Received: 2012-11-16 Original scientific article UDC 347.925(091)(450.82)"18" «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" NELLA SICILIA POSTUNITARIA Enza PELLERITI Universita degli Studi di Messina, Dipartimento di Studi Europei e Mediterranei, IT - 98122 Messina, Piazza XX Settembre, 4 e-mail: enza.pelleriti@unime.it SINTESI Il contributo intende soffermarsi su una figura controversa di mediatore di «privati dissidi», vale a dire il funzionario di pubblica sicurezza, al quale la legge del 1865 as-segnava come preciso dovere la prevenzione e la repressione dei reati, nonché il man-tenimento dell'ordine pubblico. La stessa legge, perd, stabiliva fra le attribuzioni degli ufficiali di P.S. quella di: «prestare la loro opera alla composizione dei privati dissidi a richiesta delle parti». Fra questi si segnalano«le baruffe, le risse o le soverchierie». A questo proposito il prefetto Carlo Astengo, nel commentario alla nuova legge di pubblica sicurezza del 1889, osservava che, nello svolgere queste ulteriori attribuzioni, gli ufficiali si potessero definire «semplici ufficiali di pace e non magistrati». Inoltre, a testimonianza di quanto queste funzioni di polizia risultassero discutibili agli occhi dello stesso gover-no, si pud ricordare quanto affermava il Ministro dell'Interno alla fine del secolo. Infatti, nel 1890, Francesco Crispi invitava gli uffici di P.S. a mettere un freno «all'invadenza di fatti estranei alla missione di istituto», rammentando che l'opera dei funzionari di P.S. doveva essere dedicata principalmente alla prevenzione e alla repressione dei reati e per renderla efficace occorreva che i funzionari si occupassero meno di altri "affari", con chiaro riferimento alla loro funzione di 'mediatori'. Date queste premesse, si intende verificare, con riguardo alla Sicilia post-unitaria, l'effettiva applicazione di tale norma attraverso significative campionature, indagando la reale operatività di una figura isti-tuzionale che suscitava antiche diffidenze e sospetti nella popolazione locale, propensa a privilegiare regole e forme di composizione dei conflitti secondo logiche tradizionali e all'interno delle relazioni locali di potere. Parole chiave: poliziotto conciliatore, privati dissidi, Sicilia, XIX secolo Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 PEACE OFFICERS AND NON-MAGISTRATES: THE SETTLEMENT OF "PRIVATE DISAGREEMENTS" IN POST-UNIFICATION SICILY ABSTRACT The contribution aims to focus on a controversial figure as mediator ofprivate disagreements, the functionary of Public Safety, to whom a law of1865 assigned as a precise duty the prevention and repression of crimes, as well as the maintenance ofpublic order. The same law, however, established among the official functions of the offers of P.S., that of settling private quarrels when requested by the parties «prestare la loro opera alla composizione dei privati dissidi a richiesta delle parti». These disagreements included quarrels, fights and bullying («le baruffe, le risse o le soverchierie»). In this regard, the prefect Carlo Astengo, in his commentary on the new law of public safety of1889, remarked that by carrying out these additional tasks, the official could be defined as «semplici ufficiali di pace e non magistrati» (simple officers of peace and not magistrates). Furthermore, to understand how these policing functions of the police were questionable even in the eyes of the government, let us remember the words of the Minister of the Interior at the end of the century. In effect, in 1890, Francesco Crispi invited the officers of the P.S. to restrain themselves «all'invadenza di fatti estranei alla missione di istituto» (from meddling with facts that didn't concern the mission of their institution), reminding them that the work of the P.S. should be mainly devoted to the prevention and repression of crimes, and that to do this effectively that had to avoid concerning themselves with other things, with a clear reference to their function as 'mediators'. In this context, we shall attempt to verify the actual application of this norm in Postunification Sicily through a significant sampling, investigating the concrete effectiveness of an institutional figure who aroused age-old suspicions and mistrust in the local population, which tended to prefer rules and forms of settlement that followed a traditional logic and worked within local power relations. Key words: peace policeman, private disputes, Sicily, 19th Century GLI UFFIZIALI [...] DEBBONO [...] FARE OPERA [...] PER COMPORRE PUB-BLICI E PRIVATI DISSIDI. Come e noto, nel 1861 si costituiva il Regno d'Italia, ma bisognera attendere la Legge del 20 marzo 1865 n. 2248 per il compimento dell'unificazione amministrativa del Paese. In particolare, l'Allegato B di tale legge riordinava la materia della pubblica sicurezza, as-segnando agli ufficiali di polizia precisi doveri, fra i quali la prevenzione e la repressione dei reati, nonche il mantenimento dell'ordine pubblico. La stessa norma stabiliva inoltre che soltanto gli ufficiali e non dei semplici agenti, si occupassero di «prestare la loro Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 opera alla composizione dei privati dissidi a richiesta delle parti»1. Tali attribuzioni non costituivano una novità assoluta, in quanto si riprendeva, quasi alla lettera, la normativa preunitaria del Regno sabaudo, in particolare le leggi del 1848 e del 18592. Già nella prima delle due leggi, si affermava l'obbligo da parte dei delegati di «interporre l'ufficio loro pacificatore in occasione di discussioni insorte fra i cittadini, e specialmente fra persone di un'istessa famiglia». Nella legge del 1859, poi, l'articolo 6 prevedeva specificatamen-te che «gli uffiziali di Pubblica sicurezza debbono vegliare all'osservanza delle leggi, al mantenimento dell'ordine pubblico; e specialmente a prevedere i reati, ed a fare opera per sovvenire a pubblici e privati infortuni e per comporre pubblici e privati dissidi». Qualche anno dopo l'entrata in vigore della disciplina del 1865, il ministro degli Interni Bettino Ricasoli, nelle sue Istruzioni di pubblica sicurezza, prescriveva che i funzionari dovessero comportarsi da «ufficiali di pace e non da magistrati» (Istruzioni pei Funzionari di Pubblica Sicurezza, 1867, 16), spiegando che essi dovevano limitarsi a svolgere una specifica funzione di mediazione fra le parti, ovvero «a chiarire le questioni di fatto ed i principi di diritto». Sostanzialmente, non avrebbero né potuto né dovuto imporre il proprio giudizio a chi non avesse voluto accettarlo, «contentandosi in questo caso o di una misura conservatoria di soddisfazione delle parti, o di un temperamento di equità» che valesse a prevenire qualunque inconveniente (Astengo, Sandri, 1889, 692). Agli Ufficiali di polizia, pertanto, era assegnato un vero e proprio ruolo di giustizia negoziata e compositiva, che vagamente ricordava taluni equilibri e assetti, tipici delle società di antico regime3. Il prefetto Carlo Astengo sosteneva, nel suo Commentario alla nuova legge di Pubblica sicurezza, che per giungere ad una conciliazione, gli ufficiali dovessero agire con «prudenza, moderazione, autorità ed efficacia di parola» (Astengo, Sandri, 1889, 692). Questa insolita figura di poliziotto «mediatore e paciere», era dunque chiamata a man-tenere l'ordine pubblico, non solo con la prevenzione e la repressione dei reati, ma anche attivando una certa funzione negoziale per sanare conflitti e risolvere malcontenti, evitando alle parti sia di affrontarsi sia di ricorrere al giudice4. Inoltre, è appena il caso di os-servare, come nella sua peculiare funzione di paciere e conciliatore, l'immagine popolare del poliziotto dedito alla 'composizione dei privati dissidi' divergeva in modo consistente da quella solitamente attribuita ai cosiddetti questurini, evocati da Elio Vittorini nel suo celebre romanzo Conversazione in Sicilia: «voci da sigaro, forti, e strascicate [...] tarchi-ati, in cappello e cappotto, [.] ben messi, floridi, presuntuosi nella nuca e nella schiena», convinti che «l'umanità sia nata per delinquere», in definitiva simbolo di una autorità oppressiva e distante (Vittorini, 2001, 149-150). 1 Cfr. la Legge 20 marzo 1865, n. 2248 per l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia (all. B, legge sulla pubblica Sicurezza), che estendeva al nuovo Stato unitario la normativa vigente nel Piemonte sabaudo. Si veda, pure, in Astengo, Sandri, 1889, 66 ss. 2 Cfr. il D.L. del 30 setiembre 1848, n. 798, si puó pure leggere in Astengo, Sandri, 1889, 29 ss; la Legge del 13 novembre 1859, n. 3720, si puó pure leggere in Astengo, Sandri, 1889, 50 ss. 3 In generale sul concetto di giustizia e sul passaggio storico dal modello negoziato a quello statale, cfr. Sbriccoli, 2002, 164 ss. 4 Cfr. Sbriccoli, 2002, 165; Sulle funzioni della polizia negli Stati preunitari cfr. Sbriccoli, 1985, 111-120. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 UN OSSERVATORIO SULLA COMPOSIZIONE DEI PRIVATI DISSIDI. Tenendo presente tale normativa ho inteso saggiare la sua effettiva applicazione, con riguardo alla Sicilia post-unitaria, attraverso significative campionature raccolte presso l'Archivio di Stato di Palermo. L'indagine ha riguardato l'ultimo decennio dell'Ottocento, cercando di comprendere se e in che misura il ruolo del poliziotto "conciliatore" sia stato accolto in una cultura caratterizzata, da un lato, da antiche diffidenze nei confronti dello Stato, e dall'altro da tradizioni proprie di consolidate prassi locali. L'orizzonte temporale dell'ultimo decennio dell'Ottocento è risultato, sia rispetto alla fase precedente, sia per gli anni successivi del Novecento, il periodo più ricco di un'ampia e diversificata casistica di litigiosità e micro-conflitti documentati nelle carte d'archivio. Si tratta di un centinaio di casi, che ho catalogato intorno a sei temi, a mio avvi-so, rilevanti: l'onore personale e di ceto, i conflitti familiari, la condizione femminile, l'emigrazione, gli affari, l'usura, ponendo in particolare tre questioni, gli attori delle ver-tenze, le procedure di accertamento, l'impatto della mediazione sulla cittadinanza. Con ri-ferimento poi ai protagonisti delle istanze di conciliazione, sostanzialmente si incrociano varie figure sociali della vita quotidiana: dall'affittacamere al negoziante, dall'emigrante al macchinista delle ferrovie, dal notabile al ricco proprietario terriero, dalla guardia di città alla guardia campestre. L'esame dei documenti consente di costituire un osservatorio privilegiato su un do-ppio livello di esperienze: da un lato, le consuetudini e i comportamenti di una popolazio-ne ancorata ai suoi codici privati, dall'altro la sperimentazione, da parte dello Stato, di un ordine pubblico attento non soltanto alla prevenzione e repressione dei crimini, ma anche alla puntuale composizione dei contrasti pubblici e privati. Si trattava, riprendendo, per un altro contesto, la definizione di Mario Sbriccoli di una giustizia che operava «in basso», i cui destinatari erano i cittadini con problemi legati alla loro quotidianità, e in cui la logica era anche quella della «riparazione contrattata dell'offesa», da contrapporre ad una giustizia esclusivamente punitiva «che combatte il crimine e dall'alto», nel solo interesse dello Stato (Sbriccoli, 2002, 165-166). Pertanto le questioni trattate, oggetto dei tentativi di conciliazione, anche se ricon-ducibili ad un'ambigua giustizia "dal basso", amministrata, per cosi dire, dagli stessi ufficiali di pubblica sicurezza, risultano esemplari di un costume quotidiano che riflette, per molti aspetti, la vita siciliana di fine Ottocento. Mi limito a segnalare in questa sede alcuni casi, a mio avviso, esemplari di questa peculiare pratica di composizione, per molti versi prevista dalla norma stessa, dei conflitti privati. A parte i drammi dell'emigrazione, dell'indebitamento e dell'usura, testimoniati in molte istanze, nelle questioni familiari, (i conflitti fra genitori e figli e fra coniugi) come in quelle cosiddette dell'onore, sembra di riconoscere puntualmente i problemi della condizione femminile. Si tratta in particolare della difficoltà per la donna di rappresentarsi all'interno dei codici maschili, propri di una società incline a sottometterla al potere del padre o del marito, segregarla nella famiglia, oppure ad accusarla di scarsa moralità, nelle ipotesi numerose, come si legge nei verbali, di seduzione e abbandono. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 E' il caso per esempio di una ragazza palermitana di 19 anni, tale Angela Aliotta, figlia di un pescatore, «donna di casa», ma «di temperamento esaltato e risoluto», che minacciava di uccidere Vincenzo La Fauce, una guardia di finanza, che l'aveva «sedotta e abbandonata». Il conciliatore trattava direttamente con i genitori della giovane, e si assi-curava che l'accogliessero in casa, prendendosene cura, ma impedendole di raggiungere a Messina il presunto seduttore per vendicarsi5. In questo caso la conciliazione era servita alla ragazza per evitarle una querela, ma senza che le venisse riconosciuta l'offesa subita. Peraltro, in questo tipo di situazioni, come si evince dai verbali di altri casi analoghi, «la colpas» era regolarmente attribuita alla donna e come si vedrà le sue ragioni venivano indifferentemente sacrificate rispetto ad interessi superiori, come l'integrità del patrimonio, o l'unità della famiglia. Un primo esempio si puô trarre da una vicenda, risalente al 1893, in cui si trattava principalmente di tutelare il patrimonio familiare. Il Funzionario di polizia esercitava la sua attività di conciliazione nel persuadere una giovane donna corleonese di 23 anni, Vincenza Carbone, a interrompere la relazione che intratteneva con un ricco proprietario palermitano di 66 anni, tale Ludovico Bauyn. Il Questore di Palermo, contattato direttamente dalla famiglia del Bauyn, «per un efficace interessamento», si adoperava per far concludere l'accordo fra le parti, che prevedeva l'impegno sottoscritto dal proprietario di sostenere economicamente la donna, la quale, a sua volta, accettava di essere «rimpatriata» al suo paese d'origine. A questo proposito, è interessante la nota inviata al Sottoprefetto di Corleone dal Questore, in cui si chiedeva che «costi fosse tenuta d'occhio», nel caso avesse tentato di ritornare a Palermo6. Fra gli episodi in cui era prevalentemente in causa l'unità dell'istituto familiare, si puô citare il caso di una guardia di città, Raffaele Mango, accusata da un biglietto in-dirizzato alla moglie di intrattenere una relazione extra coniugale con la dirimpettaia, un'insegnante comunale. La guardia presentava un'istanza al Questore, segnalando quale fosse a suo giudizio la vera identità dell'autore della lettera, cioè Salvatore Vito, un insegnante comunale. L'Ispettore, dopo aver sentito quest'ultimo, chiudeva il caso non ri-tenendolo l'autore della lettera diffamatoria: «il prof. Zito non è persona capace di tenere agguato ad alcuno, poiché è un gentiluomo ed oltre che il posto di insegnante comunale occupa il grado di capitano nella milizia territoriale e nello scorso anno fu proposto per una onorificenza»7. A mio avviso, è interessante riportare il testo colorito del biglietto 5 Nel verbale, firmato dal delegato di Pubblica sicurezza Antonino Lupari (Palermo 4 aprile 1894), si scrive-va:« facciamo noto a chi di ragione che in seguito agli ordini ricevuti dall'Ill.mo Sig, Questore di Palermo [...] abbiamo fatto venire alla nostra presenza i predetti genitori [...] ai quali abbiamo consegnato la loro figlia diffidandoli formalmente a ben guardare ed a non permetterle di recarsi ulteriormente in Torre Faro per andare a raggiungere il nominato La Fauce Vincenzo Guardia di Finanza, contro il quale nutre vendetta per essere stata da costui deflorata. I predetti Aliotta e Tarantino hanno accettato la propria figlia Angela ed hanno promesso alla presenza dei testimoni ch'essi avranno cura della predetta giovane» (ASP1, QP, AG, 1175, conciliazione Aliotta-La Fauce). 6 Cfr. ASP2 QP, AG, b. 1175, conciliazione Bauyn- Carbone). Interessante è una nota conservata fra le carte di questa busta, in cui si legge che «i verbali di conciliazione fatti in Questura sono equiparati a contratti privati e come tali dovranno redigersi su carta bollata di £. 120 e registrati entro il termine di venti giorni dalla stipula». 7 Cfr. ASP3 QP, AG, b. 1175, conciliazione Mango-Zito. Il verbale è datato 25 maggio 1893. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 oggetto e causa dell'intervento dell'ufficiale di polizia: «Egregia Signora. Per dovere di carità cristiana dovendosi tradita voglio mettersi in guardia. Sappiate che vostro marito ha fatto all'amore con la maestra a voi dirimpetto e parecchie notti è stato di nascosto in casa sua. Una notte s'è scambiato per un altro, ma poi si vide che era lui. Chi l'ha visto è pronto a dichiararlo. Capisco che la colpa è sempre della donna, ma so pure che queste porcherie rovinano la famiglia e quella donna ne ha rovinato più di una famiglia. Essa, del resto, spera divenir moglie di lui come anzidetto. I suoi nipoti lasciarono la sua casa perché si accorsero di tutto, prima perô avvennero diverse scene, volendo far male a vostro marito, ma poi rifletterono che la colpa è di lei e decisero di abbandonarla. Se cercate in casa od all'ufficio di vostro marito troverete lettere della maestra. Se non conoscete i segnali che si scambiano la mattina, il mezzogiorno e la sera, con un po' di pazienza ed arte li scopri-rete. Essa per fargli sapere che gli ha scritto, si porta la mano ai capelli ed egli ai baffi. Si sono pure visti nella via della prefettura. Povero uomo! Si rovinerà di sicuro. Serbate il silenzio non mi nominate e vi saluto. 15 maggio 1893. Vostra Raffaella D'angelo». In questi ultimi casi, si evince come l'autorità pubblica, entrando nel «recinto», come si legge nei verbali, della vita dei quartieri, ora rimaneva neutrale nella individuazione del 'presunto colpevole', ora all'opposto si schierava a favore di una delle parti in conflitto. ASPETTI PROCEDURALI. A proposito degli aspetti procedurali, la vertenza compositiva iniziava con un'istanza indirizzata al Questore. Questi la trasmetteva all'ispettore del circondario di zona con la formula: «affinché si piaccia di trovar il modo di conciliare la vertenza, (col risul-tato mi favorirà l'allegato)» (ASP4, QP, AG, b. 1174, conciliazione Manai- Giarrusso, Randazzo)8; oppure: «voglia interporre i suoi buoni uffici per la conciliazione del dissidio, (restituendone il comunicato)» (ASP5, QP, AG, b. 1174, conciliazione Mill-Silvestri)9. A loro volta le istanze delle parti si rivolgevano spesso alle autorità con le seguenti formule di rito: «chiedo alla S.V. Ill.ma di farmi venire in buona conciliazione con il si-gnor [..]»; oppure « non sapendo a chi meglio rivolgermi per ottenere favore e giustizia al tempo stesso e sicuro di essere scusato ed esaudito nella mia domanda»10. Si potevano persino suggerire le procedure e i reati commessi dalla contraparte: «Prego la S.V Illu-strissima di farsi chiamare i detti signori negozianti, ed ammonirli severamente mina-cciandoli di poter venire facilmente arrestati per truffa qualora non paghino la somma dovutami» (ASP4, QP, AG, b. 1174 conciliazione Manai- Giarrusso, Randazzo) 11. 8 Nota del Questore di Palermo inviata all'ispettore della Sezione Castellamare (17 marzo 1893), relativa al «reclamo» di Manai Eugenio di Pozzomaggiore (SS) contro Giarrusso Biagio e Randazzo Giuseppe di Palermo 9 Nota del Questore di Palermo inviata all'ispettore della Sezione Orto Botanico (6 settembre 1893), relativa alla «vertenza» Hans Mill contro la ditta Silvestri. 10 Istanza indirizzata all'ispettore di Pubblica Sicurezza, sezione Tribunale (20 dicembre 1892), da Caffarelli Luigi di Caltanisetta contro Carta Vincenzo. 11 «Reclamo» inviato al Questore di Sassari da parte di Manai Eugenio di Pozzomaggiore (SS) contro Giarrusso Biagio e Randazzo Giuseppe. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 Le parti in conflitto potevano recarsi entrambi all'ufficio di polizia, chiedendo all'ufficiale di farsi «arbitro» del loro contenzioso. Oppure assumeva l'iniziativa uno solo dei soggetti interessati. In tal caso l'altra parte veniva invitata a «comparire ove lo vo-glia», poiché la legge non prevedeva un obbligo in tal senso, a sottolineare ulteriormente la natura conciliativa e volontaria dell'istituto. Secondo le istruzioni del Ricasoli, gli ufficiali, non soltanto dovevano conoscere bene le leggi e i codici, ma, come si legge significativamente, anche "saperci fare", sostanzial-mente mettendo in gioco abilità e strumenti che la legge non poteva prevedere espressa-mente (Istruzioni pei Funzionari di Pubblica Sicurezza, 1867, 62). La procedura stabiliva, altresi, che gli ufficiali compilassero e sottoscrivessero i verbali, si adoperassero per la firma degli stessi da parte dei soggetti interessati, davanti a due testimoni a certificazione degli accordi raggiunti (art. 9 Legge 20 marzo 1865, n. 2248)12 La stesura del verbale diveniva in ogni caso opportuna, tanto per la costituzione della prova dell'avvenuta composizione, quanto in vista dell'eventuale giudizio davanti al magi-strato. Viceversa, per dissidi, di lieve entità, quali «baruffe, risse o soverchierie» (Astengo, 1889, 692), era sufficiente l'annotazione della conciliazione in un apposito registro. Per quanto mi risulta, in un solo caso, relativo al 1894, l'istanza veniva rivolta diret-tamente al Ministro degli Interni Francesco Crispi. Il marchese Arezzo lamentava, per un debito contratto col tale Brandileone, un interesse pecuniario a suo avviso eccesivo, che finiva per costituire una vera e propria usura. L'inchiesta del prefetto pur non riuscendo a comporre la vertenza, rilevava l'esistenza, nella città di Palermo, della piaga sociale dell'«industria dell'usura» (ASP6, QP, AG, b. 1175, conciliazione Marchese Arezzo -Brandileone)13. In tema di crediti, si possono segnalare poi due esempi di richieste di conciliazione. Nel primo, il ricorrente, Giovanni Guli, presentava, l'11 marzo del 1893, un "reclamo" al Questore di Palermo, affinché intervenisse nei confronti di una nobildonna palermitana, Teresa De Santis, che si era permessa di vendere un anello «con brillante» (del valore di L. 1.000), che lui stesso le aveva prestato. La signora gli chiedeva, dal canto suo, una forte somma per potergli restituire l'anello, che nel frattempo aveva pignorato. Il ricorrente, perô, definiva, tale comportamento una e vera e propria "estorsione di denaro". L'Ufficiale di polizia riusciva a conciliare le parti, stabilendo da un lato che il ricorrente «sborsasse» L. 300 alla signora, dall'altro che quest'ultima si adoperasse per la restituzi-one, rinunciando entrambi al giudizio in tribunale (ASP7, QP, AG, b. 1173, conciliazione Guli - De Santis). Nel secondo esempio, l'Ispettore di polizia di Castellamare del Golfo, si schierava apertamente dalla parte del ricorrente, Mario Migliore, un fuochista di 24 anni, che non 12 Si puô leggere in Astengo, Sandri, 1889, 50. 13 Nello specifico si tratta di una nota inviata al Questore di Palermo da parte del Reggente la Prefettura di Palermo, in cui si legge:« A S. E. il Ministro dell'Interno è pervenuto l'accluso reclamo del Marchese Orazio Arezzo, con il quale si vuole del modo onde si esercita l'usura in questa città e dell'espandersi di tale illecita industria. Prego la S.V. di favorirmi con cortese sollecitudine precise informazioni in proposito, non senza adottare quei provvedimenti che crederà più opportuni a comporre la vertenza tra il reclamante e l'usuraio Brandileone. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 aveva restituito la somma di L. 37 al proprio creditore, Francesco Mineo. Quest'ultimo, violando il domicilio del debitore, lo aveva derubato sottraendogli con la violenza alcuni «effetti personali», fra cui la «libretta di fuochista», senza la quale non avrebbe potuto trovare un'occupazione. Con una nota inviata al Questore di Palermo, assai articolata e molto vicina alle ragioni del ricorrente, l'Ispettore segnalava tre aspetti rilevanti della vicenda: primo, che il povero Migliore, in mancanza di quel documento, avrebbe perduto il lavoro; secondo, che in caso di mancata conciliazione, il ricorrente avrebbe querelato il Mineo per violazione di domicilio ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni; terzo, che il giudizio in tribunale non era stato ancora aperto esclusivamente a causa delle inti-midazioni subite da parte del «povero Migliore» (ASP8, QP, AG, b. 1173, conciliazione Mineo - Migliore). Tutto, dunque, sollecitava una meticolosa e necessaria attività di conciliazione da parte dell'Ufficiale di polizia. QUALCHE RIFLESSIONE FINALE Il buon successo delle conciliazioni, nel clima nuovo dell'unificazione del Paese, si potrebbe spiegare ricorrendo a varie cause, per esempio "l'accordo privato" evitava alle parti stesse di sobbarcarsi le spese processuali e quelle della difesa in giudizio. Inoltre, non costituiva certamente un elemento trascurabile l'abilità e la riservatezza del funzionario. Infine, la composizione veniva ricercata, dopo che le parti si erano inutilmente rivolte alle tradizionali, autorevoli figure di mediatori presenti all'interno delle comunità: nobili, ecclesiastici o padrini dentro il "recinto" del quartiere. La conciliazione, tramite il poliziotto pacificatore, veniva privilegiata, peraltro, dalle parti rispetto ad una giustizia ufficiale, quella dei tribunali, percepita, se non come ostile, certo estranea alle consuetudini del contesto familiare e sociale di appartenenza. La larga diffusione di queste pratiche conciliative determinava inevitabilmente sconfinamenti e degenerazioni. Non a caso, Francesco Crispi, quasi a fare un primo bilan-cio dell'istituto, osservava che i funzionari pacificatori finissero troppo spesso per esigere crediti ed assolvere obblighi per conto delle parti. Essi divenivano, in questo modo, po-liziotti-esattori o depositari di crediti, snaturando cosi le loro funzioni di ufficiali di pub-blica sicurezza, rappresentativi in primo luogo dell'autorità dello Stato. Se non si fosse messo un freno «all'invadenza di fatti estranei alla missione di istituto», questi funzionari dello Stato sarebbero rimasti fin troppo esposti e coinvolti negli equilibri e interessi propri dei privati che li interpellavano. Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 »VARUHI REDA IN NE POKLICNI SODNIKI«. PORAVNAVA »ZASEBNIH SPOROV« NA SICILIJI PO ZDRUŽITVI ITALIJE Enza PELLERITTI Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Studi Europei e Mediterranei, IT - 98122 Messina, Piazza XX Settembre, 4 e-mail: enza.pelleriti@unime.it POVZETEK V prispevku je orisan protisloven lik posrednika pri »zasebnih sporih«, in sicer funkcionarja, varuha javnega reda, kateremu so bile z zakonom iz leta 1865 uradno določene naloge na področju preventive in represije kaznivih dejanj in za ohranjanje javnega reda. Toda isti zakon je med drugim zadolžil funkcionarje za javni red, da morajo »če jih strani za to zaprosijo, sodelovati pri poravnavi zasebnih sporov«, med katere so sodili »prepiri, pretepi ali prestopki«. Prefekt Carlo Astengo je v komentarju novega zakona o javnem redu iz leta 1889 v zvezi s tem zabeležil, da lahko pri izvajanju teh dodatnih zadolžitev funkcionarje opredelimo kot »varuhe reda, nikakor pa ne kot sodnike«. Sama oblast je bila v dvomih glede tovrstnih nalog, kar potrjuje trditev Ministra za notranje zadeve konec 19. stoletja. Leta 1890 je Francesco Crispi pozval funkcionarje za javni red, naj obrzdajo »vdor zunanjih zadev v osnovno poslanstvo same funkcije« in pri tem spomnil, da je njihova temeljna naloga preventiva in represija kaznivih dejanj in da se za njuno temeljito izvajanje morajo funkcionarji manj ukvarjati z drugimi »posli«, pri čemer je seveda mislil na njihovo »posredniško« funkcijo. Prispevek na osnovi teh premis obravnava izvajanje tovrstnih nalog na Siciliji v obdobju po združitvi Italije, in sicer na osnovi številnih primerov in preverjanja dejanskega delovanja tega institucionalnega lika, ki je zbujal sumničavost in nezaupanje pri krajevnem prebivalstvu, saj je pri poravnavi sporov privilegiral postopke in oblike, povezane s tradicijo in znotraj lokalnih oblastnih vezi. Parole chiave: mirovni policist, zasebni spori, Sicilija, 19. stoletje FONTI E BIBLIOGRAFIA ASP, 1 - Archivio di Stato di Palermo (ASP) Fondo Questura di Palermo (QP), Serie Archivio Generale (AG), b. 1174, conciliazione Aliotta-La Fauce ASP, 2 - ASP, QP, AG, b. 1175, conciliazione Bauyn-Carbone ASP, 3 - ASP, QP, AG, b. 1174, conciliazione Mango-Zito ASP, 4 - ASP, QP, AG, b. 1174, conciliazione Manai- Giarrusso, Randazzo ASP, 5 - ASP, QP, AG, b. 1174, conciliazione Mill- Silvestri ASP, 6 - ASP, QP, AG, b. 1175, conciliazione Marchese Arezzo - Brandileone ASP, 7- ASP, QP, AG, b. 1173, conciliazione Guli - De Santis ASP, 8 - ASP, QP, AG, b. 1173, conciliazione Mineo - Migliore Enza PELLERITI: «UFFICIALI DI PACE E NON MAGISTRATI». LA COMPOSIZIONE DEI "PRIVATI DISSIDI" ..., 183-192 Astengo, C., Sandri G. (eds.) (1889): La nuova legge sulla Pubblica Sicurezza con ri-ferimento anche alle disposizioni in vigore sul personale di P.S. e a quelle di polizia giudiziaria, Roma, Tipografia Cecchini. Istruzioni pei funzionari di Pubblica Sicurezza (1867), Firenze, Eredi Botta. D.L. 30 settembre 1848, n. 798. Legge 13 novembre 1859, n. 3720. Legge 20 marzo 1865 n. 2248, Allegato B, Legge sulla Pubblica Sicurezza. Sbriccoli, M. (1985): Polizia (diritto intermedio). In Enciclopedia del diritto, XXXIV. Milano, Giuffre editore, 111- 120. Sbriccoli, M. (2002): Giustizia criminale. In Fioravanti, M. (ed.): Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e dritto. Bari, Laterza, 178 ss. Vittorini, E. (2001): Conversazione in Sicilia, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 149-150.