Received: 2017-02-07 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 DOI 10.19233/AH.2017.02 LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIA ALLA CORTE DI CARLO V Edward MUIR Northwestern University, Department of History, Harris Hall,1881 Sheridan Road, Evanston, Illinois 60208, USA e-mail: e-muir@northwestern.edu SINTESI Alla fine di una conferenza interdisciplinare su "feudo in epoca medievale e della prima eta moderna in Europa", tenutasi ad Aarhus in Danimarca nel 2003, ipartecipanti hanno realizzato non siamo riusciti a trovare un accordo su una definizione del feudo, e siamo rimasti con un certo "incoerenza delle definizioni". Nella speranza che la ricerca é in grado di compiere progressi, in questa relazione si propone di mantenere la promessa della conferenza a Danimarca. Questa relazione suggerisce che il feudo dovrebbe essere inteso come uno spettro di comportamenti e di valori. Parte del compito di individuare i limiti di spettro di faide, in modo che tutti gli atti di violenza reciproca non collassano in esso. In corrispondenza di una estremitá dello spettro sono state quelle agisce piú distante dal potere dello stato, esemplificati dal diritto consuetudinario del Kanun delle montagne albanesi. All'altra estremitá dello spettro potrebbe essere casi di faide che nascondeva sotto la coperta della ragione dello stato e dalla legge, i casi in cui le leggi del monarca ripudiato giustizia privata a favore di norme pubbliche ma che in pratica permesso alcune persone privilegiate per continuare a perseguire feudi. La relazione esamina il ruolo dell'Imperatore Carlo Vnell'assassinio di Lorenzino de'Medici, egli stesso assassino del Duca Alessandro de'Medici. Tra questi due estremi sono stati nu-merosi esempi di autori di atti di violenza che hanno negoziato il loro cammino lungo lo spettro per massimizzare le possibilita di successo durante un periodo di profondi conflitti sociali oltre gli onorevoli e modi legali di risarcimento rimostranze. Vi é un certo paradosso nel mio argomento: sebbene la consuetudine dei codici del feudo implicita obblighi rigidi per mantenere l'onore, quelli chi fanno faide fanno scelte su dove situare se stessi sullo spettro. Parole chiave: faida, Kanun albanese, imperatore Carlo V, assassinio 11 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIAALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 Nel 2003 partecipai a un convegno interdisciplinare sulla "Faida nell'Europa medievale e moderna" organizzato a Aarhus, in Danimarca. Non riuscendo ad accordarsi su una precisa definizione di faida, i partecipanti conclusero i lavori con una certa "incoerenza di definizioni" (Netterstrom, 2007, 48-49). Nella speranza che la ricerca possa fare progres-si, questo articolo si propone di ripartire da quel convegno danese. Non intendo provare a fissare una definizione, trattando quindi la faida come un oggetto ("the feud") o persino un tipo di transazione ("to feud"); vorrei invece suggerire di guardare alla faida come a uno spettro di comportamenti e valori. Nel suo significato originale, il termine spectrum indicava un'apparizione, un fantasma, un'illusione. Qui intendo invece riferirmi alla connotazione moderna dello spettro, che designa tutta l'estensione di un determinato fenomeno: lo spettro di colori di un rag-gio di luce scomposto, lo spettro di lunghezze d'onda di una radiazione elettromagnetica, lo spettro dei sintomi dell'autismo. Questa metafora medica puo essere particolarmente utile, perché i sintomi dell'autismo sono comportamentali e spesso difficili da distinguere, da un lato, dalle "normali" variazioni nel comportamento di un bambino, e dall'altro lato da seri danni neurologici. Come accade per la faida, anche le cause dell'autismo sono difficili da individuare con certezza, e quindi da trattare; pur essendo fenomeni reali non sono di facile classificazione e definizione. Se si tratta la faida come uno spettro e necessario identificarne bene i limiti, affinché non vi ricadano dentro tutti gli atti di violenza reciproca. A un estremo vi saranno le azioni del tutto indipendenti dal potere statale, come quelle previste dalla legge consuetudinaria del Kanun osservata sui monti dell'Albania. All'altro estremo potranno esservi quei casi di faida che si nascondevano dietro alla ragion di stato e alle pubbliche leggi - laddove magistrati e monarchi in teoria ripudiavano il ricorso alla giustizia privata a favore di norme pubbliche, ma in pratica permettevano a certi privilegiati di continuare a portare avanti una faida. In questo articolo si prende ad esempio il ruolo dell'imperatore Carlo V nell'assassinio di Lorenzino de' Medici, che aveva a sua volta ucciso il duca Alessandro de' Medici, nipote dell'imperatore. Fra questi due estremi si trovavano numerosi altri esempi di atti violenti; nello scegliere dove collocarsi lungo lo spettro, i responsabili di questi atti cercavano di massimizzare le loro possibilita di successo valutando i diversi modi onorevoli o legali a loro disposizione per riparare il torto subito. La mia tesi contiene un certo paradosso: sembra che nella prima eta moderna i codici consuetudinari - almeno nelle forme che sono giunte fino a noi - regolassero la violenza con maggiore portata ed efficacia rispetto alla giurisprudenza. Sebbene le norme consuetudinarie sulla faida impo-nessero degli obblighi ben precisi per il mantenimento dell'onore, le parti coinvolte erano libere di decidere dove collocarsi lungo lo spettro.1 Erano loro a scegliere quando e come vendicarsi (spesso dopo lunghi intervalli di tempo), e se si appellavano alle corti non era perché volevano rispettare la legge, ma perché pensavano che quella strada potesse condurli al risultato sperato. 1 Anche Wormald (1983, 104) riprende in termini simili lidea di spettro. Netterstom pare suggerire che l'idea di spettro possa risolvere i problemi legati alla definizione (Netterstom, 2007, 67). 12 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIA ALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 Dal punto di vista euristico, guardare alla faida come a uno spettro permette di liberare i codici europei della faida dal funzionalismo quasi meccanico della tesi di Max Gluckman sulla "pace nella faida": Vorrei dimostrare che gli uomini si scontrano per via di alcuni loro doveri consuetu-dinari, ma allo stesso tempo alcuni altri obblighi, anch'essi imposti dalla tradizione, scoraggiano il ricorso alla violenza. Ne risulta che gli scontri in un ambito dei rap-porti umani conducono, nella sfera piu ampia della societá o dopo un certo periodo di tempo, al ristabilimento della coesione sociale. I conflitti sono un elemento della vita sociale e la tradizione aiuta a esacerbarli, ma cosí facendo impedisce ai conflitti di distruggere il piu ampio ordine sociale (Gluckman, 1955, 1). Il paradigma funzionalista di Gluckman ha dominato a lungo le ricerche storiche sulla faida in Europa, soprattutto per il periodo piu "primitivo" della prima eta moderna, in cui ció che conosciamo derivava largamente da regole normative - come ha notato Keith Mark Brown, questo approccio ha pero "bonificato" la faida, rendendola un'espressione razionale di norme socialmente legittimate (Brown, 1986, 2). A partire dalla svolta cultúrale nella storiografia e soprattutto negli studi sulla violenza nel Mediterraneo, la faida non e piu stata intesa come un'espressione delle strutture di longue durée della societa, quanto piuttosto come ció che Trevor Dean ha chiamato "racconti di vendetta" - quelle storie di conflitto che funzionavano da racconti esemplari e che trasmettevano "implicite lezioni morali" (Dean, 1997, 31-32). Dal mio punto di vista, la vendetta o la faida (non trovo molto utile distinguere tra i due termini) costituiva una forma di memoria collet-tiva, che veniva conservata nei racconti narrati ai bambini, nelle storie orali e nei lavori letterali, in storie raccontate attorno al focolare, in novelle come Giulietta e Romeo di Da Porto o commedie come Tis Pity She's a Whore di John Ford (non l'omonima canzone misogina di David Bowie). In Europa, il codice consuetudinario di faida di gran lunga piu elaborato era senza dubbio il Kanun dell'altopiano albanese. Il Kanun e inserito in un codice di leggi consue-tudinarie ritenuto molto antico, che venne poi pubblicato a partire dal 1853 in una serie di versioni differenti. All'inizio del ventesimo secolo la sua applicazione fu osservata da diversi osservatori esterni, tra cui la piu famosa fu l'antropologa e avventuriera scozzese Margaret Hasluck, che trascorse tredici anni a Elbasan in Albania. La faida e anche il soggetto di Aprile spezzato di Ismail Kadaré, di certo la migliore raffigurazione letteraria della vendetta (Kadaré, 1993). Nel suo romanzo Kadaré echeggia l'osservazione di Pierre Bourdieu sulle caratteristi-che di una pratica (Bourdieu, 1977). Per Bourdieu l'atto violento della vendetta esprime l'habitus della faida, cioe quelle disposizioni o quegli schemi acquisiti di percezione, pen-siero e azione che formano la pratica della faida. L'habitus della faida si appoggia su ció che Bourdieu chiama la sua doxa, ovvero le strutture mentali e i valori appresi ma inconsci che sono ritenuti auto-evidenti e che guidano le azioni e i pensieri del vendicatore. Secondo l'analisi di Bourdieu, il tempismo di un atto di ritorsione e decisivo per la sua legittimita sociale e per la sua capacita morale di conservare l'onore e i valori della comunita. Per 13 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIAALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 il protagonista del romanzo di Kadaré, Gjorg Berisha, un giovane gjakes - termine che indica colui che uccide per vendicare un altro morto - il tempismo e tutto, e il suo ritardo nel vendicare l'omicidio del fratello mette a rischio l'onore della famiglia. La camicia insanguinata della vittima appesa all'esterno della casa diventa una sorte di orologio della morte, che incita Gjorg a spargere sangue prima che si chiuda l'intervallo di tempo a disposizione per una vendetta onorevole. Nel commettere il suo omicidio per vendetta Gjorg si attiene al copione sociale stabilito dal Kanun: rimarrá in uno stato di morte in vita nell'attesa che termini la besa, la tregua temporanea che gli concede un mese di tempo da vivere prima di fronteggiare i nemici che cercheranno di ucciderlo, oppure di rinchiu-dersi in una torre per salvarsi. Il romanzo e in realta un lungo saggio sulle contraddizioni apparenti e l'imponderabile del codice della faida, che si illude di controllare appieno le conseguenze sociali della violenza. Per la famiglia Berisha il Kanun rappresenta una legge immutabile. Per il principe di Orosh, che raccoglie l'imposta del sangue, e una fonte di reddito. Per il suo intendente del sangue, che vigila sulle regole del Kanun, e un mistero profondo. Per un anonimo scrittore marxista citato nel romanzo, e mero sfruttamento di classe. Dopo aver commesso il suo omicidio, Gjorg paga l'imposta del sangue e prende a girovagare per le strade dell'altopiano. Viaggiando su una bella carrozza, girano per le stesse strade anche uno scrittore di Tirana e la sua bella sposa. L'intellettuale di citta, che trova il Kanun "bello e terribile", idealizza l'altopiano e le sue faide di sangue (Kadare, 1993, 63-68). Il libro discute il Kanun: era un sistema di onore rigido e onnicomprensivo, che legava la vendetta di sangue a ogni altro aspetto della vita sociale - arare i campi, pagare le tasse, mantenere le strade -, o si trattava semplicemente di una contabilita del sangue, un sistema di guadagni e perdite che andava a vantaggio dell'aristocrazia? Parlare del Kanun da un punto di vista teorico e piu facile che fissare la sua realta concreta, e Azeta Kola saprá dire qualcosa di piu definitivo di me a riguardo. Lungo lo spettro della faida il Kanun costruisce forse il codice consuetudinario elaborato piu nei dettagli. Secondo uno storico del diritto, il Kanun "era una speciale mentalitá etica, fondata sul sentimento d'onore, di fedeltá, di liberta non priva di senso di responsabilitá" (Villari, 1940 citato in Martucci, 2010, 63). Il codice legale in sé si presenta come eterno e immutabile, ma in realta non ci dice niente sulla sua applicazione concreta, che era spesso accidentale e mutevole. L'antropologo culturale Donato Martucci dell'Universita del Salento ha analizzato le diverse versioni del Kanun e studiato cosa accade nella pratica. Dal punto di vista teorico, il codice si fonda sul principio morale della birrnija - che condensa gli attributi di un uomo virtuoso, tra cui la prudenza, la giustizia e la temperanza -, secondo un'etica simile a quella dell'omerta siciliana. Il sistema teorico comprende le nozioni di promessa, intesa come accordo tra le due parti in lotta (besa), di liberta personale, di uguaglianza tra uomini d'onore (il principio del rispondere al sangue col sangue) e di disonore per coloro che non spargono il sangue di un nemico. Questo sistema di relazioni tra famiglie in conflitto e affiancato da ramificazioni sociali piu estese, che riguardano soprattutto i sacri obblighi di ospitalita: La dimensione divina appare ancora piu autentica quando si considera che la si acquisisce d'improvviso una sera, soltanto per alcuni colpi battuti a una porta. [...] 14 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIA ALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 E questa trasformazione inattesa è appuntopartecipe della natura divina. [...] Qual-siasi uomo comune, in qualsiasi notte o in qualsiasi giorno, pud essere elevato alla sublime dignità di ospite. Quindi la via di questa divinizzazione temporanea è aperta a chiunque, e in ogni momento (Kadare, 1993, 63-68). Per quanto riguardava il momento vero e proprio dello spargimento di sangue, rególe dettagliate indicavano quando e dove sparare, come andava trattato il corpo, come ren-dere nota l'uccisione alla comunità, e chi fosse esente dalla violenza (bambini, donne e preti). Tra le montagne albanesi dove veniva osservato il Kanun sembra che il ricorso alla legge dello stato non sia mai stata un'opzione contemplata, tranne forse sotto il regime comunista. Gli anziani della comunità talvolta avevano un ruolo, ma le dispute sulle norme del Kanun venivano risolte da esperti informali e non da tribunali. Nel Basso Medioevo e nella prima età moderna, in altre parti d'Europa cominciarono ad apparire dei casi collocati in posizione intermedia lungo lo spettro della faida: divenne possibile scegliere se portare avanti una faida di sangue o rivolgersi al sistema legale. In questa posizione intermedia le micro-geografie delle proprietà della famiglia, delle strade pubbliche e delle terre della comunità persero importanza a favore dei confini territoriali formali stabiliti dagli stati nascenti. Mentre mi occupavo di faida in Friuli, alcuni anni fa trovai un documento molto interessante sulla necessità di scegliere tra i codici della vendetta e le leggi dello stato. Era la cronaca di un nobile friulano, Soldoniero di Strassoldo, che inseriva le vicende della sua famiglia all'interno di un più ampio racconto sulla violenza endemica che caratterizzava il Friuli nel sedicesimo secolo (di Strassoldo, 1895, 30-55).2 È una storia di obblighi di vendetta ereditati, conflitti di proprietà tra parenti, strategie familiari per conservare il patrimonio, confini giurisdizionali, ricerca di tribunali benevolenti, paura delle conseguenze di un assassinio per vendetta - in altre parole, tutte quelle considerazioni di cui dovevano tener conto gli attori coinvolti in una faida. La vicenda riguarda un conflitto tra l'autore, Soldoniero, e suo fratello Federico di Strassoldo da una parte, e i loro primi cugini Zuan Iosefo e Bernardino di Strassoldo dall'altra. È un classico esempio dei problemi provocati delle proprietà detenute in fraterna da fratelli e cugini agnatizi, che potevano trasformarsi in una causa di faida tra parenti. Secondo Soldoniero e Federico, Zuan Iosefo si era appropriato di una quota maggiore del dovuto del reddito prodotto dalle proprietà detenute in fraterna dai loro rispettivi padri: i due fratelli intentarono una causa contro il cugino, ma per vendicarsi della denuncia Zuan Iosefo uccise Federico. Era il 4 ottobre 1561, e Federico stava rientrando da Belgrado, un borgo di mercato, alla villa di famiglia, dove stava per cominciare la vendemmia. La strada attraversava una delle tante piccole enclaves che il Sacro Romano Impero deteneva in Friuli (gran parte della regione era invece soggetta all'autorità della Repubblica di Venezia). Accompagnato da tre bravi, Zuan Iosefo si nascose a lato della strada, nel fossato che divideva due campi di sorgo e che costituiva il confine tra i territori veneziani e quelli imperiali. All'avvicinarsi di Federico, gli assassini uscirono 2 Ho già analizzato la vicenda in Muir, 1994, 72-76. 15 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIAALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 dal nascondiglio e gli spararono con una pistola, finendolo poi con una serie di colpi alla testa. Uno dei servitori della vittima riuscí a fuggire in un campo vicino, da cui osservo gli assassini trascinare il corpo oltre il fossato, all'interno del territorio imperiale - cosí da essere certi che il caso non sarebbe finito nelle mani delle autoritá veneziane. Súbito dopo gli assassini ripararono nel territorio di Venezia, dove non avrebbero potuto essere arrestati senza creare un incidente diplomatico tra la Repubblica e l'imperatore, che era particolarmente suscettibile anche al solo segno di una possibile violazione da parte di Venezia dei suoi poteri giurisdizionali in quella contesa regione di confine. Si poneva un doppio problema: chi doveva vendicare la morte di Federico, e quale ruolo potevano avere i tribunali nel perseguire gli assassini? Il figlio della vittima aveva solamente dieci anni, quindi il naturale vendicatore era il fratello di Federico, autore della cronaca. Soldoniero pero ignoro l'obbligo e decise di rivolgersi alle autorita legali: ma a chi rivolgersi, al capitano imperiale di Gradisca o al luogotenente di Venezia a Udine? La giurisdizione formale apparteneva al capitano imperiale, quindi Soldoniero si rivolse in prima istanza a lui; due settimane piu tardi gli assassini furono banditi dal territorio dell'impero e la loro proprietá fu confiscata. Zuan Iosefo e i suoi bravi avevano pero giá riparato nel territorio veneziano. Il luogotenente di Udine si rifiuto di agire, perché non aveva giurisdizione sulla vicenda; Soldoniero si rivolse allora alla stessa Venezia, dove il suo caso si trovo a passare dal Consiglio dei Dieci al Senato, dagli Avogadori de Comun alla Quarantia. Nessuno di loro decise di emanare un atto d'accusa, perché il caso non ri-cadeva nella giurisdizione della Repubblica e c'era il pericolo di uno scontro diplomatico con l'imperatore. Gli sforzi di Soldoniero per spingere i veneziani a considerare il caso non lo lasciarono solo frustrato, ma finirono per creargli anche dei problemi giudiziari: le corti imperiali lo misero sotto infatti accusa per lesa maesta. Se dobbiamo credere a quanto racconta Soldoniero, in questa storia abbiamo un individuo che voleva evitare la faida e affidarsi al sistema legale per ottenere una riparazione, ma che viene ostacolato dalle inefficienze dei tribunali, dalle considerazioni politiche e dalle sensibilitá diploma-tiche. Dopo aver perorato per molti mesi la sua causa a Venezia e a Vienna, Soldoniero riuscí a far bandire gli assassini sia dai territori veneziani sia da quelli imperiali, oltre che a far confiscare i loro beni. Essendo uno degli eredi della vittima, Soldoniero ricevette un quarto delle proprietá di Zuan Iosefo, ma venne pesantemente gravato di tasse da pagare: ai suoi lettori voleva mostrare proprio che, accettando l'autoritá della legge, aveva finito per ritrovarsi ingabbiato in una situazione impossibile, da cui era riuscito a liberarsi solo al prezzo di grandi difficoltá e grosse spese. Il problema della concorrenza di giurisdizioni diverse era forse particolarmente sentito in Friuli, ma non era certo raro nell'Europa della prima eta moderna: quasi chiunque avesse scelto di rinunciare alla vendetta personale o familiare per ricorrere ai tribunali avrebbe potuto andare incontro a un'esperienza di giustizia negata. Ad esempio, Stuart Carroll ha mostrato che in Francia la maggior parte delle cause venivano abbandonate prima della sentenza, e se pure una sentenza era emessa veniva raramente applicata (Carroll, 2015). L'arresto di Zuan Iosefo non riscattava quello che per Soldoniero era ancora un debito di sangue. Pur trattandosi dell'uccisione di suo fratello, si rifiutava di riscuotere lui stesso il debito: passo la responsabilitá al nipote Zuan Francesco, figlio della vittima, che non 16 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIA ALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 avrebbe potuto evitare una "vendetta onorabile" per l'omicidio. A questo punto il ragiona-mento di Soldoniero si fece molto egocéntrico. Il ragazzo, scrisse, sarebbe alla fine stato costretto a riscuotere il debito di sangue, ma in quanto unico erede della proprieta con-giunta di Soldoniero e Federico avrebbe potuto mettere a rischio il patrimonio dell'intera famiglia. Se avesse ucciso Zuan Iosefo, Zuan Francesco sarebbe stato infatti certamente esiliato e i suoi beni sarebbero stati confiscati. Dal canto suo, Soldoniero era scapolo e non aveva figli. Decise quindi di sposarsi, cosi da generare un erede maschio che avrebbe potuto ereditare l'intero patrimonio, indipendentemente dalle azioni di Zuan Francesco. Nei calcoli di Soldoniero l'affidarsi al sistema legale ufficiale, il mantenere le proprieta della famiglia e il tutelare l'onore personale costituivano diverse variabili all'interno di una stessa economia familiare degli scambi, in cui ogni movimento in una delle tre aree di interesse provocava delle conseguenze nelle altre due. Gravi contraddizioni tra gli imperativi determinati da questi interessi posero Soldoniero di fronte a una serie di dilemmi. Dopo l'uccisione di Federico, Soldoniero sarebbe stato visto come codardo se si fosse rivolto al sistema giudiziario per ottenere una riparazione, ma se avesse cercato la vendetta con un atto di violenza avrebbe potuto perdere i suoi beni ed essere costretto all'esilio; d'altro canto se non avesse fatto nulla si sarebbe mostrato privo del coraggio richiesto a un gentiluomo. Anche quando provo ad affidarsi alle corti, Soldoniero venne fortemente ostacolato da conflitti giurisdizionali e dalla politica internazionale. In effetti, aveva previsto con esattezza ció che accadde quattordici anni dopo il primo omicidio: Zuan Iosefo fu sorpreso da Zuan Francesco mentre si nascondeva nel suo castello di campagna e venne decapitato; le corti veneziane esiliarono l'assassino e confiscarono i suoi beni. Il giovane aveva si tutelato l'onore della famiglia, ma nelle vicende legali che ne seguirono suo zio perse alcune delle loro terre. La complessa strategia di Soldoniero per ritardare e trasferire al nipote l'obbligo di vendetta falli, almeno in parte - per molti versi era una strategia destinata a fallire. Cercando di ingaggiare una faida e allo stesso tempo rispettare la legge, Soldoniero si era messo in una posizione insostenibile lungo lo spettro della faida, una posizione piena di pericoli da ogni punto di vista. Da un lato doveva prendere parte con onore alla faida, dall'altro doveva rispettare la legge: ogni volta che questo dilemma imponeva una scelta ne seguiva una perdita, non un guadagno. Lungo lo spettro della faida, all'estremo opposto rispetto ai monti dell'Albania si puó trovare la sede della fonte ultima della legge in Europa occidentale, il trono del Sacro Romano Impero. Nel Medioevo e nella prima eta moderna nessun imperatore esercitó un'autorita sovrana legittima maggiore di quella di Carlo V d'Asburgo. Puó dunque apparire un ossimoro sostenere che l'imperatore si sia fatto giustizia da solo portando avanti una faida privata, ma di recente Stefano Dall'Aglio ha dimostrato proprio questo (Dall'Aglio, 2011). Quella che Dall'Aglio chiama "la vendetta dell'imperatore" consiste nell'omicidio a scopo di ritorsione di Lorenzino de' Medici nel 1548. Undici anni prima Lorenzino aveva assassinato il cugino Alessandro de' Medici, primo duca di Firenze e nipote di Carlo V, che aveva giurato obbedienza all'imperatore quando era stato nominato duca. Lorenzino poteva forse aver agito per restaurare la liberta di Firenze, ma il succes-sore di Alessandro, il duca Cosimo de' Medici, consolidó la presa della sua famiglia sulla citta e confermó il predominio asburgico in Italia. Il compito di vendicare l'uccisione 17 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIAALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 di Alessandro avrebbe dovuto spettare a Cosimo, suo erede politico - ed è esattamente quanto fu presunto dai contemporanei e dagli storici successivi. Dall'Aglio invece di-mostra che Cosimo mantenne un ruolo passivo nei confronti di Lorenzino; furono gli uomini dell'imperatore a complottare per undici anni contro quest'ultimo, e "fu Carlo V a richiedere espressamente la pianificazione e l'esecuzione dell'omicidio e a dare il relativo via libera, [...] furono tre rappresentanti delpotere imperiale nellapenisola [...] a tradurre in azione i suoi ordini provenienti dalla Baviera" (Dall'Aglio, 2011, 246). "A dispetto della letteratura storiografica tradizionale, che ha sempre parlato solo ed esclusivamente di 'vendetta medicea'e di 'sicari di Cosimo'", conclude Dall'Aglio, "mi sembra che si debba parlare di vendetta dell'imperatore Carlo V" (Dall'Aglio, 2011, 247). In effetti quello di Lorenzino non fu l'unico caso in cui Carlo V organizzó l'assas-sinio di un suo nemico in Italia: la lista delle vittime uccise per tramite del governatore di Milano Ferrante Gonzaga include Pier Luigi Farnese, duca di Parma, Piacenza e Castro (venne ferocemente pugnalato a morte e appeso da una finestra del suo palazzo di Piacenza); Francesco Burlamacchi, decapitato a Milano per le sue attività anti-imperiali; e Giulio Cibo Malasina, giustiziato per un complotto a favore dei francesi. Come questi personaggi, Lorenzino fu assassinato perché aveva osato sfidare Carlo V, ma anche perché aveva attaccato direttamente la famiglia dell'imperatore uccidendone il nipote. Carlo V si assicuró che l'omicidio venisse ufficialmente ricondotto alla ragion di stato e non a una vendetta privata, e per questo cerco "di attribuire al titubante duca fiorentino tutto il 'merito'per aver fatto giustizia dell'assassino del suo predecessore" - una copertura che ha finito per distorcere la ricostruzione storica degli eventi (Dall'Aglio, 2011, 250). Dunque persino l'imperatore poteva prender parte a una faida di sangue, anche se la sua posizione augusta lo costringeva a mascherare le sue motivazioni, la sua sete di vendetta e la sua volontà di impiegare dei sicari per fini personali. Naturalmente nel caso di Carlo V è forse artificiale il tentativo di separare troppo nettamente la sfera politica da quella personale: la sua capacita di comandare derivava non solo dai poteri assegnatigli dalla legge ma anche dalla sua reputazione personale - come avrebbero riconosciuto i teorici politici dell'epoca, primo fra tutti Machiavelli. Il montanaro albanese, il nobile friulano e l'imperatore si trovavano tutti di fronte a una simile costruzione culturale della faida: l'assassinio di un membro della famiglia richiedeva una risposta di pari valore; il tempismo e il carattere della risposta influivano sull'onore del vendicatore e della sua famiglia; e quell'onore costituiva una forma di capitale sociale e politico sotteso a una determinata posizione sociale. Cio nonostante, lungo tutto lo spettro della faida gli attori erano liberi di fare delle scelte, anche se alcune scelte erano più obbligate di altre. Gjorg Berisha, il giovane giustiziere albanese del romanzo di Kadaré, non vedeva nessuna alternativa al destino prescrittogli dal Kanun, ma esercito il suo arbitrio ritardando la vendetta il più a lungo possibile. Al contrario, Soldoniero di Strassoldo si sforzo in tutti i modi di ricorrere alle procedure giuridiche che dovevano servire a rendere obsoleta la faida - ma alla fine la giurisprudenza abbandonó lui e il nipote, che una volta adulto uccise l'assassino del padre. Ci si potrebbe aspettare che nel sedicesimo secolo nessuno fosse più libero dell'imperatore di scegliere il proprio corso d'azione, ma persino lui si senti costretto a compiere una vendetta privata e clandestina 18 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIA ALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 contro l'assassino del nipote. L'uccisione di Lorenzino nel 1548 non chiuse la questione, e la faida tra sostenitori e oppositori dei Medici si trascino per decenni con una serie di attacchi e vendette. Indipendentemente dalla loro collocazione lungo lo spettro, tutte queste faide si ap-poggiavano su narrazioni e racconti esemplari su eventi del passato che delimitavano le altemative morali a disposizione. In definitiva, potremmo riformulare la famosa frase di Max Gluckman sulla "pace nella faida" con la "faida nella storia" - cioe in quelle storie che la tenevano viva, comprese le storie registrate nei documenti giudiziari che stigmatiz-zavano il valore culturale della vendetta. Queste storie avevano un grande potere, perché riuscivano a evocare emozioni forti e a spingere all'azione anche molto tempo dopo la specifiche circostanze storiche che avevano innescato la faida. La sconfitta nella battaglia di Culloden nel 1746 mise una pietra sopra la causa dei giacobiti nelle Highlands; la mia nonna scozzese non visito mai le Highlands fino a un'etá avanzata e - pur essendo altri-menti mite - mi crebbe coi racconti di "Bonny Prince Charlie" e col fiero ammonimento "non fidarti mai di un Campbell". E io non mi sono mica mai fidato. Traduzione: Lorenzo FERRARI 19 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 1 Edward MUIR: LO SPETTRO DELLA FAIDA: DAI MONTI DELL'ALBANIAALLA CORTE DI CARLO V, 11-20 FONTI E BIBLIOGRAFIA Bourdieu, P. (1977): Outline of a Theory of Practice. Cambridge, Cambridge University Press. Brown, K. M. (1986): Bloodfeud in Scotland 1573-1625: Violence, Justice and Politics in an Early Modern Society. Edinburgh, John Donald. Carroll, S. (2015): Vendetta in the Seventeenth-Century Midi. Krypton, 5/6. Scaricato da Roma Tre E-Press, 16 marzo 2016. Dall'Aglio, S. (2011): L'assassino del Duca: Esilio e morte di Lorenzino de' Medici. Florence, Olschki. Dean, T. 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