ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) ricevuto: 2000-07-05 UDC 173(450.365)"17" MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO Liliana CARGNEL UTTI IT-33100 Udine, Via Codroipo 99 SINTESI Il saggio esamina un processo per riconoscimento di nullità del vincolo matrimoniale svoltosi nel 1790 davanti al tribunale ecclesiastico di Udine, territorio della Repubblica di Venezia. L'attrice è una popolana, già domestica in una famiglia di antica nobiltà feudale. La donna chiede che sia dichiarato illegittimo il matrimonio da lei contratto con un altro popolano dopo aver subito forti pressioni dalla famiglia presso cui era a servizio. Questa infatti temeva che il rapporto di affettuoso rispetto instauratosi con uno del loro gruppo, il vecchio conte Gerolamo di Brazzà, sfociasse in un matrimonio. Lo studio del processo è collocato nel contesto sociale e culturale del Friuli del Settecento: i dibattiti sull'idea di nobiltà nella trattatistica dell'epoca, l'immagine di nobiltà che vogliono dare di sé le grandi famiglie, che accompagnano privilegi feudali (il Friuli è la zona di più forte persistenza feudale di tutta la Repubblica di Venezia) a operazioni di pubblico decoro, a strategie matrimoniali e patrimoniali. Nel caso in questione, l'istituzione ecclesiastica afferma la validità del matrimonio della donna (contratto con "cauto consenso"), alleandosi cosí con la difesa del codice di onore cetuale delle grandi famiglie nobiliari. Parole chiave: etica, onore, matrimonio, Udine, '700 457 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EINE SETTECENTO, 457-478 1. Introduzione Tra le carte Matrimonialia consérvate presso l'Archivio della Curia Arcivescovile di Udine frequenti sono i casi di cause per promessa non mantenuta; meno frequenti quelli di "divorzio", ossia separazione; rari quelli di richiesta di riconoscimento di nullita del vincolo, in tutto sei nel periodo tra meta Cinquecento e Settecentd. Uno di questi riguarda un processo iniziato davanti al tribunale ecclesiastico di Udine nel gennaio del 1790 e conclusosi con una sentenza che riconosce la validita del vincolo il 2 luglio dello stesso anno. Quest'ultima causa si presenta come promossa da una giovane popolana della provincia, Rosa Minarelli del paese di Tricesimo, contro il marito, anch'egli un popolano, di Udine, Amadeo Cavallini. In realta i veri motori della vicenda sono personaggi del ceto nobiliare friulano, che hanno combinato il matrimonio di Rosa per porre fine a un altro legame che, se ufficializzato, avrebbe scosso l'onore di una famiglia di solida, antica nobilta e indirettamente di tutto un gruppo legato a questa da complessi rapporti di agnazione, di parentele e affinita. Si temeva cioe che Rosa, gia cameriera in casa dei nobili Brazza, addetta alle cure della contessa, potesse dopo la morte di lei sposare il vedovo conte Gerolamo. La vicenda che emerge attraverso gli atti processuali, se da un lato si presenta come un caso di matrimonio ostacolato dalla diversa posizione sociale (perché il rapporto tra il nobile e la serva qui non si configura come il tradizionale amore ancillare), dall'altro fa riflettere sui modi in cui difende il proprio onore un gruppo (quello dell'aristocrazia feudale) che nel Settecento in Friuli partecipa a un dibattito dai toni anche forti che mira a definire l'idea di nobilta. 2. La nobilta friulana nel Settecento: studi e prospettive di ricerca L'argomento della vecchia e della nuova nobilta e stato recentemente riproposto da una pubblicazione, curata da Laura Casella, relativa a un dialogo immaginato tra un nobile cittadino e un nobile castellano, composto nel 1726 dal conte udinese Romanello Manin (Casella, 1999). I due discutono su cosa siano la nobilta e l'onore 1 In uno spoglio del fondo Matrimonialia ho reperito per il periodo compreso tra la seconda metà del Cinquecento e la fine del Settecento sei casi di processi per nullità: in tre casi si invoca la violenza esercitata - come nella vicenda oggetto di questo lavoro - sulla volontà della donna, in due l'im-potenza maschile, in un caso la troppo giovane età della ragazza (10-11 anni), età che invaliderebbe il suo consenso (Cargnelutti, 1994, 66). Il fondo pero non è ordinato; qualche carta dello stesso si trova anche negli Acta Curiae. Un primo spoglio anche di questo fondo non ha portato - per ora -all'acquisizione di nuovi documenti. Ricordo che attualmente gli archivi ospitati nel Palazzo Patriarcale di Udine sono chiusi per lavori di adeguamento della sede, oltre che per restauro e ricol-locazione degli stessi. Ringrazio per la cortesia con cui ha favorito la ricerca il direttore, dott. don Sandro Piussi. Ringrazio anche la dott. Enrica Capitanio per la consultazione dell'Archivio par-rocchiale di S. Giacomo di Udine. 458 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EUE SETTECENTO, 457-478 da un lato per una aristocrazia di antica tradizione feudale, dall'altro per un patriziato cittadino di più recente investitura, arricchitosi con i commerci e con le arti liberali. La stessa Casella, nel delineare i modelli culturali a cui si richiama il Manin, ricorda che questi nel 1722 traduce dal francese il Traité du veritable point d'honneur di Antoine Courtin, edito nel 1675, dedicandolo alla "nobiltà della città e provincia del Eriuli" (Casella, 1999, 42-43)2 Il Courtein, e attraverso lui il Manin, vuole proporre una figura di cavaliere che coltiva la virtù e i valori della religione cristiana, conformando a questi princîpi il suo comportamento esteriore, curando l'onore del talamo, dei beni, della reputazione, della dignità della professione alla quale la prov-videnza ha destinati. Onore diventa allora una virtù che si estrinseca attraverso grandi opere di carità, di prestigio e di decoro sia individuali sia a vantaggio della famiglia, attraverso prove di capacità di buon governo nel pubblico e nel privato, una virtù che assume cosî valenza civica. Ma, se con questa proposta si vuole conciliare - com'è nelle intenzioni del Manin - vecchia e nuova nobiltà, il problema della dignità del sangue, della necessità di separare in maniera netta il nobile dal popolare, riesplode con forza proprio a Udine alla metà del Settecento. A Eilippo Elorio, appartenente a una famiglia dell'ordine nobile cittadino, insignita da Venezia di titolo comitale e di giurisdizione senza seggio in Parlamento nel 1725, una famiglia che ha sempre mirato a darsi un'im-magine di pubblico "onorevole" decoro3 viene infatti negata nel 1740 l'iscrizione all'ordine di Malta. Si motiva il provvedimento asserendo che egli apparterrebbe a una città non rispondente al requisito della nobiltà del luogo, in quanto la legi-slazione di Udine non osserverebbe una netta divisione tra l'ordine nobile e l'ordine 2 Il ms. tradotto dal francese, autografo di Romanello Manin (Trattato del vero punto d'onore o sia la scienza del mondo contenente le regole e le massime della prudenza necessarie per ben condursi nella società civile e ben vivere con tutti), si conserva in Biblioteca Comunale di Udine, fondo Joppi, ms. 181. 3 La famiglia Elorio è tra le più rappresentative dell'aristocrazia udinese. Sul capostipite, il giure-consulto Giacomo (1465-1547), figlio di un tintore originario di Spalato, riformatore nel 1507 degli statuti di Udine, impegnato tra 1521 e 1524 nella definizione dei confini della pace di Worms, nunzio della Repubblica in Istria, si veda: Joppi, 1862. L'autore esordisce sottolineando il valore esemplare che vuole dare a tale biografia: "La vita d'un uomo che da umile principio coll'ingegno, lo studio e la virtù seppe innalzarsi ad ottenere i primi onori della sua Patria e del suo Principe e poté lasciare ai figli suoi ricco censo del quale i suoi discendenti non devono arrossire, perché ono-ratamente acquistato; merita d'essere consegnata alla posterità, giacché da essa puo trarsene più d'un utile insegnamento" (Joppi, 1862, 7). Tra Seicento e Settecento liti e divisioni minano il patrimonio familiare, che viene riunito e consolidato nel primo Settecento da Sebastiano (1674-1759), figura esaltata come ottimo padre di famiglia e ottimo cittadino. Le vicende e gli intrighi patrimoniali dei Elorio del periodo in: Corbellini, 1994; un profilo della costruzione del "decoro" della stessa famiglia nel Settecento in: Cargnelutti, 1992 e Cargnelutti, 1998. In particolare sulla costituzione della biblioteca privata dei Elorio nella seconda metà del Settecento come momento essenziale di un'immagine di prestigio: Cargnelutti, 1996. 459 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 popolare. Non mi soffermo sulla questione, che termina con il riconoscimento della nobiltà di Udine come luogo e come ordiná. Vorrei piuttosto sottolineare come questo episodio riproponga nella città friulana l'esigenza di definire in maniera netta i ceti e come proprio la scelta matrimoniale diventi un elemento indispensabile al mantenimento del rango, al rafforzamento di una nobiltà "generosa". La cronaca locale aveva tra l'altro registrato nello stesso periodo un fatto che, al di là del pettegolezzo mondano, assumeva un'importanza rilevante, perché riguar-dava un Savorgnan, appartenente a una famiglia che da secoli godeva in Friuli di un alto prestigio, titolare - oltre che di feudi con diritti di primo e secondo grado nel civile e nel criminale - di alcuni feudi privilegiati con diritto di terza istanza senza appello al luogotenente, aggregata dal 1385 alla nobiltà veneta. Succede che agli inizi del Settecento Giacomo Savorgnan sposa segretamente una semplice "cittadina" veneziana, Giulia Bosetti, cosí che i suoi figli vengono cancellati dal Libro d'oro della nobiltà veneta e dall'esercizio della giurisdizione dei feudi privilegiati, titoli che invece rimangono ai rami collaterali. Si ricordi che la legislazione veneziana e le stesse famiglie di maggior prestigio del suo patriziato si mostravano restie a matrimoni misti, i quali in ogni caso dovevano ottenere l'approvazione del Collegio per stabilire se da essi potevano nascere figli atti alla nobiltà. Il nobile udinese Lucrezio Palladio annota a questo proposito, calcando le tinte: "Giacomo sposo una donna di vilissima condizione et cattivo mestiere, da cui nacquero due maschi e due femmine, ma tutti con poco buona riuscita, havendo le done presi in marito una un fatore, altra una persona bassa in Venetia" (Palladio, 1700-1766, 164). Il diarista, che si fa interprete della mentalità del suo ceto, sottolinea come l'offesa arrecata al rango con il legarsi a una persona "vile" (una cittadina, priva di titoli) abbia conseguenze irreversibili anche sulla discendenza, di cui lamenta la "poco buona riuscita", da col-legarsi per le donne a scelte matrimoniali cadute su persone di bassa condizioná. Proprio di fronte alle possibili accuse e ai pericoli di commistione tra ranghi diversi diventa più forte la necessità di mantenere nettamente e visibilmente pura la nobiltà del gruppo familiare, anche se la legislazione udinese non si occupa speci- 4 La vicenda è trattata con la relativa bibliografia in: Casella, 1999, 46-48. 5 Per un profilo della famiglia Savorgnan nel quadro più ampio delle istituzioni e dell'economia friulana si veda: I Savorgnan, 1984; sul prestigio aristocratico della famiglia: Casella, 1987. 6 Le strategie dei rapporti matrimoniali del patriziato veneto, in particolare le mésalliances e i matrimoni tra vecchi e nuovi nobili in: Sabbadini, 1995, 71-82. Nel patriziato veneziano si accentua pero nel corso del Settecento la pratica del matrimonio segreto, non registrato in Avogaria, con esclusione della discendenza dal patriziato. Una vicenda in cui anche il matrimonio segreto diventa espressione di una crisi che nel Settecento viene minando il ceto dirigente della Repubblica è ricostruita in: Derosas, 1992. 7 In effetti soltanto una figlia di Giacomo Savorgnan, Benedetta, sposa un fattore di casa Savorgnan, invece l'altra figlia, Claudia, un nobile veneziano, Antonio Zorzi. Il commento del Palladio è for-temente malevolo e fazioso anche nei confronti dei figli. 460 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EUE SETTECENTO, 457-478 ficamente di unioni tra appartenenti a ordini diversí, forse perché la formazione di ordine nobile e ordine popolare, con separazione delle cariche nelle magistrature cit-tadine, qui è relativamente recente. Tale divisione cetuale negli uffici pubblici risale infatti alla riforma voluta da Venezia nel 1513, quando viene abolito il consiglio di arengo e successivamente istituito nel 1518 il Libro d'oro dell'aristocrazia udinese. Le aggregazioni posteriori sono regolate da un decreto della Repubblica del 1555, che richiedeva per il postulante e per il di lui padre la nascita cittadina o la residenza da almeno cinque anni, la non iscrizione in passato all'ordine popolare e il non eser-cizio di arti meccaniche, salvo eccezioni decise dal consiglio di Udine. Il ceto nobiliare si mostra in linea di massima piuttosto generoso nell'aggregare nelle proprie fila, tanto che nel 1751 un decreto luogotenenziale fissa come requisito primario per l'ammisione una rendita minima di 1.500 ducati calcolati sulla base del pagamento del sussidio, rendita considerata sufficiente per condurre un genere di vita confacente al pubblico decoro e al rango? Di fronte a una famiglia aggregata nel 1765, quella degli Zignoni, il Palladio sottolinea come la solidità patrimoniale sia sempre accompagnata a oculate scelte matrimoniali: "La famiglia ha vissuto sempre civilmente et con decoro et haver acquistato beni stabili nelle ville di Muzzana e Chisteons [Castions] ove s'ha trattenuta facendo sempre buoni matrimoni con diverse case nobili di questa città et Patria" (Palladio, 1700-1766, 245). La nobiltà quindi è virtù, ma per poter splendere necessita di una tranquillità economica che permetta di non dovere scendere a compromessi con pratiche "vili". Violare queste regole da parte del singolo significa offendere tutta la famiglia. In questo contesto, in questi dibattiti (che mi sono limitata a indicare), va col-locata la vicenda di Rosa Minarelli e Gerolamo di Brazzà. 3. La famiglia dei conti di Brazzà Il Brazzà appartiene a un'antica famiglia friulana, titolare di un feudo consortile, quello di Brazzacco, che dà diritto a occupare un seggio nel Parlamento della Patria nell'ordine dei castellani e che ha avuto membri iscritti all'ordine di Malta. Un breve 8 Gli statuti di Udine, in base a un provvedimento del 29 settembre 1415, pongono un solo veto in materia matrimoniale: impediscono il matrimonio tra una donna della terra o del distretto con una persona che non abbia la cittadinanza della stessa terra o del distretto qualora la dote della donna superi le 1.000 libbre di soldi (Statuti, 1898, 95). 9 Il luogotenente Antonio Da Mula nella sua relazione del 1751 evidenziava che la nobiltà udinese accoglieva famiglie di bassa estrazione pur di ingrossare le sue fila a scapito dell'ordine popolare; di qui il proclama del luogotenente successivo, Giacomo Miani, del 6 settembre 1751. Lo stesso Palladio nelle sue cronache ammette che molte aggregazioni sono dovute all'estinguersi di famiglie nobili (Palladio, 1760-66, 282-283). Su tutta la questione della costituzione e delle aggregazioni al ceto nobiliare udinese, sul problema della valutazione delle rendite (nel 1754 il calcolo è ammesso non più in base al sussidio, ma in base a perizie giurate) si veda: Cargnelutti, 1997, 34-41. 461 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EINE SETTECENTO, 457-478 cenno alie vicende e ai titoli del casato puo permettere di meglio cogliere la portata degli interessi che verrebbero offesi da un possibile matrimonio non all'altezza del rango di Gerolamo. Originariamente la famiglia si chiamava 'di Cergneu' dal nome dell'omonimo feudo di cui godeva dal sec. XIII per investitura patriarcale, feudo il cui castello dominava la valle del Cornappo nelle Prealpi Giulie. A partire dalla metà del Trecento i Cergneu acquistano in più riprese porzioni del feudo di Brazzacco nelle colline moreniche dai giusdicenti che lo detenevano, fino a esserne investiti di sei parte, mentre la settima rimane fino alla sua estinzione alla famiglia Andreotti di Udine. Dalla metà del Quattrocento i Cergneu cominciano a chiamarsi 'di Cergneu e Brazzà' o semplicemente Brazzà. Ottengono da Venezia l'investitura per il feudo di Brazzacco, comprendente anche Cergneu, un feudo che presenta le caratteristiche tipiche di quelli friulani, vale a dire un'estensione limitata a piccole ville e al loro immediato circondario senza continuità territoriale!0 Le investiture settecentesche conservano i diritti sui paesi di Brazzacco, Cergneu, Monteaperta, Chialminis, il giuspatronato di nomina del cappellano della chiesa dei Ss. Leonardo e Andrea di Brazzacco, il diritto di cameraria della chiesa di S. Margherita del Gruagno, la posta delle pecore nei masi della giurisdizione, la custodia della festa di S. Bartolomeo nella villa di Ara presso Tricesimo, la custodia delle feste nei giorni di sagra nella villa di Nogaredo di Prato, la facoltà di eleggere annualmente un giurato nella villa di Nimis, con l'esercizio della giurisdizione civile e criminale con diritto di sangue e ultimo supplizio.11 I consorti di Brazzacco, che si alternano nell'esercizio della giurisdizione e hanno una voce unica nel Parlamento, hanno l'obbligo di un'im-posizione di lire 12 soldi 8 e di due cavalli in tempo di guerra. Nel 1737 essi chie-dono (o meglio chiedono per conferma) alla Serenissima il titolo comitale sulla base di una consuetudine che tradizionalmente li designa come "conti". Venezia avalla la domanda senza chiedere ulteriori prove, come del resto ha già fatto tra Cinquecento e Seicento di fronte a reinvestiture che avanzavano diritti sulla sola consuetudine, in assenza di una documentazione che i feudatari friulani accusavano come dispersa a causa delle guerre.12 10 Per una descrizione e una mappa dei feudi friulani: Giampiccoli, 1782; Leicht, 1913. In particolare sul feudo di Brazzacco si veda anche: BCU, BCG. 11 Investitura del 1748, in: ASV, PF, 287. 12 La domanda di riconoscimento del titolo comitale, raccolta in una stampa ad lites presentata nel 1775 per causa di successione nei diritti feudali tra rami diversi dei Brazzà, in: ASV, PF, 288. Sul dibattito per le riconferme dei feudi friulani concessi in età patriarchina dopo l'emamazione delle leggi feudali della Serenissima del 1581 e 1586-87 e per gli indirizzi dei giureconsulti friulani rimane fondamentale: Stefanutti, 1976. 462 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EINE SETTECENTO, 457-478 I Cergneu-Brazza nel Quattrocento acquistano casa anche a Udine, aggregandosi alia sua cittadinanza con iscrizione nel Libro d'oro della nobilta nel 15183 Le famiglie di nobilta castellana della provincia erano state escluse dalla cittadinanza udinese fino a un compromesso raggiunto nel 1392, che permette ad alcune di esse, che hanno una residenza in citta, di essere aggregate, in quanto 'cittadine'. I Brazza, gia divisi in piü famiglie, risultano possedere a Udine una casa in capo all'attuale via Mercatovecchio, un'altra nella calle allora cieca che affianca la chiesa di S. Cristo-foro. Si trasferiscono in borgo Gemona presso la chiesa di S. Quirino, quando la loro abitazione a meta Seicento viene inglobata nella costruzione di palazzo Caiselli. Annota infatti Luigi Frangipane nelle sue informazioni sulle dimore udinesi per l'anno 1744: "Ebbero casa poco sopra la chiesa di S. Quirino, prima abitavano una casa che fu compresa nella fabbrica di palazzo Caiselli a S. Cristoforo" (Frangipane, 1900, 175). Lo stabile non risulta di particolare rilievo tra quelli posseduti da un'aristocrazia che a partire dal Cinquecento ha voluto darsi un'immagine di decoro anche ristrutturando, ampliando e arricchendo le abitazioni urbane con affreschi e raccolte di collezioni; tra l'altro il fabbricato sorge in una posizione che ancora nell'Ottocento e giudicata decentrata, cosí che nel 1783 i Brazza acquistano dai Colloredo un'ampia residenza, di maggior prestigio, nella piü centrale contrada di Santa Maria in borgo Poscolle. Registra Fabio della Forza all'anno 1783 che "i sig.ri conti di Colloredo [...] hanno venduto la sua casa nel borgo di Poscolle presso le sig.re Citelle [la Casa pia delle Zitelle alli nobili sig.ri conti Pietro ed Antonio fratelli di Brazza, soliti stare di permanenza nella sua villa di Brazza" (della Forza, 1986, 150). Uno degli acquirenti, Antonio, e il marito di Laura, nata anch'essa Brazza, sorella di Gerolamo e principale oppositrice al suo legame con Rosa Minarelli. Gerolamo, che e figlio di una Antonini, vive in una parte del palazzo materno di Udine*, oltre che nella campagna di Privano, dove gli Antonini avevano un'azienda agricola. Gerolamo appartiene a un ramo detto 'di Pagnacco', al centro nel Settecento di una complicata vicenda di successioni feudali. Con l'estinzione del ramo dei Savorgnan della Bandiera (diverso da quello dei Savorgnan patrizi veneti) nel 1713, i Brazza, presentandosi quali agnati piü prossimi, avevano preteso di succedere nelle loro investiture (denominandosi da allora anche 'Savorgnan di Cergneu e Brazza), mentre Gerolamo e il fratello Claudio chiedono (e ottengono nel 1769) per sé stessi 13 Nel 1410,1 agosto, Erancesco q. Candido di Brazzacco del castello di Brazzacco viene iscritto alla cittadinanza udinese, come registrato in: BCU, AC, Annales, 17, 74. La registrazione nel Libro d'oro, 25 aprile 1518, in: BCU, AC, ms. C.XVIII, 256, dove sono nominati quattro rami della stessa famiglia. 14 E' il palazzo Antonini attudmente dell'Universita di Udine. Era abitato dagli Antonini del ramo di Ceresetto, ma anche da altre famiglie. Il della Eorza annota il 26 settembre 1791 il matrimonio di Lucrezia, figlia di Gerolamo di Brazza, con Niccolo Andreuzzi, avvenuto "nella capella della casa Antonini di Ceresetto, nel qual palazzo e anco l'abitazione di detta famiglia Brazza" (della Eorza, 1986, 211). 463 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EINE SETTECENTO, 457-478 la successione della parte di feudo di un ramo dei Cergneu-Brazza estintosi nel 1711, parte la cui investitura era gia stata concessa a Pietr'Antonio, loro padre, contro gli interessi del ramo collaterale rappresentato dal cognato Antonio1.5 Anche la successione nella settima parte di feudo, gia degli Andreotti, e oggetto di nuovo contenzioso presso i Provveditori ai feudi16 Da questi rapidi cenni si evidenzia come i Brazza perseguano in pieno Settecento una logica di potere e di prestigio legata alla loro tradizione di famiglia feudale, ben inseriti pero anche nella citta di Udine attraverso matrimoni con il patriziato del luogo e l'espletamento di cariche riservate all'ordine nobile. Il matrimonio tra Laura, sorella di Gerolamo, e Antonio ha saldato due rami agnatizi; la dote di Laura ha sanato alcuni contenziosi patrimoniali, anche se permangono divisioni e distinzioni nell'attribuzione delle porzioni di consorteria feudale. In ogni caso la linea di Antonio e la linea di Gerolamo nella seconda meta del Settecento si presentano strettamente legate, accomunate nella pubblica opinione come famiglia altamente degna della citta. Laura in particolare svolge un ruolo pubblico consono al rango, dedicandosi alla beneficenza e alla carita, ad esempio quando nel 1791 fa da madrina al battesimo e alla cresima di un' ebrea, come sottolinea il della Forza: "alcune dame hanno fatto il pio ufficio di essere padrine nei due sacramenti per la putella, prima delle quali e stata la nob.le sig.ra co. Laura di Brazza, che con molta carita le ha fatto delle utili beneficenze ed insieme gliene ha procurate delle altre non poche per la citta" (della Forza, 1986, 205-206). Laura, che gioca un ruolo determinante nell'impedire il matrimonio del fratello e di Rosa Minarelli, e persona ben accolta nell'ambiente nobiliare, presso il clero e le opere pie udinesi17 Del resto, un altro fratello, Massimo, e preposito della Congregazione dei padri dell'Oratorio di S. Filippo Neri; un figlio di Gerolamo, Giulio, e canonico della metropolitana di Udine. Gerolamo ha sposato in prime nozze la nobile Lucrezia Panciera dei signori di Zoppola, da cui ha avuto una discendenza collocata in buone famiglie dell'aristo-crazia, matrimoni salutati "con comune compiacenza " (della Forza, 1986, 211)8 In seconde nozze si e unito a Francesca Caimo, di solida nobilta cittadina, vedova di un ricco monfalconese, il conte Girardis. I Caimo godevano di meta Palazzo Antonini, mentre l'altra meta apparteva alla famiglia della madre di Gerolamo; forse il secondo matrimonio di quest'ultimo mira anche a consolidare i beni patrimoniali. 15 L'investitura dei 1769 in: ASV, PF, 287. 16 Vedi ia stampa ad iites e gii atti reiativi in: ASV, PF, b. 288. 17 Ii deiia Forza commenta ia morte di Laura di Brazzà nei 1795, a settantasei anni, sottoiineando come fosse avvenuta "con grande doiore di tutta ia famigiia per una tai perdita" (deiia Forza, 1739-1801). 18 Ii primogenito Massimo sposa Eiisabetta Coceani di Cividaie, Fedeico ia nobiie Aurora Capra di Vicenza; Isabeiia ii nobiie Sebastiano Fiorio, Ceciiia ii nobiie Benedetto Mangiiii, Lucrezia ii nobiie Niccoio Andreuzzi. Vedi: BCU, GT. 464 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 La discendenza di Antonio e Laura è la più nota nell'Ottocento: basti ricordare il loro bisnipote, Pietro Savorgnan di Brazzà, l'esploratore del Congo, fondatore di Brazzaville. Eppure Antonio e Laura hanno dovuto affrontare alcuni problemi dovuti alle scelte matrimoniali dei figli, anche se non di portata tale da offendere la dignità del casato. Una figlia, Elisabetta, aveva anteposto le ragioni del sentimento alle ragioni del prestigio familiare, rifiutando nel giorno stabilito per le nozze un Savorgnan, confessando tra le lacrime che con lui "sarebbe stata per sempre infelice" (della Forza, 1986, 151), per sposarsi invece l'anno dopo con un Boiani di Cividale "con reciproco contento e soddisfazione " (della Forza, 1986, 163). Il matrimonio con il Savorgnan si profilava come un preciso contratto economico: 5.000 ducati prestati dai Brazzà al gentiluomo sulla garanzia di beni dello stesso valevano, oltre a 3.000 ducati già elargiti, a titolo di dote della sposa. Il consenso del gentiluomo (che si dimostra del tutto indifferente al rifiuto della contessina) a restituire già avute le liquidità permette di chiudere la vicenda senza ulteriori strascichi. La parità di rango e di forza patrimoniale permette in questo caso di cedere alle ragioni del sentimento, senza offendere l'onore. Più problematica invece si presenta per i Brazzà la questione posta da un altro figlio, Alessandro, che sposa la figlia del protomedico di Udine "non avendo potuto impedirlo, onde questo ha reccato non solo dispiacere alla famiglia, ma altresi disapprovazione di tutta la parentà e delli altri buoni amici" (della Forza, 1986, 231). Il padre di lei, Giorgio Cristianopoli, è originario di Cattaro: la figlia di un borghese, stipendiato dal Comune, non ricco, viene accettata con difficoltà dalla nobiltà feudale friulana. Ma ancora diversa è la posizione del vecchio conte Girolamo che, in base a un suo codice personale di onore, vuole che l'affetto che prova per la più giovane Rosa, da lui trattata "come una figlia" secondo la voce di alcuni testimoni del processo, si esprima nella legalità del matrimonio. L'onore vissuto come sentimento individuale si scontra pero con gli interessi del gruppo a cui lo stesso appartiene, interessi che si configurano come prestigio e patrimonio: oltre allo sfregio recato all'immagine, il matrimonio plebeo potrebbe portare alla legittimazione di una discendenza in-fame, al pericolo di divisioni dei beni a danno di coloro che ormai si considerano i soli eredi di Gerolamo, al timore di non riconferme o di ulteriori divisioni nelle investiture feudali. D'altra parte la soluzione cercata dai Brazzà è onorevole per la ragazza, in quanto le si offre la possibilità di un collocamento presso una famiglia del suo stesso livello sociale attraverso un matrimonio legittimo. 4. La vicenda processuale Tutta vicenda di Gerolamo di Brazzà e Rosa Minarelli si ricostruisce sulla base degli atti processuali, in quanto niente sembra sia filtrato oltre lo sbarramento che un 465 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EUE SETTECENTO, 457-478 gruppo nobiliare ristretto ha costruito attorno, con l'aiuto di un párroco e di una madre superiora di un'opera pia. I testimoni sono in primo luogo i genitori e i due fratelli della ragazza, che possono riferire sulla vicenda soltanto quanto hanno sentito riferire - in parte a posteriori - da lei. Sono ancora citati la moglie di un agente di casa Antonini al servizio del conte Gerolamo, un testimone oculare (che in parte contraddice la versione del padre) del presunto rapimento di Rosa da parte dei parenti del conte, la custode della casa delle suore Rosarie che per un breve periodo ospita la ragazza, il parroco che ha celebrato il matrimonio. Nessuno dei nobili implicati nella vicenda è citato in giudizio; il marito, Amadeo Cavallini, non si presenta. I registri della pieve di Tricesimo annotano la nascita di Rosa il 10 dicembre 1757 (APT, RB, 5r), senza indicare il mestiere dei genitori, che si presume siano contadini. Rosa all'epoca del matrimonio ha trent'anni, il doppio del conte Girolamo, nella cui casa è entrata come cameriera della sua seconda moglie una decina d'anni prima, continuandovi a rimanere anche dopo la morte della nobildonna, forse non più nella posizione di serva. Il padre asserisce che Rosa "ebbe il salario finché visse la dama fu consorte di detto sig. conte Gerolamo", stabilendo poi con lui un rapporto che genera preoccupazione tra i figli e i parenti del nobiluomo. Essi non approvano i modi "urbani", la "distinzione" del tratto che egli usa con lei, "perché dubitavano che po-tesse finire in un matrimonio", come testimonia la moglie dell'agente di casa Antonini. Il padre conferma che "il conte Gerolamo aveva alla medesima dato parola di futuro matrimonio", asserendo pero che la fonte di tale informazione è la stessa Rosa. II pericolo in ogni caso è reale, se Laura di Brazzà decide di porre fine alla storia, in maniera onorevole, salvando la dignità di tutti, d'accordo con il cognato Detalmo di Brazzà e con il nobile Nicolo Erangipane. Rosa si trova con Gerolamo in una casa di campagna degli Antonini, a Privano, quando viene fatta salire senza preavviso su una carrozza e portata a Udine, nel convento delle Rosarie. Il padre riferisce al processo che Rosa fu condotta via "sforzatamente": "Da quanto intesi dalla bocca di mia figlia Rosa, fu presa per le braccia da detti sig.ri conti Dettalmo e Erangipani e, fatta entrare nella carrozza che li attendeva, fu tradotta nel mentovato ritiro'1? Con una diversa sfumatura racconta il fatto un testimone oculare, Giacomo Treleano del vicino paese di Campolonghetto: "... ritrovandomi per accidente nella villa di Pri-vano in un giorno credo del mese di agosto 1787 vidi a capitare una carozza con quatro cavalli dalla quale ho veduto a sortire un signore che io non lo conobbi, quale fece con buone maniere entrare in detta carozza Rosa Minarelli che s'attrovava in allora al servizio del conte Gerolamo di Brazzà"20 E' il 4 di agosto 1787. Il convento delle Rosarie è un istituto di carità di recente 19 Si vedano gli atti processuali in ACAU, M. 20 Si vedano gli atti processuali in ACAU M. 466 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 fondazione, che per statuto si occupa dell'educazione di ragazze povere, ma non di cattiva fama (Casasola, 1900). La sistemazione in questo luogo non offende la reputazione di Rosa, a cui si fa credere che il vecchio conte l'ha dimenticata. Le viene proposto un marito, Amadeo Cavallini, ventenne, abitante nella parrocchia di S. Giacomo,21 la stessa nella cui circoscrizione e compreso il palazzo udinese di Laura di Brazza. Non e detto come venga reperito il giovane, che vive in casa del proprio padre, né con quali promesse questi venga persuaso a sposare Rosa, di dieci anni piü anziana di lui. La superiora delle Rosarie ha l'ordine di non farla avvicinare da nessuno, neppure dai familiari, "acciocché parlando con qualche persona non venisse dissuasa ad abbracciare il partito propostogli, cioe di unirsi in matrimonio col Cavallini", asserisce la madre?2 Laura di Brazza si dice disposta a cercare anche un altro possibile candidato a marito, qualora il Cavallini non piacesse a Rosa, ma non tollera un rifiuto alle nozze. Il padre asserisce che "la contessa Laura di Brazza la minaccio di farla chiudere in un ritiro fuori di paese donde non sarebbe piü uscita", forse una clausura a Venezia.23 La custode delle Rosarie afferma che la nobildonna avrebbe prospettato che "il conte Zoppola vi pensarebbe per aporvi l'opportuno rimedio", giocando sul-l'influenza di un gentiluomo legato da rapporti di strategie matrimoniali alla grande nobilta veneziana, ma legato anche ai Brazza per essere stata la prima moglie di Gerolamo una Panciera di Zoppola24 Decisivo e il comportamento di Rosa. I familiari la descrivono "di carattere docile e pavido". La donna sembra subire piangendo, mentre il parroco di San Giacomo e incaricato di chiudere la vicenda celebrando il matrimonio, ma osservando tutte le formalita del caso. Il padre davanti al tribunale ecclesiastico testimonia: "Io mi portai due sole volte a ritrovarla in compagnia del rev.do Don Antonio Moro, attual parroco di S. Giacomo di questa citta e la vidi a piangere continuamente". E aggiunge: "Da quanto intesi da detta mia figlia a motivo del suo pianto erano l'avversione al Cavallini e la fretta con cui veniva sollecitata dal suddetto rev.do parroco ad unirsi in matrimonio col Cavallini suddetto"25 Da parte sua il parroco sostiene di essere stato informato della delicatezza della situazione e di essersi sempre comportato nel pieno rispetto della prassi. Egli dichiara di avere interrogato nel convento udinese Rosa sulla sua volonta di sposare il Cavallini o in alternativa qualche altro candidato, ma di non avere notato in lei alcun 21 Il registro dei battesimi di S. Giacomo lo indica nato il 5 gennaio 1767, senza indicare la professione paterna (APGU, RB, 32r). Il padre e qualificato come dominus, il che lascia supporre che egli sia un piccolo artigiano o un agricoltore. 22 Si vedano gli atti processuali in ACAU, M. 23 Si vedano gli atti processuali in ACAU, M. 24 Si veda la deposizione della custode delle Rosarie in allegato. 25 Si vedano gli atti processauli in ACAU, M. 467 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FUE SETTECENTO, 457-478 senso di "aborrimento" verso il giovane, se mai una riserva, derivata dalla sola pre-occupazione di compiere una scelta che avrebbe potuto dispiacere al conte Gerolamo. Lo stesso parroco afferma di avere celebrato il matrimonio dopo avere concesso una proroga di altri quattro giorno, in modo che il consenso, espresso con la formula rituale del sacramento, fosse meditato. Anzi, il parroco sottolinea (anche con eccesso) che a lui Rosa era sembrata "di buon umore" e addirittura "allegra"2.6 L'ec-clesiastico afferma cosí l'onore delle sue funzioni, il pieno rispetto della normativa, fornendo un elemento decisivo per il giudizio. Di contro un fratello della Minarelli testimonia che durante la cerimonia la sorella si sarebbe mostrata "melanconica", mentre la sera del matrimonio egli l'ha vista piangere in casa del Cavallini, mentre era scoppiato un alterco tra padre e figlio, ma non e in grado di spiegare per quali ragioni. Dopo quaranta giorni di convivenza con il Cavallini, Rosa si rifugia a Privano, in una casa di campagna di Gerolamo di Brazza, che e venuto a conoscenza dei fatti e che non vuole rinunciare alla donna. Fino a che punto il marito di lei e informato sulla vicenda? Anna Colautti, moglie dell'agente di Privano, cosí si esprime davanti al tribunale ecclesiastico: "Interrogata se sia mai stata detta Rosa richiamata dal marito rispóse: - Sopra di ció posso dire con verita che il Cavallini si porto in Privano personalmente in casa di detto sig. conte dove si ritrovava la Minarelli, e nell'atto che si lamentava con la suddetta Rosa, sua moglie, la interogó chi era suo marito, se lui o il conte Gerolamo, ed essa rispose di non volervi ritornare, dicendo che non era moglie né dell'uno né dell'altro"27 Il padre della Minarelli sostiene invece che il Cavallini sarebbe stato consenziente al suo soggiorno a Privano; la madre aggiunge che questi non le avrebbe mai chiesto di tornare a casa. Ma entrambi riferiscono ancora una volta quanto hanno sentito dire dalla figlia. Gerolamo finanzia l'inizio di una causa a Venezia, forse per ottenere come primo atto almeno una dichiarazione di uno stato di separazione per Rosa. Non e chiaro se le domande sono rivolte in Curia patriarcale, scavalcando la Curia udinese, o anche davanti alle magistrature civili, per esempio in Avogaria, competente per questi casi.28 Nicoló Minarelli spiega che i due anni e mezzo intercorsi tra la celebrazione del matrimonio e la produzione della causa presso la Curia udinese sono stati impiegati in tentativi effettuati a Venezia: "Il mottivo di questa dilazione fu perché 26 Si veda la testimonianza del parroco di San Giacomo, Aitonio Moro, in allegato. 27 Si vedano gli atti processuali in ACAU, M. 28 Per un inquadramento della questione del "divorzio" a Venezia si veda; Cozzi, 1981, oltre a: De Biase, 1981-82. Sul modo in cui la prassi veneziana penetra in Friuli, dove i casi sono molto rari dif-ferentemente che a Venezia, si veda: Cargnelutti, 1994, 72-75. 468 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI EUE SETTECENTO, 457-478 credeva di sortire il suo intento in Venezia, dove si era portata in compagnia del conte Girolamo".29 Rosa dopo il matrimonio con il Cavallini tiene un comportamento formalmente non corretto: non soltanto convive con il vecchio gentiluomo, ma soprattutto non rispetta le regole durante lo svolgimento del processo. Infatti in virtù del decreto del Consiglio dei Dieci del 20 agosto 1782, ribadito il 21 agosto 1788, decreto che ir-rigidiva la procedura per la concessione dei "divorzi" o separazioni (e di con-seguenza anche per le cause di annullamento) anche in terraferma, obbligando la donna che presenta domanda in Curia a chiudersi in un ritiro per tutto il periodo della causa, Rosa avrebbe dovuto rimanere a Tricesimo nella casa paterna, eletta a "luogo di sicurezza". Li infatti ella si trova all'epoca del deposito delle carte processuali, come attesta la fede del pievano del luogo del 4 gennaio 1790, allegata agli atti processuali. Ricordo che in virtù della legge sopra menzionata tutte le cause matrimoniali dovevano essere preventivamente comunicate all'autorità veneziana di terraferma (nel caso di Udine il luogotenente), che aveva l'obbligo di annotarle su un apposito registro e comunicarle a Venezia. Nel caso di Rosa, la presentazione alla cancelleria del luogotenente è del 6 gennaio30 Dopo una sola settimana di perma-nenza presso i genitori, la Minarelli ritorna a Privano presso il Brazzà, come attesta il parroco del luogo, provocando da parte dell'arcivescovo l'ordine di riportarsi entro tre giorni (ordine che viene eseguito) nella casa paterna, pena la sospensione del processo.31 L'arcivescovo, trovandosi in visita pastorale, delega a giudice il primicerio della metropolitana udinese, Claudio Voraio, davanti a cui l'avvocato fiscale della Curia difende la validità di un matrimonio "pubblicamente ed in faciem Ecclesie solen-nemente incontrato ... ed indi effettivamente consumato", allo scopo di rendere inef-ficaci le prove di "testimoni disperatamente introdotti"32 L'avvocato della difesa insiste che il matrimonio "fu opera dell'altrui soprafazione e violenza e seguito senza quella libertà di consenso che tutte le leggi civili, canoniche e di natura esigono per la validità di ogni e qualunque contratto e specialmente di quello tra tutti impor-tantissimo che è il matrimonio"33 Ma il giudice nella sentenza del 2 luglio si esprime 29 Si vedano gli atti processuali in ACAU, M. 30 In calce della domanda rivolta dall'avvocato della Minarelli, Felice Missana, all'arcivescovo di Udi-ne, perché fissi il luogo di soggiorno della donna, a spese del marito, e annotato: "6 gennaio 1789 more veneto [1790 secondo il calendario udinese] presentata a S. E. sig. luogotenente nella cancelleria pretoria d'Udine". In questo caso la prassi stabilita dalla legge del 1788, che aveva provocato le rimostranze di alcuni vescovi, perché vedevano il potere statuale affiancarsi a quello ecclesiastico nella materia matrimoniale, e rispettata. 31 Ordinanza arcivescovile, 25 maggio 1790; fede del pievano di Tricesimo comprovante il soggiorno di Rosa Minarelli a Tricesimo, 8 giugno 1790. Entrambe le scritture in ACAU, M. 32 Scrittura del promotore fiscale Giovanni Cantarutti, 22 maggio 1790 in ACAU, M. 33 Scrittura dell'avvocato Felice Missana, 8 giugno 1790, in ACAU, M. 469 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 sulla validitá e legittimitá del matrimonio a cui Rosa ha dato il suo consenso, senza considerare il contesto entro cui tale consenso sembrava diventare inevitabile. L'avvocato promette ricorso. Non ho reperito altro sul possibile seguito della vicenda. In ogni caso non ci sono stati altri risvolti ufficiali: forse Rosa ha continuato a convivere con il conte Gerolamo a Privano, ma senza piü costituire una minaccia per l'onore della famiglia, anzi, se mai offendendo quel suo onore che fino all'epoca del matrimonio con il Cavallini le era stato riconosciuto. Nessuna cronaca (per lo meno tra quelle note) parla di scandali dentro la famiglia dei Brazzá. 5. Conclusioni Tutta la vicenda sembra muoversi - come si e detto - attorno all'impossibile matrimonio tra un nobile e una popolana, divisi da differenze cetuali e da codici di onore che non ammettono cedimenti, perché tali regole sono sostanziali per definire l'identitá di un gruppo. Le ragioni dei comportamenti dei singoli trovano in questo caso una piü ampia comprensione nel contesto del Friuli, nel significato che hanno onore e decoro per le grandi famiglie, valori affermati attraverso operazioni di immagine, sostenuti da privilegi di natura feudale che comportano per la loro stessa natura precisi vincoli anche nelle scelte private. Eccezionale e il modo in cui viene concepito il rapporto tra Gerolamo di Brazzá e Rosa Minarelli: non quello consueto tra il signore e la serva di casa, ma guidato da un sentimento di affetto che potrebbe sconvolgere le regole e gli interessi - anche patrimoniali - dominanti. L'istituzione ecclesiastica da parte sua sembra avallare le ragioni del ceto nobiliare, celebrando e confermando la legittimitá di un matrimonio contratto al solo scopo di impedire alla popolana di regolarizzare il suo rapporto con il gentiluomo, vincolando la donna con la ritualitá e sacralitá di una procedura che e pregiudizialmente sostenuta da una libertá di scelta che puo sembrare soltanto formale e non reale, ma che e comunque legittima per il giudice ecclesiastico. O forse le garanzie offerte alla donna dal parroco attraverso l'esame prematrimoniale sono considerate il massimo della libertá in scelte guidate da strategie in cui la volontá del singolo - in particolare di una donna e di bassa condizione - non ha peso contro le regole della societá di antico regime. Allegato. Dagli atti processuali di Rosa Minarelli contro Amadeo Cavallini, 1790. 29 gennaio 1790 Capi d'accusa presentati dalla Minarelli. Primo. Che detta donna Rosa, figlia di Nicolo Minarelli, pel corso d'anni dieci 470 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 circa serví in qualitá di cameriera in casa del nob. Sig. conté Gerolamo quondam Pietr'Antonio di Brazzá. Secondo. Che passata a miglior vita la dama consorte del predetto conte Gerolamo, la mentovata Rosa rimase presso il medesimo, da cui era riguardata e trattata come se fosse sua figlia. Terzo. Che apprendendo i nobili di esso congiunti che un tal trattamento andasse a finire in un matrimonio con detta Rosa, dopo vari tentativi per allontanargliela, finalmente il di 5 agosto 1787 la fecero entrare a forza nel ritiro delle Rosarie in Udine. Quarto. Che appena richiusa in tal pio luoco le fu proposto in marito un certo Amadeo Cavallini senza farglielo nemmen vedere. Quinto. Che a tale proposizione spiego essa tutto l'abborimento, e anche dopo aver veduto il proprio sposo continuo a dichiararsi di non volerlo. Sesto. Che per vincere tal sua ripugnanza fu minacciata anche dal proprio padre di essere trasportata in Venezia per esservi colá rinchiusa in un qualche luogo, donde non sarebbe piü uscita per tutto il tempo della sua vita. Settimo. Che, sebbene estremamente atterita per tal minaccia si strugesse in continue lacrime, con tutto cio non si rimosse dalla spiegata avversione pel Cavalini. Ottavo. Che per opprimerla sempre piü fu ordinato alla superiora del nominato ritiro di non permetterle di parlare con chicchessia e nemeno colla propria sua madre. Nono. Che sentendosi detta Rosa a replicar di continuo le accennate minaccie e giustamente temendone l'esecuzione, espose l'invalido coatto consenso nel rito matrimoniale. Decimo. Che la medesima fu ed e di carattere placido, d'indole pavida ed in quel tempo non aveva persona a cui ricorrere, tanto piü che si credeva abbandonata anche dal conte Gerolamo. Undicesimo. Che nel giorno della celebrazione dell'asserto suo matrimonio fu essa veduta piangere incessantemente e udita protestarsi di avere sposato il Cavalini contro sua volontá ed in forza soltanto del grave timore immessole dalle minaccie. Dodicesimo. Che dopo 40 giorni circa d'involontaria e illegittima convivenza col medesimo Cavalini, Rosa Minareli si stacco dalla di lui casa e tosto che si ebbe il modo e la facoltá e ricorsa per implorare la declaratoria di nullitá. Testimoni ammessi. Nell'ordine: don Gasparo Bearzotti, cappellano di Privano; Giacomo Treleano di Campo-longhetto; Angela Colautti, moglie dell'agente di Privano di casa Antonini; Antonia Mansutti di Tricesimo, madre di Rosa Minarelli; Nicolo Minarelli, padre di Rosa; Giacomo Minarelli di Tricesimo, fratello di Rosa; don Antonio Moro, parroco di S. Giacomo di Udine; Antonio Minarelli, fratello di Rosa; Teresa Cussa della Casa delle Rosarie di Udine. 471 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 Dall'interrogatorio dei testimoni: 2 maggio 1790. Testimonianza di don Antonio Moro, parroco di S. Giacomo di Udine. Interrogato dall'ecc.te sig. fiscale se conosca certa Rosa figlia di Nicoló Minarelli rispose: - La conosco benissimo. Interrogato se sappia che in qualche tempo sia stata essa Rosa rinchiusa in un luogo pio di questa città rispose: - Posso dire esser vero, ché nell'agosto 1787 io mi portai a visitarla nel pio luogo delle Rosarie. Interrogato del mottivo per cui si portó a visitarla rispose: - Io mi portai colà per commissione della nobile signora contessa Isabella Florio nata Brazzà34 per ricercare essa Rosa se voleva unirsi in matrimonio con certo Amadeo Cavallini. Interrogato se tal proposizione sia stata fatta alla suddetta Rosa senza fargli vedere l'indicato Cavallini rispose esser vero che la proposizione fu fatta nel modo suddetto ed esser parimenti vero che: - Io mi sono esibito di farglielo vedere a qualunque sua richiesta. Interrogato se oltre il Cavallini l'abbia proposto qualche altro sogetto rispose: - Dopo aver proposto il Cavalini alla sudetta Rosa le dissi che quando questo non fosse di sua soddisfazione si sostituirebbe qualchedun altro. Lettogli il quinto di detti capitoli e da lui ben inteso rispose contener verità. Interrogato de causa scientia rispose: - Lo posso dire, perché sono di mia cognizione li fatti capitolati. Interrogato dall'ecc.te sig. fiscale se detta Rosa spiegasse aborrimento alla persona del Cavallini rispose: - Posso dire con verità che alla proposizione da me fattagli del Cavallini, Rosa Minarelli non spiego in verun modo aborrimento di sorte verso il sogetto propostole, ma il suo dispiacere era il timore di disgustare il conte Girolamo di Brazzà unendosi in matrimonio coll'indicato Cavallini o con qualchedun altro. Interrogato quanto tempo all'incirca dopo dalla proposizione le sia stato fatto vedere il Cavallini rispose: - La mattina del detto giorno non individuato del mese sudetto gli feci l'indicata proposizione ed il dopo pranso susseguente tornai insieme col Cavallini e gli feci vedere. Interrogato se dopo aver essa Rosa veduto il Cavallini abbia fatto qualche dichiarazione indicante di non volerlo per marito rispose: 34 Isabella, figlia di Gerolamo di Brazzà e di Lucrezia Panciera di Zoppola, è moglie di Sebastiano Florio. 472 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 - Non fece essa dichiarazione alcuna; io bensi le dissi che col mezzo dei genitori s'informasse del sogetto propostole e che ció fatto si determinasse nel modo che credesse a proposito. Letto il nono di detti capitoli e da lui ben inteso rispóse confien verità. Interrógate de causa scientia rispose: - Lo posso dire, perché sono a mia cognizione li fatti capitolati. Interrogato se sappia che per indurre detta ad unirsi in matrimonio col Cavallini siano state fatte alla stessa replicatamente delle minaccie rispose: - Io certamente non ne feci alcuna, né so che ne siano state fatte da altri. Interrogato se nell'atto che prestó l'assenso al rito matrimoniale fosse a cid indotta dal timore che si verificassero, non facendolo, le sudette minaccie, rispose: - Tanto è lungi che essa Rosa fosse indotta a prestare l'assenso sudetto dal timore che si verificassero le minaccie sovraindicate quanto che essa medesima più volte meco espresse di essere contenta di unirsi in matrimonio col Cavallini e che sarebbe pronta a sposarsi in un dato giorno da essa indicatomi. Io per una vista di necessaria prudenza in un affare cosi delicato ho protratta la celebrazione del matrimonio quattro giorni dopo di quello dalla medesima indicatomi. Lettogli l'undecimo di detti capitoli e da lui ben inteso interrogato rispose contener verità. Interrogato de causa scientia rispose: - Lo posso dire, perché sono a mia cognizione li fatti capitolati. Interogato dall'ecc.te sig. fiscale di qual umore si mostrava la sunominata Rosa Minarelli nel giorno della celebrazione del matrimonio rispose: - Nel giorno che segui la celebrazione del matrimonio sudetto io la ravisai di buon umore e più contenta che mai fosse stata. Interrogato se in qualche ora di detto giorno essa Rosa piangesse inces-santemente rispose: - Quanto posso dire di ció si è che né prima, nell'atto, né dopo la celebrazione del matrimonio al quale io stesso assistetti non l'ho veduta a piangere, ma anzi era di buon umore ed allegra, come ho sopra risposto. Testimonianza di Teresa Cussa, addetta alla custodia di Rosa Minarelli all'epoca del suo ritiro presso la casa delle Rosarie di Udine. Lettoli il sesto di detti capitoli e dalla medesima ben inteso interrogata rispose: Sopra questo capitolo posso dire, per quanto mi ricordo, che ritrovandosi in questo pio luogo35 Rosa Minarelli l'anno 1787 nel mese d'agosto, furono alla medesima proposti due sogetti acció ne facesse la scielta a suo piacimento, pervenisse con uno di questi in matrimonio e che tale proposizione fu alla medesima data dalla contessa Laura di Brazzà in mia presenza, aggiungendovi che, non essendo alla stessa di soddisfazione veruno delli due sogetti proposti, ella sarebbe in libertà di 35 /'interrogatorio della Cussa avviene non in Curia, ma nella Casa delle Rosarie. 473 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 riccusarli e che accettarebbe qualche altro partito che fosse di suo genio. Poi ag-giunse la precitata signora contessa che assolutamente non intendeva che si unisse in matrimonio col nobile sig. conte Girolamo, di lei fratello, non essendo cosa nemeno da imaginarla, stante l'avvanzata età e disparità di condizione, e che quand oella si adattasse a quanto sopra si era dichiarato, il conte Zoppoli6 vi pensarebbe per aporvi l'opportuno rimedio. Interrogata de causa scientia rispóse: - Lo posso dire, perché mi atrovavo presente a quanto di sopra deposto. Interrogata dall'ecc.te sig. fiscale se essa Rosa Minarelli avesse manifestata ripugnanza verso il Cavallini, uno de' sogetti come sopra sottopostogli in marito, rispóse: - Sopra di cio non posso render alcun conto. Interrogata se sappia e possa render conto che per vincere la sua ripugnanza siano alla medesima Rosa state fatte minaccie, di che genere e da chi, rispose: - Quel che posso dire con verità sopra quanto vengo ricercata si è che quando la sig.ra contessa Laura sudetta insinuava ad essa Rosa di abbracciare il stato matrimoniale, questa altro non rispondeva se non che la lasciassero in libertà e che le permettessero il ritorno alla casa paterna. E cio posso dire perché mi attrovavo presente ai discorsi predetti. Lettoli il decimo capitolo e da lei bene inteso interrogata rispose: - Sopra questo capitolo altro non posso dire che di averla più volte veduta piangere e sospirare per non essere nella desiderata libertà. Interrogata dall'ecc.te sig. promotor fiscale se dopo che furono fatte ad essa Rosa le deposte minaccie l'abbia veduta estremamente atterrita rispose: - Dopo che fu minacciata nel modo da me sopra deposto l'ho veduta qualchevolta ridere. Interrrogata se sappia che a fronte di cid non siasi rimossa dall'avversione per il Cavallini rispose: - La sera antecedente al sposalizio io circa all'Ave Maria ritornando essa Rosa dal parlatorio dove era stata chiamata mi disse tutta confusa che domani di buon mattino aveva a sposarsi e mi disse che vi pensassero quelle persone che erano la cagione. Lettole l'ottavo capitolo e dalla medesima bene inteso interrogata rispose: - Sopra questo capitolo posso dire avere avuto l'ordine dalla contessa Laura di non permettere alla sudetta Rosa di parlare con chi si sia dei di essa congiunti a risserva del proprio padre. Interrogata dal sig. fiscale se essa signora custode abbia esattamente eseguito quest'ordine interrogata rispose: 36 Difficile stabilire con precisione quale sia lo Zoppola a cui qui ci si rifeisce: forse Antonio Panciera di Zoppola, patrizio veneto, fratello della prima moglie di Gerolamo, o forse Gio.Batta Panciera, canonico della metropolitana di Udine. 474 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 - Si. Lettole il nono capitolo e da lei ben inteso rispóse: - Sopra questo capitolo non posso diré cos'alcuna in aggiunta di quanto di sopra deposto. ZAKONSKA ZVEZA rN VPRAŠANJE ČASTI V RAZREDNI DRUŽBI: PROCES V VIDMU S KONCA 18. STOLETJA Liliana CARGNELUTTI IT-33100 Udine, Via Codroipo 99 POVZETEK Proces iz leta 1790, v katerem je videmsko cerkveno sodišče obravnavalo prošnjo Rose Minarelli, pripadnice nižjega sloja, o razveljavitvi zakonske zveze z njenim možem Amadeom Cavallinijem, je le eden izmed primerov širšega konteksta, v katerem so imeli glavno vlogo člani pomembnih furlanskih plemiških družin in še posebno družin najstarejšega plemstva fevdalnega izvora. Rosa je bila deležna posebne pozornosti s strani nekega starejšega plemiča, Gerolama di Brazza, ki bi lahko svojo mnogo mlajšo hišno pomočnico Roso poročil, vendar se pri tem ne bi držal tedaj veljavnih pravil o nastopanju v družbi. Ta poroka bi lahko okrnila ugled celotne družine, njuni potomci pa bi bili zakonski, toda ne častivredni. Prav tako bi povzročila težave pri delitvi premoženja. Iz vseh navedenih razlogov je družina Brazza prisilila Roso, da se poroči s sebi enakim, in na ta način zadevo rešila s kompromisom, ki ni žalil njene časti in jo obvaroval pred sramoto. Rosino prošnjo o razveljavitvi zakonske zveze, ki je temeljila na dejstvu, da niso upoštevali njene voje, so v kuriji zavrnili. S formalnega vidika so bila namreč uveljavljena vsa predvidena cerkvena pravila, Rosino privolitev pa so imeli za "previdno ". Raziskava temelji na dokumentih procesa, toda z vidika sodobnih analiz furlanskega plemstva, oziroma pojmovanja plemstva v traktatih in v primerih, iz katerih je razvidna obravnava družbenih razredov (posameznikov ali skupin). Raziskava posega v tem smislu tudi po tedanjih kronikah in dnevnikih in omogoča vpogled v privilegije, koristi in strategije družine Brazza; družine s sicer staro fevdalno tradicijo, ki pa se je povezala tudi z meščanskim plemstvom iz Vidma in ki si je prizadevala za lasten ugled, ter zato svojim članom ni dopuščala neprimernega nastopanja v družbi. Na koncu 18. stoletja je bilo sicer dovoljeno podleči lastnim čustvom, toda le ko je šlo za pripadnike istega sloja. Neka predstavnica družine 475 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Liliana CARGNELUTTI: MATRIMONIO E ONORE DI CETO: UNA CAUSA UDINESE DI FINE SETTECENTO, 457-478 Brazza ni na primer privolila v zakonsko zvezo s plemičem Savorgnanom in je to izrazila tako, da je na dan poroke razodela vse svoje notranje tegobe, s čimer pa so soglašali vsi udeleženci. Strinjali so se tudi s prepisom vseh predujmov oziroma posojil, predvidenih v dotalni pogodbi. Le s težavo so sprejeli neko drugo poroko mladega člana družine Brazza z meščanko, pa čeprav ugledno, ne pa tudi dovolj premožno hčerko mestnega zdravnika. Čustvo, ki ga je grof Gerolamo izražal do trideset let mlajše Rose, pa presega vse tedaj predvidene sheme in primora celotno sorodstvo, da poišče temu primerno radikalno rešitev. Cerkvena ustanova, ki so jo sestavljali številni pripadniki furlanskega plemiškega sloja, je imela na razpolago take instrumente, da je lahko Roso zavezala na neločljiv in istočasno častivreden način s poroko iz koristoljublja, a zakonito za pristojno sodišče. Ključne besede: etika, čast, poroka, Videm, 18. stol. FONTI E BIBLIOGRAFIA ACAU, M (1790) - Archivio della Curia Arcivescovile di Udine, Matrimonialia, carte processuali Rosa Minarelli contro Amadeo Cavallini, 1790 (fasc. senza segnatura). APGU, RB - Archivio Parrocchiale di S. Giacomo di Udine, Registrum baptis-morum, 1748-1829. APGU, RM - Archivio Parrocchiale di S. 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