L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 131 ACTA NEOPHILOLOGICA DOI: 10.4312/an.48.1-2.131-142 UDK: 821.131.1.09Saba U. L'ERNESTO, OVVERO IL PRIGIONE DI UMBERTO SABA Dario Prola Ho fatto un sogno, e all'alba lo ritrovo. Parlavano gli uccelli, o in un uccello mero, io uomo, mutato. Dicevano: NOIDI BECCO GENTILE AMIAMOIFRUTTI SAPORITIDEGLIORTI. E SIAMO TUTTI NATIDA UN UOVO. Proprio il sogno d'un bimbo e d'un uccello. (Fratellanza da: Quasi un racconto, 1951) Abstract Privileged meeting point between Slavic, Latin and Germanic cultures, Trieste has always been a breeding ground of literal experiments, a place where the old meets the new, tradition modernity. Its natural creativity and receptivity is to be found in its flowing, open identity, in the absence of that weight that national institutions ascribe to monoethnic and national culture. Ernest, the uncompleted novel of Umberto Saba, an Italian poet native of Trieste, was written in 1953 just before dying and published in 1975. Its open and indefinite form still fascinates critics and readers. It is the late confession of Saba's conquer of his sexual and artistic identity, with the city of Trieste between nineteenth and twentieth century as background. In this Künstlerroman Nietzsche and Freud's lesson has been elevated by Saba's lyric strength and by a prose, which expressive style comes from the combination of literal Italian and the Triestine dialect. This article offers the analyses of the text through the definition of the concepts of undefinedness, intimacy and lightness in Umberto Saba's poetic. Keywords: undefinedness, intimacy, lightness, Trieste, Künstlerroman 132 Darío Prola 1 INDEFINITEZZA È cosa nota a studiosi e appassionati d'arte e di letteratura, che un eccessivo formalismo, il perfezionismo smodato, l'ossessivo affinamento stilistico possano produrre in luogo della bellezza agognata, il suo esatto opposto. E questa considerazione vale non solo per i mezzi stilistici ed espressivi, ma anche per il disegno ideologico che cela un'opera d'ingegno: per questa ragione la Gerusalemme conquistata, mondata dal Tasso da quelle che lui considerava scabrosità, è unanimemente considerata dai critici inferiore alla Gerusalemme liberata. Ora, non sappiamo cosa sarebbe stato Ernesto se Umberto Saba fosse riuscito a finirlo: forse avrebbe rinunciato ai ruvidi dialoghi in triestino in favore dell'italiano letterario (Saba riteneva Ernesto impubblicabile proprio per il linguaggio), o magari avrebbe censurato gli episodi più scabrosi. In ogni caso quest'opera per tanti versi liberatoria e catartica, scritta da Saba sul letto d'ospedale in uno slancio creativo e crepuscolare, si trasformo per il suo autore in un peso proprio per la sua incompiutezza.1 Il poeta triestino, in una lettera alla figlia Linuccia del 17 agosto 1955, arriva addirittura a pregarla di bruciare quel "romanzetto incompiuto" (per fortuna a quei tempi nelle mani disob-bedienti di Carlo Levi).2 Saba-prosatore - che aveva lavorato per tutta la vita sulla forma breve (da Scorciatoie a raccontini, sino ai Ricordi-Racconti) — sa che quello che ha scritto è un testo in-definito, ma non tanto riguardo al genere (romanzo o racconto?), quanto nel non essere fissato nei limiti (rassicuranti) di una forma. Saba, fin dall'inizio alla ricerca di una giustificazione, attribuisce la colpa di questa situa-zione ora alla sua condizione di malato (in senso fisico e morale), ora alla mancanza della "crudeltà" necessaria,3 infine ai suoi limiti di prosatore; nella lettera a Nora Baldi del 28 agosto parla di "gravi errori" nella costruzione narrativa, di episodi "fuori della trama"; errori dovuti non tanto a un eccessivo compiacersi dei ricordi, quando alla mancanza di un disegno preciso, di una solita struttura complessiva. Il libro — come indica lo scrittore Pierantonio Quarantotti Gambini4 — avrebbe potu-to fermarsi alla fine del terzo episodio, dopo la salita di Ernesto da una prostituta, ed effettivamente sarebbe stato un racconto più compiuto. 1 Saba inizia la stesura nel maggio 1953, durante la sua degenza alla clínica romana Villa Electra. Tenta di finirlo invano tra luglio ed agosto, a Trieste. Il libro uscirà solo nel 1975, vent'anni dopo. 2 "Senti, Linuccia, io sto cosi male come forse nessuno puo immaginare. In queste condizioni mi sec-cherebbe assai lasciare in giro cose incompiute, che dovrebbero essere tutte riviste, terminate ecc... e che cosi come stanno non hanno senso. Né io avrei mai più la forza, né l'animo di terminare quel romanzetto incompiuto che ho lasciato da lui con l'obbligo preciso di bruciarlo appena ne avesse avuto da me l'ordine. Ti prego di passargli l'ordine, senza fare ostruzione: e poi subito telegrafare "eseguito", p. 145. I testi delle lettere sono tratti da: Tredici lettere di Umberto Saba in cui si parta di ""Ernesto"con una nota di Sergio Miniussi, in Umbero Saba, Ernesto, Torino, Einaudi, 1975. 3 Lettera a Nello Stock del 1 settembre 1953, p. 155. 4 Lettera del 25 agosto 1953, pag. 154. L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 133 L'Ernesto puo essere considerato come il cartone preparatorio di un romanzo abortito, e vero, ma cio non rende onore a un'opera che ha affascinato critici e lettori forse proprio per la sua incompiutezza e la sua indefinitezza. Antonella Santoro5 attribuisce al!Ernesto una forma ibrida dove si intrecciano i modi del Bildungsroman a quelli del Künstlerroman, un sottogenere del romanzo di for-mazione dove si mettono in scena le vicende, i conflitti (interiori e sociali) di un giovane artista sulla strada della maturita. Come fa notare Giovanna Rosa si tratta di un'opera totalmente novecentesca "perché la formazione del protagonista non sta piu. nel raggiungimento di uno stato sociale determinato o in una svolta concreta nella vita dell'individuo ma in un percorso di maturazione interiore che mira alla presa di coscienza di sé".6 Ernesto, infatti, non e solo la storia dell'educazione erotico-sentimentale di un giovane praticante di commercio con un "bracciante avventizio" e con una prostituta, quanto la storia della rivelazione di Saba a Saba. Ma il racconto della crescita, della fine dell'adolescenza, e condotto dal poeta sulla scorta di Freud e quindi non e sbagliato parlare per XErnesto anche di racconto psicanalitico. La scoperta del sesso si accompagna alla rivelazione del sé e la stessa struttura dell'opera, la sua partizione in sequenze giustapposte, in episodi che sono autentici momenti di passaggio, momenti iniziatici sulla strada della ma-turazione sessuale (il rapporto con l'uomo, il taglio della prima barba, la salita dalla prostituta, la confessione alla madre ecc.), favorisce una lettura in questo senso. I fatti mantengono una linearita cronologica, ma la loro funzione e del tutto svin-colata alle esigenze di fabula ed intreccio: seguono piuttosto le regole del tempo psichico e soggiacciono alle leggi della memoria. La loro importanza e diretta-mente proporzionale al peso che hanno avuto nella maturazione del protagonista: Un'intera epoca poi lo divideva da quando aveva iniziata quella strana amicizia con un bracciante avventizio, che - di questo almeno era sicuro - l'aveva (a modo suo) amato; [...] e non era passato che un mese; [...] troppe cose gli era-no accadute in quegli ultimi mesi; piu credeva che in tutto il resto della sua vita.7 Saba e tentato dal racconto in terza persona: interviene nella narrazione con incisi e frasi incidentali, commenta in tono affettuoso e paternalistico quello che accade ad Ernesto, le sue vicende di crescita, le sue ingenue riflessioni. Si tratta, a ben vedere, di un tipo di narrazione mista (terza persona piu commenti diretti 5 Si veda il saggio Ernesto di Umberto Saba: tra autobiografia e formazione in "Sinestesie", Letteratura e arti, n. 2, 2012. 6 Giovanna Rosa, Tre adolescenti nell'Italia del dopoguerra: Agostino, Arturo, Ernesto, in: Il romanzo di formazione nell'Ottocento, a cura di Maria Carla Papini, Daniele Fioretti, Teresa Spignoli, Pisa, edizioni ETS, p. 107. 7 Ernesto, pp. 572-594. Le citazioni dall'Ernesto provengono da: Umberto Saba, Tutte leprose, a cura di Arrigo Stara, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002. 134 Darío Prola dell'io narrante) che rimanda ai moduli del racconto filosofico di matrice illumini-sta e che s'impone nel romanzo ottocentesco.8 Ma si tratta di un Saba psicanalista piuttosto che filosofo, come si evince anche dalle allusioni dirette al modello psi-chico di Freud: "C'erano, naturalmente, altre cause, e più profonde, ma il ragazzo le ignorava"9, spesso espresse con il tono sentenzioso e aforistico che richiama le Scorciatorie: "Un rimorso è la visione errata di un avvenimento lontano: si ricorda l'atto, e si dimenticano i sentimenti dai quali quell'atto è sorto".10 Lo stesso io narrante sembrerebbe suggerire una chiave di lettura deterministica dell'omoses-sualità di Ernesto, condotta sulla scorta delle teorie di Freud. Ernesto, messo alle strette dalla madre, che sperando di farlo riassumere dal signor Wilder sta per mandare a monte il piano da lui ordito per liberarsi dell'uomo, decide di confes-sarle la sua relazione. La signora Celestina pero non puo capire perché: non vedeva che il lato materiale del fatto, che le sembrava, più che altro incomprensible. Le sfuggiva del tutto il suo significato - la sua determinante - psicologica. Se no, avrebbe dovuto anche capire che il suo matrimonio sbagliato, la totale assenza di un padre, la sua severità eccessiva ci avevano la loro parte.. .u 2 INTIMITÁ Ernesto, proprio come il Candido di Voltaire, e accompagnato dal narratore onni-sciente nel processo di crescita e di scoperta del mondo; ma Saba, rispetto a Voltaire, mantiene con il suo personaggio un rapporto intimo, affettivo. Emotivamente coinvolto nelle sue vicende - ora si rivela divertito, ora preoccupato o amareggiato - stempera questi sentimenti in un'ironia che nasce sostanzialmente dalla distanza dai fatti narrati. Saba e quindi un narratore tutt'altro che imparziale: parteggiando per Ernesto come un padre per un figlio, e pronto a giudicare e processare tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella sua vicenda di crescita.12 E a ben guardare quasi tutti i personaggi che circondano Ernesto sono declinazioni dell'archetipo 8 Saba, che in un primo momento voleva chiamare il libro I promessi sposi, gioca apertamente con il modello manzoniano. Lo si evince dai frequenti richiami alla storicita dei fatti narrati: "L'invero-simile lettore di questo racconto e pregato di ricordarsi che siamo nel 1898 a Trieste", Ernesto, p. 515. 9 Ernesto, p. 564. 10 Ernesto, p. 566. 11 Ernesto, p. 609. 12 Come nel caso del signor Winder, smentito e sbugiardato quando accusa Ernesto di essere un giovane "stordito e pretenzioso". "Non era vero, Ernesto non era affatto pretenzioso; e rendeva - malgrado il nativo disordine - piu di quanto avrebbe reso, dopo anni di applicazione, Stefano", Ernesto, p. 589. L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 135 madre-padre. Al quartetto madre - balia - zia (che si occupa del mantenimento della famiglia) - prostituta (Tanda o Natascia, prima di esercitare), fa da contrap-punto il quartetto barbiere (Bernardo) - zio Giovanni (sostituto del padre e tu-tore del ragazzo) - uomo/amante - padrone (Signor Wilder). Questi personaggi hanno un ruolo ben definito nell'accompagnare Ernesto nella crescita, ed esiste tra di loro una trama di echi e richiami nel corso della narrazione. Quando, per esempio, il barbiere taglia ad Ernesto la prima barba questi s'immagina l'uomo in atteggiamento contrito; "Ha parlato come un padre [...] e non come un superio-re"13 dice la madre in difesa del signor Wilder, disposto a riassumere Ernesto dopo il suo autolicenziamento; Ernesto chiama Bernardo "mio padre", alludendo a una vecchia calunnia e facendo infuriare sua madre; quando Ernesto si reca a casa della prostituta, è sorpreso poiché vi ritrova lo stesso odore di biancheria nuova della casa della balia (che fu per Ernesto come una vera e propria seconda madre).14 E si veda, come ulteriore richiamo alla maternità, l'immagine della Madonna con il lumino acceso, accanto al letto matrimoniale della donna, quasi a sottolineare la ritualità di quello che sta per accadere. Dopo aver "consumato" Ernesto esce nella città e si disseta ad una fontanella che si trova "tra una caserma ed una chiesa" (due luoghi "chiave", vere e proprie pietre miliari nella vita tutto sommato povera di grandi avvenimenti del poeta). Mentre si china per dissetarsi, quando gli pare di essere schernito dalle donne, è preso da una strana nostalgia per il suo principale. Da una lettera alla moglie Lina sappiamo che Saba, qualora ne avesse avuto le forze, avrebbe introdotto nell'opera un ulteriore personaggio femminile che dove-va andare a comporre un triangolo amoroso con Ilio ed Ernesto: Ernesto ama quella ragazza; ma un poco come il Petrarca amava Madonna Laura: sente che non sarebbe mai stata sua moglie (infatti sposa Ilio); e che sue moglie sarebbe stata un'altra alla quale vorrei vagamente, verso la fine, accennare...15 Anche Trieste, la "più bella gemma" dell'Austria, è correlativo femminile, rap-presenta per Saba la poesia, l'arte, la culla (la relazione donna-città attraversa tutto il Canzoniere, in particolare le poesie di Trieste e una donna). Mentre l'uomo si strugge per Ernesto sul carro, il ragazzo, contemplando estasiato, conclude che nessuna città "puo essere bella come questa".16 Termina cosí, poco prima dell'in-contro fatale con Ilio, la serie di umiliazioni subite da Ernesto da parte da un 13 Ernesto, p. 605. 14 Ed anche per lo stesso autore. Saba, che di cognome faceva Poli, nel scegliersi lo pseudonimo artistico volle probabilmente omaggiare la balia slovena (Peppa Sabaz) cui era molto legato. 15 Lettera a Linuccia del 25 luglio 1953, p. 148. 16 Ernesto, p. 581. 136 Darío Prola mondo maschile violento e brutale: il barbiere gli fa la barba a tradimento, lo zio Giovanni lo schiaffeggia, il padrone lo schernisce per il suo mancato talento al violino, il cugino corruttore gli spiega brutalmente come nascono i bambini e lo induce a masturbarsi, l'uomo vorrebbe percuoterlo con un ramoscello. La madre di Ernesto, la signora Celestina, come la chiama il narratore, quando vuole rimprove-rare il figlio lo paragona all'ex marito "sei un cattivo figlio e un cattivo soggetto; hai deciso, come tuo padre, di farmi morire a forza di dispiaceri".17 A ben guardare, a parte Ilio, l'unica figura maschile positiva e il violinista boemo Franz Ondrícek, al quale Ernesto vorrebbe idealmente assomigliare. Nel suo orgoglioso irredentismo - sceglie di suonare non al Casino Schiller ma in un circolo irredentista italiano -rivive la figura del padre di Saba, Ugo Edoardo Poli, bandito dall'Impero d'Austria proprio in quanto irredentista e sovversivo. Saba, che voleva in un primo tempo intitolare il suo libro Intimita, si serve di queste figure di uomini e di donne per illustrare le vicende di un'educazio-ne sentimentale gia sottintesa nel Canzoniere. Si potrebbe quindi considerare XErnesto una riscoperta, poiché il nucleo tematico dell'adolescenza del poeta si prefigura ed emerge progressivamente gia nelle poesie.18 Detto altrimenti in quest'opera Saba rivela il retroterra psicologico della sua lirica. "E stato come se si fosse aperta in me una diga, e tutto affluisce in me spontaneamente"19 scrive il poeta in una lettera alla moglie il 30 maggio 1953. E poi constata come questa sua confessione intima, questa sua liberazione, crei un coinvolgimento tale da spingere chi l'ascolta alle lacrime. Nella lettera a Bruno Pincherle del 30 giugno 1953 il poeta dichiara "La gente, Bruno mio, ha un bisogno, un bisogno urgente, di "mettersi in liberta", di essere insomma liberata dalle sue inibizioni. Questo sarebbe il mestiere della mia vecchiaia".20 3 LEGGEREZZA La dimensione della verticalita e determinate nella poetica del Saba. Nel Canzoniere la salita verso la citta rappresenta il raggiungimento della dimensione mitica dell'infanzia, equivale al sollevarsi sulla pesantezza del mondo per raggiungere il 17 Ernesto, p. 605 18 E questo vale non solo o non solo per le tante figure di fanciulli, Berto per primo, che vi sono richi-amati. Nella poesia Uomo e gia rappresentato il disagio dell'adolescente oppresso dal lavoro e desid-eroso di evadere (si veda l'autolicenziamento di Ernesto); Intorno a una fontana e Lafonte sono veri e propri "cartoni preparatori" dell'episodio della bevuta di Ernesto alla fontanella pubblica. Liriche come Glauco, Ilgiovanetto, il sesto sonetto di Autobiografia, prefigurano l'esperienza omosessuale e l'innamoramento per Ilio. 19 Lettera a Lina del 30 maggio 1953. 20 Lettera a Bruno Pincherle del 30 giugno 1953, p. 145. L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 137 regno dell'immaginazione e della contemplazione. La discesa, di contro è un mo-vimento verso il futuro, verso la fine.21 Cosi incontriamo Ernesto ed Ilio, alla fine del romanzo, una sera, mentre scendono la "dilettosa erta" di Scorcola per andare a prendere un bagno al mare. I due amici scendono verso la maturità, verso la con-cretezza del mondo, allontanandosi dall'universo dell'infanzia. Il libro è disseminato di immagini di leggerezza. La madre, per esempio, nei suoi rari moti d'espansività chiama Ernesto con il nome del suo merlo (Pimpo). La relazione "infante", "volatile", cosi frequente nella scrittura di Saba, è ricon-ducibile a quella poetica del fanciullino che il poeta aveva fatto sua e di cui sono restate numerose testimonianze scritte in tutte le fasi della sua attività poetica.22 In un suo famoso saggio Gaston Bachelard ha sottolineato come la rêverie infantile denoti una certa familiarità con nidi ed uccelli.23 La relazione tra sogno, rêverie poetica e la stanzetta dell'infanzia si esplicita nella famosa lettera che Saba fa scrivere ad Ernesto il 22 settembre 1899 (la data è ovviamente fittizia, si tratta del 22 settembre 1953) all'amico professore Tullio Mogno. La relazione tra spazio, volo, infanzia si palesa nell'infantile poesiola che Ernesto riporta ("La farfalletta ha dispiegato il vol, con insperato, ma potente ardore"), e - sempre nella medesima lettera - nel racconto del sogno: La notte, verso l'alba, avevo sognato di volare: volavo nella mia stanzetta (quella della poesia) fino quasi a toccare il soffitto; e trovavo la cosa cosi meravigliosa-mente facile, che non capivo perché tutti gli uomini non volassero; e dicevo ad 21 Una prima analisi condotta sulle attestazioni lessicali del Canzoniere confermerebbe l'assetto spa-ziale e gnoseologico della poetica e dell'immaginario sabiano. Le parole più frequenti sono casa (93), cielo (77), terra (60), mare (63), città-Trieste (64). A proposito della dimensione dell'altezza il gruppo Uccelli/Uccello/Uccelletto presenta 51 attestazioni, cui vanno aggiunte quelle della parola merlo (13). Nido compare invece 21 volte. Al polo semantico affettivo e familiare appartengono: fanciullo-fan-ciul-giovinetto (200), madre (76), Lina-moglie (57). La parola padre figura solo 24 volte, tante quante la parolafiglio. La coppia Linuccia-figlia appare 17 volte. Sul piano della trascendenza Dio compare 35 volte, una volta in più della parola uomo, mentre anima appare 78 volte. Il sentimento più frequente è il dolore (272), ben più presente della gioia (39) o della letizia (9), mentre amore/amor appare 189 volte. Da segnalare il binomio vita (189) - morte (48) tutto a vantaggio della prima (che è quindi vita nel dolore). Del corpo umano più frequenti sono occhi (103), bocca (27), mani (28). 22 Si pensi alla scorciatoia n.118, dove ritroviamo a Villa Borghese il Pimpo "alato amico dell'infanzia", o le poesie "Favoletta alla mia bambina", "Fratellanza" (citata all'inizio di questo saggio) o gli stessi titoli di alcune sue raccolte poetiche (Coseleggeree vaganti, Uccelli).Ma una lettura attenta del Canzoniere estenderebbe notevolmente il campionario degli esempi. 23 "Per dirla in breve, in letteratura [...] l'immagine del nido è una puerilità. [...] Scoprire un nido ci rinvia alla nostra infanzia. [...] Se sollevo cautamente un ramo, ecco che scorgo un uccello che sta covando le uova; è un uccello che non vola via, freme soltanto un po' ed io tremo di farlo tremare, ho paura che l'uccello alla cova sappia che sono un uomo, l'essere che ha perduto la fiducia negli uccelli. [...] Il nido, come ogni immagine di riposo, di tranquillità, si associa immediatamente all'immagine della casa semplice. [...] Il nido [...] è precario e tuttavia mette in moto in noi una rêverie della sicurezza. „Bachelard G., La poetica dello spazio, Bari, Dedalo, 1999, pp. 115-128 138 Darío Prola Ilio (è il nome del mio amico) che si provasse anche lui a volare. Infatti, poco dopo, egli si sollevava dal suo letto, che si trovava, nel sogno, nella mia stessa stanza; e subito volavamo tutti e due, uno vicino all'altro.24 Ernesto appartiene alla dimensione dell'aria, del volo. L'uomo in un attimo di passione lo chiama "angiolo"25 e anche Ilio, con i capelli biondi che coprono le spalle, bellissimo e come perso dietro una "visione nota a lui solo", appare ad Ernesto come se sorridesse "agli angeli". Saba stesso definisce Ernesto "un po' come un angelo: tenero, pietoso, assetato dei beni della vita" o come un "meraviglioso fanciullo", "fanciullo dio", quasi come una sorta di deità pagana. Nella cultura e nell'immaginario occidentale l'angelo non è solo mediatore per ec-cellenza, protettore e custode: simboleggia l'armonia, l'unione del femminino e del mascolino, ed ha a che fare con la musica (passione che Ernesto condivide con il ben più portato Ilio).26 È indefinito e perfetto, proprio come Ernesto, o come Ilio appare ai suoi occhi. Ernesto cerca il fanciullo nella sala del concerto ma "la dolce e tormentosa visione' si è come volatilizzata.21 Ilio, che non ha le sue insicurezze né si tormenta come lui, rappresenta per Ernesto il modello ideale (il suo nome per esteso è Emilio, forse in omaggio al famoso fanciullo di Rousseau); egli l'invidia dell'invidia amorosa (che non è mossa dal desiderio di togliere per il piacere di togliere, come precisa l'io narrante); Ernesto è investito dal desiderio "altrettanto appassionato quanto disperato, di assomigliare al proprio oggetto".28 Pensa che i suoi genitori lo tengano vestito cosi, in calzoni corti, per conservarlo eterno fanciullo, per tenerlo il più vicino possibile "come una rosa al naso".29 E anche se Ernesto si sbaglia di molto nel suo giudizio,30 in Ilio vive il mito dell'infanzia geniale, la nostalgia del volo, della leggerezza. 24 Ernesto, p. 161. 25 "- E lei perché el me ga ciamà angiolo? [...] I angeli no fa de ste robe, - disse, quasi severo, Ernesto. - No i ga gnanca corpo." Ernesto, p. 530. 26 Nel Dizionario dei simboli di Juan Eduardo Cirlot alla voce Angelo leggiamo "Simbolo dell'invisibile, delle forze che ascendono e discendono tra l'origine e la manifestazione. [.] In alchimia l'angelo sim-bolizza la sublimazione, l'ascensione di un principio volatile (spirituale). Come nelle figure del Viatorium spagyricum". Juan Eduardo Cirlot, Diccionario de símbolos, Ediciones Ciruela S.A., Madrid, 1997, p. 82. 27 Ernesto, p. 620. 28 "Voleva essere certo di vedere ancora una volta, all'uscita, il meraviglioso fanciullo, che, non poten-do essere, si sarebbe contentato di avere", Ernesto pp. 618-621. 29 Come leggiamo alla voce Rosa in Juan Eduardo Cirlot, op. cit., p. 392. "La singola rosa è, essenzial-mente, un simbolo di finalità, di successo assoluto e di perfezione. Per questo puo identificarsi con tutto cio che identifica questo significato, come centro místico, cuore, giardino di Eros, paradiso di Dante, donna amata". 30 "Basta guardarlo per capire che mai si è abbandonato a fare quelle cose, né con le donne, né con gli uomini." (Se fosse stato uno dei suoi amici, Ernesto avrebbe saputo che, trovandosi inosservato in campagna, le aveva fatte - come gli antichi pastori - perfino con una capretta e, per di più, se n'era vantato). Ernesto, p. 128. L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 139 Il nesso tra infanzia, leggerezza, eros, si estende alla lettura: Ernesto, che grazie a Ilio passa da soggetto amato a soggetto amante, ha già conosciuto il "fanciullo meraviglioso", il "fanciullo dio", in una estate passata, trascorsa a leggere Le mille e una notte disteso sul letto nella sua stanzetta sotto il cielo; allora la meraviglia che provava per gli usi e costumi del suo merlo Pimpo si confondeva a quella provata da lui per la lettura "in una sola indimenticabile beatitudine".31 Quello strano, quel meraviglioso fanciullo era - comunque si chiamasse allora a Trieste - il figlio del pasticcere di Bagdad (o di Bassora), quello che aggradiva, si, l'offerta di uno, anche due sorbetti; ma, rifiutando le carezze dell'offerente, gli intimava, allontanandolo col gesto: "Restate tranquillo al vostro posto. Accon-tentatevi di guardarmi e di servirmi.32 La scrittura di Saba nasce sotto l'egida di Nietzsche e Freud, i due pilastri ide-ologici su cui poggia tutta la sua produzione.33 Se Freud ha offerto a Saba gli stru-menti dello scavo psicologico per portare alla luce la ricchezza dell'inconscio e del passato, Nietzsche rappresenta una tensione verso la leggerezza, la chiarezza e in ultima istanza la verità.34 Detto altrimenti esiste una dialettica tra "introversione" ed "estroversione", cui corrisponde il movimento di innalzamento e abbassamen-to: le coordinate spaziali, come si accennava, dominanti nella poetica del Saba, un poeta che potremmo definire "ascensionale" (anche se l'altezza, in quanto tale, è spesso dimensione dominante in poesia).35 Quindi rinveniamo nella scrittura del Saba una fondamentale ambivalenza: da una parte la pesantezza del vivere e della condizione esistenziale (che si esplicita in una precisa derivazione lessicale e stilistica di matrice petrarchesca e leopardiana) e dall'altra il desiderio e la ten-denza alla leggerezza, alla spensieratezza, alla noncurante levità (riconducibile al modello nietzchiano). Questa ambivalenza che attraversa tutto il Canzoniere è decisamente risolta a favore della levità nell'Ernesto. Il fanciullo di Saba è a tutti gli effetti una di quelle cose "che per la loro leggerezza, vagano, come liete apparenze, sopra e attraverso le pesantezze della vita".36 31 Ernesto, pp. 581-582. 32 Ernesto, p. 621. 33 Nella Scorciatoia 61 Saba definisce Nietzsche "precursore" di Freud in quanto indagatore dell'animo umano e psicologo. 34 Si veda la poesia intitolata Nietzsche dalla raccolta Uccelli (1948): "Intorno a una grandezza solitaria/ non volano gli uccelli, né quei vaghi/gli fanno, accanto, il nido. Altro non odi/ che il silenzio, non vedi altro che l'aria", U. Saba, Il canzoniere, Torino, Einaudi, 2004, p. 549. 35 Per un approfondimento si vedano: Cfr. M. David, Lapsicoanalisi nella cultura italiana, cit., p. 423; e M. Paino, La tentazione della leggerezza. Studio di Umberto Saba, Olschki, Firenze 2009, p. 229. 36 Umberto Saba, Storia e cronistoria, p. 179 in: Tutte le prose, a cura di Arrigo Stara, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002. 140 Darío Prola CONCLUSIONI "II nostro stile e peso" diceva Scipio Slataper, riferendosi alla mancanza nella let-teratura dei triestini di quella spigliatezza serena che e nel sangue della letteratura italiana. Analogamente Stuparich parlava di ereditá malferma, "da puntellare momento per momento. Comminare voleva dire urtare...".37 Se quello che sosten-gono i due triestini e valido per scrittori come Italo Svevo, la scrittura di Saba si colloca sul polo opposto: per il poeta triestino la ricerca della veritá si coniuga con l'imperativo categorico della chiarezza espressiva, che in termini letterari si traduce in leggerezza stilistica. Anche neVlErnesto Saba ha dato saggio di equilibrio, trasparenza, sobrietá e leggerezza. Questo perché era essenzialmente poeta della linea petrarchesca, ovvero uno di quei poeti che - ritornando instancabilmente sui propri passi - tentano attraverso il perfezionamento stilistico di esprimere la propria veritá poetica con parole precise, potenti, definitive. Uno dei quei poeti che, per cosí dire, non amano mutarsi d'abito, ma lavorando in levare, scartando e sostituendo perseguono l'unicitá del proprio stile.38 Da un punto di vista lingui-stico la loro vicenda letteraria non e quindi caratterizzabile come un itinerario, un andare da un luogo all'altro modificando il proprio mezzo, ma un movimento circolare intorno agli stessi temi ripetuti e approfonditi con un vocabolario tanto scarno quanto selezionato e levigato. Un movimenti circolare che ricorda quello del setacciatore, inginocchiato sul fiume, specchiato sulla pozza che nasconde il senso piü profondo del suo essere, quel senso che lui solo puo cogliere. Quella compiutezza che Saba vagheggiava sul piano formale, e che per YErne-sto si rivelo una chimera, e stata in pieno raggiunta sul piano del linguaggio, rea-lizzando quella che Italo Calvino indicava come una delle tre modalitá attraverso cui si esplicita le leggerezza nell'opera letteraria.39 Mentre nelle sue poesie Saba trasmette alle parole il peso della sua condizione esistenziale, in questo libro Saba affida ad esse la leggerezza e la perfezione di Ernesto. Laddove l'italiano e troppo "pesante", troppo letterario per restituire la sua levitá di fanciullo meraviglioso, Saba non esista - nelle parti dialogate - a ricorrere al dialetto, l'idioma dell'in-timitá, dei rapporti familiari, del mondo primitivo (proprio cosí Saba definisce Ernesto, un primitivo, ma non nel senso deteriore del termine, ma nel senso di 37 Citato da Mario Lavagetto, L'altro Saba, p. XIII Umberto Saba. Tutte leprose. 38 Il racconto di questa ricerca della propria veritá e del proprio stile e affidato alla "Storia e cronistoria del Canzoniere", il commento critico che Saba scrisse in terza persona servendosi dello pseudonimo di Giuseppe Carimandrei. 39 Italo Calvino, Lezioni americane. Seiproposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988, pp. 1718. Oltre alla leggerezza sul piano del linguaggio Italo Calvino indicava anche le immagini figurali di leggerezza che assumono valore emblematico e la descrizione del processo psicologico e fisico di ele-vazione metaforizzato nel tema dell'ascesa. Mentre immagini simboliche di leggerezza sono presentí nell'Ernesto, tale processo di elevazione e piuttosto riscontrabile nelle liriche del Saba. L'Ernesto, ovvero il prigione di Umberto Saba 141 primus).40 Anche la madre, donna che disprezza il dialetto ("appannaggio esclusivo degli intimi strati della popolazione") e che controlla oltremodo le sue emozioni lesinando carezze al figlio, trova solo nella parlata triestina le parole per esternare la sua dolcezza e consolare il figlio. Quelle parole che le sarebbe stato impossibile pronunciare in italiano, la lingua dell'ordine costituito, della societá e del lavoro.41 Grazie al dialetto, cosi, Saba riesce a dire direttamente, ad arrivare al cuore delle cose, proprio come gli riesce in alcune indimenticabili poesie. Perché poesia e arrivare a dire direttamente, senza il bisogno dell'approvazione dei critici, senza la protezione dei padri, senza tendere la mano verso chi e venuto prima (e pochissimi in Italia sono stati capaci di farlo). Con quella frase netta e precisa, il ragazzo rivelava, senza saperlo, quello che, molti anni piü tardi, dopo molte esperienze e molto dolore, sarebbe stato il suo "stile": quel giungere al cuore delle cose, al centro arroventato della vita, superando resistenze e inibizioni, senza perifrasi e giri inutili di parole; si trattasse di cose considerate basse e volgari (magari proibite) o di altre considerate "sublimi", e situandole tutte - come fa la Natura - sullo stesso piano.42 "Rimanere a lungo in compagnia di noi stessi, genera il bisogno d'uscirne"43 scri-ve Saba in Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) a proposito della raccolta poetica intitolata I prigioni (1924). La leggerezza dell'Ernesto non sarebbe possibile senza "il peso" del materiale grezzo, del sovrabbondante, senza lo scarto materico da cui si libera la figura di questo fanciullo indimenticabile. Da qui il riferimento al noto ciclo di sculture di Michelangelo nel titolo di questo saggio. Anche Michelangelo arrivo per caso ai Prigioni, ma egli - a differenza di Saba - intui che senza la gravitá della materia, senza lo sforzo liberatorio, non sarebbe stata possibile alcuna levitá. Saba invece, soggetto al demone della forma, stilista instancabile, non poteva che concepire L'Ernesto come una sconfitta, come un aborto letterario. Dario Prola University of Warsaw, Poland darioprola@www.edu.pl 40 Lettera a Bruno Pincherle del 30 giugno 1953: "Ernesto non aveva inibizioni [...] (Non era un decadente, era un primitivo)". 41 "No pensarghe piu, fio mio" disse, passando all'improvviso, e senza accorgersene, al dialetto [...] "quel che te sé nato sé assai bruto, ma no gá, se nessun viena saverlo, tanta importanza. No ti sé, grazie a Dio, una putela". Ernesto, p. 611. 42 Ernesto, p. 525. 43 Storia e cronistoria del Canzoniere, p. 211. 142 Dario Prola Ernest ali ječa Umberta Sabe Ernest je nedokončan roman Umberta Sabe, italijanskega pesnika iz Trsta, ki je bil napisan leta 1953 tik pred smrtjo in izdan leta 1975. Njegova odprta in nedefinirana forma še vedno fascinira tako kritike kot tudi bralce. Ključne besede: Nedefiniranost, intimnost, lahkotnost, Trst, Kunstlerroman