ANNO XVII. Capodistria, 16 Maggio 1883. N. 10. PROVINCIA DELL'ISTRIA Ksce il 1" »d il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per hit amie fior. 3; semestre e quadrimestre iu pruporaioiie. — Gli »b*ioiiampnti bi ricevono presso l» lifiiitxioue. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — D» numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. A PARENZO La Società agraria venne convocata al tredicesimo congresso generale nella città di Parenzo, pel giorno 26 corrente. Vogliamo credere, che tutti gl'Istriani sieuo compenetrati della necessità urgente di trovarsi in quella città per risolvere una volta le quistioni sociali, da tanto tempo, con gravissimo danno e disdoro tenute in sospeso; e per cogliere 1' occasione di intendersi intorno alla possibilità e opportunità di costituire un' associazione politica, e mettersi d'accordo per le prossime elezioni dieta li. Crediamo inutile di aggiungere le solite frasi di esortazione ; perchè, se in questi momenti i patrioti non sentissero il bisogno, anzi l'urgenza di adoprare tutta la loro attività e autorità, certo le povere nostre parole non basterebbero all'uopo. CORRISPONDENZE Ci scrivono : A proposito della legge Bulat nell'Istria, un nostro egregio comprovinciale mi scrisse tbinpo fa intorno a ciò che riguardano le agitazioni slave nell' impero d' Austria e alla influenza che potrà risentire la nostra provincia, — e mi domanda : cosa faremmo noi qualora fra qualche tempo Capodistria venisse ufficialmente chiamata Kopra, se nel ginnasio la lingua d'insegnamento diventasse la croata, e si udisse parlare croato alla Dieta ? — Cosa faremmo ? — Ciò che abbiamo fatto quando dai più credevasi che Capodistria fosse una città della Dalmazia, e, con frase tante volte ripetuta, che l'Istria fosse un paese perduta nell' Arcipelago delle Mollucche. Certo più di quello che oggi si faccia ; e che i fermi propositi con manchino, lo sanno anche i nostri avversari. Ma come impedire e scongiurare le offese? Abbiamo forse i cannoni e le bajonette? 0 la forza del numero nella Camera dei deputati ? Ecco il caso d' oggi : Il Parlamento ha votata la legge Bulat, per cui d' or' innanzi, anche nell' Istria — „le parti ed i loro patrocinatori hanno da servirsi ne' loro atti davanti ai giudizi, di una delle lingue usitate nel paese." Quanto ha giovato che vi si opponessero la parola eloquente delTonor. Millevoi, ed i voti degli altri deputati dell' Istria, meno quello dell' ouor. Vitezicb, il quale rappresenta gli slavi uniti ammiuistrativamente alla nostra provincia, ma che stanno di là dei suoi confini naturali ? E quanto ha giovato F esistenza delle condizioni di civiltà, tutta italiana, non posta in dubbio dagli stessi avversari, perchè sarebbe loro impossibile il f.Ulo ; 1' esistenza delle sue consuetudini secolari nel trat are tutti gli affari, anche da parte dei contadini di, 'rigine slava, nella lingua italiana, che tutti conoscono? Nulla ha giovato! Gli Slavi hanno la preponderanza nel governo dell'Impero, e se ne prevalgono. Ma queste deliberazioni, ed altre anche più ingiuste, se possibile, che recheranno, senza dubbio, imbarazzi alla pubblica amministrazione, muteranno poi le condizioni in seno alla provincia stessa ? Forse che il nostro povero contadino, il quale vive della nostra vita, avrà tempo e voglia di abbandonare il suo magro campicello, per entrare in quello delle bizze naziouali e linguistiche? 0 muteranno le nostre condizioni di fatto? Sarà dopo ciò, raso al suolo il Monte Maggiore e riempiuto il Quarnero con dolce pendìo fino alle mura di Zagabria ? I diritti nostri acquisiti, tenuti d'occhio e difesi, abbiamo fede sicura, checché si dica e sembri, dove si ha tutto l'interesse che rimangano intatti, sarebbero forse distrutti dal voto di una maggioranza d'oggi? E se arrivassero perfino a coprire i nostri leoni di marmo con la scritta di Kopra, sarà perciò forse disperso il nome di Capodistria? Nò! — Che se anche ciò avvenisse, non perderemmo mai la fede nella nostra causa. Lottiamo! ma non si creda giammai al Finis Histriae. (r) Visignaw, 12 maggio. Da più anni l'angina antracica ne'suini invase la nostra provincia, iu modo da quasi distruggere la razza indigena, ed apportando non lievi danni all' economia rurale e domestica. In tali condizioni, sia il piccolo ette il grande possidente deve acquistare ogni anno dai mercadauti girovaghi i necessari animali di razza stiriana o croata, siccome quelli che restano immuni dalla malattia devastatrice. E qual danno sia questo per l'Istria, Io si può desumere dai dati statistici di siffatti animali, introdotti per l'ingrasso durante 1' ultimo ed il primo triennio di ciascun anno. E valga il fatto seguente : I possidenti del Comune locale di Visignano acquistano ogni anno circa ottocento majali iu inedia, i quali pagati f.ni 15 1' uno, importano la somma di f.ni 12000, che confrontata con quelle del resto dell'Istria, basta a dimostrare il grande importo che esce ogni anno dalla provincia nostra. Quando invece si rifletta, che non molti anni addietro avvenivano compravendite in gran copia di majali indigeni fra luogo e luogo dell' Istria, senza bisogno di essere importati dalle altre provincie, la differenza dell' attuale condizione non può non dare motivo a seri riflessi, tanto più quando migliaja di fiorini escono necessariamente dall' Istria, a grave danno della sua domestica economia. A tanto male si dovrebbe porre un argine, per evitare una nuova rovina, la quale, unitamente alle altre che ci sovrastano, specie alla fillossera, ci renderà presto nell' impossibilità di procurarci colla minore spesa l'indispensabile alla vita. E quanta utilità ritragga dalla carne suina, affumicata e salata, la così detta scarpa grossa, torna qui superfluo ripetere. Le misure già prese dalla società agraria a migliorare !a nostra razza bovina ed equina, dovrebbero eccitare a fare altrettanto della razza suina. E cos! vien fatto iu quei paesi dai quali si esportano iu gran numero tali animali; che altrimenti si troverebbero anche quelli in pari condizione. E certo, che le norme dovrebbero essere fissate da persone pratiche in materia; purché chi sta a capo del pubblico benessere e dei Comuni, vi provvedesse con saggie leggi, conducenti direttamente allo scopo di migliorare e conservare tra noi la razza suina. Et hoc est in votis ! G. B. Buriana cV Istria, 13 maggio È molto tempo che non ho il piacere d'indirizzare qualche mio povero scritterello a codesto riputato periodico ; ma se non lo faccio lo si attribuisca solamente alla mancanza di notizie che possono interessare il lettore. Del resto io attendo sempre con impazienza l'arrivo della Provincia, perchè vi leggo sempre qual-checosa riferentesi ad argomenti letterari, storici, economici ed amministrativi — di comune utilità. E poi io sono abbonato assiduo di cotesto periodico fino dal suo nascere: la bagattella di anni diecisette; vale a dire per 1' esiguo importo di fiorini cinquantuno, che non mi pento nè mi pentirò mai di avere sborsato. Vengo a bomba. Nel penultimo numero della Provincia, mi fermai alquanto sulla domanda diretta a pag. 72 ai cultori di studi letterari e storici dell' Istria. Benché io non sia che uu semplice orecchiante, pure ho detto subito a me stesso : Tocca a te, Bastiano, a te concittadino di Pietro Stancovich. Sì? Ma come fare colla grande penuria di libri che abbiamo qui iu Bar-bana?... Ah, l'ho trovata! Compulsa quell'emporio di notizie, ricco di tremila e sessanta numeri illustrati, che è il Saggio di Bibliografia Istriana, compilato dal professor Carlo Combi e pubblicalo nel 1864 a spese di una società patria. Corro subito al piccolo scaffali de' miei libri, prendo 1' opera e, apertala, trovo ne copiosissimo Indice delle persone (2270 circa) il noma venerato dell'illustre mio coucitiadiao monsignor Pietn Stancovich. E sì bene ordinato questo Indice che rinvenuto il cognome dell' autore si rinviene in, un momento il titolo dell' opera, segnata con numero progressivo. Qui prima di andare innanzi, mi correrebbf l'obbligo di tributare la mia gratitudine al compilatore dell'opera, se chi sa fare di cotesti libri avesse bisogno della gratitudine di uu povero sgorbiacarte. Mi basti solo ricordare che il Saggio di Bibliografia Istriana s'ebbe il plauso dei dotti italiani, tra cui primissimo Nicolò Tommaseo, il quale scrisse anzi una bella let-j tera all' autore ... Ed ora tomo alla domanda della Provincia. Neil' opera adunque del Combi ho trovato! la chiave dell'enigma e precisamente a pagine 32, numero 234, a pag. 33, 34, numeri 243 e 246. Nella prima si legge così: Trieste non fu villaggio carnicci ma luogo dell'Istria, fortezza e colonia de'cittadini romani, del canonico Pietro Stancovich ; in 8, di pag. 31, — Venezia, Picotti, 1830. Passando alle pagine 33, numero 243 si legge:! Osservazioni critiche sull'opuscolo del signor canonico Stancovich, intitolato Trieste non fu villaggio caruicoj ma luogo dell' Istria, distese da un dalmata. Un volume in 8. — Padova, tipi della Minerva, 18-32. E chi è questo dalmata? Tbat is the questioni direbbe Amleto. Qui però 1' enigma non è così inviluppato come quello dell' essere o non essere ; chè anzil lo scioglimento ce lo dà lo stesso autore del Saggio! di Bibliografia Istriana. — Nella pag. 33 al numero 246 si legge: Il ciabattino pattinista. Dialoghi critici, serio-] faceti di Veranzio Istina Dalmatino con Andrea Mo-, j retto detto Memoria, sopra alcuni punti di morale, di ; i grammatica, di erudizione, di storia, di geografia, di I rettificazione di alcuni testi di classici greci e latini, j j dei confini dell' Illirico, dell' Istria e dell' Italia, degli Slavi, dell' origine dei Frigi, Italiani e delle Deità mitologiche, dell' abuso delle etimologie, e della lingua primitiva pretesa la Slava ecc. (anche l'eccetera?) in confutazione alle Osservazioni critiche sull'opuscolo! del signor canonico Stancovich intitolato Trieste non fu villaggio carnico, distese da un dalmata. Padova, dai tipi della Minerva, 1832. Un volume, in 8, di pag. 206. — Venezia, tipografia Alvisopoli, 1833. E così chi è Cameade? cioè chi è questo siorì Veranzio Istina Dalmatino? Scioglimento della lunga sciarada: — VeranzioI Istina, l'autore dei Dialoghi critici, serio-fa... ("risparmio al lettore la filatessa degli altri nomi) è: Il canonico Pietro Stancovich di Barbana Pur troppo non posso insuperbire della scoperta, perchè ho trascritta la notizia tal quale è stampata a pag. 34 del più lodato Saggio di Bibliografia Istriana. E perchè Veranzio Istina si dice Dalmatino, quando I è pseudonimo di Pietro Stancovich istriano da Barbana? Non la credo una bizzarrìa dell'autore, ma forse uno studio di tenersi nascosto per non apparire autoapologista o difensore in causa propria. Del resto Veranzio Istina o d'Istina è, come ognun vede, un lieve anagramma di Venanzio d' Istria, che non può essere quindi della Dalmazia ; e la ragione Chi non la vede, chi non la sa ? B. b. ^T etisie Il 22 maggio, giorno anniversario della morte di Alessandro Manzoni, verrà inaugurata in Milano la sua statua, opera del celebre Barzaghi. Leggiamo nel ^Trovatore", giornale artistico teatrale che si pubblica in Milano, il seguente brano ri-sguardante il nostro Giovannini: „I1 bravo, quanto modesto, prof. Alberto Giovannini ha fatto eseguire dalla Società Corale, da lui così bene diretta, 1' Atalia di Mendelsolin, e si è meritato insieme agli applausi unanimi di tutto quel numeroso pubblico, 1' ammirazione di valenti musicisti accorsi al Conservatorio, per esercitare la carità cristiana di trovare il pelo nelV uovo. Ma 1' esecuzione di tutti i pezzi nei quali era divisa 1* Atalia, fu inappuntabile. Ottimi i mezzo soprani, i tenori ed i bassi, eccellente l'affiatamento." Anche il Filippi uella „Perseveranza" tributava parole lusiughieie al nostro Giovannini, delle quali rechiamo le seguenti : „Da una buona prova che ho udita di questa Atalia, mi pare che si possa presagire per questa sera uu' interpretazione fedele, calorosa, uella quale tutti gli esecutori avranno là loro parte di merito. Primo di tutti il maestro Giovannini, che ci mise quella eura, quella passione, quell' iutelligenza che occorrono: ed è anche molto sicuro al suo posto di direttore di un'orchestra, uella quale vi sono i più chiari professori della Scala." L'egregio nostro concittadino avv. A. Vidacovich ha dato in questi giorni le sue dimissioui da presidente della Società del Progresso in Trieste, dichiarando, tra gli applausi calorosissimi dell' adunanza, che, sebbene affievolito di salute, non intende mettersi „nel corpo degl' invalidi, ma bensì di entrare nelle file di quella vecchia guardia, che in ogni incontro ha fatto e farà .sempre il proprio dovere." A nuovo presidente, degno di sostituire pienamente il posto lasciato vacante dall' avv. Vidacovich, venne eletto altro egregio patriota uella persona del giovane avv. Bartolomeo De Rin, figlio di quel grande e compianto nostro comprovinciale, che si meritò il nome glorioso di Aristide Triestino. Cose locali Lo Stabilimento tecnico triestino che incominciò or sono quindici anni e mantenne sempre con lode un attivo servizio a vapore tra qui e Trieste, ha ora cessato l'esercizio, verso un equo compenso, a favore della società cittadina, postasi in concorrenza da circa un anno. Per quanto sappiamo, il compenso consisterebbe in una somma fissa da pagarsi per cinque anni, e nell'obbligo di acquisto di un vapore dello stesso Stabilimento a prezzo fatto dal medesimo. Cessata la concorrenza, chi ne perderà sarà il pubblico; ma se pensiamo che il pubblico è composto in gran parte di cittadini e che questi, purché lo vogliano, possono farsi azionisti, il vantaggio, ad ogni modo, finirà nelle loro saccoccie. Una distinta gentildonna istriana, assidua cultrice delle lettere, ci regalava il seguente pregevolissimo suo dettato, che pubblichiamo volentieri, porgendo in pari tempo alla cortese donatrice i nostri sentiti ringraziamenti: UNA SCORSA j ali' esposizione artistica internazionale di Roma Dopo aver visitato le più splendide pinacoteche di Roma, dopo essere rimasti estatici dinanzi ai capolavori di sommi maestri dell' arte italiana, si entra sotto le volte del palazzo dell'esposizione artistica, con una certa diffidenza, quasi preparati a subire delle amare delusioni. Ma procedendo in quelle vaste sale, questo sentimento va lentamente dileguando per lasciare il posto ad una sensazione gradevolissima di sorpresa e di ammirazione. Infatti l'arte italiana vi è rappresentata stupendamente; vi ha un gradino enonne tra questa e l'esposizione di Milano dell'81.—-i Pochi sono gli stranieri che hanno concorso a I questa mostra, ma fra questa, vi sono dei bellissimi uomi e delle opere distinte. Tali e tante però sono le opere distinte che si aggruppano in 'questo tempio dell' arte', òhe, troppo sarebbe lungo e difficile l'osservarle tutte ed impossibile il* parlarne ; bisogna dunque accontentarsi di fare j una scorsa per le sale, fermandosi, qua e là, ; dove l'attenzione si arresta. La sezione della scultura è ritenuta, in generale, meno ricca e meno ben riuscita che quella della pittura, Per quanto però sia giusto questo giudizio, debbo osservare, che la prima è stata molto meno fortunata della seconda nella disposizione e nei locali. Le sale terrene che contengono la scultura, meno la rotonda, hanno un certo che di troppo nudò, di troppo squallido ; una tinta uniforme sulle pareti e sul soffitto, non un ornato che ne rompa la monotonia, non un po' di verde che dia risalto allo smagliante candore dei marmi. Non già che, preso parte a parte ogni lavoro di merito, nou possa ugualmente essere giudicato, come va giudicato, ma l'impressione generale, da quell'aria fredda di squallore ne soffre. È ben vero che non molti sono i gruppi grandiosi e che vi abbondano i soggettini convenzionali ed i busti; ma anche fra questi ve ne sono molti di bellissimi. Ti colpisce fra gli altri un busto di Dies, che rappresenta il povero Cossa; in quel marmo egli ti sembra redivivo. C'è poi una „Vanità" di Alessandro Rondoni, carica di trine, di giojelli, di piume, ma ha un visino così gentile, un' espressione così graziosa, così civettuola che, davvero, ha tutto il diritto di essere vana tra le vanità. Nella grande rotonda, dopo aver ammirato alcuni gruppi imponenti, ti arresti, senza sapere il perchè, dinanzi ad un gruppetto di due teste, quella di Dante e quella di Beatrice. Beatrice tiene rivolto il viso calmo e sereno verso il cielo e Dante la guarda. Mai non vidi riprodotta, sul viso severo del sommo poeta quell'espressione di estasi e di amore così profonda, così vera, come iu questo lavoro ; si osserva pure in esso un modo del tutto particolare nella esecuzione, una certa sfumatura nei tratti, che ricorda i dipinti del Cremona, e, che si adatta perfettamente all' argomento, che sta tra cielo e terra. L'autore di questo interessante gruppetto è Lorenzo Vergnano da Cambiano. Bellissima, fra le statue a grandezza naturale, è lo sveglio dell' aurora di Adolfo Megret, da Parigi. Rappresenta una donna nuda; non ha rose nè manti, nè carri intorno a sè ; sta in piedi ma, da tutta la posa del corpo si capisce che r'eve essersi alzata in quel punto; tiene il busto arrovesciato all'indietro, e con una mano, si aUoji-tana dalla fronte la chioma foltissima e cadente, ha le labbra semiaperte e gli occhi sbarrati, come chi si desta improvvisamente dal sonno. È bella, divinamente bella per la voluttuosa rotondità delle forme, per la seducente mollezza della posa, per 1' espressione irresistibile del volto. L'autore nel dare gli ultimi colpi di scalpello a quell' opera, deve certo essersi ricordato di Pigmalione. Un gruppo che colpisce per la novità dell'argomento e, pel pensiero profondo che rivela, è quello iu gesso di Rinaldo Carmelo (da Bia-dene) intitolato Dio non posso pregare!. Vedi un frate, giovane ancora ma sfinito, le cui membra magre, consunte si accasciano sotto il peso del ruvido saio. È abbandonato sull'inginocchiatojo in una posa di supremo sconforto ; ai suoi piedi sta il breviario aperto sfogliato, che gli è caduto allora, allora dalle mani. Il suo capo raso sporge dal cappuccio, la faccia, che ha l'impronta dell'estenuazione, è rivolta al cielo, la bocca è aperta come se parlasse. Il povero frate ha tanto sofferto, ha tanto lottato, ha cercato la forza per vincere, nella preghiera, ma invano, egli non può più lottare, non può più pregare e, disperato, confessa a Dio la sua debolezza. Il gruppo in marmo di Enrico Chiaradia intitolato: Peccavi! è un lavoro semplice, senza punti di richiamo, la cui bellezza sta tutta nel-l'espressione. Rappresenta una donna giovane e bella ma non fiorente, vestita non già di cenci ina, con quella cruda semplicità che rasenta la miseria ; sta ritta in piedi e, sulle braccia intrecciate, tiene sospeso un bel bimbo di circa un anno; ella non guarda il figlio tiene gli occhi fissi nel vuoto, ma in quegli occhi dove stanno per raccogliersi le lagrime, si legge un dolore acuto, profondo, un pensiero ardente di rimpianto. Il bimbo si aggrappa con le manine rotondette al collo della mamma e, alzando la testina verso di lei, la guarda, la fissa, con quello sguardo scrutatore ed acuto, che hanno talvolta i bimbi, e nel quale trapela uno sforzo d'intelligenza, dì molto superiore alla loro età. Questo lavoro, come quello del Proximus tuus, del d' Orsi, fa pensare. L'uomo che abbia nel suo passato il rimorso d'un abbandono, non potrà vederlo senza fremere. La sala delle terre cotte è un incanto ; piena di gruppetti uno più piccante dell' altro, di figurine snelle, slanciate, provocanti ; e in mezzo a tutto questo brio, a questo chiasso, alcune figure d'un verismo che fa rabbrividire. Prima fra queste: „Miseria e Sofferenza" di Salvatore Mira. È il busto d'una vecchia a cui la camicia lacera, cadente lascia vedere le spalle, sulle quali si possono contare le vene e i tendini. Opera troppo perfetta, spaventevole. Più commovente è il gruppo di Massarenti, intitolato : Babbo ho fame ! Il povero babbo vestito miseramente, mezzo lacero, sta tutto raggomitolato sovra una vecchia seggiola, sulle sue ginocchia sta rannicchiato un bimbo; seduta sul terreno vicino a lui, una bimba più grandicella ; questa volge il suo visino scarno e supplichevole verso il padre, e pronuncia le strazianti parole. L' espressione di quelle tre figure fa venir freddo. Chi le ha modellate deve avere sofferto, o visto soffrire molto da vicino; in ogni modo deve avere un' anima profondamente pietosa. Nella sala dei bronzi vi sono pure molti gruppi e figure di mezzana grandezza. Fra questi si distingue „La morte di Moro-sini all'assedio di Roma, 1849". L' eroe è già caduto, ma fa uno sforzo per rialzarsi, vibrando ancora con una mano la spada, il suo volto non ritrae lo spasimo della morte, ma unicamente, il dolore e la rabbia della sconfitta. Questo è uno dei pochi argomenti patrio-tici di cui, giustamente si deplora la mancanza. Un altro lavoro, in questa sala arresta l'attenzione del pubblico ; è un frammento che pare antico, rappresentante una Saffo. Non è la solita Saffo, con la lira in mano, che sta per gettarsi dallo scoglio di Leucade, questa ha già subito il suo fato, è tra le onde, ha il corpo e le braccia tronche, la testa arrovesciata, come fosse trascinata in giù dal peso della chioma sciolta, le labbra sono semi aperte, gli occhi semichiusi, è morta; però in quel volto irrigidito, si intravede ancora l'ultimo pensiero d' angoscia che l'ha spinta giù, nell' abisso. L'autrice di questo bel lavoro è la Sig. Adelaide Maraini, donna gentile che, oltre ad uno splendido ingegno possiede quell' espressione di schietta bontà e quella semplice soavità di modi, che si trovano soltanto nella buona madre di famiglia. Tra le statue in bronzo dì grandezza naturale quella che porta la palma è Fossor, di Emilio Franceschi, nome distinto, che brillò all' esposizione di Torino, per un lavoro splendido, la St. Eulalia. L'argomento del Fossor è legato a quello; rappresenta un becchino che sta incidendo la parola: Martyr sulla tomba della vergine. Il corpo nudo dell' uomo è modellato stupendamente, quel volto rozzo e ruvido esprime la preoccupazione del lavoro materiale che la mano sta compiendo. Il giudizio universale ha scritto sotto questo bronzo : capolavoro. A parte si trovano le sale dell'arte retrospettiva. È una raccolta ristretta di quadri di celebri autori defunti, o, già vecchi. Sono tutti d' un merito indiscutibile ed hanno già figurato in varie esposizioni. Ci sono quadri del Cremona, del Podesti, del Zona, del Celentano, dell' Ussi ; dell' Hajez. L' Ussi ha il famoso quadro : La cacciata del Duca d' Atene ; quadro di cui s' è tanto parlato, e che ha riportato la palma alla prima esposizione di Parigi. TI Celentano ha due quadri, uno dei quali m' ha colpito profondamente. Rappresenta il Consiglio dei dieci che sta passando pel cortile del palazzo ducale. Quelle dieci figure brune, irte, severe spiccano così vivamente nel fondo grigio, marmoreo, che ti sembra di vederle incedere, ti par di sentire il suono dei loro passi nel silenzio del vasto cortile. Dopo visitati i locali terreni, si sale per una vasta gradinata di marmo che guida alla galleria. Questa gira tutto intorno alla rotonda del pianterreno e, comunica con essa, per mezzo di quattro grandiose arcate. Quivi sta parte dell'arte industriale; vi si vedono mobili di ogni foggia e di ogni misura. Grandiose credenze e biblioteche intagliate in legno di noce, piccoli stipi intarsiati, divanetti e seggiole in broccato antico ; specchi ovali, sulla cui nitida superficie spiccano delicate ghirlande di fiori, circondati da morbide cornici di peluche, posati sovra snelli cavalietti, ombreggiati da drappi serici. Infatti un' infinità di oggetti di forme varie ed elegantissime, uno più seducente dell'altro. Annesse alla galleria sono le sale delle ceramiche. Molte di questo genere si ammirarono già all'esposizione di Milano nell'81, quelle però che ivi non figuravano, e che sono veramente sorprendenti, sono le ceramiche di Napoli. Achille Mollica e Cacciapuoti hanno degli oggetti dinanzi ai quali si può stare in ammirazione come dinanzi ad un capolavoro. — Vi si vedono piatti enormi con pitture bellissime; vasi dal piede e dal collo snello, con l'aperta bocca riboccante di amorini e di fiori cadenti, con le braccia intrecciate di ghirlande, coi fianchi ricchi di pitture del più fino gusto; vasi enormi, di forma antica, con 1' estremità appuntita, posati sovra eleganti piedestalli di bronzo. C' è un grandioso specchio a giardiniera con gruppi di ninfe, conchiglie, di fiori. Poi, conche ampolle e mille altri oggetti grandi e piccoli; una gara di forme snelle, stravaganti, capricciose, di colori opposti, delicati, smaglianti. Dopo essersi ricreati in questo scompartimento, si passa nelle sale dei bronzi e poscia in quelle delle conterie di Venezia, da noi già tanto conosciute ed ammirate. Da queste si passa finalmente nelle sale della pittura, e qui bisogna far punto per riprender fiato perchè, al primo appressarvisi, si rimane abbagliati e confusi, tanta è la profusione di bellezze che si offre al nostro sguardo. (Continua) Appunti bibliografici Voci dell' anima. Nuovi Sonetti di Alberto Róndanù — Parma. L. Battei Editore 1883. Habent sua fata libelli. Non dispiaccia perciò al mio carissimo amico Alberto Rondani, se imprendo a dire delle cose sue in questo giorna- letto, da un cantuccio dell'Istria. Già a questo siamo ora ridotti : ci sono due o tre vessilliferi che portano in giro una bandiera; intorno a loro si stringe il solito pecorume, e tutti a una voce, si mettono a sbraitare — Ave Rabbi, — 1' arte nuova l'abbiamo fatta noi. E i gioruali consorti a spacciare il grande avvenimento, e i sonatori a gonfiare le gote soffiando nei tromboni : l'araldo, spalancando le imposte del palazzo, che viceversa potrebbe essere anche qualche osteria, annunzia al popolino in piazza — Rabemus Pontificem. Lasciamo passare anche questo carnevale, a moccoletti spenti si rivedranno i conti. Quanti versi in edizioni di lusso, quanti elzeviri andranno a cascare un dopo 1' altro nei cassoni di "Palestina ! E chi vorrà render conto di un dato movimento letterario e giudicare i tempi, dovrà fare qua e là ricerca di nomi, e consultare cataloghi anche in provincia; e si maraviglerà non poco di certi superbi abbandoni, e come ci fosse un tempo nel quale si giudicava di un' opera dalla maggiore o minore nomèa dell' editore. Perchè i nomi degli autori si dividono adesso in commerciabili o meno : a divulgare sempre più i primi ci pensano gì' interessati ; tarda giustizia farà ai secondi la storia. Ed è perciò che del Rondani scrivo per la terza volta nella Provincia. Non. già, intendiamoci, che egli non sia conosciuto in Italia; molti giornali, e seri, come la Nuova Antologia, hanno più volte parlato di lui ; pure la fama non ha pari al merito ; e secondo alcuni gli nuoce il vivere e far stampare le sue opere in città di provincia, benché, aggiungo io, nobilissima e sede di molti e celebri istituti educativi. Ma apriamo senz'altro questo nuova libro di versi. Prima di tutto non sono barbari; il che vuol dire che l'autore non appartiene al gregge l degl'imitatori. E sono tutti Sonetti (ad eccezione del Preludio) e i Sonetti sono una forma nostra, unica, salvata nel recente naufragio per testimonianza di Enrico Panzacchi, sicché anche quei signori non ci avranno nulla a che dire. E poi s'intitolano — Voci dell anima — e l'anima ha pur sempre, piaccia o non piaccia, voce in capitolo. Questi nuovi sonetti io li amo tanto (e vorrei farli amare anche ai lettori) perchè sono una nuova manifestazione della poesia borghese, ossia di quella poesia alla buona che canta i domestici fati, e la vita intima, ed ama manifestarsi senza fronzoli e leccature di lingua. Ecco, intendiamoci. Che la poesia possa, e in certi casi debba, con parsimonia adoperare certe forme più elette, e sfuggire, specialmente per amor dell' armonia alcune voci volgari si ammette ; ma non si vuole ammettere oggi, e con ragione, che la poesia abbia sempre ad avere come uu suo vocabolario a parte di voci poetiche e di locuzioni da seguirsi sempre, e con tutto rigore. Così pei verseggiatori della vecchia scuola, gli occhi devono sempre essere — rai fulminei, le campane squille, il prete il pio ministro, fecero fer, dove u e tocca via. Ma anche 1' esclusione di queste voci poetiche, in tutti i casi come pretende il Torelli Viollier (vedi i suoi articoli sul Carducci nel Pungolo della Domenica) è un altro eccesso. Sta bene che la poesia abbia come una signora alla mano i suoi abiti da camera, da viaggio, e di mattina ; ma le si concederà spero di avere in guardaroba il suo abito da ballo e da conversazione. I nuovi tempi, e le instituzioni sociali persuaderanno sì il poeta di accomunarsi al popolo, e di condurre la vita tra i buoni nostri borghesi ; però qualche volta egli sentirà con Orazio il desiderio di sollevarsi sopra la turba, e allora bisognerà lasciargli intuonare col classico manto sulle spalle : Odi profanum vulgus et arceo. Favete linguis. Ci vuol tanto poco ad intenderci: basta evitare gli estremi. Questo rinnovamento deila poesia borghese è anche conseguenza della teoria dell' uso in fatto di lingua, predicata dal Manzoni, e che intesa con le debite restrizioni è da accettarsi ad occhi chiusi. C' era un oratore, e non molto tempo, che non sapeva per esempio mai dire due parole in pubblico senza ripetere la frase — mi gode V animo. Quel benedetto uomo era in un' estasi, in una beatitudine perpetua; gli godeva l'auimo così nel darvi una presa di tabacco, pula caso, come nel mandarvi con garbo a quel paese. E non vi diceva mai semplicemente grazie, ma aveva sempre in pronto le debite azioni o atti di grazia. La semplicità di linguaggio, così in prosa come in poesia, dipende da altre cause più intrinseche, cioè dall' ordine delle idee, dall' indirizzo pratico dato alla letteratura, dalla guerra indetta alla vecchia rettorica, dall' imitazione dei poeti d'altre nazioni. E si ha a sentire con che cara spigliatezza il Rondani prende le mosse : Io non ti posso dar che quegli affetti Che han toccato davver l'anima mia, E son passati nella poesia Come in cor d'un amico integri e schietti. (pag. 19) Li sentite come vengon via lisci lisci, e girano girano come la matassa sull'arcolajo? Se non che alla chiusa della strofa, perchè la sem- plicità non riesca monotona, il quarto verso si tira su, si ribrezza : 1' arcolajo ha dato una scos-serella, poi via a girare di nuovo : Perche come qui dentro io li ho concetti, Nè monchi o storpi dall' anatomia, Nè imbellettati dall' ipocrisia Io li verso nelle odi e nei sonetti. Hanno capito il latino? Ed or la chiusa: Ma se tu vuoi la clinica che spieghi Come il pesce ci porti all' ideale, O come va in tubercoli un amore Per uso o per abuso andato a male, Prendi, se non ti dà pena 1' odore, La bassa chirurgia de' miei colleghi. E adesso io ci stava pensando che cosa diavolo avrebbe potuto dire, e quale strana circonlocuzione inventare, cento anni or sono, un poeta per non profferire le due parole borghesi: chirurgia e tubercoli, quando era di moda di fare quelle famose giravolte; e la pasta di mandorle per esempio era „il macinato di quell'arbor frutto che" . . . con quel che segue. Talvolta il poeta gira, gira „Come un can che perduto abbia il padrone" (pag. 55) e non si sa dove andrà a finire. Se non che s'incontra con l'imberbe Enrico, e gli dà lì per lì sulle cantonate un parere : L'imberbe Enrico, l'ideal, — rispose — Della vita è nel vario, ond' io vorrei D' ogni forma e color spiccar le rose, Le rose tanto care a giorni miei! Yo' dir, senza metafore speciose, Che d' ogni sorta io ne raccoglierei ; Con le bionde le brune, e le vezzose Con le forti e superbe alternerei. E poi fingendo di lasciar da banda Ogni altro amor, sperimentar gli affanni Tra sensuali e pii d' un' educanda. E alfin, siccome il frutto non si coglie Se si colgono i fiori, a quarant' anni Par la cura del sangue e prender moglie. E qui una parolina all' orecchio dell' amico Alberto. Il tuo imberbe Enrico, non c'è che dire, parla come un libro stampato, in buon volgare, s'intende. L'ironia regge fino a un certo punto; ma non ti pare che alla chiusa il suggeritore reciti troppo forte ? E non sarebbe meglio che saltasse fuori della sua buca, e le dicesse per conto suo quelle parole? E non si creda che questa poesia alla mano, 0 come la chiamiamo oggi borghese, sia nata da ieri in Italia, chè anzi è vecchia come il brodetto, e se ne trovano esempi sopra esempi anche nei trecentisti e nei precursori. Non sempre il poeta va però terra terra; e, se 1' argomento lo esige, sa alzarsi a libero volo, senza perciò montare sui vecchi trampoli. Yeggansi per esempio i due sonetti che sono un po' roba di casa nostra ; perchè il primo è diretto a Giuseppe Revere (pag. 24) 1' altro all' anima antica di Onorato Occìoni nel cui petto robusto l'anima di Silvio ha trovato „Robusta un' eco limpida, fedele." La seconda ragione che mi muove a racco-man dare questi versi si è il semplice e insieme ottimo sentimento della natura che traspare da molte pagine del caro libretto. Dico intimo, perchè il poeta non descrive già solo per descrivere; ma perchè ama la natura, perchè vi trova non già un' immagine ma un affetto, e avverte le relazioni tra il mondo esterno e il suo pensiero: e in ciò consiste la grande differenza tra gli Arcadi ed 1 moderni : primi fra tutti il Leopardi e il Manzoni. Yeggasi, per esempio, il seguente sonetto che è, tra i belli, bellissimo : Alla meridiana ombra di queste Selve di pioppi, sul cedevol manto Di quest' erba freschissima, che veste La gran riva arenosa in ogni canto ; Mentre 1' altre campagne il sole investe, E qui sonnecchia il boscajolo affranto Ai rami tronchi e alla sua scure accanto, Il riposo dell' uom non è celeste ? Dorme tra macchia e macchia il cacciatore; Ansa sommesso e placido, e dagli occhi Mezzo velati il can sogguarda e tace. Grave per 1' aer caldo il suon dell' ore Ondeggia in alto : dodici rintocchi. Non è divina quest' immensa pace ? (pag. 41) Anche la forma interrogativa, due volte ripetuta, ha un non so che di vago, di placido, e come di cortese e pietoso invito a chi mirando alla natura non „Pensa all' eterno, all' infinito, e Dio" (pag. 40) E sempre 1' uomo con le sue gioje, co' suoi dolori anima e popola questi cari quadri alla Massimo d' Azeglio. Così nella chiusa del sonetto — Il tramonto sul Po: — Il bue si sporge dalla macchia, sulla Erbosa sponda, e mugola rivolto Alla parte onde aspetta il mandriano, E nella pia canzon de la fanciulla Che vendemmia coi raggi ultimi in volto, Canta la gioja del lavoro umano. (pag. 42) Non mancheranno forse certi critici di gridare al romanticismo, coi soliti paroloni da piazza, per via di qualche sonetto come a pag. 50 — Chiostro, — e il seguente. Mi il poe ta li lascia dire e canta : Vive la poesia dove la Fede Prega al lume dei vespri e delle auro re, Dove è gloria il magnanimo dolore, E dove 1' alta gentilezza ha side. (pag. 84) E così pure nel sonetto antecedente con un movimento che rammenta il fare del Prati. Ma e poi che cosa è questo gridare con giovanile baldanza contro un dato modo di sentire e di vedere, contro una data scuola per la sola ragione che non è più di vostro gusto ? E credete forse che i posteri, e un po' anche i viventi, seccati del vostro classicismo resuscitato, e delle eterne Lidie e Lalagi, non rideranno e non ridono anche di voi? Tanto più, perchè fatta eccezione di qualche raro capolavoro, nelle vostre gallerie non si vedono che lunghe fila di statue con pose plastiche studiate in bordello, e l'arte nuova è feconda „Di copie, di restauri e di musei" (pag. 109) Alla fine dei conti, moltissimi credono anche oggi all' eterno, all' infinito, a Dio ; forse forse in fondo ci credete anche voi, e 1' arte che manifesta questi sentimenti almeno almeno ci concederete che sia un' arte rispettabile quanto la vostra. „Tutto ciò che con pensato lavoro imitativo riproduce la vita entra nel campo dell'arte. Per tutti c' è posto, auche per le ciabatte di Momo" ha detto benissimo testé il Panzacchi nel Fanfulla della Domenica (29 Aprile). „Ma se travaglia intorno a queste con predilezione continua, diventa un'arte da ciabattini." E va benissimo. Così 1' arte di molti inspirati innajuoli che grattavano il salterio senza fede nell' anima, era proprio un' aria da sagrestani. Ma sta a vedere che non si potrà credere oggi in Dio, e manifestare di quando in quando nel-1' arte questa fede, che è parte della vita nostra CAPODISTRIA, Tipografia di (Jarlo Priora. e dell' umanità, senza buscarsi 1' epiteto di baciapile e mangiamoccoli ? La vostra sì è un'arte da lupanare, se non siete buoni di accozzare quattro brevi e lunghe e d'imbroccare l'asclepiadeo senza ricordare le Lidie e le Lalagi e tutte le vecchie p.....della suburra, e dei triclini. Valga un esempio per tutti. Si vara la Lepanto a Livorno. Quante memorie, quante speranze e quanti nobili affetti doveva eccitare un tale fatto nel cuore del poeta! E ce ne fu uno di grido che intuonò e bene la saffica; ma poi in sul più bello prese un dirizzone, e via dalla solita Lidia, conchiudendo che non gli rimaneva altro che andare a farsi ammazzare sulla Lepanto, perchè avea veduto, durante il varo, la sua Lidia far V occhietto limpido probabilmente a qualche tenente di marina (Domenica letteraria 25 Marzo 1883). E a pensare che questa gente ha fatto morire il Dall'Ongaro a colpi di spillo nel Fanfulla ! Povero Dall' Ongaro, lo chiamavano stor-nellista ; pure ha scritto anni Domini, e con ben altri intendimenti — La guerriera — per varo di una nave ! Il peggio si è che in queste evocazioni classiche apparisce sempre lo sforzo e l'imitazione. Catullo non poteva recarsi a cena dall' amico sine candida quella ; e passi : la bianca fanciulla ci ha quindi ad entrare da per tutto. ]È sempre la vecchia storia : un tempo c' erano i Petrarchisti ; adesso ci abbiamo i candidi fanciulloni: dalla padella sulle brage. Domando perdono della digressione e finisco, i Una sola cosa avrei desiderato, che l'amico cioè avesse lasciato certi sonetti riposare nel cassetto, affinchè non si dica come del — Fede e Bellezza — del Tommaseo, che il suo è un libro mezzo carnevale e mezzo quaresima. L'autore a dir vero fa ogni sforzo per innalzare la materia, e cita il maestro: — Rien w' est bas quand' V àme est en haut. — Poi l'anima alza qua e là la sua voce e suona a sveglia benissimo ; e, in paragone di tante lordure, questi sonetti, anche uno o due scollacciati, si possono leggere in un convento di monache alle frutta. Ma tutto sommato meglio un taglio reciso, perchè sono voci che stuonano. E il coro lo ripeto è così bello, e serba l'intonazione ; e si diffonde via via per campi e boschi e armonizza con le mille voci della natura; via adunque quei tre o quattro monellacci che danno in falsetto. Conclusione : benissimo, caro Rondani : versi come questi ce ne entrano pochi oggi in biblioteca. P. T. Pietro Mactonizza — Anteo ^franisi e*tit. e redafc. raspollanti.