera, e pati le sorprese degli Avari slavi, che probabilmente sbandatisi dal sèguito di Attila, si annidarono in sicurtà tra le altezze, per gettarsi come falchi a rapinare nelle valli. Gli storici fissano dopo il 600 l'espansione di questa stirpe nelle valli dell' Idria, del Vipacco e della Resi a ; il Podrecca la suppone discesa dalla Bosnia e dall'Erzegovina, ed aggiunge, ciò che importa rilevare, che durante il dominio longobardo, Spopolato il briuli, vennero tratte molte ciurme di quei coloni a lavorare i latifondi dei conti rurali e delle badie, «ma che a poco a poco si fusero coi naturali abitanti, lasciando di sè unica traccia nei nomi di slavica dcrìvanza, che si riscontrano in quel di Udine, di l'alma, di Monfal-cone e di Gorizia ». Cividale, esposta ai continui assalti dei novelli nemici che così dawicino le si erano accampati, presa, saccheggiata, distrutta dalle fiamme, rimaneva sempre uno ilei luoghi più importanti, principalmente per l'abitànza ducale, e si rifaceva dai subiti disastri traendo a se, nei tempi dì quiete, il commercio, giacché le strade che servivano a portar la guerra erano sempre le vie dei traffici. (ìisulfo muore nel 611 in uno di quegli scontri, c la moglie disonora l'eroe aprendo le porte al nemico, nella speranza di sposarne il bel condottiero, mentre le figlie, a respingere gl'insulti degli Avari, si pongono della carne fradicia nel seno, talché i violentatori fuggono con la credenza che le donne longobarde mandino dai corpi il puzzo delle carogne. Anche il. duca Lupo cade in una battaglia contro gli Slavi, schiacciati poscia da l'emmone e da Rachis, che li som-niettono al tributo, mentre si narra che berdnlfo stoltamente pagasse quei montanari perchè venissero a provocarlo ed a mettere a cimento il suo valore. Un marmo murato sulla casa parrocchiale dei santi Pietro e Biagio, a perpetua ricordanza della famosa vittoria riportata da Vettari su quella gente rozza e sanguinaria, bandisce in latino la seguente lezione: — Onesto è il luogo Brossa, non lungi dal sito della caverna, il (piale a te diede 1' antico nome di porta Bros-sana. Duca Vettari investì i vicini nemici, correndo alla battaglia a capo scoperto, perchè aveva gettalo via l'elmo. Testimoni di ciò il Natisone ed i monti: rossi di sangue! * Ci vi dal e, come una nobile matrona Spodestata, guarda adesso alla sua campagna, alle ricchezze che gli uomini non le possono togliere. Non ha muraglioni, non barbacani, non torri per le sentinelle notturne: essa si è cangiata in una 7» PIANURE FRIULANE allegra e libera cittadina; gli antichi c nuovi tempi hanno aggruppati gli edifici fraternamente sopra un rialzo a scaglioni, che si presenta all'occhio come se una commozione terrestre lo avesse scosso, abbassandone disordinatamente il livello. Le acacie, che vegetano selvagge e spinose lungo le strade esterne, sono penetrate negli orti e spiegano il bell'ombrello atteggiandosi a chioschi piangenti ; le ficaie, favorite dal tiepido clima, crescono pittorescamente agli spalti del Natisone, tra le crepature di qualche contrafforte di laterizio, specchiandosi nell'onda liquida, che porta con sè la goccia delle nevi disciolte e il colore del cielo. Verso le alpi si sparpagliano melanconicamcnte le fredde chiome dei faggi, e nella campagna, distesa ai piedi della città, si alternano prati e pioppare, e si vedono i villaggi giacenti tra le pertiche che servono di grucce alle viti e tra i pennacchi dei verdi granai. Una quantità di fatue tradizioni vive là dentro, in quel vecchio Forogiuliq; senonchè avvengono di esse come dei fiori interamente sbocciati, che quando li staccate dalla pianta e volete impadronirvene, si spogliano affatto. Non trovate alcuna esterna magnificenza ne' templi o negli edifizì, bensì quella ruggine che faceva dire a Vittor Hugo, essere la vecchiezza dei monumenti l'età della* loro bellezza. Alcune chiese si possono considerare altrettanti musei, in cui stanno raccolte le reliquie più rare e più interessanti della scultura longobarda, allorché appariva nuovo germe embrionale dell' arte italica. * * -X- II patriarca Calisto, fuggito d'Aquileia e poco sicuro in Cormons, venne nel 737 a sedere in Cividalc ed eresse il fonte ad immersione, che oggi trovasi nella chiesa collegiale, ma che già formava parte ilei battisterio, dedicato a S. Giovanni, distrutto nell'anno 1045. È rifatto nella parte inferiore; uno degli archivolti originali venne sostituito con quello su cui si è scolpita la lunga leggenda. Le rappresentazioni di animali e il simbolismo che parlavano all'animo cristiano, costituiscono appunto il suggello dell' arte che comincia a mostrarsi nel VI secolo, timida, peggio che inesperta, quasi puerile. Ed il fonte cividalese ne è uno degli esemplari più preziosi: facendo prova dell'ignoranza degli artefici, racchiude nel tempo istesso il seme che produrra nella primavera del medioevo il fiorimento dello stile- romanzo. Nella chiesa di S. Martino trovasi l'altare che già esisteva nel demolito edilizio battesimale. Le inscrizioni ci spiegano che i ristauri dei battisterio furono principiati dal duca reminone e vennero compiuti nella prima metà del secolo ottavo sotto suo figlio Kachis, duca Iriulano, poi re longobardo. - % (ìirottFT Fuutco riiustra dell'altare «li Pemtaone. La facciata dell'altare presenta Gesù che impartisce la benedi/ione, accompagnato da due serafini, con sei ali, tutte seminate di occhi; uno dei fianchi raffigura la visitazione di santa Elisabetta, l'altro l'adorazione dei Magi. Le pieghe delle vesti sono scolpite: da solchi paralleli. Qualcuno nelle fogge ilei re volle scorgere ([nelle dei Longobardi; ma tanto in questi marmi come in quelli della fonte ,S2 PIANURE FRIULANE di Calisto dcvcsi scoprire il riflesso bizantino noli' informe pensiero degli scultori che lavorarono per la reggia pavese 0 per i duchi friulani, e sono a dircelo la mitra ilei magi e le croce segnata sulla fronte della Madonna, segni caratteristici della scuola greca. L! opera più insigne è il delubro di Santa Maria in Valli:, detto anche impropriamente il tempietto longobardo. Da cento anni è fatto argomento della critica che, sfrondando la leggenda, vorrebbe determinarne l'epoca della costruzione TEMPIETTO I 11 Si,, MARIA IN VALLE. (l)is<:|fiio del prof. K. Nordio.) ! VINCITORI VINTI S5 ed il carattere. Si accordano gli scrittori nel ritenerlo in origine destinato al culto pagano, essendosi rinvenuti sotto il pavimento i canali che scolavano nel fiume il sangue delle vittime, sagrificate dall'idolatria; ma ognuno a sua volta esprime un diverso giudizio. Basandosi su di ima vècchia cronaca, molti ammettono che lo riformasse Pertrude nel 737-744 per dar ricetto alle vergini tolte dall'angusto convento di Salto, villaggio presso al Torre; quindi altri lo fanno rimontare al 650, perchè rifatto con avanzi romani e completato con ristauri ed abbellimenti longobardi. Rodolfo Eitelberger lo giudica dell'Vili secolo, sopravissuto come una tradizione del dualismo, che in quel tempo si estendeva su tutti i rami della civiltà, della coltura, dei costumi c dei diritti. idillio Gailhabaud lo ritiene completato da maestro bizantino, b. Dnrtein lo dichiara composto di frammenti di edifici distrutti senza impronta di alcun tipo originale Alberto l.enoir, fermandosi ai lavori ed alle statue di stucco, volle scoprirvi la maniera ed il gusto delle miniature carolingie e v'intravede l'influenza dei branchi. Raffaele Cattaneo, spirito acuto e indipendente, si ribella contro tutti, e non si adatta a ritenere il tempietto e l'altare di bemmone e il battistero di Callisto, lavori di uno stesso momento; crede per quanto riguarda il primo, trattarsi di una rilabrica della cappella di Pertrude, forse sull'area medesima, ma con diverso disegno, intorno al IIOQ giacché i lavori che più interessano il visitatore spirano l'aura viva del rinascimento bizantino che si levò nel X secolo. A mano a mano si venne escludendo al prezioso sacello la natura longobarda, che le tradizioni ed i più inesperti gli avevano attribuito; il che noti menoma la riputazione che Lodovico Menili confermava a Cividalc, dicendo che in essa ed in Pavia si trovano soltanto vestigia dell'arte che tentò sorgere sotto la rozza e bellicosa nazione. Pasta affondare la marra nelle piazze o nei campi vicini, per iscoprire croci, collane, armille, fibule, armi, oggetti tli abbellimento e tli difesa: il suolo restituisce frequentemente i tesori tli una età morta, che gli studi vanno risuscitando. Le latomie stesse, ritenute romane, poi dei duchi preposti al governo franco della Marca e finalmente attribuite alla efferatezza ilei tribunali patriarchini, sono più probabilmente carceri longobarde. Giacché l'editto di Luitprando ordina che ogni giudice dovrà avere prigioni sotterranee entro il recinto della propria città. * * * Questo è certo, che il Friuli fu a quel tempo la terra, tla cui vegetarono i polloni elei rinascimento italico. Le sculture longobarde preannunziano T ardito volo a cui spiegherà Tali l'arte romanza; Paolo Diacono con le sue storie e san Paolino con i libri contro b eresia, le let leu e le poesie, portarono il primo lume negli ottenebrati campi del pensiero. Giosuè Carducci scrive che tre furono a tpici tempo i piu efficaci scrittori della rinriovellata coltura: Paolo di Varncfrido, coetaneo di lui, Paolino di Atpùleia, romano anche ti' origine, e 1 eotlulfo, goto romanizzato. Questi, a dire dell'illustre scrittore, rappresentano i tre elementi formatori del popolo italiano nei tempi barbarici; 'unificati, come sono, nella coltura che sabo i latini e: trasformò i barbari , tutti e tre affratellati nella religione, che sola era la coltura. Paolo di Varncfrido. lo storico classico, Teodulfo, il poeta classico, sono la giovane barbarie che si rifa nell'arte antica e rifa l'arte antica; il romano Paolino ha invece qualche vivacità e schiettezza, come un movimento elei vecchio popolo italiano che ringiovanisce. »') Civitlale ritiene d'aver dato i natali a san Paolino, ma questo onore lo rivendica per sè il piccolo borgo eli Pre-mariacco. ') uò CorduscL // Mansttu « -V. Rtotmo £Aquileia, "Archivio iterò» per Trieste, fistila c- il Friuli., Voi. Ili, fuse. 1-2. koma, 1SS4. 88 1'IANURK friulane Circa a Paolo Diacono, un'epigrafe posta sulla facciata d'un antico edifizio dice: QV\ PREESISTENTE LA c:asa 1 ) f PAOLO DIACONO CIVIDALESE TRADIZJ< >NE POPOLARK ASSICURA Felice Daini, in un dotto lavoro, cercò dimostrare clic il celebre diacono longobardo nascesse nell'agro friulano, e piuttosto in località presso al Timavo ; riuscì, sottilizzando, a provare, che mentre i documenti non accennano ad una culla determinata, si pronunciano piuttosto contro Foro-giulio. La storia moderna ha due scuole; quella che rigetta le tradizioni, sta alla lettera delle scritture e dà alle lacune un valore assolutamente negativo; l'altra, che supplisce alle incertezze, deducendo dai fatti elle possono metterla sulla via della verità. Paolo Warnefried, al dire del monaco salernitano e di altri cronisti del medioevo, è ci vida lese. Nato nel 725, a vent'anni circa frequentò in Pavia la scuola del celebre grammatico blaviano ; visse alla corte-di Rachis ed assistette alla caduta del regno. Soffocata la sollevazione friulana promossa dal duca Radgaudo conti" i Franchi, Arichi, fratello di Paolo Diacono, venne tratto prigione in Francia. Sembra che il dolore sofferto ed il timore di cadere in sospetto consigliassero Paolo a ritirarsi nel 775 nel convento di Montecassino. Sei anni più tardi si recò in Francia ad intercedere la libertà del germano; rimase in corte, ove dettò le inscrizioni sepolcrali per la moglie di Carlo Magno, le figlie e nepoti. Fece ritorno alla badia e dettò P I/istoria Longobavdomm, che comparve sino ad ora in dodici edizioni, le più perfette tolte dai codici esistenti in Cividale ed al Vaticano. Scrisse inoltre carmi, epistole, l'inno a san Giovanni e le Gesta dei vescovi di Metz. Lo confortarono nell'agonia le preci dei claustrali; spirò calmo, stringendo il crocifisso. Il suo intelletto, trasfuso nella sua Storia, rimase unico lume lontano a rischiarare due secoli, incominciati con le orge guerresche, profanatile! dei corpi santi, finite coi canti profumati d'incenso della sua lira cristiana ! SufJti'tti'f» v. SERVI DEL SIGNORE SIGNORI DELLA TERRA. Cario Magno nei boschi d'Àquileia — L'epopea Carolingia — Favole cavalleresche — // poter principesco della chiesa — Vinvestitura patriarcale — Processione ed insediamento — Festeggiamenti popolari — Il Parlamento della Patria — Monache d'Àquileia; Gli Strassoldo; La terra di Monfalcone— Divisione sociale — Infeudamento dei beni — Rendite del Patriarcato — Drami religiosi - Spirito militare — Duello — ^Giudizio di Dio,, — Giostre e tornei. Servi del Signore, Signori della Terra ■La selva litoranea dal Timavo a Ravenna, ili cui fanno cenno gli scrittori latini, partendo, in tempi assai remoti, dal dosso delle montagne, invadeva per una gran parte le vallate. L'uomo si fece largo a colpi di scure, quando la plaga cominciava ad imborsarsi, Verso il mille, gruppi isolati di abeti, seesi in laguna, si levavano eoi tronchi elastici sui banchi di sabbia e sui prati molli. I fiumi ed i torrenti, all'ombra della foresta, correvano rovinosi, trascinando ghiaie ed arene, abbattendo cespugli, formando stagni fluviatili', scavando nuovi alvei, spargendo intorno le sementi dei giunchi palustri e di tutti quegli organismi vege tali, che crescono alimentati dalla costante e perenne umidità. 11 mare, durante le colme autunnali, saliva a confondere le proprie onde con quelle irruenti delle acque piovane; inondava i terreni, lasciandovi le sue alghe e i suoi pantani salmastri. Gli abitanti della costa vivevano, si può dire, nelle barche; Virgilio narra, che essi non solo esercitavano il commercio terrestri' coi battelli, ma si servissero di questi sino nella coltiva/ione dei campi. 94 l'I ANI "K 1'. I kil I.WI Dalla selva caprulana e da quella di Aitino si levò il legname necessario alla costruzione delle galere e tlel basso naviglio ili Venezia; i conti del Friuli, a lor volta, decimarono la pineta di Latisana c del Belvedere per fortificare i propri castelli. Un codice antico informa, che il vescovo di Concordia insidiasse in quei boschi, coi cani, le capre selvatiche, i fagiani ed i cignali ; ed è noto che i dogi, con grande sèguito di gentiluomini, si recavano nell' ombrosa e selvaggia riviera a cacciare con le balest riglie, e che i patriarchi vi facevano porre le trappole alla vigilia dei suntuosi banchetti. L'imperatore Corrado il Salico donò alla chiesa aqui-leiese appunto «la selva vasta e di straordinaria estensione, che allargavasi dal fiume Isonzo alle foci della Livenza •. Il monaco di San Gallo ci serbò i particolari di una partita di caccia impresa da Carlo Magno con i suoi ministri di campo, nel bosco, tra la Centenara e Cervignano. Il Franco portava di solito il saio veneto ; due volte soltanto, soggiornando in Roma, acconsenti di vestire la clamide e di calzare i sandali romani; perciò scherniva spesso la vanità degli ufficiali della sua corte, che volle punire in una maniera assai comica. t Vincitore dei Longobardi - cosi narra il frate della celebre abazia — Carlomagno aveva stabilito il suo quartiere nella città di Aquileia. Una domenica, dopo la messa, disse ai cortigiani: — Andiamo alla caccia. Ciò detto, sali a cavallo, avviandosi verso la campagna ; bentosto lo seguirono tutti. Il cielo era velato e cadeva una pioggia fina c fredda. Carlo si era gettato sulle spalle una pelle di pecora, posta già a ben altre prove. I dignitari del suo seguito eran tutti abbigliati di ricche vesti, che i mercanti veneziani avevano recate da bavia e vendute loro ad alti prezzi. Gli uni spiegavano pompose stoffe, ornate di penne a mille colori, tolte alle code dei skryi hki. sionork, signori della terra 0^ pavoni o al collo degli uccelli della Fenicia; gli altri avevano abiti tinti con la porpora di Tiro, e taluni portavano pellicce di lontra. Consumarono la giornata correndo attraverso la pianura cd i boschi ; la pioggia cadeva senza tregua, inzuppando epici ricchi abbigliamenti, che furono inoltre assai guasti dai bronchi, dalle Spine, dai rami degli alberi, e di più chiazzati dal sangue della selvaggina, cosicché alla sera, quando i cacciatori fecero ritorno in città, non avevano più indosso che luridi cenci. Lieto di aver castigato la frivola ostentazione, Carlo volle anche divertirsi: ordinò che alla dimani: tutti dovessero presentarsi nel suo quartiere con quegli stessi abiti; nessuno osò disubbidirlo, c poi che li vide raccolti intorno a sè, disse al proprio servo : — Va a scuotere il nostro mantello e riportacelo tosto. La pelle di agnello fu ripulita in brevissimo tempo e Carlo, mostrandola, si diede a beffeggiare il lusso cencioso dei suoi conti e marchesi.» * * Questo aneddoto si lega alle molte novelline che confinate sotto i camini villerecci, passarono in alcune istorie. Gian Francesco Palladio degli Olivi, Giacomo Grcgori ed altri raccolsero alcune di quelle fiabe per ingrandire il trionfo delle armi carolingie. Difatti, pensarono di contrapporre a Radgaudo, duca forogiuliese, (piando tenta di sommuovere la provincia contro le armi franche, il famoso Orlando, che aveva spaccato con la sua durindana la più alta vetta dei Pirenei e scossa tutta la Spagna col suono del corno fatale. Ci diedero quindi l'ampollosa descrizione del duello impegnato a corpo a corpo da sì valenti campioni, presso a Cividalc, mentre i due eserciti attoniti, sospeso il combattimento, serrati in circolo, stavano passivi spettatori della gagliarda tenzone. Le spade dei due avversari fendevano 96 PIANURE FRIULANE rana come saette, e sotto la spruzzatila dì scintille, sotto la tempesta dei colpi «gli arnesi militari caddero infranti». Orlando avrebbe poi lasciato il nome ad un ponte sul-l'Aussa, di cui ci son rimaste le vestigia. Si comprende di leggieri che gli accennati scrittori trassero le avventure meravigliose dei paladini di Francia dall' epopea cavalleresca trapiantata in Italia dopo l'undecime- secolo. La letteratura romantica ebbe vita lunghissima nelle tradizioni orali del popolo friulano. Narrava essa le fiorite galanterie castellane, il ratto periglioso ed audace di una donzella, le sorprese notturne ai conventi, le sfide singolari tra i cavalieri della morte; rendeva più grave il delitto, esagerava tutto : la pietà, l'efferatezza, gli egoismi, l'amore; correva alterata da (pici culto che il popolo serba per la forza, dalla compassione che sente per i deboli e dal sentimento di terrore con cui usa riguardare gli stranieri oltraggiatori della patria. Però sotto l'amplificazione si celava la storia, che non in una singola canzone o ballata, non in uno solo dei rac contini, ma nel complesso di quella letteratura enfatica, mostrava i propri eroi di ferro, e faceva sentire il peso delle doppie catene che avvincevano le umili sudditanze al potere dei principi ecclesiastici ed al comando della feroce feudalità. * * # Carlo Magno entrò in Italia nel 773 con la spada nella guaina. L'ultimo re dei Longobardi, Desiderio, si chiuse in Pavia, il figlio Adelchi in Verona; molti dei favoriti, piuttosto che opporsi alla marcia dei Francesi, abbandonarono i presidi militari ; altri accettarono sino il prezzo del tradimento. I pontefici avevano bussato alla porta dei Franchi ; agl'Italiani stessi era diventato insopportabile il giogo longobardo. Stefano II inviò tre lettere a Pipino offrendogli la Penisola. In una scriveva : *A voi Pipino, Carlo e Carlomanno, san Pietro apostolo raccomanda di accorrere contro i Longobardi, promettendo in premio la gloria del paradiso., Un anno più tardi I' alta Italia era divenuta una provincia del regno, poi dell'impero dei Franchi. Da questo momento i nuovi signori rassodarono il poter temporale dei Papi e beneficarono l'alto clero, equiparandolo ai maggiori vassalli ed ai conti. Il feudalismo ricevette soltanto un più vasto ordinamento, giacché esisteva portatovi dai Germani, iniagine della loro composizione sociale. Il suo germe lo troviamo già in quel tempo in cui i duchi longobardi pagavano il servizio della spada con un contado o con un possesso, e riconoscevano l'autorità dei conti rurali e dei Gatigravii: fu in origine un premio alla fedeltà c un pegno d'inalterata devozione. Il Patriarcato aquilciese, dalla dominazione franca conseguì le prime prerogative della sua immunità; le posteriori grazie, regalie e concessioni di Berengario, Lotario e degli Ottoni gli assicurarono la investitura principesca, ossia il reggimento temporale sul Friuli e sull'Istria. Già molto prima i patriarchi esercitavano liberamente atti di giurisdizione civile e criminale, sottraendosi ai duchi di Carlo Magno e gettando le basi della costituzione, con cui più tardi governarono il paese. Nel i ioo essi divennero i prelati più ragguardevoli e più potenti, sovrastando per diritto metropolita ai vescovati di Concordia, Ceneda, Treviso, Padova, Fcltre, Belluno, Vicenza, Verona, Mantova, Como, Trento, Trieste, Capodistria, Cittanova, Pedona, Parcnzo e Pola. La loro diocesi estendevasi sino àgli spartiacqua dei monti del Cadore, nella ('arniola, nella Carinzia, Stiria e Salisbùrghe'se, e teneva soggetti abati ed abazie, arcidiaeonati e monasteri. Aquileia era un grande faro cattolico, che gli imperatori germanici mantenevano vivo perchè illuminasse la via che li conduceva a Roma, illustre sede del Pontefice, consacratola della loro sovranità. Ma veramente la citta di 98 pianure ikin.wi; Aquìleia non era più clic un bel nome; i vescovi, trasferitisi nel 628 in Cornions, poi in Cividale con Calisto, ove mantennero la cattedra per sei secoli, nel 1380-87 fermarono dimora in Udine, divenuta dopo lunghe contese la capitale del Friuli. Popone ncll'undecimo secolo tentò rinnovare la insigne e scaduta metropoli; fissò in essa la sua residenza; ampliò la basilica, eresse il palazzo dei patriarchi, le mura ; ma fu inutile sforzo: cent'anni dopo la città presentava un nuovo quadro di mine. Nel 1242 bertoldo, convocato il parlamento, lo fa votare una somma per riedificare in parte la cadente citta , il clero offre le rendite del primo anno dei benefizi vacanti, il patriarca il terzo delle gastaldie, i comuni un quarto dei dazi; si dà mano sollecitamente al lavoro, ma per improvvise benché non inattese discordie, lo si sospende. Tuttavia ogni prestigio proveniva al Patriarcato dalla rinomanza della sede antica. I nuovi pastori si recavano a ricevere gli onori spirituali in quella chiesa famosa, tra le tombe dei neofiti cristiani, mentre lo scettro del dominio terreno andavano a conseguirlo nel loro palazzo principesco. Spettacolose e magnificenti le due cerimonie ordinate per dare al servo di Dio il pastorale e la spada. 11 patriarca si avviava in Aquileìa montando una mula bianca, riccamente bardata e con due paggi alla stalla; lo scortavano i nobili, i capitani ed i nunzi delle comunità, con palme di siepi odorose; i banderari, i servi, i valletti, i giullari che tenevano allegra la folla con canzoni accompagnate dalle ghironde. Lungo la via grosse squadriglie di alabardieri attendevano il passaggio della sfolgorante processione e ad essa si univano. Palchi, baracche e tavolati venivano eretti sui piazzali intorno al massimo tempio della città per la festa profana, e su quei teatri ambulanti davano spettacolo i ballerini, i saltimbanchi e il popolo vi danzava pieno di giubilo. Il nuovo pastore, aiutato dai canonici, scendeva, e indossati i paramenti suntuosi, andava a sedersi sulla cattedra; riceveva dal vicedomino in segno della doppia autorità, la spada o l'acqua benedetta; il clero per ordine gerarchico, le chiese soggette ed i feudatari gli presentavano i doni consistenti in vasi d'argento e d'oro: Stoffe, calici, anelli, \ ini prelibati, frutta, incenso c profumi. Era l'espressione di ossequio e di vassallaggio giurata sul-1 arma e sulla croce, connubio di sangue, che tutti e due quei simboli esprimevano nella casa di Dio. All'atto d'insediali lenii) non mancava nessuno dei suffragane^ vi assistevano di solito gl'inviati di Venezia, di Trieste, di Firenze, di Pisa, di Milano e dell' Istria, i conti di Pisino, di Gorizia, i nobili della Patria. Raimondo della Torre fece il suo ingresso trionfale in Aquileia, seguito da cinquanta gentiluomini e sessanta paggi milanesi, duecento scudieri a cavallo, settecento pedoni e milleduecento cavalli. Terminata la sacra funzione, il corteo usciva accompagnato dai salmi, dalle melodie della musica religiosa e dal suono giulivo delle campane, e si raccoglieva sui palchi, per assistere alla investitura dei feudi ed alla creazione dei cavalieri. Quindi veniva imbandita la mensa al popolo: si pagava il suo entusiasmo, si spillavano dalle botti i liquori di uva asciutta, distribuendo imagini e pan dolce, amuleti e cibi freddi, appagando i desideri dello spirito e della carne, perchè tutti godessero di una festa che accumunava nelle mani di un solo la carità coleste e il dispotismo terreno. * 11 novello patriarca, nel giorno seguente, dopoché il camerlengo aveva gettato dal balcone al popolo plaudente manate di denari a posta coniati, apriva il parlamento e presentandosi a tutta la Patria del Frinii, inaugurava il suo ministerio di principe dei sudditi vassalli. Venne spiegata in modo diverso la denominazione di Patria del Friuli. Alcuno vuole derivi dal fatto che i prigionieri trascinati in paesi lontani, fuggiti dalla servitù, facevano subito ritorno alle case paterne. Altri amano credere too pianure friulane significhi la confedera/ione nazionale dei friulani, riuniti così nelle fauste come nelle avverse venture, stretti dai legami del sangue, dagli interessi di una stessa terra e dal comune parlare. Il colloquio si costituiva di tre ordini : sedevano a deslra del patriarca i prelati, a sinistra i nobili, di fronte i comuni; appartenenti alla regione orientale tra i primi il capitolo e le monache di Aquileia, rappresentate dal proprio gastaldo, tra i secondi i conti Strassoldo, tra le comunità quella di Aquileia e la terra di Monfalcone. Monastero 28 luglio, 4, il agosto iSÒI ; Udine, Tip. Veudranie. SKUVI i »ki. SIGNOkK, SIGNORI ihti.a ii', k k a >°5 individuale, fortificato dallo spontanee dedizioni ai conti e signorotti, da parto dei coloni e dei rustici imbelli, che in tal modo comperavano la difesa c la tutela. Quasi tutte le corporazioni religiose, molti prelati, la maggior parte dei nobili ed alcuni comuni potevano a lor volta .subinfeudare i possessi, ottenendo dai vassalli la stessa servitù che essi dovevano al patriarca. Il sistema feudale stringeva nei suoi anelli tutta la società dai più alti soggetti ai più volgari ; avevano diritto di feudo gli artieri, i facchini, i portatori di lettighe, sino i carnefici. * * * Si stimarono considerevolissime le rendite patriarcali, tratte dai redditi delle chiese, dai beni privati, dalle imposte, dai lasciti e dai tributi dei nobili. Sorgevano in tutto il dominio centottanta castelli, dei quali più di trenta nei circoli di Gorizia e Trieste e quattordici neh'Istria.1) La somma complessiva eh' entrava nel tesoro, viene affermato ascendesse a dodicimila marche d'oro, ossia centocinquantamila zecchini, e come confondevansi in una sola persona i due opposti potéri, così si mescolavano insieme i danari delle chiese con quelli dello Stato. Una infinità di balzelli travagliava le popolazioni, e la complicata amministrazione fiscale rendeva odiosa l'attività degli esattori. Oltre alle decime l'erario percepiva il frutto dei dazi. Alle rendite delle publichc gravezze si aggiungeva il danaro delle elemosine, della messa perpetua che alcuni devoti facevano officiare quotidianamente; poi ([nello delle multe e il saiiguiiiolcntum Jeiiarìum ossia l'ani menda pecuniaria per i delitti di sangue; e finalmente le somme ricavate dalle sostanze che i credenti offrivano per riscattar ') I principali castelli del Goriziano e di Trieste erano i tegnenti: Brezzano, Cerro, Cormon»| Dorimbergo, Daino, Fan», Floiana, Gorizia, Lu-cinico, Mossa, Prem, Raifembergo, Ritisbergo, Strassoldo, Stelletto, Salcano, Tolmino, Trussio, Ungrispach, Vipaco, \'ipul/.uno. io6 1 MAN l'RE KRIUf,ANE l'anima e conseguire l'assoluzione dei peccati, ed i colpevoli di qualche delitto per ottenere l'impunità giudiziaria. Benché il Patriarcato battesse moneta, il numerario scarseggiava sempre e siccome il fisco riceveva una frazione delle mense, dadìe e gabelle in prodotti del suolo, così gli ufficiali percepivano parte degli stipendi con un equivalente di formenti, uve, grano, miglio e di altre vittuarie. Non bastando alle ingentissime spese il disordinato sistema tributario, si ricorreva a prestiti forzosi e alla publica carità. * * *- I servi di masnada sottostavano alla durezza di una legge inumana ed a tutte le vessazioni suggerite dall'iniquità dei tempi e degli uomini. Dovevano permettere che i propri figli venissero permutati o venduti; questi acquista-vano la libertà quando i padroni li offerivano agli altari del duomo di Aquilcia per ammenda dei [leccati. Gregorio di Montclongo, patriarca, nel 1256, abolì l'uso di procedere contro i servi per i delitti commessi dai padroni e di punirli con le pene inflitte ai loro signori. Gli uomini liberi si dedicavano al commercio, alle arti ed alle professioni meno faticose ; le donne del popolo attendevano ai lavori domestici. Stefano Bizantino, diceva: *che* le friulane prendevansi il piacere di dare ai loro mariti tre figli alla volta, come le galline che un filosofo enciclopedico aveva veduto in epieste parti far due uova al giorno. La chiesa partecipava a tutti gli atti della vita politica: da essa partivano gli eserciti con la benedizione; in essa si appendevano i trofei dei vinti nemici, e si seppellivano i caduti in campo, i presuli, le famiglie nobiliari ; andava superbo quel soldato o quella centuria che aveva potuto arricchire l'arca con le reliquie trafugate nei saccheggi delle città. Le confraternite mantenevano un proprio altare e propri oratori, e s'intitolavano da un santo a cui dedicavano il proprio gonfalone. Il giorno dei morti usavasì portare sulle tombe vini e cibarie, e ripctevansi con la nuova misticità i funebri banchetti romani. Durante la settimana Santa si rappresentavano nelle cattedrali l'inferno c i dannati. Cividale conserva un prezioso processionale, che contiene il testo e le note di un drama liturgico: il Pianto delle Marie ; è intramezzato d'istruzioni sugli atteggiamenti dei personaggi. La cronaca friulana di Giuliano reca in data 7 maggio 1298: * Vennero eseguite dal clero cividalcnse in tutte e due le feste di Pentecoste rappresentazioni del drama di Cristo: la passione, la risurrezione, l'ascensione, l'avvento ecc., Nel 1304 si replicò questo ufficio fuori della chiesa, nella curia arcivescovile; vi prese parte tutto il capitolo, ed ai chierici venne addossata la parte dei personaggi feminili. In un inventario fatto in Aquileia nella seconda metà del XIII secolo si riscontra un cingolo di paramento che serviva per il ludo sacro: Re Erode; ciò che prova come anche in quella citta si davano misteri dramatico-religiosi. * * La gioventù si arruolava nell'esercito, formato dalla cavalleria in elmo, lancia e spada, e dai balestrieri muniti ili solo arco. Giovanni Villani scrive nella sua cronaca: 'Nell'anno MCCCXXI i Fiorentini mandarono in Friuli per cavalieri a soldo, e vennero a birenze nel mese di agosto CLX cavalieri a elmo con altrettanti balestrieri... ond'era Capitano Jacobo di Lontana bona, e grande Castellano del Friuli ; e fecciono guerra assai a Castruccio; almeno di poi che li senti in Firenze, non s'ardi passare la Gusciana, come spesso era usato di fare., E Marco Sebastiano Giampiccoli scrive sulla fine del XV11I secolo: 'Sogliono per lo più li nobili Feudatari abitare nei loro Castelli, ovvero altri luoghi di sua giurisdizione, ove hanno per esercizio più frequente la caccia; esc alcuno vuole impiegarsi fuori della Patria, va più volentieri nelle 108 PIANURE FRIULANE armate, che nelle corti ; essendo la nobiltà friulana assai disposta alle armi ; onde non andò gran fatto errato colui che disse: — Del Friuli si sarebbero tratti più capitani che soldati., * # Il duello, condannato, tollerato e poi finalmente permesso, continuava a far parte delle prove giudiziali : scioglievate i litigi mediante il combattimento al cospetto di numerosi astanti. Se un accusato giurava di essere innocente contro le testimonianze accusatoci, doveva battersi, e perdendo, veniva dichiarato reo dal giudizio di Dio. Furono all'uopo allestiti i campi franchi c gli sterrati per la pugna libera e giuridica. Era la prova del ferro un' istituzione introdotta dai barbari, sancita dai patriarchi. Giuseppe Bonturini scrive: 'ber non essere obligati a pensare nò a dettar varie leggi, nò a mantenerle rispettate, collocarono giudicatrice la sorte c circondandola di religiose pompe, di sacri emblemi, 'a resero temuta ed inviolata in mezzo al buio delle menti e alle passioni disfrenate dei cuori. Il patriarca delegava talvolta il conte di Gorizia a fissare le norme della monomachia o pugna, riserbandosi solo i profitti pecuniari che gli spettavano. Il conte stabiliva il giorno, il luogo e le armi. Questo diritto venne trasmesso ad altri feudatari.^ Nello steccato della pugna i nobili combattevano a cavallo, armati di tutto punto, con scudo, lancia e spada, i contadini con bastoni e coltello. Solevasi esercitare l'abilità, l'eleganza, la forza dei tiratori nei tornei, nelle quintane e nei public! bersagli. Erasmo nel suo poema La Caccia, parlando della gioventù friulana, cantava : Destra ne /' arme et uè perigli ardita Ancor non sa scordar anticamente Questa colonia esser dì Roma uscita. Nel 1272 si recarono in Venezia a correr la giostra sei gentiluomini del Friuli; il 20 agosto 1330 sotto il patriarca Pagano, delibcravasi dal Consiglio avessero a tenersi in Udine corse al palio con cavalli. Quindi nel 1404 si ripetono gli spettacoli con corse a piedi e tiro di balestre. Esiste per questo divertimento il codice scritto nel 1562 che determina le norme dei corridori, il quale diventò in appresso legge dei costumi signorili. Si ordinò un carroscllo per la venuta di Carlo IV nel 1368; ed un altro per il conte di Gorizia e la consorte Elisa nel 1417, con grande concorso di nobiltà forasticra. A Monaco di Baviera nei giuochi militari dati per le nozze del duca Guglielmo con Renata di Lorena, nel 1568, il conte Marzio Colloredo si distinse nei cavallereschi puntigli da stupirne i grandi delle corti germaniche, che già lo conoscevano prode per la bravura mostrata in Spagna, Ungheria e Toscana, e Guido conte della Torre e Valsassina destò ammirazione e meraviglia in più giostre. * * * Questo il mondo e i fatti che si svolgevano attorno a queir ecclesiastico, che sulla cattedra, sotto gli sfolgoranti drappi sacerdotali, era il servo del Signore, e sul trono mondano il signore della sua terra! VI. LE ACQUE BIANCHE DELL'ISONZO La fine del Patriarcato — Venezia nel Friuli — // viaggio di un fiume — Gradisca — // penitenziario — La città — Immigrazione I nubili — // teatro degli Arcadi Sonziaci — Costruzione dell' antica fortezza — La lega di Cambrui — Pace durissima. Le Acque bianche dell'Isonzo attori Mei secoli durò la grandezza della cattedra. I primi mitrati fuggiti a Grado, all'appressarsi di Attila, fondarono in quell'isola il Patriarcato nazionale delle città lagunari ; nel 606, su ceppo eresiarca, si formò il nuovo ramo dissidente dei vescovi aquileiesi, che tentò più volte con brutali violenze di sottomettere la chiesa rivale. Le due sedi corsero opposti destini : la gradese, esclusivamente ministra di religione, divise le veneto sorti; l'altra, padrona di se, rinforzata dai poteri che le concedettero i sempre nuovi dominatori, fu la più vera incarnazione dell'autocrazia ecclesiastica e civile, la fusione del soldato di ventura col soldato di Cristo. Ma venne anche per essa l'ora che, spoglia di ogni lustro terreno, con ferita umiltà, dovette restringersi al solo apostolato dell'altare. Durante i cinque secoli, in cui fiorì il feudalismo, cioè dal 931 al 1420, su trenta de' suoi pastori, ben diciannove furono tedeschi di nascita, ligi al volere degli imperatori germanici, i quali avevano avuto mano nelle elezioni, riserbate sin dai primordi al solo capitolo. Un' accorta politica suggerì ai re franconi ed alla corte sveva la necessità d'immischiarsi nella nomina del patriarca, il quale possedeva le chiavi delle gole alpine, e teneva aperta ai loro eserciti la pianura friulana, è quindi naturale che cercassero di far investire presuli teutonici di stirpe gentilizia, (piando i pontefici cd i nascenti comuni d'Italia cominciavano a mostrarsi intolleranti del dominio straniero. I mitrati aquileiesi divennero perciò una costante minaccia per la Penisola, giacché alcuni di essi, illustri rampolli dì nobili case bavare e carintiane, erano abili condottieri, e, cinta la spada, avevano preso parte alle imprese imperiali. Popone, alla testa di una grossa schiera di soldati, segue Enrico II nelle Puglie, poi diventa il carceriere di Eribcrto, l'arcivescovo milanese, che sommuove il popolo e benedice il pensiero della rivoluzione lombarda; Ulrico riceve in custodia dall'imperatore Enrico V il prigioniere pontefice Pasquale II; il patriarca Pellegrino segue bai barossa al celebre assedio di Crema; Goffredo va a ([nello di Napoli, e dopo il rifiuto di papa Urbano li, incorona arbitrariamente il figlio di Federico e lo proclama imperatore. Per questi atti di coraggiosa servilità, ottengono dal trono nuovi favori e sicura protezione; il Vaticano invece, dopo le pontificali riprensioni, li colpisce con la maggior scomunica. Nemico aperto del sentimento che serpeggiava nell'anima del popolo italiano, il Patriarcato si trovava esposto alle burrasche che fremevano ad un lato dei suoi confini, ed alle contese interne, che il feudalismo iniziava contro il prìncipe e contro le plebi; reggeva una società destinata a lacerarsi con le guerre intestine. Affidati i manieri a gente tratta dì volta in volta dalle proprie terre lontane, doveva potersene fidare e viver sicuro; ma purtroppo non aveva dato ai propri connazionali i'5 una patria d'amare e da difendere, sihbcnc titoli, terreni e pennoni stemmati, ciò che li rendeva maggiormente gelosi ed iracondi. Non v'ha esempio di sovrano paragonabile al patriarca, che in cambio della generosità raccogliesse ingratitudine e destasse diffidenza. Nel suo palazzo risonavano gli echi dei frequenti disaccordi e degli odi storici. Intolleranti di giogo, desiderosi di mutarlo, i conti di Gorizia, di Prata, di Porcia, i nobili di Cusano e la terra di Pordenone passano un giorno, tutti insieme, sotto le dipendenze della città ili 'Treviso. Il patriarca convoca i tre Stati della Patria per chiedere la punizione dei traditori: ma alla battaglia sul 'ragliamento perde il gonfalone, che i vincitori depongono trionfalmente nella cattedrale trevisana. Stringe allora alleanza coi Veneziani, e si obliga di tenere casa ed abitare parte dell'anno in Venezia; poi fa lega coi Padovani e deve in Padova fabricarsi un palazzo che ne attesti la conseguita cittadinanza. Artico di Strassoldo promette la figlia Ginevra, nota per l'incantevole bellezza, a Federico Cuccagna; rompe la promessa, manca alla fede e la dà ad O dorico di Villalta. I parenti si dividono in fazioni ; tutta la provincia è in armi. Ai disordini interni seguono le provocazioni dei vicini, quindi le ostilità, e la bandiera della chiesa è obligata a precedere l'esercito che va in Lombardia a fiaccare l'orgoglio dei Visconti o che cavalca il paese per metter argine alle schiere irrompenti del duca di Carinzia, del duca d'Austria, del margravio tli brandeburgo ed a quelle di Venezia. Alla sfortunata sorte delle battaglie si aggiunge talvolta lo sfregio e il vituperio. Allorché il doge s'impadronisce in Grado di Ulrico li, lo fa girare la piazza S. Marco seduto sopra una mula, a rovescio, per modo che la coda gli abbia a servire da briglia, seguito da un banditore, comandato a gridare le parole della sacra scrittura : liceo il sacerdote tristo, che nella iuta sua dispiacque a Dio e fu colto in delitto. m) pianure friulane • Federigo II, nel 1085, fu trucidato dai suoi stessi cor-I ij ; 1 ; 1 1 1 i . Bertrando dei conti di San Gcncsio cadde trafitto da cinque colpi ili spada a Richinvelda, vittima della congiura L' assassinio del patri (Da una pitturo su tavola della seconda metà che i nobili avevano ordito contro di lui nel novembre 1348 in Cividalc ; Giovanni Y, il moravo, muore col pugnale nel seno, infissogli da Tristano Savorguan, che così vendica il padre, fatto uccidere dal turpe e vizioso ministrò. Nulla è che acquieti i rancori personali, fomite di nuove trame e tumulti. Non basta rifar le mura ed abbellire Cividalc, la quale guarda con dispetto la supremazia di Udine, rimprovera la mal pagata e lunga fedeltà, e coglie l'occasione per rifarsi dell'affronto. Venzone si ribella, e per castigarla si pensa di fondare una nuova città, ove sorgi: ora Ospedaletto, e muovono processionalmente le alte cariche a piantare la croce di ferro nel sito che dovrà formare il eentro della futura piazza di confine, chiamata Milanoravnando\ ma pochi giorni dopo il segno viene atterrato. le acque bianche dell' isonzo t | 7 Le rivalità intestine fanno tingere di rosso i torrioni castellani ed issare le bandiere nere, come se un solo pensiero affannasse i feudali gufati in quei nidi: la morte! Presso queste lugubri insegne stanno erette le forche, per neto. XV. — Duomo ili Udine.) appendervi magari i cadaveri degli esuli, dei banditi, dei fuggiaschi condannati nel nome e maledetti sull'altare. Contrasto a quelle che potevano sembrare implacabili nimicizie, il perdono solenne, le paci giurate nei templi, sui vangeli, nel nome di Dio, coronate dalla publica letizia delle feste, in cui tornavano valenti e cavallereschi giostratori quelli che ieri erano stati uomini di sangue e di rapine. Venezia non poteva più tollerare i costanti clamori di guerra, che la impensierivano; le città vicine erano in perpetua ribellione; essa agognava in pari tempo a dilatarsi nel Friuli, per conquistare le vie principali del commercio transalpino. Il Patriarcato era prossimo alla dissoluzione: nulla aveva fatto per la coltura e per la civiltà; tutto per attizzare i rancori delle classi, ora proteggendo i grandi, ora fortificando i comuni da cui ricercava appoggio ed aiuto. Lo si poteva 11S pianure fri l'i .an e raffigurare ad una nave arenata, la cui ciurma combattesse una zuffa intestina e fratricida, prima di venire inghiottita dalle onde. Sigismondo, re d' Ungheria, voleva intanto mettete stabile piede nel Friuli, spartito c dilaniato da tanti dissensi. Ne favoriva il progetto Lodovico di Teck, patriarca svevo di nascita, che i Veneti < litigarono a pronunciarsi se voleva essere amico O nemico della Republica.il dilemma imposto era un pretesto per portare le armi e la signorìa sino all' Isonzo. L esercito veneziano, con poco sacrifizio, inalberò la bandiera di S. Marco a Duino, a Monfalconc ed a Gorizia e il 6 giugno 1420 la fece sventolare in Udine. Succedette nel seggio Lodovico Mezzarotta, a cui venne assicurato un appannaggio di cinquemila ducati d'oro. Con Lodovico di Teck, rifugiatosi in Buda, si chiuse la serie dei preti armati: con lui terminava la storia del Patriarcato militare, scritta a caratteri di sangue e col guanto di ferrei. * * L'Isonzo sgorga nella romantica valle tli Trenta ; va ingrossandosi delle copiose fontane alimentate dalle* nevi quasi perenni delle Alpi, che sperdono i propri scoli tra le fenditure cd i crepacci ; torcendosi per via, striscia lambendo ripide balze e sassi crollanti, scavalca macigni, li tondeggia a guisa di mole consumate, e sterra i rovi ed i ginepri rasciutti, che ne ingombrano il corso. A Tolmino, fattosi limpido, rispecchia gli oleastri inchinati alle sponde ; viaggia godendo la strada libera, larga. Quando però presso Santa Lucia trova il passo ingombro di pietroni, il letto profondo e stretto, allora filtrando per tutti i cavi, con mille creste bianche sfoga via, mentre l'Idria, pronta a congiuu-gersi, trapanato uno scaglione tli roccia viva, esce da una forra, e gli si getta addosso con vortici, spume e rumori. la PESCA NELL1 isonzo LA PRESA DEI LEGNI NELL'ISONZO. Nato dove il sole illumina per poche ore una conca alpestre e dove i montanari guardano alla linea dell'ombra come ad una meridiana; scaturito dalle viscere dei monti, fuggendo l'aridità e la desolazione, raggiunge presto la campagna, acci impugnato ila spini fioriti e betule ligustri. Acquista via via aspetto maestoso, spartisce le pinete, bimbe i villaggi ed entra tra i campi e le ortaglie nel grande anfiteatro goriziani), su cui la feracità tlel suolo si mostra nei pingui erbai, nella pompa di una vegetazione che si slancia coi cipressi, piove coi salici, mentre l'edera va ramingando su pei rialti, giìi per i declivi, rivestendo tronchi e vecchie muraglie. .Abbandonate le ultime grotte, pianeggia largo, con la bella tinta tli celeste-cielo; accompagnato tla una fila decimata di pioppi, curvi e sfrondati, tocca Gradisca prima di scen ti e re al mare. Alcune barche di tavola stanno arenate sul greto; qualche pescatore segue la corrente, calando la rete nelle fosse del fiume o dove sogliono imbucarsi le trote; sul ponte di Sagrado, nei giorni tli piena, i fiocinieri slanciano con singolare abilità le aste artigliate, per prendere gli avanzi delle roste, che 1* acqua, dopo aver rotto, mena nella sua fuga. Tv'Isonzo viene perciò detto da qualcuno scherzosamente il bosco tli Sagrado, ed è giusto: fornisce tli legna tutto un villaggio. * * Dai muraglioni di Gradisca, piantati sopra la sponda destra del fiume, emerge la casa di pena; due soli campanili bassi, a tetto piatto, si levano sulla città, ombreggiata dalla parte della valle da una virente e folta macchia ili ippocastani. Il penitenziario rammemora pagine funeste di drammi criminali, storiche esecuzioni e politiche prigionìe; da caserma venne convertito nel iXiK in ergastolo tli condannati al lavoro. 124 1manurk friulani'. 11 3 luglio 1723, nel piazzale maggiore del castrilo, dopo la tortura e le prove della tenaglia rovente, furono decapitati: Lucio della Torre, Nicolò Strassoldo e Marianna Strassoldo; i loro corpi esposti sopra la ruota. Lucio della Torre, conti: di Villalta, fu l'esempio della scelleraggine e della temerità feudataria. Il io luglio 1717 a S. Marco ed a Rialto venne publi-cato il bando con cui il Consiglio dei Dicci ordinava che, preso, fosse condotto tra le due colonne della Piazzetta, e il ministro di giustizia gli tagliasse la testa. Premio a chi lo consegnerà nelle mani della Serenissima duemila ducati se catturato dentro lo Stato, e quattromila se in terre aliene ; inoltre al captare il diritto di poter chiedere la liberazione di un relegato a vita o la grazia ili un bandito. Il conte Lucio veniva accusato di mantenere in casa sua bravi, vivendo di estorsioni, rilasciando cartelli d'immunità con propria firma e suggello, costituendosi signore dovunque ardiva presentarsi ; frodando lo Stato con illeciti contrabbandi, tenendo a proprio servizio una masnada, e vestendone i componenti con cappello a larghe falde e coccarda verde, tracolla di cordon verde e distintivi neri. Benché ricercato, osò provocare i birri, comparendo più volte a Venezia, sotto spoglie mentite, o in mascheca, ai balli del Ridotto. Entrò spesso nei domini della Repubblica a solo scopo d'insultare e calpestare l'autorità del principe. Alla fiera del Santo in Padova comparve in una carrozza tirata da sci cavalli, seguito da propri sgherri, e sfidò con pompa sfrontata e spavalda la giustizia, che aveva posto sul suo capo una taglia. Uscito il giorno seguente, in armatura di ferro e l'archibugio in mano, dall'albergo ove trovavasi alloggiato, seguito dallo stuolo dei propri ribaldi, impegnò il fuoco contro i soldati veneti dal borgo Santa Croce; ferito in un braccio e nel petto, lasciando qualcuno dei suoi sul terreno, fuggì vestito da eremita, tenendosi per qualche tempo nascosto nel rifugio di Villalta. Guadagnato poscia il confine, fermatosi in Gorizia, poi nel villaggio di Moina, c finalmente accolto in Gradisca dal conte Ricciardo Strassoldo, a cui sedusse la figlia Lodovica, deliberò di uccidere la propria consorte Eleonora Madrisio. L'assassinio venne consumato a Noalc da Nicolò fratello della tradita col consenso della madre Marianna Strassoldo. Venuto in luce il fatto delittuoso, Venezia chiese la punizione dei rei, che finirono per mano del carnefice. Più dolce memoria è il confortevole scritto di un grande italiano, penetrato in quelle segrete ad immortalare una serena amicizia. Federico Gonfalonieri, nel 1x36, dopo quìndici annidi prigionia, avendogli l'imperatore Francesco I commutata la condanna del carcere a vita nella deportazione in America, si trovava in una cella di Gradisca; gli era stato permesso di poter ricevere in (pioli'estremo momento carte;, lettere e doni dalla famiglia e dagli amici. Alessandro Manzoni gl' inviò Les eousidérations sur le dogme genérateur de la pitie catholique dell'abate Ph. Gubet, scrivendo nella prima pagina del libro : «Che può l'amicizia lontana per mitigare le angosce del carcere, le amarezze dell' esiglio, la desolazione di una perdita irreparabile? Qualche cosa quando preghi ; che se sterile è il compianto che nasce nell'uomo e finisce in lui, feconda ò la preghiera che viene da Dio e a Dio ritorna. Milano, 23 aprile 1836.» Le toccanti parole dell' autore dei Promessi Sposi, scritte col carbone da un ignoto sul muro del carcere, che dava nel cortile, vennero per molti anni rispettate come una di quelle anonime sentenze, che nessuna mano osa cancellare nella tema di offenderne il senso o di rinnegarle. * * La città benché abbia addosso il grande ergastolo, è tuttavia una ridente villeggiatura estiva; regina del bel panorama, ossa guarda con le finestre dei villini lo stupendo alternarsi dei terrapieni, che di primavera s'infrondano sotto ai suoi occhi, le vette taglienti delle Giulie e i colli di Parrà e di Medea, che giacciono come due enormi dromedari inginocchiati, mentre i paesucci dispersi nella bassura, si annunciano mediante il luccicamento 0 il color rosso dei campanili. Dall'una parte vede fumar le paludi, dall'altra brillare il cielo di cobalto tra le seghe dei monti. Essa può contare i carri che transitano le molte vie del suo territorio; può invigilare i coloni curvati sulla marra, arrampicati sui gelsi, e può assistere al silente lavoro che si prolunga nella grandi' valle scanalata dall'aratro. L' Isonzo presso Umilisi ;i. Le case, di carattere italiano, basse, non dovendo, secondo le leggi dei raggi fortificatori, sorpassare il cordone posto sopra le fuciliere della cinta, prendono tutte insieme, sulla pianta, la forma di un pettine a quattro denti, rotti dalle stradelle laterali. Il tempio dedicato a san Salvatore si allinea modestamente in una fila di edifizì. Nella cappelleria al fianco destro dell'aitar maggiore v'è il mausoleo in onore di Nicolò gradisca: CHIESA di s. SALVATORE Ljubi ,ana conte Torriani, uomo di spada, che militò sotto le insegne di Carlo V nello Fiandre, nella Spagna e nel Milanese; al servi/io di Ferdinando T, nel 1 520, Uscendo con la cavalleria ila una porta di Vienna, tentò di rompere gli assedianti comandati ila Solimano I; più tardi, alla difesa di Glissa, rimase ferito ? .'NICOLAI' TV) UMANO - II) 1 I K >M< V-Ci >R1'1 IA • I-1 IT ! ■ I •'. /V A lì iv:)Ni;-MVi:r!r-MAioiWM-rM.A(;]Niia'j-c:i.Af\o.'l CAES/^ISM^RDJNÀNOI A-CONS1L1EIS- f.t'-Vm IVSQV E-AU | uri'IAt'-A1ACISTKO-AKCIS-CI\ADlSCAl--tN'CAKNI::t^-l'R Al li. i CTO • CVM-ANTIQVE1S- OPTIAVAE-REU'VI'.l.lCA'E DWlBVS hI' 'ILI. PAI IMA ! A K ( IIWS" 'O \; l'AI'.ANDO-QVi r VIXIT-ANNOSl PLVS4 M'i M V S • IX V111 ■ IVI ' • C ATI IA KiN AI : 'PRÓÒ O Li ) N AI. A ' NfO R)R I Ki VS • V N A NIAARA NTIQV EV- EX EMI' 1.i1 t ".'I l'V D t CITI A E /M ATRO NAE'CiVAi VM-CONIVNRTISM.Mlv AN NOS'f-TlU'• X 1'XX4'VI\AAr:- I 'R ANCÌ SC! iS 'TVR RI AN V S - F'A'1 l\.VO • l;"f • ÀA4I . ;I'AK- KENEAA R1U-:NTTBVS-FAC G V K ■ Ol'.lll ■ 11,1.1 V NO NA^MI' """,Q_V FNTI.-XV ■ is.M !' iN O V I AlB. % m L^.ujf/{ ' ' :aM* ..[«.,...'»,«.i.Mm■n..iii,.:i,v..mu m "" •■'■.i::<:,;1.:'->: |.-'<«ii '. i ■F ' V v., 'JllivWjV* 'jL'juwhiw^m.1 Wih.Vv. Miuuiiiiuitn a Nicolò conto 'l'ormili, da una freccia alla coscia; ottenne quindi per i continui cd utili sefvigi il capitanato di Gradisca, che resse per (piasi trent'anni. Il 3 maggio 1557 Francesco Torriani, suo successore nella carica, gli eresse il monumento, in cui scor-gesi l'atletica figura del guerriero, che dicevasi rassomigliasse all'avo, Martino il gigante. Ai due lati interni della chiesa si veggono le lapidi funerarie di due nobili famiglie. La piccola città ebbe un proprio, seppur tardo, patriziato, costituito dai membri di quelle immigrazioni toscane e lombarde, che trasportarono nel Friuli i più abili commercianti ed i più avveduti feneratori. La popolazione del piccolo villaggio di San Martino, presso Sagrado, è derivata dai fuggiaschi vicentini: (piasi tutti gli abitanti si chiamano Visentin e parlano un dialetto che si approssima a quello del contado dei colli Berici. Nel XIV secolo avviene il maggior rimescolamento delle popolazioni friulane; i Valentinis, i Miulitti ed altre famiglie di Aquileia si trasportano in Udine; gli Strassòldo, i Torriani ed altri si Sparpagliano ai fianchi dell' Isonzo : la gente accorre dove la munificenza del principe ecclesiastico è più pronta, piìi vicina, più durevole. Alcuni tessitori e lanaioli gradiscani vanno a domiciliarsi in Venezia e, secondo il G alliccio! li, diedero il nome di Gradisca a due callette, una a S. Giacomo dall'Orio e 1' altra alla Madonna dell' ( )rto. Gradisca cominciò ad albergare il grosso cespo della sua nobiltà sul principio del XVI secolo, all'epoca delle guerre. Le stirpi gentilizie sono per lo più fiori che hanno le radici^nel sangue I patrizi gradiscani Locateli]', provenivano da ceppo bergamasco, che diede dottori in legge, vescovi, negoziatori e soldati: di broscia e Crema sono i Novelli ; da Siena era venuta la famiglia Toscani, ch'esercitava l'arte della seta. Si accasarono quindi gli Alessio, i Pascili, i Brignolli, i Capella, i Cornelli, i De Jilasis, i Dionoro, i bilipusi, i le acque bianche dell'Isonzo m Lottieri, i PànizolK, i Vermatti, i Vittorclli, i Zuppini cd i Zatloni, ammessi tutti al patriziato assieme con i Salamanca spagnoli, i Gorser, i Wassermann, i Rith de Collenberg ed i ile Fin, tedeschi. Questi ultimi si naturalizzarono in Bergamo, ed ebbero proprio castello; accolti più tardi in corte da Giovanni Francesco Pico della Mirandola, passarono da Ferrara a Trieste, ove ottennero titolo baronale. Un Giulio de Fin fu luogotenente del presidio di Gradisca. Biagio Rith de Collenberg, testimonio oculare della guerra gradiscami, scrissi: ma non senza passione, / commentari della guerra passata nel Friuli, nei confini deW Istria e di Dalmazia; libro stampato nel 1629 coi tipi della prima tipografia triestina, di Antonio Turrini, I l'inetti, nobili pisani, diedero nello scorso secolo Bonifazio, conventuale del monastero di S. Domenico di Farra, i Cui manoscritti vennero acquistati per la Biblioteca di Pietroburgo dall'imperatrice ("aterina di Russia. Valenti orientalista e filologo, si occupò di studi ebraici e lingue se mitiche e polemizzò con 1'1 lobbes, dettando l'Apologia del genere umano accusato d' essere stato bestia. Da questa nobiltà uscirono molti religiosi, attratti probabilmente al ministero ecclesiastico dalla rinomanza che godeva il collegio gesuitico di Gorizia; i più si dedicarono agli studi teologici od al pergamo; Lodovico Gorzar, dell'ordine dei Domenicani, publicò il suo quaresimale; Antonio Zucchclli, missionario, stampò in Venezia nel 1712 la Relazione del suo viaggio e missione nel Congo e nell' Etiopia inferiore orientale, citata sovente dal celebre Buffon. Dei Corona abbiamo un ritratto nella divisa e corazza delle cemide gradiscane, di Giovati Battista che lascjy. il suo patrimonio per istituire un ospitale nella propria casa. Oggi però non trovate nò gli stemmi, uè gli archivi dei ragguardevoli casati; e solo pochi resti memorabili illustrano la cittadetta, che perdette la fisionomia di piazza forte, nè conserva traccia degli assedi e bombardamenti sofferti, perchè si andò lentamente rifacendo e ripulendo. PATRIZI GRADISCACI. La gran cinta di pietra che la circuiva, atterrata dalla parte, oye voi evasi aprire un varco all'aria libera della campagna, lascia appena indovinare l'antica forma della difesa a sproni; e le opere ancora in piedi si possono paragonare ad un disegno ili architettura militare incompiuto. Il torrione dello campana venne pochi anni fa rabberciato alla meglio da un capomastiro muratore, che fabricò presso alla cortina due villini e sostituì al nome storico quello impròprio 'li Miramondo. Torrione della Campana. La chiesa di Salita Maria, in cui officiarono i padri Serviti, eretta dai Veneziani nel 1422, non venne conservata nella sua integrità; mentre così non può dirsi dei palazzi Finétti c de bin : il primo, già del conte Ulrico Torriani, di stile Palladiano, bellissimo, vasto con una facciata grandiosa nella sua nuda semplicità e con una scala a giorno, che guarda il verde cortile; l'altro schiettissimo e che narra come il generale Bonapartc vi pernottasse nel 1797, quando si parti da Trieste sul bel cavallo bianco donatogli dalla cittadinanza. Gradisca: Palazzo l'inetti. Nello scorso secolo un granaio terreno, serbato alle provviste militari, veniva ridotto ad uso tli teatro ed i filarmonici dell'Accademia degli Arcadi-Sonziaci vi rappresentarono un melodrama giocoso, con parole a posta scritte per quei dilettanti da Carlo Goldoni, come fa fede il libretto stampato dal Valerio Valeri di Gorizia. 11 grande commediografo conobbe gli Arcadi (piando si recò a Vipacco, in compagnia del padre, chiamato a curare il conte Lanthieri ; in casa del quale fu trattato assai bene. Ima cosa sola lo seccava, i brindisi che doveva improvvisare tutti i giorni ; nò occorre rammentare in che lingua li dicesse il giovine e li facessero i commensali, (piando dalla narrazione si comprende che il conte e gì' invitati erano tutti italiani. Goldoni ripristinò un teatro di marionette lasciato in abbandono, c tenne divertita la compagnia, rappresentando lo Starnuto di Ercole, scritto per i comici di legno, da bici-Giacomo Martelli, bolognese. Il giovane poeta veneziano traversò quindi, in compagnia del padre, la Carintia, calò a Trieste, e passando per Aquileia e Gradisca, fece ritorno al castello dei Lanthieri per prender congedo dall'ospite generoso. * * * Gradisca ha tre tavole epigrafiche importanti, le (piali spiegano se non la sua prima e modesta origine, certamente quella che la tolse dalla storica oscurità. La prima, murata sulla porta presso l'attuale teatro, dice : (iRADISCAM VICULI APPELÀTIÓNE TURCORUM INCURSIONIBUS OPPOSITAM CONDIDFRK VENETI FRANCISCO TRONO ALOISII FILI* » PROVISORE PRIMO ,36 l'I A N I K I. I kil I.WI Le altre due vennero infisse sulla chiesa parrocchiale : anno salutis mcccclxxix io anne mocenico principe ioannes hkmus iuliensium praetor merit1ssimus gradisci iak tl'.mulum consensu patru m muro et fossa munip:ndum curavit hknricus gallus arcmitectus ab. auctore iiemopolim àùspicatksim e nominai' FRANC. TRONUS A.LOY. E. I'KoVISoR l'RIMUS ARCI HENRIO > callo ARCIUTECTi ) DOMINI il'SSi > FINEM F. MCCCCLXXXI Queste pietre Spiegano (piando sorgesse il luogo di difesa e chi ne disegnasse il piano. Venezia, dopo la dedizione di Udine, ricacciati gli Ungheri, che il patriarca Lodovico di Teck aveva tratti replicatamente dalla sua patria per riconquistare il seggio perduto, spedì tosto i rettori onde si ponessero a capo delle amministrazioni comunali, avendo già costretti i castellani a far atto di dipendenza e vassallaggio. Mentre dunque coordinava le province, affidato il governo generale ad un luogotenente con residenza nella capitale friulana, cominciarono nel 1370 le invasioni dei Turchi. Ben sette volte gli sciacalli di Maometto II passarono le acque bianchi dell'Isonzo, mettendo a fuoco ed a rovina i paesi, incendiando centotrenta villaggi. LI ACQUE BIANCHE DELL' In >NZ< I »37 La Rcpuhlica, a chiudere i facili aditi e garantirsi contro le scorrerie, fece munire di trincee il gomito dell' Isonzo, presso alle testate del ponte di Gorizia, erigendo alcuni ridotti di terra, che alternativamente si prolungavano sino ad Aquileia. Nel 1479 deliberò munire Gradisca di cortine, torri e fossati, e ne affidava la cura ad Enrico Gallo, architetto di rinomanza, uno dei più valenti pionieri di S. Marco. La nuova città-fortezza venne chiamata Emopoli, in onore di Giacomo Emo, luogotenente che provvide al pronto allestimento dei lavori ; non si riuscì però a sopprimere il vecchio nome, troppo vivo nelle tradizioni e neb'uso. Dopo la resa di Scutari, il Senato, con ducale 16 maggio 1479, accordava ai sudditi fedeli di quel porto di trasportare il loro domicilio in Gradisca; e un annalista» che quattro anni più tardi visito il nuovo luogo munito, Porta antica di Gradisca. ci racconta * clic si stava terminando la cittadella formata a torrioni ed a triangoli, e che l'Isonzo bagnava da tre parti, ; aveva due porte, una delle (piali fregiata del Icone ad ali spiegate, l'altra con l1 inscrizione che attualmente si trova commessa nel muro esterno della chiesa parrocchiale. Uno storico poi ci assicura che nel 1487, terminata di tutto punto, era difesa da grosse armi da fuoco e buoni ingegni d' artiglieria. * * * Il conte di Gorizia, Leonardo, non aveva veduto di buon occhio ciò che erano andati facendo i Veneziani sulle terre della sua giurisdizione; protestò, ma al vento; non poteva rompere la briglia messagli al collo dalla Dominante e cercò di vendicarsi in altra guisa. Astuta e non senza riuscita la pensata: fece donazione dei castelli e delle terre negli agri di Codroipo, Tisana, Belgrado e Cormons compresi i diritti vantati su Gradisca, all'Austria, mentre era vassallo di Venezia, divenuta signora del Friuli, con sanzione del conto Enrico di Gorizia, ch'era andato nel novembre 1424 a giurare sommissione e fedeltà ed a ricevere l'investitura in Piazza S. Marco. L'Austria, appena caduto il potere principesco del patriarca, dichiaratasi erede dell'impero germanico e della corona di Ottone il Grande, occupò tutte le terre transalpine già appartenute alla cattedra aquileiese, portando i propri confini sino nel territorio di Vipacco. Considerava il dominio del patriarcato (piale feudo imperiale ed accettò le donazioni del conte di Gorizia, promettendogli costante protezione e soccorso. Gradisca doveva diventare presto il teatro di una guerra celebre. La Republica, appreso l'atto di cessione, accampava la sua padronanza sui domini del conte, suo feudatario ; diceva appartenerle il Friuli, essendo tornata nelle terre da cui in remotissimi tempi era partita, riparando sulle isole. i,e acque BIANCHI: dell'isonzo 130 Morto nell'aprile 1500 il conte Leonardo, l'imperatore Massimiliano spedì trecento cavalli e sette bandiere a prendere possesso del castello di Gorizia e sue dipendenze. Quindi, volendo cacciare i Francesi che si erano impadroniti del regno di Napoli e di Milano, e chiudere il passo a Luigi XII che pensava tli farsi incoronare imperatore dal pontefice, chiese alla Republica il permesso di passare con l'esercito attraverso il Friuli. 11 Senato rispose negativamente, dicendo che T azione del principe d' Absburgo era ai loro cuori sospetta, giacche egli mirava rientrare nell'antica padronanza d'Italia, sostenendo che dessa competesse alla Germania per remota conquista., Massimiliano, dopo rinnovate inutilmente le pratiche, offeso per la ripulsa, confidando nella fortuna delle armi, le rivolse contro Venezia. Il Senato affidò a Bartolomeo Àlviano il comando delle milizie che dovevano affrontare gli arciducali comparsi sulle balze carnichc e il famoso generale mantenne la consegna, sconfisse i drappelli calati nel Cadore, uccidendo il loro condottiero, Sisto Trautson. Corse quindi a Cormons, lo espugnò e lo tolse a Giorgio Hoffcr; scese a Gorizia obli-gandola a capitolare. In poco tempo gli stendardi veneti, portati dalle galee e dall'esercito, sventolarono su Fiume Trieste, Pisino, Premio e Vipaco. Frano però quelle le brevi e festose tappe di Venezia, a cui spettavano peggiori cimenti. La regina dell'Adriatico si era lasciata Strappare da Maometto II le gemme orientali dal suo corno d'oro: perduti ì più importanti possedimenti della Morea, pagò duramente la pace stretta col valoroso Musulmano, quando improvvisamente ecco sorgere contr' essa e come un sol uomo tutti i sovrani d'Europa. Il 10 dicembre 1508 si formò sccrctamcntc la formidabile lega di Cambrai. Reclamavano un brano del suo manto regale e si erano collegati per tagliarglielo con la spada papa Giulio li, il re di Napoli, Massimiliano d'Austria, gli Estensi, i Gonzaga, Luigi di Francia, il duca di Savoia o il re d'Ungheria. Chiedevano ad un tempo la restituzione o la cessione di Rimini, Cesena, Cervia, Faenza, Imola e Ravenna, del Friuli, della contea ti'Istria, di Rovereto, Treviso, Vicenza e Verona, Cipro, il Polesine, Asola sul Chiese, il ducato di Milano con le città lombarde e la Dalmazia. Sbalordita tla quella congiura preparata a suo danno, tentò distogliere con diplomatiche astuzie alcuni principi dal patto, c con quella avvedutezza che non le mancava nelle audaci risoluzioni, chiamò a raccolta i migliori suoi difensori ed i capitani di ventura che teneva al soldo; vuotò gli arsenali, armò le navi, agguerrì le milizie, mentre i cittadini spontanei le promettevano denaro e sangue. Rifiuto l'oro offertolo dai Turchi, sdegnando l'ignominioso soccorso di chi l'aveva vinta; sciolse dal giuramento i sudditi tli terraferma per non tenerli legati al carro dei propri pericoli ed affrontò, sicura tli non perire, la prima sfida, portatale in nome dei principi, dall'araldo di Montjoie. Si difese a Treviglio, a Mirandola, nei piani lombardi, sui fiumi veneti, uscendo da una lotta per imprenderne un'altra, attaccata di fronte, ai fianchi, alle spalle, trovandosi costretta a disputare palmo a palmo il terreno, ad abbandonare oggi le spingarde per riconquistarle domani, con più grave e più cruento sagrificio. Dopo otto anni di prodigiosa resistenza, al lume crepuscolare della pace, si riposò padrona non più dello stato difeso in mezzo alle folgori delle battaglie, avendo perdute le chiavi dell'Isonzo e del Garda, Riva di Trento e Gradisca, ceduta da Alvise Mocenigo il 19 settembre 1511. L'armistizio conchiuso a Trieste prevenne il trattato di Noyon e quello di Vormanzia, confermato il 3 maggio 1521.1) ') I capitoli di Vormanzia decretavano: la restituzione all'Austria della contea di Gorizia e dell'Istria, della citta e territorio di Trieste, castelli di Duino, Vipacco, nonché di tutti i paesi conquistati dai Veneti nel 1508. La cessione di (tradisca, del castello e capitania di Tolmino, nonché' delle ville di Farra, Villanova, Mussa, dell' alto dominio sopra la città d'Aquileia, dei villaggi di Terzo, Cervigiiano, San Martino, San Nicolò della Commenda, Fiumicello, Ruda, Villa Vicentina, Monastero, Aiello con le giurisdizioni di Nogaredo, Crauglio, San Vito, Ioanniz, Visco e Tapogliano. In seguito alla finale stipulazione restavano a Venezia due sottilissimi lembi nel Friuli orientale : il territorio di Monfalcone ed un tratto ili terra presso Palma. Nelle rettifiche del 1535 al congresso di Trento si dichiararono facenti parte della fortezza di Gradisca le località tli Sdraussina, Bruma, Mainizza c Pctegliano, divenute pertinenze ilei dominio austriaco. Se fuori negl'impeti della guerra, Venezia parve talvolta persino allegra, giacché Citolo da Perugia, capitano a cui aveva affidato la difesa di Padova, legò sopra un'asta del bastione una gatta viva provocando gli Spagnoli perchè venissero a guadagnarsela, in Piazza sul Canal grande, Venezia in quella vece se ne stava mortalmente afflitta. Marin Sanudo narra che il 15 maggio 1509, allorché il bucintoro moveva allo sposalizio del mare, «tutti pianzeva, niun si vedeva in piaza, il Doxe non parlava et stava come morto et tristo». L'abate di Bosq nella sua Storia dello Lega di Cambiai ammira il sacrifizio fatto allora dalla Dogaressa, che pagò cinque milioni di scudi d'oro per sostenere otto campagne, Ma sembra troppa quella somma sino allo scrittore francese, che estese i confini della Serenissima tant'oltre da farle perdere Gradisca siili' Isonzo .... nella Carintia.. . . VIL GUERRE GRADISCANE Motivi della guerra — GC intenti di Venezia — Carte segrete — Scoppio delle ostilità — I due eserciti — Fasto militare dei capitani — Opere d'assedio — Dialoghi sotto le mura — Un durilo a ravnilo — Polizia di campo — / saltamartini e le salsicce esplodenti -■ I tornei durante il bombardamento — Giovanni dei Medici — I morti — La pace — Vendita del territorio di Gradisca — Gli Eggcnbcrg e il conte Chierico della Torre — Restituzione della contea aIVAustria — // vescovado di un giorno — Sottile risposta. - Guerre (tradiscane ì l—^i'. acque rosse dell'Isonzo!» Così, nel 1616, il luogotenente di Udine, Silvestro Morosini, chiamava quelle onde quiete e silenziose, che par tecipavauo alle guerre gradiscane, facendosi veicolo dei morti. La ghiaia del renaio mostrava difatti in più luoghi delle chiazze di sangue, e il fiume menava giù i cadaveri investendoli tra i cespugli dei vinchi fluviatili, deponendoli sui letti fangosi della foce. Loco più di cent'anni dopo la capitolazione di Gradisca, le ostilità tra l'Austria e Venezia tornarono a riaccendersi. Alcuni incolpano la pirateria esercitata dai Segnarli in danno dei legni veneti, mentre ciò che spinse la seconda alla guerra fu il dolore di aver perso buona parte il Friuli, ciò che incitò la prima quello di non possederlo per intero; e buon motivo per rendere più acerbo il dolore e più impazienti gli sdegni, le divisioni incerte e confuse dei confini. Si aggiungeva ad incrudelire i dissìdi anche il diritto che la Republica accampava sull'Adriatico, il cui dominio sosteneva spettare ad essa per ragioni di tempo, di conquista e di tutela, avendo comperato (pici mare col suo sangue e coli'oro della sua zecca. 11 Senato, in tutte le lunghe ed infruttuose trattative dei congressi di Bologna, di Vienna e di Linz, non ebbe riguardo di far comprenderei che non aveva rinunciato ai territori conquistati nel 1420, dopo la caduta del potere tem porale dei patriarchi, e che ci teneva a ricuperare il Friuli, massime per riguardi strategici, giacché le frontiere stabilite a Vormanzia, parzialmente rettificate nei posteriori convegni, lasciavano aperte a qualunque scorreria tutte le strade, ed il Veneto rimaneva completamente abbandonato alla discrezione di un esercito che calasse dalle Alpi. Il duca d'Lh'bino, in un parere sulla necessità di fortificare i confini friulani, si esprimeva «essere indispensabile di mantenere in buono stato la rocca di Monfalcone, che avrebbe potuto far ottimo servizio, dato che la Republica ricuperasse un giorno Gradisca». Mentre dunque si studiava di erigere delle nuove piazze militari bastionate, spera vasi altresì di riprendere quella perduta. Appena firmato in Trento il laudo del 1535, i podestà veneti cominciarono subito a lagnarsi coi provveditori ai confini, perchè si erano adattati ad accettare una divisione poco sicura, con limiti mal definiti. A sua volta il luogotenente di Udine, accogliendo e trasmettendo le voci e i lagni della provincia, veniva a chiedere, con sempre maggior insistenza, un aiuto per frenare i crescenti antagonismi che avrebbero trascinato i due Stati a serie conseguenze. È interessante la lettura di quegli atti Ìntimi, che non dovevano uscire dagli armadi del Consiglio dei Dieci e del Senato, celati alla curiosità di chi non era ammesso ai secreti del governo. Sono i fili misteriosi che passano nelle FORTEZZA DI GRADISCA. (I>.i iflui pianta del XVIII secolo.) mani della rigida diplomazia ad ingarbugliare la matassa ed a comporre il nodo, che verrà sciolto soltanto dalla spada. Quelle ingenue confessioni, quegli esagerati spaventi, gli avvisi zelanti e finalmente le strane informazioni dei confidenti spedili nella Cai intia, nella Stiria e nelle città principali dell'Austria, formano tanti minuti e preziosi materiali della storia. Che se la storia, come fu ben detto, è la narrazione tli uno che si fa interprete degli uomini e degli avvenimenti, quelle carte sono invece una parte viva degli avvenimenti e degli uomini stessi. * * * Un bandito di Trieste «amico occulto della Sereni s sima e fiolo de uno dei primi di (pici loco», avverte che i Triestini, assieme con quei di Gorizia e Gradisca, per i quali Monfalcone è «come un spin negli ochi», hanno deliberato di «rubarlo e far straze e minar le mura e far la gente a pezzi» ; ma il peggio sta in ciò, «che mantengono intelligentia con due della stessa terra». A Monfalcone bisogna dùnque mandar truppe, perchè «si attrovano novo fanti dei (piali quattro infermi e il conestabile mal conditionato de la gamba e non possono supplir a guardia del zorno etiam a far li squaraguaiti là notte». In seguito si scoprì che un Domenico da Capodistria, soldato della rocca di Monfalcone, manteneva segreti rapporti coi Triestini per vendere il forte: «il castellano l'ha catturato e posto in fondo della torre.» Da Gradisca si annuncia che il luogotenente Ricciardo Strassoldo 'commette alli Degani Comuni et huomeni delle Ville de Agello, Tapoian, Joanniz, San Vido e Visco, in pena de lire 100 per cadauno, debbano de mattina a buon hora mandar il sforzo de Carri di cadauna di esso Ville con Zagotti, bachili et doi homeni per carro per levar terra dove li sarà comandato c quella condur a bcneffitio della fortezza,. 't. GUERRE GRADISCANE I49 Gerolamo Dona, podestà tli Monfàlcone, informa in data 27 novembre 1615: 'Heri soni alle due hore di notte, lontano otto miglia di qui s'attrovava quantità di gente nemica a piedi ed a cavallo. Circa al Vespro è arrivato il signor Governatore Retrcsc con 40 Cavalli Cappelletti, ma troppo tardi perchè dal levar del sole fino a mezzo giorno detti Uscocchi a piedi et altri a Cavallo, hanno depridato et abbrugiato cinque Ville di questo territorio coli'occisione tli una sola persona menado via buona quantità di Animali grossi et minuti., Il procuratore di Cividale pochi giorni dopo scrive: Mio avvisi pervia di Grazchcsabatopassatofos.se toccato Tamburo et fatta rassegna di ottocento fanti destinati con presidio in Gradisca et Goritia. Le aggiungo che il foco arreso heri nel territorio tli Monfàlcone abbruggiò le ville di kedipuglia, Vermegliano, Selz et buona parte de Ronchis., Quindi le notizie si fanno giornalmente più copiose e più frequenti; e il luogotenente tli Udine scrive: "Si hanno rinforzato le Guardie delle fortezze di Gradisca e Goritia con li soldati delle ccrnidc, havendo anche condotti alcuni pezzi di Artiglieria sopra le mura, e da quel di Gradisca hanno fatto sentire molti tieri più per timore che per altro, standosene con gran custodia. Vogliono molti che il beta/.zi che si è trovato nell' impresa d'Istria con un Capitano Francol triestino, soggetto di gran valore et esperienza, siano poi con circa 300 huomcni, sotto sette insegne entrati per il passo della Valle di Doberdò nel territorio di Monfàlcone et abbiano abbruggiato le ville e predati animali senza fare offesa, per quello che si sappia, nelle persone, altro che al Prete di Ronchi et ad un Contadino, i (piali hanno ricevuto diverse busse. "Dopo i fatti di Monfàlcone le ville confinanti attendono a condur li loro mobili più pretiosi in Gradisca e Goritia, et particolarmente (pici di Cormons, eh'è Terra grossa et assai civile, ove era ospitato il conte di Sdrin con molte insegne di Cavalleria. '5° PFANURF FRIULANI', *Un Iseppo Oler da Gcmona che ha fatto la strada del Cragno racconta: Che venne a Goritia, che era tutta in armi intimorita et mal provvista con circa doi mille anime. A San Passo trovò doi scrivani del campo accompagnati da sei soldati che andavano verso Vipau per incontrare li Capitani Francol, Vicco et Poner che venivano da Senosechia et altri luoghi del Carso. Che sei mille Ongari erano per calar a Fiume. Che quelli di Goritia hanno opinione di venir in Campagna. Che in Goritia desiderano pace et li Capi hanno fatto scrivere sulle porte: Guerra, guerra., Gli scorrazzamenti delle bande, l'attnipparsi di gente armata attorno all'ultimo lembo del veneto territorio, affrettarono le ostilità che già a Vienna ed a Vene/da prevedevansi imminenti; prime avvisaglie, le violenze degli Uscocchi, prezzolati dal castellano del Carso Volfango Frangipane conte di Tersatto, e dai triestini Benvenuto Petazzi e Daniele Francol. * * * Sullo scorcio del ic> 15 i magistrati veneti, posti alla vigilanza delle città e ville confinarie, andavano a gara nel dimostrare il loro attaccamento alla Republica, alcuni di essi con singolare coraggio si recavano travestiti a verificare nelle terre arciducali l'annunciato movimento militare; collocavano sentinelle ai passatoi dei torrenti, sulle strade miste, facevano arrestare i viaggiatori sospetti e tenevano fuochi accesi per dimostrare la loro attiva e costante vigilanza. Palma, con nove bastioni e diciotto rivellini, assicurava in parte Venezia, la quale dichiarando in un manifesto i motivi per cui rompeva la pace, il 19 dicembre spinse la sua avanguardia ad occupare Connons, mentre il grosso suo esercito si alloggiava a Mariano, a Medea e nei vicini villaggi. * * Da quel giorno principiano le guerre gradiscane, singolarissime per il modo con cui furono condotte, famose GUERRE GRADISCANE 151 assai più per la riputazione di coloro che le comandarono che non per l'azione spiegatavi. I due eserciti si componevano di gente raccolta tra diverse nazioni; d'ambo le parti si trovavano Italiani, Tedeschi, Francesi, Dalmati, Croati e Schiavonb T Veneti avevano uno speciale nerbo di Greci c di Olandesi c gli Imperiali un grosso stuolo di Spagnuolì. Alcuni feudatari friulani si erano schierati sotto il leone di S. Marco, altri sotto le aquile: rampolli di un istesso casato, nobili del medesimo sangue si combattevano di fronte. Ad Adamo Trautmansdorf, Eugenio Duval di Dam-pietre, Baldassare Maradas, Alberto Wallenstein, Ernesto di Montccuccoli, Ricciardo di Strassoldo ed ai molti altri capitani di ventura che si segnalarono poco dopo nella guerra dei trenta anni, oche furono il braccio forte dell'armata imperiale, Venezia contrappose Pompeo Giustiniani, còrso, uscito con grande onore dalle campagne di Fiandra, Giovanni de' Medici, figlio naturale di Cosimo I, don Luigi d'Estc, Ernesto di Nassau, Giovanni Enrico di Holstein, e inoltre Daniele Antonini, Marcantonio Manzano, Orazio Paglione, Ferrante dei Rossi, Virginio Orsini, Giulio d'Ornano, Cesare Pcpoli, Pio Capodilista, ed altri condottieri, che davano la spada o la vita per il nome di prodi. Vennero taluni di questi al campo con grossa scorta di proprie corazze e di paggi, montando cavalli superbamente addobbati: il veronese Francesco Campagna aveva un cappello con grandi piume e un pendone d'oro gioiellato; sette figli di principi sfoggiavano le loro insegne sulle pompose gualdrappe, Le due forze nemiche, alloggiate una presso all' altra, si diedero vicendevole tormento senza venir mai ad una grande battaglia. I due comandanti generali perirono: Pompeo Giustiniani a Lucinico, Adamo Trautmansdorf alla foce del Vipacco, mentre tentava di guadagnare le collino di Rubina, ma la perdita dei due capi non decide della sorte, e la campagna continua. Canypagna i v m & ) J: y i/km . cmllrrihì'i'.-' \:,,.,„lfrJ,ctz 'JÒar/n-J ■ì'tMm .Gtfrtìk'M armati Ji**Q*#ìf J^ffnttà 3(trum* etila. .Ve/'" K'/' 'bVtwft'a "fi prricnk Jflcfw^ Ite rffri il''lieitJijta (on. »fni riu* ttH* , ij/UMim ym/e VALLE ■-pm IEP &Owitkrut l'altra insegna nemica; c si veniva a provocazioni parziali ; i capitani mandavano i propri trombetti a sonare le intimazioni, per obligare l'avversario a rompere la consegna ed accettare la partita. Prevaleva lo spirito personale a segno che si permise un duello. Il capi tano Oriza, còrso, rimasto prigioniero, venne insultato, ma di ritorno al quartiere veneziano mandò un cartello di sfida al capitano Vasquez, spaglinolo. Il generale Strassoldo informò del fatto l'imperatore Ferdinando, che ritenendo quello scontro necessario per l'onore dell'esercito, forni il Vasquez del miglior cavallo e di due sue pistole-, mandando padrino il proprio luogotenente Avcdagno. Padrino dell'Oriza era il capo alabarde Fantasia; a nove ore di mattina presso la sponda destra dell'Isonzo, sotto le mura della fortezza, i duellanti a cavallo e in semplice camicia si tirarono prima due colpi di pistola, poi impugnate le sciabole, dopo molli assalti, restarono ambidue feriti, Oriza alla faccia, il Vasquez al venire. I disertori [lassavano dall'una all'altra parte sino con le bandiere. Le guerre gradiscane, che durarono dal io. decembre 1615 al d novembre lót/, si possono dividere in due parti : una che riguarda il bombardamento della fortezza, diretto da Pompeo Giustiniani; l'altra dovuta alla tattica di don Giovanni de' Medici, arrogante e superbo maestro di stratagemmi guerreschi, e rivolta con fatti d'armi più frequenti ad isolare Gradisca, circondandola con le bocche da fuoco. GUERRE GRADISCANE 157 Il primo bombardamento duro venticinque giorni, dal 5 al 29 marzo 1616; si spararono quattordicimila cannonate, senza le bombe, i saltamartini e le salsicce fatte di cuoio, riempiute di polvere asciutta e legate con corda incatramata, le quali venivano poste dai petardieri tra le screpolature delle muraglie e quindi accese. Si riuscì con le mine ad aprire due brecce, tosto otturate dalle donne di Gradisca, alla cui testa figurarono Elisabetta moglie di Riccardo Strassoldo e Torriana contessa dei Torriani, che non sdegnarono di portare la gerla piena di terra. Rovinò sotto la grandine delle palle gran parte del rivellino e quasi tutto il torrione della campana; i proiettili, dopo aver in più luoghi crivellata la camicia dei bastioni, danneggiarono le chiese e le case; «tuttavia, dice il Rith, gli assediati non si scoto-vano e dentro facevansi giostre e torneamenti. » Al principio del bombardamento, per vedere la distruzione Operata dai cannoni, giungevano alenili nobili veneziani; ma cessò affatto il concorso dei curiosi * dopo che si vide il fine del capitano Daniele Antonino, il quale trovandosi fuori delle trincee con alquanti ("avalli et fra quali due Gcntilluomini, che insin da Venetia erano venuti à posta per veder tali mine, mentre le andasse loro additando insieme col suo Alfiere, ambitine vi restarono morti : cioè il Capitano di una cannonata et tli un'altra l'Alfiere: con grandissimo spavento tli quei Nobili, che per ciò non curandosi tli veder altro, tosto se ne ritornarono alla volta di Venetia. „ Durante il rombar dei falconetti e delle bombarde erano diventate celebri due colubrine: quella della fortezza di Gradisca chiamata Ctrbero e quella dei Veneziani detta la Lupina: una vomitando il piombo latrava, l'altra gUaiva ; se ne riconoscevano le voci fatali, ma si rideva, perchè i piìi degli artiglieri tiravano a caso ed i proiettili andavano in gran parte perduti. La seconda fase della guerra assunse maggior estensione, e gli azzuffamenti, le mischie, le scaramucce si dilatarono su ■ SS PfANl'KK l'RIUI.ANE più vasto territorio. Il piano consisteva nel guadagnare il passo supcriore dell'Isonzo, prendere Gorizia, invadendola dal Carso e dalla valle di Tolmino, aprirsi una comunicazione con Cividale, e tagliar fuori gli arciducali dalle province, che potevano rifornirli di gente fresca e viveri. Don Giovanni de' Medici, appena assunto il comando, trovò tra i militi una quantità di poltroni che divoravano le provviste inutilmente. De lettere, ch'egli scrive alla Serenissima provano in quale stato di abbandono e demoralizzazione giacessero i corpi. Disdegna la strategia del morto Giustiniani, troppo fedele alle guerre romantiche descritte dal Tasso, e che paragona all' assedio, che i gatti danno ai topolini; domanda gente, armi, provetti sergenti, cavalleria ardita, guastatori coraggiosi. Presa cognizione dell'armi, dei luoghi e delle posizioni; riaccende la guerra in più punti, la trasporta alla Pontebba, a Malborghetto, a Tolmino, a Sagrado, nell'altipiano del Carso; divide i corpi perchè nella mischia delle spade, picche e brandistocchi, gii archibusi non potevano servire se non con pericolo di uccidere i propri; quindi scaglia i fanti e i cavalli ad impossessarsi di barra, Vipulzano, Villanova, di Mossa, RomanSj Chiopris, Crauglio, del forte del bosco, li spinge- nella valle di Ronzimi, cercando distrarre gii arciducali dal suo obbiettivo, tenendoli spartiti, preparando l'assedio della fortezza, occupando i colli circostanti, e fulminandola col cannone. Ma sia per la vasta scala su cui svolgevasi fazione, sia per varie difficoltà inerenti alla troppo lunga durata della campagna, il disegno, compiuto con destrezza ed abilità soltanto in minima parte, falli poi del tutto. Il Medici invece di affrettare le operazioni stimo meglio godersi il titolo di generale ed accattar brighe col principe di Nassau, che voleva avvocare a sè il supremo comando. Così la guerra si prolungò senza vantaggio, dando sfogo a personali ambizioni. Nulladimeno don Giovanni s'ebbe il ricordo di mia incisione che lo raffigurò a cavallo, c sotto la quale pochi versi ne celebravano l'alto spirito militare e le continue vittorie. GUERRE GRADISCAN E ,(„ Gli eserciti erano ridotti a tali estremi, che buon numero di soldatesca chiedeva di tornare alle proprie case. Giacomo Surian, tesoriere di Palma, informava il Senato, dal campo di Farra, che tutte le truppe andavano creditrici di una paga e la cavalleria di due paghe ; mentre il comandante Maradas era stato avvertito dai consiglieri imperiali che i fondi della cassa militare bastavano ancora per quattro settimane di soldo alle milizie. Gradisca, negli ultimi tempi, non poteva venir vettovagliata, perchè i Veneti, dopo chiuso l'Isonso con catene, armarono anche due barche epirote per dar la caccia alle zattere cariche di farine e polvere; ed era prossima a capitolare, (piando essendo corse segrete trattative tra i due belligeranti, nel novembre del 1617 si Stipulò un armistizio. I/anno seguente i capitoli della pace di Madrid obligarono i Veneti a restituire all'Austria tutte quelle terre del Friuli e dell'Istria, che le avevano appartenuto prima della guerra. Cosi, senza la sperata fortuna, Venezia sgombrava il Friuli. Non bisogna dimenticare che nei combattimenti fio-rissimi come anco in fazioni affatto insignificanti si verificarono casi di supremo valore; però le epidemie ammazzarono più soldati che non ne uccidessero le armi, e perciò i Friulani condannando con sottile sarcasmo il prolungato guerreggia-mento, si tramandarono il proverbio: la nere di Gradisce san /as in vìncile dodis e sou tornati in trentedoi. % * * Abbandonata la valle dell' Isonzo, un più abile assedio venne condotto dagli ambasciatori veneziani alla corto di Vienna, quando si venne alla regolazione dei confini, ritenuti d'ambo le parti 'poco rassicuranti e in più luoghi dubbi,, La Republica non potendo conseguire la fortezza verso cessione di altri possedimenti, offriva di riscattarla con una somma di denaro. ]62 l'IANURK KR1UI,AN K. Ma la corte non voleva saperne di trattare su questo punto coi Veneziani. Gl'inquisitori di Stato, appena venuti a conoscere che si cercava di cedere tutto il territorio arciducale su cui si era estesa l'ultima guerra, al Barberini principe romano, consigliarono il Senato di guadagnarsi la mediazione dei sovrani per distogliere il gabinetto viennese dal suo proposito; ma tutta l'abilità spiegata a tal uopo, a nulla valse. Venezia dovette rassegnarsi a veder ceduta la fortezza ad una famiglia dei suoi più implacabili odiatori Fallito il tentativo di vendita col principe romano, l'imperatore Ferdinando, il 26 febraiO 1647, per 315,000 fiorini cedeva al principe Gian Antonio d'Eggenberg la capitaria di Gradisca, trasformata in contea principesca e sovrana. La casa degli Kggenberg aveva dato all'esercito imperiale il braccio di Wolfango, e Gian Antonio pago del proprio l'ufficio dell'ambaseieria straordinaria presso il papa, famosa nella storia ilei diplomatici per lo sfarzo e la prodigalità. L'atto sovrano tli cessione della contea al principe d 1 .ggenberg diceva, che "avuto riflesso ai bisogni ili guerra ed alle urgenze in cui ora Noi e lo Stato ci troviamo, per i quali siamo costretti d'impegnare e vendere una parte delle nostre Contee, Capitanati e Signorie all'uopo di procurare! mezzi necessarii di difesa, coi quali poter viemeglio preservare le nostre provincie e i nostri sudditi da un'invasione nemica, concediamo ad esso principe, ed a tutti i di lui eredi e successori maschi in infinito c por (pianto durerà la linea mascolina, il predetto capitanato di Gradisca con ogni singola attinenza, proventi, diritti, abitanti, terre, villaggi, boschi, affitti, rendite, stourc, vigne, foresto, caccio, campi, decime, aeque, ponti, pescagioni, dogane e tutte le altre spettanze , Doveva il principe tenere un sufficiente presidio, riservato all' imperatore in caso di guerra d'introdurre proprie milizie. In caso di estinzione della linea mascolina, la contea Veniva restituita senza diritto di rifusione allo Stato austriaco. olil'.kRI'. i.l;.\hl-< \M. Incombeva al principe istituire una Dieta da convocarsi annualmente per trattare gli affari dei sudditi. ') Gli Eggenberg non fissarono la loro residenza in Gradisca; vennero pochissime volte a visitare quel loro possesso, comperato piuttosto per aver diritto al seggio della Dieta di Ratisbona, che non per esercitarvi le funzioni principesche. Il primo atto della loro reggenza fu quello d'invitare i forastieri ad abitare "gli amplissimi territorii che conforme alle condizione delle loro persone, li saranno consigliati campi, terreni e luoghi atti a fahricar habitationi per le loro famiglie, immuni di qualunque gravezza., Gian Antonio incaricò l'abate Francesco Bossi di amministrare in suo nome la contea,' e ne affidò il maresciallato e la cura del governo ad Ulderico della Torre, prudente ministro ed anima di gran signore, uomo che sapeva conciliare in sè stesso i due caratteri di politico astuto e di magistrato benefico. Rafforzò questi le mura, provvide di armi e munizioni i depositi, aumentò il numero della soldatesca, riordinò l'amministrazione civile, cercando di vivere in buona armonia coi Veneziani. Aprì un publico giardino riccamente decorato di statue, e fondò scuole; eresse la publica loggia; introdusse l'industria della seta, quindi il telaio delle calze, già conosciuto a Venezia, che lo aveva tolto con abile sotterfugio agli Inglesi; fondò un publico granaio, istituì il calmiere e spese del proprio per regolare le modeste opere pie; finalmente creò il monte di pietà, soppresso nel 1810, il cui edificio acquistato dal ') Lft contea di erudisci si componeva di quarantatre comunità, principali fra queste : l'arra, Bruma, Villauova, Ruda, San Nicolò, Villa Vicentina, Fiumiccllo, Ter/o, C'erviguano, l'orpetto, Maranutto, San Giorgio, Nogaro, Torre di Zuino, Fornelli, Chiarisacco, Aiello, Tapogliano, Gonars, Fauglis, Oatagn&nO. Vi si aggiunsero nel 1647: Aquileia e le giurisdizioni goriziane di Villessc, Romani, Versa, Fratta, Crauglio, San Vito, Nogaredo, Ialmicco, Visco, Gorizizza, Gradiscutta, Driolassa, Rivarotla, Campomolle, EVecenico, Siviliano, Flambruazo, Sagrarlo e Sdraussina. V'TfftÀri;, Antica Leggi*. Comune divenne sede municipale. Sul pianerottolo dello scalone eli questo palazzo la statua di Giovanni Cristiano I ricorda la passeggera sovranità degli Eggenberg. Finché il conte Ulderico tenne le redini del potere affidatogli, duro il breve splendore di Gradisca; inviate) il sagace governatore nel 1670 ad assumere l'ambasciata austrìaca presso la Serenissima, mori a Venezia nel gen naio del 1696. Sono curiose le cerimonie funerarie ordinate dal Senato per il valente diplomatico: "11 12 gennaio i<>ta:^ SU "SS Le maggiori scoperte si fecero al principio del nostro secolo. Il conte Faraone Cassis, finanziere egiziano, riparato a Trieste con gli scrigni pieni d'oro, acquistò i benj delle monache di Monastero e venne in possesso, facendo lavorare la terra, di preziosi tesori archeologici ; il marchese di bongibaud, a sua volta comperato il podere dì Tientinbone, riuscì a formare una ricca collezione tli bronzi e vetri rarissimi. Questo emigrato francese, sfuggita la condanna nel capo, riducendosi a Trieste, deliberò di assumere il nome del primo oggetto che gli sarebbe capitato sott'occhio, entrando nella città scelta quale soggiorno del suo esilio. Vide nel salotto della Locanda grande una spazzola e da quel momento diventò il signor Labrossc, negoziante di panni. Gran parte dei capi pregevoli della raccolta che questi andò accumulando passò all'estero, ma per molti anni i contadini trovarono monete e pietre incise LA SENTINELLA AI. TIMAV<> nelle zolle arato della bonificata possidenza, che veniva détta perciò la zecca morta. Il mondo romano sino alle corrose labra della riva a mare s'impone con lo denominazioni sorvissute: sovra le sue ossa aleggia il suo spirito : si e scomposto senza cessare di esistere. Ogni piccolo villaggio vuol esser stato una parte dell'aggiardinato agro aquileicse: i terrazzani vi dicono che Kedipuglia era il predio Pullianum o il Rodopuglum che già comparisce negli atti del 1399, che Bistrigna deriva ila bis trina milliarìa, che Casscgliano era della famiglia dei Cassi, Ponzano di quella dei Ponzi, Staranzano, una volta Teren-ziano, dei Terenzi, la Marcii liana dei nipoti di Mario Claudio Marcello, inviato a fugare i Galli trasalpini. In ogni cantuccio nobili e plebei ci avvisano che dormono sotterra nella pace infinita e suprema. A San Galiziano, Annava Elena mostra la sua superbia nel non aver voluto assumere il nome del marito comperato con le ricchezze o con le abili arti della seduzione. A Ronchi Vinisio Alessandro giace accanto ai suoi figli, alla moglie ed alla sua schiava preferita, di nome Meta. Dappertutto c'insegue la voce di questo mondo scomparso; si potrebbe dire con Yung 'che la morte è in ogni luogo fuorché nel pensiero dell'uomo!, * La rocca di Monfalcone, posta sulla sommità di un poggio, si eleva da una corona di acacie che crescono intorno alla sua fossa ; domina con il piccolo maschio gli ultimi golfi istriani e le strade del vallone, spalleggiate dai pioppi che amano le acque e ne seguono il corso^. Sola e vuota in mezzo ad un deserto di sassi, ove P erba, presto aliela e rasciutta per la grande seccura, va in paglia, sfida l'insulto dei secoli e dà ricetto alle lucertole, che nidificano tra le fessure, ed ai viperotti che d'inverno vanno a raggomitolarsi nelle buche. Era la vedetta veneziana: sguarnita sul finire dello scorso secolo, il municipio la vendette ad un privato che pensava ridurla a villino; scnonchè il nuovo sentimento di rispetto per le anticaglie animò alcuni a sgombrarla dai calcinacci e rottami. L'ingegnere Pietro Nobile, visitandola, riconobbe stratificazioni murali di tre epoche diverse; una tradizione la dice inalzata da Teodorico nel quinto secolo, ma è probabile venisse rifatta sullo scheletro di un castcllicrc romano, gemello agli altri che sui colli Rocca di Monfalcone. vicini mostrano a fior di terra le morse dei muri scomparsi. 11 documento più remoto che la ricordi risale al 1289, e sappiamo che il patriarca Raimondo della Torre, riunitosi con le truppe del conte di Gorizia per menar guerra ai Veneziani nell'Istria, creò cavalieri a pie' della rocca, il nobile di Prampergo e Nicolò Baldacco di Cividale. Nel 1310, mentre duravano le ostilità tra il patriarca Ottobono e la lega ilei feudatari, il conte di Gorizia (venne a stringerla d'assedio. Pianta della Rocca di Monfalcone. (Disegni e mappe dell'Archivio di Stato in Venezia,) Settantasei anni più tardi, spartito il Friuli in due fazioni, una favorevole al patriarca d'Alencon, l'altra contraria, i Cividalesi, che armeggiavano con la prima, s'impossessarono del fortilizio, cd i Monfalconesi glielo ritolsero con un assalto vigoroso ed ardito. Nel 1398 il patriarca Antonio Caictani scrive al proprio maresciallo, il quale si trovava in Monfalcone, clic qualora desiderasse soccorso accendesse sulla rocca tanti fuochi quante decine di cavalli gli abbisognassero. Nel 1410 il conte di Ortemburgo, vicario imperiale, s'impadronì della stessa con"violenza, e finalmente nel 1420, il 14 luglio, i Veneziani, che [in quel momento andavano acquistando tutto il territorio patriarchino di qua delle Alpi, fatti prigionieri i pochi soldati di Lodovico di Teck, ultimo principe patriarcale, vi alloggiarono un proprio presidio. Allora essa aveva la forma di un semplice torrione. Marin Sanuto nell'Itinerario per la terraferma veneziana ne II' anno 1483 ne dà il disegno illustrandolo a questo modo: * Monfalconc castello dove erra vice Podestà Marsilio Contarmi, per esser morto suo suosero Almorò Lombardo. Questo, chome si leze ne le historie, fo edificato da Thcodorico re dei Ostrogothi, chome scrive Justino. A una chiesia di Santo Ambruoso; la terra è al piano, picola et bislonga; à sopra il monte uno castello; erra castclam Marco Antonio Marcello di Fantin fini, el qual castello è tondo. La terra à do porte: una si chiama di soto, l'altra di sora, la quale si tien serada et non si adopera se non un.a; non si fa mercado ordinario ; poche luntana di qui è Sdoba f. gli dove e assai ostrege et perfettissime; le fosse di la terra sono piene di erba; il palazo dil Podestà è apresso la porta, et iS4 1M ANI TU K FRIULANE la loza è dentro di la porta di la terra, apresso il ponte dela fossa Nel 1525 la rocca venne rinforzata con il maschio, si gettò un nuovo ponte di legno sui tre piloni, e si pose una lapida con la leggenda: Ma se a sbalzi la Republica mostrava di tener conto del debole fortino, più spesso e più lungamente lo dimenticava, abbandonandolo a quello scarso presidio militare che ora Chiedeva si l'istaurassero i tetti per salvarlo dalla pioggia, ora gli si spedisse una nuova bandiera "essendo la vecchia non in mano ai nemici, ma fatta a brandelli dal vento,. Ad ogni prima minaccia di guerra il provveditore di l'alma vi mandava improvvisamente un esperto a suggerire quanto occorresse per munirla ed inviava la necessaria soldatesca e gli attrezzi; ma l'una ben presto veniva richiamata, ed i secondi restavano a marcire nelle cantine. . La rocca ebbe perciò qualche importanza prima e durante le guerre gradiscane; era una specie di faro che annunziava l'arrivo di truppe o la ripresa delle ostilità ; fini col diventare una semplice garetta per la sentinella che doveva invigilare il limite dello Stato. Se era bastata al maresciallo delle masnade patriarchine (piando guerreggiavasi con le armi bianche, e se essa aveva resistito alle ciurme mercenarie q^ei nobili, perdette quasi tutta la sua utilità allorché di fronte ai cannoni ed ai fucili cadde la veste di ferro dei militi del medio evo. Prestò ancora un ultimo e debolissimo servizio nel momento in cui si combatteva con armi miste allorquando, come dice Lacombe, i vecchi soldati avvezzi alle mischie, temevano il fuoco, mentre i nuovi, che AUGUSTINUS MVLA T. F. I. IO DIETO 1\ TIS, F l/OX MPXXV DB LO freddamente si avanzavano contro lo scariche de' moschetti, rifiutavano d'impegnarsi nelle zuffe a corpo a corpo. Tuttavia ha per noi qualche interesse di curiosità. Le lettere del proto di l'alma, dei podestà 0 degli ispettori alle fortezze ci mostrano appunto come in essa le partigiane e le picche si affratellassero al fucile, e come si spendessero lo ultime cure intorno a quei mezzi di offesa, che dopo aver servito V uomo per tanti secoli venivano condannati a sparire. Mentre si accenna alle colubrine, ai falconi ed agii archibugi da cavalletto, la spaventosa artiglieria dell'avvenire, non si disdegna ili rammentare le frecce, che il mito aveva posto in mano a Paride e a Cefalo. I dardi olimpici delle falangi di Leonida e di Mario, che irrugginivano nella polveriera di Monfalcone, vengono tratti per un'ultima volta all'onor militare. Con quelle lettere ci passano dinanzi, rischiarati dalle torce di corda, i soldati in corazzina di lama, chiamati cappelletti dal morionc che loro copriva il capo c che presto rigetteranno per il cappellaccio a larghe falde, già portato dai mastri di campo. * Nel 1527 Giovanni Moro luogotenente della Patria del Friuli inviava la seguente Relazione: * Per essere el territorio e rocha di Monfalcon de grande importanza per esser vicini alli inimici et per poter soccorrer per ogni bisogno l'Istria cimi giente da terra e per più altri rispetti cognossendo lo che fatta la rocha forte il tutto se conserverà, ho fatto cavar le fosse (piai sono cavate dal sasso vivo, et ingrossata la muraglia fino alla grossezza de 10 pie, che prima era pie 9, ponendo in detta muralia le archibusiere, facendo etiam el corador a canto della muralia de oltre IO pie et a farvi la muralia atorno detta rocha li manca solamente passa 22 de muro. Io riverentemente aricordo che sia fatto finir li 22 pass.i de muro et fatto far quattro guardiole et fatto far alcune case nella rocha, che a far tutte dite murarie non si spenderà ducati 120... Etiam dico esser necessario meter in dita rocha munition polvere grossa, ed da schioppo, come da far foghi artificiadi et trombo da fuogho et almcu stara 50 de biscotto et 50 de miglio et un molin da man, legno, asedo, olio et sale, et de gran reputatimi saria por uno cestellan gentiluomo, over far dal podestà do la terra de Monfalcon li andasse ad abitar dentro,, Nel 1559 Marc'Antonio Pisani, castellano, accennava che nella rocca *non s'attrova che quel solo che è di vardia sopra la muraglia a far la sentinella, giacche li altri se ne vanno ». Nel novembre 1590 i giudici della Comunità denunciano MI castellali della Rocca che va ad ogni suo beneplacido vagando qua et là, lasciando la fortezza in potere di tre over (al più) quattro mascalzoni, quali per poca cosa si potrebbero lasciar indurre a far operation tale, che sarebbe causa della mina tli Noi, ma fedelissimi suoi sudditi,. Rocca di Monfalconc. (Disegni c mappe dell' Archivio di Stato in Venezia.) LA SEN riNELLA AL TIMAVO Il 29sa piedi 24. F. Fossa targa passa 12. II. Valletta larga passa 13 et longa passa 30, lontana dalla Torre passa 62. 1 Eminenza lontana dalla Torre passa 172. L. Valle di passa 40 per ogni via. M. Eminenza lontana dalla Torre passa 232. (Inserto al Dispaccio del Luogotenente di Udine 18 decembre 1612. Sen-Secreti-Disp. dei Rettori di Udine e Friuli. 1612-1613.) PIANTA DELLA CITTÀ E ROCCA DI MONFALCONE disegnata dal generale veneto Ferrante de' Rossi. 'Contuttociò per rimediarvi in qualche parte et ridurla in istato tli poter resister qualche giorno, a mio giudìzio bisognerebbe levare tutta la torre sino al piano della piazza.... et perchè il Casamento del Garrissimo Castellano per l'altezza sua potrebbe apportar l'istesso danno c' habbiamo detto della Torre, lo abbasserei circa dieci piedi.,1) Il disegno di Ferrante dei Rossi venne in parte attivato; lo completò il tempo : alla fine del secolo decimottavo, i venti scorniciarono il maschio e poi lo demolirono insieme con il quartiere che gli stava addosso. Una compagnia di guastatori non avrebbe compiuto con tanto ordine il diroccamento: le macerie accumulate protessero la rovina, rimasta con la parte più antica a comprovare la vetustà del paese. ') Archivio di Stato in Venezia. Senato (Segreta). Dispacci dei Rettori di Udine e Friuli, 1812-1813. IX. MONFALCONE Veduta triste — Nemici vicini — lina gemma — Costituzione veneta -Un nobile comune — Sotto la loggia ed in palazzo — Statuto, proclami bandi — Risorgimento — Aspetto nuovo — Vita lieta — Al mare. ]VL)\ial<<)\k nel XVII secolo, veduta dall'alto, presentava la forma di un calcio da fucile; era chiusa da ima cinta ili cinquecento e quarantacinque passi, alta passi cinque e grossa quattro piedi e mezzo; il cui lato pili antico, sprovvisto tli feritoie, prospettante San Polo, finiva a merli ghibellini; mentre circa ottanta piedi erano fatti a secco e perciò dirupati. Delle nove torrette sporgenti, quattro rinforzavano gli angoli, una il lato sotto la rocca c le altre il fianco opposto. Nel torrioncino della porta di Palma, a destra del passaggio stava la guardia, a sinistra il nibbio su cui avvob gevansi le catene del ponte levatoio. La porta di Duino, otturata dopo le incursioni dei Turchi, era stata ridotta a barbacane di rinforzo. Esternamente correva lungo le mura una fossa larga nove passi, che si colmò di melma e rifiuti, c in cui crescevano i funghi dei letami e l'erbe che mettono radice nel putridume. Entrando in città, prima a presentarsi, era la loggia o frescada, a tre archi, un po' rialzati, quindi vedevi la casa del rettore, nelle cui cantine si conservavano le munizioni della Republica, e la chiesa di S. Ambrogio, consacrata nel 1315; alla parte opposta, levavasi il palazzo del Comune. La via principale, dividendo l'abitato in due grossi isolotti, sboccava nella pia/za e si congiungeva alla strada coperta, che girava con le mura, c nella quale riuscivano i vicoli laterali A. àtun/iilcuiiv; li. l.u L'orni; II Mulini ; li J.n Madonna M, in tll luna. MANTA IH MQNFALCONE E SUO TERRITORIO fatta per ordine dell'Ili. Sig. Antonio Friuli, Provv. Estraonl. da lunch. Magni Ing. svizzero. 1646, 10 agosto. \i' iti i Al. con k '97 Fuòri della porta, a gruppi, o sparse sugli scaglioni della salita o in mezzo ai campi, si vedevano delle case poste tra la verzura, desiderose di aria e di luce: formavano cpieste i borghi della bosta e di S. Rocco, e preannunziavano quelli di S. Michele: e di S. Iacopo. Le frequenti scorrerie avevano portato la desolazione in tutto il territorio, a segno che l'impoverimento si palesava con l'incoltezza delle campagne. Monfalconc era pressoché abbandonata. Cattarin Ferro, podestà, mandava in esecuzione alle ducali la seguente «nota delle case situate e poste nella terra di Monfalconc: Il Palazzo dove sta I'Illustrissimo Podestà; Il Quartiero de soldati ; I .a bozza Comunale dove sta la munitione del pubblico; 'Predici casi' Inabitate da suoi patroni particolari; Trentasei case affittate; Ventitre case non affittate, vuote; Diciannove case distrutte, ridotte nelle muraglie; Settanta, parte coperte et parte disfatte a posta; Quattro case distrutte, ridotte al suolo solamente. » II quadro fatto dai luogotenenti e rettori è compassionevole, e ritrae al vivo tutta la tristezza del paese. Strappiamo da questo libro una di epiche pagine in cui la pittura è pili efficace: « Doppo che mi capitò l'ordine della Serenità Vostra di far aprire la Porta della Terra di Monfalconc, che fu otturata già anni centocinquanta, me ne andai personalmente ad esso luoco... et subito feci dar principio al lavoro in modo tale, che se bene sono stati li tempi passati dei freddi e giazzi molto contrari, è non di meno a questa ora aperta essa porta... scudo restati (pici popoli molto consolati.1) «Sono stato a vedere il territorio di Monfalconc quale ho ritrovato poverissimo, sentendo ancora le afflitioni per la [tassata guerra sofferte e quelli della Terra si ritrovano *) Lunanlo Mtirosini, luogotenente. In Dispacci dei Rettori. Archivio di Stato in Venezia. Senato (Secreta). Udine, li marzo IÓI2. iti tanta miseria eh' avevano introdotto sino di disfare le proprie case e vendere le materie che da esse ne cavavano a vilissimi prezzi, abuso al quale ho io con proclami e con severissime pene a quelli che si faranno lecito di vender come di comperare sufficientemente provveduto.1) « Eccitato vengo a rappresentare alla Serenità Vostra il pessimo stato nel quale si trova la terra entro il recinto delle mura nella quale alcun altro habita fuori che la mia persona, il cancelliere et soli venti soldati, che vi sono in custodia, ma li habitanti naturali tutti stanciano nei borghi ove sono anco le botteghe delle merci, grassinc, artisti et altro, de che à seguito non dirò la totale dissolutone delle case, che sono assai capaci e belle, ma bene più la maggior parte rese inhabitabili, » -') Giovanni Morosini, soggiunge che la popolazione, la quale già ascendeva pochi anni prima a duemila abitanti, si riduce a soli quattrocento, «che le case dentro ritrovatisi dalle dieci parti le sci cadute et ogni giorno seguono delle mine rispetto le pioggie che marciscono li solari. Le muraglie minacciano in molte parti di cadere vedendosi grandi aperture. » Conclude: * li ripieghi che potessero esser opportuni d'applicarvisi per farla nuovamente popolare sarebbero solg propri della potente mano della Serenità Vostra ; tuttavia per non riuscirli ne anco del tutto infruttuoso ministro et servo, accennerò questi pochi adminiculi. Con ¥ insti-tuire un mercato franchissimo d'ogni datio in uno o più doi giorni della settimana; che le persone, animali et robbe fossero sicure dai debiti; che li Padroni delle case in parte rovinate c' havessero il modo fossero tenuti in termine conveniente di restaurarle; che si comcttesse a tutti li Rettori 1) Piero Sagredo, luogotenente. In lettere. Archivio di Stato in Venezia. Senato III (Secreta). Udine, 26 aprile 1620. *) Antonio Contarmi, podestà. In lettere. Archivio di Stato in Venezia. Senato III (Secreta). Monfalcone, 0 febraio 1627. monfal/cone 190 che invece di relegar li rei che lo meritassero in alcun altro luoco, dovessero relegarli a Monfalcone, con obligo, secondo li delitti, tli spender un tanto per la restauratione di quelle case. Ma sopra il tutto gioverebbe la libertà che si concedesse al li habitanti dì entrar nella Terra anco la sera al tarilo, et la mattina di uscirvi di buon hora, dichiarando quelli dei borghi che una delle cause d'essere stata abbandonata è questa della diligenza che si usa nel tenere chiusa quella sola porta...»1) # * Il governo veneto, conscio di tutta la gravità delle notizie, cercò di portar qualche rimedio: istituì la fiera franca ed il mercato del lunedi, ed accordò licenza per un'osteria, con godimento di metà del dazio vino. Questa ultima concessione venne data in odio ai decreti che limitavano il numero delle taverne nella Patria del Friuli, accio i contadini, allcttati tlal bere, non abbandonassero il lavoro e non lasciassero perire di fame le loro famiglie. Una speciale terminazione proibiva agli osti «di dar da mangiare 0 da bere agli abitanti della stessa villa o dei casali posti entro le due miglia dalla bettola.» Si permetteva però «a ciascun terriere di comperare pane e vino per portarlo 6 mangiarlo in casa e con la famiglia, e non in strada od altrove». Si accordavano licenze per l'esercizio di osteria soltanto nei "luoghi posti sulle strade provinciali o a persone che abitavano sul passo dei forastica,,. Poco giovamento recarono le accordate franchigie ; la pianura friulana languiva per mancanza di braccia e di denaro. Emigrate le famiglie rurali durante i disastrosi accampamenti del 1617, i giovani si erano dati al mestiere delle ') Zuane Morosini, luogotenente. In lettere. Archivio di Stato in Venezia, Senato 111 (Secreta). Udine, 24 aprile IÒ27, 2oo PIANURE friulani: armi: balenava e seduceva la vita del soldato di ventura, e gli stati facevano arruolamenti clandestini dove meglio trovavano forti e robusti moschettieri: comperavano la gente nelle campagne a mute come i cani da caccia od a branchi come i montoni. Inoltre i nobili negligevano la coltura della terra, lasciata a pastura e che affittavano ai nomadi mercanti di bestiame; vendevano i boschi per legna. L'Austria proteggeva la feudalità, rispettava le giu> risdizioni, favoriva nei ranghi militari la casta gentilizia. Venezia, per natura democratica, mal tollerando le dispotiche padronanze, avvisava secretamente ai modi di abolirle, ed Udine stessa le avversava; per cui si obligavano i giuris-dicenti a dar le prove dei loro diritti, non si accettavano ad occhi chiusi i titoli consuetudinari, si esigevano i documenti delle ottenute investiture, e un po' alla volta si rimpiccioliva quell'immenso, se pur frazionato, potere dei signori. Angariavansi i sudditi veneti che avevano possidenze nelle terre arciducali e viceversa, le lince confinarie dividevano talvolta uno stesso podere, spartendo la masseria dal prato, gli asciugatoi dalla stalla. Molte famiglie di conti preferivano accasarsi in Gorizia, che prosperava e si era fatta centro di aristocratiche famiglie. * La storia, che sembra formata soltanto dai maggiori avvenimenti, si completa con i particolari più minuti, e se quelli ne costituiscono la trama, questi ne sono il filo. Duino, posto sul vertice della roccia scoscesa, guardando con gli occhi minacciosi il vasto seno del mare e lo sterminato e morto pianoro del Carso, dava ricetto ai nemici pili fieri che contasse Monfalcone. Quel castello rappresentava l'alterigia dei suoi abitatori. Dalla romantica giacitura, in cima allo spalto di una roccia viva che precipita in mare, pareva una sfida alle burrasche che venivano a rompersi tra gli scogli ed ai fulmini che facevano rombare l'eco dei loro fragori nelle caverne e negli Spechi. Esso continuava ad essere il nido dei nepoti di quegli emigrati milanesi che fomentarono le turbolenze lombarde: gente fiera, di sangue acceso, prima guelfa, poi ghibellina, che aveva impugnata la spada a difesa dei nobili e delle plebi. I castellani, figli di Raimondo, dopo il 1625, erano padroni della strada che conduceva a Trieste, dei colli e del passo di Sagrado, e con prepotenza avevano gettato un ponte sulla fiumara dei bagni, dicendosi possessori del gui-daggio. Potevano quindi stringere d'assedio la città, con le sole garette dei loro guardiani. Benché la pace non fosse stata più rotta tra l'Austria e la Republica di Venezia, essi davano guerra perpetua ai sudditi veneti, ricorrendo a usurpazioni, a vendette le più basse e vergognose, II conte Giovanni Filippo, bandito perpetuamente dagli stati tli S. Marco, passando lungo la radice del colle della rocca, trovò due contadine eh' erano amiate a far legna in un imboschimento di cespugli, su cui accampava diritto; tolse alle donne gb istrumenti rurali e percosse la più giovane con la sita bacchetta calmiericela. Lo stesso conte, un'altra volta, con intenzione di uccidere il capitano Posse-diaria, rovinò i ponticelli tli Cassegliano e Turriaco e con centocinquanta uomini, chi a cavallo e chi a piedi, si presento alla Saracinesca rastrellata ili Monlaleone ordinando una scarica contro la casa del cercato avversario. Il conte Francesco Febo, capitano di Trieste e di Cormons, si recò con il suo artigliere di Duino sotto la casa dei fratelli Saroti e la fece abbattere a colpi di cannone : sequestrò i grani ed il vino ad un altro suddito veneto, e fece prigione uno scrivano sotto pretesto che recava lettere della loro zia, contessa Chiara, per un gesuita, in cui si tramava contro la sua persona. I conti scorrevano la terra con forte coda di rustiche masnade, incutendo terrore, divisi tra loro da brutali odi fraterni, aspettandosi alla macchia, minacciandosi con public i bandi. Francesco Febo dovette cercar sicurezza in Monfab conc e la trovò, ma nessuno ardì parlare allora di vendetta; era già troppo nobile quella di dar asilo sicuro ad un proprio nemico. Nelle sopcrchicric e nei soprusi dei conti di Duino si associavano Fcrrigo Attimis, che aveva sposata una di casa Torriani, e Benvenuto betazzi, patrizio di Trieste, che teneva ai propri stipendi, per rappresaglia, due feluche, ed otto rematori in cadauna, vestiti di rosso, provvisti di archibugi, con ordine di corseggiar le foci dell' Isonzo e togliere i battelli e le reti ai pescatori, Queste le cause che pure si aggiunsero a provocare lo scadimento di tutto il territorio monfalconese, già gravemente colpito dagli Uscocchi, che incendiati i villaggi, avevano messo a ruba le stalle e tronche con la spada le viti. # * * In mezzo a tanta miseria, Monfalconc custodiva una gemma che nessuno aveva potuto strapparle. Il suo Comune italiano era antico e cospicuo per numero e soggetti ; vi si trovarono inscritti cittadini, che pur vivendo in Udine, Cividale e Cormons od in altri luoghi, potevano convenire, alle adunanze del maggior Consiglio. Il Municipio ne' nostri paesi è la manifestazione della virtù popolare, che avvilita dal potere politico seppe tenere in pregio le più importanti libertà, e dimostra che la capacità a governarsi è retaggio remotissimo conservato e trasmesso anche nei tempi più difficili ed avversi. I patriarchi rispettarono i comuni, nò mai venne loro in mente di esautorare le cittadinanze ; queste anzi chiamarono con i prelati ed i castellani ai solenni colloqui della Patria. Così, mentre le guerre continuavano senza tregua, facevasi più solida e più resistente la vita municipale, non tutta emigrata da Aquileia a Venezia, ma rimasta in seme nel fertile terreno ove aveva già fiorito la civiltà latina. Monfalconc è antica certo, e forse antichissima. Non è chiarito se si chiamasse Putcoli all' epoca romana, e se le galere si accostassero alle sue rive in quel bulicame di acque, che circondava le isole Gare; oppure se si trovasse congiunta a queste con ponti in aria. Uno la vuole posta alla costiera, un altro su quella scarpa che comincia a disegnare lo scheletro calcare delle Alpi Giulie; chi la suppone soggetta ai vescovi di Trieste, permutata poscia con Muggia, e chi mulinandola sotto il nome di Morcelliana giacente intorno alla chiesa fabricata da Marcclliano nel 485, la sospetta sin dall'origine sottomessa alla camera principesca di Aquileia. 11 suo nome si presenta nel XIII secolo: era allora una barriera doganale come Vcnzone, ove le merci pagavano la muta o il ciazio di transito; chiamata terra o città castellata, aveva già voto in Parlamento. A reggerla veniva mandato un capitano, che comperava la carica per settanta marchi, e che amministrava la giustizia; aveva un Consiglio maggiore, che si radunava nella chiesa di S. Ambrogio, e un minor Consiglio, formato da giudici, camerari e provveditori, a cui spettava il disbrigo di tutti Ì puhlici affari e che sedeva nel palazzo di città. Il patriarca Pagano della Torre le concesse nel 1332 un mercato nei tre giorni successivi alla festa di S. Michele di settembre. Già allora essa si regolava con alcune norme o consuetudini, divenute corpo di leggi e fondamento allo statuto latino, che i Veneti riformarono nel 1456 e che nel 1625 venne tradotto in italiano. Tutti e due questi codici si conservano nell'Archivio municipale. Un antichissimo documento ci conferma l'esistenza del palazzo patriarcale, nel quale il 4 luglio 1373 «i nob. cav. Azolino de Gubcrtinis, Giovanni Zekorn, cavaliere della Marca di Stiria, Alberto Fiixel, capitano di Duino, Mix di Duino, Solone di Savorgnano con il nob. cavaliere Ugo di Duino prometteva in isposa al nob. Federico figlio del nob. cav. brancesco di Savorgnano, Caterina figlia del qm. nob. cav, Almerico di 1 rnchses (?) di Hemcrbcch (I Iimmelberg ?) consanguinea di esso Ugonc, colla dote di IOOO lire tli piccoli veronesi e di 4 paia di panni, cioè uno di scarlatto vaio e ornato d argento; altro di panno con vai ed argento, gli altri due decorosi ad ambe le parti. Gli ornamenti di capo e dorso da portarsi nei cofani, saranno dati ad uso del Friuli.» La chiesa di S. Ambrogio dipendeva dalla pieve di S. Maria Marcelliana, a sua volta sottomessa al giuspatronato dell'abazia detla Belìgna; ma essendosi trasferito il pievano in Monfaicone, le chiese dell'agro vennero assoggettate nel [480 al Capitolo di Aquileia. Alla metà del XVII Secolo, Spartita la cura religiosa in due parrocchie, una prese il nome di S. Ambrogio per il raggio ecclesiastico di Monfalcone, l'altra di S. Lorenzo per il raggio della villa di Ronchi; tutte e due nel 1750 passate alle dipendenze del vescovato di Gorizia. * ■x- * Dal 1420 al 1797 tutto il territorio restò soggetto alla Repubblica, che v'inviava ogni sedici mesi un podestà con il salario mensile di diciotto ducati, più alcune regalie sul transito delle merci. 11 maggiore o nobile Consiglio, e non Consiglio eli nobili, si componeva di membri ascritti alla cittadinanza, purché avessero raggiunto il diciottesimo anno di età.1) Eleggeva questo quattro sindici 0 giudici, che convocavano i consiglieri, proponevano gli argomenti da trattarsi ') Nel XVII secolo vi facevano parte i Bevilàcqua, Bonavia, Balbi, Brisìghella, Ci vrano, CÙcattO, Di Luca, (ìasperotlo, Girardi, Marini, Mazzi, Mirandola, Pan igni, Pellegrini, Peltorossi, Pizzoni, Spilinibcrgo c /.allcttili. Nel XVIII secolo vi si aggiunsero i seguenti: Alugara, Hassani, del Ben, Cauzioni, Favoriti, l'urlimi, (ìratarol, Lenardoni. Mazorana, Miuiussi, Paganoni, Paroaiti, Riva, Savio, Sferramundt, 'Palpo e Tivaroni, Avevano diritto di voto in Consigliò, benché abitassero fuori della citta, i conti Asquini, i l'oiani, i C1 uricini, ed i nobili Sforza e Paparotti, i conti di Sbruglio, i conti Susana, i conti Valeutiiiis ed i Ceranli. MONFALCONE 205 nelle adunanze ed avevano il carico di far il prezzo del pane e del vino; sceglieva due provveditori alle vettovaglie, a cui spettava la vigilanza sulle biade, grascic, pesi e misure; due provveditori alle strade che ne curavano la manutenzione, due provveditori alla sanità preposti alla vigilanza della puhlica salute, e il camerlengo che riscuoteva i dazi, i livelli e gli affitti dei prati, campagne e pesche. Nominava inoltre il cancelliere, il parroco, il predicatore, il prior dell'ospitale, il medico con paga di settanta ducati ed il barbiere-chirurgo. L'agro giurisdizionale di Monfalconc si divideva in Desola e ville del suo territorio. ') Il rettore o podestà era il capo politico e nel tempo istcsso il gabelliere; contro il suo giudizio si ricorreva in appello * per il civile e criminal minore al luogotenente di Udine e per il criminal maggiore a Venezia,. Fra le tredici comunità che avevano voce nel parlamento della Patria, Monfalcone occupava il settimo posto. Il maggior Consiglio, convocato a suon di campana, decideva, in conformità agli statuti, su tutti gli affari delle cotnunaglie, che i rustici chiamavano il bene dei poveri, scioglieva le questioni annonarie, tutelava il miglioramento morale ed economico del paese; al minor Consiglio, formato dai giustizieri, provveditori, sindaci e qualche altro officiale, era commesso il disbrigo delle quotidiane faccende. I comizi popolari od arrenghi venivano radunati per decidere cose di maggior momento, non previste dallo statuto o non chiaramente definite; alle quali riunioni della universalità prendevano parte anche le donne. II banditore, sotto la frescada, leggeva i proclami, che per lo più riflettevano pene contro i perturbatori della quiete ') Appartenevano alla Desoia, oltre la città, ili Monfalcone, le ville di Ariis, Biatrigna, casali ilei Bagni, Crosara, Madonna Màrcelliana, Mandre, Pausano, San Paolo e Villaraspa. formavano il territorio le ville: Begliauo, San Caneian, Casseiaiio, De la de l'Ara, Dobbia, Foian, PiériS, San Piero, PolazzO, Keclcpuia, Ronchi di sopra e ili sotto, Selz, Soleschian, Staran/.an, Ttirriaco, Vermeano, San Zamnitto. cd i contrabbandieri, oppure erano brani di leggi suntuarie contro il lusso. Sotto Federigo Friuli, nel 1^57, si ordinava «non possa andar nè di giorno nò di notte alcuno mascherato, nò meno porti barba postizza, ne osi con altro artifizio coprirsi la faccia fuor detti tempi elle vengono permesse le maschere » ; ciò significa che anche la piccola città aveva il suo carnovale. Ecco una forma dei bandi o condanne pronunciate in publico dallo stesso rettore: «Noi Francesco balbi per la Serenissima Republica di Venezia podestà di Monfalcone e suo distretto, sedendo in questo luoco con la bacchetta in mano dove simili sentenze criminali pubblicar si sogliono, premesso prima il suono della campana giusto l'ordine, bandiamo, condanniamo e sentenziamo...» (segue la sentenza). Tutti i cittadini erano obligati al mutuo e reciproco sÒvvenimento nei casi tli guerra, ti'incendio o danno tli inondazioni. «Ogni volta che s'udirà il grido del loco tutti a difesa son tenuti a soccorrere et s'alcuno a tal difesa perderà secchia, caldara o manata il cameraro tlel Comune sarà tenuto rifarlo di quanto barrii perduto; da liquidarsi per giuramento.» Dovevano prestar soccorso anche le donne ; portavano allora, come oggi, sulle spalle l'arconcello con le secchio, a guisa delle bìgolanti veneziane. Sino alla fine del diciasettesimo secolo i mezzi della Desena erano così scarsi, che si dovette chiedere un prestito agli abitanti più agiati e più amorosi. Si domandò inoltre nel 1612 a Venezia l'antenna per sventolar la bandiera di San Marco sulla piazza, in dimostrazione di fedel soggezione, essendo la «vecchia già marza e inadoperàbile». Il birro nel 165S si lagnava di non aver potuto dare i tratti di corda ad alcuni trasgressori dei proclami, perchè mancavano in palazzo «alcuni ordigni necessari all'ufficio di quella pena». Lo statuto determinava poi i modi per favorire coloro che venivano a prendere domicilio nella terra. Il capitolo 95 m ON FALCONE : portatrice D'ACQUA. MONFALCONE 209 diceva: cFu ordinato et provisto ad onor de Dio, et dello Stato dell'Illustrila et eccellenza Duca! signoria di Yenetia, che per bene, et accrescimento della terra di Monfalconc, imperocché ella è poverissima di persone, per la qual cosa molte possessioni vanno inculte et le case in mina. Pcril-chè fu statuito et ordinato, che tutti i forestieri, che vorranno venire ad habitar la terra di Monfalcone, over suo territorio dal giorno che vi verranno ad habitarc per anni cinque immediati seguenti siano ed esser debbiano liberi et assolti da tutte le angarie, fattioni reali et personali occorrenti in essa terra et distretto, eccetto che della guardia delle muraglie in tempo di guerra, il che Iddio volga altrove, e da tutte le altre fattioni di guerra. » Il presidio militare inviato dal provveditore di Palma era di trentasei soldati, compresi l'alfiere, 1'ufficiale, il tamburo e il ragazzo dell'alfiere: si divideva in tre guardie, due alle porte ed una, sotto gli ordini del castellano, alla rocca. Le ordinanze o cernide di tutto il territorio davano un contingente di circa ottanta uomini da fotti, parte muniti di archibugi, parte di moschettoni, e il resto di picche, e stavano sotto il capo di cento. Le mura venivano custodite da sentinelle paesane con questo ordine: «Tutti i terrazzani così di dentro come dei borghi et della desena dovevano contribuire un huomo per fuoco, che serve personalmente a far la scolta; si è però introdotto da certo tempo in qua l'uso che ogni uno si accorda con certi pochi armentarii, che per ordinario attendono a queste guardie, che fanno le fationi per tali con poca mercede.»1) Questo il quadro della vita riprodotto da carte incontestabili, il quale va mutandosi col sorgere del nuovo secolo. * * * ') In lettere dal luogotenente di Udine, Francesco Erizzo, 17 novembre 1600. Archivio
  • ggi Monfalconc vi si presenta come se per fabri-carla avessero dovuto radere un pezzo di campagna : si è levata di dosso la camicia di forza, ha rovesciate le mura e s'ingrossò nelle borgate. Dal piano quasi livellato dei tetti sporge la torre del duomo, che sì slancia con bellissime linee e finisce in una piramide di pietra a spicchi, poggiata sopra i pilastri di un lanternone, sovrapposto alla cella delle campane. La via del Duomo, ombreggiata dalle linde sporgenti, divide il grosso ceppo di case e vi mostra lo scheletro di una città antica ed il carattere dell'architettura italiana del quattrocento, innamorato delle logge dei chiostri. Da una parte e dall'altra corrono i bassi porticati, le cupe e anguste procurate a colonne mozze e ad archi scemi od acuti. Vi colpisce la nota romantica del medioevo, con il vuoto delle strade e la quiete grande e sorda, che incombeva entro la cinta, quando la campana del Comune invitava agli arrenghi, avvertiva lo scoppio di un incendio, imponeva di armarsi e correre alla difesa. I luoghi antichi hanno sempre nell'aspetto (pialchccosa di funebre; vi fanno Credere che rimasti deserti, una nuova popolazione, occupate le case vuote, pur trovandosi a disagio, abbia finito per accomodar visi. Dura ancora oltre i secoli il lumicino che arde manzi alla madonna: fiamma quasi perenne sul sepolcro di tante generazioni scomparse. Le facciate degli cdifizi hanno la fisionomia rustica, ma severa; si vedono poggiuoli di pietra; battitoi a riccio, a martello ; piccoli stemmi e finestre ogivali ; grondaie con draghi dalle ali spinose. È ancora in piedi il palazzo del Arma
  • w chiesa di S. Maria in tutoli del grano turco. 'f^SjpJ Monte. A Ronchi si Fogliano sentiva wirlli trovava l'osteria del S.ta Mnria in Monte. popolani andavano tutti armati e si consumavano le vendette con l'archibugio. In una sagra le parti nemiche si salutarono con una scarica, talché i rettori proibirono che arbitrariamente si suonasse campana a stormo e che i contadini pretendessero far giustizia sommaria contro i sospetti saccheggiatori delle chiese, contro i servi dei conti della Torre, padroni di Sagrado, contro i pastori che menavano il gregge a mangiare il foraggio verde nei beni dei Comuni della Republica. Di Ronchi tien parola la storia già nel 1223: il patriarca Pertoldo donò dieci poderi di quella villa per il man tenimento di sei prebende, che volle aggiungere al suo capitolo di Aquileia. Il territorio non è dei più fertili, bensì dei meglio coltivati, conosciuto per la terra degli orti, dello strame e del buon vino friulano, così allegramente cantato dall' abate-conte Giov. Battista Michieli di Udine : Del bel Turro sulla sponda Il buon vin alligna e abbonda, Che del dolce tBersamino* Ne berrei per poco un tino, E vorrei sempre esser solo Nel bere tazze piene di € Pignolo-». Le altre ville dello Stato veneto, in buona parte si trovavano alle dipendenze di Palma, a cui dovevano servitù. Muscoli, Viscon, Perteole, Strassoldo, Saciletto, Alture, Scodovacca, Campolongo e Cavenzano erano obbligate a fornire al governo militare carri o lavoro manuale od altrimenti pagare una tassa correspettiva ; però andavano esenti d' ogni angheria, tranne quella di contribuire soldati e galeotti. Leonardo Donato, uno dei cinque provveditori inviati nel Friuli *ad esaminare tutti i siti al di qua dell'Isonzo per scegliere uno meritevole di piantar fortezza,, ci lasciò la seguente descrizione di alcune di queste località: * 1597, 6 ott. Il castello di Strassoldo è picciolo luogo ed ha pochissimi abitanti; perciocché oltre li propri signori consorti della giurisdizione, non ha più che tredici uomini da fatti. Il territorio suo è tutto di paludi e di boscareccia dentro delle stesse paludi. E bagnato da un grosso corso d'acqua.... ch'entra nel Cervignano over Lausa, sopra la quale sono alcuni molini e più se ne potriano fare (piando si volesse. *7 ott. La mattina dopo la messa li signori Contarmi, Grimani ed io andassimo a vedere le ville di Cavenzano e Campolongo, che è vicina al fiume Torre. Li detti luoghi sono lontani da Strassoldo sei miglia circa; io che andai a cavallo per istrada più corta, essendo andati li signori Contarmi e Grimani in lettica per altra parte, passai per le ville di Ianiz e di Aiello, arciducali, quest' ultima assai grossa. Convenimmo passare alcune acque sino alla pancia dei cavalli e più oltre... La villa di Campolongo benché di fa-briche apparisca assai grande é nondimeno con cinquanta soli uomini da fatti, mancamento che mi pare assai comune in ogni luogo di questa patria., Se dobbiamo tenere per valido quanto vengono a dirci le tradizioni, il castello di Strassoldo, chiamato "delle due Torri, venne cretto nel 585; lo distrusse nel 1380 il maresciallo del patriarca, perché tre dei fratelli Strassoldo si erano uniti alle fazioni nemiche all' Alengon. Due lapidi avvertono il visitatore dei fatti seguenti: la prima dice: Imperatore Federico IV fu qui in Strassoldo tutto un dì P anno rqSp — jo agosto — andando in Aquileia ed a Trieste) l'altra narra: Questo castello di sopra assieme con r altro di sotto distrutto nel 1509 da confederati di Cambray. Fu ristorato dopo 240 anni nel IJ49. Il Palladio informa però che le truppe cesaree spianarono il girone ed incendiarono gli edifizì anche nel 1511, perchè non fosse impedito il passaggio alla fortezza di Marano. 234 PIANURE FRIl I \\l La schiatta degli Strassoldo incarna tutta la storia friulana. La tradizione favolosa li vuol discesi da S. Eustachio martire; fa pugnare un Rambaldo a fianco di Ezio, poi contro Attila; Bernero lo dice calato coi Longobardi; Bonamaro combatte nelle schiere di Pipino contro gli Avari slavi; Agone andò ambasciatore di Carlo Magno alla corte bizantina; Ricindo muore in Terrasanta nella crociata di Federico I. Notizie sicure sulla orìgine di questa famiglia mancano affatto. Il più antico personaggio accennato dalla storia è Lodovico de Lavariano, che comparisce nel 1140, e questi cominciò a chiamarsi de Strasho, che poi si mutò in Strassolt e Strassoldo. Il cospicuo casato, mercè le generose donazioni patriarcali e dei conti di Gorizia, venne ad insignorirsi di novanta e più feudi; si cimentò per la chiesa aquileiesc, la sorresse, ma fece assai spesso causa coi ribaldi signorotti. Nel 1387 ottenne la cittadinanza udinese, mentre aveva già dato vicedomini e podestà ad Aquileia, capitani a Monfalcone ed a Trieste, canonici e badesse agli ordini religio ;i ; nel 1420 giurò fedeltà a Venezia. Francesco allora offrì i propri servizi al Leone, proponendosi di condurre quattrocento archibugi forastieri a cavallo; mentre Orfeo è colonnello delle cernide in Gorizia, Giovanni nel 1571 è valoroso sopra-comito di galera agli stipendi di Venezia e Ricciardo* nel 1616 difende tenacemente Gradisca. Una fitta rete di rami laterali si stende dall' albero genealogico ed i rampolli figurano più spesso alla corte di Vienna come paggi, valletti, scudieri, cavallerizzi, ciambellani e generali ; alcuni raggiungono i sommi uffizi della diplomazia, altri riescono a cingere la mitra arcivescovile. Disertano il castello, che si muta in una galleria di ritratti, a' nostri tempi asilo di un conte, il quale uccide gli ozi campestri dipingendo sulle tele i paesaggi che i suoi maggiori tinsero di sangue. Si ridestano alla vista dei muri rugginosi e scrostati le vicende della famiglia, che involse il proprio nome nelle leggende degli Unni ed i cui figlioli portarono la spada oltre ai secoli costantemente sguainata. Una donna di questo fiero lignaggio accende con la sua bellezza le discordie in tutto il Friuli: è Ginevra, promessa ad uno e data ad un altro, la causa de' funesti dissidi, e le sue nozze fanno sciamare l'offeso nobile di Cu-cagna: — Cogli Strassoldo non la parente dell' amore, ma 1' odio Strassoldo tra il Castello di sopra e quello di sotto. del sangue I Oggi il più lieve rumore che venga dal boschereccio contorno fa credere alla risurrezione dei guerrieri, serrati nei gusci di acciaio, che incedono sui cavalli rivestiti di squame metalliche, lenti e pesanti come catapulte d'assedio; par di vederli giungere al castelletto quei feudatari dopo ottenute le investiture, sventolando la bandiera rossa : segno di libertà personale. Dei vecchi muri a Strassoldo sta in piedi soltanto un arco di porta; folte macchie di alberoni serrano la cappel-letta e gli edifizì, mentre l'acqua del Taglio frigge sbattuta dalle palle di un molino da presepio, coperto di muschi. I merli gialli (oriulus galbula) nidificano nei boschetti e fanno risovvenire che una volta simboleggiavano il valore sugli scudi della cavalleria cristiana. * * I poetici manieri, come la fenice mitologica, incendiati non dai raggi del sole ma dai fuochi dell'artiglieria, tornavano a rizzarsi sulle ceneri con più solide bastionate. Quello di Strassoldo mancava di un fondo pittoresco, perchè giacente sulla linea piana dei prati accpiatici ; mentre l'altro di Saciletto invece sorgeva su d'una lieve al/.atura, per cui dalla terrazza della torre si scorgeva la strada dritta che conduceva in Aquileia e quella che veniva da Palma. Dicono che il maschio primitivo servisse a dar segnali, avendo il patriarca bertoldo pensato appunto alla comodità degli avvisi mercè banderuole e colpi di campana da luogo a luogo, quando gli premeva di trovarsi pronto a spegnere le frequenti fellonie. Un longobardo avrebbe posto la prima pietra del castello tli Saciletto, di cui perii si ha notizia appena nel 1 293, quando Oldorico di Arbellotto, procuratore della moglie Isolda, lo diede per grossa somma d' argento ad Ossalco. Pochi anni dopo, il patriarca Ottobono de Razzi lo riscattò per frenare il conte di Gorizia, che corso poco prima il paese c dato alle fiamme Perteole, non aveva punto rinunziato alle sognate usurpazioni, anzi per questo suo iniquo disegno teneva al soldo capitani incendiari che fra loro si rubavano di bocca il bottino. Difatti nel 1309 con le genti proprie e con quelle dei signori da Camiti, di Prampergo e Cucagna investì Saciletto, lo prese e lo rutilò, Erano state li spiriti faziosi dei nobili confederati; al ferro bisognò contrapporre il ferro, alle milizie ladre una soldatesca ancora più brutale ed avvezza a dar morte. Nel 1491 Lodovico Memmo, Mario Gradenigo e Francesco Capello, provveditori sopra le camere venete, cedettero il castello per millenoveccntoquaratila ducati a Gian Francesco Lucinico ed a Bernardino Antonini, della nobile famiglia udinese, ch'ebbe anche titolo comitale da Cosimo III di Toscana e che lo trasmise ai propri eredi, i (piali, pochi anni fa, (piando era ridotto a sorciaia, lo vendettero al conte Roma. Fu quindi rifatto ed ingrandito ; ma aveva già perduto coi frequenti ristami l'austero carattere. < 1 * * * Le altre tre o quattro ville venete ebbero poca o veruna importanza: ai tempi delle burbanze baronali, erano tutte chiuse da gabbioni fatti di pali e vermene oppure da muriccioli a secco. Viscone volge la schiena al letto ciottoloso del torrente Torre, quasi sempre asciutto, ma che a tradimento si empie di acque furenti. 4. ______-___i Viscone. Cavenzano, che potrebbe sembrare un piccolo alveare di poverume campagnolo, possedeva nella chiesetta uno splendido quadro del Tiepolo, acquistato non è molto da un mercante di cose antiche. CAVENZANO. CASTELLI È VILLE DI SAN MARCO 241 CampolongO presenta una sfilata 'di bei palazzi, in uno dei quali Giuseppe Marcotti scrisse alcune pagine del Conte Campolongo. Lucio e delle Donne e Monache. È di bell'aspetto il campanile su cui si abbarbicava un'edera e andava su a cercare le campane, alzato con i sassi del demolito ponte romano di Ronchi, come è un'opinione molto ripetuta. Nel libro detto il Catapan, appartenente al Comune, si legge: *ll eletto Campanile fu fabrìcato un poco alla volta acciò si fermi il muro, da tre Capi Mistri e nel ferale dove sono appoggiate le Campane, pare cosa incredibile quanta pietra vi sia andata. Era la piazza, sù e ili giù piena la Villa di pietra, circa carra 60, trovata in un Campo di Ronchi di Monfalcone dove dicesi fosse stato un grosso ponte sopra il Lisonzo, terminato fu detto Campanile 1' anno 1770. Sotto me parroco P. Domenico insegnerò. Alture, in servitù delle monache di Aquileia, era ed è borgo di pochi coloni ; ha di notevole la palazzina in cui Prospero Antonini scrisse le ultime pagine sul Friuli, Le finestre chiuse, il giardino deserto, due acacie cupe e piangenti presso la doppia scala avvertono che è morto il diligente storico, il dotto illustratore. La Serenissima restò signora di questo gruppo di paesi oltre tre secoli. La notte del 16 ottobre 1797, nella villa di Passenano, si firmò il trattato di Campoformio, che segnò la caduta di Venezia. Diciassette anni dopo il poeta Franchi cantava : Privo adesso de regno e de soldo i Da ititi el Gran Conquistato)" denso Purga a i1 isola t peris, Tomasio. Fra le case patrizie qualcuno potrebbe aggiungere i l'iojaner spesso menzionati nei documenti del luogo. Ma questi non erano altro che gli Ungrispaeh od UH ramo degli stessi, i quali appunto, secondo Lucrezio Treo ed altri, avevano la Signoria di Fleana,' Cormons e Medea. prodigo co' grandi, avaro c crudele con le plebi. Dipendevano dal gastaldo le ville di Chiopris, Bigliana, San Martino, Mariano, Cosano, Medana e Vipulzano. Ne' momenti di gravi contestazioni od urgenti bisogni venivano radunate le vicinie o l'universalità, Gli anziani o le cosidette teste bianche, in queste assemblee della contadinanza godevano il privilegio di spiegare, sotto suggello di giuramento, il diritto antico, conservato nella loro memoria, sanzionato da fatti precedenti. Stava in arbitrio del conte di Gorizia o suo vicario di rispettare o meno le deliberazioni e di darvi esecuzione. Nel 1436 nobili e vicini votarono una pena di 20 denari contro i bestemmiatori. Fu il primo germe dei futuri statuti, e da ([nell'anno si andò formando a grado a grado il piccolo corpo di leggi, contenenti regole anonarie e prescrizioni a tutela della salute e della moralità, avvocando al nascente comune alcuni meschini poteri riservati sino allora esclusivamente all'assolutismo comitale. In quell' embrione statutario le comminatorie contro i malefici od i reati stavano assieme con le disposizioni per favorire i prodotti del paese contro l'introduzione delle derrate forestiere ; le regole dei pesi e delle misure s'intralciavano alle norme studiate per sistemare, con equa giustizia, i rapporti fra coloni e possidenti. Un operaio, che dopo promessa l'opera sua ad un padrone si recasse a lavorare da un altro, veniva condannato all' ammenda di quaranta denari oppure alla berlina. Viceversa, se il padrone si sarà accordato col mercenario e terminato il lavoro non volesse pagarlo, il lavorante sarà mantenuto all'osteria a spese del padrone. Si minacciavano gl' incendiari con il taglio della mano o del piede. Nel 1460 Giovanni, fratello e reggente di Leonardo, conti di Gorizia, essendosi governati i Cormonesi sino a quel momento senza ordini e leggi decretò che dalla prefata comunità e dal corpo dei nobili si scegliessero dodici consiglieri o rettori per promuovere il bene del paese con tutti i poteri che avrebbe la vicinia, se fosse convocata. Inoltre che i dodici eletti in unione ai nobili nominassero due coli'incarico di amministrare le rendite delle chiese. Mentre dunque da una parte andavasi formando un vincolo scritto di publici doveri e diritti, sorgeva dall' altra il simulacro di un municipio primordiale. * -X- * Nel 1500 Massimiliano I d'Austria venne in possesso dei beni della dinastia goriziana e riconfermò le franchigie, dicendo che basava quel suo atto di giustizia sui diplomi, che vide tradotti in tedesco dall'italiano e latino in cui furono originariamente compilati : dichiarazione questa di grande importanza per la questione nazionale. I conti palatini di Gorizia erano tedeschi; la chiesa, che comparisce nelle pergamene del 1326, è dedicata a quel missionario Adalberto, che recatosi in Prussia nel 997 a propagare la fede, venne ucciso da un sacerdote pagano con un colpo di giavelotto, per cui diventò il santo preferito della gente allemanna. E quindi probabile che Mainardo di ritorno nel 1254 dalla guerra contro i Prussiani, con proprio denaro erigesse in onore e lode del santo germanico quel tempio. Sappiamo inoltre che diedero i conti alle famiglie investite di feudi quasi sempre predicati teutonici e conservarono le intitolazioni germaniche sino ai propri birri ; ma i privilegi cormoncsi dovettero, come si vede, emanarli nella lingua italiana parlata nel loro dominio. Nel sedicesimo secolo, compiutasi la festa dell'arte e il trionfo della italica rinascenza, i principi furono tratti a favorire lo sviluppo dei comuni, che nel Friuli imperiale presero forme e vesti veneziane. II consiglio detto dei nobili e dei XII di Cormons si radunava a suon di campane ; lo presiedeva il podestà e interveniva alle radunanze anche il podestà di Povia, piccolo CORMONS 33 bórghettO fuori le mura. Sotto la loggia si publicavano i bandi, si leggevano le deliberazioni e si raccoglieva l'arrendo detto /' universalità, che decideva gli affari più gravi e nominava il vicario, a cui tra gli altri oblighi s'imponeva di far le solite processioni «et anco in caso di dover impetrar pioggia e buon tempo». Loggia di Connons. (Da un disegno del 1500.) Cormons inviava quali delegati alla Dieta di Gorizia i nobili ed i privilegiati; aveva già un cancelliere, il barbiere chirurgo, F organare e fabricatorc di organi, l'aromatario o farmacista, un maestro di scuola ed un medico. Nel 1597 u banco fencraticio privato accettava pegni verso il 2 5°/o di usura all'anno, ossia cinque bezzi per ducato, col diritto di vendere gli oggetti non disimpegnati entro quindici mesi. Nel 1507 Massimiliano I cedette a titolo di pegno, per cinquemila fiorini d'oro, Cormons con le sue giurisdizioni, offici, comodi, sopradiritti e ragioni ai fratelli Federico e Giovanni Strassoldo; l'arciduca Ferdinando riscattò le terre e nel 1528 ne affidò la giurisdizione a Nicolò della Torre, iti compenso dei prestati servigi militari. Nicolò della Torre, ricordato dal monumento nel duomo di Gradisca, fu un giurisdicente mite, non così i suoi parenti. Raimondo, il primo a succedergli, era stato oratore cesareo alla corte di Roma ed a Venezia, ambasciatore d'obbedienza 334 PIANURA FKlur.ANF. presso la santa sede e più volte inviato straordinario ai principi d'Italia. Oltre ai molti feudi ereditati degli avi, a lui restavano impegnati i beni camerali di Gradisca, e posse deva terreni in quel di barra, di Romans, di San Lorenzo e di Mossa. Si era promesso alta figlia di Mattia HofTer; ma nie-gatagli poi da epiesto, la consigliò a fuggire di casa e l'accolse nel proprio castello di Vipulzano, ove la sposò, ottenuta ch'ebbe la dispensa papale. Il governo di Raimondo, Francesco Febo, Giovanni Mattia, Turrismondo, Paolo e Giuseppe della Torre fu crudo; la pertinacia e la protervia nei nobili era ereditaria. Non si lasciavano piegare per, vcrun conto ai consigli altrui ; volevano riuscire nei loro pensati propositi ad ogni costo, adoperando magari l'arte dell'inganno e ricorrendo più spesso alla prepotenza. Imprigionano il podestà; v'insediano persona più pieghévole; fanno occupare i seggi municipali da propri aderenti; aboliscono il gastaldo sostituendolo con un proprio vicario; si arrogano il diritto di eleggere i giurati; spaventano i nobili, li fanno escludere dal consiglio, violano le '.oro abitazioni e decretano il loro csiglio; nò ciò basta: riescono ad imporre al comune P abdicazione delle franchigie ed a sottomettersi al gerente che li rappresenta nella brutalità delle sempre nuove violenze. Una querela firmata dai commissari dei nobili e dei non nobili, diretta all' imperatrice Maria Teresa, espone la lunga serie degli oltraggiosi abusi di potere: atto bastevole a dimostrare il mal animo dei giurisdicenti. Eccone i brani principali : Sacra Real Maestà Sig. Sig. Clci/itiit/iic. Sino all'anno 1O04, il Co: Rajmondo della Torre ottene dal Serenissimo Ferdinando Arciduca d'Austria in pegnora questa Terra di Connons col titolo tli semplice giurisdicente, et sucecsi-vainente gli fu o incessa in feudo per lui et suoi descendenti O IRMI INS 335 maschi con bavere nelfistesso tempo otenuta la seconda Instanza d' Appellati) me. Impeti alo in tal forma il feudo della Giurisditione di Cormons principiò a maehinare la trapolla alla sudetta Comunità, et setto pretesto di affetto tentò proditoriamente all'uso de Traditori in* invilupaiia nei suoi Lacci con ridure la Giurisditione in Dominio, et Capitanealo, lusingandosi di renderlo independente dalla publica Rappresentanza di Gorizia con erigere aneho un Tribunale separato dal Goritiano; tutte Idee che tendevano a violare la publicà Quiete del Contado di Gorizia in pregiudizio del buon servigio del l'reneipe et dell'interesse de suditi. Per essere riuscite vane le fumosità del Co: della Torre deliberò questi di preValersi della borza di giudice per ridurle a partito, e comutando l'autorità Giudiliale in un'arma di Sopcr-clnoria, lece incarcerare in Vipulzano Villa di sua Giurisditione il Podestà di Cormons contro la franchigia della Comunità, et con sprezo de ( 'lenientissiini Ordini rilasciando inoltre mandati pennati di Due. 100 per sortire la divisione del Corpo Nobile dal Plebeo di Cormons, che prima formavano unitamente la Comunità del Poco, figurandosi che fatta la separatone li sarebbe riuscita facile la pravità de suoi disegni con opprimere un dopo l'altro; principiando dal Plebeo, come più debolle. Continuò poi il Co: Mathias della Torre a perseguitare con eguali prepotenze li Connonesi, poiché non atteso il Cleinentissimo Ordine delti 4 giugno 1638, che gli cometteva a non dover molestare o agravare la Commuta di Cormons, fece proclamare et bandire il Podestà, a causa che aveva suplicato la conferma de Statuti et Privilegij dalla Maestà di Ferdinando. Azione varamente indegna d'un sudito fedele; poiché volendo con prepotenza impedire li Ricorsi al sommo Prencipe, fece giustamente temere, che potesse col tempo degenerare in un'aperta fellonia secondo l'Esperienza delle Istorie. Non contento d'un atto sì indegno, Iniquo et obrobrioso l'istesso Co: Mattias della Torre nel 1058 perchè Nicolò Moretti Podestà dimandò una. nuova ((inferma de Privilegij alla Cesarea Corte, lo fece porre in Vipulzano in orenda carcere con farli medemanientc escorporare tanti Bermi di lui prigione trattenuti fin tanto che fu astretto con gli suoi Dodici Consiglieri a nnunciare in punctis alli Statuti et Privilegij, e poi esso Turiano, facendo indegnamente ila Sovrano, conferì, aprovò et confermò diversi punti di Privilegij al medemo Podestà; da «he si comprende, come avanzava ai Gradi Ìmprobi di fellonia, arrogandosi slàcialamcnle quella Sovranità, che solo doveva venerare. Qui non terminarono le Oppressioni delli Co: della Torre: atteso clic hanno usurpata la Giudicatura di Cormon sì civile, che Ciiminale, posseduta dalli Podestà, et Giurati, li levarono il Gius tlel Macello, aggravandolo tli Due. 60 annui oltre la quantità di Candele et Lingue di regalla; fu da loro spogliata la Comunità di Cormons del possesso della Piazza, e tlel Gius che li compativa sopra il Bancho degli Ebrei con agravarli annualmente di Dti N.° iò, oltre che il Conte Turismondo della Torre tentò privarli del Gius dell' Avocazia delle Chiese di Cormons. Fece medema-mente publicare un Editto, che la Comunità non dovesse ricever in questa Terra persone Estere; (piando per altro ciò dependeva dalla ( iiuiisditione della stessa Comunità, et il Co: Giuseppe, presentemente Giurisdicente operò in contrario per aver ordinato che si dovesse permetter l'ahitatione in Cormons a Persone di mala fama, e scandalose, assumendosi anche sotto varij pretesti l'Autorità di proibire festratione delle Biade contro l'antica Consuetudine: con aver anco ohligata penalmente la Comunità a prestare le Guardie de Prigionieri della Giurisditione. Finalmente volendosi essa Comunità difendere in via di ragione contro il S. Giurisdicente in Cause Civili, et altre Emergenze li fu dal medemo impedita la difesa, per aver con sottomani impegnati gli Avocati, et Procuratori a non difenderla. Cosichè dopo esser Stata cessa la Giurisd" alli Co: della Torre, è convenuto alli fedelissimi Suditi Cormonesi, sì Nobili come Plebei sogiaeerc a continue Oppressioni, Ingiustitie e Spogli; anzi a vedersi tino impedita la necessaria difesa nelle sue Cause, dovuta de Jure Natura, senza che possa denegarsi nè pur al Diavolo Inimico comune. Umilisi"" Fedelis'"1 Suditi et Vassalli Comissarij della Nobiltà, et Comunità di Cormons. TI capitano di Gorizia nello stesso anno avverti il sovrano degli eccessi che commettevano i bravi dei giurisdi-centi, inviando la seguente lettera : Sac. Ces. Maestà T. T. Clem.ma E slato rappresentato altre volte a V. M. Come quei Còrsi trattenuti dal T. C. Raimondo, sotto specie d'operai quel che conciente in servizio della Giustizia vadino faciendo delle insolenze, commettendo diversi delitti in pregiudizio di queste, et di quel-l'altro vassallo di V. M., et perchè l'insolenza loro è arrivata tant'oltre, che è insoportabOe, non solo commettendo molte scclc-raggini, come dall'aggiunta nota potrà V. M. vedere, ma anco minacciando di ammazzare gli stessi nobili provinciali. Però ubi infratt, per nome anco dell'Inclita Convocazione supplichiamo luninim''' V. M. à voler seriosam** comandare al T. C. Raimondo siuletto, che debbia imediate licensiare et far uscir del Paese eletti suoi Huomini, et non lo tacendo, dar ordine al buog''' di Gorizia, che li debbia far uscir, adoperando quei mezi, che si sogliono in simili occasioni, altrimenti noi riverentemtc facciamo sapere à V. M. che professando quella gente dichiarata inimicizie contro li nobili provinciali, essi si sono risoluti di voler machinar Centra di loro, da che potrebbe seguire gran spargimento di sangue, et disordine tanto notabile, che non si potesse poi rimediare; supplichiamo dunque a voler con la sua prudenza oviare, et a quella humilmta e' inchiniamo. li 8 luglio 1620. di V. C. M. Giovanni Sforza C. di Porzia, Cap. di Gorizia ni. p. lìuuiilissnni Vassalli et devo t. Riccardo di Stiassoldo in p. Coni, dell' Inclita Convocaz. di Gorizia. Copia ex vol. XXIII. P. pag. 22 cui Murelliana. Archivio prov.1" dì Gorizia.) * * Alle varie proteste e doglianze del coniane gli imperatori rispondevano riconfermando gli statuti violati c manomessi, non potendo dimenticare che i Cormoncsi nel 1477 si erano segnalati nella guerra dei Veneziani contro i Turchi ed in quella del 1509 degli Arciducali contro Venezia; ma si lagnavano della inobbedienza e del poco rispetto più volte dimostrato verso i giurisdiccnti : essendosi avverati più fatti che provano come non si "osservasse il divieto di portar armi, e gli omicidi divenissero frequenti, mentre gli assassini non ebbero altro castigo che forse le spese di cancelleria del processo,. Respinta la responsabilità dei delitti i commissari dei XII ne indicavano autori i fuggiaschi dello Stato vicino e gli Uscocchi, che in numero di sessanta avevano fissato il domicilio nella borgata. Alle brutalità ilei grandi e della plebe si aggiunsero allora quelle del fanatismo; il i° aprilo del 1647 si abbruciarono in piazza con il concorso di moltitudine di gente, Lucia moglie di Romano Tomba ed Antonia Bevilacqua di Borgnano, accusate di stregoneria: ed i protestanti che si erano annidati in Cormons diffondevano libri eretici nascondendoli tra le derrate, più spesso tra i filati, e penetrarono notte tempo in Udine, ove distrussero le ima-gini che adornavano a quei tempi parecchie facciate delle case e si veneravano agli svolti delle vie. Curioso fu lo stratagemma pensato dai giurisdiccnti per assicurarsi che i soldati delle cernide non disertassero mentre venivano trasferiti a Gorizia. Si era protestato contro il barbaro uso di legarli al cosidetto giogo della corda ; la scorta, se grossa, costava troppo; ebbene, si pensò di strappare ai coscritti tutti i bottoni delle brache, per cui dovevano camminare tenendosele con le mani e non potevano per ciò darsi alla fuga. Ber quattro secoli, dacché la rapacità dei cónti di Gorizia s'impossessò del castello di San Quirino, non vi fu un momento di tregua: azzuffamenti tra ribaldi che volevano CORMONS 339 togliersi di mano la spada del comando, rapine con la bandiera in pugno, incendi appiccati per sorpresa alle ville mentre la gente stava raccolta nel tempio di Dio. Ma la campana della loggia suonò costantemente la difesa degli statuti, e cadde giù dall'orecchione quando nel 1792, abolite per sempre le giurisdicenzc, i comuni affrancati sorridevano alla libertà ed a quanto essa veniva promettendo. * * Oggi non esiste più un solo stemma, non la cresta o la cortina di un vecchio muro a feritoie, nemmeno i gusci di ferro, dai quali uscirono gli uomini a guisa delle chiocciole, che non potendole più trascinare, si separano dalle loro conchiglie; non è rimasto niente di niente: le pagine dell'inventario del Medio Evo cormonese sono cucite nel volume della storia, ma mancano i cimeli e gli attrezzi del pittoresco guardaroba: il tempo co' suoi rodimenti perpetui ha demolito gli edifizi cupi, colmò i fossi, disperse i ritratti degli avi militari, non lasciando traccia del convento dei cappuccini, ridotto in amena villeggiatura, rispettando solo la chiesa di S. Leopoldo. Sulla pòrta del cimitero stanno murate da poco tempo le quattro pietre che segnavano nel XVI secolo il confine tra la Republica e l'Arciducato, due col Icone di S. Marco e due con l'arma di Casa d' Austria. La chiesa parrocchiale di S. Adalberto non ha di antico che il titolo: incominciata nel 1736 venne consacrata nel. 1820. Nelle celle del sotterraneo, per un processo di mummificazione simile a quello che si riscontra a Venzone, i cadaveri si disseccano ed acquistano la consistenza e la tinta della pelle di tamburo; oltre i corpi, sono ben conservati i vestiti e sino il colore delle stoffe. I vicariati di Medea, Mariano, Morato, Capri va, c la cappellata di Corona dovevano riconoscere la superiorità tlella chiesa matrice di S, Adalberto, cd i rispettivi ecclesiastici erano obligati ad intervenire alle funzioni del sabato La Chiesa «li S. Adalberto. Santo co' loro ceri, ed alle processioni del Corpus domini 'colle rispettive croci e populi ». Ab antiquo la nomina del vicario spettava agli abitanti; ma venne demandata nel 1828 al vescovo di CORMONSl PÌAZ7A DELLE MONACHE. .Hib- N * CORMONS 343 Gorizia. 11 pievano, invece, proposto dai sovrani, conseguiva una bolla pontificia. Ancora nel 1769 nell'Archivio provinciale di Gradisca esisteva un autografo del 29 novembre 1561, di S. Carlo Borromeo, allora cardinale, con cui raccomandava al capitano di Gradisca, Giacomo d'Attcms, che il neoclctto parroco di Cormons, Lodovico Boccalini, ottenesse senza difficoltà il possesso pacifico dei benefici della pieve. Sino a cinquantanni fa si predicava dai pulpiti cor-monesi in lingua italiana; vi si sostituì poscia la dialettale che è una delle più belle parlate friulane. Quando dai monti venne il rumore slavo, la gente si strinse vieppiù in famiglia, ritenendosi meglio sicura entro i confini del proprio dialetto, con il quale volle si vestisse sin la legge e il pensiero di Dio. „ * * Cormons fu campo destinato a cruenti battaglie c luogo in cui si strinsero le paci. 11 27 gennaio 1202 nella chiesetta di S. Quirino si acquetarono le accanite avversità e si spense la guerra, a mezzo di Leopoldo duca d' Austria, Bertoldo duca di Moravia e Bernardo duca di Carintia, tra Pellegrino II patriarca d' Aquileia e Mainatalo ed Kngelberto conti di Gorizia. Nel 1319 sulla via puhlica, da preposti delle due parti, si conchiuse la tregua tra i signori di Maniago e di Pinzano. Nel 1545 si radunò il collegio dei delegati veneti ed austriaci per il tracciamento di confini. Nel 1570 si ripresero le trattative per la regolazione sospesa. Nel 1584 si continuarono le sedute per fissare la demarcazione. Nel 1750 si compì la delimitazione confinaria dai delegati di Venezia e dell' Austria. Nel 1866 si firmavano a Cormons la sospensione delle ostilità tra l'Italia e l'Austria e l'armistizio dal quale prese nome una via. La borgata non accusa le dolorose contingenze antiche, ne le frequenti disavventure, nò il grave vassallaggio sopportato magari con poca rassegnazione. Tutt'altro. V'ha qualchecosa di schietto, di semplice nella vita degli abitanti; si lavora all'aperto, davanti agli occhi ili tutti; si canta di primo giorno, con piena libertà, sulle finestre e per le strade ; lo squillo del battirame che affonda la caldaia si associa al sonar dell' incudine del maniscalco, che incurva il ferro da cavallo. I falegnami preparano i mobili per l'Oriente; presso ai telai casalinghi che tessono i cotoni foresi e il rigatino, stanno le vecchie che torcono il filo dal gattone di canapa della rocca ; vi è il cappellaio che folla il feltro con una fretta indiavolata, e le donne che sgusciano i piselli con una celerità singolare. Qua e là si scorgono le tettoie per la trattura a mano della seta con poche bacinelle e poche agguindolatrici : industria che resiste contro le filande a vapore. In quelle officine chi scopetta i bozzoli e chi li getta nella caldaia, chi gira l'aspo, chi torce il filo e lo guida; scorre davanti agli occhi il movimento di dieci o dodici mani occupate intorno ad una lucida ragnatela. In alcuni cortili chiusi da logge e portici si lava in comune, entro a granili vasche; v'ha una specie di attività febbrile nella comunione dei lavori pesanti o leggeri, rumorosi o sordi. (brando per le strade vedete i nuvoli bianchi sollevati dalle carrette che attraversano il paese impolverando l'aria, oppur sentite accarezzarvi il viso da una brezza fresca, che lascia un'onda odorosa più delicata di quella, che annuncia il passaggio di una delle nostre signore profumate. E guardando attorno avvertite la prossimità di qualche torrente o fiume, giacché i ciottoli servono per terrazzo di ornamento davanti alle chiese o intorno alle fontane ed a fianco delle vie per le selciature degli smaltitoi della pioggia. I.A TRAT I URA DELLA SETA, Vi sentite in piena campagna, anzi in mezzo ad una vasta campagna che assedia Cormons e lo attraversa con una sottile orlatura di erba, con qualche giardino che interpone le sue rastrelliere di rose in fiore, le pergole e i piangenti. Si tiene un mercato all' anno per ciò che si dà alla terra : le sementi ; e sci mesi di mercato giornaliero per ciò che la terra restituisce. E proprio una festa continua quella processione trionfale che cala giù coi primi albori del mattino : i contadini scendono con le gerle o le cagate piene di frutta, la zagata è un carro a due ruote, con una cesta di vimini intcssuti, al quale viene aggiogato un paio di buoi, ed è adatto a salire le vie erte e incanalate dei poggi. Da maggio a novembre le piazza di Cormons mostra il tributo che ad essa mandano gli orti ed i frutteti del suo territorio. Si ferma là il corteo di Vcrtunno, e quello dell'abbondanza, e le frutta se ne vanno subito nei paesi dell'alta Germania. Cominciano ad affluire le ciliege, aralde della raccolta, e presto presto le fragole di bosco, i lamponi, le susine color ardesia, le albicocche d'oro, l'uva rossa dei frati e l'uva spina, i fichi con la camicia stracciata e le pesche villose ; in fine le pere ruggini o rosate, i pomi verdi e le mandorle col guscio di velluto glauco : tutto ciò che la vegetazione, fremente di succhi, dà dopo i suoi amori primaverili e le nozze dei fiori. Il giardino di Cormons va sempre salendo e si arresta all'orlo delle anguste valli pedemontane; per tutta quell'erta a cavalloni è sempre vestito di un verdone smagliante che palesa la faticosa attività della zappa e dell'erpice; s'infoltisce di cespi, di virgulti vivi, di piante cadenti, di vignazzi c vermene che inghirlandano gli acquitrini o che sventolano o corrono come festoni distesi intorno alle casipole dei fecondatori della gleba. LA ZAGOTA DEL COGLIO. Cormons si può dire clic vide nascere due grandi figure paesane: l'annalista ed il poeta del Friuli. 11 conte Francesco di Manzano gode la grande e profonda pace di Giassico, ove nacque l'otto gennaio del 1801. Novantenne, consulta ancora la sua biblioteca ricca di codici, di volumi rari, di incunabuli, e vive di quelle visioni storiche che passarono ordinate per la sua penna, nei preziosi Annali del Friuli, nel Competi* dio, ne' Caini biografici dei letterati ed artisti friulani dal, IV al XIXsecolo ed in altri scritti minori. ') La sua famiglia, supposta bavarese di origine, venne a fissar stanza nel Friuli verso la fine dell' un-decimo secolo, distinguendosi presto con b ingegno e la spada, nel foro, nella diplomazia, nel ministero ecclesiastico, sui campi di bati taglia: fornì abati c canonici, un vicedomino patriarcale; Il conte Francesco ili Man/ano. '} l'ublicò inoltre : Marcantonio Xicotctli, cenni biografici (Nozze Zaiotti - Antonini); // Castello di Connons, Venezia iSSo; Breve prospetto preparatorio ad una storia dei castelli friulani, Archeografo triestino, voi. Vili fase. I, II. Trieste 1 SS l ; i\ uovi cenni dei letterali ed artisti friulani ecc. Udine, Doretti 1SS7. Compilo per altri: Albero genealogico documentato «lei conti di Gorizia pel conte Pompeo Litta, 1850 ; Albero genealogico dei conti Torriani di Udine, trasferitisi in Gorizia, pel medesimo, 1850; Note storiche su (tradisca e la sua chiesa, pel dott. Fr. Schreiner, 1864; Notizie storico - friulane per il barone Carlo de Czocrnig, 1S69; Memorie storico - genealogiche della famiglia Man zano del Friuli, per G. I>. di Crollalanza, 1S74. CORMONS 349 un governatore del Friuli; il poeta Scipione; alcuni ambasciatori e capitani di turbe collettizie, alfieri imperiali, soldati di ventura e quel Marcantonio clic morì a Farra, combattendo sotto le insegne di Venezia nelle imprese gradiscane. Essa ebbe posto e voto nel parlamento di Udine, nel nobile Consiglio di Cividalc ed agli Stati provinciali di Gorizia ; fu potente ed autorevole, e dopo aver partecipato a tutti i rivolgimenti, vestendo la toga negli arbitrati più importanti, cavalcando sfarzosamente e validamente nelle giostre, facendo scorrere ne' patri cimenti il proprio e l'altrui sangue, annodò la passata grandezza nella nuova di Francesco di Manzano, il (piale le vicende friulane raccolse in un fascio, acciocché la patria ne potesse andar lieta come di una panoplia composta per ricordare le gesta valorose e i dolori superbi di ventitre secoli. In luogo meno vicino, ed ancora più solitario di Gias-Sico, sta la casa di Fiero Zorutti. ber una strada erta, accidentata, ai fianchi della quale le alte acacie s'impergolano spiovendo i grappoli dei fiori od i baccelli curvi come falciole, si giunge dopo due ore di cammino a pie' del poggio di Lonzano. I contadini che tagliano l'erba e sramano i peschi sopra un cono prativo, vi mostrano l'edificio rugginoso che vi sta a cavaliere e che appartenne alla famiglia del poeta, ber raggiungerlo dovete ascendere uno sdrucciolo fatto molle dai fili d'acqua che strisciano sotto ai piedi a guisa di piccole biscie d' argento. Forse la guida per farvi sentir meno il disagio della salita, vi dirà : — Par chistc strade ca passavo anchie Zorut. E intanto vi si appiccicano sul viso i fili delle ragne tesi fra albero ed albero, e dovete schivare i bassi e contorti rami dei viscioli, mentre le teste spinose delle bardane si appigliano al vostro vestito. Proverete un godimento lassù e vi verranno spontanee ed improvvise sul labbro le rime piacevoli, gli epigrammi burleschi e le strofe giocose, talvolta troppo nude, che il poeta, senz' altra preoccupazione che quella di vivere in mezzo alla famiglia friulana, e rallegrarla, gettava nei suoi lunari. Nessuno avrebbe ardito imaginare che lo Stivile, spogliato del calendario e dei santi, diventerebbe un giorno due volumi di scelte e cercate poesie. Tutti lo tenevano carri, viaggiava coi lavoratori e ad essi, quando sentivano LONZANOj SEGATORE O IRMI INS .553 sonare intorno una lingua straniera e non intesa, parlava il dialetto delle loro case, dei loro monti, dei loro paesi. Diffuso largamente, correndo dalla fattoria alla canonica, dalla città alla villa, lasciò in ogni luogo il segno del suo passaggio, e quelle strofe come proverbi rimasero sulle bocche di tutti. Zorutti era lo spirito non veduto che siedeva alle tavole degli sposalizi, che partecipava, alle bicchierate dei buontemponi, alle accolte invernali intorno al fuoco, e che faceva far buona figura a chi aveva imparato a memoria i suoi idilli soavi, le sue satire buffone e le sue pitture piccanti e e maliziose. Prendeva a gabbo la luna cd i pronostici, ma gli premeva la fama del suo Strolìc; Come par il passa!, olia spera, Cile al sarà Ina vidut e alplasarà. Spe/ in ehe i Trìestins e i Gurizzans, Par nature a fa ben tant ine lina a, H i Barons Cormoncs, e i Gradìseìiians A spiudaran ehest alt dei bei florins. Cussi in grazie di tor Par il nestri iuteress, pai nestri onor, E par tiare e par mar e da par dntt Lara in voghe il Lunari di Zorutt. E ritornando dalle gitarelle amava ricordare subito gli amici e le città che aveva visitato. Nel 1841 scriveva: In avril d\in passai', Dopo trenta e pini agii che no eri stat, Poi a Gurizze par un quatti dis Dai mici pariiig e amis. PIANURE FRIULANE Capii che i Gin izzaus Son propri vcrs Flirtali*; Mi sòi deliziti t A viodi cheti teatro di nature, Coliuis, nionz, pianure, Il traniont del sordi, E l'Isoli.1: inaestos che'j serv di spieli. # * * Sul collo tiì Lonzano campeggiano due edilizi: la. cappella di San Giacomo e la casa domenicale della famiglia Zorutti. Nella prima il poeta venne portato alla fonte, nella seconda vi passò la vivacissima infanzia. Sino poco tempo fa Cividale aspirava all' onore di aver dato i natali allo Zorutti, benché egli nel 1842 avesse scritto: Ai viiiciiicsiett del ines, che ai voi Nudai, De Pan mil e settcoit uouauledoi Foi bat'iat a San Lurinz di Guade. E poco dopo: Ne l'au uovautedoi Mi ah fabriead in dai, Sai rtassud a Lonza/i In f/tase di Frìsacc E stad a scitele la del capelan. Pochi mesi or sono si rinvenne però nel libro della parrocchia di S. Lorenzo di Nebula la registrazione bat tesimale : Ex Lonzano die 28 Xbris IJ L'audacia era la prima virtù, e il lusso la più grande passione di quella corte. Il fasto con cui Mainardo III nel 1254 si contornò pugnando a fianco di Ottocaro, re di Boemia, contro i pagani della Prussia, fu tale, che di ritorno in patria dovette vendere le ville di Corde-none, Rorai e Zoppola. Così egualmente, (piando il conte Enrico II, inalzato a vicario imperiale, portavasi in Trevigi con una schiera dei più illustri Soggetti della nobiltà, i conti di OrtenburgO, per seguirlo con grande magnificenza, furono costretti ad impegnare la corona della loro contea cd i propri gioielli ad alcuni usurai fiorentini ; inoltre i Villalta, gli Spilimbergo, i Mels, gli Zuecdia ed i Duinatì, pei- rispondere all'invito dei conti e comparire alle finte battaglie, vendettero parecchi villaggi e rinun/.iarono ai profitti di alcuni livelli o diedero a mutuo parte dei loro feudi. Le smodate delizie del vivere e l'amore alle imprese guerresche crescevano una gioventù prepotente e spavalda, e perciò si tenevano in pregio i divertimenti spettacolosi, che aguzzando l'orgoglio, addestravano il braccio: in onore adunque le cortesi tenzoni, l'armeggiare per allegrezza eie partite di caccia, protette da una legge longobarda, che ordinava non si potesse nò dar in pegno, nò sequestrare gli sparvieri ed i coltelli, (pianto la spada di un gentiluomo. ber festeggiare la tregua tra Venezia e il Patriarcato, nel [285, il conte di Gorizia ordinò nel prato di Sinirola una corte bandita: v'intervennero i vescovi di Concordia, di beltre, di breisinga, il capitolo d'Aquileia, la nobiltà friulana. Si condussero le vittime al macello tutte infiorate ; i paggi e i cavalieri, che servivano alla mensa, erano vestiti di stoffa verde con piume rosse. I conti volevano che i propri conviti non avessero ad essere inferiori per larghezza e magnificenza a quelli apprestati di frequente dagli Scaligeri, dai Gonzaga e dagli Estensi; a cui intervenendo gli uomini più illustri d'Italia si cercava divertirli scritturando intere truppe di mimi, suonatori, menestrelli, giullari e zigoladri. Dante, trovatosi ad una corte bandita da Cari Grande, conobbe Beatrice da Camino, che andò sposa nel 1297 ad Enrico li di Gorizia, sorella di quella Gaia, famosa per le sue dilettazioni amorose ricordate nella Divina Commedia. La tradizione pretende altresì che nel 1319, Dante, ospite del patriarca Pagano della 'Porre, visitasse la grotta di Tolmino. Nel 1224 Mainardo II prese parte con ricco corteggio di lande al torneo che si tenne in Trieste, sul prato di Zaule. V'intervenne il trovatore tedesco (miimesinger) Ulrico de Lichtenstein, che girava il mondo vestito da Venere, e che nel suo volume di versi racconta di avere spezzato in qucll' occasione quindici aste. Magnifici torneamene bandì pure Mainardo V, che andò con duecento cavalli alla giostra di Can Grande della Scala, data nel 1316 a Vicenza. Questi giochi guerreschi corrispondenti ai tempi ed all' indole dei signori, legavano per poche ore gli animi alla gioia ed alla concordia ; svampate però le allegrezze, tornava il tormento degli odi fatti gelosi dalle stesse pugne d'onore, che rincrudelivano le rivalità. Allorché Carlo IV entrò in Udine, il 2 agosto 13Ó8, lo accompagnavano il gran mastro dell' ordine teutonico, l'arcivescovo di Praga, i vescovi di Spira, Metz ed Augusta, i margravi di Moravia e di Meisen, i burgravi di Norimberga ed i conti di Gorizia, con un nuvolo tli lancic e corazze e superbi cavalli bardati d'argento, A ricevere l'imperatore erano andati Amedeo VI detto il conte Verde, Francesco di Carrara, il vescovo di Padova e Francesco Petrarca. I castellani approfittavano delle ore di pace per d ars j buon tempo ; e Tomaso da Zirclaria ci offre in poche parole un quadro del XIII secolo: 'L'uno spreca il tempo e la roba al gioco; l'altro vagheggia soltanto copiosi e gustosi bocconi; il terzo non si occupa che di girifalchi e di allegre brigate ; il quarto sta giorno e notte alla taverna; il (pùnto cacciando fruga macchie e campagne da mane a sera ; il sesto si mina dietro alle sottane.» # * # TI conte di Gorizia per i suoi legami e le sue attinenze coi principi di Carinzia, godeva 1' onore di concedere ad essi la corona. La bizzarra cerimonia che usavasi nel dare le insegne a quei duchi spiega come i piccoli despoti, pur disponendo delle sostanze e della vita dei servi, amassero tuttavia ricevere da essi la dignità e la spada. Pier Francesco Giambullari nei sette libri Della storia d'Europa ne dà la seguente descrizione : « Non lungi da Castel Santo Vito, in una valle assai spaziosa, restano ancora ai dì nostri alcune vestigia d'una città sì antica che il nome è al tutto perduto ; ed allato a quella in una prateria assai larga, giace un quadro grande di marmo ed assai bene alto. In su il (piale a la coronazione del principe siede un contadinello... e da la destra sua tiene una vacca nera, e dalla sinistra una cavalla e magrissima e molto brutta. Intorno a questo petrone stanno le turbe dei popoli, e massime de' contadini, aspettando il nuovo signore. Il quale presentatosi in capo al prato, viene con suntuosissima comitiva di signori e baroni riccamente vestiti tutti ; ed innanzi ad ogni altro viene il conte di Gorizia, maestro del palazzo del principe, e tra dodici minori insegne porta la gran bandiera dell'arciduca. Seguono dietro al signore i magistrati e gli uffiziali dello stato, vestiti essi ancora, come tutta la compagnia, il più onoratamente che far si possa. Tra tutti, il principe solo è vestito da contadino e di panni rustici e rozzi, con cappello e scarpe alla villanesca, c con un bastone in mano come portano i contadini; e così si avvicina a 'I marmo. Ma il villano che vi è sopra, vedutolo comparire, domanda a gran voce: — Chi è costui che ne viene con pompa sì grande? $70 t'IANUKF. friulane Ed i popoli che sono allo intorno, gli rispondono: — Questo è il nostro nuòvo signore, che viene a pigliare lo Stato. 11 villano domanda ancora nuovamente: — E egli giudice giusto? cerca egli la salute della patria? è egli libero e franco? degno di onore? vero cristiano? difensore ed augumcntatore della Santa Fede? Ed a ciascuna di queste domande rispondono i popoli ad alta voce: — Sì, sì egli è, e sarà. E finalmente il villano soggiunge: — Per (piai ragion mi vuole egli dunque levare di su questa sedia? Il conte di Gorizia gli risponde allora così: — Sessanta denari si compera da te questo luogo: questi animali, cioè la cavalla e la vacca, saranno tuoi. Avrai le vestimenta che ha indosso il principe, sarai franco tu e la casa tua, senza pagargli tributo alcuno. Il villano percotendo allora leggermente il viso del principe con la mano sua, gli dice che sia giusto giudice, cioè giudichi rettamente; e scendendo dal marmo lascia il luogo vóto e Spedito. 11 che fatto monta il principe in sul petrone, e tratta fuori la spada, la brandisce tutto severo, e voltandosi a fare il medesimo a ciascuna delle facce del sasso, pare che c prometta buona giustizia. Indi fattosi* arrecare della acqua in un cappello da villano beve publiea-mente , in segno forse di sobrietà e di non lasciarsi corrompere da le vane delicatezze delle cose tanto apprezzate.» Le forme simboliche davano carattere a tutti i fèsteg* giamenti puhlici e privati della corte e della nobiltà goriziana. Avevano il loro prescritto cerimoniale la investitura di un cavaliere della collana d1 oro, i campi franchi, i duelli ed i riti nuziali. Quando due nobili si univano in matrimonio usavasi addobbare con festoni e bandiere profumate le case ; s'infioravano le eupolette dei campanili, e gettavasi lavanda e ginestra sul passaggio della coppia. Agli sponsali di Caterina, figlia di Mainardo VII, con Giovanni duca di Baviera, nel novembre 1372, intervenne il patriarca con una scelta squadriglia di nobiluomini superbamente vestiti, i quali sfoggiavano sulle gualdrappe i loro stemmi in trapunto d'oro. La città di Udine inviò in dono un vaso d' argento, dolci, ceri dipinti. Dove prima stavano in sentinella militi raccogliticci, si vedevano star pronti per dare i segnali i giovani araldi con la tromba, da cui pendeva il pennoncello dei conti, mentre i balestrieri che facevano ala al corteggio, avevano ornate le corde degli archi con ramoscelli di pino. Ai banchetti si serviva il vino bianco e rosso, i liquori secchi, il miele e latte, 'le vivande variopinte inargentate e dorate,, i marzapani, le confetture di zucchero e pinocchi, il pesce di fiume e di mare sovra spuma d' uova, "la carne di bue impastata con formaggio e zucchero,. Le fidanzate, secondo una consuetudine longobarda, ricevevano due doni : il primo, dopo seguite le nozze, nello scendere che faceva la sposa dal cavallo, prima di entrare nella casa maritale, e si chiamava dismontaduris; consisteva tli un servo o di un'ancella; i coloni vi aggiungevano una giovenca, un vitello lattante, una pelliccia, un letto, un guanciale di piume: auguri simbolici di fecondità, pace e contentezza coniugale. Il secondo dono, detto Morgengabe, era l'assegnamento in terree poderi, che il marito faceva alla moglie la mattina dopo consumato il matrimonio e con cui riconfermava la validità del legame e l'onestà della sua donna. Alle nobildonne si davano in dote tre abiti : uno di seta, l'altro di velluto, il terzo di panno scarlatto; quindi una collana d' oro, un vezzo di perle, una cassapanca con tela di barracane, gli strezedori a trecce d' oro e d'argento per adornarsi la testa, un cofanetto di ferro o d' avorio, bottoni d' argento ed orecchini. Le fogge femminili, nel Friuli, risentivano l'influenza delle mode germaniche e veneziane: le donne amavano coprirsi il capo con cuffie ili velluto, rabescate di fìl agrana di oro, sulle quali alzavasi uno sgonfio di trina bianca; vestivano abiti carichi di ornamenti o di riporti in seta, od imperlati; il corpetto accoglieva il seno, e quasi lo sostenesse, andava ad affibbiarsi con due faldelle alle spalle. I cospicui maritaggi erano seguiti da festini, banchetti e sagre, ed usavasi gettar monete alla plebe. Molte volte il gaudio e la gioia delle unioni si mutavano in lunghi famigliari tormenti ed indomabili furie d'odi e di vendette. Al sorgere dell'anno 1299 Enrico d'Attcms impalmò Amorosa di Duringo: egli erasi recato all'altare coi panni d'oro e il mantello verde foderato di vaio, il berretto for-lano a mitra, il pugnale alla cintola, e la grande spada sospesa con le tre catenelle a croce. II giorno dopo le nozze allestì una giostra nei campi di Vanno. «Ivi con eleganza e maestrevole destrezza, entro apposito steccato cinto da plaudente popolo correvasi di già le lande, quando per ordine del conte di Gorizia, che non fermo alla parola, violò la pace fatta co' Patriarchi, Folchero di AuspergO, suo capitano, con armati e grosso stuolo di rustici venne inaspettato, e sorprese la giostra. Lunga e sanguinosa fu la lotta, ma al coraggio prevalendo la forza caddero prigioni quasi tutti i nobili e popolari, a cui però, per simulata virtù di quel conte e contro la comune aspettazione, pochi giorni dopo fu data la libertà, 'l'auto è il desiderio di parer grandi anche ne' tristi.,1) ') Francesco ili Manzaim. Le nozze di Enrico d'Attimi*; ed Amorosa di Varino, costumi friulani de! XIli secolo. «Eco dell' Isonzo» N. 19, Gradisca, 5 marzo 1850. * * Sul colle di Gorizia, entro la chiusa, tra le abitazioni dei ministeriali e degli addetti alta corte del principe, si trovava prima la Cappella di S. Michele in arce, poi 1' altra di Santo Spirito. Questa venne eretta nel 1398 da due fratelli Rabatta, della famiglia di sangue fiorentino, che prese la via dell'esilio all'epoca delle fazioni guelfe e ghibelline. I Goriziani soggetti nello spirituale alla chiesa di Sal-cano, dovevano recarsi in questa villa per le pratiche religiose: cosa disagevole, per cui papa Bonifacio accordò ai Rabatta il permesso di fabricarc il tempietto di Santo Spirito e ne promise la consacrazione, purché il sacerdote destinato agli uffizi dividesse con il parroco salcanese tutte le rendite, compreso il frutto delle limosino. Stavano aggruppate al dosso della collina le case di alcuni nobili cittadini, detti allora nobiles cives per distinguerli dai provincialcs che formavano la nobiltà del paese. Nella parte piana vedevi raccolte alcune capanne e baracche occupate da mercanti italiani e da uomini liberi, che esercitavano mestieri rurali e si davano a lavori campestri. Presso questi primi abitacoli sorgeva il convento che si vuol fondato da sant'Antonio di Padova nel 1225. La tradizione venne diffusa da padre Angelico da Vicenza, e riprodotta a' giorni nostri da Enrico Salvagnini nel suo volume premiato dal regio Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Il famoso taumaturgo, alloggiato presso i frati minori nel convento fuori porta Cavana in Trieste, avrebbe cretto poi la cappella di S.ta Caterina e l'annesso cenobio goriziano, al posto ove stava la chiesetta di S. Marco, sepolcreto dei castellani. Poco lungi da questo chiostro esisteva già nel XIV secolo altro tempio intitolato a' santi Ilario e Taziano, il quale lasciò parte dei muri c il nome dei patroni al duomo esistente. J74 IMA M'k I'. KRI L'I. A NIC I.a villa inferiore o mercato di Gorizia era serrata da fossi e da una difesa di spini, a guisa della villa superiore di Udine nel 1299. Una torre rotonda, nei pressi dell'attuale piazza Grande, serviva per coniar le monete, e veniva detta la zecca; da questa si partiva la muraglia eretta nel 1450. All'intorno stcndevasi un verde bosco di rovcrelli e larici, per modo che le casipole scomparivano tra il vasto e fitto ondulamento frondoso. Un ponte di legno scavalcava l'Isonzo; alcuni molini, scalate le sponde presso Salcano c il Calvario, nuotavano sub' acqua. * * La promiscua investitura primitiva delle terre goriziane fu l'origine della lotta tra i due beneficati dalla munificenza imperiale: il patriarca ed il conte di Gorizia. Essi si presentano nella storia armati uno contro l'altro, involti nelle dispute per il possesso di una terra. Nel 1202, con la pace conchiusa nel tempietto di San Quirino di Cormons, si determinano i confini dei dre contendenti, segnati definitivamente dagli arbitri appena nel 1277: al capo aquileiese si accorda la piena giurisdizione da Mon-falcone all'Isonzo e dal fiume al mare; al conte, oltre il territorio di Gorizia, i castelli di Cormons, Arispcrgo, barbami e le ville di Tomai e Diatenorf sulle Alpi. Ma la tregua non è che un armistizio; le ostilità si rinnovano e si perpetuano: causa prima la rapacità dei conti, che, fuor di dubio valorosi c nati solamente per campeggiare, volevano imporsi a tutto il Friuli: ed era questo il sogno segreto che li tormentava ; speravano, cioè, indebolire il governo patriarchino e ridurre il sommo prelato alle sole funzioni ecclesiastiche. e, pur di raggiungere lo scopo, ricorrono a tutte le male arti: giova loro talvolta la tracotanza o l'insidia, più spesso il tradimento. Avvocati della chiesa, tenendo i placiti o giudizi criminali, si appropriano dei denari che devono dividere con l'erario ecclesiastico: hanno per sè i corruttibili riscuotitori delle gabelle; seducono le bande mercenarie al soldo del patriarca ; si presentano ora confederati ai duchi di Carinzia, ora ai Trevigiani, quando ai Guarnieri di Artegna, od a Rudolfo Savorgnano, e comprano segrete alleanze, gettando eternamente il pomo della discordia sul desco dei castellani. Un costante odio contro quella pace che può fortificare gli avversari, domina e guida questi principi semi-barbari. Nel 1150 il conte di Gorizia Kngclbcrto, fa arrestare dai propri sgherri il patriarca Pellegrino, che lo aveva invi- ■ tato ad un giudizio. Nel 1267 Gregorio Montelongo si reca a villeggiare a Villanova del Iudri. Alberto, conte di Gorizia, che aveva fieramente armeggiato contro di lui, benché firmata la pace, di piena notte si apposta con le sue gualdane sotto il castello, vi entra, fa prigione il patriarca, lo obliga seminudo e scalzo a salire sopra una mula, e in quell'arnese 10 conduce a Gorizia, argomento di scherno alle soldatesche che gli facevano ala. Un anno dopo fa uccidere a colpi di spada presso il colie di Medea, Alberto vescovo di Concordia, reo di aver accettato il comando delle taglie spedite dal Parlamento per ottenere la liberazione del Montelongo. Allorché Bertrando di San Genesio pensava di spogliare dell' avvocazia e dei feudi aquileiesi il conte di Gorizia per non avere tra i piedi un nemico, questi partecipa alla congiura che manda un pugno di bravi ad assassinare 11 nonagenario patriarca sulla via diserta di Rinchilvelda presso il Tagliamento. I conti volevano trovare inanzi a loro la via libera di ogni ostacolo. Ciò che resisteva all'astuzia, doveva cedere alla forza. Sorprendono Grado, s'impossessano del podestà e distruggono le fuste venete e le barche pe-scarecce che si trovavano in porto. Incendiano Farra, Trivignano, Orsaria, Premariacco, Tolmino, Gagliano, Luci-nico, Mossa, Ospcdaletto, rocche, edifizi, chiese, ponti ; e fanno una guerra ignominiosa. Le loro bande, oltreché predare alla disperata, tagliavano ed estirpavano le piante dei contadi invasi, spezzavano le ruote dei ruolini, appiccavano il fuoco ai fieni, alle stalle, ai boschi. Una legge severissima, invece, puniva chi raccogliesse armi o spogliasse i caduti sui campi di battaglia: stranissimo culto alla morte gloriosa, e che veniva osservato con rigore da (pici principi e baroni, i quali, mentre insidiavano per le vie più condanne voli, alla vita dei propri nemici, e conducevano sempre una guerra da ribaldi, erano invece scrupolosi nelle regole d' onore delle giostre e nel rispetto dovuto a quelli ch'erano morti combattendo. * * * Così, dando fastidio a tutti, onorandosi con splendidi fatti d'arme, o gettandosi alla strada, toccano un giorno, sporchi di sangue, il culmine supremo della loro possanza. Enrico li, nel 1319, comandava dalle Alpi sino alle città tli Padova e di Bassano, che, datesi a Ecdcricj, ebbero il conte goriziano a vicario imperiale. Teneva costui nel pugno il contando supremo delle truppe patriarcali, il potere civile e militare della Patria del Friuli ed era riuscito Ira altro a trasportar i tribunali in Gorizia. Il patriarca non aveva più agli occhi dei sudditi alcun prestigio: era semplicemente una mummia che sfolgorava cogli abiti d'oro. V'ha qualchecosa di divino nella giustizia, del fato., Dopo raggiunta la massima grandezza, la casa goriziana va rapidamente declinando; coli'indebolimento del braccio, la sorprendono l'afficvolimento della mente ed il disordine economico. Ad un conte imbelle altro ne succede, che si lascia trasportare dal proprio temperamento iracondo; e poi un altro, che si distingue per la vanità e lo scialaquo ; e poi un quarto, che rotto a' vizi, si abbandona ad ogni sorta di laidezze. G< IRIZ1 \ 377 Enea Silvio Piccolomini nella sua Storiti tt Europa narra, che Enrico IV era di animo corrotto; faceva levare i figli a mezzanotte e li obligava a bere del vino in gran copia ; si mescolava più spesso ai pastori che agli uomini del suo ministero. * Scudo vecchio, ha giocato sopra la ghiaccia coi fanciulli; viveva di spesso tra prostitute; man» giava in cucina; vestiva panni vili ed unti, andando a petto nudo ed aperto. Faceva schifo per gli occhi lagninosi e non parlava che un rozzo dialetto carintiano.» Sua moglie lo fece mettere in prigione; ma uscito se ne vendicò, scacciandola di casa. Questo Enrico, nella guerra contro Venezia, combattendo con gì' imperiali di Sigismondo d' Ungheria per la causa del patriarca Ludovico di Teck, cadde in mano di Taddeo d1 Este, il quale lo inviò sotto buona scorta a Ferrara e non gli accordò la libertà che verso una forte taglia. La Republica s'impadronì del castello di Gorizia ed il conte dovette recarsi in piazza S. Marco a giurare inanzi al doge la sua sommissione quale vassallo della Dominante. Allora cominciò a vendere i possedimenti lontani; ed all'Austria, che lo soccorse e lo liberò dai debiti, in cui s'era ingolfato, cedette tutti i diritti della contea nel caso dovesse estinguersi la sua casa. I suoi figli non vissero più in Gorizia, ed affidarono il reggimento a' propri capitani. Leonardo fissò la residenza nel castello di Bruck presso Lienz, confortato dalla moglie Paola di Gonzaga, figlia al marchese Federigo di Mantova. Fu l'ultimo dei conti, il quale per guadagnarsi un valido patrocinio contro i Veneziani, che fortificavano la pianura di Gradisca, rinnovò il patto di fratellanza e di eredità reciproca con l'Austria, cedendole subito Codroipo, Belgrado, Cormons, con tutti i titoli vantati sulle ville e terreni che lambiscono la sponda destra dell' Isonzo. Morì il 12 aprile 1500, non lasciando discendenza alcuna. 11 suo grosso castello, ridotto a fabrica di birra, è divenuto attualmente un sorridente ritrovo estivo. Nella sala dei cavalieri si beve la fermentata cervogia; la cappelletto ò'tutta in rovina. Due porticelle di un dittico conservarono i ritratti degli ultimi feudatari agli abitanti alpini, che indicando il gruppo di casuccc sparse presso alla parrocchia, chiamato Pati iasdorf, ne Spiegano la intitolazione col dire, che colà si annodavano i pochi abituri dell'antico villaggio, appartenente un giorno alla Patria del Friuli, anzi ai patriarchi. Così si spense la prosapia dei palatini carinziani e dei conti tirolesi. I primi figlioli di quella stirpe vennero seppelliti nell'abbazia dì Kosazzo; gli ultimi nella chiesa di Silian e di Lienz in vai l'ustrinà. 3So Massimiliano I, per gratitudine, volle prima si coprisse la sepoltura di Leonardo con un panno nero a croce bianca Coperchio del sarcofago del conte Leonardo, nella chiesa parrocchiale di Licnz. ed ordinò clic costantemente vi ardessero intorno dei grossi ceri ; fece poi fare un sarcofago in marmo veronese, con la figura del defunto sul coperchio. Un giorno, levata dal sotterraneo la grande urna, si dispersero le ceneri e si murò la lastra acuita nella parete sinistra della chiesa. * * I conti di Gorizia vennero nel Friuli, dominarono con sterile fortuna, e un giorno, ripassato il confine, si spensero nella loro patria, nulla lasciando nella nostra che valesse a ricordarli alla civiltà od all'arte. Furono uomini di spada, meno rispettati che temuti; qualche Storico ebbe a dirli eroi, perchè con audacia e ferocia taluno seppe pugnare in odio alle leggi, turbandole ; ma la lode cortigiana non li assolve da (pici giudizio, che li vuole implacabili odiatori di ogni libertà popolare, tiranneschi signorotti, che ai naturali abitanti toglievano i frutti per compartirli tra i propri preferiti vassalli; finalmente strumenti della politica degli imperatori di Germania, pronti a favorirne i disegni o, come soldati, a correre l'Italia, allora teatro delle guerre d'Europa. Strano capriccio del destino! L'estinzione della loro dinastia avvenne sul suolo in cui l'albero aveva germogliato, e la culla del primo conte di Gorizia, sceso dalle Alpi, accolse le ceneri dell'ultimo principe! IL Preponderanza germanica nel Friuli Decadimento della feudalità tedesca Una rocca resistente. In nessun altro paese, quanto nel Friuli, si riprodusse così prolungatamente e con tanta intensità la grande lotta dei tre caratteristici clementi del medioevo. Aquilcia rappresenta la potenza del clero ; Udine le franchigie municipali; Gorizia 1' assolutismo feudale. Dall' anno mille in poi il principe ecclesiastico in corazza e caschetto disertando gli altari corre a spegnere le sommosse, a far tacere le ribellioni dei vassalli, od a fermare il passo dei cento nemici che invadono il suo dominio. I signori, conturbati dalla sete di grandezza, stringono fratricide alleanze pur di assicurarsi la supremazia; i comuni, invece, come alberi cresciuti dove più infuriano le bufere, tratto maggior vigore dalle turbolenze, si fortificano in mezzo alle burrasche dei civili dissidi e sorvivono al sovrano aquileicse ed ai castellani, che esausti di forze piegano e spariscono. Se la invasione longobarda completò la distruzione dell' edificio romano, la rinascenza dei comuni accelerò il progressivo decadimento della feudalità tedesca, arbitra per non poco tempo dei destini della patria. Il Friuli rittodo nel 952 da Ottone il grande di Germania, a feudale dipendenza, subì quelle preponderanze tedesche e quelle costumanze straniere, per cui agli occhi di alcuni storici moderni pote sembrare un'appendice del grande impero. Ma questi storici, non curando le dimostrazioni della verità, giudicarono da un solo aspetto tutto il complesso politico sociale. ber più di iluc secoli, dal mille in poi, sedettero sulla cattedra prelati teutonici ; più di venti castelli portavano nomi di baroni, vassalli e valvassori della Svevia, della Ca-rinzia e del Tirolo. La nobiltà stessa si vantava di provenire dai più antichi invasori, attaccando magari la radice della loro schiatta agli alberi delle selvagge genealogie vandale ed ostrogote. I patriarchi avevano, dal 1019 al 120s, tra i propri cavalieri d'arme, una parte italiana ed una teutonica; e quando venne fatta la pace tra Enrico TI di Gorizia cd i Trevigiani, la giurarono dodici nobili tedeschi per il conte e dodici vassalli latini per il capitanato del Friuli. Le monache Benedettine di Aquileia e Cividale costituivano addirittura un calendario di sante tedesche, e tedesche appariscono in grande numero le firme su alcuni atti, come pure i nomi di alcune abbazie. Sino i più altieri soggetti di sangue italiano venivano allora investiti di rocche-che portavano denominazioni germaniche. Le leggi stesse, mescolanza del diritto romano con gli editti longobardi e gli ultimi innesti bavarici, concorrevano a modellare la società sul tipo feudale germanico. Ma la lingua ufficiale del governo patriarcale era latina od italiana ; italiana sempre quella del Parlamento. Poteva essere tedesco il patriarca e parte della sua corte, il signore e parte de' suoi vassalli, ma non lo era il grosso degli abitanti, la cui nazionalità prevalse ed assorbì quella che volevasi imporre come una bandiera di guerra a gente vinta e domata. II processo di assimilamento si compi con lentezza, ma completamente: tutta la brillante e feroce aristocrazia forastiera venne assorbita e spari come i rigagnoli che accolti dal grosso volume delle acque marine vi si mescolano e vi si confondono. Arturo Galanti, dimostrando come i signori di A Ile-magna non hanno alcun valore per stabilire la natura etnografica dei Friulani, scrive: 'che chi forma il grosso d1 una nazione è il popolo, non la nobiltà, la (piale seppure sorse da ceppo germanico, il popolo nel Friuli sempre fu e rimase un'enorme maggioranza italiana., Ma ancor più efficacemente Giuseppe Zahn, direttore dell'archivio di Graz, punto sospetto di parteggiare per noi, conferma come il vantato predominio de' suoi antenati fosse del tutto avventizio. *1 nostri avi, egli dice, rimasero nel Friuli quali avamposti della grande nazione germanica, benché poscia abbiano dovuto ritirarsi, quando la potenza tedesca al mezzogiorno delle Alpi, fu costretta a cedere dinanzi ad una forza superiore che vittoriosa s' avanzava. 'Quella è un'epoca che noi non dobbiamo dimenticare, perchè è un capitolo della storia, che dimostra l attitudine colonizzatrice nel nostro popolo, e noi possiamo ricordarcene con compiacenza, per quanto la colonia andò affatto perduta. 'Anche se il popolo tedesco vi si fosse diffuso con molto maggior vigore, non avrebbe potuto sottrarsi alla influenza latina., # * * Le cause, che rapidamente fecero scadere l'elemento germanico nel Friuli e ne provocarono b estinzione, non hanno nella storia una pagina speciale; collegate ai fatti generali, si scoprono però facilmente. Quando la curia romana, nel momento in cui fattosi più acerbo il conflitto tra il papato e b impero, lagnandosi del modo in cui avveniva la nomina dei patriarchi, pretese ne venisse demandata ai pontefici 1' elezione, ed impose a Volchero, con la bolla di conferma del 1204, eh' egli ed i suoi successori dipendessero dal capo della chiesa anche nell'opinione politica, allora una nuova corrente nazionale andò formandosi intorno al palazzo del prelato aquileiese e nella patria sbocconcellata in feudi tedeschi. Difàtti il patriarca Bertoldo, elevato al seggio quattordici anni dopo, non era più un agente imperiale: ora si volse al papa, ora al monarca, come una lancetta oscillante che cerca di orientarsi. Con Gregorio Montelongo la influenza di Koma prevalse; guelfo sin nel midollo, egli andò ad occupare la sedia dopo di aver contribuito nella battaglia di Parma alla disfatta delle truppe di Federico II. Un grande rivolgimento si compì allora nell'indirizzo politico e nel carattere intimo e publico del Patriarcato. Sino nelle processioni con cui si festeggia 1' investitura dell'antistite si nota l'avvenuta trasformazione: vi ha negli abiti, nelle bandiere, nelle armi una granile diversi.à di colori, di stemmi e di fogge. Gotcboldo, preposito di Spira, nel 1049 era giunto con un accompagnamento di cento landamani a cavallo, tutti coi drappi orlati di pellicce e i berrettoni nordici ; Sigeardo dei conti di Pleien nel io6J l'N D'ORZON, XVI secolo. PIETRA FUNERARIA l'I LEONARDO, CONTE DI GORIZIA. pietra sculta del sepolcro di Lienz, in rosso, ha invece la inscrizione in latino. Fuori della città, oltre il tempietto del borgo S. Rocco (1497), arricchito di un quadro ritenuto di Palma il vecchio, sorgeva a mezzogiorno il convento dei Cappuccini, eretto nel 1591 con denaro publico, allo scopo di formare una scuola di predicatori quaresimali , rifatto a nuovo, oggi è divenuto albergo di padri ascritti alla frateria dell'Illirico. Dal lato opposto e presso al ghetto, s'inalza la chiesa di S. Giovanni, costruita nel 1590 dai Dornberg. Anche questa chiesetta subì le rinnovazioni posteriori e serba memoria del seppellimento in essa avvenuto di due membri della famiglia nobile triestina de Leo. L'unica chiesa che s! impone con la esterna architettura è quella dedicata a Sant'Ignazio in piazza Grande, presso al collegio gesuitico, ridotto a caserma. Risorta sul corpo che rovinò cento anni prima. Venne consacrata nel 1747. L'architetto, che fu uno dei padri ignaziani, volle riprodurre nella fabrica le linee del barocco classico. Le grosse sporgenze delle cornici e dei capitelli spiccano sul forte gioco delle ombre, e mettono in maggior rilievo le finestre e il vcroncino, che non si confà a luogo sacro. Ime campanili copiati dalle chiesucce che s'incontrano nei canali alpini della Pusterìa, furono innestati barbaramente sul corpo italiano dell'edificio. L'interno è formato da tre cappelle laterali ad arco per parte, sulle (piali ricorrono a guisa di loggione due gallerie a balaustre con colonnette. Le pitture, eseguite qualche anno fa, a chiaro scuro, con fondo d'oro, seccntiste, meglio si adattano ad un atrio teatrale che all'interno d'una chiesa. Il vecchio dipinto a fresco, che rappresenta in fondo dell'abside la gloria del santo titolare, eseguito sullo scorcio del XVII secolo, e le pitture delle pareti laterali, sono belle Opere, ma oggi fanno la figura di un antico carneo, incastonato in una legatura civettuola e moderna. Il tipo dell'arte gesuitica predomina negli altari, che hanno le colonne infestonate e le mense a tasselli multicolori, intarsiate a mosaico. * . * * E inutile cercare un'opera pregevole che parli dei castellani e dei patrìzi di Gorizia: la nobiltà è rimasta estranea al convito civile delle arti: calò nella tomba coti la spada ed il blasone, oppure lasciò ai nepoti solo Ì vanti del casato e le rendite dei rimpiccioliti patrimoni. Si potrebbe dire eh' essa amò sè stessa e non la città in cui visse, disputandone il governo alla borghesia, Potete ammirare i quadri esistenti nella cappelletta Coronini, sul colle di Piazzutta, eseguiti dal Caucig, nominato nel 1820 direttore dell'Accademia dei pittori e scultori dell'Austria e lodato dal Goethe nel suo volume su Winkelmann. Ala all'infuori di queste tele, nulla di nulla. V'ha però una memoria che desta la curiosità e lega il pensiero alla tela sanguinosa della storia di Francia. Carlo X abbandonò le Tuillerie portando seco la frangia tlel suo trono, e regalatala all'arcivescovo di Gorizia, volle ne ornasse il baldacchino delle processioni. Il brillante e frivolo conte d'Artois sfornì con le sue proprie mani il padiglione regale, sotto cui, sovrano pieno dj acerbi rammarichi, astiò, ma non riuscì ad uccidere la libertà del suo popolo. La rivoluzione di luglio venne a cacciarlo in esilio : costretto a ramingare per le contrade della Scozia, a chiedere un angolo tranquillo di terra alla Boemia, il 20 ottobre 1836 domandò l'ultima pace a Gorizia, donandole i nappi, il tessuto e i fiocchi d'oro, che sfavillavano nella sala regale dell'ultimo Borbone. Non visse a Gorizia che settici giorni. Lo viddero in quelle poche sere andar curvo, il viso fosco come l'anima che combatteva la battaglia dell'odio e dell'orgoglio. Fulminato dal colèra, venne deposto nel sotterraneo della GORIZIA : PIAZZA GRANDE. OOK1ZIA 461 chiesa di Castagnavizza, ove lo seguirono gli ultimi rampolli della casa dei gigli-Quando scendete in quel sepolcreto, vi si presentano sei bare, che racchiudono sei mummie imbalsamate. A sinistra Carlo X con suo figlio, il duca d'Angoulèmc, e la nuora Maria Teresa, figlia di Luigi XVI ; a sinistra Enrico V, sua moglie, la duchessa di Chambord, e sua sorella Luigia Maria Teresa di l'arma. Convento di Caslaynavi/./a. Il francescano vi addita gli stendardi, funebre omaggio del legittimismo, appesi alle mura e seppelliti per sempre in quella prigione della morte. Quante sventure dormono là dentro, e come il ricordo le risveglia ! Tutto è triste: l'oblio stende la sua grigia ala sulle urne; nessun mazzo di fiori freschi, che alimenti, come una goccia d'olio, la lampada della viva pietà e della immortale riverenza. L'oro delle bandiere irrugginisce, e la polvere e l'umidità 492 riANURK FRIULANE logorano i simboli ricamati sui drappi di seta e vanno cancellando le scritte: Notrc coeur a notri roi ! La pagina più commovente di Louis Blanc vi su-surra: *Sul tuo capo la chiesa coi suoi martiri, davanti a te la politica con le sue vittime. » Non v'ha più la terra tolta ai giardini delle Tuilleries, portata nei sacchi dalle deputazioni francesi per cospargere il suolo di quel Saint - Denis dell'esilio. «V'ha qui in questa sabbia il seme di qualche fiore! » disse il signor Franchet d Fspedry gettando la prima manata di quella polvere francese sul suolo della catacombe. Chi sa che non vi sia stata commista anche qualche perla di sangue ! -X- Usciti da quel sepolcreto, si sente in viso la carezza dell' aria, e sotto la terrazza del convento si presenta tutto il panorama, che il visconte di Rochefoucault, nel suo Pellegrinàggio a Gorizia, paragonò stupidamente alle paludi Pontine. Avete alle spalle i primi contrafforti delle Giulie, inanzi agli occhi un avvallamento giulivo, ridente, pomposo, che si allontana sfumando. Gorizia giace ingioiellata dalle ville. I piccoli casini s'ingolfano nelle onde della verdura, imboscati trai lauri, semi-nascosti dalle macchie degli alti pini, che protendono i rami rigidi e spinescenti. La vegetazione dei climi freddi si affratella in epici parchi alle piante tropicali: intorno miniature di servette dense : serraglio di conifere che circondano i tappeti rasi SU cui i giardinieri hanno composto con erbe colorate i più curiosi disegni, e sino gli stemmi dei loro padroni. La quercia gentile si accoppia ai faggi aurei ed alle chiome flessuose degli olmi bianchi ; le cesoie dimno forme strane agli arbusti, livellano le siepaie, tengono disciplinati i bossi e le malve. Un anello di bambuse e coronille gira attorno allo spazio lasciato libero per le aristocratiche muse, che spiegano le grandi foglie- sulla plebe delle violette e delle verbene. Cigni di marmo vuotano dalla bocca un filo d'acqua; statue mezzo ignude sorgono entro alle nicchie delle glicinie. La giapponeseria civettuola, che predomina nella moda del giardinaggio, ha inghirlandato i sedili, ricama gli arazzi col serpillo, mentre qualche magnolia maestosamente apre i calici e li agita come piccoli incensieri odorosi. La città biancheggia tra questo artificiale imboscamento e lo rompe con le strade, a doppie file di platani e di castani, che sembrano tanti raggi del suo perenne vivaio. * * * A tramontana l'Isonzo con l'acqua opalina bagna il borgo industriale di Strazig e quello di Piedimonte; casca t/.fi/HAT/u*, Il passo con la barca sull'Isonzo. dalle roste, entra nei canali deviatori e ritorna nel letto. Alle sue sponde si schierano gli cdifizi della cartiera, delle filande della seta e del cotone, e i grandiosi molini. Due-milacinqucccnto operai lavorano in (pici saloni, in quelle ampie gallerie, non storditi dal frullamento dei cilindri, nò dai giri vertiginosi dei volanti, nè dagli scatti epilettici dei tredicimila fusi e degli ottomila rocchetti. A Strazig la colonia dei lavoranti ha tra le isole delle proprie case, una scuola, un asilo ed un'osteria. Gli alti camini che sorgono (pia e là nella valle, vi mostrano come di fronte a quella speculazione infingarda e festaiola, che vorrebbe vendere l'aria ai malati e ridurre Gorizia a solo luogo di cura, v' ha chi intende adoperare le braccia ai bisogni delle imprese manifatturiere, rivolgere il pensiero al lavoro, sorgente di ricchezza sicura, moltiplicare i frutti della terra e della produzione, piuttosto che aumentare le case di salute e le locande. Ed ceco poco lungi dalle ville deliziose gli edifizi in cui si fabricano i saponi, la polvere per le tintorie, la cera, i fiammiferi, la birra, il cuoio, lo smeriglio, l'amido, o si fila 0 si tesse o finalmente si preparano le conserve dei frutti dell' ubertosa campagna. E questa campagna bisogna correrla, bisogi.a vederla nelle continue trasformazioni che assume, quasi volesse spiegare il lussureggiante vestiario, che la natura generosamente le accorda. Andate in agosto a Val di Rose, o in una piccola cascina dei rialti di Rafut, o a Mon Corona, ed attendete il levarsi del giorno. I {irati sono umidi, guazzi, una nebbia fuligginosa va dissolvendosi e la terra comincia ad uscire dalla sua oscurità. Gli alberi hanno le foglie ripiegate, cadenti ; c'è ancora una gran sonnolenza e un torpore. 1 pioppi al limite degli stradoni, guardiani dei terreni camperecci, scuotono le cime e si svegliano tremando, senza romper il silenzio immenso e profondo. Si vedono presentarsi con tinte grigie le lunghe e infinite legioni del granturco, e le schiere allineate dei gelsi. Un uccello con rapido volo taglia l'aria come una saetta; il canto del gallo trova una G( IRIZIA A »5 eco in tutte le capanne. Pare che la terra respiri libera dal soffocamento della notte; l'ultima stella va spegnendosi nella crescente chiarezza del cielo ; sale il fumo da un tetto, viene il rumore di una carriuola, mugghiano i primi bovi attaccati all'erpice, squillano le campane, i contadini entrano nei campi; si annunzia il lavoro, la vita, il sole ! E la falce tronca e recide: le gerle si riempiono ; ogni fiore di primavera s'è fatto un grano di provvidenza. K le strade si popolano di carrettieri, di lattaiole, di filatrici. Gorizia apre i mercati, le botteghe, le officine; accoglie il tributo de' suoi orti, de' suoi pascoli e de' suoi boschi, e si affaccenda ne' suoi quotidiani commerci, nella feconda attività dei mestieri. Guardate come da vent'anni si è insignorita: belle case tli bello stile, lunghi ed ombrosi passeggi; un romantico giardino. Essa non ha solo pensiero di rendere dilettevole il riposo dei ricchi e di procurare loro i dolci comodi, ma con saggia premura cerca il miglioramento economico nelle fonti della sicura e durevole prosperità. Il suo Municipio, con l'orgoglio delle antiche tradizioni, figlio tlel popolo friulano, vuol preservata la nazionalità e la difende, crea gli istituti che possono garantirla'; impugna, come arma legittima, le costituzioni ; battezza coi nomi di Dante, di Petrarca, di Manzoni, di Verdi e Piero Zorutti le nuove ciintrade, ed una ne dedica a Graziadio Ascoli, figlio e gloria di Gorizia, glottologo ed orientalista, che prima analizzi) il dialetto natio, poi, addottrinatosi nei misteri linguisti i, arriccili doviziosamente la storia della filologia. Intanto la cittadinanza, gelosa della propria favella, stretta nei fasci dei civili sodalizi, apre scuole etl asili nei punti dove si mostra più forte e piti insistente la minaccia, traduce il suo pensiero nelle feste popolari, lo manifesta con la musica, con le canzoni paesane, con la stampa, e cerca conforto e ristoro nella coltura delle lettere italiane e nello spirito della vita italiana. Agli avamposti della lotta, essa vuol rispettata la sicurtà di quel nazionale diritto, che la legge le consente, c con la poesia che divinizza l'amore e l'orgoglio della [latria si prepara a difendere il sacro patrimonio. Non v'ha vittoria o felicità senza sagrifizio. Anche Pernofoonte, piangendo sul mandorlo che nascondeva il suo amore, lo vide tutto rivestirsi di fiori. indice dei capitoli I. Messidoro........... pag. 5 II. Aquilcia............ » 19 III. I Barbari............ » 51 IV. I vincitori vinti.......... » 67 V. Servi del Signore, signori della terra ... » con il sistema della fotomeccanica sullo zinco, vennero fatte dagli Stabilimenti V. Turati (Milano), Fratelli Treves (Milano) e Meisenbach & Riffarth (Berlino).