CENNI GEO&RàFICg/Éff OGRAFICO - GEOLOGICI SOPRA (*\ L'ISTRIA 1883 ' t CENNI GEOGRAFICO - ETNOGRAFICO - GEOLOGICI SOPRA L'ISTRIA ni DOMENICO LOVISATO *9 8A8SARI Tipografia A. x u n l I 883 149777 alle pendici occidentali delle Alpi Giulie sten-desi a guisa di cuneo una bella penisola, che porla oggi il nome d'Istria e forma la estrema parte della Venezia-Giulia. Vuoisi dagli antichi scrittori greci e romani che derivasse il suo nome dal fiume Islro, appellativo del Danubio nella parte inferiore del suo corso. Non ignoravano ì vecchi geografi greci che questo fiume nasceva nella Selva Nera in Germania e shoccava nel Ponto Eusino, l'alluale Mar Nero, bagnando una vasta regioue peninsulare, l'odierna Dobrucia, che per tal ragione fino da quei tempi Istria fu chiamala, e quindi Istriani i suoi abitatori. Il Kandler opina, che per cause ignote in tempi remoli una tribù di Traci, che erano gli Istriani politici, affini di lingua ai Greci, movesse dalla Dobrucia e navigando a ritroso dell' Istro, quindi per la Sava e l'odierno fiume Lubiauo, varcale le Alpi Giulie, arrivasse forse nel VI secolo avanli l'èra volgare all'Adriatico ed occupasse la regione fra il Timavo ed il Quarnaro, conservando per la novella patria il nome d'Istria. Affermasi ancora che uno dei fiumi di questa, che sarebbe il Quieto secoudo il Kandler, fosse chiamato Istro, nome che per Dioduro Siculo, vissuto quarantanni avanti l'èra cristiana, conservava ancora quaudo i Romani conquistarono questa parte della Venezia-Giulia. L'Istria propriamente detta è nettamente divisa e delimitata dai paesi slavi e tedeschi dell'impero austro-ungarico sia per la sua orografia, pel suo clima, per la sua flora, per la sua fauna che pei suoi costumi, per lo sue tradizioni, per la sua storia e per la sua natura geologica, caratteri che forniscono documenti, i quali sfidano la frode, che voler qui illudere vale lo stesso che illudersi della peggior maniera ci, è porsi fra gli insipienti innocui, che sono fra tulli i più umili e dispregiali. Bagnala ad occidente dal golfo di Trieste e dal mare Adriatico, il grande lago italiano, a mezzogiorno e ad oriente dal Quarnaro Che Italia chiude e i suoi termini bagna; ha per confini naturali ad occidente il Timavo, a nord e ad oriente la catena delle Giulie, che cominciando al Tricorno (il Terglou degli Slavi e dei Tedeschi) liuisce all'Albio (il Nevoso o Schneeberg degli stranieri), il quale coi suoi contrafforti va a terminare ad occidente della città di Fiume: confina quindi l'Istria colla Gorizia, che è l'altra parte della Venezia-Giulia, colla Carinola, colla Croazia c cnll'Unghcria. Non mi occuperò dei confini fittizi, soggetti a spessi cambiamenti, che dipendono dall'interesse particolare dello Stato, c non sono quindi immutabili come i primi, accennerò invece ai confini antichi di questa superba provincia. A tal uopo mi piace ripetere quanto in proposito dice l'illustre istriano Carlo De Franceschi, nel libro prezioso delle sue Note Storiche: L' Isiria si protende nel mare in forma di penisola (Istria ut peninsula exeurrit, Plinio, Lib. Ili, cap. XIX). Dalle testimonianze dei geografi Scilace Cariandeno c Scimno da Gliio si ha che i veneti e gli istriani si toccavano. Ciò conferma anche Slrabone (anno Al dell'era volgare), ove dice che 1' intiera costa dal Po a Pola era dei veneti e degli istriani (Ergo quae trans l'aduni sunt, Veneti incolunt et Istri ad Volani, Slrabo, Lib. V). Sappiamo pure da lui che limile fra i due popoli era il limavo, dacché narra che la spiaggia marittima degli istriani andava da questo fiume sino a Pola. Anche lo storico Livio ci mostra che al Timavo arrivava la terra degli istriani, essendoché presso il medesimo si presentarono essi in sul principio della guerra per opporsi al console Manlio, che muoveva con l'esercito romano alla conquista dell' Istria. Ad oriente l'Istria confinava coi Liburni, dai quali li divideva il fiume Arsa o Arsia. Al diso- pra dell' Istria erano i Meri Giapidi che occupavano la catena del monte Albio, più sopra accennalo, estendendosi su ambo i versanti del medesimo, sicché nel versante occidentale venivano a toccare gli istriani ed i Carni, questi pure in qualche parie Ira loro confinanti. Ad occidente dunque avevano gli Istri a contine il Timavo, ad oriente l'Arsa od Arsia, e con questa il filone, da essa lambito, de! Caldiera, che partendo dal Maggiore si dirige verso mezzogiorno per Sissol e va a terminare nel Quarnaro, dove forma la punta di Fianona; e siccome ogni popolo cerca d' avere su ogni lato limili precisi e naturali, quali sono il mare ed i monti, talvolta anche i fiumi cd i laghi, è a ritenersi che a sellenlrionc il confine dell'Istria venisse anticamente costituito da quella catena più alta di monti che dal Sia pel Tajano (lo Slaunik degli austriaci) progredisce con giogaie sempre più abbassatesi sino ai laghi di Dobardò o lamiano e di Pielrarossa, nei quali per sotterranei cunicoli entrava il ramo inferiore o sinistro dell'Isonzo, per poi, escomio al mare con vari sbocchi, formare unito agli sgorghi dell' odierno Timavo (il quale, nato a piedi dell'Aibio, a mezzo corso si precipita nella caverna di S. Cuociono per riuscire presso S. Giovanni di Duino) le sette o nove foci o bocche del celebrato antico Timavo; .....et fontem superare Timavi Unde per ora novem vasto cum murmurc monlis It mare proruptum, et pelago premit arva sonanti. [Virg. Jim. Lib. L V. 248 e seg.) mentre il ramo maggiore ed occidentale dell' I-sonzo proveniente dal M. Picio (il Predil degli stranieri ) si gettava nel Nalisone, che scendeva a lambire le mura di Aquileja, e poi navigabile versavasi nella laguna (Vedi Czocrnig, Goerz nud Gradisca, pag. 107-108), Questi confini così pronunciati e naturali, oltre il mare che nella maggior parte la bagna, segnano i primitivi limili dell'Istria antica, sinché l'imperatore Augusto allargò la Venezia, portandone il confine a quello d'Italia, in coi quella era ben inteso compresa,dal Timavo alluninone, l'odierno Risano. In questo modo l'Istria perdette lutto il territorio posto fra questi due fiumi, e fu allora che alla colonia di Trieste avulsa dall'Istria, della quale è la naturale e vera capitale, vennero attribuiti, oltre il detto territorio, anche quello dei soprastanti Carni e dei Calali (popolo giapidioo fra l'Albio, i Carni e l'Istria), i quali entrambi poi sotto l'imperatore Caracolla (anno 213) furono ammessi a godere le cariche nella curia tergestina e la romana cittadinanza. Lo stesso Augusto però non tardò ad estendere maggiormente l'Italia verso questa parte, portandola all'Arsa. Da allora in poi l'antica Istria intera entrò nella Venezia formando con essa la X regione d'Italia, alla quale regione attribuì quanto paese è situalo al di qua delle AI pi Giulie, le quali divennero perciò lo slabile confine orientale d'Italia, completando per tal modo quella cerchia polente della maestosa ca^ tena delle Alpi, che fra il Varo d'Arsa formando il confine naturale d'Italia, furono barriere sempre contro le escursioni dei barbari-Se sieno succedati cambiamenti nella ripartizione amministrativa del paese tra il Timavo e l'Arsa sino alla caduta dell'imperò romano, e quali cambiamenti abbiano avuto luogo, non ci fu tramandato dagli scrittori; certo è però che sotto Carlomagno troviamo Trieste riunita all'Istria, ed ampliata questa dal lato orientale coll'aggre-gazionc del territorio liburnico di .Albona fra l'Arsa ed il Caldiora (Vedi nel Codice Diplomatico istriano il Piacilo di Carlomagno dcll'804), avvenuta come giudica il Kandler, ancora sotto gli Antonini, con che venne portata da quella parte, l'Istria ai veri confini dei monti segnati dnlla natura assai meglio che dal piccolo fiume Arsa, il quale fu dapprima conservato dai Roniani come frontiera fra gli Istriani ed i Limimi, di cui erano parte gli Albonesi. Bastano gli occhi della fronte per vedere come all'Istria nostra giri a tergo, non altrimenti che ad ogni altra regione subalpina la gigantesca frontiera italiana, senza, come dice egregiamente l'illustre mio maestro C. Combi, che filone qualunque interceda a romperci da quel lato la continuità del territorio nazionale. Per secoli l'Istria fu chiamata la Venezia superiore ed anche nei tempi più oscuri del medio evo Paolo Diacono scriveva: Venetiae et llistriae prò una provinrin habenlur: ne alcun valente geografo, da Plinio al Balbi, dubitò di comprenderla fra le provincia d'Italia. Non posso a meno in proposito di ripetere le parole che lo stesso prof. Comhi pronunziava in una delle sale del R. Istituto Veneto di lettere, scienze ed arti nella seduta che tenne quell'illustre Consesso il 10 dicembre 1877: « Meglio dunque ch'io mi limili a muovere preghiera ai nostri corpi scientifici d'infliggere severa censura a chi, scrivendo dell'Italia geografica, massime in libri destinali a farla conoscere alla gioventù delle nostre scuole, copia ancora qualche vecchio lesto timbralo a Vienna, ovvero, riproducendo le cario uscite da quelle officine, mostra di credere goffamente, che quel po' di colore, segnatovi sul confine orientale già del Regno Lombardo-Veneto ed ora del Regno d'Italia, stia là a scindere anche l'unità naturale della nostra patria, quasi il pennello politico valesse a farle sparire i suoi monti o a condurseli dietro sulle proprie traccie. » Iddio con immortali Caratteri di monti e di marine Ha scolpite le patrie, ed infatti alle Alpi Gamiche in direzione S. E. seguono \Q_Giulie che dal M. Tricorno (2855 metri) protendendosi per circa 144 chilometri fino al M. Albio (1083 m) nettamente separano tutta la Venezia-Giulia e quindiTIslria, che ne fa parte integrante, dalla Slavia o dai paesi tedeschi. L'incantevole catena che anticamente portava il nome di Alpi Venete, ricevette quello di Alpi Giulie o dall'imperatore Ottaviano Augusto per o- -< io )- maggio a Giulio Cesare, o por la via Giulia, che per esse passava ed alla quale accennerò in appresso. Le Alpi Giulie corrono erte, serrate e continue a guisa di muraglia con un'altezza media dai 2000 ai 2300 metri sopra il livello del mare dal M. Tricorno lino al monlieolo di Sairacco (040 m.), cioè fino alle alture che sovrastano alle sorgenti dell'Artara (l'Idria degli austriaci): si e-stendono poi a guisa di altipiano con depressioni inferiori a G30 Itti, dall'elevazione di Sairacco fino al M. Albio. Questo altipiano era la grande via dei popoli e degli eserciti, che dall'oriente per la valle del Danubio, della Sava e della Culpa, durante i tempi antichi ed al principio dell'evo medio si riversarono sull'Italia: per questo altipiano passavano quelle ampie strade consolari, che1, univano Koma e l'Italia col Mar Nero e col Danubio medio. Nella parte settentrionale delle Giulie, che può denominarsi Giulia prima, havvi il passo del Pie io (il Predil degli stranieri) a metri 1159, che forma il primo varco, pel quale si va nella Carinzia. Nella parte meridionale o GiuMa^se-aonda quello di JSauporto (l'Oberlaybach dei Tedeschi e degli Slavi) a metri 606, formante ìLsmmdo-varco, che mena nella Carniola, trovandosi il terzo varco verso .Ciana a 442 metri sopra il livello marino fra l'Àlbio ed il Maggiore, che possiamo denominare Giulia terza. Era per questo ultimo varco che passava nel medio evo la via chiamala Sfrata Hungarorum, che dall'Italia metteva nella Slavia. La Giulia prima è una (lolle regioni più selvaggie ed inospiti di tutto il paese alpino. I suoi vertici per la maggior parte dell'anno sono coperti di neve e le sue acque, come quelle di tutte le Gialle, non si radunano in limpidi ruscelli ad allegrarla di rigogliosa vegetazione, ma tosto scompaiono fra le fessure delle roccic per isgor-gare quindi al piede dei monti, già ridotte a torrenti. Perciò le pendici, formale di nuda roccia calcare, sono interamente spoglie di alberi: le strette e profonde valli, quasi incise a piombo nel nudo masso, sono coperte di frantumi e scaglie; solo qua e là s'incontra qualche raro pascolo. Rara è la popolazione che vive di j pastorizia e di transito. Anche la Giulia seconda, abbenchè meno alta e deserta, è povera d'acque alla superfìcie. Rimarchevoli sono lo sue numerose caverne, grandi succhiatoi d'acqua per tutto il paese circonvicino. Le acque presto svaniscono nelle spaccature delle roccic calcari; quindi, erompendo con insolita forza dai fori al piede delle medesime, scorrono per breve tratto nelle formazioni di tassello; ma incontratesi in nuove roccic calcari, scompariscono in altre caverne, per ricomparire dopo un corso sotterraneo di più ore. Famosa per questo riguardo è la grolla di Postumia (l'Adelsberg degli stranieri), rinomala anche per le grandiose e fantastiche sue caverne e per la sorprendente ricchezza e varietà delle sue stalattiti e stalagmiti, in questa grolla si gitla la Piuca, che, dopo un' ora di cammino solter- ranco, nuovamente si mostra nella grotta della Maddalena, riempiendo delle sue acque un laghetto, in cui trovasi il proteo anguino. È del pari famoso il lago Circo nicen se, detto anche palude Jjigea (lago di Zirknilz degli Slavi e dei Tedeschi), che si rigonfia ed asciuga indipendentemente dalla quantità di pioggia : di esso con un po' di esagerazione, ma non senza verità, fu detto, che, secondo le varie stagioni, vi si può pescare e cacciare, seminare e raccogliere. Però nel nostro bacino s'elevano poggi e monti, disposti tumultuariamente a gruppi, più che a catena regolare. Ed ò in questo bacino che abbiamo i due altipiani selvosi, quello della selva di Tamova a settentrione coi monti Rigido (1400) (Mersavez degli stranieri) e Modrasso, e l'altro della selva Viro a S. E. del Monte Nanos (1200 m.), che ora conosciamo col nome di Monte Re. Alboino, re dei Longobardi, calando in Italia nel 508, sali questo monte, dal quale si scorgono Aquileja e Lubiana, per contemplare tutta quella parte d'Italia che s'estendeva al suo sguardo e che stava per divenire in suo potere; fu io onore di lui che il Nanos mutò il suo nome in quello di M. Re. La giogaia delle Giulie è il limite di due bacini, l'uno dei quali, mite di temperatura, rivolge le sue pendici dolci a mezzogiorno ed a ponente; l'altro, più aspro per rigore di freddo, le rivolge verso settentrione ed oriente. Nell'uno vegeta rigoglioso l'olivo, nell'altro non alligna la vile; due regioni qui si toccano; l'uua di mezzogiorno, l'altra di settentrione; runa rivolta all'Adriatico, l'altra al Mar Nero. Pei varchi della selva Piro passava la strada imperiale, la principale dall'Italia per la Pan-nonia, che da Aquilcja per la vallala del Vippacco, allravcrsala la selva Piro, scendeva a Nauporlo, e, toccate Lubiana, Cilli e Petlau, andava con un ramo a Carnunto presso Vienna e con un altro a Buda. Dal M. He sino a Fiume correva un vallo, cioè una grande muraglia, le rovine della quale conservano tuttora il nome di muro (teipagani, lunga 85 chilometri e grossa 2 metri, munita al tempo dell'impero di torri, di castella e di forte presidio, che chiudeva interamente il varco per l'altipiano delle Giulie, il più ampio e facile per scendere in Italia, e che serviva al tempo stesso quale confine orientale della regione d'Istria. Il passo di Nauporlo irova la sua continuazione all'estremità meridionale di questo bacino all'altezza di 018 m. nel passo che i romani chiamavano Arac Postumiae (Adelsberg degli stranieri), dalle are che segnavano il contine della via Po-slumia, costruita nel 148 avanti Cristo dal console Poslumio Albino, la quale partendo da Genova toccava Aquilcja, e terminava dapprima in questo silo delle Alpi; poi, continuala pel varco di Planina, passava a Laas, Severin, Carlstadt, Lissek, ben si comprende dai nomi fuori d'ilalia, e, procedendo lungo il Danubio, finiva al Mar Nero. Le pendici sono coperte da fitte boscaglie e da ubertosi pascoli, e 1' attraversano vallate più o mono ampio, fra le quali quella dell' Isonzo è la principale. Sulla riva sinistra dell' ludrio, il fosso clic a mezzogiorno del M. Matajur fino dai 1866 segna il confine dell'Italia ufficiale, comincia un terreno collinato, noto col nome di Cogito (sub Collis), il quale per Gormonsio va con dolce giro fino sopra a Gradisca, ove si confonde coli' altro terreno collinaio, che è il Carso triestino, e si addentra attorno Gorizia fra il Vippacco ed il pendio meridionale della selva di Tarnova. Ad occidente del Coglio comincia la pianura che s'allarga sino al mare. Non è dunque il Carso un monte, ma un sistema collincsco brullo o coperto da poca vegetazione. Che se noi vogliamo conservare questo nomo di Carso alla continuazione dell' altipiano, che porta tal nome e che va mano mano elevandosi in direzione E. ed E. S. E. fino a raggiungere i monti, allora noi andremo ad incontrare il secondo e terzo varco ossia il passo delle Arae Vostumiae nel primo caso e quello di Ciana nel secondo, i quali non sono altro che vie, che, dalle contrade della Carinola nel primo caso e della Slavonia e Croazia nel secondo, mettono sull' altipiano italico, che è il Carso triestino. Dunque anche il geografo più innocente, volendo considerare il Carso come un monte, ciò che sarebbe una vera bestialità, dovrebbe diro che questo Carso separa nettamente I' altipiano italico della Venezia-Giulia dai paesi tedeschi e slavi della Carinola, della Slavonia e della Croazia. Devo però aggiungere, per amore del vero, che la Giulia terzi la Tolomeo è chiamala Carusadius, da cui molti scrittori credono derivato il nome di Carso. Ma il Kandler ritiene che Carusadius sia nome viziato dagli ammanuensi e si vorrebbe sostituire Calidarius, nome da secoli portato appunto dal M. Maggiore con lutto il suo lilone. Nè la natura è di tal guisa soltanto che stabilisce colà i termini d'Italia. Essi appariscono manifesti da ogni altra sua opera ed impronta, e quanti sono i cultori di scienze naturali, a qualunque nazione appartengano, i quali abbiano e-steso le loro ricerche a quella contrada, possono essere addotti a rendere di ciò testimonianza. In questi campi delle indagini scientifiche la verità corre minor pericolo, perocché negli studiosi o suole mancare la passione che persuade ad offenderla, o non è mai tanta la cecità che tolga atfatlo di scorgerla. Ma anche senza soccorso di scienza, le italiane sembianze della natura dell'Istria balzano all'occhio di chiunque le riguardi. Non sono io, ma è l'illustro maestro mio, il prof. Carlo Combi, a cui cedo la parola che così parla: « Chi dal— « l'opposto versante dell'Alpe Giulia, cioè dal ba-I « cino della Sava, varca la frontiera e, superali i « primi suoi divallamenli petrosi, scende sui poggi « istriani dello splendido bacino dell'Adriatico, vo-« de rimutarsi di un trailo ogni scena. Per quanto « egli sia cupido di rallìgurursi la sua Sia via o la « sua Germania su quelle rive incantevoli, ei vi « trova tosto, c lo confessa, tutto il sorriso del « cielo d'Italia, e i tepori del suo clima, c il « nostro olivo fra le vili e i gelsi nostri, e quanti « sono i vivaci colori profusi sul nostro suolo. » INè posso defraudare chi avrà a leggere queste pagine di quanto dice il Malie- Unum nel libro decimosesto della sua Geografìa universale: «Confi sideree dans scs limiles naturelles, la partie « septenlrionalc de l'Italie comprend loul le ver-« sant des Alpes, depuis la branche appellèe Al-« pes Cotiennes jusqu' à celle que l'on appello « Alpes luliennes. A' peine arrivés sur le versant « meridional des Alpes nous voyons changcr tout-« à-coup la vegetation, les hommes'el Ics usages. ! « Il semble qu' un climat favorable au laurier, « au myrt et à l'olivier porlo l'hommc à l'amour «de la gioire et aux bienfails de la civilisation. » Oh sentito, sentite come ne parla dell'Istria, di questa grande parte della Venezia-Giulia il senatore Magno Aurelio Cassiodoro, che fiori ai tempi della dominazione gota in Italia e fu ministro del grande Teodorico: « La vostra provincia (Istria), a noi prossima (a Ravenna), collocata nelle acque dell'Adriatico, popolata di oliveti, ornata di ferii li campi, coronata di vili, ha tre copiosissime sorgenti d'invidiabile fecondità, per cui non a torto dicesi di lei che sia la campagna felice di Ravenna, la dispensa del palazzo reale; delizioso e voluttuoso soggiorno per la mirabile temperatura che gode dilungandosi verso settentrione. Non è esagerazione il dire che ha seni paragonabili a quelli celebrati di Raia, nei quali il mare ondoso, in- tornandosi nello cavità del terreno, si fa placido a somiglianza di bellissimi stagni, in cui frequentissime sono le coochiglie e. morbidi i pesci. Ed a differenza di Baia, non trovatisi un solo averno, un solo luogo orrido e pestilenziale; ma all'in ve* ce frequenti peschiere marine, nelle quali le o-strichc moltiplicano spontanee anche senza che l'uomo dia opera alcuna; tali sono questo delizie che non sembrano promosso con istudio, ed invitano a goderle. Frequenti palazzi che da lontano fanno mostra di sé, sembrano perle disposte sul capo a bella domi;»; e sono prova in quanta estimazione avessero i nostri maggiori questa provincia, che di tanti edilizi la ornarono. Alla spiaggia poi corre paralella una serie disoleile bellissime e di grande milita, perchè riparano i navigli dalle burrasche, ed arricchiscono i coltivatori coll'ab-bondanza di prodotti. Questa provincia mantiene i presidi di confine, è ornamento all'Italia, delizia ai ricchi, fortuna ai mediocri; quanto essa produce passa alla città reale di Ravenna. ■ E Cassiodoro viveva in tempi barbari ed era ministro di re barbaro, ma « ministro che della « politica non facea un'arte apposta all'onore ed « alla virtù, e che colle sue opere e col suo « esempio, può essere di lume ai consigli dei « principi e patrocinarvi la causa di i popoli » come assai bene disse di lui Le Bea», nella sua llistoire d'i Bas-Empire (Lih. XXX, vol. IV, pag. 141 fi seg.) ! Eia popolazione dell'Istria? È italiana. Il fatto di alcune rustiche tribù di Slavi, sparse per la campagna, come lo sono pure in alcune parti del Friuli, specialmente nella parie, superiore della valle del Natisone e come deviamo Teutonici nel Veneto, Francesi nel Piemonte e Albanesi su quel di Napoli ed in particolar modo nelle Calabrie, toglie forse all'Istria di vantare la patria italiana nei riguardi etnografici? No certamente, e lauto più (piando si vedrà come vennero, come slanuo e che fanno i pochi Slavi delle parli montane in mezzo a questa piecola ma animosa popolazione italica, le cui origini rimontano alla più lontana antichità. Questa piccola ma animosa popolazione italica, che rinvigorita dall'elemento latino e dal veneto, tenne l'Istria da sola sino al secolo IX (come lo attesta il famoso placito dell'804 nel codice Trevisani e fll,asi da so'a smo °'tre a":l mel!1 del XV, serbò sempre incorrotto attraverso ogni vicenda il suo carattere nazionale, sì ch'ò tutta una sola famiglia dalle stesse sembianze e dallo stesso spirito, quando invece gli Slavi, che le furono importati in epoche diverse dalle signorie feudali, e, pur tròppo, anche dalla veneta Repubblica, allo scopo di ripopolare le sur lerre più interne disertale dalle pesti (i deserta loca dei documenti), sono di dieci e più schiatte, diverse tanto e fra di loro e dalle finitime d'ol-tremonte che le une colle altre non s'intendono nè coll'animo, uè col linguaggio, e si trovano consociate soltanto nel desiderio più volte espresso, di possedere esse pure e scuole italiane e italiani commerci e italiano avvenire. E non basta ancora, che mentre quei villici sorvonuti altro non sanno mostrare che le loro marre a chi della vita loro li ricerea, gl'Italiani possimi) additare con orgoglio i loro municipi, ricchi d'insigni memorie dai tempi di Roma ai giorni nostri, e i loro statuti, fra i primi d'Italia, come anche il Balbo lo scrisse, e una storia tutta fusa nella nostra, o stupendi monumenti dell'arte pagaoa e cristiana dall'antiteatro di Pola alla cattedrale di Pa ronzo, e istituti civili di ogni maniera, e celebrate opere di illustri loro ingegni negli annali delle scienzey delle lettere e delle arti, e dovizia di tradizioni, di leggende, di canti popolari, di proverbi, che ne ritraggono la vita, conscia d'un passato glorioso da onorare e bramosa di future sorti, che vi consuonino da meritarsi. L'etnografia di un tal popolo, che serba reliquie di dialetti italici anteriori all' occupazione latina, — che parla tuttavia non poche voci dell'età di Roma, scomparse, affatto d ilio altre parli d'Italia, — che vanta colonie romaniche ancora viventi sulle rovine degli antichi spaldi, corrosi dall'onda delle genti slave nel secolare abbandono di ogni soccorso, — clic sentinella avanzata della nostra nazione sulla porta più perigliosa d'Italia, non solo resse all'urto di tante forze avverse, ma piegò spesso ai propri usi i coabitatori stranieri c fe' penetrare nei loro idiomi molta parte del proprio, — è senza «bibbio degno argomento di studio per qualunque ingegno, ma specialmente pegli italiani, che troverebbe!'.) in esso di che illustrare un episodio di non piccolo interesse della Ion* vila nazionale, e tale una flora ili memorie che per Vivacità di tinte e robustezza di libra noe 6 da meno di qualunque altra. Con questi falli ed in modo cosi brillanto parla per me riguardo all'etnografia dell'Istria l'esimio patriotta, (pianto illustre professore C. Combi, elio io vo superbo d'aver avuto a maestro nei primi anni de' miei sludi. Aggiungerò ancora che gli slavi, i quali non abitano, come già dissi, che le parli montane, (piasi tulli furono trasportali a cominciare dal-l'800 dopo Cristo, non avendosi notizia d' alcuna invasione di quei popoli, i quali inoltro difficilmente contraggono matrimoni fuori del proprio comune e del proprio villaggio. Non posso tacere ancora che gli istriani mal tollerarono l'introduzione degli slavi nel territorio: infatti si ha che nell'anno 804 d. C, si radunarono nella valle del Fornitone, l'attuale Rigirìo, sopra Capodislria, i messi di Carlo Magno per udire le lagnanze degli istriani contro il inai governo del duca Giovanni, che avea introdotto il sistema feudale e gli slavi. Gii increduli vadano sulla incantevole costa dell'Istria a visitare, senza contar Trieste, che è la sua naturale capitale, le grazioso cillà di Moggia, Capodislria (Egida), Isola (Alieto), Pirano, Umago, Citlanuova (Emonia), Parenzo (Parentium), Rovigno, Pola( Pietas Julia), o passino nell'interno a visitare, lo altre di Buie, Pisino, Montona, Al-booa, ecc., e poi dicano, se han trovato un solo popolano che parli una sola parola di slavo o di tedesco: è il dialetto veneto che troveranno in bocca di quel popolo e così puro, quale oggigiorno non si sente neppure a Venezia. Del carattere poi e della tempra fiera degli Istriani moltissimi sarebbero gli esempi che potrei citare, ma pei brevi cenni, ohe mi sono imposto, m'accontenterò di narrare (picilo di Epulo, re degli Istriani, che, sconfitto dai Romani in giornata campale, si ritirò in Nesazio, la fortezza principale degli Istriani, dove^fu chiuso dal console C. Claudio Fulcro. Si resistette a lungo: ma gli Istriani privali dell'acqua necessaria col deviamento operato dai Romani d'un fiumicello clic rasentava le mura della città, e, disperando ormai della salvezza, preferirono di veder morti sotto i loro occhi e per le slesse loro mani le mogli ed i fi,uli, anziché lasciarli a certa schiavitù. 10 mentre i Romani s'apprestavano all'ultimo assalto, uccisero le donne ed i figli, gettandone i cadaveri fuori delle mura, spettacolo miserando agli stessi nemici. In tale confusione e disordine il Romano diede l'assalto: le mura furono scalato ed il nemico vittorioso si riversò nella città. Epulo, vista inutile ogni resistenza, per non cadere vivo nelle mani del nemico, si gettò sulla propria spada. Gli altri perirono, che pochi furono fatti prigionieri, o la città fu incendiata e spianala al suolo (177 a. C.) Anche la storia dell'Istria è tutta italiana e cominciando proprio dal 177 avanti Cristo accennerò di volo ai momenti principali, tanto che anche questo vanto dell'Istria sia qui fatto conoscere. Assoggettata l'Istria nel 177 a. C. dai Romani, capitanati dal console C- Claudio Pillerò, fu considerala dapprima quale appendice alla Gallia cisalpina e come questa fu l'Istria provincia romana. Unita poi dall'imperatore Augusto all'Italia, ne formò assieme alla Venezia la decima regione e durante tutto l'impero romano ebbe coni tini colla Venezia i magistrati. Roma mandò nella provincia conquistata numerose colonie Ialine, tanto militari clic agrarie: varie città istriane ebbero costituzione municipale, come Tergeste, E-gida, Emonia, Parcnlium, Pola, e potenti famiglie romane vi tennero estesi possedimenti. Perciò in breve non solo l'elemento indigeno si fuse col Ialino, ma anzi^ quest'ultimo ebbe il sopravvento e col medesimo la lingua e la civiltà Ialina, che contribuirono a far salire quello colonie in fama di ricchezza e di forza. Fioriscono l'agricoltura, l'industria ed il commercio: i vini, l'olio, lo frutta, i pesci ed i crostacei dell'Istria divennero celebri a Roma. Splendidi monumenti, eleganti e magnifici edilizi, i cui avanzi superili si ammirano tuttora, e contribuiscono largamente, con un assieme di oltre mille lapidi scritte a chiarire la civile potenza del genio romano, sorsero ad aggiungere i prestigi dell'arte a quelli della natura. E in mezzo a tale opera grandiosa, più grande ancora fu lo spirilo che l'animò, il proposito cioè di rendere quella provincia, che sta di contro al varco più geloso della frontiera d'Italia, quanto meglio si poteva gagliarda a tenerne la guardia, come ce lo dimostrano gli innumerevoli fortilizi e i valli turriti, che vi furono costrutti, I lo cui tracciò restano tuttora custodi di un pensiero sapiente che deve risorgere. Dopo la caduta dell'impero romano occidentale nel ili) d. C. l'Istria, che s'estendeva dall'Adriatico al grande vallo romano, fece parte del regno di Odoacre, quindi nel 189 venne in mano degli Ostrogoti, al tempo ilei (piali, non a torto, dicevasi di lei che era « la campagna felice di Baverina, « la dispensa del palazzo naie,., ornamento al-« l'Italia, delizia ai ricchi, fortuna ai medice:!;. » come superiormente ho già ricordato. La romana e la gotica furono le epoche della maggiore floridezza della istriana provincia, la quale anche (piando fu corsa dai barbari, perchè mai fu occupata stabilmente, potè, più di ogni altra provincia italiana, conservarsi non solo In vita, ma anche lo splendore dell'età Ialina: sarà ciò forse per la sua postura di lianco alla via fatale, che, superale le Alpi, mena tosto ai più larghi orizzonti dei piani friulani, e forse ancora per la ragione del breve suo andito, quasi in-tieramenle sul mare, il (piale lutto lo frastaglia di seni, di porti, di rade, e dal quale le tornava agevole di trarre gli aiuti a resistere o a rifarsi dei danni patiti. Conquistata ed occupata l'Istria da Belisario per conio di Giustiniano (889) durante la guerra fra Bizantini e Coli, essa fu poi di nuovo congiunta alla Venezia marittima e vi stelle a lungo. Dopo la caduta del regno dei Goti dipendenti dall'Esarca bizantino risiedente a Ravenna e le fu dalo per governatore un maestro dei militi (magister mililum), colla sede a Pola (Pietas .lidia), al (piale erano subordinali i Tribuni nelle varie città. Calali i Longobardi in balia (36$), rimase ancora per quasi due secoli sotto la signoria degli imperatori d'Oriente: i Longobardi, che pure occuparono stabilmente lauta parte d'Italia, non ebbero l'Istria, come vedremo, che assai tardi e non l'ebbero neppur tutta per la sanguinosa resistenza dei suoi abitatori nel difendere il patrio suolo; non furono perciò in tempo di innovare là come altrove, sebbene ne ebbero abbastanza per sconvolgere. Infatti l'Istria, non difesa dagli imperatori d'Oriente, fu esposta alle scorrerie non solo dei Longobardi (588), ma anche, a quelle più funeste degli Avari e di altri barbari(o98,601, 605): e la povera ma forte penisola, alla quale la distruzione di Aquileja, la caduta dell'impero romano occidentale e lo stalo d'Italia dopo la morte di Teodorico, avevano segnala la decadenza del commercio e dell'industria, posta ora a ruba, a ferro e a fuoco da tante orde selvaggie, vide, declinare la sua floridezza, e cominciare per lei i lunghi secoli di desolazione. L'immenso numero di morii sui campi di battaglia diminuì di mollo il numero dei suoi abitanti e la campagna rimase in gran parto spopolala e deserta, essendosi ritirati i pochi rimasti nei luoghi fortificati, pn*-cialmenlc alla cosla. Sembra che appena nel 7Ù3 l'Istria venisse occupata per buona parie dai Longobardi. K quando questi nel 774 furono assoggettali dai Franchi, ritornò sotto i Bizantini, ma per breve tempo, giacché nel 789 in parte e nell'803 per intero la ebbero i Franchi, signore dei quali era Carlo Magno. Ma, sebbene desolata dal flagello di tante invasioni barbariche per si lunghi e luttuosi anni, che seguirono dalla guerra gotica al regno dei Franchi, l'Istria era sempre ricca dei mirabili suoi porti, dai quali soltanto potevasi guardare e signoreggiare il golfo, primeggiando quello di Pola, che anche oggi senza confronto ò il primo porlo ilaliano. Sicché la storia dell'Istria da Alboino a Carlo Magno è prova continua, che, anche dopo spezzala da quello, mediante l'occupazione del Veneto, l'unione amministrativa di esso collTslria e col restante della Venezia-Giulia le città istriane continuarono a tenersi collegate in vera società coi fratelli della veneta laguna, che gli istriani per tanlo tempo hanno aiutalo. Con Carlo Magno però hanno principio nuove sventure per l'Islria e prima fra tutte il feudalismo, erettosi allora per la prima volta nelle campagne. Infatti costui le diede a governatore il duca Giovanni, il quale tolse alle città gli antichi territori ed i diritti municipali, inaugurando gli ordini feudali: cominciò a trasportare orde slave per coltivare le. contrade spopolato e deserte, distribuendole, quali coloni, qua e là nella campagna istriana e nelle torre tolte alla città ed alle chiese. Ma l'Istria si oppose ai nuovi ordinamenti con tale accordo ed insistenza patriottica, che Carlo Magno fu costretto ad indire, come ho già 4 accennalo altrove, nell'804 un grande parlamento (Placito) nella valle del Fornitone, risultalo del quale fu un miglioramento allo condizioni della penisola, che sempre volle o seppe mantenersi italiana. Alcune terre al mire, Capodistria, Pi rano, U-mago e qualche altra, erano rimaste ai Bizantini, i quali però, lontani, salvo a percepire il tributo ed il donativo (exenia), come apparisce dal Placito del Form ione, prendevano ben poca ingerenza nel governo pubblico: tutto il resto della provincia avea dovuto subire i nuovi ordinamenti, tanto contrari allo antiche sue consuetudini, e sottostare all'alto dominio dei principi, che non seppero far di meglio che merea aleggiare la provincia prò remedio anitnae, largheggiando privilegi, immunità, diritti, giurisdizioni a vescovi e prelati d'ogni ordine, divenuti in breve veri baroni e padroni. Quale parte dell'Italia, l'Istria, asoline ad essa dagli imperatori Carolingi passò a Berengario del Friuli, quindi ai re della casa di Borgogna, di Provenza e d'Ivrea, e nel 951 ad Ottone l di Germania, quando si cinse della coroua ferrea e la infeudò a suo fratello Enrico, duca di Baviera Intanto alle già accennate scorrerie s'aggiunsero nel IX secolo quelle non .meno devastatrici dei saraceni, dei uareulani e dei croati (820) e per colmo dei mali nel 1000 si sviluppò la peste. I nuovi signori continuarono a trasportare nell'Istria interna altre orde di slavi dalle provinole al di là delle Giulie. Ma se iu quasi tutta la cani- paglia prese piede il sistema feudale accennalo, non fu cosi alle coste, d/ove invece risorse a poco a poco l'antico comune romano, soffocato, ma non estinto. I/ aulici popolazione romana, diminuita in numero, chiusa nelle città e nei luoghi murati, per affittila d'istituzioni e per bisogno di difesa, si rivolse alla crescente potenza di Venezia, che liberato avea i mari dai pirati saraceni e narentani. Le promise tributo di navi, di derrate, di prodotti delle sue industrie per avere la sua prolezione, la sua alleanza. È questo un lungo periodo fortunosissimo, dici l'egregio prof. Cornili, che si svolse dal secolo IX in poi, meritevole di essere profondamente studiato non già solo da storie municipali e provinciali, ma da quella ancora di Venezia e d' Italia e dello stesso medio evo ingenerale, i cui fatti di sì vario ed intricalo sviluppo hanno bisogno di ógni loro profilo e. d'ogni riscontro di colori e di ombro per essere ritratto con verità di disegno e di rilievo. Fu lotta estrema fra l'elemento nazionale e lo straniero, fra le franchigie municipali ed il despotismo feudale, fra le Città guelfe e le baronie ghibelline, fra la civiltà e la barbarie, fra il diritto e l'usurpazione. E vinse la buona causa per le virlù della saggezza, del coraggio, della perseveranza di Venezia, mirabilmente secondate dal patriottismo e dal valore degli istriani, e alle quali la storia nei tempi meno infelici dei presenti darà encomi maggiori di quelli dati finora, quando i nuovi studi sul passalo, attinti a tutte le loro fonti in casa ed anche fuori, avranno ristabilito pienamente questa brillantissima parte della vita istriana. Nel 1077 l'imperatore Enrico IV infeudò col-l'Islria, divenula marchesato, il patriarca d'A-quileja, ma, essendosi questi dichiarato pel pontefice Gregorio VII, glielo tolse e lo diede alla casa carinziana degli Eppenslcin, sotto i quali si formò la cosidella contea d'Istria nel 1112 col nome di contea di confine, una Inalila fattura feudale. La povera provincia divenne quindi più terra da sfruttare, che terra con una popolazione forte da governare: infalli, se non venivano adoperato quelle regioni prò remedio ani/nae, servivano però ad arricchire congiunti o a premiare compagni d'armi e servi loro fedeli. Mentre la infelice Istria era così baloccata e divisa e suddivisa fra superbi alemanni e patriarchi imbelli, ed i conti di Gorizia approntando della debolezza di questi, i patriarchi di Aquileja, cercavano sempre più di allargare a loro danno il territorio della contea dell'Istria, le citlà marittime istriane, già cosliluitesi a comune, come s'è già visto, e senza cedere mai un palmo né ai conti o marchesi laici, riè ai marchesi o conti chierici, dopo d'aver esaurite le loro forze in tante sanguinose guerre, non avendo nel debole governo dei patriarchi alcuna difesa contro le vessazioni dei barbari signori feudali e contro l'ambizione dei conti d'Istria, alla fine del secolo XIII e durante il XIV si diedero più o meno spontaneamente alla Repubblica veneta, sostituendo per tal moda al protettorato la signoria, ai tributi la dedizione. Venezia, cui il possesso dell'Istria era mai divenuto una necessità, avute in dipendenza le citte marittime, cercò d'estendersi sempre più nell'interno della penisola istriana, donde ne derivarono continue lolle coi patriarchi e coi conti d'Istria. Rimarchevoli sono i diplomi, dei quali la largo e coscienzioso cenno in bel lavoro altro illustre istriano, Tommaso Luciani di Albona, e che mostrano all'evidenza come l'Istria anche durante questi tempi perdurò costantemente ne! pensiero e nell'opera nazionale. Rammento quello che conteneva accordi cogli istriani e specialmente con Capodistria e con Pola per fare assieme Io stolo, ossia per tenere purgato il mare dai pirati slavi, detli nemici dei Veneziani già nel diploma di Lotario. Altro contiene olTerte degli istriani al doge ed a S. Marco, d'olio, di vino, di canape, di marinai e di soldati; gli impegni di retinere honorem beati Marci, di avvertire i veneziani dei pericoli e di difenderli anche colle armi absgue jussu imperatoris. Non posso dimenticare quello del H45 col quale Capodistria ed Isola, giurando fedellà a S. Marco, al doge e a' suoi successori, s'impegnavano di armare una galera e di andare in l'azione coi veneziani ogniqualvolta il bisogno della comune sicurezza lo esigesse. Seguono quindi i patti del USO coi quali gli istriani giurano fedeltà al doge, a S. Marco, al comune di Venezia una dopo l'altra la cillà e terre di Pola (e sue ville), di Parenzo, di Cittanova, di Rovigno, di Umago. Si direbbe quasi clic Venezia e l'Istria presentissero il Bar -baròisa e si preparassero a resistergli sulla terra e sul mare. Infatti il fiero popolo istriano, continuando in armi cosi nelle rocche cittadine come sulle navi degli arditissimi suoi stoli, svolte flottiglie cui il governo di S. Marco commetteva il rischio e l'onore di guardare il golfo, dopo aver sostenuto cento e cento combattimenti in (pici tempi sempre nel nome «l'Italia, ebbe poco appresso la sua Legnano, là a Salvore presso Pi-rano, come un egregio storiografo triestino lo dimostra contro i dubbi, con che place a molti di mettere in forse quel lontano avvenimento, che per l'Istria rammenta la gloria di aver sconfitto il Barbarossa, distruggendo intieramente le sue navi. Oh il popolo istriano rammenta molti altri esempi di eroico valore, di cui alcuni sarebbero pari in tutto a quelli dei Mica e dei Brngaditi, se loro pure fossero toccate in sorte le onoranze della fama seguace, illacrimubiles..., ignotique longa notte, careni quia vate sacro: il popolo istriano, esso solo veramente, può spiegare sotto gli occhi di ogni più rigido censore tulle, le sue memorie, provocando a scoprirvi una sola macchia per fede mancata all'Italia. Ma tiriamo avanti nella storia, la quale ci dice che nel 1371, eslinla la linea dei conti di Gorizia, che possedeva la contea d'Istria, al quale assieme a quella parte di Carsia, che vi dipend passò per anteriore palio di reciproca successilo..' pur troppo alla casa d'Austria, questa casa fatale riuscì nel i500 ad unire sotto la sua signoria tutta la Carsia assieme alla Gorizia. Fortuna (amente la Repubblica vcueta era andata a poco a poco occupando i possedimenti, che il patriarca teneva nell'Istria, tino a che li ebbe tulli in suo potere nel 1420. Ad aggiungere qualche dettaglio sull'Istria nel perioilo fortunosissimo per lei dal nono al decimoquinto secolo, non senza notare Che durante gli ultimi duecento anni fu minacciata perpetuamente dagli slavi, che pirateggiavano sul mare, espilala da baroni maggiori c minori, ecclesiastici e militari, abbandonata d'ogni prolezione dai Bizantini lontani, deboli, parolai, sono lietissimo di cedere la parola alla penna eminente del mio mai abbastanza lodalo maestro C. Combi: « Le nuove sventure, dice egli, a cui l'Istria tenne fronte nel detto periodo, riassumo cosi: — Orde slovene importate dal Friuli su alcune delle sue terre montane; — fatta una marca feudale di quelle frazioni della provincia, che non riuscirono a salvare la propria indipendenza dai nuovi ordini; — ascritte bensì le une e le altre al titolo del Regno d'Italia e non mai a quello del regno germanico, per modo anzi che pur nell'età più infelice del feudalismo alemanno l'Istria si trova annoverata fra le regioni italiane soggette al diritto Ialino, invece che al longobardico, assieme con Roma, Venezia, Ravenna, Napoli, la lVniapoli, la Toscana, l'Umbria, l'Abruzzo, la Calabria, ma franta l'unità del paese e modus vivendi per esso la guerra, a così dire, di ogni giorno; — i signori della marca, cioò i comites limitami o margravi, come furono chia- mati in appresso, da prima francesi e poi tedeschi, tramutatisi da elettivi in ereditari, e cosi, sebbene assenti sempre nelle loro signorie d'ol-fremonte, divenuti mano mano più ostili a lutti i comuni istriani, dei quali gli uni erano obbligali al solo tributo, gli altri franchi del lutto da ogni soggezione; — sorla solto lo slesso nome dell'Istria, ma del pari estranea all'Istria comunale o civile, quell'altra fattura feudale che fu la contea, (piasi non più che gastaldia del marchesato in sul principio, ma poi corpo a sè, temibile non poco anche nella ristretta sua cerchia, perchè in possesso del varco del M. Maggiore; — cosliluitesi agli altri passi dell'Alpe Giulia le altre contee della Carsia e dLiìorizia, e alzata di tal maniera, se non dentro agli accampamenti della popolazione italiana dell'Istria, sulle linee più importanti della sua difesa, già si lungamente e strenuamente tenute, la bandiera delle genti transalpine; — succeduti nel marchesato i patriarchi di Aquileia, meno lìdi, è vero, alle mire straniere e meno stranieri essi medesimi, ma non meno avversi all'antico e non mai logoro o stanco iudirizzo della istriana provincia, e più risoluti anzi a combatterlo colle insidie e colla forza, vicini com'erano e quasi presenti al campo della lotta; — l'Austria infine o già subentrala o prossima a subeulrare, dalle sue acropoli della Car-niola e della Carinzia, a quelle piccole signorie, che le avevano prestato l'oflicio di avanguardie, l'Austria già spintasi fino ad una rada dell'Adriatico, vale a dire fino a Trieste, nella quale, pur lasciandola libero comune ilalico, stette quasi cuneo confitto fra l'Istria ed il Friuli, le due estreme contrade italiane della Repubblica, epoiècosl Impedire ch'olla riconquistasse a sé e alla nazione la frontiera tutta dell'Alpe Giulia, secondo che aspirava costantemente dietro la guida dei ricordi di Roma. » In seguilo agli avvenimenti suesposti comincia per l'Istria un'era migliore, nella quale la vila, fattasi più tranquilla e sicura, s'ingentilisce negli sludi c si sviluppa variamente sotto sagaci ordinamenti, dei quali non pochi durano tuttavia negli usi ed anche in alcuni statuti o regolamenti, su cui non ò passala ancora la mano del nuovo legislatore. L'aulica civiltà nostra non mai spentasi su quell'estremo lido d'Italia, vi riprese vigore assai presto sotto l'azione delle stesse cause che la fecero rinascere e fiorire si bene per tutta la penisola. Ma caduta Costantinopoli in potere dei Turchi (I i53), Venezia si (rovo presto impegnala per lena e per mare in una lotta gigantesca, che duro circa tre secoli: ne derivò quindi nuova serie di vicende per Tisi ria, che di venula ormai parte integrante e importante dello stato Veueto, ne divideva gli affetti e gli entusiasmi. Afcuqé bande di Turchi tra il U70 e il toOl si spinsero sette od olio volte fino ai monti e alle, mai ine dell'Istria ed anche in vicinanza della sua capitale Trieste; incendiarono ville del Go-«i/iauo, presero ripetutamente Monfalcone c Duino ■ - v : - ... t saccheggiarono Rozzo. I nuovi pericoli eonsr-» gliarono l'erezione o ripristino di alcune torri c» castella nel territorio di Capodistria, che. sono fjosarol, _LimcJie, IQdnjuiEasa, Monte, Cristo via, Coslahona, _Gemc, Gradina, Allignano,fàyio)\Cq-ì yetlo, PopecchJo, delle quali trovatisi frequenti-cenni nelle relazioni di quei Podestà-Capitani. — Però anche la guerra coi Turchi diede occasione a molli istriani di distinguersi per abnegazione e valore nell'Istria, nella Dalmazia e in lutto il Levante. Basti per tulli quel Biagio Zu liani, il quale, anziché cedere un forte a lui affidalo (il forte di S. Teodoro, a due miglia da Canèa), dopo valorosissima resistenza, quando i nemici prevalenti di numero entravano già da più parli alla sciabola, diede fuoco alle polveri, precedendo d'olire mezzo secolo il Mica. Altra conseguenza di questa guerra per l'Istria fu la introduzione di nuove genti (Albanesi, Montenegrini, Dalmati, Ioni), alle quali vennero successivamente assegnale vaste estensioni di terreni, particolarmente nella campagna dal Quieto all'Arsa e che erano rimasti incolti, specialmente per colpa delle pesti, che aveano disertato e continuavano a disertare la sfortunata provincia. L'essere sulla linea di navigazione coll'Oi ionie, l'avere una costa ricca di ancoraggi e di porti, è slata in questa epoca, bisogna dirlo, un dono infelice, clic le apportò Infiniti guai. Riguardo alle pesti che decimarono la popolazione, ricorderò quelle del 1343, del 1317, del 1300-01, del M67-8, del 1470, alle quali s'aggiunse l'altra del Ioli, cui più) tardi seguì l'ultima licrissima dal (030 al KJ3I.. . lLe sciagure cominciate a danno d'un paese, solitamente s'attirano e seguono, e così toccò alia povera (strìa. Allo minacele dei Turchi, alla desolazione delle pesti, ai danni delle guerre lontane si aggiunsero presto guerre vicine e presenti. Non era appena stalo eliminalo dail'Islria l'elemento eterogeneo dei Patriarchi, che alle loro spalle erano sorli i duchi d'Austria col fermo proposito di spingere fino al mare i loro domini: la invasero quindi, la depredarono, la coprirono di stragi, ma ella trovò io sò l'animo sempre pari al pericolo, e avvenne perfino che da sola respingesse talora i fieri assalti, con armi proprie e con a capo il nobilissimo suo patriziato. Ricorderò la presa di Pola (1506) per parte delle truppe di Massimiliano, che nel corso delle ostilità distrussero selvaggiamente Raspo (I510J ed occuparono Castelnuovo del Carso: m'affretto però a rammentare per l'onore d'Italia che d'altra parte Venezia nella guerra contro Massimi-ciano, inalberato il suo vessillo al varco di Po-stumia (Adelsbcrg), occupava Duino, Trieste, Pi« sino e le terre di Piemonte, di Visioada, di Castagna, di Momiano, e Barbana e Carsano e Ra-cizze e Draguccio e Verco e Sovignacco e Linda-ro, non abbandonando la generosa speranza, che per poco non si mutò in realtà, di allargare il suo dominio su tulio il versante italiano delle Alpi Giulie, come lo comprovano molli pubblici documenti e relazioni dotte e sagaci, provocale dal Senato, di celebri uomini d'arme. Nò la ban^ diera della Repubblica, che sventolava a quel torte passo, sarebbe stata rimossa, se la lega (fi Cambrai non avesse fra ni a l'Impresa. E quando più tardi entrarono in isccna gli U-seocchi colle loro atrocità, che diedero travaglio grandissimo alle navi commerciali, alle pubbliche galee, alle isole del Quarnaro ed a lime le terre-che siedono su quel golfo, Y Istria si slanciò in guerra gagliarda contro quei terribili pirati. Soffersero sopralullo Rovigno, Fianona, che fu quasi distrutta, ed Albona, che respinse quei barbari,, sebbene in numero di più centinaia. La povera Istria, posseduta da Venezia, quando questa non tenea ancora i margini della sua laguna, fu la prima a brandire le sue armi e l'ultima a deporlo; nel 1707 colla pace di Cani-poformio cadendo in mano dell'Austria sotterrò quelle armi, ma con tale lamento, che fu la sola voce degna levatasi al tramonto di tarila grandezza. L'Austria perdette tulio nel 1805, quando col trattalo di Presburgo passò l'Istria colle isole del Quarnaro, come provincia del Regno italico. E fu provincia preziosa, tanto per ragioni militari del maggior momento, quanto per la sua marina, .giudicata dal Baude la première officine dliommcs jate mer c che col Nelson può dirsi essere (itila un porto, come pure per l'altississimo valore dei suoi boschi e de' suoi slabilimenii salini. Ala sebbene incorporala al Regno italico, l'Istria nel 1800 fu costituita a grande feudo dell' impero francese ed il gcn. Bessière ebbe il titolo di duca d'Istria. Nel 1809 per la pace di Vienna (Sehònbrunn) PAuslria cedette alla Francia anche la parie in- -( )- terna e montana dell'Istria, che I' anno seguente i£IO assieme all'altra parte fu incorporala dall'imperatore Napoleone I alle provincia illiriche dell'impero francese. In sul finire del 1813 le armi austriache occuparono l'Istria, la quale nel 1813 nel congresso di Vienna fu confermata quale possesso dell'Austria, cominciando per la sventurata provincia quel servaggio, clic dura ancora per lei, ma che non valse mai a rimulare l'animo de' suoi abitatori, nò a sviarne gli interessi economici. L'Austria ha dovuto escludere la penisola istriana dalla lega doganale austriaca, cioè rinunciarla ai commerci nostri. Si dirà che Trieste serve ai traffici della Germania orientale, ma anche Venezia e Genova servono a quelli della Germania centrale e occidentale, senza che alcuno si lasci cadere in mente perciò di concedere su di esse diritto qualsiasi alle signorie d'oltralpe, v. E la natura geologica dell'Istria? Oh italiana, tutta italiana, sì che fa esclamare ad un illustre nostro scienziato: n Non ho trovato nell'Istria alcun piano che non avesse il suo analogo nel Friuli (la forte provincia d'Udine), e la comunanza delle relazioni stratigrafiche ò tale che Tasse di sollevamento congiunge il M. Maggiore dell'Istria col Maialar del Friuli, e l'asse di inclinazione o di sinclinale decorre difilato dai campo di Osopo al golfo del Qua maro. » La sua naturale bellezza e la rinomanza forse, che fino dai tempi più antichi godeva l'Istria, tanto da essere chiamata « bella così da tornare ad ornamento d'Italia », attrassero motti geologi, 1 quali la scelsero a campo dei loro sludi, facendovi più o meno accurato ricerche. Ricorderò i lavori del signor Morlot, sebbene non troppo esaltamente procedano nel determinare la reale posizione dei vari orizzonti geologici, da lui troppo svisali. Posteriormente, la nostra interessarne penisola fu visitata (ini signori Chiozza c Cornali.!, che con passione e dettaglio la studiarono, lasciando copiosa messe di notizie ed osservazioni (E. Cornalia e L. Chiozza, Cenni geologici sull'Istria. Giornale del R. Islilulo Lombardo. Tomo 111. Nuova serie, 18.V2). in seguito lo straniero signor dottore G. Stadie (Geologi-sches Landschaftsbild des istrischen Kùstcnlan-des, mit ciner Uebersicbtskartc. Oeslerr. Revue. 2 Rd. 180 die eoccn - Gcbiete in der Inner -Krain und Istricn. Iahrb. K. K. geolog. Reichsau-stalt. V, X, XIII e XIV, 18o9-0o), approfittando anche degli studi fatti dal Cornalia e dal Chiozza, dopo aver confermato i principali risultali delle osservazioni di questi due naturalisti, nostri connazionali, vi aggiunse, in seguilo a studio lunghissimo, dati stratigrafici mollo interessanti, precisi c preziosi, che rese (li pubblica ragione negli annali dell'I. R. Islilulo Geologico di Vienna. Ma chi regalò il più bel lavoro geognostico-geologico sulla estrema parte della Venezia-Giulia, fu l'illustre prof. Torquato Taramclli, il quale, in un modestissimo volume (Descrizione geognostica del Margraviato d'Istria, Milano, Vallardi, 1878), con carta geologica annessa, raccolse tutte le più. preziose notizie su quella bella penisola i* taliana, ancora soggetta al servaggio dell'Austria. A me, nato in quelle ridenti regioni, gode l'animo di poter pubblicamente esprìmere la mia riconoscenza e quella di lutti i mici conterranei all'egregio prof. Tarameli! pel suo pregevolissimo lavoro, che egli dedicava « Alla benemerita Società agraria istriana ». E lauto più riescono interessanti ed importanti gli studi accurati del geologo pavese, in quanto che egli fa vedere una volta di più die la superba penisola non è soltanto una regione eminentemente italiana dal lato etnografico c storico, ma anche dil lato geologico, essendo la estrema parte delta Venezia-Giulia, cioè l'Istria, la conti-minzione geologica ed orografica del Friuli. Della massima importanza certamente riescono ancora i molli paralleli da lui stabiliti dei terreni dell'Istria cogli isocroni del Veneto. A questo mollo pregevole lavoro specialmeute ricorro per trarre i cenni che seguono. L'Istria, l'ultimo sprone delle Giulie, più che la forma di un triangolo, ha quella di un quadrilatero irregolare con due luti attigui molto allungali, convergenti a mezzogiorno a capo Pro-rnontore, quando noi tiriamo una linea dalle o-rìgini del torrente Rosaridra fino al porto di Vo-losca sul Quarnaro, rappresentandone la bella Trieste, il porto dì Volosca, il capo Promontore e la punta di Salvore i suoi angoli: la sua maggiore lunghezza di poco supera i 100 chilometri, essendo approssimativamente di 70 chilometri la sua maggiore larghezza. La cnratlerìstica orografica ad altipiano, che così marcatamente distingue le Alpi Giulie meridionali, prevale in tutta la penisola, continuandosi nelle isolo di Veglia, di Cherso, di Lussino é di altre isole del Quarnaro, che formano altrettante rugosità sporgenti della slessa penisola nel mare Adriatico, il grande lago italiano. La struttura geologica dell'Istria non è per vero dire molto complessa: la serio delle forma-zioni e assai limitata, appartenendo i maggiori terreni dell'Istria soltanto ai Ire periodi della creta superiore, dell'eocene inferiore e dell'eocene medio. In nessun punto fu finora trovalo un terreno più antico del cretaceo superiore, nè l'altipiano comprende terreni più recenti dell'eocene medio, a meno che non venga ancora fissato all'orizzonte del miocene la formazione della terra rossa, cioè del terreno ocraceo e si-derolitico, come con giudizio erroneo in ingegnosa Memoria sopra questo argomento l'ascrisse il prof. Taramelli. In ogni modo non si trova alcuna iraccià dei terreni del pliocene, del glaciale e del periodo dei terrazzi in mila 1'Islria, ad eccezione delle breccie ossifere di Cherso e di altri luoghi, delle quali non si conosce la fauna. La mancanza di depositi di terreni dei periodi superiormente ricordali prova questo doppio fallo, che, se da un lato si deve considerare tolta la regione istriana come emersa durante quei periodi, dall'altro si deve ammettere che durante gli ultimi periodi del vasto altipiano deve essere avvenuta una sommersione, che fece scomparire -( 41 Jr-SpltO al mare le alluvioui prodotte dalla erosione fluviatile e meteorica dei periodi antecedenti. Se poco numerosa e la serio delle formazioni, non lo è maggiormente quella dei tipi litologici, ri-ducendosi essi al calcareo, al marna-arenaceo ed al siderolittco. Sebbene le antiche denominazioni non sieno molto scientifiche riguardo olla suddivisione dell'intera penisola e questa divisione non sia realmente assoluta, pure, giova moltissimo conservare quelle denominazioni e quella divisione della estrema parlo «Iella Venezia-Giulia in Istria bianca, in Istria gialla ed in Istria i-ossa, per la tinta diversa che presentano appunto le tre zone in cui puossi separare molto naturalmente tutta l'Istria. Ilo detto che realmente quella spartizione non ò assoluta, lasciando come si vedrà in seguilo degli addentellati Ira l'ima e l'altra delle tre regioni, che, ammettendo una litologia speciale, sarebbero: 1° V altipiano calcare, dal torrente Rosa udrà alla punta di Fiauona, col gruppo del M. Maggiore, il punto più elevalo dell'altipiano della penisola istriana. 2W La zona, marno-arcnacea, dal golfo di Trieste al lago di Gepliano (Cepich degli al a vie dei tedeschi). 5° L'altipiano pure cilcare, ma ricoperto dalla terra rossi, che corno grande triangolo scaleno si distende dalla punta di Salvare al seno di Fianoua e alla punta di Fromi ntorc. Il primo altipiano calcare che raggiunge in media l'altezza di 800 m., è limitato verso la regione mediana da un ciglio generalmente dirupato, die mostra aflìoranti io testale degli strati : elevalo maggiormente torreggia sopra Pinguente, Rozzo ecc., e più a settentrione una parte di esso sj avvalla nella seconda regione meno elevala, avanzandosi in essa con alcuni speroni, i quali cor* rispondono ad altrettante rughe abbastanza pronunciale e continue, scorrenti para lei le lungo la porzione S. 0. dello slesso altipiano. I dossi si allineano lungo questo rugosità, elevandosi dai 100O ai 1200 m. e tra queste a libiamo depressioni che si sprofondano fino presso ai 400 m. Consta ili calcare cretaceo e di altro appartenerne all'eocene inferiore, che litologicamente parlando sono poco diversi, prevalendo il cretaceo nel gruppo del M. Maggiore, del M. Sissol e di altre elevazioni. Il cretaceo ha la potenza almeno di 300 m. e ciascuno degli strali ha in media quella di 0,00: varia questo calcare in colorilo dal bianco candido al grigio azzurrognolo, e viene adoperato come pietra da costruzione e da ornamentazione. Alla base del cretaceo il prof, Tarameli! trovò calcari breccia!i cloriliei e calcari a Neriree ed a denli di iHcnodus: nei piani mediani trovò frequenti le Caprina!lidi, abbastanza bene conservate, mentre nei piani superiori rinvenne in buon numero le Radiolid e le Sferuliti, più rare le Jppuriti, mancando le Ostree seghettate, che abbondano nell'Istria occidentale. La brevità del tempo concesso al bravo professore non permise a lui di visitare tulio e dli *ullo vedere: infalli presso Syfyiris (Sipar degli stranieri), al di là della punta di Salverò, io trovai colla bassa marea affiorare certi scogli, in forma di isolotti, pieni zeppi di Sfcrttliti, bizza-rumente ornale e disi bile dalla caratteristica -cresta cardinale e di Jladiolili di forma allungala, le quali o sono libere o molto faeilmcHle si possono isolare anche meccanica mente. Il calcare dell'eocene inferiore, colla probabile polenza di 236 m., che con costatile mantello ricopro il cn tacco, è litologicamente parlando quasi identico al cretaceo, lauto che Dell' altipiano del Carso e nelle isole del Quantaro e difficile distinguere l'uno dall'altro, quando manchino i fossili caratteristici. Il più bisso orizzonte eocenico della estrema parte della Venezia-Giulia ebbe dall'illustre ttót L S la che il nome di liùurnico. Esso si presenta a noi co" fauna di acqua dolce o salmastra, cioè con fauna coulinenlale o di estuario con Planorbis, con Melante e Valvole, con Nerince, fon sporangi di Ch'ira e persino con qualche Bulimus. E' questo 1' orizzonte importantissimo delle ligniti, elicsi presentano in mortissimi luoghi dell'Istria e, sebbene i filoni sieno quasi sempre poveri, dovunque si appalesi traccia si fanno scavi, confoiiali dalla richezza delle cave del Carpino di Albona, che ila tanto tempo sono coltivalo, che in media danno una produzione annua di 33 009 tonnellate di ollima lignite e dello quali già il sig. Cornalia diede interessantissimi ragguagli. Questa lignite passa ora anche in molte delle nostre più grosse città dell'Italia settentrionale e della media. Su questi bandii calcari, altri si coricano as* solulamcnte marini con polipai e con foramini-fcre: sono i calcari compiiti ili colon? grigiastro o bianco ad Alceoline, a Nummoliti, ad Orbitatiti, ad Q per culàie, [\\\[\ ancora appartenenti all'eocene inferiore. Benissimo osservò l'egregio prof, Tarà-melli die in questi strati si piuV distinguere una massa calcare, in cui avviene il passaggio dalla prevalenza delle A'reoline alla maggior copia delle Nummoliti, da una porzione sup ri ire, in cui si alternano i banchi marnosi coi piani calcari, scarsi ma non assolutamente privi di Al-veoline. In questa prima regione, che forma quel sistema collinesco che si dice Carso per antonomasia, si trovano dei lembi arenacei o marnosi, che costituiscono altrettante oasi, in mezzo a quella vasta estensione calcare, sulla quale in taluni punti non un solo filo d'acqua compare, non un prato e per grandissimi traili neppure una pianta. Fra questi lembi, che perfettamente smo paragonabili alla regione media, due maggiormente sono degni di rimarco, l'uno che cominciando ad oriento di Moggia si dirige a S. E., a mezzo ciglio del gradino calcare da S. Servolo a Lotiche, l'altro più esteso, ma egualmente diritto ed assolutamente isolalo, dal torrente Rosandra si dirige a S. E. secondo l'asse della catena. La regione mediana dell'Istria o zona marno-arenacea, che dal golfo di Trieste si dirige al lago di Cepliano, appartiene all'eocene medio. Le più antiche formazioni sono prevalentemente cai- rari, le più profonde ail A tv edina, (piiudi n SummolUi e ad Operculina le più vicine agi» strati superiori delle marne con cui anche alternano. Dove formano l'immediato mantello alle rocce cretacee, come lungo il Quieto ed i torrenti Battonega e Brazzana, sono discordanti. Seguono le marne, conosciute quasi dovunque col nome di Tassello, nelle quali è mollo se osservasi qualche impronta di fuco. Fanno seguito certi calcari arenacei o brccciali, ai quali corrispondono i più antichi fossili dell* eocene medio; fra lo bivalvi ricorderò la Penìa ed il Pecten, abbondantissimo; fra i gasteropodi il Trochtts, la Nerila ed il Ce-rithium; fra i cefalopodi duo Naulilus ed uo'4-turia; fra gli anellidi la Serpula spiritica, che compare per la prima volta; fra i crostacei il Cancer punctulatus; fra gli abbondantissimi echi-nidi il Conoclypus conoideus, \''Echino lampas a/finis ed il Prenastcr alpinus. 11 Conoclypus abbonda tanto in questa zona, sempre calcare, che si potrebbe dire la zona a Conoclypus. Sopra questi calcari seguono alcuni Ietti marnosi, alternali con conglomerati piuttosto sciolti e ricchi di cchinidi. Più sopra, le marne si fanno spoglie di organismi, va mancando il carbonato calcico, divengono azzurrognole ed acquistano potenza ragguardevole. Superiormente agli strali di calcare breccialo, che alternano con altri marnosi o marnoarenaeei, si presentano in molli punti strati di arenarie micacee, chiamate masegno e che corrispondono perfettamente al macigno dell' A pennino toscano e bolognese. La complessiva potenza delta formazione mamo« arenacea, misurata dall'affloramento calcare d'Isola al monte di l'animano e dal calcare analogo di Pedona alla vetta presso Gallignana, risulterebbe di 400 in. in media. In questa regione mediana, una striscia di suolo calcare si distende dal Carso di Baie sin presso Phigucnle e Rozzo, dove si riunisce all'altipiano della prima regione. In questa zona mallo profonde presentatisi le erosioni ed in non pochi punti la rapina delle onde marine ridusse quelle rocce credibilissime a picco, come possiamo osservare a Punta Grossa e a Punta Sottili'., fra Trieste e Capodistria, per non parlare di altri luoghi. Il seno di Pi rano e quello d'Isola accennano ad una profonda erosione arenareo-marnosa. Quest'ultimo seno, da punta S. Marco a punta di Ronco, costituisce l'amenissimo ed ubertoso antiteatro coliiuesco d'Isola, che è un vero paradiso lerrcslrc. Quivi l'erosione fu cosi profonda nella serie arenaceo -marnosa da mettere a nudo la inferiore formazione calcare, su cui sta la pittoresca cittadella, che mi die i natali. Questa formazione calcare, che appartiene per la massima parte alla zona denominata a Gonoclypus, affiora non solo albi base del paese, ma s'eleva maggiormente allo scoglio su cui sta la chiesetta ili S. Pietro; affiora ad Est della ciltà fra il 2" e il 3° ponle della bellissima strada, che Isola congiunge a Capodistria, nonché ad Ovest alla chiesa di S. Rocco fino a S. Simone ed in inoli issimi punti della balse dell'anfiteatro summenziouato, camminando a monio. Olire i Conoclypus, numerosissime sono le Aloeoline, le Mammoli! i, i Pecten, le Orbitanti e le Operculine il I diametro anche di 2."» nun.; non mancano le Tenebratale, le Ancillarie nò l'Acleonella gigantea d'Orbi gny assieme ad altri fossili da me raccolti, ma pur troppo non ancora determinali. Ai voti falli dal valente prof. Tarameli!, aggiungo i miei, perdio tulli quegli egregi che si dilettano di sludi di scienze naturali concorrano a riunire in un Musèo paleontologico istriano nella superba Trieste, capitale della sventurata penisola, lutti i fossili raccolti, ritenendo per fermo che fra le regioni italiche poche in Europa potrebbero essere rappresentato da pari abbondanza di fossili eocenici, parecchi dei quali nuovissimi e per lo meno spettanti a periodo geologico molto interessante. La terza regione, che comprende Valtipiano calcare dell'latria occidentale e meridionale, e che confina col mare da una parie e colla zona arenaceo-marnosa dall'altra, è costituita da suolo calcare, ricoperto da uno strato di terra rossa: farma on altipiano che dolcemente si eleva sul livello del mare fino a circa 550 ni. e che po-irebbesi dividere in 4- porzioni, «Ielle quali testualmente riporlo qui i caratteri riassunti dal prof. Taramelli: « Abbiamo un altipiano legger-« menic ondulato, lentamente volgente verso il « mare, cribralo da un inliiiilo numero di cavità « imbutiformi, solcato da valli di erosione, che * hanno, almeno orograficamente, la loro origine « nella regione mediana arenaceo-marnosa, privo « di idrografia superficiale, di ossatura pretta -« mente calcare e coperto da un mantello più o « o meno potente, più o meno continuo di terra ■ rossa. Nella parte meridionale dell'altipiano, il « Carso di Albona, e nella parte settentrionale, « quello di Buie presentano poi lembi del terreno « arenaceo-marnoso, che in origine doveva rico-« prire tutto l'altipiano calcare. » Non entrerò a parlare della terra rossa, ma osserverò che altra particolarità di questo altipiano si è la esistenza di arnioni irregolari di quarzo paloerulenlo, chiamato localmente sa/dame, associato con quarzo leggero o geiserite, nella roccia calcare, senza che questa presenti al loro contatto alcuna sensibile modificazione. Questa sostanza fornisce la materia prima alle fabbriche di conteric di Venezia e serve egregiamente a pulire le irrugginile armi sotterrale. Con quegli brevi cenni geologici sulla penisola istriana si unisce il fenomeno delle Ionie oscillazioni del suolo. Si sa che la superfìcie della nostra terra è a-nimala da movimenti, che possono essere istantanei o rapidissimi, oppure lenti e lungamente continuali. Per causa dei terremoti la superficie del nostro pianeta non può dirsi un solo istante in perfetta quiete: in virtù dello oscillazioni lente del suolo il fondo dell'oceano s'innalza per diventare terra emersa, i piani si sollevano per divenire monti, le isole s' uniscono ed ingrandiscono i contiuenli, oppure le icrrc si abbassano, s'impiccoliscono, si adimauo sempre più, scompaiono nei flutti, la penisola si converte in isola, l'isola si divide in un arcipelago di isolotti, che possono anche scomparire nelle onde del mare. In generale possiamo dire che la superficie del nostro pianeta, qua va soggetta ad oscillazioni di sollevamento, là ad oscillazioni di abbassamento, oscillazioni lente del suolo, che l'illustre prof. A. Issel nella sua recente opera pregevolissima (Le oscillazioni lente del suolo, ecc. Genova 1883) chiama col nome di bradisismi. Per riguardo ai bradisismi devo osservare che la provincia istriana una volta col suo lido si estendeva nel mare assai più che al presente, perchè dove 1' onda lambe la spiaggia esistono tuttora i ruderi di numerose ville romane e di ricchi palazzi, che, quali collane di perle, cingevano la penisola nei tempi antichi e quindi in quelli di Roma, specchiandosi nell'Adriatico. Anche a Trieste non mancano esempi, come osserva benissimo il mio egregio amico professor Issel (Pag. 273, opera citata), di antichi pavimenti e d'altri avanzi discesi sotto il livello del mare. Così fra Salvore ed Umago i ruderi di Sybaris (Sipar d. s.), città romana distrutta dai pirati nareulani, si vedono iu parte sommersi. L'isola di Cissa presso Rovigno, sulla quale era collocata l'antica città di questo nome, va lentamente sprofondandosi: ivi quando le acque sono calme, vedonsi nel fondo del mare edifizi in rovina, così altrove nel fondo di alcune baie. In generale sulla costa della penisola istriana, che va dovunque adunandosi, i segni del bradisismo s'incontrano in ogni punto evidenti, 1 lavori già citali del doli. Stadie hanno dimostrato che le isole del Quarnaro rappresentano un prolungamento parzialmente sommerso della penisola istriana. Ecco le parole del dotto straniero: « Così la larga, ondulata isola di Veglia, che, col suo punto culminante, non attinge che un' altezza di 1700 piedi, può considerarsi come una continuazione del distretto del Recca e della parte media e più orientale del pianoro cretaceo della Ciceria che si allarga considerevolmente verso Castua, ed in pari tempo si abbassa verso il mare, finché cingendo co' suoi strali ondulali il golfo di Fiume, si tuffa totalmente sotto le onde marine; così l'isola di Cherso colle sue ripide sponde rocciose e col monte Sis che s'estolle a ben 2017 piedi, non è altro che la diramazione rivolta verso S. E. del rilievo occidentale dei monti cretacei del paese dei Cici, che al monte Maggiore superano i 4000 piedi, divisa unicamente dalla profonda spaccatura del canale di Farasina; così il lungo e stretto dorso dell'isola di Lussino in unione ai piccoli scogli e isole di Unie, Ganidole, Oriule e S. Pietro de' Nembi, aggruppale a lei d'intorno quasi trabanti, e che devono venir congiunti col tratto montuoso dell'iena che è incoronato dal monte Golii e diviso dal canale dell'Arsa, proleudcsi io mare colla Punta Nera verso Lussino. » L'esame dei materiali che costituiscono il fondo del Quarnaro, dice l'egregio prof. Issel, avea già condotto il Lorenz ad ammettere l'antica unione delle isole di quel golfo colla terraferma. Anche pel prof. Taramelli le isole del Quarnaro non sono che resti di una terra sommersa per effetto di un abbassamento postglaciale, la cui ampiezza non avrebbe raggiunto i 400 metri. Prove di tal movimento si avrebbero nella profondità grande che incontrasi alla foce di vari fiumi, per esempio àeìì'Àtìis nel porto di Grado, dello Stella in quello di Signano, nella deficienza di terreni neogenici marini in tutto il Friuli. orientale, nel poco sviluppo delle alluvioni di spiaggia e nella mancanza di valli di primo ordine. « La regione istriana, egli scrive, dovea trovarsi nel pliocene antico assai più elevata, mentre in essa si accumulavano le deiezioni fluviali, che sono attestate dalle valli che incidono quegli altipiani e mettono assai spesso capo a degli slretissimi f/jords prealpini, cui una ben diversa vicenda geologica, in confronto coi fijords pliocenici lombardi, mantenne la comunicazione col mare. Nel periodo glaciale (astiano c saariano partim) una serie di scuotimenti sismici sollevò, col sistema alpino centrale le Gamiche e le Giulie settentrionali, mentre scesero le Giulie meridionali a sud di Vippacco e le Dinariche. » D'altronde, lungo le coste dell' Istria, come ho brevemente accennato di sopra non mancano traccie di arresti e retrocessioni nel movimento del suolo. Lo stesso prof. Taramelli si esprime in proposito nei seguenti termini: « Come è noto, egli è in questa punta dell'Istria (a Salvorc) che irovansi i deposili più considerevoli di terra rossa che raggiungono non di rado 7 o 8 m. di spessore. Presso al mare, tali depositi ci presentano bellissimi spaccati, i quali ci danno agio di studiare le oscillazioni subite da questa regione. Specialmente istruttivo mi sembra il deposito che sten-desi a semicerchio intorno al tranquillo seno di mare delto Val di piano. Qui noi vediamo, ad un metro circa sopra l'odierno livello della sponda, una striscia di ciottoli e di conchiglie marine viventi indicare l'allineamento dell'antico lido. Vi segue quindi un tratto di 4-0 o 70 centimetri di terra rossa, sulla quale troviamo una nuova linea di ciottoli e di testacei marini, ricoperta dalle recenti alluvioni di vario spessore. Egli è dunque evidente che il suolo ha qui subito due oscillazioni ascendenti più o meno rapide, prima di andar soggetto all'abbassamento progressivo tuttora perdurante, di cui la stessa costa da Saluore fino ad (Imago ci olire prove sì eloquenti ne' suo molli fabbricati romani parzialmente o totalmente sommersi, sui quali mi riserbo di parlare più dettagliatamente in un altro lavoro sulle antichità di Sybaris (Sipar d. s.) e del suo territorio. Un deposilo analogo di conchiglie marine venne ritrovalo dal doti. Stadie a 30-00 cent, sopra il livello del mare innicchiato nella terra rossa a Promoutore (Verg, Geol. Reichsanst. 1872, pag. 221.) » L'ottimo mio amico doltor Marchesetli di Trieste pone in chiaro, da canto suo, che l'isoletla di Sansego, la quale risulta esclusivamente di sali- l>ia finissima silicea e calcare, con spoglie di molluschi terrestri, non è altro che il residuo d'un deposito d'acqua dolce, formato da un fiume ora scomparso sotto il livello del mare. Egli ricorda opportunamente, nella medesima occasione il fallo del piccolo scoglio Silo, situato presso la punta meridionale di Canidole Piccola, il quale benché misuri pochi metri di superficie e giaccia a fior d'acqua, sotto il livello dell'alta marea, ricetla tuttavia una breccia ossifera con avanzi di grossi ruminanti (Cenni geologici sull'isola di Sansego, Bollettino detla Società adriatica di Scienze Naturali, VII, 4882, Trieste). N on posso chiudere i presenti cenni sulla penisola istriana senza spendere una parola sopra argomenlo «die mi porterebbe sul terreno della politica per ignes cincri suppositos, se non mi fossi imposto di tenerla fuori nel mio povero lavoro inspiratomi solo da caldo e sentito amor di patria. Dunque ciò che segue ho aggiunto allo scopo di provocare sludi sciolti di ogni carattere ollicialc sulle condizioni e sugli interessi d'Italia sotto tale riguardo e che neppure scrupoli di convenienza possono interdire. Ma perchè forse a me in questione urenle non scappi verbo, che possa urtare la susceltivilà di alcuno, sono lidissimo di cedere ancora una volta la parola al mio illustre maestro Combi, ri- portando in proposilo le testuali parole elio si trovano negli A Ili del R. Istituto Veneto di Scienze, Lellcre ed Arti (Voi, IV, serie V). Eccole: « Sarebbe invero, a dir poco, pretensione ridicola .-quella di volere die la nostra nazione non solo tolleri pazientemente i suni danni, come fa con mansuetudine più. presto unica che rara, non solo desideri pace ed accordo contro il comune pericolo con quegli s lessi che la costringono a subirli, ma si astenga perfino da qualunque allo che possa condurre a vederli. Pur troppo, dal vedere al provvedere non è sempre nò breve uè piana la via, e ad ogni modo noi qui non si mette piede in essa, nò io mi rivolgo a quelli i quali, così piacendo al cielo, potrebbero percorrerla. Che se poi il conoscere è condizione e può essere avviamento al fare, perdio pone in grado di vigilarne e coglierne le occasioni, ciò spella a quell'ordine naturale di cui nessuno ha ragione di richiamarsi. Con quésta premessa, affermo, appoggialo alle autorilà più competenli, che dai piani del Friuli al capo di S. Maria di Lcuca è sguernito di ogni valida difesa tutto ii fianco orientali! dd nostro Regno, e che va ben deplorato un assetto per cui dei due Slati, fra cui si addentra l'Adriatico, l'uno vi abbia ogni potere e punto l'altro, quello stringa ogni mezzo di offesa e questo sia privo invece anche della più necessaria difesa. Ed invero, il confine che abbiamo nel Friuli corre per gran parte in aperta campagna al di qua dello stesso Isonzo e sotto il cannone di chi occupa i contea flori i «Ielle Giulie. Tutti e tre i varchi di questa nostra cinta alpina (Picio, Po-sloina (Poslumia) e Ciana) sono in potere altrui. Senza l'Alpe Giulia pertanto, senza l'Istria, ch'è campo mirabilmente chiuso dalla natura di contro alle vie d'olu-emonle, molo d'approdo proteso verso Venezia quasi a formarlo di quell'ultimo seno dell'Adriatico il suo gran porto esteriore, e perciò lesta di ponte e complemento della sua fortezza, — lutto il Veneto è scoperto tino all'Adige e al Po e deve essere considerato nei riguardi militari, giusta una celebre frase, nulla più che un'anticamera d'Italia senza imposte nè d'usci nè di finestre. « Nè meno infelice è la nostra posizione sull'Adriatico. Il nostro litorale (per usare le parole del Menis, che trovano piena conferma negli scrini del Paleocapa e del Wùllerslorf) è basso, piano, sabbioso, senza sviluppo d'insenature, con rade mal sicure ed ancoraggi pochi ed infidi, incerto, instabile, profondamente corroso e smarginato da gran copia di fiumi, di canali, di stagni, nonché esposto ai venti levantini che ne contrastano la navigazione. — Tralasciando di avvertire i gravissimi danni che ne derivano a molteplici interessi della stessa navigazione commerciale per noi che non occupiamo nel-I' Adriatico il benché minimo tratto della sua costa di levante, alla quale pur si deve poggiare indeclinabilmente, qui mi limilo a notare, che non «in solo vero porto di guerra si apre nel nostro lido. Venezia medesima, la quale non ha pel grosso naviglio che una sola e non facile bocca, vale a dire il canale di Malamocco, non e perciò propriamente che un arsenale militare, come ben lo riconobbe anche la Repubblica, lenendo sempre nei porti di Pola e del Quieto le sue triremi alla guardia del golfo. E basta, cerio, porsi sotl'occhio questi fatti per vedere, che, non potendosi difendere efficacemente un lungo litorale che mediante una flotta, nè destinare flotta a tal fine senza un vero porto di guerra, il quale le serva di base d'operazione, da cui muovere e dove prendere rifugio agevolmente, la nostra frontiera marittima dell'Adria si giace inerme, sì che potrebbe essere aggredita e varcala in più punii ad un tempo nel giro di poche ore specialmente da chi lienc gli eccellenti porti del litorale opposto. Quello che da tutto ciò consegue riguardo all'inapprezzabile valore dell'Istria per le più imperiose ragioni della nostra sicurezza, e perchè Venezia non resti imprigionata nella sua laguna quasi naviglio in disarmo, non ho bisogno di dirlo, Se il buon senso non si slimasse abbastanza sicuro delle sue conclusioni, verrebbe a confermargliele ampiamente la scienza. A ricercarne i giudizi possono servire le indicazioni che si leggono in parecchi lavori, che trattarono la causa istriana. (Qui segue la serie immensa di lavori all'uopo).... La sintesi poi di tulli i ragionamenti sta in una memorabile sentenza proferita dal più gran capitano dell'età moderna. L'Alpe Giulia, diss'egli, è compimento del Regno d'Italia; — perchè que- non s'abbia il nemico in casa, la linea dell'Adige va j> ir tata a quei monti, à l' I strie, qui l'empori, par la conoenance et l'i valeur intrin-sèque, de bcaucoup sur la Lombardie. Ed ora prima di finire, ima parola, a chi mi legge per spiegare la ragione dei cenni suP'fstrìa, che per diversi giorni occuparono le colonne del giornale La Sardegna. Una voce ingenerosa si alzò nel santuario di Temi contro povere terre italiane............ All'inverecondo insulto, slanciato in un tempio sacro a giustizia anche contro un biondo giovinetto, che, oggi compie l'anno, mori col nome dell'Italia sua, dell'Italia nostra sulle labbra, placata l'ombra santa di Andrea Vochieri, credetti compilo patrio all' atroce ingiuria della sciagurata requisitoria, falla non so se con minore buona fede o con maggiore ignoranza, contro la nostra geografìa, la nostra storia, il patriottismo di Trieste e di Iulta ia penisola istriana, rispondere con semplici documenti traili dalla sloria degli uomini e da quella della nalura. Ecco la causa degli scrini, cui con tanta cortesia la Direzione della Sardegna diede ospitalità nel suo pregiato giornale. Io non so quanto mi sia riuscito a dimostrare, che la penisola istriana sempre volle e sempre seppe mantenersi italiana, sì da sfidare i più ri- gidi censori a trovare per lei una sola macchia per fede mancala all'India. Questo però so e mi conforta grandemente, che quelle ingiurie proferite da un magistrato hanno provocato una indignazione generale non solo nella generosa Sardegna, ma anche in tulla Italia, avendo avolo tutta la slampa onesla parole di simpatia pei poveri esuli e parole acerbe contro chi, tenendo nelle vene linfa non italiana, pronunziava quelle bestemmie. Ripeterò col grande Ellero che « è un giusto varilo del secolo quel possente accordo di voci intime e comuni, cui si denomina opinione popolare; e che sollevandosi accusatore e vindice de' torli infrange ceppi e spade, come suono d'angelica tromba (La tirannide borghese, pag. 3,y«.-5). » Ringrazio commosso tulli i gentili, tulli i buoni, sia dell'isola che del continente, che con indirizzi, con lettere, con cartoline, con semplici biglietti di visita vollero protestare conico la causa della giustizia offesa per parte di chi ha smarrito le traccie del pensiero e del sentimento nazionale, mostrando d'altra parte simpatia per la terra benedetta delio Giulie : speciale ringraziamento si abbiano questa consociazione operaia e gli studenti liceali, che con generose parole vennero in soccorso degli esuli. Solo sentimento di carità di patria, che non si tracanna alla saluto di nessuno, mi fa t 1 '" quegli indirizzi di all'etto e di protesta, assiema ai commoventissimi patriottici, virili versi, a me inviati in due riprese dalla gentildonna, che Sas- sari può andar superba di avere fra le sue mura. Proleslo poi altamente contro le perfide insinuazioni che si fecero in questa occasione e contro la viltà delle intimidazioni. Ma perchè anche i poveri possano benedire gli sconsigliali, che non lasciano morire la patria, destino che gli estrani dei presenti cenni, detratte le spese di slampa, sieno venduti a beneficio del Ricovero di Mendicità. Sassari, 20 Dicembre 188}, 0Ì PRJ3ZZO 3U 0560