QUESTIONI DI MITOLOGIA SLAVA Evel Gasparini 5. II Dio celeste oědoso Nelle culture agrarie, siprovviiste di sacerdozio organizzato, la nOizione di un Dio' celeste e di un Esseire supremo non si mantiene, ma si oontamina e si oscura fimo alla spariizione. Negli stessi anni in cui il Grafenauer si sforzava di risalire a questa antichissima nozione presso gli Slavii, partendo dal mito della pesca della terra, noii compivamo il medesimo tentativo (1950^—1951) fondandoci su un testo che non aveva certo l'antichitŕ etnologica di quelli del Trdina, ma offriva il vantaggio di non essere attinto al folkloTe, quindi di apparire piů autentico, e di risalire all'etŕ del paganesimo degli slavi occidentali. Si tratta di un passo noto, ma mai bene compresoi, di un cronista tedesco del XIP secolo, Helmold, missionario in terra slava. Lo ripor- tiamo in esteso: »Est autem Slaoěs multiplex ydolatriae modus, non enim omnes in eandem supersticionis consueiudinem consentěunt. Hii enim simulachrorum ymaginarias formas pretendunt de templis, Deluti Plunense ydolum, cui nomen Podaga, alii silvas vel lucos inhabitant, ut est Prove deus Alden- burg, quibus nulle [mille] sunt effigies expresse. Multos etiam duobus vel tribus vel eo amplius capitibus exsculpunt. Inter multiformia vero deorum numina, quibus arva, silvas, tristicias atque voluptates attribuunt, non diffitentur unum deum in celis ceteris imperitantem, illum prepotentem celestia tantum curare, hos vero distributis officiis obsequentes dč sangu- ine eius processisse et unumquemque eo prestantiore, quo proximiore Uli deo deorum«. (Helmoldi Chronicon Slavorum, MGH. SS. XXI, Hannover, 1869, 1, 83, p. 75, ed. Schorkel). Gli Slavi dunque »non negaivano« (non diffitentur) che esistesse »un solo Dio nei cieli« — unum deum in eoe lis — (Helmold doveva averli interrogati per ricevere questa risposta), ma questo Dio »aveva cura solo delle cose celesti« — coelestia tantum curare —, avendo distrihuito l'ufficio di governare il mondo a divinitŕ inferiori, da lui generate (hos verO' distributis officiis obsequentes de sanguine eius processisse). Helmold chiama questo Dio »prepotens« e »deus deorum«, ma non č un Dio> degli uomini: egli comanda alla gerarchia degli altri Dei (coeteris imperitans), e non ha nessun rapporto con la terra. 91 E-vel Gasparini Di dove puň aver tratto Helmold la nozione di questo »Dens otiosus« scoperto dalla moderna etnologia al principio del nostro secolo? Non certo dal cristianesimo perché il Dio cristiano interviene ad ogni passo della vita dell'uomo e si fa uomo egli stesso per redimerlo. Non vi č posto nel cristianesimo per un Dio remoto e rinunciatario, meno che in qualsiasi altra religione, nč nel Vecchio nč nel Nuovo Testamento. Non si puň, anzi, immaginare concetto pili estraneo alla religione cristiana di quella di un Dio inattivo, che ignora la legge morale e la terra e che, come un vecchio debilitato dagli anni, si sgrava della responsabilitŕ del governo del mondo affidandolo ai propri di- scendenti. I profeti. Cristo, la Vergine e i santi possono vagamente ricordare questi nuovi interpreti e intermediari del Dio primitivo, ma č assurdo immaginare che degli Slavi pagani abbiano tratto questa stravagante nozione dal cristianesimo. Ci voleva l'angustia mentale e la mancanza di riguardo per i fatti religiosi di un Brückner e di un Niederle per crederlo e per farlo credere dopo di loro. L'allontana- mento del Dio celeste, descritto da Helmold, č uno sviluppo ben noto nella storia delle religioni, e non ha nulla a vedere col cristianesimo. Ma il Dio celeste di Helmold non č nemmeno il Dio celeste indo- europeo poiché dovunque questo Dio-cielo si č mantenuto nelle reli- gioni antiche, esso impugna la folgore che scaglia sulla terra, č esigente, tempestoso e venerato in culti pubblici e statali. Zeus-Juppiter č divi- nitŕ di alta e severa moralitŕ, garante di giustizia, custode dell'ordine del mondo e, a Roma, anche dell'ordine dello stato, d'onde gli epiteti di »Dens Optimus Maximus« perpetuati dall'epigrafia cristiana nella dedica delle chiese. Noi ritroviamo invece il Dio inetto di Helmold in Europa orientale e in Eurasia, prima di tutto proprio presso i Mordvini, e in una forma che sembra calcare le parole della definizione di Helmold. Secondo rarchimandrita Macario, i Mordvini «assicurano (Helmold: non dif- f itentur) che otšu škaj abita in cielo (Helmold : in coelis) e regna solo nel cielo (Helmold: coelestia tantum curare). Egli ha lasciato il dominio del mondo materiale ad altre divinitŕ inferiori (Helmold: distri'butis officiiis . . .)«^^ Belorussi. Ucraini e Polacchi conservano fimo ai nostri giorni la noizione di questo Dio »lontano« e »alto« che non presta ascolto alle preghiere degli sventurati: — »Do Boga vysoko, a do carja daleko« — Dio č troppo in alto e lo zar tropipo' lontano! — esclama chi dispera di trovare giustizia."^ — »Otec mati gluboko, a Pan Bog daleko« — padre e madre sono sepolti e il Signore Iddio č lontano« — piange l'orfana " »Sie versicherten, dass otšu škaj im Himmel wohne und nur über den Himmel herrsche. Die Herrschaft über die materielle Welt habe er anderen, niederen Göttern überlassen« — U. Harva, Die relig. Vorstel- lungen der Mordwinen, FFC, 142, 1932, p. 150. «M. I. N o s o v i C, Sbornik belorusskich poslovic, ZGO OE, T. L 1867, p. 262, anche in forma piů semplice: — »Bog vysoko, a car daleko« — 92 Questioni di mitologia slava Uicraina senza iprotezione."^ — »Gospod Bog vysoika a neljub daleka« — il Signore Iddio č in alto e il marito lontano« — si lagna la sposa belorussa abbandonala.^* La medesima lagnanza suona nella Polonia' occidentale: — »Pan mój daleko, Pan Bóg mój ¦svysoko« (Mio marito č lontano e il Signore Iddio in alto). Oppure: — »Król daleko, Pan Bóg wysoko« — (Il re č lontano e il Signore Iddio in alto). Cosě si esclama proverbialmente in Wielkopolska.^° In Bulgaria si racconta che Dio »osserva la condotta degli uomini, ma non viene piů sulla terra come faceva un tempo, perché incontrň allora degli uomini cattivi che lo percossero con delle scuri; quando gli uomini divennero peccatori, Dio lasciň la terra e sali nel cielo«.^^ La stessa vicenda č racoontata in Serbia.'" La distribuzione da parte di Dio del governo del mondo ai santi fa iparte delle tradizioni popolari serbe."** Da quando il popolo cominciň a bestemmiare. Dio si č trasportato in cielo lasciando la fol- gore al profeta Elia.''" Non deve essere stato difficile a Helmold, nella prima metŕ del XIP secolo, trovare presso gli Slavi occidentali questo Dio' ozioso che sopravvive ancora nelle locuzioni e tradizioni degli Slavi moderni, e i] fatto che nessun altro cronista e biografo di Ottone ne parli, dimo- stra che egli solo ha avuto lo scrupolo di ricercarlo. Presso i Mordvini Nišk'e-paz č pregato con le parole: »Tu che vivi in alto, guarda giů!« — Egli č cosě lontano che bisogna gridare tre volte per fargli pervenire la voce: »Nišk'e, Nišk'e, Nišk'e!« — Ed egli ris- ponde: »A, a, a!« — »Mi senti?« — domanda il sacrificatore. E il Dio risponde: »Ti sento, ti sento, ti sento!«^"" — Ma i Votjaki non sono altrettanto fiduciosi di essere uditi da lui. Secondo Gmelin, »peu s'en faut que les Votiakes ne isoient sans religion. Ils croient, il est vrai;, qu'il y a un Dieu, qu'ils nomment loumar, et qu'ils le placent dans le soleil, mais ils ne lui rendent aucuns honneurs«.'"^ Secondo Georgi tutti gli Dei dei Ceremissi provengono, come figli e parenti, da un unico Dio. Con Kece-kugu-juma, Sole-gra.nde-Iddio, si intende con perfetta chia- rezza (s polnym ponimaniem) un unico »juma«, cosa che ha indotto i "'A. P. Deško, Narod, pesni, poslovicv i pogovorki Ugorskoj Rusi, ZGO OE, T. I, 1867, p. 691. M. N. Kosic, Litviny-BeloTUsy Cernigovsko] gub., »Živst.« XI, 2, 1901, p. 23; v. anche II ' k e v i c . L e v i c k i, Poslovicv i pogovorki Galickoj i Ugor- skoj Rusi, ZGO OE. T. II. 1869, p. 233; D. T. B u 1 g a k o v s k i j, Pincuki. etnogr. sbornik. ZGO OE, T. XII, 3, 1890, p. 60. Fr. K r c e k, No\ve przvczvnki do drugiego ^^-vdania »Ksicgi przvslow« S. Adalberga, »Lud« XIIL 1907, pp. 151—152. I. D. K o w a t C h e f f . Bulgarische Volksglaube aus dem Gebiet der Himmelskunde, ZfE LXIII, 1931, p. 343; Moszviiski, Kultura ludowa, II, 1: pp. 704, 714. "" Milosavljevic, op. cit., p. 293. Cajkanovic, Razprave i gradja, SeZ L, 1934. p. 96. P. L. Petrovic. Život i obicaji nar. u Gruži, SeZ LVIII, 1948, p. 334. H a r w a , Mordwinen, pp. 149. 154^155. Gmelin, Voyage en Sibérie I, p. 52. 95 Evel Gasparini missionari a sostenere che i Cereimiissi hanno un concetto di mono- teismo/"^ Questo Dio unico mordvino era noto fin dai tempi di Olearius e di Yitsen Noort: »edinyj Bog, tvorec neba i zemli« — uit Dio unico, creatore del cielo e della terra.^^^ Secondo Bartenev, dalle risposte degli Ostjaki di Obdorsk, risulta che il loro Dio, Torym, č «estraneo a tutto ciň che č terrestre« e molto vicino »a una concezione monoteistica«.^"* I missionari russi hanno fatto presso i Mordvini, i Ceremissi e gli Ostjaki la niedesima esperienza di Helmold presso gli Slavi. Per i Mordvini mokša di Gorodišce (gov. di Perm) il Dio celeste non č in rapporto diretto con gli uomini, ma servito da dodici esseri buoni dai.quali conosce ciň che avviene sulla terra e per mezzo dei quali manda messaggi sulla terra.^"^ 11 ricco non prega Nišk'e-paz perché crede di non averne bisogno, e il povero perché si sente ignorato da lui.^"" Secondo Sebeok e Ingemann il Kuga Yum ceremisso č invocato come »Dio presso le nuvole« e »Dio del mondo«. ha moglie e figli, ma non č descritto ed č privo di caratteristiche.^"' Gli Zyrjani credono' che nel cielo vi siano Dei celesti, ma questi sono lontani dagli uomini. Piů vicino č lo spirito della foresta »vöree«, e quello del fiume »vasa«.^"^ II Dio celeste ugro-finno agisce sempre per mezzo di intermediari e non č rappresentato, mentre figurati sono gli spiriti ausiliari. La sua prin- cipale caratteristica pare essere la paissivitŕ e l'indifferenza. Il suo colore č il bianco.^"" Per il Georgi Votjaki, Ceremissi e Cuvassi «cre- dono anche in un Dio comune che č creatore di tutte le cose, tutto sa e puň, ma non si cura dei singoli atti deiruomo e nemmeno della direzione del mondo, avendo affidato il governo della sua opera a delle divinitŕ a lui subordinate. L'uomo non puň nč offenderlo, nč meritarsi il suo favore e Dio non puň nč punire, nč premiare l'uomo, per cui non č nč amato nč temuto«.^^° I Samojedi e gli Ostjaki ritengono vana fatica rivolgere preghiere al Dio celeste: «Questi Dei dimorano troppo lontano dai mortali; come č possibile che odano il grido dell'uomo?« — Gli indigeni della Siberia hanno sempre in bocca queste parole (Castrén, p. 194). Lo sciamano teme ^•^ Smirnov, Ceremisy, pp. 18t—185. Smirnov, IoAIE KU, T. XII, 4, 1895, p. 540, bibliografia. V. Bartenev, Pogrebal'nye obycai Obdorskich Ostjakov, »Zivst.« V, 1895, p. 490. "° Harva, Mordwinen, p. 519. 1"« P. K i r i 11 o v, Mordovskie nar. pesni, Moskva 1957, p. 22—25. Th. A. Sebeok and Fr. ]. I n g e m a n n , Studies in Cheremis, the Supernatural, Viking Found Pubi, in Anthropology, N" 22, New York 1956, pp. 65—67. Ž a ko v, Etnograficeskij ocerk Zyrjan. «Zivst.« XI, 1901, p. 17. "" L o t - F a 1 e k E., Les rites de chasse en Sibérie, Paris 1953, pp. 44, 46, 67, 79. J. G. Georgi, Beschreibung aller Nationen des russ. Reiches, p. 43„ in: M. A. Ca str en, Vorlesungen über finnische Mythologie, K. Ak. d. Wiss. S. Petersburg, 1853, p. 179—180. 94 Questioni di mitologia slava la collera di Num^" e non va a presentarsi a lui, ma gli invia un Tadébecjo, cioč uno spirito ausiliario (Castrén, 195). Il Num dei Samojedi č buono e sublime, ma č troppo elevato per rivolgere le sue cure ai mortali; egli riposa dopo aver dato la vita a tutti gli esseri e ha lasciato la cura del mondo ai »tadebzien«, esseri invisibili di cui, sono pieni il cielo e la terra. I »tadebzien« rappresentano il principio del male che si oppone a Num e sono favorevoli solo a chi venera le loro immagini e presenta loro offerte.Ostjaki e Voguli non si rivolgono con preghiere al Dio del cielo perché se lo rappresentano come troppo lontano e quindi irraggiungibile."^ I Samojedi Yurak non fanno idoli di Num, ma solo degli spiriti protettori; cosě i Tungusi del loro Boa.^^^ 11 Karjalainen nota che presso gli Ugri tutte le offerte sono fatte a spiriti, non a divinitŕ.^" Secondo Munkaosi il Dio celeste degli Ugri, l'ostjako Kvvores^^" ha un alto livello morale ed č un vero Dio al quale gli sciamani non osano rivolgersi. 11 Meuli, che lo considera come apparte- nente alle Grandkulturen artiche, osserva tuttavia che il suo carattere č di tenersi lontano dalla stirpe umana e di governarla per mezzo dei suoi figli.Questo Dio celeste ugro č il medesimo che ha ordinato a »Kors forum« di pescare la terra, circostanza importante per la natura celeste del Dio della pesca della terra finnico e slavo. Il Munkacsi ne fa una personificazione del cielo, ma secondo Karjalainen il cielo č solo il luogo della sua dimora. La stessa cosa osserva Harva del Dio celeste altaico e cinese.Di immagini e di culto manca il Dio celeste dei Votjaki dell'Ob' e dei Voguli."^ Varcati gli Urali e il grande corso delTOb, un grande Dio celeste, sublime e senza culto, compare presso le popolazioni di lingua turca: una progenie divina di figli e nipoti del Dio celeste, č nota ai Ku- mandini, ai Tartari Lebed, ai Jakuti e ai Mongoli.^^" In una leggenda jakuta il Dio celeste avrebbe detto degli uomini: »Quando io li ho fatti, ho detto loro: tornate indietro! Se essi si moltiplicano, facciano »Niim«, cielo, v. sogdiano »Nom« col medesimo significato. Donner Kai, La Sibérie, La vie en Sibérie, les temps anciens, Paris 1946, p. 97. "'^ G. S c h r e n k , Heise nach dem Nordosten des europäischen Russland, durch die Tundren der Samojeden zum arktischen Uralgebiet etc. im Jahre 1857, in M. A. Castrén, Kleine Schriften, K. Ak. d. Wiss. S. Petersburg, 1862. p. 142. S i r e 1 i u s , Herkunft der Finnen, p. 72 v. »Anthropos« XX, 1925, pp. 796—798. Castrén, Finn. Mythol., pp. 255, 255. E. G. Kar j alai n en. Die Religion der Yugra-Völker, FFC 44, 1921, pp. 3—5, 6, 279—280, 294. »Kwores«, supremo, originariamente aria, cielo, v. votjako »kvaz«, in Karjalainen, op. cit., pp. 250, 279—280. '"K. Meuli, Scythica, »Hermes« LxX, 2, 1955, p. 161 e Karjalainen, loc. cit. H a r V a , Altaisch. Völker, p. 147—148. Stesso, op. cit., p. 280. Stesso, op. cit., pp. 154, 162—165, 140—147. 95 Evel Gasparini pure, se muoiono, muoiano pure!«^^^ Secondo' Pian da Carpine, i Mon- goli »unum Deum credunt. . . non tamen orationibus vel laudibus aut rito aliquo ipsum colunt«.^^^ I paleoasiatici Kamcadali del Pacifico credono che Kukch viva con moglie e figli sulle vette dei vulcani, ma sia senza rapporto con gli uomini, per cui i Kamcadali gli rivolgono scarsa attenzione, mentre č molto venerato il Dio cattivo Sosoceek e gli spiriti dei boschi e delle acque. Sebbene l'unicitŕ del Dio celeste sia esiplicitamente dichiarata dai Mordvini, dai Ceremissi, dagli Ostjaki di Obdorsk e dai Mongoli di Pian da Carpine, in realtŕ la divinitŕ uranica dell'Eurasia č sempre accompagnata o sostituita (doipo il suo allointanamento) da altri Dei o Sipiriti. Solo gli Ugri e gli Uralici fanno una netta separazione tra l'Essere supremo celeste e i suoi intermediari. Non si puň dunque par- lare, in senso chiaro e assoluto, di un »Urmonotheismus« artico. E tut- tavia ' notevole l'opposizione dei Votjaki dell'Ob, degli Ugri in generale, .dei Samojedi Yurak e dei Tungusi a rappresentare in immagini il Dio celeste cioč ad attribuirgli tratti antropomorfi. Per quanto problematica possa sembrare a molti studiosi, l'unicitŕ del Dio celeste primitivo eurasico risulta nitida. Altrettanto chiaro č il suo primato sugli altri esseri sopranaturali, la sua dimora celeste e la sua inattivitŕ. Sono questi i quattro caratteri dell'Essere supremo H. Holmberg. Der Baum des Lebens, Annales Soc. sc. Fennicae, B XVII, 1922—1923, p. 116. G. P i a n d a C a r p i n e . Historia mongalorum, ed. Pullé. Firenze 1913, in, 1. K. Dilmar von. Reisen u. Aufenthalt in Kamtschatka in den Jahren 1831—1833, Historische Berichte nach den Tagebüchern, Beiträge zur Kenntnis d. russ. Reiches Bd. VII. S. Petersburg, 1890. p. 444, in S m i r n o v, loAIE Ku XI, 2, 1893, p. 209. Che, come indica il suo nome, questo Dio fosse in origine il cielo stesso (che sovrasta la terra, la illumina, tutto vede, parla con voce di tuono, ecc.) e che solo in seguito esso sia stato antropomorfizzato in una persona separata dal cielo e dimorante in esso, č l'evoluzione del concetto di Dio elaborata dal Pettazzoni contro padre Schmidt e la sua scuola (R. Pettazzoni. DIO, formazione e sviluppo del monoteismo nella storia deSle religioni, Bo- logna, 1922; stesso. Das Ende des Urmonotheismus? »Numen« III, 2, 1936. pp. 136—159, contro Jo. Haekel, Prof. Wilhelm Schmidts Bedeutung für Reli- gionsgeschichte des vorkolumbischen Amerika, »Saeculum« VII, 1, 1956). Ma l'attivitŕ creativa (per esempio) del Dio della pesca della terra non presuppone affatto una tale evoluzione. Ciň che continua a sorprendere gli osservatori č l'agire di questo Essere supremo come persona del tutto separata dal mondo in rappresentazioni tra le piů antiche e arcaiche della terra. Un monoteismo assoluto, come Io esige il Pettazzoni, potrebbe essere contestato anche nel cristianesimo (ipostasi della Trinitŕ e culto dei santi). Alle osservazioni degli etnografi, i Mordvini, i Ceremissi e gli stessi Slavi risultano essere dei poli- teisti, ma questo non impedisce loro di dichiarare di credere in un »unico« Dio. Una tale dichiarazione č indicativa di una coscienza religiosa monoteistica, anche se questa coscienza appare in contrasto con gli atti del culto. L'oscura- mento della nozione del Dio celeste primitivo eurasiatico per opera di influ- enze lunari e manistiche č palase e riconosciuta da tutti gli studiosi. % Questioni di mitologia slava rilevato da Helmold presso gli Slavi occidentali nel Xll" secolo. In (jnesta credenza gli Slavi non sono nč cristiani, nč indoeuropei, ma rappresentano la propaggine occidentale del mondo religioso dell'Eurasia. Le due prime righe del passo di Helmold devono richiamare in modo particolare la nostra attenzione: »Est autem Slavis multiplex ydolatriae modus, non enim omnes in eandem suipersticionis consuetu- dinem consentiunt« : vi č chi fabbrica idoli anche mostruosi, vi č chi venera gli Dei nelle selve, pare, senza raffigurarli. Č tra questi ultimi che Helmold ha rinvenuto la credenza nel Dio unico, celeste e ozioso deirEurasia che la comparazione ci dimostra autentico e originario. Tutti gli altri Dei degli Slavi (come degli Zyrjani, dei Samojedi e dei Kamcadali) sono spiriti intermediari dell'unico Dio celeste, o demoni venerati per il timore che incutono, non vere divinitŕ. La lontananza del Dio celeste non č assoluta e uguale in ogni luogo, come ci dice lo stesso Helmold e come si puň apprendere osservando la religione dei Mordvini: Nišk'epaz č lontano e inattivo e non ha una festa particolare, ma non vi č (si puň dire) ricorrenza religiosa in cui non lo si invochi. Il »bog« slavo, parallelo al »paiz« mordvino, non interverrebbe come Dio visitatore e appoTtatore di fortuna se foiSse stato completamente dimenticato. Presso gli Slavi occidentali del XII" secolo la congerie idolatrica degli spiriti e dei demoni va sempre piů soffocandolo, mentre lo stesso culto domestico dei morti si introduce nei templi (agapi delle »oontinae«), per cui l'invocazione al Dio celeste (o la sua rappresenta- zione in pantomime religiose), i sacrifici cruenti (anche umani) ai demoni e le commemorazioni periodiche dei defunti si celebrano in- sieme. Forme religiose separate da millenni di storia vivono Luna accanto all'altra. Nello spirito dei credenti, non sono incompatibili. Esse rappresentano fasi diverse di un medesimo sviluppo. Č una situa- zione che si ripete presso tutti i popoli di natura che, usciti da una condizione primitiva, si avviano a forme piů complesse di ci^'iltŕ. Il migliore punto di partenza per introdursi in questa grande complessitŕ č quello fornito dairindicazione di Helmold. Le venti righe da lui dedicate al Dio celeste degli Slavi sono di gran lunga il do- cumento piů importante sulla storia religiosa degli Slavi, piů impor- tante dello stesso testo di Procopio. 6. La situazione di Perun Č impossibile ravvisare il Dio ozioso di Helmold nell' dorpajtric SiliuotîpYoç, il creatore della folgore e nell' ŕtóvrcuA- Kűpioç wvoç, il solo signore di tutte le cose, di cui ha lasciato scritto Procopio nel terzo libro del De bello gotico. Il Dio di Procopio č meteorico, si trova con gli uomini nel rapporto potente della folgore ed era oggetto di una offerta di buoi, cioč di un culto dispendioso, mentre il Dio celeste degli Slavi č un'entitŕ primitiva, in stretta relazione con quella finnica, ugra 7 Slovenski etnograf Evel Gasparini e uralica. Presso i Mordvini erza, Nišk'e-paz non č folgoratore. Dio del fulmine č Purg'ine-jpaz (dal lituano Perkunas), figlio di un Dio del cielo (Cim-paz) e di una Dea del cielo (Ange-Patjaj) che, nato zoppo e inadatto ad arare, fu scagliato dai genitori sulla terra dove si innamora di una ragazza Syrza, grossa come una quercia e con le gambe come travi. 11 giorno di S. Michele si celebrava l'anniversario della sua morte.^^^ In sostanza, il mito mordvino di Purg'ine-paz č quello di Vulcano. Era chiamato vecchio (afa), gli si chiedeva pietŕ, lo si invocava per la pioggia e gli si sacrificavano, ma raramente, delle pecore (Harva, Mordwinen, 157—159). Secondo i dati raccolti da Smir- nov, Purg'ine-paz veste di rosso, ha occhi di fuoco, narici fumanti, le gambe come pestelli, agita la coda, ruba e uccide ragazze.Nišk'e- paz invece abita molto iin alto, in una casa dove non arriva la folgore.^-' I Mordvini mokša venerano per loro conto un altro folgoratore, At'am, ciň che fa supporre che il Perkunas lituano sia passato ai Mordvini erza in etŕ recente.Per i Ceremissi il Grande Dio č Kuge-jume, ma la folgore appartiene a Kiiderce-jume, protettore degli uomini e del bestiame.^^' I Votjaki ritengono che la folgore sia impugnata da una divinitŕ femminile, »Gudri mumy«, la »madre dei fulmini«.^'" I Sa- mojedi odono nel tuono la voce del Dio celeste (Num), ma credono che i lampi escano dal becco di un'anitra e paventano spiriti della temipesta dimezzati, con una sola mano, un solo piede e un solo occhio. Che il tuono sia prodotto da un uccello č pure credenza degli Ostjaki di Tremjugan e dei Tungusi.Presso i Jakuti il Dio della folgore č distinto dal Dio celeste. Il suo nome č Sjurdach-Sjaggja- toëm, Terribile-Scure-signore^^' e abita l'ottavo cielo, mentre (come presso i Mordvini) il loro Dio celeste, Ar-toëm, il puro Signore, risiede piů in alto, nel • nono cielo.^^* Il fulmine č opera di un drago per i Mongoli Sojoti e i Turchi orientali, di un pesce per gli Oroconi, di una vecchia nel Turkestan 1" VI. M a j n o V. Ocerk jurid. byta Mordvy, ZGO OE, T. XIV, 1, 1883, p. 134. S m i r n o V , Mordva, p. 289. ^" Harva, Mordwinen, p. 150. S m i r n G V , op. loc. cit. Perkunas potrebbe essere passato ai Mordvini non direttamente dai Lituani, ma dai Finni occidentali v. H. Jacobsohn, Arier und Ugrofinnen, 1922, p. 29, in K. Moszynski, Pierwotny zasiag jezyka praslowianskiego, Wroclaw, 1957, p. 86, nota 20. II Moszynski č piuttosto scet- tico su questo prestito mitologico mordvino e pensa a una provenienza di Purg'ine dal Parjanyah dell'antico indiano. Sebeok a. Ingemann. pp. 65, 69. G. V e r e š c a g i n , Votjaki Sosnovskago kraja, ZGO OE, T. XIV, 1886, p. 30. "^W. Schmidt, Der Ursprung der Gottesidee, Münster, III. 1951, pp. 590—391. 544. 360—361. Harva, Alt. Völker, p. 205—206. 133 Süga-tojom, in Harva, Alt. Völker, p. 211. "* N. A. K o s t r o V , Jurid. obycai Jakutov. ZGO OE. T. Vili, 1878, p. 272—273. 7. 98 Questioni di mitologia slava e di un cammello senza testa per i Calmucchi. Solo i Burjati attri- buiscono la folgore al Dio celeste, Tengri.^^^ La folgore non č dunque attributo del Dio celeste nč presso i Finni orientali, nč presso gli Ugri. Mircea Eliade ha messo particolarmente in evidenza la separazione del Dio celeste altaico dalla divinitŕ della folgore. La folgore č un feno- meno a parte, una specializzazione degli Dei del cielo.^''* Harva, Sebeok e Ingemann ritengono che gli Dei folgoratori mordvini e ceremissi siano nati da attributi personificati del Dio Celeste, e lo stesso padre Schmidt trattava queste divinitŕ come prodotto di una »scissione« (Zersplitterung) del Dio primitivo. Nell'India vedica, Parjanyah č figlio di Dyans (Eliade, 82—83). Nelle mitologie classiche del Mediter- raneo invece Zeus e Juppiter sono nel tempo stesso Dei supremi del cielo e folgoratori, mentre presso i Germani Fjorgynn e Thor sono divinitŕ distinte da Ziu e da Odino. Non vi č dubbio^ che la situazione degli Slavi era analoga a quella dei Germani. Č certo che il »Dens otiosus« di Helmold non era folgoratore. Le tradizioni popolari ucraine e serbe conservano chiare tracce della separazione di Dio dalla folgore : in Bucovina l'oggetto rubato dal diavolo a Dio e che il profeta Elia č incaricato di ripirendergli non č il sole, ma il tuono e la folgore e in Serbia si racconta che nella distribuzione degli attributi divini ai santi, la folgore toccň al profeta Elia.^^' Secondo Procopio, Anti e Slavi offrivano al demiurgo della folgore «buoi e altre vittime«. Mucche e montoni immolavano i Lituani al loro Dio folgoratore Perkűnas^^* e ancora nel 1907 lo Schräder ebbe occasione di assistere alTolfeita di un toro e di un montone al profeta Elia in un villaggio del gov. di Petrozavodsk.^^" Pecore venivano scan- nate sulle vette dei monti in Bulgaria in onore di S. Elia il giorno della sua festa (Ilin-den, il 20 luglio) perché non mancasse la pioggia (Strausz, 349), come facevano i Mordvini in onore di Purg'ine. Pare dunque giustificato ravvisare nel demiurgo della folgore di Procopio il Perun, Dio della folgore delle cronache e delle tradizioni russe. Perun č passato a significare »fulmine« in ucraino e in polacco^*" e nel nome dell'idolo di Porenutius di Karentia (Rügen) sia il Brükner che il Pisani ravvisano un »Perunic« o un »pioruniec«.'^*^ Si č invece scettici circa il significato del medesimo radicale in toponimi slavo- meridionali perché vi č sempre il dubbio che essi risalgano a un H a r v a , Alt. Völker, pp. 212—215, 216. M. Eliade, Traité d'histoire des religions, Paris 1951, p. 67. "'Manastyrski, op. cii, p. 268; Vuk, Pjesme. 1841. T. I, N« 250, pp. 155—157. V. J. M a n s i k k a . Die Relig. d. Ostslaven I. Quellen, FFC 45. 1922, p. 382. O. Schräder, Die Indogermanen, Leipzig, 3", 1919, p. 108. »Perun«, »piorun« dal Dio Perun, e non viceversa, secondo Pisani V., Il paganesimo balto-slavo, in Tacchi Venturi P., Storia delle religioni, Torino, T. II, 1939, p. 46. Bruckner, p. 60, 111; Pisani, p.47. 99 Evel Gasparini »perun« fulmine anziché a un Perun divinitŕ o provengano da un nome di persona (Pere, Pero, Perka-pietro, Pietra, Petronilla). Cosi quando nell'Ucraina carpatica si incontrano imprecazioni come: »Perun by tja rostrakav!« — Che Perun ti colpiscaě^"^ — op- pure: »Ubij tebja Perun!« — Che Perun ti uccida!"" il »perun« po- trebbe essere semplicemente il fulmine. Nella raccolta di Il'kevic č segnato un proverbio sul fulmine a ciel sereno che suona cosě: »I v pogodu casom grom udarit' — var. Perun b'e-« — Anche col bel tempo qualche volta scoppia il fulmine, var. Perun percuote (irkevic, p. 272). Per queste locuzioni valgono le obie- zioni fatte alle due precedenti. Ma quando noi ritroviamo la locuzione »Perun percuote* (Perun b'e) neiridentica forma fuori dell'area po- lacco-uoraina, nelle Alpi slovene: »Perün bija«, — č impossibile dare a questo »Perun« il significato generico di fulmine poiché »perun«, »piorun«, fulmine, č parola del tutto sconosciuta agli Sloveni. Il Perun stiriano non puň essere che un agente, una persona che batte, percuote col fulmine, cioč l'antico Dio folgoratore.^** Nel 1901 era da poco morto a Bystrikova, nel distr. di Starodub, un vecchio contadino che aveva l'abitudine, prima di accendere il fuoco nell'essicatoio, di togliersi il berretto e di farsi il segno della croce dicendo: »Da i Bog-dra!« — cioč: »Daj Bože zdrastvovat'« — Dio, dacci salute — Se gli si domandava a chi si rivolgeva, il contadino rispondeva: »Komu, komu? Perunu, s agnem ni velikija štidca! — (A chi. a chi? A Perun, il fuoco non č uno scherzo!) e aggiungeva che cosě facevano e avevano insegnato a fare i vecchi affinché col fuoco non avvenissero disgraizie.^*'* Ma Perun, come Dio del fuoco terrestre, č soggetto a trasformarsi in una divinitŕ ctonica, d'onde la »juvencam nigram, hircum nigrum et gallum nigrum« che sacrificavano i Lituani a Perkunas »in defectu 1" G. Il'kevic, Levicki. ZGO OE. T. II. 1869, p. 514. G. A. D e - V o 11 a n , Ugro-russkija nar. pesni, ZGO OE, T. XIII, 1, 1885, p. 16. Per »Perün bija«, v. V. Möderndorfer, Verovanja, uvere in obi- caji Slovencev, Kn. V, Celje 1946, N" 2029, p. 257. In una lettera al dr. M. M a - t i c e t o v, da noi pregato di poter specificare il luogo e la circostanza della locuzione, il Möderndorfer riferě il 1. X. 1954 che la locuzione era stata udita dall'avvocato Juro Jan di Celje dalla viva voce di un suo cliente, contadino dell'olire Mura: »...tisti popoldne ko je Perün bija« — quel pomeriggio quando Perun batteva, -cioč quando tuonava o cadevano fulmini. Secondo il Maticetov, il fatto »meriterebbe un controllo* (lettera del Maticetov del 2. X. 1954). L'identitŕ della locuzione slovena con quella carpatica rende una conferma sempre utile, ma non necessaria: la locuzione si presenta come autentica. "'^ M. N. Kosic, Litviny-Belorussy Cernigovskoj gub. »Zivst.« XI, 2, 1901, p. 55. Questo episodio smentisce la supposizione di Anickov che Perun fosse una divinitŕ non popolare, limitata alla cerchia dei principi di Kiev, e anche quella di Speranski, condivisa dal Brückner, che il »popolp russo« e »bianco- ruteno« non abbia conservato nessun ricordo di Perun, v. Brückner, Mitol. slava, Bologna 1925, pp. 18, 56, 67. 100 Questioni di mitologia slava pluviae«.^*" Che animali dii mantello nero potessero essere offerti a divinitŕ nraniche, č un'eventualitŕ da escludersi per tutta l'Eurasia. In Grande Russia e Belorussia si taglia la testa di un pollo in onore dello spirito dell'essicatoio (ovinnyj batjuška, ëvnik) per scongiurare pericoli di incendio. Tale spirito č immaginato come un uomo o un animale nero.^''^ L'offerta č abbastanza antica, poiché la menziona lo Slovo del Christoljubec, e richiama alla memoria la preghiera del vecchio contadino di Bystrikova a Perun e il gallo nero offerto dai Lituani a Perkunas. Per i suoi attributi il Perun slavo pare vicino al Perkunas lituano, ma l'assenza del »k« nel nome slavo e la diversitŕ del vocalismo rendono i due nomi eterogenei. Il Brückner tentň (come č noto) di risolvere la difficoltŕ fondandosi su un toponimo »Peryn« della terza Cronaca di Novgorod (interpolato) che dovrebbe provenire da un Perkyn (non attestato) e passare a Perun per l'attrazione di un partecipiale di I)'rati — battere percuotere, per cui il presunto balto-slavo Perkunas sarebbe divenuto lo slavo »perun«, il percuotitore. Questa macchinosa spiegazione (che nessuno č tenuto ad accettare) č stata accolta dal Pisani ma non dal Vasmer che continua a co-nsiderare indimostrabile l'affinitŕ dei due nomi, e non dal Jakobson che la respinge immagi- nando che Perkunas sia divenuto Perun per tabů linguistico.^** Il nome del Perkunas lituano rappresenta la forma baltica del nome indoeuropeo della quercia o di una fagacea (ted. Föhre, lat. quercus) come appare nel nome della divinitŕ germanica Fjorgynn, nella celtica »Ercynia silva«, forse nell'albanese Perendi, nello Zeůç tpi]Yo\-aîoç della quercia di Dodotia, nello Zeijç ßayaioc dei Frigi, nel » Juppiter quernus« dei Romani e nel Parjanyah dell'antica India. Partire da una cosě ampia equazione per asserire che Perkunas era il Dio supremo, lo Zeus e il Juppiter dei Lituani parve un passo sicuro, e mitologisti e slavisti non esitarono a farlo. In realtŕ l'analisi linguistica del nome non contiene nessuna indicazione su un primato del Perkunas lituano sugli altri Dei. Per il suo nome, il Dio folgoratore lituano avrebbe potuto essere tanto un »Juppiter quernus« quanto, per esempio, un Fjorgynn, che era anticamente una divinitŕ femminile. Dea della terra e della tempesta, sposa di Odino e madre di Thor.^*" Dionisius Fabritius, in Mansikka, Quellen, p. 382. Z e 1 e n i n , Russ. Volksk., p. 47—48. V. Pisani, Akmon e Dieus, Archivio glottologico italiano, Sez. Goidanich XXIV, p. 74 segg.; stesso. Paleontologia linguistica. Annali della Facoltŕ di Lettere dell'univ. di Cagliari IX. 1. 1938, p. 41 nota 50 e 42 nota 34; Vasmer, REW; R. Jakobson, Slavic Mvthologv. Funk a. Wagnalls, The Standard Dictionary of Folklore, New York 1950, II. p. 1026. Anche del Perkunas lituano esistono forme femminili, v. F. Tetzner, Die Slawen in Deutschland. Braunschweig 1902, p. 88. Femminile č pure in allbanese (tosco) il nome di Perendi (J. G. Hahn, Albanesische Studien, Wien 1853, I, p. 237 e nota 17), p. 268). L'idolo di Porenutius a Karentia aveva, secondo Saxo, cinque visi: »Haec statua quattuor facies representans, quintam i 101 Evel Gasparini L'esame delle fonti non sorregge in nessun modo l'idea di un tale primato. Le prime notizie sul Perkunas dei Baiti provengono dalla Prussia, ma nel documento piů antico, il Privilegio concesso ai Prussiani dal legato pontificio arcidiacono Jacobo del 1269, Perkunas (Parcuns) non č nominato.Nell'Agenda Ecclesiastica di Giorgio di Pollenz e del vescovo Paolo Sperato del 1530, i nomi degli Dei prussiani si seguono in questo ordine: Occopirnus, Svaixtis, Auxschantis, Autrympiis, Po- trympus, Bardoatis, Polunytis, Parcuns, Pecollol atque (sive) Pacols (Hartknoch, H, 65). Questo elenco č in gran parte cervellotico (Brück- ner, Mitol. slava, 226—228), ma Perkünas-Parcuns vi occupa appena l'ottavo posto. Nella nota Epistola »De Religione et sacrificiis \eterum Borus- sorum« (Rerum Polonicaruni Tomi tres, Francofurti, 158-1, T. Il, p. 419) il Lasizio arriccliisce l'elenco di nuovi nomi, ma questi nomi non sono piů attendibili dei precedenti, e Perkunas (Pargnus) č nominato al settimo posto. Nč sul conto di questa presunta grande divinitŕ siamo meglio in- formati dai dieci piů antichi scrittori che ci hanno tramandato memo- ria del paganesimo prussiano. Lo Hartknoch nota: »Ex scriptoribus Polonicis adduci possunt Vincenti-US Kadlubkus, Joannes DIugossus, Mathias ŕ Michovia, Martinus Cromerus Episcopus Varmiensis in Prus- sia, Johannes Herburtus de Fulstin: ex scriptoribus Historiae Prus- sicae pertractant hanc materiam de Idolatria Veterum Borussorum, Petrus de Dusburg, Nicolaus Jeroschinuis, Auctor Chronici, quod dicitur Chronicon Ordinis, vel Magistrorum; Erasmus Stella in Anti- quitatibus Borussiae; Paulus Pol, cujus Chronicon MS. Regiomonti in Bibliotheca curiae palaeopolitanae asservatur; et tamen horum nemo, ne unico quidem verbo, indicai, illos Deos (Parcuns, Picollos et Po- trympus) unquam in Prussia exstitisse« (Hartknoch, 125). Abbiamo avuto ropportunitŕ di controllare rasserzione dello Hartknoch su pietro di Dilsburg, il Kadlubek, il Miechovita e il vescovo Cromer. Facciamo credito all'Hartknoch dei restanti. L'Hartknoch era arrivato a dubitare che un Dio del nome di Perkunas fosse mai esistito: pectori insertam habebat« (Ex Saxonis gestis Danorum, MGH, SS. XXIX, Han- nover 1892, XIV, p. 128). Dalle fondamenta della chiesa del Salvatore (Spasskij chram) di Rjazan venne alla luce un busto cavo di bronzo, mutilo, che rappresentava la metŕ di un idolo a quattro visi e con un quinto viso nel petto. Lo strato delle fondamenta risale alla metŕ del XIP secolo. II Mongajt č incerto se si tratti di opera russa o mordvina. L'esitazione č molto carat- teristica. Il tipo di policefalia (mostruosa e rara) č Ila medesima di quella del Porenutius del Baltico, ma l'idolo di Rjazan č femminile (A. L. Mongajt. Staraja Rjazan, Mater, i izsledov. po archeol. SSSR. N" 49, Moskva 1955, p. 191 a 193). Femminile era anche la divinitŕ folgoratrice dei Votjaki e divinitŕ femminili slave sul Baltico sono menzionate da Helmold e da Thietmar. ^™Chr. Hartknoch, Selectae Dissertationes historicae de variis rebus prussicis in: Petri de Dilsburg, Chronicon Prussiae, S.D.. T. IL p. 126. 102 Questioni di mitologia slava »Mihi vero haec non raro dubia visa sunt omnia, adeo ut etiam, tres illos Deos in Prussia fuisse cultos, prorsus negare saepius in animum induxerim« (Hartknoch, 124). Il primato di Perkunas compare per la prima volta nel »Chronicon Prussiae« del Gronovius del 1520, senza che l'Hartknoch riesca a spie- gare i motivi di questa innovazione, e neraraeno allora il Dio pare godere della posizione di vero Dio supremo poiché č associato a Picol- lus e a Potrympus nella trinitŕ della quercia di Romowe, e non riceveva il maggior numero di vittime umane che andavano invece agli altri Dei (Henneiberg, in Hartknoch, 158). Secondo Lasizio, i Samogizi veneravano un Dio «onnipotente e supremo« che chiamavano AUXTHEIAS V1SSAGISTĎS. Tutti gli altri Dei samogizi erano, secondo il Lasizio, »zemopacii«, cioč terrestri: »Nam praeter eum qui illis est Deus Auxtheias Vissagistis, deus om- nipotens atque summus, permultos zemopacios, id est terrestres, ji venerantur«.^°^ Il Pisani ritiene che il Lasizio sia caduto in errore: Auxtheias Vissagistis non č il nome proprio di un Dio, ma probabimente un epiteto da leggersi »Auksstiejes Visgalisis«, altissimo onnipotente. Il Pisani non dubita che l'epiteto vada riferito allo stesso Perkunas (op. cit., p. 76). Ma il Lasizio non dice affatto che Auxtheias Vissagistis sia il nome del Dio e non ignora il significato dell'epiteto poiché ne dŕ la versione (omnipotens atque summus), e tuttavia considera il Dio cosě invocato come del tutto separato da Perkunas. Il suo testo »in extenso« suona cosě: »Nam praeter eum qui illis est Deus Auxtheias Vissagistis' Deus omnipotens atque summus, permultos Zemopacios, id est terrestres, ji venerantur, qui nondum verum Deum Christianorum cognoverunt. Percunos Deus tonitrus illis est, quem coelo tonante agricola capite detecto, et succidiam humeris portans...«. Nemmeno piů avanti, da pag. 53, dove Lasizio trascrive il testo di Melezio e nomina a due riprese Pargnus (pp. 54 e 56) egli specifica qualche cosa sul primato del Dio del tuono. Il »Dens omnifěotens atque summus« di Lasizio corrisponde allo »imperitans« e al »prepotens« di Helmold. Si tratta indiJjbiamente di un Essere supremo che non sappiamo fino a che punto fosse unico, edicola e ozioso come il Dio slavo di Helmold. Ciň che č sicuro č che questo Dio »omnipotens atque summus« non era Perkunas perché Lasizio nomina Perkunas tra i cosidetti dei »terrestri«. (Nam praeter eum... permultos zemopacios...). Rilevando che, a differenza degli Slavi (che hanno sostiuito il nome indoeuropeo di Dio con l'iranico »bog«), i Baiti lo conservano (Deivas), il von Schröder e il padre Schmidt contrappongono Perkunas, Dio del tuono e forse dei giuramenti, all'antico »Deivas« indoeuropeo. Dio del cielo lucente, al quale vanno riferiti i noti epiteti di Lasizio. Questa ""^Lasicii Johannis Poloni, De Diis Samagitarum caetero- rumque Sarmatorum & falsorum christianorum, Basileae 1613, p. 46—47. 103 Evel Gasparini contrapposizione parte da una separazione molto netta di Perkunas dal Dio supremo.^"^ La prima responsabilitŕ dell'indebita identificazione dell'uno con l'altro risale a Procopio che, venendo a conoscenza che gli Anti e gli Slavi credevano in u;n unico Dio e immolavano buoi al Dio della fol- gore, immaginň che il Dio folgoratore fosse, come Zeus, il loro Dio supremo. La vicinanza di Perun a Perkunas e la scoperta che il nome di Perkunas compariva come attributo di Zeus a Dodona, in Frigia e a Roma, indusse i linguisti a ribadire l'errore di Procopio. Lo stesso Grafenauer si lascia trascinare dalla scia di questa tradizione e col- lega il Dio primitivo degli Slavi col Dio folgoratore di Procopio.^^^ Abbiamo veduto, come il Dio celeste primitivo dell'Eurasia sia separato dal Dio folgoratoTe. Se la piů antica divinitŕ degli Slavi si trova in piů stretta relazione con le credenze eurasiatiche che con le religioni mediterranee, tale separazione va mantenuta. Con la ricerca su Perun-Perkünas la »Naturmythologie«, fondata sulla linguistica e appena intrisa di un animismo alla Tylor, ha cele- brato i suoi fasti. Č difficile attendersi che essa possa compiere in av- venire ulteriori grandi progressi. Il suo metodo, che consiste nel risalire dal nome della divinitŕ alle sue funzioni e attributi, giunge a una esposizione enumerativa di divinitŕ, senza sviluppi. Divinitŕ personali (di tipo primitivo), scissioni e metamorfosi manistiche e astrali, nelle quali consiste la storia religiosa degli Slavi, sfuggono ai suoi mezzi di accertamento. L'identificazione di Perun-Perkűnas con Giove e con Zeus doveva essere, nei propoisiti di questi studiosi, la prima pietra della ricostruzione di un politeismo balto-slavo. Ma l'edificio si dimo- stra labile e discorde con le tradizioni popolari. Il quadro indoeuropeo applicato agli Slavi č improprio: forza paragoni tra cose disparate, altera la cronologia dei fatti distruggendo l'arcaismo delle forme originarie e taglia indebitamente gli Slavi dal retroterra eurasiatico.^^* 7. Conclusione Secondo le ricerche dei linguisti (Thomsen, Kiparski, Gimbutiene, Rozwadowski e sopratutto Vasmer) gli idronimi dell'alto Dnepr sono baltici e non slavi. L'abitato baltico si spingeva a sud fino alle vid- W. Schmidt, Manuale, p. 59—60; v. L. Schröder, Arische Re- ligion, Leipzig 1916, 1, p. 534. »S tem soglaša tudi Prokopijeva oznacitev...« I. Grafenauer I., Praslovanska beseda »bog«, p. 247, nota 7. Queste constatazioni non sono nč nuove, nč temerarie. Dieci anni fa rUnbegaun rilevava che >>gli Dei slavi non hanno rapporto tra di loro e non costituiscono un Olimpo«, che »il metodo etimologico si č dimostrato impo- tente« e che »non si vedono nessi tra gli Dei slavi e quelli degli altri popoli indoeuropei« (Unbegaun B. O., La religion des anciens Slaves, Mana 111, Paris 1948, pp. 590, 398, 404). 104 Questioni di mitologia slava nanze del Pripet (secondo Kiparski, fino alla Desna) per cui gli Slavi dovevano trovarsi in una ristretta regione tra la Desna e Orel (Vasmer) o addirittura piů a sud e piů ad ovest, nell'alta A istola e nella presteppa (Kiparski). L'abitato dei Baiti si inseriva cioč »come un cuneo« (Brück- ner) tra gli Slavi e i Finni e impedě ai primi di avere contatti coi secondi.^'"'' L'etŕ di questa situazione č relativamente recente: di poco anteriore al V°—VP secolo, secondo il Tbomsen, del IV"—VI" secolo, secondo il Vasmer. Nel IV" secolo lo slavo-comune aveva millenni di storia dietro di sč. Dov erano gli Slavi prima di quell'epoca? L'impronta forestale della loro civiiltŕ č patente. Case, veicoli e utensili sono di legno. Gli Slavi hanno barche, bare, madie, mortai, arnie e zappe monoxile. La loro abitazione tiipica (slavo-comune) non č la »chata« ucraina a tralic- cio, ma un Blockhaus come la izba grande-russa. a grossi tronchi d'albero sovrapposti. L'uniformitŕ di questo edificio da un capo all'altro del mondo slavo ne prova la remota antichitŕ. La cenere degli alberi incendiati della foresta ha fornito per millenni il fertilizzante della loro agricoltura. La concimazione di stallatico č rimasta loro sconosciuta (come del resto era rimasta sconosciuta ai Germani) fino in etŕ proto- storica, ed č sicuro che ancora per molto tempo dopo quell'epoca gli Slavi non hanno posseduto bestiame nelle proporzioni richieste dal funzionamento del regime agrario dei tre campi. Per supporre che i primitivi Slavi agricoltori abbiano coltivato le terre-nere, non biso- gnose di concimazione (e nessuno č mai giunto a tanto), bisognerebbe cancellare rimpronta xilica della loro cultura. L'idromele, ricavato da favi di api selvatiche, e la linfa di betulla, dolce o fermentata, sono le loro bevande nazionali. La prima risale ad etŕ indoeuropea e l'anti- chitŕ della seconda č provata dal nome slavo del quarto (o quinto) mese dell'anno. E impossibile collocare la culla di una tale civiltŕ, al meri- diano del Dnepr, a sud del 52° parallelo. 11 Feist riteneva che in etŕ piů antica di quella considerata dal Vasmer il quadro etnico deUEuropa orientale fosse del tutto diverso e che gli Slavi provenissero dall'interno della Russia.^"" Del medesimo avviso era il Rostafinski.^"' Il Pokorny dedicň una ricerca penetrante "^Kiparski e Gimbutiene, in R. Schnittlein, Études sur la nationalité des Aestii, L Baden, 1948, pp. 81, 165; V i 1 h. Thomsen, Be- rührungen zwischen der finnischen und der haltischen (litauisch-lettischen) Sprachen, Samlede Afhandliger, Fjerde Bind, Kobenhavn 1931, pp. 20, 26, 58; Jan R o z w a d o w s k i, Studia nad nazwami wód slowianskich, Krakow, PAV 1848; M. Vasmer, Beiträge zur historichen Völkerkunde Osteuropas II — Die ehemalige Ausbreitung der Westfinnen in den heutigen slavischen Ländern, Sitzungsber. d. Preuss. Ak. d. Wiss. Phil. hist. Klasse, 1934; A. Brü- ckner, Starožitnošci slowiaiiskie, »Lud« XXIV, 1925. p. 82. "" S. Feist, The origin of the Germanie Languages and the Indo- europeanising of North Europe, «Language« VIII. 1952, pp. 24^—247. ^" J. Rostafinski, O pierwotnich siedzibach i gospodarstwie Slowian w prehistorycznych czasach, Krakow, PAU. Sprawozdania XII, 1908. 105 Evel Gaspariai al substrato ugrofiiinico nel balto-slavo.Anche il Lehr-Splawinski (op. cit., p. 48) e il Kalima richiamano l'attenzione sulla provenienza fin- nica di una serie di voci slave che il primo fa risalire ad un'etŕ estremamente remota e preindoeuropea (Kanimkeramik)."" L'etŕ degli idronimi baltici del Dnepr č approssimativa e non desunta da analisi linguistica. La persuasione, ben radicata nella mente del Vasmer, che non sia mai esistita in Europa orientale dislocazione etnica diversa e che, in ogni caso, lo slavo-comune si sia formato a contatto coi Baiti e separatamente dalle parlate ugro-fimniche, č con- fermata ai suoi occhi dall'esame scrupoloso dell'etimologia di certe voci slave che sono, ai suoi occhi, indicative dell'isolamento dello slavo dal finnico. Secondo il Vasmer, infatti, i prestiti finnici nelle lingue slave sono tutti recenti e solo del graiide-russo. Se una voce russa, indiziata di essere di provenienza finnica, č rappresentata anche in altre lingue slave, il Vasmer ne trova »dubbia«, »difficile« o »arrischiata« la pro- venienza finnica. In altre parole, il Vasmer non č disposto a riconoscere l'origine finnica di voci slavo-comuni appunto perché si presentano come slavo-comuni, e su questa sua disposizione influisce in modo de- terminante l'idronimia baltica del Dnepr."" Allo stato attuale delle ricerche la possibilitŕ di prestiti ugro-finnici nello slavo-comune non puň essere né provata, né esclusa. Se l'argomento della ripulsa del Vasmer č piů di ordine storico che di natura linguistica, noi non pos- siamo accettare questo argomento. Il Pokorny rileva che nel balio e nello slavo il substrato ugro- finnico si fa sentire nella »forma interna della lingua« e non nel patri- monio lessicale.D'altra parte lo stesso Vasmer riconosce che paren- tela culturale non significa identitŕ etnica e linguistica. Č questo un principio che ogni linguista č pronto teoricamente a riconoscere. Ma al lato pratico, quando una tale parentela non puň essere provata su un piano linguistico, i linguisti si dimostrano non interessati al suo studio e reticenti o addirittura scettici circa la sua reale esistenza, come se non esistesse altro mezzo di accertamento all'infuori del linguistico. L'insofferenza del Bezlaj verso le ricerche del Grafenauer sono una manifestazione di questo stato d'animo.^''- J. Pokorny, Substrattlieorie imd Urheimat der Indogermanen. MaGW 1936, pp. 69—91. '"^ J. Kalima. Alte Berührungen zwischen finnisch-ugrischen und sla- vischen Sprachen, »Wörter und Sachen« II, 1910, pp. 182-286. Č il caso, nel REW del Vasmer. delle voci »vagan«, »korcma«. »leme- ška«, »korž« e »nevod«, slavo-comuni, di cui č rifiutata l'origine finnica »aus wortgeographischen Gründen« o perché »gegen die Annahme einer Entleh- nung [aus dem Finn.] spricht die grosse Verbreitung des Wortes in slav. Spra- chen« o ancora (con una »petitio principu«) »in Anbetracht alter finn.- ugrischen Entlehnungen...«, ecc. Altre voci critiche sono: »voron«. »pol«, »pyl«, »sani« e »sinij«. J. P o k o r n v , op. cit.. p. 72. Fr. B e z 1 a j . op. cit., p. 349. 106 Questioni di mitologia slava Le nostre ricerche sulle concezioni religiose degli Slavi conducono su piů punti importanti alla constatazione di un vero parallelismo col mondo ugro-finnico. Nell'ambito indoeuropeo il mito della pesca della terra č solo dei Baiti e degli Slavi. Il mito non ha varcato in nessun punto la barriera occidentale dell'abitato balto-slavo, mentre ad est esso si propaga senza soluzione di continuitŕ agli Ugro-finni e agli Uralo-altaici. Non c'č, si puň dire, volume deir»Origine dell'idea di Dio« in cui padre Schmidt non abbia trattato di questo mito, ed egli vi ritorna con tutte le sue forze nell'ultimo volume.^"' Depositari del mito sono, a suo giudizio, i Samojedi (gruppo nord). Gli allevatori dell'Asia centrale costituirebbero un gruppo sud. Un altro centro secondario si sarebbe formato presso gli Ugri (gruppo misto). Dai primi e dai secondi il mito si propaga ai Lettolituani e ai Grandi-russi. Il gruppo misto si espande in direzione nordest-sudovest, passando dai Grandi-russi ogli Ucraini (occidentali) e attraverso i Carpazi e la Bucovina »all'angolo sudest dell'Europa*, cioč alla Bulgaria. Si direbbe che questa ricostruzione dei centri e della distribuzione del mito si sforzi di rispettare la situazione etnica progettata dal Vasmer. In realtŕ i fatti escono dalle linee di questa prospettiva e la sconvolgono. Padre Schmidt avrebbe potuto trovare in Slovenia e in Croazia una versione del mito piů antica di quella letto-lituana, grande- russa del nord e ugro-finnica. Secondo il racconto sloveno, č Dio stesso che, accaldato dal sole, si tuffa in mare e crea la terra con un grano di sabbia rimastogli incidentalmnte nelle unghie.^"*' Seoondo padre Schmidt, dove un aiutante di Dio pesca la terra non vi č piů »Urkul- tur«.^"' In Slovenia e in Croazia Dio pesca la terra senza intermediari. Una redazione del mito, ampia e circostanziata, č stata raccolta dalla Piatkowska non in un »angolo del sud-est dell'Europa*, ma nel cuore della Polonia propria, nel contado di Sieradz: Dio naviga sul mare su una barca e incontra una grande e densa schiuma nella quale abita il diavalo. — Chi sei? — gli domanda. Č il diavolo che incita Dio a creare la terra. Dio gli ordina di tuffarsi in mare e di pescarla, ciň che il diavolo fa invano a due riprese, dicendo di volerla pescare in nome proprio. Vi riesce al terzo tuffo adattandosi a farlo in nome di Dio. Segue il motivo dell'estensione della terra emersa e la creazione delle montagne da parte del diavolo.^"" W. Schmidt, Der Ursprung der Gottesidee (UdG), II, III, V, VI, IX, X, e vol. XII, Münster i. W., 1955, Tauchmotiv, pp. 9—174. "*Iv. Trdina, Narodne poviesti iz staroslovinskoga bajoslovja, in: I. Grafenauer L, Prakulturne bajke, p. 25 segg.; M. Biljan, Kako je postala zemlja. ZbNž XII, 1907, p. 305. W. S C h m i d t, UdG XII, p. 165. "»I. Piatkowska, Obyczaje ludu ziemi sieradzkiej, »Lud« IV, 4. 1898, pp. 414—415. 107 Evel Gasparini Che Dio e diavolo si trovassero ŕnsieme sul mare prima della pesca della terra č una tradizione nota anche ai Lettoni.^"' L'estensione della terra da parte del diavolo č invece un motivo jakuto noto a tutti gli Slavi, ma sconosciuto ai Baiti. Egualmente ignoto ai Baiti č il motivo del primo uomo come pescatore della terra, noto invece ai Turchi dello Aitai, ai Kiži e, in modo figurato, ai Kacincy (intaglio della coda della rondine), agli ugri Voguli (l'uccello pescatore, Luli, si ferisce il capo nel tuffo e tutti i suoi discendenti avranno la testa rossa)"** e ai Serbi (mito eziologico della pianta del piede). La domanda di Dio al diavolo: Chi sei? — del mito polacco si ritrova presso gli Altaici settentrionali e i Burjaty.^"" La pesca della terra fatta in nome del diavolo e di Dio ricorre presso i Man'si (Vo- guly), i Mordvini e i »raskolniki« di Estonia,^'" ma manca ai Baiti. Il mito risulta in tal modo diffuso presso tutti gli Slavi meridionali (Bulgari, Serbi, Croati e Sloveni) e largamente conosciuto ai Polacchi. Č vano voler bordeggiare contro la realtŕ dei fatti: il mito non si propaga dall'interno della Russia verso angoli meridionali o orientali dell'Europa, ma fa parte di un patrimonio culturale slavo che gli Slavi hanno portato con sč nell'emigraizione, sia in forme arcaiche che recenti. Sommiamo ora i confronti della redazione letto-lituana con quella slava del mito: presso i Letto-lituani č sempre il diavolo che procura la polvere dei cieli o pesca la sabbia del mare con cui sarŕ formata la terra. Il diavolo crea le montagne con della terra rubata e insudicia con lo sputo il primo uomo creato da Dio. L'intervento del diavolo, la creazione diabolica delle montagne e il motivo dell'impuritŕ dello sputo sono egualmente motivi slavi. I Baiti ignorano l'estensione della terra creata, per opera del dia- volo. Che Dio e diavolo fossero fratelli č una tradizione dei Mongoli, dei Jakuty, degli Ostiaky, dei Ceremissy, dei Mordvini, dei Grandi- russi, dei Bulgari^'^ e, aggiungiamo noi, anche dei Serbi.^'^ Il motivo della fratellanza tra Dio e diavolo manca ai Letto-lituani. La fratellanza tra Dio e diavolo e la circostanza che la pesca della terra sia effettuata dal primo uomo (circostanza egualmente ignota ai Letto-lituani) preludono a una lunardzzazione del mito che si č prodotta. La tradizione č egualmente conosciuta agli Estoni (raskolniki), agli Ucraini, ai Bulgari e ai Croati, v. Schmidt UdG Xll, pp. 65, 65, 71—75, 76; B i 1 j a n , op. loc. cit. Schmidt, UdG XII, pp. 15—16, 19, 59. "»Schmidt, UdG XII, p. 119. 1™ Schmidt. UdG XII, 59, 47, 61. U. Harva, Relig. Vorst, d. alt. Völker, pp. 95, 96; M. Buch. Die Wotjäken, Stuttgart 1882, p. 156; I. N. Smirnov, Mordva, loAIE KU XIII, 4. 1895, p. 289; Th. A. Sebeok and F. J. Ingemann, Studies in Cheremis, Viking Eound, Pubi, in Anthropologv. New York 1956, p. 75; Schmidt. UdG XII, pp. 54. 46, 54, 118, 124—125, 127, 129. 3>Djavo bio ie božji brat«. S. M. Grbic, Srpski nar. obicaji iz sreza Boljevackog, SeZb XIV, 1905, p. 552. 108 Questioni di mitologia slava oltre che presso i Kacincy, i Kiži e i Voguly, anche presso i Jakuty (Ulti Toyon, diavolo, fratello maggiore di Lrtin Aji Toyon, Essere supremo), i Turchi dell'Aitai (Ülgun, prima capostipite dell'umanitŕ, poi diavolo).^I Baiti ignorano questo^ sviluppo. In sostanza, il mito della pesca della terra č comune sia ai Baiti che agli Slavi. Nessun elemento presente nelle redaziomi baltiche del mito manca presso gli Slavi. Sono i Baiti invece che ignorano la pesca della terra effettuata da Dio stesso, l'estensione della terra per opera del diavolo, la fratellanza fra i due antagonisti, il capostipite come pescatore e la lunarizzazione del mito. In nessun punto della sua trattazione p. Schmidt afferma o lascia intendere di supporre che il mito si sia propagato agli Slavi attraverso i Baiti, e nessuno che vorrŕ prendersi la cura di rivedere i materiali del Dähnhardt, del Walke, del Grafenauer o di p. Schmidt riuscirŕ a immaginarlo. L'antichitŕ del mito (comparando le civiltŕ eurasiatiche con quelle nord-americane, p. Schmidt lo fa risalire al paleolitico in- feriore) e la sua diffusione in Europa in etŕ pagane sono circostanze fuori di dubbio per lo stesso p. Schmidt che scioglie in proposito le ultime riserve (deboli, in veritŕ) di Uno Harva. Gli Slavi devono dunque averlo attinto (come i Baiti) direttamente a fonti ugro-finniche, e certi motivi (come quello della fratellanza Dio-diavolo) proprio ai Mordvini che p. Schmidt qualifica per l'occasione di »Ugri meridionali*. Se i Mordvini non sono i creatori di questo aspetto del mito (che preesisteva nel gruppo nord), essi (secondo p. Schmidt) lo hanno certo rinforzato: il diavolo si rivolge all'Essere supremo dei Mordvini Cam-Paz chia- mandolo' fratelloi, sebbene l'Essere supremo respinga questo appel- lativo.^"* Puň essere importante che questo sviluppo ugro-meridionale sia, secondo' p. Schmidt, »jung und sekundär«,^'" e che manchi ai Letto- lituani. Non č indifferente che nella trattazione di p. Schmidt i Mord- vini si dimostrino un anello necessario nella trasmissione del mito agli slavi. Il Nišk'e-ipaz dei Mordvini che visita le case, manifesta per gli uomini la famigliaritŕ e la premura di un Essere supremo primitivo. 11 »bog« slavo nutre per gli uomini i medesimi sentimenti e compie i medesimi atti. Mordvini e Slavi hanno preso il nome della divinitŕ (paz, bog) da una parlata iranica, e sia presso gli uni che presso gli altri, la figura di questa divinitŕ evolve verso forme lunari e manistiche che ne cancellano gradatamente l'originaria natura uranica, l'unicitŕ, la supremazia e la qualitŕ di creatore. In una fase di questo sviluppo ritroviamo Slavi e Ugro-finni in posizioni parallele: il Dio primitivo si innalza nel cielo, si allontana dagli uomini e diviene ozioso. Si cessa o si trascura di tributargli culti regolari e ci si rivolge con sempre Schmidt, UdG XII, pp. 44, 95, 114, 129. Schmidt. UdG XII, pp. 95, 121, 46 e 138—159. ''¦^ Stesso, op. cit., XII, p. 75. 109 Evel Gasparini maggiore frequenza a divinitŕ intermediarie, che si considerano da lui deputate al governo del mondo e che prendono aspetti nocivi e de- moniaci. In nessuno di questi momenti, in cui Slavi e Ugro-finni si cor- rispondono, gli Slavi comunicano con altri popoli indoeuropei. Questi sono fatti importanti e non contestabili. Slavi e Mordvini possono avere attinto dall'iranico la voce »bog« e »paz« in etŕ diverse e in punti diversi di una linea di contatto con idiomi iranici che in una certa epoca ai estese dal Dnestr all'Ural e oltre. Ma la voce »paz«, che non figura in ceremisso, deve essere poste- riore alla separazione dei Mordvini dai Ceremissi e risalire quindi ad un'epoca relativamente recente, all'incirca intorno alla nostra era.^"^ Nč i Mordvini, nč gli Slavi avrebbero avuto motivo di prendere a prestito dall'iranico una voce generica per indicare Dio se non fossero venuti a contatto con una particolare e suggestiva divinitŕ iranica, con un »bagas« visitatore delle case e apportatore di ricchezza. Una tale divinitŕ doveva essere venerata da un gruppo locale di coltivatori (e non di alIevatoTi) sarmati, confinanti coi Finni, perché intorno all'era cristiana, la piů meridionale delle culture finniche, la cultura di Go- rodec, aveva sul Volga, tra Simbirsk e Saratov, un vasto fronte di contatto verso est, coi Sarmati, e non con gli Sciti mentre le altre culture finniche (di Anan'ino e di D'jakovo) erano del tutto isolate dalle parlate iraniche. Gli odierni Mordvini occupano tutt'ora l'area centrale deirantica cultura di GoTodec. Il Moszynski ritiene che la corrispondenza tra lo slavo »bog« e il mordvino »paz« sia »un, fatto altamente significativo e molto eloquente« per stabilire le sedi piů antiche degli Slavi. Questa corrispondenza č rafforzata in modo definitivo e resa dimostrativa dalla corrispondenza, egualmente iranica, tra lo slavo »raj« e il mordvino »riz«, che č solo slavo-mordvina, e semanticamente equivalente a bog-paz. Bisogna dunque ammettere che nei secoli a cavallo della nostra era gli Slavi risiedevano nelle vicinanze deirarea della cultura finnica di GoTodec. Č ben difficile supporre che affinitŕ cosě particolari come quelle qui segnalate tra Finni orientali e Slavi restino limitate ai soli fenomeni religiosi o, nell'ambito religioso, solo a una particolare credenza. E probabile che tali affinitŕ siano parte di un complesso piů vasto di cui potrebbero far parte: gli spiriti forestali e meridiani, temuti dai Finni del Volga e dagli Slavi orientali e occidentali, dalla Kama alla Elba, come pure la frequente mutilazione di questi spiriti, come degli spiriti delle malattie (personificate), spesso mutilati anche presso gli Slavi meridionali. H. Jacobsohn, Arier und Ugrofinnen, 1922, p. 203, in Moszynski, Pierwotny zasiag, p. 93; »verhältnismässig spät« in Thomsen. op. cit., p. 48, seb- bene anteriormente all'etŕ degli influssi gotici (stesso, pp. 50—52). HO Questioni di mitologia slava Un particolare rito finno-slavo č quello della circumaratura del villaggio per proteggerlo dalla peste o da morie del bestiame, congiun- tamente alla circostanza che il rito č eseguito per lo piů da donne e ragazze, trainatrici dell'aratro, in conformitŕ alla pertinenza fem- minile finno-slava del bestiame. Il rito coinvolge gli Slavi dei tre gruppi. Egualmente finno-slava č l'usanza di inaffiare le tombe recenti per prevenire la siccitŕ o per evocare la pioggia. Questa procurata decom- posizione delle salme č a sua volta in relazione col timore del »morto vivente« (vampiro) e col costume della »seconda sepoltura* in cui sono implicati le culture preistoriche finniche, i Mordvini odierni e gli Slavi meridionali. Gli spiriti forestali e meridiani, del tipo »lešij« e :>poludnica«, e la loro frequente mutilazione sono fatti noti in etnologia e facilmente documen- tabili. V. R. Caillots. Les spectres du midi dans la mvthologie slave. Rev. d. et. slaves XVI, 1956. La circumaratura dell'abitato č un rito di agricoltori che non puň risalire al di lŕ dell'adozione dell'aratro, ma poteva essere eseguita anche con una »socha« o »ralo« primitivi, a traino umano e femminile. Per la descrizione di questo rito vedi: L N. Smirnov, Mordva, laAIE KU XI, 6, 1884 e XH, 4, 1885. p. 324; A. A. Š a c h m a t o v , Mordovskij etnogr. sbornik, SPB, 1910, pp. 22, 60—61: Harva. Mordwinen, pp.400—402; A. Byhan, Die finn. Völker, in Buschan. III. Völkerkunde. III. p. 917; I. P. Kalinskij. Cerkovno-narodnyj mesjaceslov na Rusi. ZGO OE, T. VII, 1877. p. 561; G. A. D e - Vol 1 a n . Ugro- Tusskija nar. pesni, ZGO OE, T. XIII. 1, 1885, p. 12; E. Solov'ev, Prestun- lenija i nakazanija po ponjatijam krest'jan Povolž'ja. ZGO OE, T. XVIII, 1900, p. 40—41: V. Vodarskij, Oblastnyja slova Rybinskago Uezda Jaroslav, gub., »Zivst« XII, 1902, 3—4, p. 403; O. P. Semenova-Tjan-šanska, Zizn' »Ivana«, ocerki iz byta krest'jan odnoj iz cernozemnych gubernij, ZGO OE, T. XXXIV, 1914, p.54; A. Bai o v Ponedel'nican', »Zivst.« XXI, 1, 1901, p. 195; D. Zelenin, Russ. Volkskunde, pp. 66—69; St. Ciszewski, Ognisko, Krakow 1905, p. 60; A. Cerny, Istoty mityczne Serbow lužickich, Warszawa 1904, pp. 196—200, 439; K. T r e i m e r , Gli Slavi occidentali, in H. A. Bernatzik, Die grosse Völkerkunde, trad. ital. I, 1958, p. 174, Gli Slavi orientali, ibid. p. 315; J. Lo vre tic. Otok. ZbNž II, 1897. p. 597, VH, 1902, p. 174; P. Petrovic, Zivot i obicaji nar. u Gruži, SeZ LVIII, 1948, p.520; St. Tanovic, SeZ XL, 1927, p. 76. Per la proprietŕ femminile finno-slava del bestiame, il significato del costume e la documentazione bibliografica, v. E. Gasparini, Finni e Slavi, usi nuziali. Annali dell'Istituto universitario Orientale, Sezione slava, Na- poli 1958, p. 97—98. Per l'inaffiatura delle tombe, v. A. N. Mi neh. Nar. obycai, obrjadv, sueverija i predrazsudki Saratovskoj gub., ZGO OE, T. XIX, 2, 1890. p. 51; Harva, Mordwinen, pp. 61, 97; U. Holm er g. Die Religion der Tschere- missen, FFC 61, 1926, pp. 24, 75 nota; D. Zelenin, K voprosu o rusalkach etc. »Zivaja starina« XX, 3—4, 1911. pp. 386, 390—591; Wasiliev, Uebersicht, Mém. de la Soc. Finno-ougrienne. XVII. 1902, p. 139; Zelenin, Russ. Volks- kunde, p. 326; A. Manastirski. Die Ruthenen. p. 230; Ljub. Peco, Obicaji i verovanja iz Bosne. SeZ XXXII, 1925, p. 566; St. B anovi c Praz- novierica našega naroda o prekopavanju starih grobova, Zb Nž XXIX, 1933, ). 88—89 (relazione delle tombe con la pioggia, senza inaffiatura) ; S. M. Gr- )ic. Srp. nar. obicaji iz sreza Boljevackog, SeZ XIV. 1909, p. 534; Je. Pav- lo v i c . Život i obicaji nar. u Kragujevackoj Jasenici u Šumadiji, SeZ XXII. 111 Evel Gasparini Finnico e slavo č il rito dell'altalena primaveriale femminile, noto ai Ceremissi, agli Estoni, ai Finni di Suomi, ai Lituani e agli Slavi dei tre gruppi. Il rito era praticato anche nell'antica Grecia e aveva signi- ficato erotico.''* Un mito che sembra collegare gli Slavi ai Finni, sebbene non ancora sufficientemente documentato, č quello della separazione del cielo dalla terra: un tempo il cielo era cosě basso che i buoi potevano leccarne la volta. Una donna pulě il sedere del suo bambino con una frittella che posň inavvertitamente nel cielo. Il cielo se ne offese e si allontanň. Da allora il grano, che produceva piů spighe per stelo, ne produsse una sola (Kowatscheff, p. 322—325). In Serbia č la luna che viene insudiciata e offesa da una ragazza. La conseguenza č un innalza- mento del cielo e ralternarsi del giorno e della notte.'"' In Russia una donna osň pulire il sedere del suo bambino con una frittella e da allora il grano produsse solo una spiga per stelo.'*" Preso i Mordvini cielo e terra erano uniti prima che una donna si lagnasse che il cielo impe- diva al fumO' di uscire dalla capanna.'*" I Votjaki raccontano il mito nella forma bulgara e russa della frittella.'**^ Il mito č conosciuto anche in Estonia.'*^ Comune alla redazione slava e finnica del mito č l'at- tribuzione dell'allontanamento del cielo a una donna. In una preghiera mongola si racconta che il fuoco ebbe oTigine da una separaizione del cielo dalla terra e la tradizione, nota in Cina e Giappone, sarebbe in relazione, secondo Harva, con la concezione indiana dell'universo come uovo, formato per metŕ di terra e per metŕ di cielo.Padre Schanidt ritiene invece che il mito dell'unione del cielo con la terra sia sorto nella cintura monsonica dove, nelle piogge stagionali, cielo e terra sembramo davvero confondersL'*" 1921, p. i7(y; V. Cajkanovic, Studije iz religije i folklora. SeZ XXXI. 1924, p. 58—59; Schneeweis, Grundriss, p. 222—223. Fer il costume della »seconda sepoltura« presso gli Slavi e i Finni, v. E. Gasparini, Il rito protoslavo della »seconda sepoiltura«, Comunic. al- l' Vili Congresso intern, degli slavisti, ed. »Ricerche slavistiche«, Roma 1958. '™ E. Gasparini, L'escarpolette, Atti dell' Vili" Congresso intern, di Storia delle Religioni, Firenze 1956, pp. 380—387. '™ Cajkanovic, Razprave, p. 152. Z e I e n i n , Derevenskaja socha, p. 4. '" Harva, Mordwinen, p. 160. M o Š k o V , Mirosozercanie, p. 196. '"^ L o o r i t s , Grundzüge, p. 389—390. Harva, Alt. Völker, p. 89. Thai, Khasi, tibeto-birmani. Flores, Celebes, Mindanao. Borneo, Roti, Nuove Ebridi, Polinesia, poi Egitto. Africa e mito di Urano nella Grecia prearia, v. W. Schmidt, Das Mutterrecht, Wien-Mödling 1955, p. 42—43. riserve in H. Baumann. P. Wilhelm Schmidt u. das Mutterrecht, »Anthropos« LUI, 1958, p. 215. 112 Questioni di mitologia slava Se l'idolo di Rjazan fosse mordvino, sarebbe impossibile separare la sua policefalia da quella del Porenutius di Karentia. Il Moszynski rileva la credenza degli Slavi e degli Ugri che l'anima risieda nella testa. La credenza č condivisa dai JakutP*" e trova espres-' sione nelle decapitazioni degli Slavi del Baltico e nella raccolta delle teste (... »capita, inquiunt, vult noster Pripegala«, — Lettera di Adel- got), come pure nel supplizio dello scalpo. Piů stabile del terreno religioso, sconvolto a piů riprese da correnti sciamaniche, iraniche e cristiane, č quello istituzionale del diritto con- suetudinario dove le corrispondenze tra Finni e Slavi si presentano numerose e sicure nei riti nuziali, nella costituzione della famiglia e nei regimi di proprietŕ. Moszynski, Kultura ludowa I, 1, p. 599 nota 2; G. Montandon, La civilisation Ainou et les cultures arctiques, Paris 1957, p. 207. 8 Slovenski etnograf 113 Evel Gasparini Povzetek /Z SLOVANSKE MITOLOGIJE 5. Neki HelmoldoD odstavek omenja pri Zahodnih Slovanih v 12. stoletju brezdelnega nebeškega boga. Domneva, da bi bil ta >nebeški< in »edinii: bog nastal pod vplivom kršcanstva, je bila zmotna. V enaki obliki ga najdemo pri Mordvinih (kakor tudi pri Ceremisih in pri obdorskih Ostjakih). Pod vplivom lunarizacije in manizma nebeško božanstvo zbledi in zaide, tako pri Slovanih kakor pri ugrofinskih narodih. 6. Helmoldov brezdelni nebeški bog ne more biti Perun-PerkUnas, ce dru- gega ne zaradi aktivnosti s strelo. Pri Liiavcih je bil Perkunas ostro locen od nebeškega boga (najvišjega in vsemogocnega) tudi v tekstih. Pri ugrofinskih in uraloaltajskih narodih ni nebeški bog tisti, ki ima v oblasti strele. Z ena- cenjem Peruna-Perkűnasa z indoevropskim nebeškim bogom (Zeus-Jupiter), oslanjajoc se na enak pomen pridevka (ime hrasta), so se lingvisti zmotili. 7. Lingvisti so pokazali, da je od Baltov naseljeno ozemlje v 4.-6. stoletju segalo proti jugu do Pripeta in Desne in tako delilo Slovane od Fincev. Dobro vidni verski paralelizem med Slovani in vzhodnimi Finci bi bil v takih raz- merah nerazložljiv. Zato je treba domnevati, da so še v starejši dobi Slovani živeli bolj vzhodno od krajev, kjer naj bi bili (po ne tako trdni kronologiji) v 4.—6. stoletju. Mordvini in Slovani so si morali izposoditi iz nekega iranskega govora (verjetno od Sarmatov in ne od Skitov) ime enega in istega, dolocenega božanstva: »bog