ANNO XVII. Capodistria, 1 Novembre 1883. N. 21. DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per mi anno fior. 3: semestre e qua-dvimestve iu proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. La facoltà giuridica per gli italiani dell' Austria La Dieta provinciale triestina, come tutti sanno, nella seduta del 13 ottobre p. p., a voti unanimi, tra gli applausi del pubblico, accolse la proposta della Giunta per la istituzione di una facoltà politico-legale italiana con sede a Trieste. Riportiamo per intero la splendida relazione con la quale il deputato onor. D.r Giorgio Piccoli, nostro egregio comprovinciale, accompagnava alla Dieta le proposte della Giunta. Dall'anno 1866 sino ad oggi, da quando, cioè, pelle vicende fortunose di queir anno venne tolta agli italiani dell'Austria la possibilità di compiere i loro studi cou efficacia legale in una Università italiana, la Dieta provinciale triestina, vigile tutrice del nostro carattere e dei nostri diritti nazionali, non venne mai convocata senza che elevasse la sua voce per chiedere la istituzione di una Facoltà giuridica italiana. Una sola volta essa si tacque, e fu nel 1870. perchè la Dieta fu chiamata quell'anno soltanto ad eleggere, secoudo che volea la legge di allora, i due deputati al Consiglio dell'impero a Vienna. In sulle prime sembrò che la nostra domanda, già per se stessa atta ad imporsi, tanto essa era squisitamente legittima e legale, fosse per trovare esaudimento. Infatti nella sessione dietale dei 12 ottobre 1869 il commissario imperiale a nome dell'eccelso i. r. ministero del culto e della istruzione riconobbe espressamente la equità e la necessità di quello che noi avevamo chiesto e pur mettendoci innanzi difficoltà d'ordine tecnico e finanziarie e facendoci intravedere come possibili provvedimenti di compensazione, oltre alla istituzione di lezioni in lingua italiana, anche la possibilità di frequentare cou efficacia legale Università estere e di studiare privatamente, non ci toglieva la speranza, che al momento della revisione delle leggi sugli studj del 2 ottobre 1855 la nostra domanda potesse essere iutieramete esaudita. Nella stessa sessione, e precisamente nella seduta dei 29 ottobre 1869. il commissario imperiale comunicò alla Dieta qualmente, giusta uno scritto dell'eccelso i. r. ministero del culto dei 19 settembre 1869 N. 9166, cou sovrana risoluzione dei 25 settembre 1869 fosse stato stanziato, con riserva di successiva approvazione da «parte dei due Corpi rappresentativi, una somma di f. 5000 per lezioni italiane nelle discipline storico-legali nella università d'Inusbruck. Più tardi, e cioè nel marzo del 1871. proponenti i deputati triestini Pascotini e Morpurgo, la Camera dei deputati a Vienna accolse iu massima la nostra domatidà, rimettendola al Governo per esame e sollecita relazione. Ma a questo incarico l'eccelso Governo non ritenne di doversi piegare e non valsero a smuoverlo da codesto divisamente uè le ripetute e costanti risoluzioni della Dieta triestina, nè i memoriali della sua Giunta provinciale ; che anzi risoluzioni e memoriali restarono persino senza risposta. i Si fu solo quest' anno che F eccelso i. r. ministero del cult > e della istruzione, collo scritto dei 31 gennajo 1883 N. 301 comunicato alla Giunta provinciale con altro scritto di questa eccelsa Luogotenenza dei 22 febbraio 1883 254 P. diede finalmente risposta alle risoluzioni dell' eccelsa Dieta triestina ed ai memoriali della sua Giunta provinciale. Senouchè la risposta fu negativa, come la eccelsa Dieta ha rilevato dai documenti uniti alla Relazione generale, ed il rifiuto si appoggia a due ragioni. Anzi tutto una Facoltà politico-legale staccata dal nesso universitario si appalesa, a parere dell' eccelso Governo, incompatibile col vigente sistema universitario, ed in secondo luogo i provvedimenti presi in favore della istruzione italiana nelle attuali Università austriache bastano, secondo l'eccelso Governo, ai nostri bisogni, E qui giova ricordare che questi provvedimenti si limitano ad alcune lezioni in lingua italiana nella Facoltà giuridica della Università di tnnsbruck e ad alcune Commissioni esaminatrici per candidati italiani nelle scienze sociali e giuridiche. Senonchè la Giunta provinciale, esaminati codesti due argomenti più da vicino, non vi si potè adattare, imperocché in parte non reggono, in parte si contradi-cono, ed in parte contrastano col vero stato delle cose e col nostro indiscutibile diritto nazionale. Ed invero se reggesse il primo argomenta, quello della incompatibilità di una facoltà politico-legale staccata dal nesso universitario, non potrebbe reggere che o per ragioni scientifiche o per ragioni di legge. Si asserisce infatti nei riguardi scientifici, che una Facoltà politico legale staccata dal nesso di una Università vive fuori di quell'ambiente scientifico, in cui ogni parte dello scibile trae vita ed incremento dall' altro, in cui tutte le parti sono vivificate dal soffio d Ila scieuza per cui bene spesso una facoltà giuiidica così isolata degenera in una scuola empirica, in cui più cue altro s' insegnano le nude leggi positive. Ma codesto argomento, se regge, si ritorce contro il secondo, imperocché, se non può bastare alle esigenze dello insegnamento scientifico una Facoltà giuridica isolata, meno ancora vi possono bastare le lezioni che si danno in lingua italiaua all'università di lnusbruck. Esse sono certamente ancor meno di quello che sarebbe la chiesta Facoltà giuridica italiaua, perchè per la loro provvisorietà sono affidate ad uomini di pratica più che ad uomini valenti per dottrina, perchè non riflettono tutte le scienze giuridiche e sociali, perchè auch' esse sono divise, almeno pei giovani, dall' insegnameuto tedesco degli altri rami dello scibile, senza biblioteca italiana, senza possibilità di completazione con altri rami affini della scienza, senza che infine si possano trovare docenti di qualche importanza, i quali si adattino a coprire una cattedra del tutto secondaria ed insufficientemente retribuita. La Facoltà giuridica italiana, all' incontro, se anche isolata, avrebbe almeno la opportunità di ampliare 1' insegnameuto con discipline affini, potrebbe crearsi una biblioteca delle scienze sociali e giuridiche destinata ai bisogni della gioventù italiana ed offrirebbe cattedre forse non disdegnate da uomini che all'altezza della niente e degli studi accoppiano vivo affetto per la nostra gioventù e facendosene maestri riterrebbero di compiere opera veramente civile, Non mancherebbe quindi alla nostra Facoltà giuridica quel t-affio scientifico che dà vita alle Università, nè essa sarebbe condannata alla vita sterile di uua scuola pratica. Di più la Facoltà giuridica italiana, che avesse sede a Trieste, non sarebbe certamente priva di una cattedra di diritto marittimo, mentre sino ad oggi in tutta la Monarchia, eccettuate le due scuole commerciali di Trieste, il diritto marittimo è interamente dimenticato, quasi che il commercio di mare non fosse addirittura oggetto essenziale nella vita di quei popoli, che per la loro posizione geografica vi sono chiamati, e quasi che il diritto marittimo potesse essere trascurato in un sistema di buoua legislazione. Così venne che ci troviamo senza leggi marittime e quel eh' è peggio senza quella autorevole giurisprudenza e quella dottrina che in altri paesi tengono luogo delle leggi o queste accomodano ai fatti sempre nuovi deila vita economica. Che se l'asserita impossibilità di uua Facoltà giuridica isolata avesse la sua ragione nella legge austriaca generale intorno agli studi univeisitari, la legge speciale con cui verrebbe istituita la Facoltà giuridica italiana, potrebbe, in quanto veramente occorresse, derogarvi. E se anche 1' asserita impossibilità scientifica veramente sussistente e se l'impossibilità legale non potesse in alcun modo togliersi, contrariamente a quanto ritiene la Giunta provinciale, non per questo sarebbe giustificato il rifiuto opposto alle nostre domaude dall' eccelso i. r. Governo, imperocché se quel poco, che con riguardo alle finanze dello Stato forse troppo modestamente fin oggi noi abbiamo chiesto, è scientificamente o legalmente inattuabile, vuole l'indistruttibile nastro diritto nazionale, che una sola conseguenza se ne possa trarre, quella, cioè, che lo Stato abbia a darci una compiuta Università italiana. Data infatti 1' asserita inattuabilità scientifica o legale della sola facoltà giuridica italiana e ritenuto d' altra parte che il provvedimento attuale delle lezioni italiane ali' Università d' | Inusbruck corrisponde, come fu rilevato, ancor meno | di ua Facoltà giuridica italiana alle esigenze della i scienza e non corrisponde sotto alcun riflesso al nostro diritto, come in appresso si farà più manifesto, negarci 1' Università italiana significa costringere i nostri giovani a frequentare la Università tedesca, ed è lesione di uno dei principali diritti, che ci sono assicurati dalle stesse leggi fondamentali austriache, uuo di quei diritti che ben prima di essere scritti nelle leggi positive fu impresso a caratteri indelebili nella coscienza dell'uomo. Sarebbe infatti grave errore il ritenere che il diritto della nazionalità possa consistere soltanto nella facoltà di adoperare e di studiare la propria lingua, benché la lingua sia lo stromento, con cui si crea, si mantiene e si diffonde la propria civiltà. Non può essere soltanto questo il diritto proclamato dalle leggi fondamentali austriache, uè certo solo questo è il contenuto di quei diritto della nazionalità, che sta impresso nella coscienza dell' uomo. È troppo noto come ogni popolo abbia una impronta ' individuale ed attitudini psicologiche speciali, che esso trae dal genio originario della schiatta, dal clima, dalle tradizioni, del carattere stesso della lingua, della letteratura, della scienza, dell' arte, dal carattere insomma di tutte quelle molteplici manifestazioni, in cui può rivelarsi quell' intima virtualità, che suol essere chiamata lo spirito di una nazione. Ora ciascun popolo ha il diritto di vivere nella propria individualità, pur riflettendo la vita intellettuale degli altri popoli, e di attingere in tutti gli atteggiamenti e le manifestazioni, così della vita privata come della pubblica, a quella virtualità che ognuno ha in sé. Questo è il civile pensiero che si volle proclamare, almeno in teoria nelle leggi fondamentali dello Stato, e questo è il diritto che per legge imprescindibile di natura spetta a ciascun popolo. Solo couservando ri proprio carattere individuale ciascun popolo può compiere la missione che gli è attribuita, in conformità a quel carattere, nella vita dell' umanità. A questo ufficio non possono bastare le lezioni che si danno in lingua italiana nella Università d' Innspruck. Se anche fossero alimeutate dall'alito della scienza e se anche abbracciassero tutte le scienze giuridiche, sarebbe pur sempre il pensiero di un altro popolo, rivestito della nostra lingua, quello che colà s' insegnerebbe. Di siffatto provvedimento potranno ac-coutentarsi popoli che all'iufuori della lingua, ed ancor questa bambina ed incerta, nuli' altro posseggono. Ma chi appartiene a quel popolo che fu maestro agli altri nei commerci, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti — né è vanitoso orgoglio in codesta occasione ricordarlo — e che cotanto accrebbe il patrimonio intelet-tuale dell' umanità, ha il diritto di vivere la sua vita nazionale anche nelle sfere del pensiero. Nè si oppongano la comunanza e la medesimezza della scienza presso tutti i popoli, imperocché se anche la scienza venne progressivamente ad assumere un carattere internazionale, ogni popolo civile le diede però la su? impronta individuate. Che se discendiamo dalla serena altezza del diritto alle fredde considerazioni della pratica, non per questo le conseguenze sono diverse. Sostennero alcun:, sotto le apparenze della previdente tutela degli interessi economici, che la frequentazione di una Università tedesca farà apprendere codesta lingua ai nostri giovani ed aprirà loro i pubblici uffici, per cui il negarci la facoltà giuridica italiana equivarrebbe, secondo loro, a proteggere i nostri giovani dai danni economici che la frequentazione di una Università italiana potrebbe loro arrecare. Più erroneo argomento uon potea invero essere adotto, imperocché i giovani non frequentano la facoltà giuridica per apprendervi la lingua tedesca, ma bensì per apprendere le varie discipline sociali e giuridiche, che alla lor volta non possono apprendersi se prima non si conosca perfettamente la lingua iu cui le stesse vengono insegnate. Ora. adunque, o i nostri giovani conoscono già da prima la lingua tedesca, ed allora non hanno bisogno di frequentare la Università tedesca per apprenderla — o uon conoscono la lingua tedesca, ed allora frequentando la Università tedesca perdono il loro tempo senza frutto, uon vi apprendono nè la lingua, che ivi non si apprende, nè le scienze sociali e giuridiche che non si comprendono senza conoscere la lingua in cui vengono svolte, e corrono il pericolo di fuorviare nell" ozio con grave danno del loro avvenire. Si aggiuuga inoltre che più della coazione giovano a far apprendere una lingua la eccellenza della civiltà, di cui. quella lingua è strumento, ed il bisogno che taluno per avventura senta o di attingere a quella civiltà odi stringere rapporti che richiedono la conoscenza di quella lingua, e questo per la riluttanza di ogni uomo, che abbia la coscienza di sè, ad ogni cosa che gli sia imposta sotto apparenze contrarie al diritto; si aggiunga che lo Stato non è chiamato a dare ai giovani, loro malgrado, il mezzo di ottenere i pubblici uffici, imperocché il proteggere il cittadino nella vita economica contro lui stesso, il pensare per 1' avvenire economico del cittadino, che ne viene esonerato, è concetto che ormai ha fatto il suo tempo e che seppur ritorna a farsi valere, lo si incontra soltanto tra ie più esagerate teorie del socialismo, mentre conseguenza della libertà civile fu ed è la libertà economica con tutti i suoi doveri ; si aggiunga infine che applicate fedelmente le leggi fondamentali dello Stato, i pubblici uffici iu città italiana saranno indi— pendenti dalla conoscenza della lingua tedesca, perchè ivi si scriverà e parlerà 1' italiano, e così cadrà anche quest' ultimo argomento che ci viene opposto. D'altra parte, prescindendo dalla considerazione già prima accennata, che nella Università tedesca si insegna necessariamente scienza tedesca e viene perciò a mancate quel!" inseguamento nazionale, a cui i nostri giovani hanno diritto, e da rilevarsi inoltre che i giovani italiani che frequentano la università tedesca vi apprendono esclusivamente il linguaggio tecnico tedesco, e quando poi nella vita pratica sono chiamati o a voltare una legge nella loro lingua o ad estendere tu atto qualunque, devono sostenere grave fatica, lottare con le difficoltà della forma con pregiudizio del pensiero, o non di rado offendete le leggi ed il genio iella loro lingua con vergogna di loro stessi e con dolore di chi è costretto a leggerne gli scritti. Nè è a dimenticarsi che l'insegnamento adattato nella sostanza e nella forma al genio nazionale dello scolaro vi suscita rigogliosa la vita intellettuale, come una pianta e come un sistema di coltivazione che si confanno ad uu terreno e nou si confanno all' altro, talché nel corso delle discussioni che anteriormente ebbero luogo in questo argomento nella Dieta triestina, fu persino ascritto all'insegnamento nazionale, che i nostri maggiori ebbero nelle Università italiane di Padova e di Pavia il numero maggiore di uomini eminenti che per addietro illustrarono fra noi il foro o la magistratura. Fu dura verità codesta, ma fu anche civile pensiero V averla enunciata perchè uon i-insana certamente i mali chi è intento soltanto a nasconderli. La insufficienza delle lezioni italiane all' Univer-j sita d'Innsbruck. resa ancor più sentita dalla lonta-! nanza e da! clima di quella città, costringe d' altronde \ la nostra gioventù a frequentare la Università tedesca; ; tanto è vero che l'anno scolastico testé decorso solo j 44 giovani italiani frequentarono la facoltà giuridica | della Università d'Innsbruck, mentre ben 92 preferi-i rono recarsi alla Università tedesca di Graz e 13 a quella di Vienna. Se si tiene calcolo dei giovani del Trentino, che per essere più vicini preferiscono di regola la Università di Innsbruck. si può ben affermare, senza tema di errare, che pei nostri giovaui il provvedimento delle lezioni italiane alla Università d'Innsbruck. per la sua insufficienza e per la lontananza e pel olitila di quella città, non ha nessun valore, ed i nostri giovani sono costretti a frequentare ancor sempre la Università tedesca, come se alcun provvedimento non esistesse, con manifesta lesione del loro diritto nazionale e con grave danno delia loro coltura, Nè se ne risentono soltanto i giovani, ma anche pel popolo stesso, da cui essi sono esciti, la Università non è come deve essere, il focolare sacro dove si custodisce e si alimenta il fuoco della sua civiltà e donde emana quella luce che suscita negli animi le nobili e generose aspirazioni e promuove ogni sorta di progresso civile ed economico. In verità, se le nazionalità difese da una grande civiltà, come è la nostra, non fossero per inseguamento della storia, indistruttibili come 1' individualità umana, e se nou fosse legge quasi provvidenziale, testificataci pure dalla storia, che ad un popolo civile non si tolgono con alcun mezzo le forme del suo incivilimento, questo negarci con tutta persistenza una Università nazionale, dove si insegnino italianamente almeno le discipline giuridiche e sociali, siccome quelle che hanno maggiore e più intima connessione colla individualità di ciascun popolo e da questa ricevono una più speciale impronta, mentre pure la si accorda a nazionalità che non vi hanno altro titolo di preferenza fuor che quello del ì utimero, potrebbe essere argomento di seria inquietudine per la nostra nazionalità e per le nostre forme d'incivilimento. Ma così fortunatamente nou è. Ciò non pertanto vuole il nostro diritto nazionale, vuole il culto per le forme del nostro incivilimento, vuole infine 1' avvenire intellettuale dei nostri figli, che la Eccelsa Dieta riaffermi ancora una volta il nostro diritto nazionale e ripeta la domanda sia di una Facoltà giuridica italiana sia di una compiuta Università italiana, Epperò, guidata dalle considerazioni fin qui esposte e ritenuto che l'impero del diritto nazionale, proclamato quasi a loro divisa dagli uomini che oggi stanno al potere, debba valere anche per gì' italiani dell' Austria, e più che tutto fidente nel nostro buon diritto, che potrà essere ritardato ma non mai arrestato nel suo cammino, la Giunta provinciale crede suo dovere di propone all' Ecceisa Dieta triestina la seguente li-soluzione : "1. La Dieta provinciale triestina, nel mentre prende sconfortante notizia dello scritto 4 gennaio 1883 N. 301, con cui 1' Eccelso i. r. Ministero del culto e della istruzione respinge le sue ripetute risoluzioni intese ad ottenere una facoltà giuridica italiana colla sede in Trieste, ne riafferma l'indiscutibile diritto e ne ripete la domanda, chiedendo che ove insormontabili difficoltà scientifiche o legali si opponessero all'attuazione di una Facoltà giuridica isolata, vi sia sostituita uua compiuta Università italiana, "2. E' incaricata la Giunta provinciale di presentare la domanda della Dieta provinciale all'Eccelsa Presidenza del Consiglio dei Ministri e di provvedere a che sia presentata anche alle Eccelse Camere dei Signori e dei Deputati di Vienna.„ L' egregio autore dei Cenni intorno all' Isola di Veglia ci accompagna il seguente articolo con questa lettera: Spettabile Redazione ! Trattandosi di un argomento di storia patria — e che in certo modo serve di rettifica in uno e di conferma a quel poco che scrissi nella " Concordia,, di quest' anno — uutro speranza che codesta spettab. Redazione accoglierà di buon grado queste noterelle sull' origine del vescovato di Veglia. In questa fiducia ecc. Trieste 20 Ottobre 1883. G. V. SULL'ORIGINE DEL VESCOVATO DI VEGLIA Neil' almanacco "La Concordia„ (anno II. p. 77.) io dico come semplice opinione che il vescovato di Veglia esisteva nel VI sec., visto che esistevano quelli di Ossero e di Arbe. Dopo aver consegnato il manoscritto di quel mio lavoruccio mi venne sott' occhio 1' asserzione di un autore, per la quale la mia opinione da probabile diventa certa. Io 1' avrei corretta ove mi fossero state pòrte le prove di stampa di quel mio scritterello, ma così non fù e perciò pubblico queste noterelle in un giornale diffuso in provincia a provare che anche Veglia era sede vescovile nel VI secolo. Dell' argomento si occuparono altri prima di me; fra i quali si leva coni' aquila il P. Parlati, che ne discorre da par suo nel voi. V dell' Illirico sacro; egli però confessa d'ignorarne i primordi, i ed accenna quat semplice congettura che li abbia avuti eguali agli altri vescovati della Dalmazia. Generalmente si cita qual primo vescovo di Veglia — di cui si sappia da documenti scritti — quel Vitale che vi appose la sua firma nella promessa del tributo di Veglia al doge Ottone Orseolo nel 1018; gli è perciò che qualcuno (V. "La Concordia, a. I. p. 88.) credette fissare l'origine del vescovato appena nell' XI secolo. Era un pò troppo ! Ripeto quaud' anche nessun documento scritto lo attestasse, si potrebbe riferire 1' origine almeno al VI sec., perchè in quello Arbe ed Ossero avevano già i loro vescovi. Quello che lasciarono scritto gli autori delle Cronache Gradese e Altinate fa divenire certezza la congettura suddetta, e senz'altro, ecco di che si tratta. Giovanni Diacono adunque nella citata u Cronaca di Grado, dopo aver detto che il patriarca Elia convocò a Grado un Sinodo generale dei vescovi, da Verona fino alla Pannonia, soggiunse: „Tunc Helias egregius patriarcha cum ornili il la mul-titudine episcoporum ac cleri et populi collauda-tiotie ordinavit sedecim episcopatus inter Foroju-liensium nec non et Hystriae sive Dalmatiae par-tes, videlicet in Vegla, in Opsaro, in Pathena.1) E a p. 44 si aggiunge che la chiesa di Grado, nello stosso Sinodo fu creata metropolitana „to-cius provinciae Hystriensium et Venetiarum, cujus Venetiae terminus a Pannonia(m) usque ad A-dam fluvium protelatur" e che ciò venne confermato da papa Pelagio. Ed ora si domanda : quando visse il patriarca Elia? Se non ci sarà dato sapere l'epoca precisa, ci avvicineremo però ad essa di molto, dai dati lasciatici da Paolo Diacono nel suo „De gestis Longob.„ E intanto uel III. 20 ei ci recconta che papa Pelagio (II) salito sul trono pontificale nel 577. spedì ad Elia una lettera che fu scritta dal beato Gregorio quand' era ancora diacono. Poi, dopo averci detto (III. 25) che sotto Gregorio papa gli Angli si convertirono al cristianesimo, soggiunge (III. 26): „Ilis diebus, de-functo Helia Aquilejensi Patriarcha, postquam quindecim annos sacerdotium gesserat, Severus huic succedens regendam suscepit ecclesiam." Il glossista della Cronaca dei Veneti di G. Diacono (Pertz. VII. 7) fa cadere la morte di Elia nel 5S8; detratti da questi i quindici anni 1) Cfr. in Pertz. VII. 43. „Monum. Germamae histor." e „ Cronaca altinate" in Arch. stor. ital. Vili. 125 (1845). Nei due autori il testo è identico per quanto concerne il Sinodo, soltanto nella „Cronaca altinate" sta Pattienà e non Pathena. In ogni modo credo trattarsi di Pedena senz' altro. fli sacerdozio, 1' ordinazione «lei tre vescovi suddetti sarebbe avvenuta fra il 570-588. Se le date però del Cappelletti ,,Le Chiese d' Italia" VIII. 50 sono esatte, ci sarebbe un piccolo divario. Secondo lui Elia successe a Probino nel 571 ; e morì nel 586, cui successe Severo. Si accorda con queste anche il Zaudonati Guida stor. dell' Ant. Aquileja aggiungendo (p. 99) che il Sinodo di Grado venne celebrato ai 3 Settembre 579 e quindi questo sarebbe l'anno in cui vennero ordinati i vescovi di Veglia, Ossero e Pedena. (Pathena - Pedena?) predetti. Ma sull' anno io non mi vo' intrattenere ; è dunque provato che anche Veglia era sede vescovile nel VI secolo; anzi dalle parole della stessa Cronaca di Grado apparisce che allora, tanto i vescovi dell' Istria, che quelli delle isole del Quar-nero, dipendevano dal metropolita di Grado. Quanto al vescovato di Veglia ciò afferma anche il Vinciguerra nel cap. VI della sua Information. Provato che nella seconda metà del VI secolo Veglia era già sede vescovile, cerchiamo se sia possibile per induzione farne risalire 1' origine ad un' epoca più antica. E intanto fra i vescovi presenti al Sinodo gradese si citano da G. Diacono (1. cit. p. 44) fra altri dell' Italia, un Patricius ep. Emoniensis (Lubiana o Cittanuova?) Adrianus ep. Polensis, Severus ep. Tergestinae ecclesiae, . . . Johannes ep. Parentinae eccl. . . . Marcianus ep. Petenatis (di Pedena?) Ora nella ,,Concordia" (a. II. 74) si afferma che questi vescovati furono istituiti sotto Teodorico (493-526), e siccome il vescovo di Pedena (Pathena?) fu ordinato da Elia contemporaneamente a quello di Veglia, si potrà concedere facilmente che anche quest' ultimo e-sisteva tra la fine del V ed il principio del VI secolo. Che se poi 1' epoca della, fondazione dei tre vescovati insulari del golfo flanatico è uguale a quella della fondazione dei vescovati della Dalmazia, — come suppone il Farlati — si potrebbe riportarne V origine almeno al IV secolo, essendo provato che il vescovo di Zara Felice fu presente al Sinodo convocato in Aquileja da Valeriano nel 381 per condannare gli ariani Palladio e Secondiano. (Cfr. Cappelletti op. cit. VIII 32 e Farlati III 10) Più indietro io non oserei risalire. E qui qualcuno potrebbe farmi il seguente appunto. Ma come! Nella „Concordia" di que- st' anno p. 77 lei dice che la città di Veglia fu probabilmente fondata nel IV o III secolo dell' era volg. — ciò non può stare ammettendo l'origine del suo vescovato nel IV sec.! Rispondo: 10 abbracciai quest' opinione perchè Tolomeo nel 11 secolo non nomina Veglia ; ciò che avrebbe fatto se ella allora fosse esistita, come fece per Cherso ed Ossero, per Arbe e Colento. Tuttavia *>on è improbabile che la Veglia romana — quella che fu poi Municipio, e che perciò fu scelta a sede vescovile più tardi — consisteva ai due castelli, Fulfinio e Citrico, nominati da Tolomeo, ai quali si può attribuire un' esistenza preromana ; ma aveva forse un rango inferiore, cioè ancora non era Municipio. Tale rango essa acquistò, dopo la rovina dei due più vecchi castelli, dopo aver accolto fra le sue mura la Civitas Curictarum, la quale, come notai nella „ Concordia" non si riferisce al nome della città, — che fu fin dalla sua fondazione Vecla, Vegla, — ma soltanto alla Comunità dei Curitti che formavano il Municipio. Chi credette così fu tratto in errore dalla viziata lezione del titolo .splendidissimo" della lapide che si riferisce al Patrono della Comunità e non alla città. Così la è una cantonata di un D.re in teologia (troppo grossa per un teologo dottore !) il dire che i primi vescovi di Veglia si chiamarono forse „ episcopi Curictarum o Cu rietani" mentre nei documenti appariscono sempre quali „episc. veclenses o veglenses. Del resto un simile fatto sarebbe unico nella storia dei nomi delle chiese episcopali, e per quanto si riferisce a Veglia, oltre a quello che dissi nella „Concordia" abbiamo una riconferma in G. Diacono, il quale, sebbene vissuto nel X secolo, disse che il patriarca Elia nominò nel VI secolo il vescovo „in Vegla" e non in Curico, nè in Curicta. Et haec olim meminisse juvabit ! Trieste '20 Ottobre 1883, G. V. Archeologìa Ci scrivono da Portole: Questi giorni abbiamo trovato su d' una casa che faceva parte delle antiche mura del castello, al fianco d' una porta murata una pietra arenaria della lunghezza di cm. 41 alta cm. 12 con sopra l'iscrizione; OALFVRNIu- ir P INFAN • R Le lettere sono ben scolpite alte cm. 3, le righe sono distanti l'una dall'altra cm. 4. Abbiamo pure trovato, murato in una cantina uno stemma senza alcuna lettera nè cifra; consiste in un gallo e sopra una stella. È in alto rilievo, pare sopra un vaso di pietra a forma d'imbuto che abbraccia tutta la grossezza del muro; il disegno è rozzo. G. T. Il nostro corrispondente di Portole conferma la scoperta della lapide, qui sopra descritta. Il signor GÌ. V. chiude così la sua lettera alla redazione: ,Permettete che io saluti questo nuovo membro della gens Calpurnia, illustre nella storia di Roma antica, e della quale abbiamo memorie a Trieste a Capodistria, a Parenzo, a Cittanuova e a Pola.„ Appunti bibliografici Bersaglieri delia letteratura*) Giambattista Giuliani. — Dante spiegato con Dante. Metodo di commentare la Divina Commedia dedotto dall'epistola di Dante a Cangrande della Scala. Torino. Sperrani e figli. 1881. Qui non si tratta veramente di un bersagliere, ma di un generalissimo di tutte le armate di terra e di mare, del Principe della nostra letteratura — Dante Allighieri — e questi è Giambattista Giuliani. Solo che questa volta si compiacque di mettersi iti prima fila, e di aprire il fuoco contro gli avversari. I quali, fuor di metafora, sono lo | Scolari e i suoi seguaci, che si argomentano con loro ragioni di negare 1' autenticità dell' epistola di Dante a Cangrande della Scala. Di tale questione il Giuliani rifa brevemente la storia, con-chiudeudo che la lite è finita, e che tutti i migliori interpreti contemporanei : Carlo Trova, Witte, Tommaseo, Ozanam, Balbo, Torri, Betti, Ponta, Fraticelli, Blane e Augusto Conti ritennero e ritengono autentica la lettera di Dante a Cangrande della Scala. A spiegare poi questa insistenza del Giuliani nel combattere 1' egregio Scolari, tornerà utile rammentare che il Giuliani fondò sopra a questa lettera il suo sistema d'interpretazione morale ed allegorica del poema contro alcuni moderni, e segnatamente contro Gabriele Rossetti. Per questa introduzione infatti si viene a porre come stabile principio, scrive il Giuliani, che la Commedia è puranco un Trattato di Dottrina, e che, oltre alla Moralità ed all'Anagogia da notarsi solo in alcuna parte, vi s' alterna continuo il senso letterale con *) Cont. Vedi numero antecedente. 1' allegorico. Conforme a ciò il Soggetto, intorno a cui s' aggira tutto il processo dell' opera, vuol essere considerato sì letteralmente come allegoricamente, e al modo appunto che la Dedicatoria a Cangrande definisce partita mente. Quivi ci viene ancora insegnato a che fine 1' Allighieri compose la sua Commedia, perchè s'inducesse a così denominarla, con qual divisamento 1' abbia dettata in Volgare, e come ei siasene costituito il protagonista, esemplificando in sè e generaleggiando 1' uomo capace di merito e demerito dinanzi all' infallibile Giustizia. Le quali verità, a rigore stabilite e disposte in pieno accordo, bastano a farci comprendere 1' unità e la forma esecutiva del disegno che si prefìsse il maestro a perfezione del misterioso lavoro." Fin qui il Giuliani. Ma io non vorrei che qualche inesperto, troppo largamente ed erroneamente interpretando queste parole, si facesse sempre a cercare le allegorie e 1 sensi mistici nella Divina Commedia, senza tener conto delle sublimi bellezze poetiche. Certo l'Allighieri immaginò il poema con maravigliose unità ; e si propose un altissimo fine ; ma come poeta ed artista non l'ebbe già sempre in mente. Ed anche credo che come filosofo e scolastico potè tranquillamente interpretare e tirare a vari e nuovi sensi i suoi versi, e specialmente alcune sue canzoni che non sono già le migliori. Guai a noi, però, guai all' arte se il grande poeta | avesse avuto di continuo di queste fisime me-dioevaii pel capo. Ed anche nelle canzoni filosofiche sarebbe prezzo dell'opera indagare quiato ancor sia viva e palpitante la vera Beatrice sotto a quello strato di cartapecora scolastica. Ma tornando alla questione, gioverà conoscere l'origine di questa, e vedere perchè mai l'egregio Scolari contro 1' unanime voto degl' interpreti, abbia tanto tempo durato a negare 1' autenticità delia lettera a Cangrande della Scala. La ragione di ciò è fatta palese delle seguenti nobili parole ; del Giuliani — Lo Scolari mal avvisando come e perchè il divino cantore appellò sacro il suo Poema, si fece ardito a tanto da proclamare spigolistri e paurosi alcuni dei principali commentatori, e riprovevoli d' aver tentato di addossare a Dante un religioso mantello. — Ecco spiegato 1' arcano ; se si ammette 1' autenticità della lettera addio sogni, addio speranze di far comparire il primo italiano un antesignano di Lutero, un libero pensatore o che so io. Così è oggi potente questa nuova pedanteria del libero pensiero ! L'illustre dantofilo passa quindi ad esaminare { se e quanto i commentatori di Dante dal secolo XIV fino al presente abbiano osservato il metodo di spiegare Dante secondo il concetto da Dante stesso nella lettera controvversa manifestato ; e di tutti con istile serrato, e con efficace proprietà discorre mostrando i pregi ed i difetti che si riscontrano in essi. In questa critica serrata condensa le idee, e per ognuno dei commentatori, dopo le lodi col solito ma dà una svolta al periodo, e passa a dire dei difetti. Così, per dare un saggio di questi equi giudizi, di Bernardino Daniello dice che ^indovinò le intenzioni di Dante affermando che volle per la Commedia guidar gli uomini a grado a grado alla somma e perfetta felicità ; ma non mostrò di sentire V importanza politica e il civile ufficio di una poesia che indi venne acquistando un'indole nazionale, e valse grandemente a promuovere la felice civiltà dell' umana famiglia. " Risposta questa ai commentatori spigolistri e paurosi che addossano a Dante un religioso mantello! E di Gaspare Gozzi scrive che valorosamente prese a difendere la Commedia di Dante, e dimostrò come i vocaboli stimati rugginosi e rozzi ritrovansi in uso presso gli scrittori dei tempi ; e che egli era inteso, tanto è vero che il sacro poema veniva cantato dal popolo. Ma, aggiunge il Giuliani, poteva anche derivarlo dall' osservazione del vivente idioma toscano, sempre potente e geloso delle sue proprietà antiche. Del Cesari nota 1' arte di discoprire le ricchezze della lingua e le improvvise bellezze, ma deplora non abbia ricercato più a fondo V intima bontà del poema. Ugo Foscolo nel suo Discorso sul Testo è felicissimo ; ma 1' ardente e vigoroso suo spirito non potè così facile spiegare la sua mente a quella di Dante, e si piacque di vagheggiare in essa il proprio pensiero. Una sola volta difetta il ma, ed è prima la lode per l'illustre Tommaseo, l'opera del quale s' eternerà con la fama di Dante, e ad onore della moderna sapienza. Senza offendere la fama del dalmata illustre, mi si permetta di apporre un ma rispettoso per via di que'frequenti riscontri e citazioni di autori dove la somiglianza è accidentale o effetto di alzata d'ingegno. Da ultimo l'illustre dantofilo spiega in che modo debba intendersi la forinola — Dante spiegato con Dante. Vale a dire a spiegar Dante non solo si hanno a consultare i brani paralleli della Divina Comedia, ma tutte le opere di lui ; li più gli autori ai quali attinse e finalmente fa storia de'suoi tempi. . Ecco adunque, conchiude [ 1' autore, che mediante siffatti ajuti, e seguendo strettamente il criterio ed il metodo divisato, si potrà dimostrare per effetto come Dante debba stimarsi e riesca ad essere veramente l'ottimo e provvido interprete di sè stesso." E sta bene. Rimane quindi sempre vivo il desiderio nella repubblica letteraria che il Giuliani compia il lavoro così bene iniziato nel commento ai tre primi canti delle tre Cantiche nel suo — Metodo di commentare la Commedia di Dante Allighieri (Firenze. Le Monnier 1861). Ed ora al mio ma. Mi permetta l'illustre autore un' osservazione. Se mal non m'appongo parmi che egli abbia troppo unilateralmente interpretata la famosa lettera a Cangrande, e se ne sia giovato rinchiudendosi in ristretti confini. D'accordo, la lettera è autentica, e giova a spiegare Dante. Ma siamo poi noi certi che egli abbia manifestato in quella intero 1' animo suo, e che ci si trovi sempre l'ultima parola per spiegare la Divina Commedia? Qui parmi che il chiosatore abbia alquanto abusato del suo metodo. Ascoltiamo prima di tutto la parola di Dante — XXXII Haec est sententia secundae partis prologi, in generali ; in speciali vero non exponam ad praesens. ZJrget enim me rei fa-miliaris angustia, ut haec et alia utilia reipu-blicae derelinquere oporteat. Sed spero de ma-gnificentia Vestra, ut alias habeatur procedenti ad utilem expositionem facultas. - XXXII. Questa si è la sentenza della seconda parte del prologo in generale, ma in particolare noi vo' per ora sporre. Perocché mi sollecitano le strettezze domestiche, sì che mi conviene lasciar queste ed altre cose giovevoli alla repubblica. Ma spero cbe dalla vostra magnificenza mi sarà data facoltà di procedere altra volta ad una utile sposizione. Rimane adunque fermo dalla parola stessa di Dante che egli ha accennato così per sommi capi come si fa in una lettera dedicatoria, alla sua dottrina senza scendere ai particolari. Ora ciò premesso, rechiamo un esempio per dimostrare come il Giuliani nel suo commento abbia talora interpretato Dante in un senso ristretto, dando alla lettera dedicatoria una spiegazione unilaterale: E d' una lupa, che di tutte brame Sembrava carca nella sua magrezza, E molte genti fé' già viver grame. Questa mi porse tanto di gravezza Con la paura eh' usci a di sua vista, Ch' io perdei la speranza dell' altezza. (Inf. I.) Pel Giuliani la lupa non è niente altro che l'avarizia in genere, non pur quella di Roma o di Firenze o d' altra gente che vogliasi *). E ciò per la ragione che Dante nella lettura dice che il soggetto allegorico della Commedia è 1' uomo in quanto che, meritando e demeritando per la libertà dell' arbitrio, soggiace alla giustizia dispensatrice di premio o di pena. Quindi il Giuliani in più luoghi del commento se la piglia coi cercatori di polisensi, e nella lupa, nel leone, e nella lonza non vuol vedere che tre vizi. Non così gli espositori moderni, e tra questi il lodatissimo Tommaseo il quale chiaramente dice che per la lupa s'intende 1' avarizia e la corte di Roma, sozzamente, secondo lui, avida di beni terreni. E che così debba intendersi quel passo di Dante, lo si può dimostrare con le parole stesse di Dante. E di vero Dante si fa dire da Virgilio nel secondo dell' Inferno: Dinanzi a quella fiera ti levai Che del bel monte il corto andar ti'tolse. L'ostacolo maggiore per salire al monte venne a Dante dalla lupa ; questa : Non lascia altrui passar per la sua via Ma tanto lo 'mpedisce che 1' uccide. Ora, se la lupa non significasse altro che l'avarizia è chiaro che per salire alla perfezione, Dante avrebbe trovato il maggior impedimento nell' avarizia. Ma Dante si confessa in più luoghi agitato dalla lussuria e dalla superbia, dall'avarizia mai. Vedi Purgatorio, Canto XI, terzina 40 e Purg. XXVII. Di più si consulti il Canto VII dell' Inferno, e al leggere di Pluto, chiamato maledetto lupo e dei chercuti, con tremenda e. diciamolo pure, ingiusta ironia, posti tutti alla sinistra, cioè tra gli avari, (anche nei Purgatorio il pruno avaro in cui si abbatte il poeta è un papa) resteremo convinti che egli con 1' allegoria della lupa non intendeva già di sferzare 1' aria, ma di alludere precisamente alia curia romana. E le ragioni di ciò sarebbero moltissime: basterà accenuare ancor una, nel noto verso : Inf. I. „Molti son gli animai a cui s' ammoglia" Il Tommaseo commenta: L'avarizia s'accoppia a molti vizi ; e 1' avara corte di Roma, dice altrove Dante, p........coi re Inf. XIX ed ha drudi feroci. Purg. XXXII. Qui Dante si spiega con Dante; ed è evidentissima la relazione tra questi tre passi del poema. Ma il *) Metodo di commentare la Commedia pag. 186. Giuliani, che ha fitto il chiodo in quella sua interpretazione, dimentico delle parole stesse dell'Allighieri nella lettera a Cangrande — Quest' opera non che di un solo senso, può chiamarsi polisema, cioè di più sensi ; — rIstius operis non est simplex sensus, immo dici potest polysennini, hoc est plurimi sensuum" il Giuliani dico dà al verso menzionato la seguente strana interpretazione — 1' avarizia si fa donna, o vo-gliam dire signora dominatrice di molti uomini. E invano cerca di tirar Dante stesso dalla sua, citando di lui il passo seguente — Cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem ; prima di tutto perchè queste parole sono dirette ai cardinali, e fanno quindi contro di lui, e poi perchè egli è più ingegnoso che vero interpretare un autore per qualche fortuita somiglianza di frasi. La somiglianza si ha a desumere dal fondo delle dottrine, dall'intimo di un'opera, e non da qualche relazione accidentale : in ciò mi pare che talvolta pecchi il chiarissimo autore, abusando di un metodo per sè eccellente. Ma si dirà : la parola di Dante non ammette discussione ; egli ha dichiarato a Cangrande che soggetto dell'allegoria di tutta l'opera è „l'uomo in quanto per il libero arbitrio meritando e demeritando, sottoponsi alla giustizia premiatrice e punitiva." Ya benissimo, soggetto è V uomo ; ma Dante non poteva, non doveva in una lettera discendere ai particolari, e attaccare un cartello agl'individui, o dire : badate io vo' dire del Papa, di Firenze, del re di Francia, e di Tizio, Cajo e Sempronio. Le allusioni finalmente alla Curia romana vengono confermate dai recenti studi del Levi su Bonifazio Vili, che tentò di annettere la Toscana al patrimonio di San Pietro. ') Si faccia adunque il debito conto delle malinconie sclastiche e dei propositi manifestati così in nube in una lettera dedicatoria. Un Dante che nou vive ne' suoi tempi, negli odi e negli amori dei contemporanei, non sarebbe certo nè poeta, nè grande. Il metodo del Giuliani è ottimo in sè ; giova a frenare le fantasie sbrigliate ; ma non vorrei desse nell' eccesso opposto qualche volta, assumendo la forma di una reazione che non era nei primi intendimenti del chiarissimo autore ; ed è del tutto contraria alla spiegazione della forinola — Dante spiegato con Dante — quale è data alla chiusa dell' opuscolo che si è esaminato. P. T. 1) Vedi il mio articolo nella Cultura. Roma. Luglio 1833, e nella Provincia N. 7 1883. ' 0A.POBI8TBU. Tiyotfrutì» di Uario l'rior». l-.etru iladonizi» — ÀntM tìrarisi idi*. • r» l*t. rupraukUi-