Anno IX. Capodistria, Aprile-Maggio 1911 N. 4-5 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE I! „[BnM/iveri" a Denezia verso il 17B0 (con tre sonetti inediti del Lahi a.) La parola k orribile come mille altre fabbricate a vati vera dalla stampa quotidiana vuoi per la febbre che eccita il gior-nalista a contendere, nel pensiero, colla vertiginosa volocita dei tatll vuoi per lo scarsissimo corredo di cultura, quasi mai classica, che il giornalista stesso possiede: ma il male mag-giore e che entrate poi tali parole nell'uso comune (e dove non arriva ora il giornale?) non si pud piu svezzarsene e a parlare altrimenti, per via di grammatica e di buon gusto, c' e il pericolo di non capirsi piu. Accettiamo adunque, il „caro-viveri" tanto piu che la nostra non vuoi essere una questione fllologica. ma leggera scorribanda storico-letteraria attraverso a tempi, ah ime! che furono ma che presentano tanti aspetti di somiglianza coi nostri. Anche allora, come dicevo nel titolo del presente discor-setto, le condizioni di vita nella Dominante eran pessime a giudicare, tra Paltro, dalle famose arringhe del Contarini e, se vogliamo aggiungere, da certe poesiole inedite che ora mi par non inopportuno far conoscere: i correttori s' eran posti ali'opera e gih nel 1781 s'eran viste leggi e leggi in proposito del caro dei viveri ma non se ne faceva nulla: cosi almeno se hassi a giudicare dalla parola d' un anonimo brontolone: Pretesto a Dio, son suddito fedel E go San Marco in cuor come un Schiavon Ne coltivo le idee del Machiavel Ma se me lagno ancuo go gran rason. Xe el viver zonto a un prezzo assae crudel: La earne, el pan, el vin, 1' oggio, el saon Se spendo in pescheria me schioppa el fiel Caro tutto all'eccesso a proporzion: No i ne ga gDanca in mente i correttori E le parte che i fa, co ben le lezzo, Le giova solo ai ricchi e ai superiori: Parlo per parte del Morel de mezzo E della plebe e digo a quei signori: Dopo che correge nu stemo pezzo Dopo i decreti novi No trovo a buon marci se non i vovi. (cod. marciano it. cl. VII-MDCCCX.) Peggio il Labia che in un suo primo sonetto invoca, senza altro „forca e corda" per gli affamatori del popolo, chi essi fossero. Preghiera a Dio nelle presenti circostanze. Sonetto CXVI. Signor Iddio me butto in zeuochion Pien de timor insieme e de speranza Tanto vu sk pietoso e tanto bon Che perdonar vorre la mia baldanza. Una grazia pero, secondo usanza, Son qua per domandarve con rason Tiri, sforza dalla disperazion Perche se tratta d'impenir la panza. Moise al popolo Ebreo, smonto e destrutto, La nel deserto, da una farne ingorda Manna dal Cielo el ga impetra in aiuto Ma co quel caso el nostro no se accorda: Qua se abbonda de tutto e manca tutto Qua manna no ghe vol ma forca e corda. (codice Cicogna MMMDCCCIX [247].) N6 men forte tuona 1'abate stesso nel sonetto seguente scritto probabilmente, a giudicarne del contenuto, prima che i correttori si fossero posti ali'opera: Ricorso al Serenissimo Principe per la carestia dei viveri. Sonetto CXVIII. Serenissimo Prencipe! pieta Del popolo, pieta dei cittadini Perche, deboto, in man de sti assassini Come viver, perdio, piu no se sa I ha fatto andar le cosse tanto in la Beccheri, pescaori e casolini Che arrivai quasi semo a quei conflni Dove arriva, per blocco, una citta. Come se soffre sta conculcazion Delle leggi e deli' inquisitorato Da zente della piu vil estrazion Che per scannar in fazza al Prineipato Ardisee de formar cospirazion? E Materia no fe questa de Stato?1) Ma piu innanzi il Labia continua filosoficamente: Sopra il destin universale in questi tempi. Sonetto CXLII. Xe cala i vizi e la farina cresce, Se sera eontumacie e cresce el vin, Xe čari i risi, vovi, carne e pešce: Qualo sarA dei sudditi el destin? Se accresce i viazj a quei che ga morbin N6 del popolo le angustie no rincresce E no se pensa, poffar dio, alla fin Che a ognun la carestia funesta riesee. Per sollevarle no gh' e piu casini, Nel Redutto no gh' e piu ricreazion: Donca s'ha da morir mesti e supini? Co l'ha da esser cussi, al fin de fini, Temo un eroica e pia risoluzion Andemo a farse tutti Certosini! Le stesse cose ripeteva il Contarini nel suo noto primo eccitamento dove, tra 1'altro, affermava: «el prezzo eccessivo nei generi di prima necessit& no se pol confrontar ne con quello di qualunque et b trascorsa della vostra Repubblica nč con quello de alcune delle nostre suddite terre. Mai el fu tal in quattordese secoli....» e piu innanzi egli ricordava come avessero «sempre avudo la mira i vostri sapientissimi mag-giori de tener a bon prezzo al so popolo i viveri de prima necessit&....» ') Veramente questo sonetto, con qualche variante, trovasi ripro-dotto a pag. 149, anonimo, nel ,,La satira del costume a Venezia nel secolo XVIII" del Malamani, — Torino 1886. I correttori, dissi gia, dopo le turbolenze suscitate dal Pisani e dal Contarini, fossero o no giustiflcabili e opporturie le loro clamorose proteste, non perdevano tempo: «si tolse scrive il Romanin la provvista delle carni a gli appaltatori affidandola alle cure dei Provveditori de Comun con una giunta sulle Beccarie volgendo altresi l'attenzione ad aumentare il numero del bestiame nello Stato; le arti concernenti i pešci e salumi furono staccate dalle arti tli vittuaria, industria e commercio e sottomesse al solo magistrato de' Provveditori sopra la Giustizia vecchia con l'antica dipendenza dal Senato; si ebbe cura altresi di flssarne le tarifle, di vegliare ali' esat-tezza dei pesi e delle misure, d'impedire le incette e i mono-polii, nominando a quest' oggetto una giunta visitatrice e con-fermando l'autorita deli' inquisitoriato ai viveri istituito con decreto 1715; furono fatti provvedimenti per le legna da fuoco». Tali norme, delle quali parla compendiosamente il Romanin, puo lo studioso piu ampiamente vagliare nei decreti a stampa del tempo: quanti curiosi particolari vi trovera, quante maga-gne scoverte, quanto accurata, sebbcne inefficace, tutela pre-scrittavi! Noi crediamo prezzo deli'opera sceglierne uno fra tanti: que]lo appunto che piu interessa 1'Istria e la Dalmazia, le due care e inobliabili pupille dell'augusta Dominante: or ecco quanto si stabiliva in materia di pešci: II Sereriissinio principe fa sapere ed e per ordine degl' illustriss. ed eccellentiss. signori Provveditori sopra la giustizia vecchia ed inquisitori sopra viveri. Quanto e risoluto il zelo di Suc Eccellenze nel voler protetti li benemeriti introduttori del pešce in Venezia conic mezzi per promuovere la desiderata abbondanza da cui dipende gemella la moderazione dei prezzi, altrettanio costante nel voler del pari re-presso l' odioso monopolio di coloro che osassero con dannaie inchiette e rei concerti denudare le Peschcrie per far comparire una procurata penuria del genere, afflittiva la popolazione. Sono pcrcid devenuti alla estesa e pubblicazione del presente proclama Contemplandosi pertanto in particolar li conduttori del pešce d' Istria e Dalmazia quali nel momento in cui tranguilli si con-fortano di aver superati li pericoli del mare e delle stagioni e di esser giunti al momento di cogliere i! frutto dei propri capitali e dei suoi rischi si vedono tutto ad un tratto rapire da una turba violetite di contraffacenti e di popolatii il suo patrimonio senza sapere in mano di chi passi, chi sia il suo debitore, da chi esi-gerne il pagamento, costretti rimanere in Venezia con la spesa di noleggio di barche e del proprio mantenimento e dei suoi uomini dal che ne deriva la deviazione altrove e rimane la citta sprovvi-sta di un genere tanto necessario percid fanno pubblicamente in-tendere e sapere Che licenziate che siano dalla Sanita le barche provenienti dali'Istria e dalla Dalmazia abbiano, reeto tramite, a passare al luoco de! Palo in Rialto ne vi sia alcuno che sotto qualunque color e pretesto tanto nel viaggio che per giungere a detto luoco quanto giunte che siano ai luoco stesso ardisca accostarsi ed en-trare in esse per levare parte alcuna di pešce ed usare sopraffa-zioni e violenze a detti conduttori sotto tutte quelle pene pecuniarie ed afflittive che pareranno alla giustizia di loro Eccellenze Non potranno conseguentemente entrare in dette barche che le sole persone legali cioe gastaldo e vicario deli'arte di compra-vendi, dazier del Palo e quello dei Fanti che šara da Sue Eccellenze destinato non dovendo dette persone avere altra ingerenza che guella šota della custodia del genere onde non venghi distratto restando loro assolutamente vietata qualunque disposizione ed ap-provazione del genere in pena ed arbitrio di Sue E. E. Niun capo di barca, offiziate ed altro ministro ardisca infe-rir modestie alli conduttori del pešce eol pretesto di esercitare il proprio Uffizio quale anzi possano e debbano esercitar per il di-ritto del Dazio con quella giustizia e moderazione che ben si con-viene ed e della pubblica mente ma non possano dimandar, con-seguir ed estorquer pešce benehe in minima quantita da conduttori medesimi sotto qualunque pretesto e cio in pena di quelle afflittive che paressero alla giustizia di loro Eccellenze a misura delle so-praffazioni che arditamente commettessero in aggravio de' soprad-detti conduttori. Sara debito del gastaldo dei compravendi presentare al magistrata di loro E. E. di venuta in venuta la nota del riparto e vendita del pešce capitato al Palo con la distinta dei nomi a quali šara stato vendato e come disposto per quelle osservazioni ed indagini che fossero credute in pena mancando a detta presenta-zione di duc. 10 da essergli irremissibilmente levata. II fante destinato sopra intendere alla custodia di detto geti ere dovera in caso di qualunque molesta sopraffazione inferita ai conduttori non che arbitraria distrazione del genere portare la sua riferta al magistrato di Sue E. E. e cio con oggetto di casti-gare con forte e robusta mano le violenze e le vietate dispersioni del pešce che rendono spoglie le pubbliche pescherie e sottraggono la vittuaria dal comune provvedimento. E com'eguali oggetti di carita, di giustizia e di comune be-nefizio militano universalmente per tutti li pescatori ed introduttori di pešce in Venezia da qualunque loco, fraglia, comunitd derivino cosi costante Vimpegno di loro Eccelienze a tutela e presidio di tutti fanno del pari intendere e sapere Che niuno sotto qualsisia color o pretesto ardisca andare incontro alle barche conduttrici di pešce in Venezia per cotnprare e violentemente loro tevare il pešce al che contraffacendo saranno severamente castigati con lievo di pene pecuniarie ed afflittive a misura delle trasgressioni. Caderanno in pena di duc. 10 quei pescatori ed iniroduttori che per viaggio con volontaria connivenza vendessero il loro pešce dovendo a dirittura esser condotto nelle pubbliche pescarie otide dal concorso ed unione del genere ne ri-sulti l' abbondanza e con essa la moderazione dei prezzi. Giunti che siano li pescatori e conduttori di pešce nelle pubbliche pescarie šara severamente ed esemplarmente castigata la temeraria audacia di coloro che ardissero senz'alcun legittimo titolo entrar nelle barche, asportar con violenza il pešce in poca o molta quantitč, usar minaccie ed offese a legali venditori e re-lativamente alle leggi e proclami in tale proposito potranno in-fraganti esser ritenuti da qualunque offiziale. Restano pure inca-ricati li fanti ad invigilare contro tali odiose e per ogni riguardo nel procedere e portarne di volta in volta le riferte al magistrato di loro Eccelienze onde uniforme alla colpa abbia loco il castigo. Chiunque tenesse inchiettato e nascosto il pešce in čase, ma-gazzeni, botteghe, volte, cavane ed altri luochi, niuno eccettuato, oltre la perdita del pešce cadera in quelle pene pecuniarie ed anco afflittive che saranno da Sue Eccelienze credute di giustizia ed a tenore delle leggi. Quei botteghieri che con dannata connivenza ed anche col reo fine d'indebito lucro permettessero a pescatori ed a proprietari del pešce di quello tener celato ed occutto nelle loro botteghe caderanno in pena di duc. 25 da essergli irremissibilmente levata. Osservabilissima la milizia dei comprovandi, vallesani, istitu-tori di compagnia, venditori di comunita pescareccie ed altri quali in loco di tenere il loro pešce esposto sopra le banche a prove-dimento comune trasfondano il migliore negli osti e locandieri fomentando un reo mercimonio del genere con aperta violazione delle leggi e delle tariffe resta fermamente stabilito che, salva agli osti e locandieri la facolta di provedersi nelle pubbliche pescarie in parita d' ogni altro del genere loro occorrente per /' uso e con-sumo interno delle loro locande ed osterie, non possano avere al-cuna intelligenza con pescatori e venditori di pešce per quello riservare e spedire alle loro locande ed osterie in pena tanto agli lini quanto agli altri di duc. 50. Sard tenuto aperto processo d'inquisizione per rilevare chiun-que trasgredisse gli ordini presenti e saranno in oltre ricevute de-nunzie secrete e conseguira il denonziante che volendo sard tenuto secreto l'lntiero della pena comminata. II presente proclama sard rassegnato ali'Eccellentissimo Senato per la sovrana sua approvazione ed indi stampato e pubblicato nelle pubbliche pescarie di S. Marco, Rialto, Castello, Canaregio, Santi Apostoli e San Pantalon ed ovunque occorresse a chiara notizia di cadauno e per la pontuale sua esecuzione. Dato dal Magistrato Eccellentissimo dei Proveditori sopra la Giustizia li 5 Febraio 1780. Zuanne Gritti Proveditor Inquisitor Z. Antonio Crotta Proveditor Giacomo Zusto Proveditor Paulo Bembo Proveditor Anzolo Maria Gabriel Proveditor Antonio Ferracina Nod. Addl 9 Febbraio 1780. Approvato con decreto deli' Eccellentiss. Senato Addl 16 Febbraio 1780. Pubblicato sopra le scale di San Marco e di Rialto e nelle pubbliche Pescarie di S. Marco, Rialto, Castello, Canaregio, Ss. Apostoli e S. Pantalon per Gio: Battista Pace Comandador Pubblico. Cosi espliciti suonan gli altri proclami in materie diverse di v iveri ma altri mali, anche maggiori, corrodevano gli organi vitali alla bella Regina dei mari che, come 1'inferma dante-sca, invano, col dar volta, cercava di far ischermo alle incal-zanti e sempre piii gravi sciagure attesa ormai al varco dalla violenza e dal tradimento. Antonio Pilot. Mm li M iltti f ilffi ml Lin Schiavi I lettori delle Pagine Istriane rammentano certamente di aver letto nel breve scritto autobiografico deli' abate prof. Lorenzo Schiavi, da noi publicato nel fascicolo dello scorso gennaio, poco dopo la morte del vecchio ecclesiastico ed uomo di lettere, le parole seguenti: ....«Mi scrissero lettere benevo-lissime il grande Aless. Manzoni, Cesare Cantii, Augusto Conti, Giacomo Zanella, Gius. Allievo, Matteo Liberatore, 1' insigne astronomo Secchi e raoltissirai personaggi d' alto nome. Tutti i loro preziosi autografl, insieme ad alcuni del regnante Pon-tefice e del maestro Perosi, donai il 30 Genn. 1902 alla Biblio-teca Civica di Trieste«. E la Biblioteca civica di Trieste conserva eftettivamente, nella sua pregevole raccolta di autografl, anche le lettere avute in dono dallo Schiavi e fatte chiudere gi& da questi in apposite cornici a doppia custodia di vetro. E noi abbiamo trascritto da esse, per comunicarle al publico da questa rivista, quelle quattro che ci parvero di maggior momento e di piu largo interesse: le lettere, vale a dire, del Manzoni, del Cantu, del Conti e dello Zanella. Veramente, la lettera del Manzoni fu gi& resa publica dallo stesso Schiavi nel suo Manuale didattico-storico della letteratura italiana (parte lerza, pag. 487) e dallo Sforza nell'Epistolario del Manzoni (II vol , pag. 382); ma ne 1' uno ne 1' altro riprodusse lo scritterello con la dovuta fedeM; sicche non par del tutto inutile ristamparlo qui con maggior esattezza. Le altre tre lettere poi le crediamo inedite. I. Chiarissimo signore, Milauo 29 gennaio 1871, Stavo per presentarLe le mie seuse per il ritardo frapposto a rispon-dere alla Sua cortesissima lettera del 6 corrente (ritardo cagionato da poca salute e da occupazioni forzose) quaudo 1' altra del giorno 27. Adempio ora al grato dovere di renderLe vive grazie per il pregia-tissimo dono di vari Suoi scritti; e devo insieme presentarLe altre scuse, del mio non poter corrispondere ali' indulgente di Lei desiderio d' un qualche mio componimento sopra un soggetto1), degnissimo bensl, ma J) Michelangelo Grigoletti, buon pittor sacro, ma miglior ritrattista (eosl i critici deli' attual Mostra del ritratto italiano a Firenze), in onore del quale lo Schiavi, nipote di lui per parte di madre, compilava allora una specie di nurne.ro unico, come oggi si dice. appartenente a una materia, nella quale io sono ignorantisshno, quale e quella delle Belle Arti. Gradišča 1' attestato del distinto ossequio, col quale ho 1' onore di rasseg'narmeLe Devot. Obb.tno Servitore Alessandro Manzoni (Al CMar.mo signore Sig.r Professore Abate Lorenzo Sehiavi Trieste) II. Egregio Professore Padova 10 febb. 1871 Voleva leggere attentamente il suo libro; voleva scrivere qualche verso per 1' ottimo di lei zio Grigoletti; ma delle due non mi venne fatta che in parte la prima. Mi congratulo di cuore con lei deli' esimio lavoro '). Molta erudizione lumeggiata qua e la di sane considerazioni morali; e di eccellenti precetti di estetica. Ottimo professore! quanto le son grato della benevolenza che mi porta! e quanto confuso e vergognoso che il tempo mi sia sfuggito prima di adempiere alla promessa de' versi. Ella mi per-doni; e mi tenga obbligato per altra oceasione. Continui ne' suoi bellis-simi intendimenti di educare, non solo d' istruire, la gioventu e mi čreda Di Lei obb.mo G. Zanella III. Chiarissimo Signore La contentezza che mi ha recata il dono de' suoi libri e molta e viene da molte cagioni: bellezza e dottrina singolari deli' opere sue; conformita d'intendimenti, qualuuque sia da Lei a me la disformita del-1' ingegno e degli studj ; dolcezza e vigore che procedono dali' uuione ; compiacenza onesta di sapersi pregiato da chi e degno di pregio; e, poi, affetto grande per codesta citta di Trieste, ove nacque la Caterina Rossetti*), mia zia, che tanto m'amo e che tanto amai, e ora prega per me nella patria eterna. Mi rallegro, dunque, con Lei e col paesc nostro, e mi profferisco ad ogni suo comando devotissimo A. Conti 15 aprile 1871 Firenze ') Che probabilmente šara stato il I vol. del Manuale didattico-storico della lett. it., uscito appunto nel '71. 2) Nacque (verso il 1783) da Giovanni Andrea Domenico Rossetti, fratello deli' illustre Domenico Giuseppe Carlo Maria (era stato battezzato cosi), e da Maria Anna, figlia di Pasquale Ricci, figlio a sua volta di Giuseppe Pasquale Ricci di Firenze, venuto nel 1751 a Trieste per occu-parvi la carica di Vicario civile e Giudice de' Maleflzii e creato in seguito consigliere d' intendenza e barone deli' Impero. I Rossetti erano dunque imparentati con i Conti per via dei Ricci (Vedi Ienner, Genealogia Triestina, parte II, L-Z; ms. conservato nella Biblioteca civica di Trieste). IV. Sig\ Prof. riv.o Di bellissime cose Ella dice sul Bello, ed e peccato che la Disqui-sizione 4) non sia ridotta a un trattato compito. Quanto studio Ella abbia fatto su Dante appare dali' opportunita delle citazioni e dal trovarvi tutto. Ma specialmente lo illustra nell' esposizione fllosoflca. Aristotele non po-trebbe esser trattato meglio, e rivendicato dali' accusa di plebeo materia-lissimo. Limpida poi mi parve 1' esposizione delle dottriue di S. Tommaso e di quelle che Dante ne dedusse. E' un gran pezzo ch' io vo dicendo (senz' esser ubriacato da primati e da esclusioni nazionali) che noi avremmo in časa di che imparare, senza andar mendicando il sein und nicht sein. Conosce Ella la difesa della fllosotia antica (volea dire scolastica) di Giu-seppe Kleutgen ?s) Mi parve un libro eccellente a dissipare molte preven-zioni accademiche e chiarire certi veri importantissimi. La ringrazio deli' essersi sovvenuto di me, e vorrei occasione di mostrarmele Milano e/6 71 Obb. e oss.o C. Cantu Son lettere, come si vede, di non grande entita e tutte, eccetto quella del Cantu, tenute in termini piuttosto sbrigativi e generici; ma restano pur sempre manifestazioni, per quanto brevi e frettolose, di vasti e celebrati ingegni, e qualche onore viene in ogni modo da esse al defunto originale poligrafo istriano: e percio valeva, secondo noi, la pena di renderle di publica ragione. Trieste, maržo 1911 Giovaimi Quaraiitotto ') Del Bello in generale e del Bello letlerario. Disquisizione filosofico-letteraria; estratto dal Programma del Ginnasio Comunale di Trieste per 1'anno scol. 1868-69; Trieste, Weis, 1869. 2) Teologo di grido (1811-1883). Appartenne ali' ordine dei Gesuiti e ne fu anche generale. Dal 1870 al 78 dimoro a Roma. L' opera sua principale e appunto quella di cui fa menzione il Cantu: Die Philosophie der Vorzeit verteidigt; Minister, 1863; II.a ediz., Innsbruck, 1878. DI UNA MISCELLANEA (0'miseh G'masch). Le piacevolezze si seguono poi con certo brio. Eccone una: ♦In quadam Gerraaniae accademia theses erant physicae expositae, et inter caeteras illa, non esse nisi untim mundum. Hanc quidam ex scolaribus oppugnaturus proposuit illucl ex Evangelio de decem leprosis: norme decem mundi facti suni? cum ergo decem mundi facti sunt, inqnit, falsa est thesis. Praeses disputationis cum stolido argumento facile respondere posset, ait: «Quandoquidem ex sacris litteris argument,atur, ex iisdem respondeo uti mox post verba citata invenitur: sed novem ubi sunt ? ergo non invenitur nisi unus*. Sorpasso le molte questioni proposte come queste: «Quid est mundus? — Est stultorum cavea. Quid est curia? Est curarum mater» e le molte sentenze tratte dai Padri della Chiesa e da molti filosofi latini. Nella parte tedesca dominano le notizie storiche, tratte da scrittori antichi e concernono precipuamente i principi dei tempi piu remoti; pure v'ha un catalogo d i ritratti di gentil-uomini dei tempi deli' autore, dei quali si spiega il perchfe del simbolo loro attribuito. Cosl il Gallenberg si dice corteggiasse madama Omnrpotenlia, il conte Strassoldo madama Mansue-tudo, il Saurau madama Facundia, l'Auersperg madama Sump-tuositas, il segretario Brumati madama Audacia, Carlo Val-vassor madama Contrarietas e cosi via, e di tutti spiega 1' arrae e il motto gentilizio. Segue un lungo catalogo di scrittori d' ogni genere lette-rario, massime latini: grammatici, poeti, epigrafisti, satirici, storici ecc. Ecco quello degli scrittori che scrissero di emblemi e di simboli: Iacobus Masenius in Speculo etc. Philippus Pinicelli in Tractatu praeliminari ad mundum symbolicum. Cajetanus Felix Veranus in Pantheo argutae locutionis. Sylvester Petrasanta in Symbolo heroico. Bohuslaus Balbinus in Fr. de amplific. item in Veri sim. et in notis ad illud. Emmanuel Thesaurus in Idea argutae dictionis. N. Boscliius in carmine didactico ad Symbolographiam. Gulielmus Hesius. Carolus Bovius. Ioannes Pierius Valerianus. Iacobus Typotius. Andreas Alciatus. Ioannes Sambucus. Ioachimus Camerarius. Didacus Sabedra. Tornano poco di poi le notizie strane, come le seguenti: 1. Nella India sopra la cittži di Palomba, 6 una montagna con una fontana, la quale emana odore e sapore di ogni qua-lita di spezierie, e chiunque ne beve tre fiate, resta curato da ogni infermita. Gli abitanti di quei contorni non sentono mai alcun malore e sempre conservano 1' apparenza di giovini e dicono che essa venga dal Paradiso terrestre. 2. Varone dice che alla spiaggia del Mar Rosso e una fonte, dalla quale bevendo le pecore, mutano di bianco in rosso il colore della lor lana. 3. Nell'Egitto 6 una fontana che fa divenir calvo chi ne beve; fa inoltre cader i denti e odiar sempre il vino e amar grandemente 1' acqua. 4. In Pavia nel 674 nacque un fanciullo ed una fanciulla attaccati insieme, uno con la testa di cane, e 1' altra di gatta. 5. Nella cittii di Bergamo nelFanno 1628 nacque di donna civile un orribile mostro in sembianza di mostruoso demonio con le corna, col grifo di aquila, e nero come un pešce. 6. Nella provincia della citta di Nocian del gran Can de' Tartari, e un' usanza che quando una donna ha partorito, piu presto che puo si leva dal letto, ed il marito si mette a giacere nello stesso letto con il fanciullo nato, ed ivi sta qua-ranta giorni, ricevendo le visite degli amici, come se stato fosse lui a partorire, e la moglie lo assiste e governa per tutto quel tempo. 7. II Badero senior come in Germania un contadino si pose a dormire sotto certo fieno e che vi dormi tutto 1' autunno e tutto il verno vegnente, e che levato il fieno da quel luogo, come attonito si sveglio. 8. In Italia, nel lago tarquiniese, vi sono due selve, le quali si vedono ora circolari, ora quadrate a seconda che sono spinte dai venti. 9. I pešci patucoli, de' quali se ne pigliano assai a Taranto, volano fuori dell'acqua, e dicesi che si dilettino a udire parlare in lingua greca e che concorrano a schiere a chi la favella, m a fuggano da chi parla 1' italiano. 10. Nella Nova Spagna furono trovate ostriche di varie sorti, dne delle quali pesavano 88 libre, e 25 libre per ciascuna pešava la loro carne. Ed ora che e il tempo degli areoplani e dei palloni diri-gibili, sta bene anclie qnesta notizia: «Keperti sunt qui non modo ligneas aves volatum do-cuerunt, sed unus Perusinum lacum volitando trajecit: alter Norimberge, Schwenkero teste, ex sublimi aedium loco semet atque iterum alligatas sibi penuas feliciter exercuit. Ne merao-rem tabellarias Orangy columbas in Harlenensi obsidione et Caroli V in Hispania avolantia et revolantia authomata. Cumque navigatio per aerem species etiam volatus dici mereatar, dictavit ejusmodi navim P. Honoratus Fabri per amplos tubo-.? compressa aura refertos, et P. Franciscus de Lanis per globos evacuatos mobiles, eni si eventns velificet (?), digna erit quae Argonavis loco inter sidera collocetur*. (continua) prof. Val. Moiiti. Scavi sul Colle del Castello a Pola. Dissodavasi recentemente un fondo sul colle che s' eleva quasi nel cent.ro di Pola, dove si sarebbe dovuta costruire una časa. Ma il piccone del giornaliero trovava. di continuo qual-che impedimento nel sottosuolo e i massi e i cocci che veni-vano alla luce fecero ben presto comprendere che in quella localit^i si naseondeva qualche prezioso documento del tempo che fu. Difatti cjuei ruderi erano gli avanzi d' una magnifica villetta romana, clie, per esser situata in quel punto delizioso della cU,ta, ali' aria aperta e con bella prospettiva sul mare, doveva certamente aver appartenuto a ricca e nobile famiglia. E le scoperte assodarono tale congettura. Dalla pianta della villa or messa a nudo del tutto (v. fig. 1), rilevasi la maniera di costruzione pompeiana. E' ben conservato 1' impluvium, nel mezzo del cortiletto interno, e parte dei muri di quasi tutte le stanze. Delle colonne che in beli' ordine circondavano 1' impluvium, si rinvennero tronconi plinti e basi, che nella rovina della časa eran caduti nella cisterna. In parte furono rimessi a pošto. Cio che piu ci colpisce alla visita di queste rovine e un bel mosaico tigurale, scoperto presso che intatto, il quale for-mava il pavimento del tablinum. Esso rappresenta (v. fig. 2) un grande vaso ornamentale con due bei pavoni sull' orlo, in pose differenti, ma graziose. II tutto 6 racchiuso da un ornato circolare, racchiuso a sua volta da un altro ornato rettango-lare. Piu sotto a questo quadro principale v' 6 un secondo di rainori dimensioni, raffigurante una lepre inseguita da un cane, nell'atto di rivolger la testa quasi a misurare con 1'oc-chio la strada che la distanzia dal suo insecutore. Questo secondo quadretto ornava il pavimento del corridoio dinanzi al tablinum. II mosaico, se anche non di fattura e qualit& finissima, b tuttavia una delle piu belle creazioni di quell' arte, scopertevi a Pola ed e tanto piu prezioso per noi, in quanto che e il primo mosaico figurale che viene alla luce in questa citt&. I colori del lavoro sono sodi e severi; il bianco forma il campo, le figure e gli ornati sono neri. Anche gli avanzi delle pareti delle stanze mostrano ancora, sebbene rosi dal tempo degli affreschi policromi di stile pompeiano. Altri avanzi si rinvennero in questi scavi: vasi, cocci di cotto con marche di fabbrica come PANS!ANA oppure L. B. RVFI, parte di una colonna corinzia ecc. A sinistra della villa fu scoperta anche un' antica cisterna con pavimento a spina di pešce a tre colori e una copertura a volta, sopra la quale c' b il buco per attinger 1' acqua. Alle parti sorgevano quattro colonne, che sostenevano probabilmente un tetto di riparo. Altra importante scoperta furono le fondamenta di un grande ediflcio, che, si disse, potrebbero esser quelle deli antico Campidoglio, il quale sarebbe sorto presso la villetta. Ma di cio nulla si pu6 ancor dire, tinchfe nuove eventuali scoperte non aprano uno spiraglio di luce sulla tenebrosa via delle congetture fatte finora.. Pola aprile 1911. Dott. Leone Volpis. F opera e ranima d! ffiuseppe Revere. (Continuazione e fine, v. numero 1). Abbiamo analizzato 1'opera poetica del triestino e abbiamo veduto che 1' elemento sostanziale ne b ia forza. Da questo segue che il lavoro a cui e soggetta la fantasia o la mente deli'autore, b la sintesi, il concentramento, il condensamento. La forma, stessa che sta in intima relazione con il carattere della poesia, il sonetto, esclude tutto quanto non sia assoluta-mente necessario. Per quanto spontanea venga su dali' anima questa poesia, ha per base sempre uno sforzo. Ora per legge lisica e lisiologica a ogni tensione tien dietro un allentamento. L' esistenza di questo fenomeno in Giuseppe Revere 6 chiara-mente dimostrata dalle lunghe prefazioni alle sue raccolte poetiche, le quali arrivano sino a quaranta pagine: ricordo il proemio ad Osiride. Ma v' ha di piu. Quando un uomo vagheggia un sogno o accarezza un'idea, si sente spinto a parlarne a tutti e in tutti i luoghi e in tutte le occasioni. E quando ali' idea accarezzata o al sogno vagheggiato si oppone un ostacolo il bisogno di raccontare, di rimpiangere s'accresce sino a diventare una manla. Anche questo era nel Revere. Ed e qui da ricercare la causa psicologica delle «gite capricciose», le quali in fondo non sono che colloqui, sfoglii deli'autore col lettore'). E si ') Cfr. G. Revere, op. compl., vol. II (Bozzetti Alpini, Asti, IV), pag'. 49: No, per 1'anima vostra, ch'io non voglio rubare il mestiere ag-l' imbalsamatori e impagliatori d' uccelli, n6 a' riccoglitori d' animali fossili; leggete una bella e buona monografia d'Asti se volete sapere le cose per bene. toccano con le prefazioni, come sono concepite dal Revere, senza pero avere di queste la falsita rispetto alFarte. II triestino ha cura di avvertire del carattere de'suoi bozzetti: «Laonde clii scrive di questo modo, bisogna si metta in capo d'aver per amici i lettori; con essi debbe parlare alla semplice; non fare interamente a sicurt&, ma tuttavia mostrare tal fede nella loro umanitti, da farsi perdonare, in virtu deli' amicizia, al-cune di quelle piacevolezze, che dette gravemente, non gli si passerebbero ')». Colloqui col lettore ho detto questi Bozzetti o Marine che siano. E non a torto. Nel primo volume, che ha titolo : Bozzetti Alpini, dovrebbe essere contenuta la descrizione di gite capricciose ad Asti, Susa, Chieri, Ivrea, Vercelli, Genova; almeno cosi pu6 sembrare a chi guardi superflcialmente. Ma in realtti di descrizioni di luoghi v'ha appena un'ombra. Pren-diamo ad esempio il primo bozzetto: Asti. Moncalieri, Troffa-rello, Cambiano, Pessione, Villanova, Villafranca ci passano davanti, nomi vuoti che non ci dicono niente. Anzi 1'autore si cruccia che la realtži esteriore voglia attirare la sua attenzione: «Moncalieri! Ti mangi il canchero, gridatore molesto e villano, che mi rompi le scatole col tuo Moncalieri e intorbidi il cervello! — Questo dico al conduttore, o custode, o guardiano che sia; il quale ammonisce i viaggiatori. — Ne v'aspetterete vi descriva il paese, nel quale v'ha un castello reale, un teatro di filo-drammatici, molti ciottoli, šalite e discese. Non so quante anime conti, nč quanti corpi noveri,...» Peggio e degli altri luoghi: *Troffarello! Campagna con pochi alberi (Prezzo cente-simi 90. — S' intende sempre della corsa). Cambiano! Alberi senza campagna (Prezzo lire 1.20)» 2). E gib di questo trotto. Ma se ne' Bozzetti la realta de' luoghi visitati c' e, in Marine e Paesi sparisce quasi del tutto. Nel primo bozzetto: Genova il pensiero corre a Trieste, al molo di San Carlo, al padre, alla fanciullezza ...; il secondo: San Pier d'Arena, <14. l'occasione per narrare una truce novella, La testa della Ce- ') (J. Revere, op. compl., vol. II (Bozzetti Al.pini, Ai lettori), pag. 30. 2) G. Revere, op. compl., vol. II (Bozzetti Alpini, Asti, II), pag. 45. cilia; il terzo: Sestri, offre lo spunto per ricordare im'avventura nel golfo di Muggia; il quarto: Voltri, da, luogo a una disqui-sizione storica; poi anche lo sfondo sparisce, e la fantasia domina sola ne' Ricordi di un'Onda. In Lavagna c' e la rie-vocazione di Grado e Duino e Monfalcone e un quadretto realistico, la piazza d* 1 campanile di Grado. Una disputa politica tra Gian Luigi Fiesco, Andrea Doria, Giambattista Verrina, Traiano Boccalini e poi altri e il contenuto de La dieta del monte di San Giacomo; una disquisizione su la lingua troviamo ne' Pensieri deli' autunno; una leggiadra fantasia attrae la nostra attenzione in Amori ad olio. Ne La bottega del rigattiere il «ciabattino, il sarto, il magnano, lo stipettaio, 1' armaiuolo e il cakleraio, insomma tutte le ge-nerazioni degli artigiani» mandano fuori. «i loro piu riposti pensamenti domestici, politici e civili, per la bocca delle proprie opere*; nella Commenda di San Giovanni di Prš con serenit& di storico e rilevato un brutto episodio della vita di Urbano VI; e infine nel Commiato il poeta della torre di Guglielmo saluta da Genova le citta d' Italia, Pisa e Firenze, Venezia e Ravenna e Torino e licenzia Anacleto Diacono e Cecco d' Ascoli, le creature del suo pensiero. Naturalmente 1' autore s' accorge di questo fenomeno psi-cologico e in un punto lo nota: «Mi confonda Iddio se so quel che mi peschi io in questa distesa di mari. Corro con la fantasia dal Tirreno ali'Adriatico; do noia alla Giovannina da Grado e al mio Lorenzo da Trieste, e tutto cio per trovar modo di uscire da questo impanio, andarmene a Recco, e di la tirare oltre sino a Lavagna.....» «Ho scritto in fronte di questo capitolo, a lettere da spe-ziaii, la parola Lavagna, quasi io mi fossi gia ingabbiato per quel viaggio; e in cambio di far trottare su per la costiera i magri cavallacci, che fanno quella via, me ne stetti sui mare a darvi le mie fantasie archeologiche, i piati per alcuni vocaboli marinareschi tra Anacleto e Cecco, e alla perfine i Ricordi di un' Onda. Gli uomini schifiltosi intorno al disegno d' un libro, e coloro che usano le seste e 1' archipenzolo nel giudicare gli scritti, avrebbero un mondo di ragioni per cogliermenein colpa» i). ') (i. Revere, op. compl., vol. II (Marine e Paesi, Lavagna, I), pag. 353 ' Gli e che la descrizione di luoghi e un puro pretesto, e qualche cosa di esteriore, e un apparato meccanico, non l'es-senza deli' opera. In questo Giuseppe Revere va piu in la che Enrico Heine. Ne' Reisebilder vi sono impressioni di viaggio con forte predorainio di fantasia, e vero, ma il viaggio e scopo per se; nei Bo z zet ti Alpini invece e in Marine e Paesi la gita 6 un mezzo, e un' occasione per effondere quello che era gi& nella sua anima, tant' e vero che 1' autore avrebbe potuto dire quello che dice in parecchi bozzetti sen za aver la noia di fare il viaggio in un omnibus o in un carrozzone ferroviario. Quello che v' ha di intimo, di vero, di artisticamente pro-fondo e da ricercarsi altrove. II Revere aveva cominciato la sua vita di scrittore col dramma storico e aveva tentato di rievocare il passato in tutta quella grandezza di cui 1' anima sua commossa aveva provato una forte sensazione. I suoi due primi drammi avevano lasciato in lui una impronta, che non si cancello piu. In un sonetto a Firenze dice: . . . quando volto il ciglio di nascoso, Scorgo due larve: un frate di San Marco, E un mingherlin che parmi Lorenzino '). E altrove: «Ma le tue vie io correva senza bisogno di guidatore; il solo fantasima d'un giovane fiorentino, smilzo e melanconico, accompagnava i miei passi, e un domenicano dalla sua fumida croce, strozzato ed arsiccio mi mandava al mio viaggio* 2). La storia, studiata su i documenti, era divenuta una sua occupazione cara e un bisogno del suo spirito. Ne son prova gli scriti su la Caduta di Siena (1847), su Paolo Erizzo, Francesco Bussone da Carmagnola, Giovanni de' Medici, V Assedio d' Ancona. La poesia, materiando gli ideali, i crucci, le ire e gli scrupoli del suo cuore, 1' aveva accompagnato per tutta la vita. II suo acre umorismo era zampillato nelle Mernorie in-torno ad Anacleto Diacono. Tutti gli elementi della sua fantasia, della sua intelligenza e del suo sentimento s' erano concretati in opere. Poteva ancora ') G. Revere, op. compl., vol. III (Osiride, Scorgo due larve), pag. 325. 2) G. Revere, op. compl., vol. II (Marine e Paesi, Commiato II), pag. 482. unire quello che aveva diviso, in un' opera šola, un' opera com-prensiva della sua anima. E la diede ne' Bozzetti Alpini e in Marine e Paesi, e, perche essa naeque nel momento di vita piii intensa, fu 1' iramagine piu vera e rilevata dello scrittore. Forse qui sta la ragione per cui qualche storico della lettera-tura vede in quest' opera il capolavoro di Giuseppe Revere. II poeta triestino, osservatore acuto, non dimcntico di rilevare la natura di questi suoi scritti: «io... lavoro con le mani e co' piedi per andare innanzi nell' arte del dipintore, ragione per la quale questa parte delle Memorie di Anacleto s' intitola Bozzetti Alpini* '). E altrove: «io misuro i campi deli' intelletto, i laghi, le valli del cuore, dove fioriscono i tri-boli del poeta, e le arcane viole, che ornano la fronte delle muse moribonde; ne' miei colli i vigneti non ostentano i loro grappoli dorati, ne pompeggiano altre piante fruttifere: sono ardui, sassosi i poveri monti sn' quali mi arrampico; sicclie lascio a voi la minuta dipintura della provincia...* E infine piu esplicitamente: «E perche detto le preseliti facce? Per manitestare al mondo la insanabile malattia che mi percuote, imperocche la 6 una infermita paurosa questa che ci tira sulle labbra accenti rammaricati, lamentanze acute, e ogni maniera di doloramenti. i quali accomodati per noi col savore deli'arte, intendiamo valgano almanco di ammonimento a' nostri fratelli. Per ci6 quando le fltte della fantasia mi danno strazio, e io, lesto come il vento, a foggiarle pe' miei lettori; quando la storia mi ferisce di amarissime punte il cuore e mi avvelena 1' intelletto, io tracanno il nappo affatturato, e di poi vi narro i laceramenti delle mie viscere» 3). Ed in questa rievocazione deli' uomo con tutte le sue qualita morali e intellettive, con tutti i suoi amori e i suoi odi, con tutti i suoi desideri e rimpianti, con tutte le sue inclinazioni sta 1' essenza di questi due libri. E nel metterlo arbitro in mezzo alla vita ch' era prima di lui e quella che era insieme con lui, in mezzo alla storia, che era 1' ammaliatrice che lo seduceva e il mondo contemporaneo, da cui sentiva la volonta di allontanarsi, perche non aveva potuto trovarlo come 4) G. Revere, op. compl., vol. II (Bozzetti Alpini, Asti, I), pag. 38. 2) t(. Revere, op. compl., vol. II (Bezzetti Alpini, Asti, IV), pag. 48. 3) G. Revere, op. compl., vol. II (Marine e Paesi, La Commenda di San Giovanni di Pre, I), pag. 462. bramava ne informarlo a' suoi ideali, sta la efficacia e il valore de' Boszetti AIpini e di Marine e Paesi. Diletti ? Si, ce ne sono e molti. Li ha notati il Camerini, li ha biasimati il Mazzoni. Ma i difetti non sono deli' opera, sono deli' uorao. Egli ciarla troppo c troppo si ripete. Vero. Ma dite a un uomo, che ha la vita infranta, di non parlare, di non dir sempre gli stessi lamenti. E a ogni modo Giuseppe Revere ha voluto essere lui, tutto lui. La sincerita e cercata a ogni costo, e persino ostentata. Le manchevolezze sono con sottile malizia notate o addirittura buttate in faccia al lettore. * * II mio lavoro e compiuto. Ho analizzato i singoli drammi storici ed ho messo questa parte del mio studio davanti alle altre, perche 1' opera teatrale comprende un periodo relativa-mente breve e chiuso, nel quale la personalita deli' autore non si mostra che di raro. Nell' ultima parte ho fatto veclere quale sia la sua poesia, dove dobbiamo cercare il germe della fecon-dazione e insieme della distruzione della stessa e finalmente come ne' Bozzetti Alpini e in Marine e Paesi abbiamo 1'opera comprensiva, nella quale tutti gli elementi spirituali gi& noti si fondono, si affinano, si intensificano. Nella parte di mezzo, perche doveva compiere il quadro deli' attivitž, drammatica e in pari tempo essere introduzione necessaria ali' ultimo capitolo, ho sviscerato 1'anima del poeta, ne ho anatomizzato i singoli elementi ed ho perseguito 1' evoluzione della vita psichioa. Ho inteso sopra tutto di mettere in giusta luce lo spi rit o rinnovatore di Giuseppe Revere, ch' e della sua attivita quelio che pili. merita di essere notato, e che per un inesplicabile capriccio delle circostanze fu il meno rilevato sinora da' critici. Eppure non v' ha campo dove lo scrittore triestino non abbia mostrato questa speciale disposizione della sua anima. Volle essere nuovo nel dramma storico, dove facendo suo un ideale gra:ade, troppo grande, di Giuseppe Mazzini, cerco d i realizzarlo, con arditezza nel Lorenzino, arrivando sino alle ultime conseguenze logiche ne I Piagnoni e gli Arrabbiati. Volle essere nuovo nella sua poesia cercando di metterla d'accordo con la nuova vita d'Italia, e credette di raggiungere lo scopo con quell' elemento ch' era gia stato 1' informatore deli' opera deli' Alfieri e del Foscolo: la forza. Volle in fine dare nuovo esempio di colloquio tra 1' autore e il lettore nelle sne prose, nelle quali alla grave tradizione italiana innestd la vivacitžt biricchina e la snellezza del Heine, di cui egli tra' primi senti tutto il fascino. L' aver egli in un tempo di decadenza, e dopo un periodo di letteratura florente viste nuove vie e tentato di seguirle e un grande merito, che lo toglie dalla schiera de' mediocri, anche se ne' suoi scritti non trovi mai il capolavoro, che at-tragga a s6 le menti e faccia palpitare i cuori di tutto un popolo. Perchč non sia riuscito 6 difficile a determinare con cortezza. Fu il triste sofflo della reaM che gli spazzo via gli ideali e gli infranse la vita, ond' egli consum6 le sue energie nel rimpianto e nell'imprecazione? O gli matico il genio, quella somma di potenze psichiclie, che alcuni chiamano fuoco divino, altri anormalita dello spirito, ma che nessuno sa veramente che cosa sia? Giuseppe Revere, il quale molte volte pens6 al primo caso, un giorno credette di trovarne la soluzione nel secondo: «da che un dio ignoto mi disse: tu non sarai grande, ma nondimeno avrai de' grandi tutto il triste corredo; cio6 a dire, tribolazione d' animo, audacia di fantasia, tenacit& di proposito, e indomabile amor di patria, io m' acconcio alla sentenza....» '). Div' e la veritA? Romeo Neri. Sari lvda.-u.ro e santa Marina Dne sacre leggende cliersine. (Cont. e fine; vedi N. 1). Tale risuona nella bocca del vecchio anziano la favolosa leggenda di San Mauro, e ci sa dire di altre ancora di castelli e castellani, di chiese distrutte, di guerre combattute, di av-venture stravaganti e di mille altre superstizioni religiose per- *) G. Revere, op. compl. vol. II (Marine e Paesi, La Commenda etc., I), pag. 462. petuatesi dal torbido medioevo. Onde non 6 da farsi meraviglia se quelle genti estenuate dalle fatiche dei campi e abbando-nate alla piu profonda ignoranza, intravedono nelle visioni del sogno ripopolati i castelli, ricostruite le chiese e rianimati gli spiriti erranti. Ed 6 perci6 che il contadino ancora oggi teme di passare dopo il calar della notte presso quei ruderi, perche la sua fantasia irrequieta e sognante dice che le sepolte genti sogliono uscire dalle loro sepolture facendo echeggiare d' intorno i loro lamenti paurosi e strani '). 11 soggetto della seconda leggenda, che e quella di Santa Marina, per poco si discosta da quella della prima. Dal castello di Caisole che prospetta, come detto, sulle acque del Quar-nerolo, s' apre una traversa la quale accavalciando il monte, mena aH' altra parte deli' isola, cioč a quel versante che volge a occidente verso il canale della Faresina, famoso in varie epoche della storia. Non orridi burroni, precipizi che scendono a picco come altrove, bensi belle spianate verdeggianti di grasse terre da pascolo, digradano verso il mare formando di quando in quando delle insenature piu o meno profonde. Sul declivio di uno di questi promontori rivestito di verdissime zolle erbose, in mezzo alla quiete della campagna, sorgeva nei tempi trascorsi, la chiesuola di Santa Marina, di cui oggi si possono vedere soltanto pochi avanzi travagliati dal tempo, consistenti in quattro mura scalcinate 2). In quella posizione assai ridente ed amena, la chiesa imbiancata presentava un bellissimo aspetto, fermava 1' attenzione dei naviganti che tragittavano per quel canale e colpiva 1' occhio degli abitanti di quei vaglii paesetti sparsi lungo la costa orientale deli' Istria. Era questa santa oggetto di grande venerazione, tale che ancor oggi vi perdura viva la tradizione orale. Quivi conve-nivano nel giorno della testa i devoti pellegrinaggi per cantare le preči in comune. E dopo le sacre funzioni, i valligiani del-1'Istria, che traevano in folla alla festa, piantavano all'aperto J) Cade in acconcio a questo proposito, riferire che neanche il popolo della Sardegna si e scostato ancora da tali superstizioni, ove appunto la reula, il leggendario e funebre fantasma delle campagne sarde, va rumo-reggiando di notte fra le scoscese balze deli' isola. — (Cfr. Stan is. Manca : I Sardi alle corse e a caccia. — Sec. XX, ottobre 1910, Treves). 2) Nelle tenute deli' avvocato Nicolo Petris-Ercole. i loro raercati, facendo commercio di agrumi, verdure, erinelle ed altri loro prodotti. Crescevano intorno alla chiesa alcune querce antiche i cui rami vigorosi si estendevano in guisa da poter accogliere alla loro ombra tutti i convenuti; col& essi improvvisavano il ballo campestre, e i mesti suoni della zam-pogna rallegravano i cuori d' ogni et& e d' ogni sesso. Con gran giocondita di canti, di flori e di vino trascorreva la festa tradizionale, e ognuno ne riportava alla sera la piu lieta im-pressione. Per lunga serie d' anni le cose volgevano bene, e il tutto procedeva per la via retta fino a che durava la fede e trionfava la religione; ma allorquando erli uomini si staccarono da questa, quando cominciarono a seguire 1' iniquita, non curando ci6 che loro il clovere prescriveva, tramontarono le feste, cessarono le fiere, finirono le grazie della santa. — Una pastorella che in quei pressi pasceva una mattina il suo gregge si rec6 come di consueto a far orazione sulla soglia della chiesetta, ma con gran stupore la trov6 vuota, e 1' altare deserto. Si seppe ben presto che la santa si era allontanata da quest' isola at-traversando i flutti del canale della Feresina, per far sosta in un ameno paesetto della costa istriana a specchio del Quarnero, e per ottenere dagli abitanti di quelle terre il ri-spetto e la venerazione dovuti. La santa fece il tragitto a piante asciutte e giunse a buon porto alla riva opposta, prendendo diletto della sua nuova dimora. — In un baleno si sparse per tutti i dintorni la voce di quell' avvenimento, il quale veniva qualificato come un grave castigo di Dio, mettendo ovunque cruccio e disperazione. Oggi si venera al di li del mare santa Marina in una chiesa riccamente addobbata e rifulgente di doni votivi, mentre i contadini di queste regioni immiseriti dali' ira del cielo, rimpiangono acerbamente la perdita della celeste pro-tettrice, le sue grazie e i suoi miracoli cessati per sempre, di cui non giunse a noi che la leggenda. Ignazio Mitis. MISCELLANEA i Una poesia di Zaccaria Lupetina albonese, cinpuecentista Zaccaria Lupetina 6 ignoto si allo Stancovich, autore della Biografia degli itomini distinti deli' Istria, come al Giorgini, al Luciani e agli altri storici d'Albona: celebre invece il suo casato per la monumentale figura di Baldo Lupetina, apostolo e martire della Riforma. I distici latini che qui pubblico li ho tratti dal Codice Marciano XII, 221 lat., carte 213 r. — 214 v. Sono in lode di Andrea Gritti, doge di Venezia, e risal-gono quindi agli anni 1523-1538. II poeta vorrebbe inviare al doge una ricca strenna per capo d' anno seguendo un' antica costumanza d i famiglia, ma la povert& glielo impedisce (v v. 1-10); onde oggi gli spiace che i suoi genitori 1' abbiano av-viato alle lettere cosl poco produttive e non piuttosto a qualche industria lucrosa (11-22). Cosi si lamenta il poeta, quando gli apparisce la Musa che lo incuora e lo esorta a sprezzare le ricchezze e a coltivare la poesia e la virtu (23-42); ch6 se il mondo e variamente e profondamente corrotto, c' 6 un principe, il Gritti, ch' 6 specchio d' ogni virtu ed 6 un mecenate (43-96). Nella chiusa (96-106) 1'autore prega il doge di gradire il suo dono poetico e gli augura gli anni di Nestore. Sono versi evidentemente interessati; ma le lodi non sono smaccate, perche il Gritti fu uomo degno di questi e di altri elogi. Ne i poeti del tempo tralasciarono di fargliene; anzi qualcuno di essi dichiarava in perfetta armonia col nostro che nessuna Musa avrebbe saputo celebrarlo convenientemente 4). La poesia mostra che l'Albonese ha saputo trarre frutto dallo studio dei classici e in particolare d' Ovidio e di Virgilio; notevole in lui la ricercatezza di certi vocaboli e forme (v. 8 aureolos, ahena; v. 15 indigus; v. 19 amplexarier; v. 64 alniferi, etc.). A. Medin: La storia della repubblica di Venezia nella poesia, Mi-lano 1904, pag. 193. Ed ecco senza pili i suoi distici: Zachariae. Luppatini Albonensis carmina ad serenissimum principem Andream Grittim Ducem Venetiarum. Saepe diuque meo volventi pectore, nostri Temporis o princeps gloria farna decus, Te quibus in Jani possem donare calendis Muneribus, veteres ipse secntos avos, Nil occurebat te dignum ex asse patemo Qui minor est duris bei mihi syderibns: Pinguia robusti non vertunt jugera tauri non neque aureolos serunt ahena mihi. Magnos magna decent: quod si te munere digno Visere quisqnani optet, maxima regna dabit. Tandem ego: «Litterulas cur me docuere parentes Et eum fluminibus nomina vana sequi ? Quid mihi non prodest veteres novisse poetas, Rhetoras, historieos grammaticosque simul? Quid mihi Thespiadum pariet chorus indigus auri Praeter aquas, frondes ? nil dabit iste ehorus. Quid mihi eum Phoebo Bacchoqne novemqtie Camoenis'? nil mihi vobiscum est amplius: ite procul. lam iam ditantes libet ample,xarier artes Ex quibus ingentes saepe parantur opes. Discite vos nudas, moneo, vitare Camoenas Exemploque malis posse earere meo.» Vix has edideram tristis ex ore qnerellas, En stetit ante oculos Paegasis una meos Coepit et his verbis nostrum cohibere furorem, Concessere quibus protinus ira furor: tHei mihi, quanta premit mortalia pectora nubes, Hei mihi, cur homines foeda libido regit? Quum genus humanum mentes virtute colebat Turpibus et vitiis non locus ullus erat, Vatibus aonijs fulvum pretiosius aurum Non erat, auriferi non erat unda Tagi. Et quis Smvrnei non mallet nomen Homeri Quam quas terrarum continet orbis opes; Quum venerabantur divina laude poetas Atque opibus: tanti earmen honoris erat. Aurea nune quoniam paucis est cognita virtus Exulat, et vates nomen inane putant. Vulgus et indoctum reboat: — Quae insania cepit Qui Musas inopes nocte diuque colunt? — Nil profecturas placidus depone querellas Et monitus aequa percipe mente meos. Non mentes hominum variae capiuntur eodem Munere: sed prudens omnibus aptus erit. Caeca rapit multos auri vesana libido: His sua tu prudens dulcia dona dato ; Hic studet apprime Veneri Bacchoque gulaeque: Huic sua tu prudens dulcia dona dato; Denique vulgari gaudet quo munere quisquam: His sua tu prudens dulcia dona dato. Has vero haud inhiant caelestia pectora nugas, Sanctior hic princeps qualia noster habet, Quem deus ') innumeris donavit dotibus unum Et statuit columen totius esse soli, Cuius in immensum protendunt aera laudem 2) Usque adeo satius qui siluisse reor. Si mihi tot linguas quot habebat lumina quondam Argus Aristorides Juppiter ipse daret, Non tarnen iccirco comprendere cuncta valerem Versibus Aonij sim licet una chori. Praetereo veneta quod sit satus urbe potenti, Adriaci fulget quae maris inter aquas, Cuius et imperio terrae pars maxima justo Paret et alniferi pars quoque magna freti •, In qua suspicimus operosis molibus aedes In qua suspicimus divitias et opes. Tale crediderim quondam sub Caesare Romam Augusto stellis exeruisse caput. Transeo patricio quod sit de sanguine, de quo Semper complures emicuere viri. lile tamen eunctos superat fulgore micantes, Cynthius ut gemini sydera clara poli. Quis non divini spetiem probet illius oris Et quis non formam3) corporis obstupeat? Tota domus gemmis auro pictisque renidet Vestibus, ast ipsum purpura laeta dolet. Quid referam quanta vitam probitate pudicam Vixerit, et vi vat sanctius inque dies? Ni mirum est summae virtutis tempore in isto Tot quae circumstant abstinuisse malis. Felix et merito divina est laude colendus, quod vitam minime polluit ille suam, Quem propter redeunt iterum Saturnia regna Virgoque de supera sede revisit humum. Semper et adversis illi semperque secundis nescia fortunae cedere mens eadem est. ) II codice: decus. ) II codice: laudum ) II codice : formant. Pectore cum tali quem vis conferre triumphum? Haec est celesti gloria digna viro. Adde quod est mitis placidaeque quietis amator, Adde quod est miseris praesidiumque bonis. Pictor ut iu tabula magnum depingit Olvmpum, Exigua paucis sic ego magna cano; Sed quia maius opus tantarum gloria rerum Postulat, haec obiter jam eecinisse sat est: Maecenas hic alter adest, gaudete poetae, Nune Helicouidas premia certa manent». Haec ubi dieta dedit, commotis protinus alis Deseruit rapido teeta paterna pede. Quidquid id est igitur, toto mihi semper amande Pectore, non tristi lumine, fronte legaš: Sic tibi dent superi vivacis saecula cervi Saecula vel Pilij vincere terna senis. Quod nisi Calliopes fallunt me dieta canorae Non haec obdueta carmina fronte leges, Qui claro astrigerum contingis nomine celum Dignus terrarum sceptra tenere. Vale. Aliti lesiali sia parlata ila cauapa istrlana. 32. Matolico: Matolica. Anche queste voci, si 1' aggettivo mattolico, che il sostantivo femminile mattolica, sono d' uso quotidiano nella campagna istriana, ne in citttt le intesi mai, nel senso di matto o meglio «che i del matto», o di «ramo di pazzia». Di chi e piacevole nel conversare, che sa condir di lepidezze, o a chi fa stramberie si dice: — Quel Id xe un bel matolico. — Ed altri esempi, che dal parlar d' ogni giorno si posson cavar a mille, sono: — Ara! che estro matolico! — Co' quel matolico 'l verzi boca, se ghe ne senti de bele. — Varda che se me etapa la matolica, gnissun me frena. — Ai zoveni bisogna lassarghe un fla de bdgolo, parche i ga duti un ramo de matolica. — Ma ti xe matolico! — Piu volte poi intesi questo scherzo: — Gib, de che religion ti xe, Baccio Ziliotto. (Continuazione; vedi N. ant.) de la catolica o de la matolica? — Ebbene questi son anche termini del popolo pistoiese; ce ne fa fede il Petrocchi, II 176 di sotto, il quale riporta gli esempi: — Quando gli piglia la mattolica, ci fa disperare. — Un po' di mattolica i giovani la devono avere. 33. Matitk. Questa voce non nel senso di alienazione mentale, ma piuttosto di »mattezza, mattia, cosa da matto, azione spensierata, idea matta, buffoneria», e anche d' uso cotidiano fra i campagnoli. — El ga matita lu, ma 7 pol acerle, parche el ga bori. — Xe ora che ti lassi le matita, e ti faci giudicio. — No go voia mi de matita; go altro per la testa. — Ed anche questa 6 buona voce italiana sebbene non letteraria; vedi P. II, 175 di sotto; F. 929. 34. Cisindel. E' d' uso famigliare e cotidiano nel senso di dumicello, lampada». — Ti ga impicd el cisindel (o ci-sendel, cesendel) a la Madona? — Xe festa granda, e in ciesa no ardiva gnanca un cisindel. — Anche questa 6 voce italiana. A Lucca dicono cicindello o cincindello: vedi P. I, 467, col. 1 di sotto; a Milano dicono cincendella, come avver-tono Giovanui Gherardini (1778-1861) e il Petrocchi stesso (I, 466, col. 2, di sotto), il quale anzi osserva che nel Veneto dicono cesendolo. Veramente nel Veneto e cosl nella campagna istriana si dice cisindel, cisendel o cesendel. Come voce istriana la ricorda Giuseppe Caprin nell' «Istria Nobilissima*, I, 262. — Deriva dal latino cicendela, che propriamente significa la lucciola, donde si prese la metafora per indicar la lampada accesa, che fu detta anche cicindelis e cicendulurn. Fulberto Carnotense (epist. 68)scrive: In ter organa vatum et ardentes cicendelas; e s. Gregorio di Tours (lib. IV, c. 31) dice: In sa-crarium sub velo transiens cicendelem extinguere voluit. 35. Onestamente. Nel dialetto cittadino quest' e 1'avverbio deli'aggettivo «onesto», il quale s'adatta a chi opera o a ci6 che č conforme alla virtii, ali' onore e al decoro; talchš, detto deli' uomo, si riferisce al galantomismo, detto della donna, si riferisce alla sua fermezza contro le lusinghe. Ma in campagna quest' avverbio ha anche un secondo significato, ignoto alla citt&, vale cioe per destramente, abilmente, accortamente. Onde si dice: — Quei do fradei i s'd diviso la facolta, ma duti do i ga fato onestamente. — Toni xe omo che sa far le robe onestamente. — No se pol darme de intender a mi: le cosse le so anca mi come che le devi andar onestamente. — Intanto a Bepo ga toča quela sostansa in eredita; eh, el saveva beri lu farghe le bele onestamente a su' barba defunto. — Save che sior Giovani el sposa la su' serva? Eh, la ghe stava massa onestamente drio. — Quest' uso, ricordato dal Petrocchi (II, 389 di sotto) e dal Fanfani (1033, col. 2), non e piu deli' odierna lingua parlata, ne tampoco della scritta, ma e deli' aureo Trecento. II Boccaccio, per citare il maggior nostro prosatore, 1' ha nel Decam. g. I, nov. IV (pg. 75, I): «E perdonatogli et impostogli di cio che veduto avea silenzio, onestamente misero la giovinetta cli fuori»; e nel titolo della nov. X, giorn. I (pg. 92, I). 36. Doima. II vocabolo donna per moglie in citta non si usa. Sebbene la parola donna derivi dal latino domina, eppero in origine voglia dir «signora», oggimai, meno quando si nomini una nobil donna (Donna Luisa, Donna Paola, Donna Morosina), checche si dica, ha il signiflcato di «femmina deli' uomo-; onde in citta sembrerebbe di mancar di quel rispetto ch' e dovuto alla compagna della propria vita, chiamandola donna, ossia femmina. Invece in campagna quest' uso e quotidiano; e le mogli ci tengono ad essere chiamate donne. E' forse in esse inconsapevolmente la coscienza dominatrice del latino domina ? Cosi si udrh dire ogni giorno: —- La dona de compare Bepo sta maL — Poco ben ti ghe vol a la tua dona. — El ga dona ? (per dire: ha moglie?). — Povara la mia dona! — Cossa ga elito la sua dona? — No so cossa dir; ande a sentir la mia dona. — Anzi il campagnolo nominando la sua moglie, raccorcia la frase e dice soltanto: la mia. — Ogi me contava la mia, che... — Se me fa un scandolo cussi la mia, guai! — Eb-bene — guarda mo' bellezza di combinazione! — la medesima differenza, che fra citta e campagna d'Istria si riseontra per quel che riguarda 1' uso della parola donna per moglie, c' e pure fra citta e campagna di Toscana. Nelle citta toscane son comuni le frasi «vuol donna» -dategli donna» «vuol prender donna»; ma 1'usar la voce donna per moglie verso una gia maritata, lo si reputa volgare e lo si lascia ai contadini. Cosi spiega il Petrochi, I, 781, col. 2, i modi campagnoli toscani «povera la mia donna!» «che dice la mia donna?» «Andate a sentire la mia donna* ... i quali sono anche modi campagnoli istriani. Osservero infine, che la voce donna fu usata nel senso istriano anche dai raigliori Trecentisti. Cosi il Boccaccio (Decam. g. II, n. VIII, pg. 163, I): «la donna del figliuol del re gli pose gli occhi addosso*. E il Fanfani nelle note alla nov. II, g. VIII, pg. 182, II, n. 25, dice che solo i contadini dicono la mia donna nel senso di moglie. E' davvero il caso nostro! 37. Justo. Tale voce, con tutti i suoi derivati justicia, justamenle, justare, a noi cittadini fa ribrezzo. Quella lettera j per gi 6 un barbarismo slavo! — si dice. Invece? falso! perche le son voci antiquate italianissime, come ci dicono il Fanfani, 834, col. 1, e il Petrocchi, I, 1286, e furono usate da scrittori classici, quali Jacopo Passavanti, fiorentino del sec. XIV (1290-1357), dali' autore della «Meditazione sopra 1' albero della Croce», da Bernardo Giambullari, poeta fiorentino del sec. XV, da Antonio Cammelli detto il Pistoia, poeta del sec. XV, da Francesco di Bartolo da Buti del sec. XIV nel suo Commentario alla Divina Commedia di Dante, dal fiorentino Monsignor Giovanni Della Časa (1503-1556) e da Fra Guitton da Arezzo. II Boccaccio (Decam. g. III, n. VII, pg. 240, I) scrive: «Questo peccato adunque e quello, che la divina justizia, la quale con justa bilancia tutte le sue operazion mena ad effetto, non ha potuto lasciare impunito*. — Ma giacche ho riportato la voce justo, prego il lettore di non essere corrivo a tacciar di slavi i campagnoli d'Istria, se mutano 1' iniziale g schiacciata d' altre parole nella consonante j, per modo da mutare le sillabe gia - in ja -, gie - in je -, gio - in jo di -= gii - in ji -, gio - in jo - e giu - in ju -. P. e. jalappa -janda, termine cotidiano pistoiese per ghianda - jarsera, voce deli' Apennino toscano per jersera, usata da Michelangiolo Buonarroti il Giovane (1564-1646) nella commedia «La Tancia., e ricordata piu volte dali' insigne filologo fiorentino Vincenzo Nannucci (1788-1857) - jejun o jijun (digiuno) - junar o jeju-nar - jente (o jenta) per gente, termine ricordato dal Nannucci e usato nella «Vita di Cola da Rienzi» - jogo per gioco e per giogo - joja, famigliare a fra Guitton d'Arezzo e cotidiano nel contado lucchese - jovine - jovana (per fanciulla) - jorno -joventii, comunissimo nell' antico Volgarizzamento di S. Ago-stino - jubileo - judeo - judicar, usato spessissimo da fra Ja-copone da Todi e dal Cammelli - judice comunissimo nelle Novelle di Franco Sacchetti e di Giovanni Sercambi (1347-1424) - judigio - jurar - juramento ■■ jurato. Tutte queste voci sono d' uso quotidiano nella eampagna istriana. Ma adagio a ma' passi! Si vegga il Petrocchi, I. 1285 e 1286, e si troveri che tale uso della j e slavo, com' io sono turco. 38. Potere. Questo comunissimo verbo nel dialetto istriano di eampagna si adopera in certe locuzioni, che ad un cittadino parrebbero insulse, o addirittura antitaliane. Come verbo cosidetto servile, esso si appoggia ad altro verbo nel modo infinito; p. e. ho potuto cantare — posso andare. — Ma in moltissimi časi il campagnolo istriano omette il verbo infinito, che dal contesto lascia intendere a chi 1' aseolta. — Co ste fadighe no pol 'l eristian (s' intende: no 7 pol resister). — No pol V orno, no 'l pol. — No posso avanti (s' intende: durare, reggere). — Se vedeva che no 'l podeva avanti. — Mi bastonavo el musso, ma no 'l podeva avanti. — Quel xe un fio poco de bon; su' pare no 'l pol con lui (s'intende: riuscire a bene). — Co 'l xe imbriago, con lu no se pol (s'intende: ragionare). — No posso co la man (s'intende: ci ho male e non posso lavorare con essa). — No se pol sempre una manestra (s'intende : mangiare). — Anche siffatte locuzioni che paion barbare, sono italianissime. II Boccaccio ne ha di begli esempi. Nel Decam. g. V, n. III (pg. 26, II) narra: «E gi&, per lo gridare e per lo piagnere e per la paura e per lo lungo digiuno, era si vinto, che piu avanti non poteva*. Pare tolto da un fatto di cronaca istriana. E nella nov. VI, giorn. VII (Decam. pg. 142, II) osserva: «E come spesso avviene che sempre non puo 1'uomo un cibo, ma desidera variare». Anche qui pare che il Boccaccio abbia sorpreso 1' intera proposizione sulle bocche dei campagnoli d' Istria. II Fanfani, annotando questo passo del Decamerone, dice che «a queste forme elittiche si adatta ma-ravigliosamente il verbo potere». DI altrettanto dei modi istriani. Ed Agnolo Firenzuola serive: «Egli non si potea con loro», per: non si sapeva che fare con essi. E Dante nella mirabile parafrasi del Padrenostro (Purg. XI, 7-8) canta: Vegna ver noi la luce del tuo regno, Che noi ad essa non potem, da noi. Splendido esempio che dal divino Dante ci viene a erismare di fulgida italianita le locuzioni della eampagna istriana. — Ma il campagnolo d' Istria ha anche un' altra frase apparen-temente non italiana: no poder ne qua ne la, per dire: star male. Un di infatti mi veggo giungere trafelato e spaurito un ragazzo, che mi fa: —Presto, sior santolo, el vegna de noi, che mia mare no la pol ne qua ne Id. — Ad onta del suo terrore, non mi seppi tenere dal ridere. — No la pol.... ne qua ne la! — peri sa v o, e la curiosa frase mi faceva — vedi stranezza di concomitanza! — lo stesso effetto che fa il motivo musicale, onde Giuseppe Verdi rivesti le parole «dalle due alle tre» nel Falslaff di Arrigo Boito (atto II, parte I, pg. 44) e mi ricordava la scappata di Gioacchino Rossini nel Barbiere di Siviglia di Beaumarchais qnando Figaro canta: «per un barbiere... di qualit&». — No la 'pol... nč qua ne la! — e ridevo. Oggi non riderei piu; che tale frase e flor di lingua italiana, tanto che 1' ebbe ad usare lo stesso Cardinal Bembo. II Pe-trocchi (II, 573, col. 1 di sotto) e il Fanfani (1163) ricordano che in Toscana si dice: non poter ne piu qua ne piu la; ma la frase istriana — ognun converra -- e assai piu spigliata e incisiva. 39. Sozio. Anziche nel senso di socio (specialmente nel gergo commerciale e industriale), come fu adoperata nel sec. XVI (P. II, 1005, col. 1 di sotto), e piu spesso di compagno (F. 1463), in campagna questa voce viene usata nel signiflcato di compare, amico. — Qua mi e 'sto mio sofio serno vignui a veder se xe restci gualcossa par noi in bucaleta. — E sa-lutando dicesi: — Viva, soQio! — Cosi ha pure il Boccaccio; p. e. nella lepidissima nov. V, g. IX (Decam. pg. 274, II), ove Bruno dice a Calandrino: «Che diavolo hai tu, sozio Calan-drino? tu non fai che sofflare*. 40. Largo. Nelle citt& istriane usasi questa, voce si agget-tivo, che sostantivo, che avverbio, in tutti i significati e in tutte le frasi del vocabolario italiano, fu orehe nel signiflcato di lontano, nel quale e adoperata dalla campagna. A cagion di siffatta voce fui presente un di ad una gustosa scenetta. Un campagnuolo chiedeva a Parenzo a un cittadino: — La prego, sior, xe largo de qua el Municipio ? — Cossa ? — soggiunse il cittadino — se 'l xe largo....; se 'l xe grasso vole dir; ma no save, che semo tutti magri come la Quare-sima? — E allora intervenni io e spiegai, ch'egli domandava se fosse lontano il Municipio. — Ma benedelo — selamo il cittadino — che 'l parli italian! — Eppure il campagnolo aveva parlato italiano puro, che largo per lontano e voce antiquata si, ma italiana (vedi P. II, 16 di sotto; F. 844), e 1' usarono Francesco Berni e Giovanni Gherardini. In campagna si dice : — El ga largo de girar el fante nel nostro comun. — Mio fradel s' d fato la časa largo del paese. — Quel prete ga una cura indifizile, perc.he el ga la rgo de caniinar. — Anche gli Slavi 1' adoperano nel loro dialetto italo-slavo, p. e. — Crkva je largo od mojega mjesta = La chiesa 6 lontana dal mio luogo. 41. Melitare. Quest' idiotismo d' uso quotidiano per »rnili-tare» (soldato) che a noi pare un aborto dovuto ad imperizia della lingua italiana, č termine anche livornese e pistoiese; cfr. P. II, 190, col. 1 di sotto. 42. Circunstanzia. Questa voce non ha in campagna il significato di «circostanza», come trovasi nella Cronica di Giov. di Paolo Morelli, nel Volgarizzamento delle Pištole di s. Girolamo e in quelle di Maestruzzo, nel qual significato il campagnolo dice circonstanza con 1' aggiunta d' una n (circon-), ma ha il senso di luogo contiguo, adiacenze, vicinanze. — El fogo s' d spar-nigd dal fenil e dal tigor nelle circunstancie. — Ara che te clago i.n cagoto su quel bruto muso, che te sbrego el naso con dute le circunstancie. — Boveviou vardar ben ne le circunstancie, che la bolpe (volpe) no se fussi scaluria in gnale h e buso. — Anche questa voce antiquata e italianissima; vedi P. I, 482, col. 2, di sotto; F. 334; col. 2. II Petrocchi reca l'e-sempio affine, tratto dalla Tavola Ritonda, ove per circunstanzie si intendono le localita interne del corpo uraauo: «Una vena la quale gira tutte 1' altre circunstanzie del corpo». — Qui sta bene ch' io faccia notare quello che osservai giži altra volta {F. Babudri, La Badia di S. Micliele Sottoterra —- II Comune di S. Domenica, Parenzo, L906, pag. 41, nota 1), che nella campagna istriana piace 1' epentesi del suono n nel corpo delle parole (p. e. circunstanzia, tansa per tassa, baldancliin, Magdalena, dontrina, rencini (orecchini), fiantin (fiatin = un poco), ajigosto, va^canza), come appunto usavasi ed usasi in parte aneor oggi nella ciltd e nel co7itado di Siena. Esempi letterari di questa n pleonastica trovansi nel Boccaccio, Decam. nov. I, giorn, VII: «che egli ognindl quando andasse o tornasse da un suo luogo ecc.» ; il quale avverbio ognindi opp. ognendi trovasi pure nelle croniclie di Giovanni Villani, nelle prediche di fra Giordano e negli scritti di Benvenuto Cellini. — Le mille e mille volte poi sentii dire in campagna el ninferno per V in- ferno. — Che te podessi magnar el ninferno! — Ma te an-dara in ninferno!... — Anche questa voce, dove si premette la n 6 d' uso senese non solo, ma 6 trecentesca. 11 Boccaccio 1' ha in piu luoghi; p. e. nel Decam. g. VII, n. X Meuccio do-manda a Mengoccio se e «fra 1' anime dannate nel fuoco pen-nace di ninferno*; nella nov. VIII, g. V leggesi: «et e dannato alle pene del ninferno* ; ed 6 pili volte ripetuto nella nov. X g. III di Rustico ed Alibech. L' uso anche Giovanni Villani. Cosi il B. Frate Giordano da Rivalta ha spesso la voce raabisso per abisso, voce che vive nel contado toscano; cfr. P. II, 316, col. II di sotto. II Guerrazzi us6 il verbo «nabissare», che h voce contadinesca. Fra Guittone poi ha nangustia per «angustia» e nčmtiporre per anteporre. (continua) Francesco Babudri. Commenda o vescovato (Saggio di storia). La serie dei vescovi capodistriani presenta due lacune in due periodi storici dei quali sarebbe importantissimo avere maggiori notizie, perchž appunto in quei periodi deve aver avuto luogo una specie di risveglio architettonico ed intellettuale. II primo periodo lacunale va dal 570 al 756 circa e si dice che durante questo tempo cessasse per la prima volta il vescovato capodistriano; il secondo comincerebbe coll' anno 770 circa e giungerebbe fino al 1184. La prima lacuna conste-rebbe dunque di 186 anni, la seconda di 414 anni! Come il lettore vede, non si tratta di brevi intervalli, bensl di spazl misurabili gi& a secoli! Finora per6 nessuno degli scrittori di cose patrie ritenne n6 possibile n6 plausibile mettere in dubbio quelle omissioni che si riscontrano nel sillabo dei vescovi capodistriani, e tutti ripete-rono le parole deli' Ughelli, del Gams, del Naldini ecc. accon-tentandosi delle conclusioni piu o meno persuasive che erano state tratte da quelli antichi scrittori e basate principalmente sulla mancanza di documenti scritli. Oagi lo storico non deve pero accontentarsi solamente della risposta che gli da 1'archivista, esservi, cio6, o no, negli archivi pergamene o carte che dieno fede di un fatto o deli'altro: oggi lo storico deve saper »leggere fra le righe», deve non solo saper coordinare logicamente le prove scritte, ma deve cercare anche di corroborarle colle traccie che le passate civilta lasciarono indubbiamente sotto varia forma. E' suo dovere quindi di colmare le lacune che rimanessero ancora con tutte le risultanze che emerger possono da scavi, dallo studio di sculture. architetture o pitture, e dalle tradizioni. Se gli scrittori di storia capodistriana avessero preso in considerazione tutti questi materiali di ricerca, se essi avessero poi coordinate tutte le loro osservazioni logicamente e se, infine, avessero condotto paralellamente la storia del vescovato capo-distriano, con quella degli altri vescovati istriani, di certo sa-rebbe apparso enorme, a qualsiasi di loro, che un vescovato storicamente e civilmente si bene piantato come quello di Capodistria, fosse potuto svanire nel nulla per due volte e per ben centinaia di anni, senza che di questa soppressione rimanesse anche traccia profonda nella storia, sia per som-mosse, sia per proteste, sia infine per qualche documento scritto di qualsiasi specie. I piu moderni scrittori *) non trovando documenti scritti si lasciarono anche essi trascinare dai loro predecessori, principalmente dal Kandler, il quale pero lasciava loro adito di dubitare qua e 1 k delle sue «lndicazioni» e dava loro come fonte sicura solo il »Codice diplomatico istriano* incompleto. A noi diede motivo di dubbio il riscontrare anzitutto delle ripetizioni nelle «Indicazioni» suddette, poi il ootare in-torno a Capodistria, ed in citt& che senza dubbio avevano dei vivi rapporti intellettuali, commerciali e politici con essa, un' attivitči straordinaria appunto in quei periodi nei quali cadono le due lamentate lacune. *) Dr. B. Benussi: Nel Medio Evo. Pagine di Storia istriana. Pa-renzo, 1897. — Don Francesco Babndri: Cronologia dei Vescovi di Capodistria (Areheogr. triest. Vol. V. III Serie, faseicolo I). — Parenzo nella Storia eeclesiastica (Atti e memorie della Societ& istriana di archeologia e Storia patria. Vol. XXVI). E come mai & possibile che il vescovato capodistriano risorgesse dopo immani sforzi, nel 756, per esser soppresso dopo circa soli quat,tordici anni di vita novella? Giacche quei due vescovi Giovanni (756—f c. 767) e Senatore (c. 767—f ....) non possono aver retto il vescovato capodistriano per piu tempo di quello, e fanno nel sillabo dei vescovi la misera figura dei due uniči denti superstiti nella bocca sdentata dei vecchi. Mancanza di documenti, cari scrittori, ecco la ragione percli6 si ritiene soppresso o addirittura dato in commenda il vescovato capodistriano, appunto allora quando i Longobardi e poi i Franchi spargevano a larghe mani i benefici sulle chiese cattoliche e quando in Capodistria sorgeva uno dei piu caratteristici edifici sacri: 1' attuale chiesa del Carmine ! II vero modo di eavarsi d' imbroglio con 1' asserzione che il vescovato capodistriano morisse nel 570 circa per inedia e denutrizione, lo riscontriamo in una trase del Mainati insinuata subdolamente nelle sue Croniclie *). Egli ci racconta che intorno al 640 «si riducesse a tal termine 1' afflitta cristianitci, oppressa e tormentata dalla barbarie di queste nazioni (Longobardi, Slavi, Vendi e Crobati), che molti Vescovati restarono senza Vescovo, chiese senza Pastori, ed altari senza sacerdoti, montre appena trovavasi chi insegnasse la fede, se non era qualche Ariano fra i Longobardi: perche Rotari, oltre 1' avere spogliate le chiese, confuse anco la vera con la falsa Religione, creando in tutte le cilta un Antivescovo Ariano, ove prima le reggeva un cattolico, ergendo seggia, contro seggia, ed altare contro altare*. E' chiaro anzitutto che Rotari non aveva intenzione di distruggere i vescovati, ma che egli solamente tentava di trasformarli rendendoli pili propizi alla sua causa. Sappiamo poi che questo barbaro oppressore e stato il primo a proteg-gere la scultura e 1' architettura accogliendo nel suo codice **), esteso fra gli anni 636 e 652, in speciale protezione 1' organiz-zazione dei «Magistri comacinu. Per Capodistria poi pud valere meno che per le altre cittž, istriane 1' asserzione del Mainati, *) Trieste, 1819, Tomo I, pag. 200. **) G. T. Rivoira: Le origini della architettura lombarda e delle sue prineipali derivazioni nei paesi d'01tr'Alpe. Roma, E. Loescher, 1901. quando si tenga presente che appunto nel 640 doveva regnrvi un' attivit& speciale, perchč una parte degli infelici abitanti di Altino, in allora distrutta col ferro e col fuoco, si rifuggiavano in Capodistria e, caso mai, venivano a rinforzare il partito clerico-bizantino, se si fosse indebolito frattanto, portando quella industriosita, quella tenacia e quella fede che 1' altra parte dei fuggiaschi altinati seppe estrinsecare rifuggiandosi a Torcello e c-ontribuendo alla fonrlazione del veseovato di cpiella citta. Un tanto avveniva appunto nel bel raezzo della prima lacuna che si riseontra nel sillabo dei veseovi capodistriani; se poi guardiamo al principio di questa lacuna vediaino che essa comincia {jroprio quando a Parenzo da poco era spirato Eufrasio (560), il grande oppositore di papa Pelagio I, 1' il-lustre erettore della famosa basilica, colui, dunque, che col suo mecenatismo aveva, saputo chiamare presso di s6 una quantita di artefici di vaglia, proveuienti da Ravenna, ovc da poco erano finiti i bei tempi deli'arcivescovo Massimiano (f (552). Mentre ovunque i veseovati davano segni di vita spe-cialmente vigorosa, e possibile ammettere che anche a Capo distria essa si sviluppasse naturalmente dopo Ravenna e dopo Parenzo dopo la fine dei lavori eufrasiani. Un periodo di riedificazioni e di costruzioni avra di certo rianimato la cittci ove si sara fermata parte di quegli artefici che in allora erano liberi per mancanza di lavoro altrove. Egli 6 certo che il Capi-tolo di Capodistria avr& continuato sempre a sussistere. Anzi sappiamo che talvolta contava petsino degli uomini di grande stima, quale quell'Antonio che dal 668 al 673 tenne poi il seggio patriarcale di Grado. Se a Grado si erano fatte delle violenze ai cattolici (649), a Trieste questi lavoravano di tutta lena al prosperamento della chiesa e fondavano monasteri (650), mentre 1'ingegno umano inventava gli organi per rendere con le melodie piu solenne il culto divino (666). Fatti di guerra si avvicendavano pero sempre con atti di pace, incursioni e battaglie si alter-navano con formazioni d' istituti pii e con investizioni, saccheggi con violenze, di modo che se nella ridda degli avvenirnenti Ja storia pote registrare pareccliio, nel fluttuare delle sorti poi molto ando disperso o distrutto. Seguono poi le scissure nei fedeli per 1' autorita metropoli tica di Grado e di Aquileia. Di tanto in tanto un improvviso bagliore rischiara il buio delle lacune che vi sono nella storia dei nostri paesi, illuminando i barbari assalti che Slavi, Vendi e Crobati danno al Forogiulio ed ali' Istria. E in mezzo a tanti avvenimenti e possibile che sia stato ritenuto di poca importanza quello della soppressione o della conservazione del vescovato di Capodistria e non ci deve me ravigliare quindi la mancanza di documenti che la riguardino-Sappiamo pero che i vescovati deli' Istria avevano saputo gia da tempo influire sulla scelta dei patriarchi, si che Pietro, vescovo di Pola, rilevando la frequenza del conferimento di quella carica ni vescovi istriani, nel 724 reclamava d i diritto la dignit^i di Patriarca d'Aquileia. Considerato dunque il piccolo numero di vescovati istriani, dobbiamo concludere in favore deli' esistenza di quello di Capodistria e ritenere certa la soli-dariet& dei capodistriani fedeli al loro pastore, e di questo con i suoi colleghi. Sciaguratamente pero non si puo trovare nessuna specie di documento certo, per difendere questa nostra tesi riferentesi alla prima lacuna e noi mettiamo sul tappeto questo quesito solamente animati dali' intenzione d' invogliare gli studiosi a cercare documenti scritti e portare schiarimenti in proposito. Degli edifici parleremo in seguito. .Antonio Leiss. {•contin.ua) ilinaiia toji scrilti 3 stamna df aDi prof. Lorenzo Schiavi [Eccoci a mantenere ai lettori delle Pagine Istricme la promessa lor fatta che non 6 molto di mettere assieme la bibliografia delle opere a stampa deli' ab. prof. Lorenzo Schiavi. II nostro desiderio sarebbe stato natnralmente di presentare un elenco che nulla lasciasse a desiderare in fatto di compiutezza e di precisione; ma e poi possibile che cosiffatti lavori riescano perfetti di primo acchito e per opera di un solo compila-tore? Coinunque, sia questa bibliografia offerta per cio ch'essa vale. Data 1' attivita poligrafica dello Schiavi, raggrupperemo le sue pu-blicazioni secondo materia. Di ogni libro piu volte impresso ricorderemo la prima e 1' ultima edizione, e, dove sara necessario, ci allargheremo ad altri chiarimenti ed informazioni.] A. Filosofia. 1. Del bello in generale e del bello letterario. Disquisi-zione filosofico-letteraria. Nel .Programma del ginnasio comu-nale di Trieste per l'a scol. 1868-69*; Trieste, Weis, 1869. 2. Delle relazioni intime che esistono tra la filosofia di Aristotele e le dottrine di San Tomaso e di Dante. Esposizione stori co-critica, Torino, Borgarelli 1871. 3. Parallelismo tra gli antichi e moderni sistemi di filosofia. Torino, Borgarelli, 1873. 4. La creazione giusta l'Aquinate e le moderne scienze. Roma, Descl6e, Lefebvre e C., 1902. 5. Le politiche autoritd. Studio filosofico-storico. Trieste, Donoli, 1904. 6. Is a tura e soprannaturale. Disquisizione filosofica. Padova, Tip. del Seminario, 1905. B. Poesia. 7. Poesie varie (temi in parte istriani). Capodistria, Cobol & Priora, 1900. (Ben nutrito volume che raccoglie da opuscolettit), fogli volanti e giornali tutta la produzione poetica dello Schiavi anteriore al 1900 e con-tiene anche una ristampa della melotragedia San Lorenzo Martire.) ^ 8. Angiolina Vecellio; novella poetica. Capodistria, Priora, 1908. 9. Irene di Spilimbergo; novella. Capodistria, Priora, 1911. C. Drammatica. 10. II popolo sovrano; tragicommedia storica, con note. Padova, Tip. del Seminario, 1897. (Fu rappresentata a Padova nel 1901. 1» ediz., San Benigno, Tip. Salesiana, 1891.) 11. La patriomania; tragicommedia storica, con note. San Benigno, Tip. Salesiana, 1893. 12. L' antiquario borioso. Scene comiche goldoniane ran-nodate per una recita teatrale di soli uomini. Ristampa a cui ') Uno di essi, per il lusso onde fu stampato, merita particolare accenno : Versi del Prof. Cav. L. S. ecc. ad illusirazione del quadro slonco .1 due Foscari», dip. da M. Grigolelti ecc. ; Capodistria, Cobol & Priora 18^2. segae un monologo finora inedito. Padova, Tip. del Seminario, 1905. (II monologo s'intitola «Momolo Cambiacasa*; Ia ediz. deli'«Anti-quario», San Benigno, Tip. Salesiana, 1893.) 13. Torquato Tasso; dramma storico. Modena, Tip. Pontif. ed Arciv. deirimm. Concezione, 1909. (Ia ediz., San Benigno, Tip Salesiana, 1894, per il III« Centenario dalla morte del Tasso.) 14. Napoleone l e i due Pil; dramma storico, con note. Udine, Tip. del Patronato, 1897. 15. Napoleone III e Pio IX; scene drammatiche, con note. Udine, Tip. del Patronato, 1898. 16. San Lorenzo Martire; melotragedia. Capodistria, Co-bol & Priora, 1899. 17. La martire Sant'Anastasia; tragedia secondo le isto-riche memorie. Roma, Tip. Salesiana, 1900. 18. Guglielmo il Buono re di Sicilia; dramma con note storiche. Udine, Tip. del Patronato, 1901. 19. Natalia ed Irene di Ortona; Roma, Tip. Salesiana. 1902. 20. II re d'Ungheria Sanlo Stefano; melodramma con note storiche. Capodistria, Cobol & Priora, 1902. 21. Un nuovo Paganini; farsa. Roma, Scuola tipogr. Salesiana, 1903. 22. Bastianino ciabattino; farsa in due atti. Udine, Tip. del Patronato, 1904. 23. La Malibran a Venezia; azione drammatica di sole donne, con canti d i pezzi tolti dal Rossini, dal Bellini, dal Donizzetti, ad uso specialmente di Collegi e Ricreatorii fem-minili. Capodistria, Priora, 1905. 24. Giuditia che salva Betulia; azione drammatica di sole donne, con canti presi dal «Mosč» di Gioacchino Rossini associabili al pianoforte, ad uso specialmente di Collegi e Ricreatorii femminili. Capodistria, Priora, 1906. 25. I rusteghi; commedia di Carlo Groldoni ridotta per soli uomini. Udine, Tip. del Patronato, 1907. («In occasione del secondo Centenario della nascita — 25 febbr. 1707 — del grande commediograt'o».) 26. La Cornaro in Asolo; azione drammatica per sole donne. Capodistria, C. Priora, 1907. 27. Giovanna d'Arco; azione drammatica in quattro atti. Medena, Tip. Pontif. ed Arciv. deli'Imra. Coneezione, 1909. D. Oratoria. 28. Parole dirette alla scolaresca delle classi piu elevate deli'i. r. Ginnasio di Capodistria nei. primi di maržo 1873 quale prolusione alle sue lezioni. Capodistria, Tondelli, 1873. 29. II panegirico di Sant' Antoni o d i Padova. Capodistria, C. Priora, 1901. 30. Intorno al Sommo Ponlefice Pio X. Parole dette al Circolo Cattolico di Capodistria. Trieste, Tip. L. Herrmanstor-fer, 1903. 31. II panegirico di San Filippo Neri. Udine, Tip. del Patronato, 1904. 32. II panegirico di San Luigi Gonzaga. Modena, Tip. Pontif. ed Arciv. deli' Imm. Concez., 1905. E. Insegnamento filosofico. 33. Propedeutica allo studio della filosofia, nt tinta alle fonti deli'Aguinate e di Dante. Torino, P. Marietti, 1880. (I* ediz., Trieste, Llovd Austr., 1868.) 34. Logica ad uso degli študenti che s' iniziano alla filosofia. Padova, Tip. ed. del Serninario vesc., 1898. F. Insegnamento religioso. 35. Gor so inferiore d'istruzione religiosa, ritoccato dal-l'autore giusta gl' insegnamenti di Leone XIII e di Pio IX, e commendato da entrambi. Padova, Tip. del Serninario, 1896. (Settima ediz.; Ia ediz., Udine, Foenis, 1862.) 36. Corso superiore d'istruzione religiosa, ritoccato dal-1' autore giusta, gl' insegnamenti di Pio IX e di Leone XIII, e commendato da quest' ultimo. Padova, Tip. del Serninario, 1897. (Settima ediz.; Ia ediz., Udine, Foenis, 1864.) 37. Aggiunte al Corso d'istruzione ad uso delle classi ginnasiali superiori, contenenti la parte dello svolgimento storico della Chiesa; Udine, Tipografo editore Iacob Colmegno, 1866. G. Insegnamento letferario, 38. Manuale didattico-storico della letteratura italiana con annessi saggi di seelti autori per esercizio della scola-resca. Trieste, Dase, 1883; voli. 3. (I* ediz., Venezia, G. Longo, 1871-74.) 39. Alcuni brani delVOrlando Furioso di Lodovico Ariosto e della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso con inter-posti cenni che danno avviso delle molte parti omesse dei due poemi. Venezia, Stab. Tip. Municip. di Gaetano Longo, 1873. (Estratto dal precedente «Manuale».) 40. Cenni di storia letteraria italiana ad uso degli sco- che Sl apparecchiano agli esami di maturita. Torino Marietti, 1890. (I' ediz., Ferrara, Tip. Sociaie, 1876). H. VariaJ) 41. L'idruzione dei giovani sotto l'inftuenza della tri-ptice societd; domestica, civile ed ecclesiastica. Udine TiD Foenis, 186Š. ' 42. Nell'anniversario della morte di Michelangelo Gri-goletti. Componimenti vari. Trieste, Lloyd, 1871. 43. SulFuso del soggiuntivo; dissertazione grammatico-filosofica. Capodistria, Stab. Tip. B. Apollonio, 1879. (Estratto dal «Programma deli' I. r. Ginnasio superiore di Capodistria«, a. scol. 1878-79.) F 44. La grande pata delVA>sunta di Michelangelo Grigo-letti nel tempio di Gran; giudizii della publica stampa. Trieste L. Herrmanstorfer, 1894. (Con due riproduzioni fotografiche.) 45. Ricordo di varii dipinti del professore delt'Accademia Veneta di Belle Arti Michelangelo Grigoletti. Milano, Tip della S. Lega Eucaristica, 1910. (Con diverse illustrazioni, una delle quali a colori). Trieste, maržo 1911 G. ,, , , } * *nch,e "cordato un Sonetto inedito del padre Antonio Cesari, dato fuon dallo Schiavi, su apposito foglio volante, nel giorno che mons Fr. Petromo prendeva possesso della prepositura capitolare di Capodistria (aprile 1876). II sonetto 6 caudato e principia: «Per don Giovanni Fiorio B IB L IO G R A F 1 A Carlo Pascal: Epicurei e Miatici. Catania, Francesco Battiato, 1911. Lire 2. II dottissimo professore della R. Universita di Pavia, noto ai nostri lettori per i suoi nuinerosi lavori di antichitii, di letteratura e di mitologia, di parecchi dei quali si 6 parlato in questa rivista, riunisce in questo vohune di 157 pagine alcuni suoi studi, che in parte videro gia la luce in alcuni periodici. Eccone i titoli: II carattere morale di Mecenate. Pe-tronio Arbitro. I misteri greci. Euripide inistico ? Leopardi e il Cristiane-simo. Federico Amiel. Maurizio di Guerin. Tutti questi studi si collegano fra loro, perche riguardano il pensiero che occupo sempre la mente umana dali' epoca piu remota sino ai nostri giorni, il mistero d' oltretomba, il rimpianto della brevita della vita, che considerata nella sua vanita o fa anelare ad una felicita diversa dali' umana, o spinge ai godiinenti mon-dani nella disperazione della morte vicina, e l'A. ha fatto bene di racco-glierli in questo volume, perche 1' argomento e dei piu interessanti e non v' ha persona colta che ad esso possa riinanere indifferente. Non consen-tendomi lo spazio concessomi di parlare dei saggi che trattano del misti-cismo antico e dello studio su Leopardi, Amiel e Guerin, mistici moderni che 1' A. a ragione dice intimamente connessi appunto per la concezione mistica, ch' essi ebbero della natura e della vita, inquantoche «uno stesso stupore religioso li ferma attoniti dinanzi al mistero delle cose, e rivela-zioni arcane d' ignote forze essi sentono quasi prorompere dagli spettacoli naturali, rivelazioni che rievocano nell' anima loro, pur se riluttante, il senso del divino», raccoinandando ai lettori il bellissimo studio deli'A. silil' infelice poeta di Recanati, su quel potente e disperato ingegno che tanto lotto per conservare la fede priina d' inchinarsi alla natura per poi riuscire alla filosolia della disperazione, mi soffermero a dare un cenno dei due primi saggi che si riferiscono a Mecenate e a Petronio Arbitro i due notissimi Epicurei, anche perche finora inediti. II primo studio difende Mecenate dalla taccia di niiseria morale ingiustainente lanciatagli da Seneca, il quale fraintese, come bene dimostra l'A., un epigramma di Mecenate, racchiudente una sentenza di Epicuro il quale avendo un' alta e superba concezione clella vita del sapiente dice che esso e sempre felice anche in mezzo ai disagi e ai tormenti della vita, non potendosi in niun modo pensare che Mecenate avesse voluto dichia-rare con quello ch' egli pur di vivere si contentasse di vivere anche ignominiosamente. Ed invero a chi conosce Orazio e noto che il poeta, intimo amico di Mecenate, ci diede ben altra idea del carattere morale di lui; egli ce lo fa conoscere come un uomo superiore, distinto per senti-mento, per intelligenza e di onestissimi costumi. Magnurn Jioc ego duco, quod placui tihi, qui turpi secernis honestum, dice Orazio nella sesta satira del primo libro rivolgendosi ali' amico. E' vero che molto dovette Orazio a Mecenate, ma e vero altresi che il poeta il quale, forte della coscienza d' aver fatto opera immortale, gridava non omnis moriar, che vantava la purezza dei suoi costumi e dei suoi sentimenti ed ascriveva a questa 1' esser divenuto amico di Mecenate cciutum dignos adsumere, non lo avrebbe ripetutamente lodato se, come ci vuol far credere Seneca da stoico intransigente, Mecenate fosse stato uomo dedito alle abitudini vo-luttuose, se fosse stato molle ed effeminato, senza nessuna virtu. Certo, conclude l'A., che Mecenate fu uomo che spingeva forse a qualohe eccesso il suo gusto fine ed elegante; ma ebbe anche qualiU simpatiche e čare, di prudenza, di lealta, di fedelta a tutta prova. Interessantissimo b 1'altro studio deli'A. su Petronio Arbitro, l'Epi-cureo degenere, che sprezzatore d' ogni moraliU, dedito ai vizii e ai tri-pudii, per la raflinatezza del suo gusto s'era acquistato il nome di Arbiter elegantiae. Senza metter in dubbio 1' identita del Petronio descritto da Tacito negli Annali e del Petronio autore dello strano romanzo, di cui possediamo solo dei frammenti il piu noto dei quali e la cena di Trimal-cione, il nostro A. facendoci notare lo spirito beffardo e lo scetticismo dello scrittore, il quale narrando avventure lubriche e sozze non ha alcun riguardo per la moralita intento a mostrarci coll' indifterenza del vero epicureo la vita corrotta del suo popolo che secondo lui fa bene a godere, riassumendo il contenuto di questo romanzo, o meglio delle rovine di questo romanzo, ne esamina i varii personaggi cosi bene scolpiti e carat-teristici ma dissipati, derivando da questi i sentimenti dello scrittore, che non conosce nel suo mondo che vizi e depravazioni e mettendo in rilievo lo stato di quella societA, oltremodo corrotta. Eppure, conchiude il Nostro «un grande ammaestramento morale noi tragghiamo veramente da queste pagine. Questi personaggi sono esauriti di piaceri. La loro gioia 6 torbida, non e serena. Di fronte al loro ghigno noi sentiamo qnanto sia austero e nobile il dolore, e come solo dal dolore si possa trarre 1' essenza piu pura della vita. Questi personaggi hanno bisogno di dimenticare.... Mentre gli spensierati banchettanti erano adunati alla tavola di Trimalcione, un servo porto uno scheletrino d' argento, che con mobile congegno dava diverse figure, e Trimalcione, guardandolo, esclamo: »Ahime, miseri noi, come ogni uomo e nulla! Cosi saremo tutti, quando 1' Orco ci avra rapito! Dunque godiamo la vita, finchž si puo star bene sul mondo». E piu sotto «Questi personaggi traggono bensi per un mo-mento la cupa conseguenza, ma indietreggiano paurosi dinauzi ad essa, e si sommergono di nuovo nelle voluttii ebbre. II vero 6 che questa societit aveva troppo goduto. Essa era ormai stanca del suo sforzo inane di trovar nuove forme al piacere. Occorreva invece trovare un altro fine alla vita, elevare 1' animo e il sentimento ad altri pensieri, esaltare la virtu austera e redentrice del dolore. Solo il dolore comunica aH' uomo un po' della divina gioia di guardare la morte con occhio sereno, di non impallidire davanti ad essa. Mentre infatti questa societa esauriva ogni sua possa nello sforzo disperato di trovare un valore ali' esistenza, e concludeva con la tetra affermazione della suprema vanita del tutto, sotto i suoi piedi, fra i misteri delle catacombe, si era nascosta un' altra societi, che si aggirava fra le tenebre, ma che aveva trovato quell' altro fine alla vita, e che custodiva nel cuore un sacro germe di fede, e legava la sua idea, il suo sogno, il suo dolore ali' avvenire«. Ho dettato questi brevi ccnni per invogliare gli studiosi a leggere ouest' ottimo libro che. dhnostra una volta di piu la valentia e la sagace attivita deli'A., al quale si deve gratitudine per la sua proflcua operosita. F. Majer. Franccsco liabudri: L' attivita scimtiftca clclla Societa d'Archeologia e Storia Fatria ne' primi XXV anni di sua vita (1884 1909). Lettura temna al Congresso festivo di Parenzo il 6 ottobre 1909. Parenzo, Tip. Gaetano Coana, 1910. Fondata il 24 luglio 1884, la, beneinerita Societa Istnana d Archeologia e Storia Patria compie il quinto lustro di sua attiva e utile esistenza due anni or sono. E partc dei festeggiamenti coinmemorativi fu anehe questo lungo, meditato e soletme diseorso di Francesco Babudri, da qual che anno a questa parte operoso segretario del patrio sodalizio. Dire ora che la publicazione del diseorso del Babudri e opportunissima, sarebbe affatto superfluo, perche e cosa che s' intende da rt. Vogliamo piuttosto s fo gli are alquanto il lindo opuseolo. Comineia il B.%il dire che il compito suo e «di additare tutta la ainpia preziosa tela sulla quale la Societa in questi primi ciuque lustri estese 1' opera sua». E' constatato che «negli Alti e Memorie, se non um-cam (n. 19). * Marzocco, Firenze, anno XVI: Giovanni Rdbizzani, Niccolo Tom-maseo e Gino Capponi nel primo vohune del loro carteggio (n. 13). -Enrico Conadmi, Dal Campidoglio a Montecitorio (n. 14). - E. G.Parodi, La fonte diretta della Divina Commedia (n. 16). - Carlo Pascal, Evangeli apocrifi (n. 17). — Alessandro d'Ancona, La «maschera» di Dante. — Fausto Torrefranča, I canti popolari d' Italia (n. 18). * Rassegna contemporanea, Roma, anno IV: P. F. Guagnini, Ri-cordi d' un soldato delle guerre d' Italia (n. 3). * Rassegna Nazionale, Firenze, anno XXXIII: Carlo Caviglione, Fogazzaro tilosofo (1 aprile). - Laura Gazzoni degli Ancarani Niccolo Tommaseo e Gino Capponi nel loro carteggio inedito (16 aprile). * Nuova Antologia, Roma, anno XLVI: Paolo Picca, L' esposizioue di Roma (16 maržo). * Pro cultura, Trento, anno II, n. 2: Edoardo Benvenuli, Andiea Maffei poeta originale e traduttore. - Luigi Biasoni, Della pescicoltura nel Trentino. - Archivio folcloristico. - Notiziario. - Bibliograiia. * Forum Julii, Gorizia, anno I, n. 12: Leone Plamsag, Musaici anuileiesi. - Umberto Bonnes, Giornalismo goriziano (cont. II, n. 1). * Alpi Giulie, Trieste, anno XVI: N. Cobol, Paolo Lioy - XXIX congresso ordinario. - A. Taddio, Traversata invernale del Gruppo del Tricorno. - E. Boegan, La grotta e il castello di San Servolo. - Ano Tribel, Una grande iniziativa del Touring Club Italiano. - dott Antonio Jellersitz, Šalita invernale della Golizza m. 1836. - Notizie - Gite * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, Milano, 1911 :Elia Lattes, Di alcune vere od apparenti somiglianze fra la lingua etrusca e le lituslave (fasc. VI). * Emporinm, vol. XXXIII, n. 196: Leone Plamsag, La basilica d' Aquileia (con 22 illustrazioni). . * Archivium franciscanum historicum, anno IV, n. 2: P. Livano Oliger, Due Musaici con S. Francesco della Chiesa di Aracoeli in Roma (con U illustr^ ^ ^^ ^ marzo un nuovo periodico sett.: La fiamma. * Rollettino di archeologia e storia dalmata, Spalato, anno XXXII: A. L. Frothingham, I Romani nell' Istria e nella Dalmazia. * Rollettino della civica biblioteca e del museo di Udine, n. 1, anno V : A. Bongioanni, Nomi personali germanici nella formazione di cognomi. * L' egregio nostro collaboratore dott. Bernardo Sclnavuzzi, pub-blico nel «Bollettino della Societa adriatica di scienze naturali m Trieste. Vol. XXV, C. II 1910, un interessante studio sui: Crant del Museo civico Polese ' "'" '* II prof. Enrico Rossman lesse la sera del 27 marzo alla Lega degli Insegnanti una bellissima relazione sulla Collaborazione della famrgha < della scuola nelV educazione del fanduUo, che incontro il generale favore e fu riprodotta da varii giornali. * II prof. Attilio Gentille, nostro egregio collaboratore, addi 30 marzo ali' interpretazione del canto XII del Purgatorio premise alcune interessanti notizie sulla »Lectura Dantis» a Trieste, iniziata da Francesco Dali' Ongaro. * Addi 30 aprile commemoro alla Minerva 1' illustre cittadino prof. Filljip« Zamboiii. * Addl 29 aprile fu eseguita nel salone delle feste ali' esposizione di Torino per la cerimonia inaugurale «La Cantata della Patria, del La-voro e deli' Umanitat, bellissimo polimetro di E. Augusto Berta musicata dal maestro Bolzoni. * In Val Madonna sull' isola Brioni furono scoperti gli avanzi di una ehiesuola cristiana dei tempi arcaici. * La Fiamma, Roma. II n. 7 di questa battagliera, interessantia-sima rassegna di letteratura e d'arte, che si pubblica a Roma sotto la direzione di A. M. Tirabassi e F. M. Corbellini-Martinez, contiene: Una nostra vittoria — L' ode ali' ltalia di Marcello Spada — La scienea e la ■vita di Giuseppe Cimbali — Samaritana (versi) di A. M. Tirabassi — II pericolo giigio di Virginia Olper Monis — Wagner e il Re di Baviera di Guaitiero Petrucci — L' ornbra del vero (versi) di G. De Cesaris — Prime fiamme di Roberto Bracco — Napoli che canta di Amleto Ragona — Par les voutes humaines di Gino Tenti — I tre sogni (versi di Gustavo Venditti — Giuseppe Rota di M. Hermann — Gaetano Esposito Una parentesi (novella) di Mario Costantini — Teatri di Nicola Cane — I libri — Confe-renze e letture — Note varie. — II numero costa eentesimi 10. * Felix Raven na. Bollettino di studi storici romagnoli. Questo nuovo periodico usci nel gennaio del corrente anno e si stampa tri-mestralmente per cura di un gruppo anonimo di studiosi, a cui sembra soprastare con tutto il suo ben noto e proficuo amore per le Romagne Corrado Ricci. Noi non possiamo fare a meno di salutare con parti-colare interessamento questa nuova impresa intellettuale, chiamata senza dubbio a portare nuova luce negli studi sulla cultura bizantina, a portare dilucidazioni in tante controversie storiche ed artistiche special-mente per quanto riguarda i punti piu oscuri della storia d' ltalia, quando la suprema autorita, intimorita dalle orde settentrionali che penetravano nella penisola massacrando e distruggendo tutto, si era ritirata a Ravenna (al tempo di Onorio, 404) ed ivi dava vita ad una corrente di cultura si inteusa da asservire per lunghi secoli ai suoi canoni filosofici ed artistici, tutte le coste delTAdriatico, da Ravenna lino ali'ultimo lembo della Dal mazia. E 1' Istria nostra risenti 1' influenza di questo stato di cose piu d' ogni altra provincia, e difficilmente noi possiamo spiegare certe istitu-zioni, certe forme artistiche, senza ricorrere col pensiero alla vita di quei tempi nella potente Ravenna. Con Massimiano si hanno le prime prove decisive deli' influenza di Ravenna sui vescovati istriani, di quel tempo sono gli splendori di Parenzo, le sculture ed i mosaici che formano ancora oggi invidiato vanto delle nostre chiese piu antiche. Un saluto, dunque. a questo nuovo Bollettino si interessante per no: e 1' augurio cordiale ai suoi redattori, che propizia loro sorrida la sorte, fornendo loro la possi-bilita di godere tutto quell' appoggio che siinili studi dovrebbero trovare e invece purtroppo non sempre trovano. Giuluno Tesrari editore e redattore respoiiaabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodiitria.