received: 2006-09-14 UDC 614.27:351.77(450) original scientific article DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI Alessandro PASTORE Universita degli Studi di Verona, Dipartimento di Discipline storiche, artistiche e geografiche, IT-37129 Verona, Via San Francesco 22 e-mail: alessandro.pastore@univr.it SINTESI Al centro di questo intervento e la storia della parola "untore" e dei termini im-piegati per definire quanti vengono accusati di aver contribuito a diffondere artificialmente il contagio durante le epidemie di peste della prima eta moderna, con particolare riferimento alla situazione urbana di alcuni stati italiani e alla citta di Ginevra. La ricostruzione dell'uso e del significato del termine "untore" si basa in primo luogo su un sondaggio condotto su alcuni testi della letteratura medica, tanto dotta quanto popolare, dedicata alla individuazione e alla profilassi della peste. Ma la documentazione piu rilevante e offerta da alcune testimonianze desunte tanto dalle norme e dai regolamenti che vengono elaborati in occasione dell'emergenza epidemica quanto, e soprattutto, dai processi che sono istruiti dagli uffici della giustizia criminale in tempo di contagio. Parole chiave: untori, epidemie, amministrazione pubblica, diritto penale, Europa, eta moderna, fonti storiche FROM PLAGUE LEXIS: PLAGUE SPREADERS, UNCTIONS, INUNCTED ABSTRACT The paper focuses on the history of the word 'untore' (plague spreader) and the terms used to define those accused of having contributed to the artificial propagation of the plague during the epidemics in the early modern age, with particular reference to the urban situation in some Italian states and the city of Geneve. The reconstruction of the use and meaning of the term 'untore' is primarily based on the analysis of some medical texts, both expert and popular, dedicated to plague identification and prophylaxis. Nevertheless, the most revealing information was obtained through the study of norms and rules issued during epidemic emergencies 127 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 and, in particular, of trials prepared by criminal law offices during periods of contagion. Key words: plague 'spreaders ', epidemics, public administration, penal law, Europe, Modern Age, historical sources PREMESSA Non è difficile individuare in alcuni capitoli centrali dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni il tramite attraverso il quale si è diffusa nella cultura italiana corrente la conoscenza delle vicende individuali e della sorte giudiziaria degli untori della Milano del 1630 e, più in generale, l'esistenza dei progetti veri o simulati di trasmettere artatamente il contagio epidemico. Che anzi la cosiddetta "peste manu-fatta" sia legata esplicitamente alla congiuntura seicentesca (o al massimo risalga a quella precedente del 1575-1576), senza che sia percepita l'esistenza di un nesso esplicito con alcuni episodi cruciali documentati nel tempo lungo della storia europea, è un'imprecisione nel quale era incorso anche uno scrittore e saggista raffinato quale Leonardo Sciascia nel redigere la sua postfazione alla Storia della colonna infame del Manzoni (Manzoni, 1981, 172-173). Viceversa alcune dense pagine di Carlo Ginzburg, centrate attorno alla pandemia europea del 1348 e ai suoi riflessi nell'area fra Francia e Svizzera, hanno mostrato la relazione stretta che si instaura fra l'insorgere improvviso della malattia e l'ossessione di un complotto attribuito di volta all'azione volontaria di lebbrosi, vagabondi, mendicanti ed ebrei (Ginzburg, 1989, 36-42). In queste pagine non si intende dipanare l'argomento delle unzioni pestifere da un punto di vista della storia delle dottrine mediche e delle pratiche giudiziarie messe in atto (Preto, 1987; Pastore, 1991; Naphy, 2002), ma si vorrebbero invece mettere in schematica evidenza alcuni elementi di rilievo: dapprima l'origine e la circolazione della parola untore e dei termini che vi sono correlati (ungere, unzione), colti attraverso alcune fonti prodotte nella prima età moderna; in seguito l'integrazione o la distinzione fra la specificità dell'untore e la caratterizzazione di altre figure sociali "criminali" alle quali essa veniva affiancata, e talora sovrapposta; e infine le indagini e gli accertamenti eseguiti sulle sostanze che risultano esser state impiegate per propagare artificialmente il contagio, e che pertanto rappresentano un significativo elemento di prova contro la persona fisica dell'imputato, che viene rappresentato e sanzionato nella sua identità di untore. 128 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 QUALCHE NOTAZIONE LINGUISTICA Sul primo punto in discussione i dizionari storici della lingua italiana offrono uno sguardo preliminare, ma di rilievo, accanto alle osservazioni desunte dalla tratta-tistica medica coeva (Preto, 1983). L'autorevole Vocabolario degli Accademici della Crusca non presenta in proposito variazioni significative, a proposito del termine che ci interessa, fra il testo dell'edizione stampata alla fine del Seicento e quello uscito dai torchi agli inizi dell'Ottocento: l'opera infatti si limita a segnalare l'esistenza del lemma unzione senza perô offrire una spiegazione e un riferimento relativi alle pratiche proprie dell'untore, un termine che peraltro non viene affatto riportato nella successione dei lemmi dell'opera. Quanto alla parola unto, si rinvia in tutte le edizioni del Vocabolario ad un passo della Satira V di Ludovico Ariosto - un testo denso di umori misogini e di accenti antiebraici -, dove l'autore stigmatizza con linguaggio crudo l'uso che le donne fanno per truccarsi de "il sollimato e gli altri unti ribaldi", cioè di unguenti confezionati anche con ingredienti di elevata tossicità (il sublimato, appunto) nonché con materiali provenienti da deiezioni corporali (Ariosto in: Segre, 1987, 49; versi 223-224). Un dizionario più tardo, quello compilato da Nicolô Tommaseo, riprende pari pari da quello della Crusca il richiamo alla citazione ariostesca per la voce unto e chiarisce la natura della unzione anche da un punto di vista medico, definendola come un composto a carattere medicamentoso o balsamico, senza perô alludere alle implicazioni della peste manufatta. È invece riportata una voce integrativa, che perô non era di mano dello studioso dalmata, già deceduto nel 1879 quando usciva il volume conclusivo dell'opera - quello che conteneva la lettera U -; questa voce è dedicata esplicitamente all' untore e vi si fa riferimento a coloro che vengono ricordati nell'opera principale del Manzoni e che i contemporanei ritenevano seminassero la peste; inoltre il profilo criminale dell'untore della peste veniva correlato in modo diretto alle posizioni di coloro che nella Toscana dell'Ottocento, al tempo del colera, attribuivano all'azione volontaria dei medici la prolungata durata del morbo epidemico (Tommaseo, Bellini, 1879, 1675). Non mancava in proposito un commento lapidario: "Il popolo è sempre lo stesso". Si trattava di un'osservazione sulla esclusiva responsabilità della credulità popolare che implicitamente ipotizzava una contrap-posizione di tali credenze diffuse ad una scienza e ad una cultura che ignoravano o comunque spregiavano tali "superstizioni". Infine un terzo elemento di raffronto lessicale è rappresentato dal Grande dizionario della lingua italiana, più noto ai suoi frequentatori come "il Battaglia", che nell'ultimo volume, il ventunesimo, dato alle stampe nel 2002, illustra un quadro esauriente delle accezioni dei termini che ci interessano e le documenta con alcuni rinvii ai testi appropriati. Cosi l'azione dell'ungere, nel senso di contagiare imbrat-tando luoghi frequentati ed oggetti facilmente toccati, viene esemplificato con un 129 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 passo dal manzoniano Fermo e Lucia (passo che peraltro ricorre con poche varianti anche nell'opera maggiore), in cui il protagonista maschile, accusato da una vecchia di essere un untore, fugge dalla folla che lo insegue e raggiunge con un balzo un carro pieno di cadaveri: a quel punto uno dei monatti si rivolge a lui con le parole: "Fai bene d'ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro che non son buoni a qualche cosa che morti, o birboni"; analogamente, nel capitolo XXXIV dei Promessi sposi, si legge: "Fai bene a ugnere questa canaglia: ugnili, estirpali costoro, che non valgono qualcosa, se non quando sono morti". Il secondo episodio, che il Manzoni dichiara di riprendere dalla descrizione della epidemia milanese del canonico Giuseppe Ripamonti, è quello, illustrato nei Promessi sposi, nel quale alcune donne os-servano in chiesa un vecchio spolverare la panca col mantello prima di sedersi e gridano a gran voce: "Quel vecchio unge le panche", provocandone il linciaggio. Quanto all'uso tecnico della parola unzione, riferita appunto alle lordature realizzate tramite sostanze considerate contagiose, il rimando era sempre al Manzoni, anche se in una citazione che si rifaceva all'opera del canonico Giuseppe Ripamonti; ma non si trascurava in appoggio un passo dell'abate illuminista Paolo Frisi, ove il matematico lombardo ed ammiratore di Jean-Baptiste d'Alembert contrapponeva, nelle pagine del suo Elogio di Maria Teresa imperatrice, il secolo delle riforme giudiziarie a quello precedente, dominato dall'ignoranza e dalla barbarie che avevano trovato il loro punto culminante proprio nell'idea che la peste potesse derivare dalle "unzioni fatte sulle muraglie" e nell'iter giudiziario che aveva condotto alla tortura e ad una morte cruenta i presunti responsabili del crimine (Venturi, 1958, 350). E ancora non mancava un rimando alle "malefiche unzioni" tratto dalle Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, e sulle quali converrà ritornare nelle pagine successive. Ma "ongere", "ontione" sono termini utilizzati anche nella Storia della colonna infarme, e tratti dal processo del 1630 contro gli untori (Manzoni, 1981, 21-25; Farinelli, Paccagnini, 1988). Infine il termine di untore, colto nell'accezione appunto "storica" relativa agli eventi milanesi del 1630, viene documentato con una testimonianza celebre del capitolo XXXIV dell'opera manzoniana, e passata in proverbio, quella del grido lanciato dalla vecchia contro Renzo: "l'untore! dagli! dagli! dagli all'untore!". Ma quello che è soprattutto rilevante segnalare è che la definizione precisa del respon-sabile del reato viene espressa in Fermo e Lucia laddove lo scrittore lombardo de-scrive i sospetti circolanti nella città di Milano in merito agli autori di quelle "mac-chie viscide, giallastre, ineguali, come impresse da spugne lanciate" ed aggiunge che il termine di "untore" sarebbe stato coniato appunto in quella occasione: "il bisogno creó allora il vocabolo" (Manzoni, 1964, 573-574; Battaglia, 2002, 536, 559, 561). Dunque la parola esplicita untore compare in realtà per la prima volta proprio nella versione preparatoria dell'opera manzoniana, anche se in un testo risalente al 1730 si allude alle lordature effettuate in un convento milanese da uno dei "diabolici ontatori di nazione spagnolo" (Farinelli, Paccagnini, 1988, 66). Non cosi l'azione (ungere) o 130 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 la materia (unto), che sono invece ampiamente documentati nella tradizione lingüistica precedente. Infine, quanto alla parola latina unctor, si tratta di un riferimento, risalente agli inizi del Quattrocento, attribuito agli artigiani che si servono di sostanze oleose per la cardatura della lana (Du Cange, 1887, 367). PRESENZA (O ASSENZA) DI UNTORI E LORO ABBINAMENTO AD ALTRE FIGURE CRIMINALI Chi scorre i due volumi di Jean-Noël Biraben, Les hommes et la peste - un'opera farraginosa, ma ricca di spunti informativi e testimonianze dislocate su spazi larghi e tempi lunghi -, trova che l'autore dedica due paragrafi, brevi ma contigui l'uno all'altro, agli engraisseurs ed ai sorciers (Biraben, 1976, 23-24). Anche la docu-mentazione raccolta in proposito dal demografo francese intreccia fra loro i casi di unzione pestilenziale e quelli di vera e propria stregoneria. Da un lato dunque emer-gono i tipi ideali dei capri espiatori ipotizzati come responsabili attivi e coscienti della trasmissione del morbo epidemico, e dunque i lebbrosi, gli ebrei, gli zingari, che sono oggetto di accusa per aver tramato operazioni magiche e stregonesche, anche se - come ha avuto modo di sottolineare Brian Pullan - una sottile linea di demarcazione separava il caso dell'incauto ed irresponsabile viaggiatore che conta-minava zone ancora indenni dall'epidemia dall'eventuale agente del Maligno o dal temuto esponente di una potenza straniera interessato ad attuare una "guerra batte-riologica" ante litteram (Pullan, 1992, 113). Dall'altro lato compaiono le supposte analogie sui materiali utilizzati da streghe ed untori, e dunque le sostanze e gli un-guenti di derivazione umana oppure diabolica ai quali si ricorre per propagare la peste ovvero per condurre a morte certa uomini, donne, bambini e animali. Ai primi del Seicento era ancora dominante la convinzione che rientrasse nei pieni poteri del diavolo, e dunque dei suoi emissari ed emissarie, la possibilité di trasmettere pato-logie di ogni sorta (Di Simplicio, 2000, 43). Ma soffermiamoci sul primo punto. Il caso della città di Ginevra, esemplare per la frequenza degli episodi criminosi portati in giudizio nel corso di svariate congiunture, dal 1530 al 1545 e al 1571, è stato oggetto di studi accurati anche se non del tutto convergenti nelle conclusioni interpretative. Il cortocircuito mentale che si verifica fra i due fenomeni osservati dalla giustizia penale, e cioè la stregoneria e la peste, era ben preciso nella percezione dei fatti da parte degli uomini del tempo; non a caso nel 1571 un giovane, scrivendo al padre che si trovava a Zurigo, osservava che: "All'onorato Consiglio dispiacque la grande epidemia, ed esso si preoccupó della cosa, per cui si scopri infine che non si trattava di una peste naturale, ma che la gente fu miseramente uccisa dalle vergognose streghe tramite l'unguento con il quale veniva segnata. Perció speriamo che si bruci e si arrostisca fino a che la situazione migliori" (Pastore, 1991, 3). 131 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 Gli organismi del governo cittadino e la pubblica opinione concordano dunque nella relazione, ed anzi nell'esistenza di un nesso di causa fra la presenza della stre-goneria e la circolazione del contagio. Tuttavia la lettura e l'analisi dei dossier cri-minali conservati nell'archivio dello Stato di Ginevra propongono una visione meno netta e più sfumata. Alla valutazione di William Monter che classifica le pratiche degli engraisseurs come una forma speciale, anche se bizzarra, di stregoneria, altri studiosi contrappongono la specificità dell'esercizio dell'ungere e lo riconducono, sulla scorta delle fonti, all'idea largamente diffusa di una cospirazione che veniva ispirata da alcuni esponenti della pratica medica e sanitaria e che era anche rafforzata dal giuramento segreto, pronunciato dagli adepti, di "faire mory les gentz"; l'intento era quello di manipolare e di prolungare la durata della crisi epidemica a loro esclusivo beneficio economico, e dunque "pour faire leur profy [...] et que se feriont riches et parteriont les guens ensemble" (Pastore, 1991, 6-7; Naphy, 2002, 3-4, 201). Più in generale è stato osservato che l'area alpina ha rappresentato un canale di scorrimento e di circolazione delle epidemie e di comunicazione dei saperi di cura che miravano non solo a contrallare la malattia ma, di converso, anche a provocarla: si alternano dunque la conoscenza e la diffusione dei rimedi terapeutici a quelle degli unguenti pestiferi. Dunque una rete fra Ginevra e l'area alpina, e al di là di essa Milano e numerose altre città italiane (anche se in misura minore rispetto a quella lombarda) hanno costituito gli spazi privilegiati per l'elaborazione, oltre che la messa in atto, dell'idea di unzione (Bercé, 1993, 90-91; Biraben, 1976, 23). Ma forse è più agevole verificare le eccezioni che non confermano l'esistenza di un rapporto privilegiato fra la peste artificialmente indotta e la stregoneria, secondo una contaminazione che era probabilmente favorita anche dalla pratica attribuita alle streghe di "ungersi" per essere trasportate al luogo ove si svolgeva il sabba. Keith Thomas, nella sua fondamentale ricerca sulla religione e sul declino della magia nell'Inghilterra della prima età moderna, ha offerto alcuni dati rilevanti in argomento quando ha documentato che i disastri collettivi, come appunto le epidemie, le carestie e gli incendi, venivano piuttosto attribuiti alla responsabilità dei cattolici inglesi, dei francesi, degli scozzesi o di altri nemici della nazione. Anzi la mancata attribuzione di imputazioni di questo genere alla strega deriverebbe dal fatto che i danni inferti dai suoi malefici erano di tipo individuale, e dunque non legati ad una dimensione comunitaria, quali erano quelli derivanti da una diffusa patologia epidemica. Inoltre l'assenza nell'isola di fenomeni di panico collettivo collegati alla individuazione di streghe ed untori come agenti del diavolo viene riportata allo stato di maggiore resi-stenza, coesione e stabilità dell'organizzazione sociale nel suo complesso (Thomas, 1985, 607-608; Slack, 1985, 294). Certamente, nell'Europa coeva, esistono casi di altri territori che condividono con l'isola britannica una situazione di separatezza territoriale e di più marcato isolamento. Ad esempio, la Sardegna ignora sostanzialmente la circolazione di accuse in 132 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 merito alla propagazione volontaria del morbo epidemico, ed anzi questa particolarità viene rivendicata dagli eruditi locali dell'Ottocento come un titolo di merito per un'area giudicata arretrata, e che invece non era stata inquinata "da quelle super-stiziose credenze e da quelle vertiginose idee di avvelenatori ed untori, che invasero le menti in ragioni più culte" (Manconi, 1994, 308). Anche la Sicilia resta in realtà immune dall'idea della peste manufatta per tutto il Cinquecento, quando anzi il termine di onzione riveste un significato positivo dal punto di vista terapeutico all'in-terno del lessico della trattatistica medica in argomento; soltanto nel corso dell'epi-demia del 1624 accade che un medico greco sperimenti dei suffumigi preservativi che vengono invece giudicati "pestiferi" e che conducono alla condanna e alla morte per impiccagione del sanitario d'oltremare (Dollo, 1991, 16, 35-36). Dunque, schematicamente, le realtà geograficamente distinte dal continente all'interno dello spazio liquido del Mediterraneo presentano forme del rapporto fra l'insorgenza dell'epidemia e il contagio volontario che non sono riconducibili ad un modello unitario meccanicamente legato alla specificità insulare. SULLA COMPOSIZIONE DEGLI "UNTI" E DEI "VELENI PESTIFERI" Ma, tornando alle riflessioni già svolte sulla natura lessicale dei termini, è pos-sibile cercare di caratterizzare e qualificare le sostanze impiegate dagli untori nelle loro azioni. Si fa riferimento all'utilizzo di "polveri et onti velenosi e pestiferi" negli atti del processo per i fatti di Milano del 1630, o ancora - come recitano le grida firmate dal gran cancelliere Antonio Ferrer tra la fine luglio e i primi di agosto del 1630 - si allude al fatto che il "velenoso male" è stato causato dalle "untuosità pestilenziali" e al tempo stesso si mette in guardia contro quanti si industriano a "fabbricare veleni pestiferi" ed a spargerli per la città. L'accentuazione della veleno-sità delle sostanze è confermata dalle tecniche di accertamento che vengono messe in campo: un cronista coevo rievoca l'esperimento, effettuato da alcune donne, di som-ministrare a tre galline (che ne erano morte in breve tempo) del pane imbevuto dell'unto, in conformità all'uso consolidato e risalente di utilizzare gli animali da cortile come utili cavie per saggiare gli effetti letali di supposte sostanze tossiche (Processo, 1839, 450; Preto, 1987, 38-39; Pastore, in corso di stampa). L'associazione, genericamente espressa, tra la peste e il veleno diviene più strin-gente quando si esaminano gli ingredienti dei composti preparati con il preciso obiet-tivo di ampliare la circolazione del contagio. A Ginevra una ricetta, desunta da un interrogatorio del 1545, prevede l'impiego di carne di impiccato, grasso di cadavere, sangue di vacca e di maiale aggiunto ad arsenico: il tutto veniva manipolato e confezionato ad opera di un barbiere-chirurgo. Si tratta di rivelazioni che emergono all'interno di confessioni estorte anche con gli strumenti della tortura, oppure a se-guito di accertamenti eseguiti e del ritrovamento di vasetti e di scatole effettivamente 133 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 reperite dagli inquirenti. Peraltro gli interrogatori e le deposizioni rivelano ricette di composti fra loro variati: alla classica associazione fra parti di cadaveri d'impiccati ("le pied d'un pendu") e il pus di appestati ("venin que sortissoyt de la peste dung corps mort"), si potevano aggiungere ingredienti come il sego e materiali tossici come l'arsenico e il cloruro di mercurio, ed anche l'impressione visiva della sostanza ricavata da tali manipolazioni veniva di volta in volta classificata come bianca o grigia oppure nera (Burgy, 1987, 40, 56). Certamente il personale medico e di bassa chirurgia aveva facile accesso a sostanze letali, come il sublimato d'arsenico - o, per meglio dire, l'anidride arseniosa - che venivano impiegate nella farmacopea o contro gli animali nocivi (si trattava di un potente derattizzatore). In realtá i giudici della citta di Ginevra erano convinti dell'esistenza di un vero e proprio complotto i cui aderenti, associando arsenico e materiali secreti dal corpo degli appestati, e dunque incrementando il livello di tossicita dell'arsenico nella combinazione con materiali organici, mettevano in opera una strategia mirata per conseguire evidenti vantaggi economici (Naphy, 2002, 85, 87, 98). Ma tale convinzione si radica anche nelle pieghe del sapere medico, come e provato dal trattato di un medico ginevrino che intende dimostrare la piena responsabilitá di avvelenatori e untori nella propagazione dell'epidemia (Monter, 1971, 183-184; Delumeau, 1979, 203). Anche nei processi celebrati nel 1571 contro gli engraisseurs - parola che, fra l'altro costituisce l'esatto corrispondente del termine italiano "untore" - le confessioni degli imputati chiariscono la natura degli ungenti che risultano composti con secrezioni dal corpo degli appestati, veleno e grasso di maiale, oppure definiti piu genericamente come unti verdastri o polveri velenose che si ritiene vengano manipolati dall'uomo se non consegnati direttamente da Satana (Monter, 1976, 129, 134-135). Del resto, anche nel caso esemplare di Milano del 1630, il residente della repubblica di Venezia aveva espresso la persuasione, in un dispaccio spedito alla Serenissima, che la "arte diabolica" avesse certamente concorso "nelle compositioni [degli unti] e nel negotio"; nella circostanza i sospetti di Federigo Borromeo sul fatto che il contagio potesse essere "congionto con malie" lo inducono a diramare l'ordine di presentare le debite denunce di fronte al vescovo e all'inquisitore contro chi pratica malie ed incantesimi (Farinelli, Paccagnini, 1988, 70, 75). E' evidente dunque come possa divenire operante, nella trama della cultura giudiziaria e dell'opinione comune, la caratterizzazione diabolica e la trasformazione stregonesca dell'unzione in conformitá a quella testimonianza giá riportata - la lettera del 1571 che trasmetteva a Zurigo la descrizione degli eventi ginevrini - e che invocava una punizione esemplare: "brennen und braten", e dunque bruciare ed arrostire i presunti responsabili. Da questo punto di vista la trattatistica demonologica di riferimento si avvale di precisi riscontri. Quello che e stato classificato come "l'occhio naturalista" di Johann Wier ha teso, nel suo libro del 1564, a distanziare i maghi e le streghe dagli avvelenatori: questi ultimi ricorrono a ben individuate sostanze animali e vegetali per allestire i preparati tossici di cui essi fanno uso e che non presentano nulla di magico; 134 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 ma alcuni anni dopo Jean Bodin, criticando nettamente la lettura del Wier, ripropone una visione tradizionale ed integrata nella quale "veneficium significa veleno e sortilegio" (Porret, 2002, 53, 55, 58 e 61). La parola e l'immaginazione - come notera Pietro Verri nelle sue Osseivazioni sulla tortura che prendono le mosse dal processo milanese agli untori - trovano il loro climax nella cultura seicentesca; e, nel caso specifico qui indagato, si riflettono nella comune opinione che la peste sia appunto una "artificiosa invenzione" dei medici. Del resto esponenti dell'arte sanitaria, anche se appartenenti agli strati più bassi della professione, saranno torturati, suppliziati e giustiziati; e il Verri rimarcava che in una "barberia", cioè in una bottega di cerusico, venivano confezionati gli unti. In realtà negli interrogatori alcuni ingredienti di tali unguenti (serpenti, rospi, ramarri) evocano più la preparazione dei tradizionali farmaci come la triaca, anche se l'accenno macabro ai rettili nutriti con carne umana marcava la differenza rispetto alla consueta preparazione del rimedio. Viceversa la confessione strappata al barbiere Gian Giacomo Mora allude ad un composto più conforme a quelli dei processi ginevrini e allestito con bava di appestati e sterco mescolato al ranno (cioè lisciva). Apparentemente sembra mancare un riferimento a sostanze di per sé tossiche che configurino un vero e proprio reato di veneficio e si resta all'interno del quadro consueto delle materie ripugnanti proprie dell'armamentario stregonesco, nonché dei rituali orgiastici attribuiti agli eretici piemontesi di fine Trecento che avrebbero impiegato sterco di rospo (Ginzburg, 1989, 288); era un armamentario che non trascurava appunto le deiezioni corporee, come anche i fluidi mestruali impiegati nelle magie amatorie (Di Simplicio, 2005, 65, 68). Correlazioni e sovrapposizioni fra patologia epidemica e avvelenamento non mancano di presentarsi a diversi livelli di consapevolezza e di sapere ed emergono di volta in volta nei richiami eruditi alla tradizione antica o nelle riflessioni elaborate dai medici del tempo oppure nei timori coltivati a livello popolare (Bercé, 1993, 88). Comunque l'allusione ai materiali tossici nell'incartamento del processo milanese del 1630 emerge dagli accertamenti peritali che coinvolgono sulla stessa scena, in un mix che deroga alla rigida segmentazione gerarchica della società seicentesca, austeri medici fisici e lavandaie del popolo. Cosi un sanitario appartenente al collegio dei medici di Milano, dopo aver eseguito un'attenta osservazione del composto, dichiara la propria ignoranza sulla natura del prodotto e suggerisce, non senza un certo orgoglio di casta ("questa non è mia professione"), il ricorso ai saperi più tecnici e pratici degli speziali e dei distillatori; dal canto loro, le donne vantano la loro expertise, esaminano le sostanze sospette scorgendovi "dentro delle forfanterie" e dichiarano che con il ranno marcio si possono confezionare "eccellenti veleni [...] gran porcherie e tosiche" (Verri, 1988, 55, 57, 69-72, 79; Farinelli, Paccagnini, 1988, 212-214). Sul punto, il verbo illuminista del Verri non fa una grinza quando, a commento della storia milanese, egli addita i "latrati della superstizione" e la "insolente ignoranza" come gli elementi che hanno ispirato la conduzione e l'esito del processo; nello specifico, il 135 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 capitano di giustizia aveva scritto testualmente che le misture rinvenute erano state ritenute "per giudicio de periti" - cioè in base alle deduzioni delle lavandaie - molto sospette (Manzoni, 1981, 84-85). L'ipotesi del complotto e della cospirazione che coinvolge medici, chirurghi, barbieri ed inservienti del lazzaretto è certo da calare all'interno di una visione antagonista e polarizzata della professione sanitaria, i cui esponenti - nei vari livelli della loro pratica - sono percepiti o come taumaturghi in grado di contrastare e rimuovere il morbo mortale oppure come complici se non veri e propri artefici della circolazione del contagio. Ed è con questa consapevolezza - come ha mostrato con efficacia lo storico indiano Rajnaryan Chandavarkar - che gli ambulatori medici diventano il bersaglio preferito degli atti di violenza e dei tumulti nel pieno delle epidemie di peste bubbonica che colpiscono diverse regioni della colonia inglese fra Ottocento e Novecento (Chandavarkar, 1992, 203-250). Se il libro recente di Sam Cohn ha messo in discussione la stretta identificazione dei casi di epidemie verificatesi nell'Europa tardo medievale - e che le fonti del tempo ci presentano con il termine di "peste" - con le forme nosologiche proprie della peste bubbonica nelle sue esplosioni riscontrate nel continente asiatico fra XIX e il XX secolo, sembra invece corretto dedurre che alcune azioni di contrasto nei confronti di tali contagi si muovano sulle stesse lunghezza d'onda (Cohn, 2002). E certamente la ricerca del presunto untore - si trattasse di un lebbroso, di un ebreo, di uno zingaro, di uno straniero, di un nemico tradizionale o appunto di un sanitario - costituiva parte integrante degli schemi mentali e delle modalità concrete con cui si cercava di lottare "contro un nemico mortale e invisibile il cui modo di agire rimase loro misterioso" (Cipolla, 1986, 25). IZ LEKSIKE O KUGI: MAZAČI, MAZANJE, MAŽE Alessandro PASTORE Univerza v Veroni, Oddelek za zgodovinske, umetnostne in geografske vede, IT-37129 Verona, Via San Francesco 22 e-mail: alessandro.pastore@univr.it POVZETEK Prispevek se osredotoča na zgodovino besede 'mazač' in izrazov, ki so jih uporabljali za opredelitev posameznikov, ki so bili v obdobju začetka novega veka obsojeni, da so med epidemijami kuge prispevali k umetnemu širjenju bolezni, pri čemer posebej omenjamo stanje v urbanih središčih nekaterih italijanskih držav in v mestu Ženeva. Pri rekonstrukciji besede 'mazač' je potrebno zbrati podatke iz dostopne medicinske literature, tako strokovne kot ljudske, ki je namenjena odkrivanju in preprečevanju 136 Alessandro PASTORE: DAL LESSICO DELLA PESTE: UNTORI, UNZIONI, UNTI, 127-138 kuge ter temelji na nekaterih pričevanjih iz besedil zakonov, vpeljanih med epidemijo, ter na dosjejih, ki so jih izdelali v uradih kazenskega sodstva. Ključne besede: mazači, epidemije, javna uprava, kazensko pravo, Evropa, novi vek, zgodovinski viri FONTI E BIBLIOGRAFIA Battaglia, S. (2002): Grande dizionario della lingua italiana. XXI. Torino, Utet. Du Cange, C. (1887): Glossarium mediae et infimae latinitatis, VIII. Niort, L. Favre. Farinelli, G., Paccagnini, E. (1988): Processo agli untori. Milano 1630: cronaca e atti giudiziari in edizione integrale. Milano, Garzanti. Processo (1839): Processo originale degli untori nella peste del M.DC.XXX. Milano, Gaspare Truffi. Segre, C. (ed.) (1987): Ariosto, L.: Satire. Torino, Einaudi. 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