ANNO VII—N. 40. Sabbato 2 Ottobre 1852 /. Esce una volta per settimana il Sabbato.—Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 6. Semestre in proporzione.— L'abbonamento non va pagato ad altri che alla Redazione. ' • Diploma dell'Imperatore Ottone II. (Tratto dal Codice Trevisani.') Il diploma che pubblichiamo in oggi, fu tratto dal Verci, "Storia della Marca Trevigiana,, il quale 1' ebbe a leggere nel . Codice Trevisani ; altri lo avevano veduto certamente in questo Codice medesimo, e lo avevano posto alle stampe, però non completo, nè in tale lezione da poterne trarre quel senso che è richiesto per l'intelligenza. Il testo che diamo è scorretto assai, nè del tutto completo mancandovi qualche parola, là appunto dove è desiderio che fosse completo. Avressimo potuto porvi in parecchie parli con tutta sicurezza la mano, ma ci siamo astenuti dal farlo, perchè abbiamo speranza che il testo errato ed imperfetto dia incitamento a chi ne ha mezzo di farne riscontro, non diremo coli' autografo, mal con Codice migliore di quello che ebbe in suo potere il Verci. Il documento è di troppa importanza per le cose di Grado e dell' Istria, precipuamente di questa (diciamo così perchè vi abbiamo rivolto il pensiero) sembrando a noi che vi si contengano indicazioni assai propizie per riconoscere le condizioni di civile ed ecclesiastico governo di quell'epoca, le quali poi guidano con bella sicurezza alla ricognizione di cose più antiche, e ne svilupperemo in questo articoletto gli argomenti. Allorquando nell'articolo su Venezia ci femmo a parlare del Codice Trevisani, custodito in quella Biblioteca Marciana, lo abbiam giudicato cogli occhi corporei, e nell' improntitudine della mente che vi corse sopra, non d'altro occupandosi che di quel preciso esemplare che ci stava sott' occhio. Senonchè ritornato il pensiero a quella raccolta che per l'Istria è di tanta importanza, e volendo cercare ragione perchè in quel manoscritto non trovassimo registrata carta della quale avevamo desiderio e bisogno, e che altri disse di avervi letta, abbiamo rovistato fra i pochissimi nostri libri, per averne notizie, che dalla mente erano già sfuggite. Trovammo nel sesto volume dell' opera = Monumenti Ravennati dei secoli di mezzo — del Conte Marco Fantuzzi e precisamente a pagina XII del Prospetto, parecchie indicazioni che ci parvero non isgradevoli ai nostri lettori, e che perciò qui ripetiamo. E Io facciamo perchè l'opera del Fantuzzi non è facile ad aversi, ed il Fantuzzi passò gran parte della vita raccogliendo carte antiche e pubblicandone sei volumi, affinchè servissero di materiali alla storia della sua patria Ravenna e delle circostanti città; persuaso come era, non potersi comporre le storie sui soli racconti, ma doversi trarre precipuo sussidio dai monumenti di ogni tempo; giovare i documenti allo studio in ogni ramo di scibile, ed averne le scienze tutte giovamento. Parecchie carte pubblicò il Fantuzzi che riguardano l'Istria e nominatamente il Monastero dei Benedettini sull'Isola di S. Andrea presso Rovigno, e la città di Pola; però di carte istriane, parecchie sono indicate soltanto . . . . , ma noi sortiamo dal propostoci, e per rinvenirvi, togliamo dall' opera del Fantuzzi, ciò che egli ebbe a registrarvi sul Codice Trevisani. — Bernardo Trevisani, patrizio veneto, letterato di gran conto, ed autore del trattato della Laguna di Venezia, e di altre opere fece per suo uso, o fece far copia nell' Archivio segreto della Repubblica di Venezia di molti monumenti che esistevano nei Libri detti "Pactorum,, e "Commemorialia,, di quell'Archivio. Questi libri di patti e memorie erano Copia autenticala con formale ricognizione di più Notai dei monumenti originali, che esistevano e che tultor esistono, sebbene confusi, nèllo stesso Archivio. Non può quindi dubitarsi della fede dei mo-numen ti descritti nei libri dei Patti, e Commemoriali, è neppure della copia Trevisana esistente anch' essa colà, e nemmeno delle copie che da questa furono tratte. Non pertanto non mancano tutte queste copie di errori, come può anche riconoscersi da quei monumenti che esibisco. Lo stesso Codice Trevisano si assicurò essere stato mal copiato, ed è probabile che li Notai, li quali collazionavano le copie scritte nei libri dei patti e memorie, non bene intendessero li caratteri delle antichissime carte, dalle quali furono estratte. Non avendo avuto mezzi per collazionare io medesimo le carte che produco, ne pregai altri, ma fui assicurato che il Codice Trevisano era di un pessimo carattere e non intelligibile (suppongo da quelli che non intendono li vecchi caratteri), che non era facile fare il rincontro coi Libri dei Patti e Commemoriali, e che li originali erano troppo confusi. Fin qui il Conte Marco Fantuzzi, il quale alle sue aggiunse le cose dette dall'Apostolo Zeno e dal Doge Foscarini. L'Apostolo Zeno cosi scriveva di esso a Monsignor Fontanini (Lettere del Zeno, Tomo IV, pag. 427): — I)i quel bel Codice di patti, che aveva il sig. Bernardo Trevisano, mi sovviene in altro tempo di averle comunicata una piena notizia. Questo prezioso Codice dopo la morte di Monsignor da Verona (fratello di Bernardo) insieme con tutti gli altri della Libreria Trevisana spettante alle cose Veneziane sono passati nel suddetto Archivio di ordine pubblico datone a Monsignor di Fellre Suarez, che insieme coi fratelli è rimasto erede di esso Monsignor suo Zio. Il Doge Marco Foscarini nell' opera della letteratura Venela pag. 151 dopo di aver scritto: che sebbene quel volume sia una mera copia cavata dagli atti autentici, sono due secoli e mezzo, e contenga poco più di un saggio, che abbiamo intorno alle età passate, non pertanto esaltasi ignorantemente, quasi unico ricerco di vecchie memorie — soggiunge: Il Codice detto Trevigianeo da Bernardo Trivigiano, che ne fu l'ultimo posseditore abbraccia 270 documenti presi dal tempo più antico sino al 1394. Ora i più vecchi di tali monumenti furono tratti da un numero infinitamente maggiore, che ne conserva l'Archivio pubblico. Ciò nonostante fu creduto per alcuni, che il Codice Trevigiano fosse uno spoglio intero degli Archivi nostri: Alla qual credenza diede per avventura argomento lo stesso titolo del MSS. che in luogo di essere chiamato una Raccolta di alcuni documenti conservati nell' Archivio segreto della Repubblica, porta in fronte : " Series Literarum, Privilegiorum, et Pactorum Pontificum Imperatorum et aliorum Principum ad Venetorum Duca-tum et Ecclesias spectantium ab anno 700 circiter, usque ad 1400,,. Il carattere del Libro è del 1500, già entrato. In altro passo il Conte Fantuzzi dice del Codice Trivigianeo — Questi libri di copie degli antichi e notabili monumenti furono dal Senato fatti fare a maggiore conservazione degli originali, ed a comodo e non raro uso del Consiglio dei X. Due anni sono ne vidi uno che mi assicurarono simile agli altri. Era della maggiore grandezza, la carta nitida e piena, li caratteri grandi, chiari e belli, e la legatura magnifica. Li monumenti del Codice Trevisano, e li altri contenuti nei libri dei Patii e Memorie, non che quelli che si conservano in tanti archivi veneti pubblici e privati, mi fanno desiderare, che qualcuno si carichi della compilazione di un Codice Diplomatico Veneto. Egli comprenderebbe cose nuove ed interessantissime per la Storia veneta ed italiana non solo, ma anche per 1' orientale. Pochi sono li monumenti Veneti pubblicati dal Muratori, e non tutti importanti quelli pubblicati da Flaminio Corner. Qua e là ve ne è qualche altro, ma li più importanti ed illustri sono ancora inediti. — L'Abbate Canonici possedeva un Codice siffatto con ad ogni monumento la citazione a numeri dei libri dei patti e commemoriali. Altro ne ebbe il Yerci, autore della "Storia della Marca Trevigiana,; del Codice Trevisani fece grande uso il Coleti nell'"Italia sacra,; ed il conte Gianri-naldo Carli ne trasse parecchie carte che pubblicò nell'appendice alle "Antichità italiche,.- , . \ ; . . Qualunque ei siasi il testo del Diploma di Ottone II che pubblichiamo come tratto da uno degli esemplari del Codice Trevisani, ne diremo qualcosa. E prima di ogni altra che nel tempo in cui Carlomagno impadroni-vasi dell' Istria, questa consideravasi ancora abbinata alla Yenezia antica ristretta alle isole dell' estuario ed a qualche lembo del Litorale,• ambedue soggette all'imperatore bizantino, ambedue soggette allo stesso Duca, o Doge nel governo civile, ed allo stesso metropolita che aveva nome di patriarca gradense, nel governo ecclesiastico. Tutte le terre che erano già in potere dei Longobardi e-rano state ad istanza del Re longobardo Liutprando sut-toposte alla giurisdizione del prelato di Cividale che a-veva preso nome da Aquilejese I tentativi di Carlomagno d'impadronirsi della Venezia essendo andati a vuoto" è naturale che il Re prediligesse il patriarca d'Aquileja proprio suddito, di confronto al Patriarca di Grado suddito del Principe Veneto, e che la giurisdizione metropolitica di questi, e gli altri diritti suoi sulle terre dell'Imperatore nominatamente dell'Istria periclitassero. Dif-fatli colla novella dominazione, dei Franchi cioè, cominciarono le questioni per lo diritto metropolitico sull'Istria, ed abbiamo pubblicato in quest'anno le lamentazioni dei Gradensi contro la restituzione dei diritti metropolitici ad Aquileja, questioni che decise e composte terminarono a vantaggio di questa, ristretta Grado ai vescovati dell' e-stuario. Notiamo ancora, ritenersi da noi che i comuni di mare dell'Istria fossero fino dai tempi romani soggetti alle cose di mare, con tributi e colle persone, alla foggia di altre provincie; dapprima per la flotta di Ravenna, dal 105 impoi per la flotta Aquilejese che risedeva nell' e-stuario veneto, e che fino da allora li comuni istriani fossero in diversa condizione, marittima degli uni, terrestre soltanto degli altri; diversità che concordava colla divisione in due razze diverse dei popoli che 1' abitavano. Le città marittime facevano capo dapprima in Grado poi in Venezia. Le condizioni marittime e le dipendenze conseguenti non cessarono per la conquista dell' Istria fatta da Carlomagno, sebbene non manchino prove che gì' Istriani prestassero a malincuore il servigio di mare; queste condizioni dovrebbero essere state fissate nel trattato tra Carlomagno e Niceforo, allorquando l'imperatore bizantino riconoscendo la conquista, faceva cessione dell' Istria e ne fissava i patti. Noi crediamo che fino d'allora si designasse col nome: Histrin supra mare la parte d'Istria soggetta a'ie cose di mare, o col nome di Marinus Ter-minus, voce quest'ultima che vediamo applicata nel medio tempo in significazione di pago, di regione, come ne fa fede il Ducange nel Dizionario della bassa latinità. Noi crediamo bene .che essendosi il governo di chiesa improntato sul governo politico (intendiamo delle ripartizioni territoriali, e delle provincie, come pure della finanza) il metropolita di Grado avesse giurisdizione nell' Istria, per Io meno nell' Istria supra mare, e vi avesse dotazione metropolitica, fosse con esazioni, fosse con altro. Nel placito istriano dell'804 si vede che il patriarca di Grado godeva 1' esenzione di ogni contributo per le greggie sue che pascolavano nei comunali dell'I-stria ; in altra carta del 933 si vede che il patriarca di Grado aveva proprietà, da altre carte apparisce altrettanto ;> il tempo ed il modo di cessazione di tali proprietà, fórse verrà in chiaro per. iscoperta di nuove carte, ir.:.. ■ , La chiesa godeva privilegi per riguardo alle terre di sua proprietà, le terre della chiesa d'Aquileja per indulto di Carlomagno e di Carlomanno erano equiparate a terre nobili, nè allora appena cominciò questa privile- • •■ * giata proprietà che data da più antico; la chiesa aveva già in precedenza il diritto di giudicatura sui propri servi, poi sui coloni,-poi sugli abitanti, così che la chiesa e-sercitava sulle [proprie terre, vera giurisdizione barona e, poi vennero le esenzioni per cui neppure al re si cor-' rispondevano le imposte, a meno che non fosso presente nel regno, e le esigesse; non 1' albergarla, non il fodro, non la parata, non altri di siffatte contribuzioni. Ciò era per Aquileja. Quanto alla chiesa metropolitica di Grado, nel diploma che pubblichiamo, Imperatore Ottone II confermava tutti i di lei possessi, nel modo come era stato convenuto dal suo antecessore Carlo (Carlomagno) coi Greci. Con questo nome s'intendeva il dominio di Costantinopoli ; anche nel Placito istriano si usava questa voce in eguale significato — durn fuimus sub poteslate Grecorum Imperii — quas Greci ad suas tenuerunt ma-nus — Grecorum tempore — Magister Militum Greco-rum — Greci sub cujus antea fuimus poteslate. — Ottone II confermava poi il diploma del padre suo del 967, e citava la bolla di Papa Gregorio IV dell' 830 colla quale al patriarca di Grado veniva confermata la giurisdizione metropolitica sui vescovati istriani, la quale forse determinò Ottone I alla concessione dei privi-legi. Le possessioni del patriarcato di Grado entro i confini del regno, erano in Morsano, in Galligo, in Re-rant Ce' è vizio di lezione in quest' ultima yoce) nel termine marino dell'Istria in Trieste, in Capodistria, in Pi-rano, in Cittanova, in Parenzo, in Rovigno, in Pola e nel castello di S. Giorgio, il quale non è l'omonimo sul Quieto, ina altro tra Pola e l'Arsa ; del vescovato di Pedena nessuna menzione, era in Istria ma non in marino Termino. Imperatore Ottone voleva immuni le cose del patriarcato e dei vescovi da ogni contribuzione pub-blic a qualsiasi, le voleva esenti dalla giurisdizione di qual sivoglia autorità, perfino da quella del giudice ordinario ; fossero conventi, persone laiche, ville, predi, possessioni. Le pievi prime, le chiese battesimali erano egual-mcnle partecipi di siffatti privilegi. Concedeva poi (il passo è oscuro a noi) che i vescovi al paro della santa Madre chiesa universale romana, potessero fare acquisto di diritti di esazione, lo che sarebbe acquistare baronie. Gli schiavi della chiesa, i coloni, i forestieri, qualunque abitante sulle terre della chiesa, non possano essere citati che dinanzi alla chiesa od ai suoi messi. Le terre venivano fatte immuni non solo da qualunque contribuzione regia, ma perfino da quelle che si pagavano al conte per la difesa del paese (contribuzioni cjie sj pagavano ancor nel secolo passato sotto nome Cavalleggieri, Lanzespezzale'). Le contribuzioni al conte prò hosle facienda erano in generi, grano, silico, olio, vino, ed odorano di antichità più remota. L ' ho s lis era veramente un'armata provinciale, le cernide, al cui servigio erano tenuti tutti fra i 16 e 60 anni, meno i funzionari, i medici, i notai, i sacerdoti, i giureconsulti, gli ammalati, i poveri, le donne e specialmente tenuti erano i vassalli: però da un diploma del conte Alberto III si vede che erano tenuti gli istriani al servigio militare anche fuori della provincia, come l'usarono i Veneti colle Cernide, ed il principe austriaco coi mili-zioti di Trieste. Pagavasi una tassa per andare im- 1 muni dal servigio militare, e la dicevano prò hosle, ma nel diploma di Ottone II aggiungendovi facienda ; questa del diploma non era la tassa per godere l'immunità, ma quella che era imposta per coprire le spese dell'esercito, il quale anche più tardi si vede in Istria capitanato di diritto dal conte. 1 soldati dell' hostis non avevano paga, ma crediam bene che avessero dal pubblico le vettovaglie. Però crediamo che dall' imposizione prò lioste fossero esentati i Piranesi, in quanto che abitavano sopra terre della chiesa; abbiamo veduto carte dalle quali risultava che i Piranesi fossero fideles dei vescovi di Capodistria. Ottone voleva esenti i Piranesi, e gli abitanti delle terre vescovili non solo dal servigio militare, ma altresì da ogni contribuzione per l'esercito. Ci pare nel testo senz'altro viziato che si conceda ai coloni dei vescovi il diritto di armamento per difesa, sotto proprio giuramento militare; il diritto cioè di guardia territoriale; la quale concessione sembra meglio espressa nel passo successivo, ma che a noi pare imperfetto. Pare cioè a noi indicarsi nel diploma, che cessata la serie dei vescovi proprii di Capodistria, ai quali era sottoposto Pirano (come crediamo nell' ottavo secolo dopo il vescovo Senatore) il vescovato di Capodistria venisse dato in commenda ai Patriarchi di Grado, i quali così ebbero e Capodistria e Pirano, città ambedue che nel primo tempo della conquista di Carlomagno erano rimaste ai Greci, e più tardi vennero aggregate al regno, e che perciò sembrano state poste in altra condizione delle città istriane, e perciò meglio addette al patriarcato di Grado. Sembra che l'imperatore abbia specialmente accordato ai Capodistriani ed ai Piranesi, il diritto di armamento a propria difesa, secondo il diritto del regno. II quale diritto poi non ci è noto; forse si attribuisce il diritto su quelli che hanno cento soldi o cinque libre di oro di fortune, come si imponeva l'eribanno a chi avesse sei libre d' oro di fortuna, e chi avesse quattro mansi di terreno che sarebbero quarantotto jugeri romani o ventiquattro austriaci doveva servire personalmente, e non arrivando a siffatta quantità, fra più frazioni se ne sosteneva il peso in proporzione della possidenza dietro norme stabilite. Anche queste milizie erano banni, ognuno sotto il proprio signore: così che nell'Istria il Patriarca di Grado avrebbe perfino avuto armati, non soldati in pianta stabile, però armati alla difesa propria. Notiamo la singolare coincidenza che mentre le leggi franche volevano 48 jugeri per soldato, la legge romana assegnava 50 jugeri ai coloni che presero stanza in A-quileja. La recrutazione, se può dirsi recrutazione, sarebbe seguita non secondo numero di popolo, ma secondo possidenza. Se fossero giunti fino ai nostri tempi li statuti primitivi delle città istriane, intendiamo delle precipue, e che avevano l'autorità di polizia, sarebbe facile di riconoscere nei loro ordinamenti di milizia, ed il diritto di proprio armamento, ed il modo di chiamare alle armi i propri, quali condizioni dovessero avere per sottostare alla scelta, quali li esenti; e se avessero erario proprio militare, e come radunato ; intendiamo sempre dei cittadini. Certo che in Trieste, in Capodistria, in Pirano, in Pola, vi furono capitani, con potere militare prima della dedizione dell'una alla serenissima Casa d'Austria, delle altre al principe veneto; nè mai ci è acca- duto di vedere che il solo fatto dell' armamento, indipendente dall'uso che avessero fatto delle armi, venisse considerata usurpazione dei diritti del principe. Venezia non amò questi armamenti cittadini, e li lasciò andare nell'obblivione; coli'armamento caddero ftncho i castelli, che per entro le città, si . tenevano dalle città medesime; e come la milizia del principe fu l'armamento unico per servigio ordinario di guerra, così la rocca del principe divenne 1' unico fortalizio nelle città. Abbiamo certa notizia che in Trieste oltre la fortezza che era del principe, vi fosse anche un castello inferiore dei cittadini ; altrettanto era in Capodistria, la quale entro alla città aveva castello, il quale non veniva presidiato dai Veneziani, che costruirono il Castel Leone. Notiamo come anche in questo diploma la città di Capodistria si indichi col nome volgare Capris, traduzione in latino dell'antico nome Aegis, anzi che col nome nobile di Giustinopoli, che la chiesa ha sempre conservato. Ma non è il Patriarca che scrisse il diploma, sebbene il minutante dell' imperatore Ottone che in altro diploma fece altrettanto. Fra i luoghi annoverati sui quali il Patriarca aveva giurisdizione non comparisce Umago verso la chiusa del diploma dopo una lacuna ci pare di vedere tale nome, ma potrebbe essere diversamente. Umago era dei vescovi di Trieste, riconosciuto loro da re Ugo, però faceva comune da sò; e sebbene non di primo rango, neppure di ultimo. Se noi siamo andati troppo oltre colla scorta delle parole incerte di diploma scorretto, speriamo di averne lezione più esatta, da chi potendo consultare migliore testo, dubitasse dei nostri pensamenti. Investitura di Castellione fatta a Matilde e Cuuegunda contesse d'Istria. Diamo luogo fra altri diplomi istriani, ad uno eh'è del 1186 tratto dalle schede del letterato parentiano del secolo passato D. Bartolommeo Verg-ot-tini. 6 È desso l'investitura feudale che il vescovo Pietro di Parenzo, insieme signore di Orsaria dava a Matilde e Cunegonda figlie del conte d'Istria Mainardo del Castello detto Castellione. Il quale castello fu detto essere quella stessa possesione che presso Orsera è tuttodì posseduta dalla nobile famiglia de Vergottini. Questo nome di Castellione tanto frequente altrove, non è raro in Istria, ve ne era uno fra Buje e S. Giovanni del Cornato, nel sito che oggidì chiamano Coronica; altro ve ne era nel territorio di Trieste, ove prevaleva secondo il modo di pronunciare il nome di Castion; e questi Ca- stellini pensiamo fossero per ogni condiziono inferiori ai Castra che erano veri fortajizi quand'anche per caso successivamente convertiti in abitati ; sii Castella che erano abitati per rango inferiori alle città, murati per sicurezza; diversi poi dai Castellarla che anche nel medio tempo esprimevano antico fortalizio. Castellione che per noi in caso retto sarebbe Castellio corrisponde a piccolo castello, al Chàtillon dei Francesi ; così la voce medesima esprimerebbe infima categoria di luoghi fortificati. Nel diploma Io si dice Castrum Castellionis pensiamo perchè la voce Castellionn era nome proprio. Noi non abbiamo tanta certezza quanta altri l'ebbero che col diploma prodotto si dasse in feudo Castellione alle contesse Matilde e Cunegunda, nè abbiamo certezza che queste fossero figlie di Mainardo, sospettando anzi che se nell' originale stà veramente scritto filias, ciò s'intenda figlie di famiglia della quale era capo, non figlie legittime e naturali; oggidì non tocchiamo più oltre di questi sospetti, troppo incerte essendo a noi le cose dei Conti d'Istria e di Gorizia. Il Vescovo richiesto di dare l'investitura, convocò la curia dei suoi vassalli, e patteggiò col Conte Mai-nardo certamente capo della casa. Volle che questi rinunciasse ai quartesi di S. Mauro e S. Maria, dei quali ebbe questione col Vescovo Uberto di Parenzo. Non conosciamo 1' origine di siffatte questioni, ma ci pare di ravvisare che il Conte investito della decima laica, pretendesse andare esente dalla corrisponsione del quartese al clero. Il Vescovo esigeva poi che si lasciassero integre a lui le decime di Rovigno, decime che diedero occasione ad altre questioni, svelate da carta che pubblicheremo. La carta veniva rilasciata in Pisino, nella cappella privata del Conte Mainardo, certamente del castello o palazzo che aveva, e vi intervenivano. come testimoni 1' Abbate di S. Pietro in Selve, Abbazia che era di fondazione dei Co,nti, nella cui chiesa avevano le tombe; ed il Gastaldo di S. Lorenzo, castello sul quale i Conti d'Istria ebbero diritti, che in tempi anche vicini, venivano indicati da annua corrisponsione di pepe alla Camera Comitale. . > ERRATA-CORRIGE '., Al N. 36-37- dei. 4 Settembre 1855. Pagina 174: in volendo — in volendolo 1 „ 175: Papere — Prospere' ' n „ Giulio II — Pio II. ' ■ : : ' ; - - / ■ ' : Anno 974. ■ -' . ■ -.'.'* • ■ ■ 'ifì. i;;■ .' '■ ' " "»V " ' ' ' ' ' > ' - - • > 2 Aprile Indizione . ^ . . . t : , ivv, ' . 3 Imp♦ Ottone 11 conferma alla chiesa di Grado gli antichi diritti nel Friuli, nell' Istria ed altrove. (Dal Codice Trevisani). In nomine Sancte et individue Trinitatis. Otto divina clemenza imperator Augustus. Dignum est ut Celsitudo imperialis quantum ceteros Iionores et potestates fastigio antecellit, tantum erga otnnes pietatis sue munus impendere satagat. Igitur omnium fidelium sancte Dei Ecclesie nostrorumque, presentium scilicet et futurorum, coinperiat magnitudo, qualiter venerabilis Vitalis Patriarclia Gradensis ubi Beato-rum atque Sanclorum ejusdemque venerabilis loci patriarcarum corpora sedisque Evangeliste Marci ab ipso Deo spirante primum Àquileje Evangelium edita et docta prius. Ecclesie Clero populoque Romano eundem observanles Apostoloruin principem sedesque Hermachore prefati aluinni et inefiabilia innocentorum obsequia commorantur Hiatrainia nomine, mandans honorifi"e inuisere nostramque pre-sentiam deprecatus per nuneium suum nomine Andreinum est nostram cleinentiam, genitoris nostri prestum (praeceptum?) affirmata (confirmaremus) datum secunda die januarii anno dominice in-carnationis nongentesimo sexagesimo septimo imperii vero ejusdem genitoris nostri Domini Ottonis invictissimi Imperatori^ sexto Indictione XI. Actum Rome sub Joanne Papa. Ubi nunc omnium invido-rum justitiam in sinodo divini spiritus precibus predictorum Sanctorum atque Confessoris, Pape Gre-gorii discretione, qui lites sanctorum amborum Patriarcarum dissecans Patriarcales concesserat insulas utrisque p. missos causa ejusdemque rei Gradensis Joannem Diaconutn cognomino dentur et Joannem cognomine Contarenum obculcaverat ut p. eos postmodum confirmationis similis apices de Omni quod subtus constat preter id quod inservimus nostra gratia genitor noster prebuerat. Nos ergo hoc scien-tes quia obedire sanctis petitionibus oportet aures nostras piotati accomodare secuti sumus éjusdem venerabilis Vitalis Patriarche meritorum presagia pia per suum Cappellanum Andreinum nomine et Claro ingeniolo petitiones de codem Patriarchatu augendo ut inviolabiter edictum eternaliter a cunctis obser-veturper renovationem quinimo auctione nostri precepti et valeat genitoris nostri. Igitur omnium fidelium Sancte Dei Ecclesie nostraque presentium scilicet et futurorum comperiat magnitudo quod prefa-tus Patriarcha Sancte predicte Ecclesie Gradensis Metropolitane per predictum Legatura Forojuliensium slimate perductum nostrani deprecatus est majestatem ut de rebus Patriarchatus sui et Episcoporum suorum que infra ditionem Imperii nostri consistere noscuntur confirmationis nostre preceptum fieri juberemus secundum genitoris nostri ut proprias res quas in Mursiano seu in Galigo seuinRerant partirti in territorio Aquileje et in Marino termino salterà in Istria in Tergesto in Justinopoli Pirano Cavitate nova Parentio Raguvio Polla atque in Castello S. Georgii et reliquorum locorum tam infra quam citra seu in Bononia vel in Romania sine in quibuscunque locis infra ditionem Imperii nostri habere videntur absque cujusdam conlrarietate seu refragatione retinere quivissent quemadmodum temporibus Caroli predecessoris nostri decretum cum grecis sancitum possidere. Cujus petitionis, ut nobis celestis suffragatio copiosior adsit libenter acquiescentes et juste judicantes hos excellenlie nostre apices de-crevimus fieri p. quos precipimus atque jubemus ut nullus in nostro jure degens vel Patriarcha Archiepi-scopus Episcopus Prepositus Decanus Yicedecanus Dux Marchio Comes Yicecomes Sculdascius seu aliquis exactor alicujus rei tam clericorum quam laicorum nec nullus judex publicus vel quilibet ex judiciaria potestate in monasteria seu laicos vel in villas seu predia vel possessiones predicte S. Matris Ecclesie Gradensis ac Episcoporum suorum seu in ecclesias baptismales saltem precipue in plebem primain vel in quibuslibet pagis patriisque et territoriis quod infra ditionem totius nostri Imperii possident, vel deinceps in jure ipsius Sancti loci ac episcoporum suorum quolibet more voluerit divina pietas augere, ad causas judiciali more audiendas, vel fodra exigenda, vel mansiones vel paratas faciendas, nec ul-las reclibitiones tam justas quam injustas requirendas, ingerere aut exaclare presumat. Concedimus etiatn illi ut Episcopis ejus propter Dei ejusque tantorum Sanctorurn patrocinia illic acquiescentium ac ob eum quia tam longe suo munere nos invisere dignatus est largientes ad elemosinam nostrani pri-vilegium in acquirendis justiciis sicut universalis mater nostra Romana Ecclesia habet in annos Iegatos ut liceat memorato Venerabili Patriarche ac Episcopis suis et Patriarcljatui Episcopatus sui omnia sua-rum Ecclesiarum mancipia colonos advenas servos ac reliquos qui super earum Ecclesiarum terris ma-nent omni jure et ordine judicandi ^Iringendi singulariter habere ut nullus in nostro jure commoran-tium vel Comitum aliquo tenore audeant commonere aut ad placitum vel ad aliquam strukturam sed proprium ad dominum eo tempore viventem sint constringendi vel ad aliquem super eos constitutum et missum ac dominorum suorum aut ipsorum episcoporum eorumque missorum volverit, etiam si quem reditum hactenus aliqui eorum locorum terrarum laborantium, alicui Yel Corniti quocumque modo vel causa aut more prò hoste facienda, precipue piranenses dedissent granum silicum oleum vinum jam ac reliqua, nullo modo volumus concedant, aut id aliquo modo exactare quilibet presumat, aut hostem aut donum ab ipsis vel a dominis suis aut super ipsis missis inquirendis vel vassalo legato aut quicquit hactenus facere reddere ut modo, sed omni jure et tenore ut prediximus Sanctorurn quorum episcopis tunc degentibus subjacent quod prelibavimus et prò ecclesiarum rebus familiares Coloni volumus singulariter prò se possint defendere suo Sacramento proprio. Caprenses quidem et Piranenses et cete-rorum locorum qui sunt et qui erunt de Palriarchatu ejusdemque Episcopi et illi usque ad centum so-lidos de suo proprio valentes aureos concedimus liceat proprio Sacramento juxta ejusdem Regni jus defendere et ipsi in omni dictu et actu in omni suo familiari jure et statu dominentur et subjaceat perpetue a presidentibus tum se locaque sancta, igitur ut nullius inferentis in nostro jure degenti ob-staculum vel tergiversatio contra hos nostre confirmationis apices fiat nescienter negligenterue recapitu-lando cuncta que hucusque protulimus precipientes imperamus ut quiequit in Civitatibus prenominatis ut .... et humano in quibusue territoriis domibus curtibus locis desertis plateis mansionibus fossis stagnis aquis aquarumque decursibus insulis portubus vineis olivetis molendinis piscationibus silvis ve-nationibus arbustis salictis carenis saltibus paludibus salinis pratis pascuis ripis rupibus alpibus colli-bus montibus planiciebus campis tam cultis quam incultis mancipiis gaziš (servis?) etiam legibus Gradensis Patriarchatus ejusque Episcopus habere quocumque modo visum est ac retinere observare in nostra di-tione omnes commorantes quemadmodum supra retulimus insistant sive sit aut desit unquam preceptum genitoris nostri etiam si minus aul ineple quidlibet depromens. Et oinnino precipueque de aldionibusf servis colonis advenis habitatoribus observent secundum quod supra retulimus. Si quis vero hoc tempore presumpserit et observare in integrum neglexerit quod in capitulari nostro habetur quod est DCCCCL. apsque dubio componat absolvatque sciens se id compositurum, id autem ut verius stabilius-que ab omnibus in sinu universalis Ecclesie alentibus in nostraque administratione manentibus creda-tur hoc confirmationis nostre pragmaticum fieri jussibus precipientes et anuli nostri impressione sigillari fecimus quemadinodum a nostris antecessoribus in regno hactenus repertum est atque invenitur capi-tulatio. Nos quoque quod congruum et hactenus dignum est et precellentius fuit nobis juxla quod us-que modo factum est in certis edictis Regnum atque Imperatorum dignum duximus certiorem fidem omnibus nostris fidelibus accommodare propria manu corroboravimus in signo nostri nominis penam tra-ducentes ut eternaliter inconcussum hoc opservetur feliciter. Guylielmus Cancellarius ad vicem Roberti Archiepiscopi Moguntini atque Archicapellani re-cognovit et probavit feliciter. .35. • " i Anno 1186. 3 Agosto Indiz. V. Pisino. Vescovo Pietro di Parenzo investe del Feudo di Castellione Matilde e Cunegunda figlie del Conte Mainardo d'Istria. (Da Schede del Vergottini). In nomine Dei eterni. Anno dominicae Incarnationis M. C. LXXXVI regnante domino nostro Friderico piissimo rege die vero III intrante Augusto Indictione V. Actum in Castro Pisini ubi insimul convenerunt Petrus Parentinus Episcopus et Comes Mainardus multimodis precibus jam dictum episcopum deprecabatur per filias suas Maiteldam et Cuneguldam de Feudo quod Pater illarum investiverat. Unde Episcopus habito suorum Yassallorum Consilio tali pacto et tali conditione de Feudo illas inveslivit, quod Comes Mainardus omnes quartas S. Mauri et Sancte Marie de Parentio de quibus cum Uberte Parentino Episcopo controversiam habebat ante nativitatis diem ejusdem anni, sine aliquibus expensis libere et quiete sibi deliberarci et Castrum Castellioni cum omnibus appendicis suis aquireret et decimas de Rubino sibi integre reservavit, et quinque marchas in presentiarum sibi daret, quod si hoc facere minime poterit vel nolet, totum quod investiverat irritum et vacuum esse debebit. Hoc factum est in Pisino in capella Comitis Meinardi ab utraque parte te-stibus rogatis Martino Abbate S. Petri de Silva, Catulo Magistro Scholarum, Olderico de Duobus Castells Bernardo Gastaldione de sancto Laurentio.