ANNALES · Ser. hist. nat. · 21 · 2011 · 2 209 DELO NAŠIH DRUŠTEV, 207–210 The seasonality of records shows an increase in their occurrence during winter months. Judging from the last confirmed record of this shark in Marmaric waters (in year 1985), the species was present in this sea until the last quarter of the 20th century. The occurrences as well as captures of great white sharks are closely asso- ciated with pelagic fishery, especially with hand-lining of the bluefin tuna. As “Samatyalı” İrfan stated several times during the interview, it was just a matter of luck a hooked bluefin tuna being seized by a great white shark. “We couldn’t see it; all we knew was that the monster was circling around the boat beneath the waves. When it seized the tuna, the blue water suddenly turned red and we could only get a big head on the hook.” Years after, the memory of the great white shark, the so-called monster of the Bosphorus, is still clear in his mind. The occurrence of C. carcharias in Marmaric waters was the consequence of its coexistence with the blue- fin tuna. Lives of the titans of the sea were intertwined. However, bluefin tunas, one of the great white shark’s main preys, are known to have been absent from the Sea of Marmara since the late 1980s. Thus, hand-lining of this large pelagic bony fish in Marmaric and Bosphoric waters has been abandoned for at least 25 years. The available data suggest that great white sharks no longer occur in the Sea of Marmara. When the bluefin tuna be- came extinct in this sea, the great white shark followed it. Today, C. carcharias seems to be extinct from the Sea of Marmara; however, recent studies show that the great white shark still occurs in Aegean waters of Turkey. In order to promote the survival of this vulnerable shark off the Turkish Aegean coasts, we should learn our lesson from the story of the extinction of the great white shark from Marmaric waters. Hakan Kabasakal & Özgür Kabasakal Ichthyological Research Society, İstanbul, Turkey AUGURI MIRAMARE Venticinque anni fa un decreto istitutivo faceva na- scere la Riserva Naturale Marina di Miramare. In realtà ben 13 anni prima un’associazione tra alcuni appassio- nati naturalisti ed un gruppo di attivisti del WWF locale creavano quella che sarebbe stata una delle prime riser- ve del Mediterraneo seguendo la nascita di Port-Cros in Francia. Nel 1986 quindi Miramare diventa una riserva dello stato italiano, primo passo verso quello che la leg- ge di tutela del mare definiva “Parco Marino del Golfo di Trieste”, rimasto ad oggi sulla carta. Miramare quindi ancor oggi rimane uno dei pochi esempi italiani di gestione della costa e di studio di am- bienti nei quali le attività vengono regolamentate e svi- luppate con un impatto minimo e nella valorizzazione delle risorse biologiche. Venticinque anni fanno pensare che oramai i bam- bini che per primi hanno frequentato le prime attività didattiche sono diventati gli adulti di oggi e, sebbene gli ultimi tempi non siano segnati da particolari trend po- sitivi in fatto di rispetto dei beni ambientali, a giudicare dal continuo attacco insensato alle nostre aree naturali, al consumo delle risorse, rappresentano il risultato del messaggio che in questi anni è uscito dalle realtà come Miramare che via via sono nate nel golfo di Trieste. As- sieme probabilmente hanno contribuito con le attività di conservazione a trasformarlo da messaggio astratto, magari patrimonio di pochi, in uno più concreto legato alla qualità della vita, e, a giudicare dalle frequentazio- ni di questi luoghi, dalle richieste di attività nuove da parte delle famiglie, ma anche dal trend in salita delle vacanze sempre più contornate di natura, il messag- gio lasciato nelle bottiglie di 25 anni fa è giunto alla sua destinazione alle nuove famiglie di 25 anni dopo. Quindi, forse, meglio delle previsioni: un ambiente che esce dalle riserve, dalle oasi, dai parchi e diviene uno strumento dell’uomo per vivere meglio la sua vita. Un ambiente che non è lo zoo da andare a visitare lascian- do tutto il resto allo sviluppo smodato, ma una continua richiesta di averlo anche nelle città, nel lavoro etc... Le aree come quella di Miramare (così vicina alla città), diventano quindi delle zone in cui sperimentare nuove (nuove?) modalità di visita e di approccio con la natura, di collegamento con le aree urbane, di visita nei luoghi di vacanza, nei luoghi di svago. In 25 anni le aree come Miramare hanno contribuito a veicolare una sempre più alta pressione antropica, spesso inconsapevole dell’ef- fetto devastante che può provocare alla fragilità di certe zone così delicate e ricche di natura nello stesso tempo. La nascita di Miramare è coincisa con l’esplosione del turismo internazionale, il boom della subacquea e dei luoghi un tempo incontaminati. Da sempre Miramare ha voluto sperimentare modalità di visita legate ad im- patti sempre meno pesanti: quanti subacquei possono percorrere lo stesso itinerario senza distruggerlo? Quale addestramento devono avere le guide? Quali organismi sono i più vulnerabili e devono essere protetti? Sono sta- te le principali domande che ci hanno permesso tra l’al- tro di organizzare visite subacquee in zona A, definita area integrale. Visita quindi consentita, ma con accom- pagnatori addestrati ad orientare l’itinerario verso zone meno vulnerabili in caso di comportamenti impattanti da parte del gruppo. Miramare ha assistito a cambia- menti epocali: da un’immersione dedicata alla caccia subacquea come avveniva nei primi anni ‘80, a quella ANNALES · Ser. hist. nat. · 21 · 2011 · 2 210 per scattare una buona foto, girare un video, appassio- narsi ai corsi di biologia marina. Poi a un’immersione fatta da perfetti subacquei con autorespiratore vestiti di tutto punto si è passati ad entusiasti seawatchers con pinne, mutino e maschera, spesso con macchina digita- le, spesso accompagnati da figli o ancora più spesso figli che portavano genitori. Da rare, rarissime immersioni in seawatching durante le settimane estive, si è passati a corsetti per ragazzi. Attività in trasformazione che in pochi anni hanno diversificato il numero delle presen- ze: da una maggioranza di subacquei in gruppi (1500 sub, 200 seawatching) si è passati ad una prevalenza di seawatchers (500 sub, 1800 seawatching), quindi di esploratori anche di altri luoghi di vacanze con pinne e maschere. Miramare però è anche una riserva che ha proposto nuove modalità per affrontare le classiche conflittualità tra conservazione e sfruttamento delle risorse: il proble- ma della pesca professionale ha visto per la prima volta forse il pescatore come una specie in via di estinzione assieme ad una pesca svolta a ridosso dei confini (se non all’interno) che con l’uso delle lampare ad esem- pio, provocava grossi problemi anche alle specie non commerciali. Situazioni sgradevoli in quanto le specie pescate non si trovavano attorno al promontorio, ma decine di imbarcazioni da pesca a ridosso dei confini illuminati tutta la notte provocavano l’uscita ed il di- sturbo di quelle residenti. Il problema è stato elimina- to con la creazione di una zona buffer con ordinanza della Capitaneria di Porto che si è andata a sommare alla tutela del decreto. La pesca non veniva abolita, ma regolamentata mediante modalità di turnazione, limiti alle calate e controllo del pescato, prevalentemente la Mormora. Con questa importante aggiunta, Miramare nel 1995 passava dai 30 ettari a 120 ettari di acqua pro- tetta attorno al Promontorio, con le lampare finalmente al di fuori dell’area protetta avendo tra l’altro, imparato dal biologo a bordo che i pesci arrivavano da fuori nella zona di Miramare e che in certe stagioni bastava aspet- tarle al largo prima che giungessero nell’area. Pescatori che imparano a gestire in maniera nuova una risorsa, una risorsa di tutti che va mantenuta tale. In questi 25 anni quindi probabilmente capiscono che non sono gli unici che dipendono dalle risorse marine, e che ci sono anche altri professionisti che dipendono dalla stessa ri- sorsa, che vivono peraltro senza distruggerla. A Miramare le risorse biologiche sono un patrimo- nio che attira turisti: il biglietto e le peculiarità vengono costantemente monitorate e quantificate. Se ad esempio un pescatore irresponsabile catturasse le corvine (Corvi- na nigra) presenti lungo l’itinerario subacqueo, avrebbe guadagnato 300-350 € (una tantum). Per Miramare con- siderando chi viene a vederle e fotografarle, si parla di 6000 €/anno (ogni anno) solo come percentuale di pre- ferenza nei turisti subacquei paganti. In 25 anni fanno 150.000 € di contributo che questa specie dà alla sua stessa tutela! Non è scorretto parlare in natura anche di economia, uno dei progressi forse in 25 anni è stato quello di rendere la conservazione più vicina ai proble- mi e alle necessità di un territorio: non più come fine ultimo una conservazione arrabbiata con uno sviluppo stupido e fuori tempo (che fortunatamante rimane nella nostra cultura), ma una obiettiva contrapposizione ed esposizione di alternative nel turismo, nella valorizza- zione delle attrattive che creano nuove economie, nella pesca che valorizza il prodotto, nella ricerca scientifica fuori dai laboratori e con tempistiche adeguate alle do- mande di chi amministra il territorio. In questo ha trova- to una forte corrispondenza con il NIB - Stazione di Bio- logia Marina di Pirano e le sue attività di monitoraggio con cui vengono seguite le dinamiche delle risorse bio- logiche marine, in particolare in un unico sistema che include oltre a Miramare le riserve gemellate di Strunjan e Punta Madonna. O ancora OGS - Oceanografia chi- mica fisica biologica di Aurisina, ideale continuazione del lavoro e delle attività scientifiche della Stazione Zoologica di Trieste, nata ancora sotto l’impero Austro- Ungarico alla quale anche i ricercatori di Miramare fanno riferimento ed interessanti confronti. In un quarto di secolo, così come avvenuto spesso in queste zone, i confini di terra hanno cercato di confondere quello che avveniva in mare. Infatti, le risorse del mare non vedono i limiti dell’uomo sia che si tratti dei confini delle aree protette sia degli stati nazionali. I limiti li mettono la natura ed i cambiamenti che indubbiamente in questo periodo si sono verificati. Ad esempio il calo delle spe- cie “più fredde” come Fucus virsoides alga bruna ricor- data per il tallo vescicoloso che un tempo caratterizzava questo mare come il più “atlantico” ed aumento gra- duale delle specie “calde” che con frequenza crescente sono entrate nel golfo di Trieste ed ora lo rendono lenta- mente più Mediterraneo di un tempo. Venticinque anni che permetterebbero dei bilanci soddisfacenti soltanto a considerare la compagine (anche lavorativa) che ha deciso di crescere, condividere e dedicare la vita profes- sionale a questa strana attività. Va detto che un quarto di secolo fa questo non esisteva ed ora si può anche apprezzare una certa continuità, almeno nelle risposte delle nuove leve, sebbene l’incertezza finanziaria e le convinzioni delle amministrazioni riescano sempre a ri- portare all’imponderabile dei primi anni in una sorta di non voluto processo di ringiovanimento, almeno negli stati d’animo. Ma va bene così, anche se potrebbe an- dare meglio! Tanti auguri Miramare, sperando di non vederti in- vecchiare noiosa e brontolona con lo sguardo indietro nel tuo ormai onorevole passato in una imitazione e ri- petizione di te stessa. Meglio vederti in giro per il Me- diterraneo a riprodurti e riconoscerti giovane in tante piccole realtà ed attività, ancora meglio fuori dai confini delle aree marine protette nella vita e negli ambienti di tutti i giorni. Roberto Odorico DELO NAŠIH DRUŠTEV, 207–210