original scientific article UDC 316.7(497.15):821.111-992 received: 2011-01-31 IMMAGINANDO LA BOSNIA-ERZEGOVINA. LA LETTERATURA DI VIAGGIO BRITANNICA (1844-1912) Neval BERBER EURAC, Istituto di Comunicazione Specialistica e Plurilinguismo, via Druso 1, 39100 Bolzano, Italia e-mail: neval.berber@univr.it SINTESI L'articolo, partendo da! presupposto secondo il quale gli immaginari collettivi sulla Bosnia-Erzegovina venivano costruiti in relazione alle condizioni geografiche, politiche e sociali sia del paese occidentale di origine che del pa-ese sud-est europeo di arrivo, ha dimostrato che i viaggiatori britannici, quando scrivevano della Bosnia-Erzegovina tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi anni del Novecento, si servivano di un repertorio di immagini e di un 'discorso' peculiari e distinti rispetto a quelli tipici per i Balcani e detti'balcanisti' e per l'Oriente e detti'orientalisti' Parole chiave: Bosnia-Erzegovina, viaggiatori britannici, letteratura di viaggio, mappe mentali, Oriente, Balcani, balcanismo, orientalismo IMAGINING BOSNIA AND HERZEGOVINA. BRITISH TRAVEL LITERATURE (1844-1912) ABSTRACT The article stems from the assumption that the collective imaginary about Bosnia and Herzegovina was constructed in relation to on the geographical, political, and social conditions of the western country of origin and of the south-eastern country of destination. The analysis has shown that British travellers who wrote about Bosnia and Herzegovina between the second half of the 19th and the early 20th century used a repertoire of peculiar images and 'discourse' that were distinct from those typically Balkan and denominated 'balkanist' and those typically oriental and denominated 'orientalist'. Key words: Bosnia and Herzegovina, British travellers, travel literature, mental maps, Orient, Balkans, Balkanism, Orientalism I VIAGGIATORI BRITANNICI IN BOSNIA La prima ondata dell'interessamento moderno da parte dei viaggiatori britannici per la Bosnia-Erzegovina prese piede alla fine del Cinquecento per esaurirsi gia nei primi anni del Seicento1. La Bosnia-Erzegovina di questi viaggiatori era solo una tappa di un viaggio mol-to piu lungo che aveva per meta finale Costantinopoli. La rotta di cui si servivano per raggiungere questa citta, che sicuramente incuriosiva e affascinava ma nello stes-so tempo rappresentava una fonte di inquietudine per via dei successi ottomani che fino al 1682 sembravano inarrestabili, era quella che partiva da Venezia, prose-guiva lungo la costa dalmata e attraverso la catena montuosa della penisola balcanica, costringendo dunque i viaggiatori a fare una sosta d'obbligo anche in Bosnia-Erzegovina2. Un po' per il fatto che la Bosnia non rap-presento la meta finale dei viaggi balcanici, un po' per la brevita dei loro soggiorni bosniaci, i britannici che scrissero i primi resoconti di viaggio sulla Bosnia pre-sentavano testimonianze assai nebulose, che risultava-no essere imprecise anche quando riportavano notizie relative alle rotte di viaggio3. Nel Seicento, il fenomeno dei primi viaggiatori in Bosnia si arresto e cio era dovuto al cambiamento della rotta di viaggio per la quale si era optato tra Cinquecento e Seicento. Alle spesso impenetrabili strade dalmate e bosniaco-erzegovesi, per via delle foltissime catene montuose, si preferirono le rotte che muovevano dal nord, via Vienna e Budapest attraverso la pianura pan-nonica. Fu dunque questa circostanza di natura puramente pratica il motivo per cui fino al 1844 sembra non ci fossero stati dei viaggiatori britannici in Bosnia e, se pure ci fu qualcuno, non ci e pervenuta alcuna testimo-nianza scritta4. Dopo piu di due secoli di pausa, dunque, il 1844 segno l'inizio della seconda ondata dell'interessamento moderno dei viaggiatori britannici nei confronti della Bosnia-Erzegovina5. Cio fu determinato fondamental-mente dall'incremento dell'interesse pubblico britanni-co nel corso dell'Ottocento per la "European Turkey", incentivato, da un lato, dal nuovo approccio della politica estera britannica verso l'Impero Ottomano (a partire dagli anni Trenta) e, dall'altro, dal coinvolgimento della Gran Bretagna nella Guerra di Crimea (1854-1856)6. Questo interesse si solidifico nel 1856 con il Trattato di Parigi, quando la Gran Bretagna venne coinvolta anche ufficialmente nella Questione d'Oriente7. Non e un caso se gia un anno piu tardi, nel 1857, anche Sarajevo divenne la sede di un consolato britannico8. Se questo interesse venne avviato tra gli anni Quaranta e Cinquan-ta, esso si intensifico negli anni della rivolta contadina bosniaco-erzegovese (1875-1878), crisi che riacce-se l'interesse dell'opinione pubblica per la Questione d'Oriente, che dopo la fine della Guerra di Crimea, nel 1856, aveva avuto un momento di stagnazione. A diffe-renza dei periodi precedenti, in questi anni l'interesse dei viaggiatori britannici per la Bosnia-Erzegovina as-sunse una certa regolarita, mantenendosi in vita per lo piu grazie agli eventi che erano direttamente legati al contesto bosniaco-erzegovese, e che non erano solamente di matrice politica, ma anche scientifica e turisti-ca9. Tale interesse continuo fino al 1912, quando venne improvvisamente interrotto dallo scoppio delle Guerre balcaniche. In questo cinquantennio in cui i legami tra la Gran Bretagna da un lato e i Balcani e la Bosnia dall'altro as-sunsero una certa regolarita, i testi dei viaggiatori britannici vanno osservati nello scenario politico della seconda meta dell'Ottocento e dei primi anni del Novecento. Sebbene risulti assai difficile separare la sfera letteraria da quella politica, trattandosi di due campi di reciproca compenetrazione, per una maggiore comprensione di questo legame si e optato in questo saggio comunque di studiarli come se fossero due ambiti separati e indipen-denti. Si procederá, quindi, con uno studio specifico del 1 Secondo le ricostruzioni di Omer Hadziselimovic, i primi viaggiatori inglesi che hanno lasciato una traccia scritta sulla Bosnia erano, nel Cinquecento, Henry Austell e un certo Fox, e, nel Seicento, Peter Mundy e Henry Blount (si veda Hadziselimovic, 1989, 11-24). 2 Sulle rotte di viaggio nella penisola balcanica fino al Settecento (Kostic, 1972, 271-343). 3 Di questo ha scritto Hadziselimovic in riferimento al tour bosniaco di Peter Mundy (si veda Hadziselimovic, 1 989, 35). 4 Le rare informazioni sulla Bosnia che all'epoca circolavano, nelle enciclopedie, nei giornali o sulle rare carte geografiche della Gran Bretagna, riportavano per lo piu le informazioni d'interesse generale. Hadziselimovic ha inoltre dimostrato come il disinteresse dei viaggiatori verso la realta bosniaco-erzegovese coincideva con un'ignoranza generale dell'opinione pubblica britannica nei riguardi delle terre balcaniche (si veda Hadziselimovic, 1989). 5 Per la bibliografía sui viaggiatori britannici in Bosnia-Erzegovina tra 1844 e 1914 sono stati utili soprattutto i lavori di Hadziselimovic, 1989; Cuvalo, 1997; Jezernik, 2004; Jovanovic, 1908; Malcolm, 1994; Allcock et al., 1991; Goldsworthy, 1998. 6 Negli anni Trenta i britannici, per proteggere la propria supremazia imperiale che era stata messa in pericolo dall'emergere della Russia nel Vicino Oriente, organizzarono la propria strategia difensiva attorno a una politica riformista e protezionistica nei confronti dell'Im-pero ottomano (Anderson, 1966). 7 Sull'interessamento britannico per i Balcani nell'Ottocento si veda soprattutto Todorova, 1997, 89-115. 8 Il filoellenismo inglese, che porto un numero significativo di viaggiatori britannici in Grecia negli anni Venti, di cui i piu noti sono Byron e Benjamin Disraeli, fu un fenomeno che tocco solo marginalmente le altre regioni dei Balcani (Woodhouse, 1971; Todorova, 1997, 94-95; Goldsworthy, 1998). 9 Nel 1894, ad esempio, venne organizzato a Sarajevo un convegno internazionale di archeologi e antropologi, che vide anche la Gran Bretagna partecipare attivamente. Su questo congresso internazionale si veda Kapidzic, 1966, 265-286. ruolo esercitato dalla política sulla letteratura di viaggio tra l'Ottocento e i primi anni del Novecento. LA SCENA POLITICA E LO SGUARDO DEL VIAGGIATORE Quella che è stata chiamata la "Questione d'Oriente" corrisponde a un insieme di avvenimenti svoltisi tra il 1774 e il 1923, le cui caratteristiche essenziali sono lo smembramento progressivo dell'Impero ottomano e la rivalità delle grandi potenze nello stabilire il controllo e l'influenza sull'Europa balcanica e sui paesi riviera-schi del Mediterraneo orientale (fino al golfo Persico e all'oceano Indiano) e meridionale. L'inizio dell'interes-samento da parte della Gran Bretagna per le vicende dell'Impero ottomano in generale e per i Balcani in par-ticolare si consolido, come abbiamo anticipato, con la fine degli anni Cinquanta. Rispetto all'Impero asburgi-co, alla Russia e alla Francia, Londra venne coinvolta nella 'questione orientale' per ultima - tralasciando il tardo coinvolgimento di Italia e Germania, dopo le loro unificazioni nazionali - in un momento in cui le due alleate storiche, Russia e Austria, avevano già iniziato ad allargarsi alle spese del decadente Impero ottomano (Anderson, 1966; Jelavich, 1983). I britannici non avanzarono alcuna rivendicazione territoriale sui Balcani sotto l'amministrazione turca, ma decisero di interessarsi alla Questione d'Oriente in se-guito ai successi russi contro i turchi nei territori asiatici e soprattutto a causa dell'emergere della Russia nello scacchiere balcanico, prendendo a pretesto la protezio-ne degli slavi ortodossi (Jelavich, 1983). Questa decisio-ne fu condizionata anche dalla crescita coloniale della Gran Bretagna. Verso la fine del Settecento la Gran Bretagna era diventata la nazione leader nell'industria e nel commercio mondiale e dopo la disfatta di Napoleone e l'allargamento dei territori d'oltremare, divenne anche la più forte potenza coloniale. È risaputo che la sua politica da quel momento in poi fu diretta a consolidare il predominio della cosiddetta "pax britannica". Tra gli obiettivi principali c'era sicuramente la protezione della via delle Indie, dunque il controllo dell'istmo che divi-deva il Mediterraneo dall'Oceano indiano. In Europa, invece, tale obiettivo venne inseguito con la conserva-zione del sistema dell'"equilibrio tra le potenze", di cui l'Impero ottomano era diventato uno degli anelli fonda-mentali, ma che con l'emergere della Russia rischiava di guastarsi. Già negli anni Trenta dell'Ottocento si era optato a Londra per una politica che mirava a custodire l'integrità e l'inviolabilità dell'Impero ottomano, obiettivo consa-crato definitivamente nel 1856 da Palmerston, che opto per una politica di riforme nei confronti dell'Impero ottomano, credendo di poter in questo modo contrastare la Russia. La stessa linea politica venne adottata quale imperativo dai ministri successivi fino al 1874, anno in cui, con la salita al potere di Benjamin Disraeli, la politica britannica filo-turca perse l'enfasi liberale stabilitasi con Palmerston che, per contrastare il pericolo dell'a-vanzata russa, preferiva procedere con le riforme del sistema imperiale turco, e inizio ad essere associata con l'imperialismo conservatore e il desiderio di protezione degli interessi britannici nel Vicino Oriente. Questo è quindi anche il quadro della politica estera britannica entro il quale avviene la politicizzazione della letteratura di viaggio britannica sull'Impero ottomano, quindi anche sulla Bosnia-Erzegovina. La prima metà dell'Ottocento rappresento lo spartiacque non soltanto per la politica britannica nei confronti del Vicino Oriente, ma anche per la qualità della letteratura di viaggio sul Vicino Oriente e sui Balcani, che inizio a distinguersi per il suo carattere fortemente politicizzato (Todorova, 1997, 95). Difatti, dagli anni Trenta in poi i testi di viaggio inglesi raramente dissentivano dalla linea ufficiale filoturca del governo e furono quindi esplici-tamente a favore dell'Impero ottomano10. Questa situa-zione muto con il 1875, anno in cui le reazioni violente dei turchi nei confronti del rayah bulgaro e bosniaco-er-zegovese in rivolta cambiarono le principali correnti di pensiero dell'opinione pubblica in Gran Bretagna. Ma fino a quel momento, la prospettiva filoturca era assai radicata nella letteratura di viaggio britannica sulla Bosnia ed emergeva anche quando i viaggiatori ritenevano che il ritiro dei turchi dall'Europa fosse imminente. Sir John Gardner Wilkinson, infatti, pur facendo notare la decadenza dell'Impero ottomano, tra le pagine del suo resoconto sull'Erzegovina cerco comunque di rivalutare i turchi e la loro capacità di realizzare delle riforme sotto una direzione europea (Wilkinson, 1848, 85). Fino al 1875 i viaggiatori britannici in Bosnia, anche se percepivano chiaramente questo paese come una re-altà con una sua fisionomia distinta, nello stesso tempo lo continuavano ad intendere come una parte costitu-tiva dell'Impero ottomano. Non tutti espressero questa opinione con la stessa trasparenza. Se un George Ar-buthnot era più moderato, contemplando comunque la possibilità di un futuro economico rigoglioso per la Bosnia in caso di un riscatto morale dell'Impero ottomano (Arbuthnot, 1862, 34), qualche anno più tardi l'irlande-se James Creagh lo superava di molto in quanto a posi-zioni apertamente filoturche. Cio che distingue questo viaggiatore da Arbuthnot è sicuramente un dichiarato conservatorismo, le cui radici sono da ricercare nelle sue origini irlandesi di discendenza protestante. Infatti, anche se lascio la terra d'origine da giovanissimo, formandosi in Inghilterra, la sua autobiografía del 1901 (Creagh, 1901), cosí come lo stesso travelogue del 1876, testimoniano che egli non scordo mai l'Irlanda e che 10 Le posizioni filoturche di questi primi viaggiatori inglesi in Bosnia-Erzegovina sono state notate anche da Hadziselimovic (1989). persino interpreto questo viaggio bosniaco-erzegovese, in modo particolare il contesto politico e sociale che R trovo, usando il paradigma politico irlandese. Infatti, cos! come Creagh fu apertamente conservatore nelle sue posizioni relative alla questione irlandese della seconda metà dell'Ottocento, favorevole cioè ad un mantenimiento dello status quo nei rapporti tra Londra e Dubli-no, lo fu anche nell'osservare le dinamiche della Questione d'Oriente e le relazioni tra il centro e la periferia nell'Impero ottomano durante il suo viaggio negli anni Settanta11. Differentemente da Arbuthnot, che fece solo alcune osservazioni assai velate sulla continuità dell'Im-pero ottomano in Bosnia, Creagh offri apertamente il suo appoggio al governo turco in questo paese, persino sperando nella realizzazione di un governo dispotico che sarebbe stato in grado di mantenere l'ordine pubbli-co tra gli "ignorant peasants" di questo paese: A constitutional form of government given to the provinces of European Turkey, would be as useless to them as a knee buckle to a Highlander. For many years to come they must be governed despotically [...] Otherwise, the terror of summary and equal justice being unfelt, the ignorant peasants, constantly stirred up by unprincipled agitators, ascribe leniency, or even delay, which they think is hesitation, to fear; and object, like the misguided people of Herzegovina last summer, to pay the taxes. (Creagh, 1876, 136) Sia in Arbuthnot che in Creagh le posizioni filotur-che politiche in Bosnia avevano anche condizionato il loro sguardo sulla classe turca al potere, in veste militare o politica, in questo paese, nei confronti della quale espressero sentimenti di profonda stima professionale e a volte persino di solidarietà di classe. La ragione del viaggio in Bosnia di George Arbuthnot, per esempio, era la campagna militare di un pasha turco le cui manovre e strategia militari incontrarono l'apprezzamento del viaggiatore (Arbuthnit, 1862). E l'incontro di Creagh con il governatore per l'Erzegovina, aveva convinto questo viaggiatore del fatto che molti dei pasha turchi erano alla pari dei gentleman europei: "Many Turkish Pashas, like Mustapha, are inferior to no gentleman in Europe either in soldier like bearing, high sense of honour, or courtesy and elegance of manner" (Creagh, 1876, 64). Non tutti i viaggiatori filoturchi di questi anni vantavano questo stesso angolo visuale. Mentre questi viaggiatori spesso riscontrarono qua-lità positive nei turchi, essi demonizzarono ogni nemi-co dell'Impero ottomano - e non solamente i russi. Nel caso bosniaco cio è soprattutto evidente nelle descrizio-ni dei nobili "Bosniacs", che alla fine degli anni Qua-ranta organizzarono rivolte antiturche richiedendo uno status di maggiore autonomia per la Bosnia all'interno dell'Impero ottomano. Va ricordato che uno dei maggiori problemi politi-ci con il quale l'Impero ottomano dovette confrontarsi nell'Ottocento fu infatti quello delle richieste d'autono-mia amministrativa sempre piu insistenti da parte dei se-mi-indipendenti aga e beg musulmani che governavano le province del vasto impero. Le loro voci di protesta, che a volte venivano tradotte in vere e proprie rivolte armate, arrivavano a Costantinopoli in seguito ai tenta-tivi dei sultani "illuminati" di modernizzare il sistema imperiale amministrativo, economico e giudiziario, pro-muovendo nelle province - eyalet - ottomane leggi di ri-forma che erano apertamente ostili nei confronti di questi governatori locali e delle pratiche consuetudinarie che essi incarnavano. Paradigmatiche in questo senso sono le ribellioni armate di Ali Pasha di lonannina della Grecia nord-occidentale nel 1820 e di Muhammad Ali Pasha d'Egitto negli anni Trenta, ma anche quelle dei nobili bosniaci qualche anno piu tardi12, il cui spirito anticonformista e ostile alle riforme e alle leggi dei sultani "illuminati" vennero ricordati da Archibald Paton: "The Bosniacs, the last to embrace Islamism, opposed a more determined resistence to the European reforms of Sultan Mahmoud than any other of the inhabitants of the Ottoman Empire" (Paton, 1849, 169). I pasha bosniaci vennero successivamente stigmatizzati da James Creagh nella figura di Djezzar-Pasha di Acre. La sua immagine di "butcher" servi da paradigma a questo viaggiatore per richiamare la violenza dei "Bosniac Turks", cioe dei bosniaci mussulmani, piu in generale: Djezzar, Pasha of Acre, known, from his cruelties, as the Butcher, was a Bosniac. He co-operated with Sir Sydney Smith and Nelson against Napoleon: and the Emperor confessed that the determination of the old Slav changed the destiny of the French nation in the East. Through such men as these, but more particularly through the Janizaries, the Bosniac Turks exercised a powerful influence; which intimidated even the Pashas, who although nominally governing the provinces, feared to interfere with an old feudal aristocracy that flaunted standards which had been handed down from father to son for many generations, and even fought among themselves like independent princes. (Creagh, 1876, vol. 2, 64) Incontriamo cosl l'elemento della violenza associ-ato alla popolazione bosniaco-mussulmana, che tanta importanza avra nell'immagine pubblica della Bosnia che si fissera a fine secolo. Questo tratto del caratte-re dei mussulmani bosniaco-erzegovesi non era legato soltanto alle summenzionate proteste armate, ma anche 11 Le notizie biografiche su James Creagh sono state tratte da Creagh (1901). 12 Si veda il capitolo 10 "Resistence and reform" in Malcolm (1994, 119-135). alla 'scoperta', negli anni Settanta, dell'islam balcanico, e consequentemente dell'islam bosniaco-erzegove-se. Questo non solo si puó osservare nella letteratura di viaggio, ma anche in altre fonti, inclusi i resoconti geografici, che vennero pubblicati negli anni della Crisi Orientale (1875-1878). Il Geographical Magazine del 1876, in un articolo intitolato Servia, Bosnia and Bulgaria, pubblicava addirittura un rapporto relativo alla percentuale dei "Muhammedans" nella "Turkey in Europe". Ció che veniva presentato erano i dati geografici e le statistiche relative ai "Muhammedans" che abitavano nelle regioni del Sud-Est Europa ancora sotto ammini-strazione ottomana (Anonymous, 1876a, 257-261). Secondo Albert Hourani, nell'Ottocento gli europei percepivano l'islam o come una possibile via verso la conoscenza del divino, o come un "nemico" e un "rivale" del cristianesimo, anche se tra le due opzioni fu spesso la seconda a prevalere: At the beginning of the nineteenth century, Europeans who thought about Islam could take up two kinds of attitude towards it. They could see Islam as the enemy and rival of Christianity, using some Christian truths for its own purposes, or else as one of the forms which human reason and feeling have taken in their attempt to know and define the nature of God and the universe. (Hourani, 1992, 16) Anche secondo Edward Said, l'islam fu per gli occi-dentali a "lasting trauma" (Said, 1978, 5), un "nemico" dell'Occidente sin dai tempi delle Crociate che difficil-mente poteva essere rimosso. Nel contesto bosniaco, come abbiamo visto per esempio con Paton e Creagh, questo atteggiamento europeo-occidentale di ostilita si associó a un'immagine che mostrava i mussulmani bo-sniaci come una popolazione con una certa predisposi-zione alla violenza. Ció pare in qualche modo confer-mare le note tesi di Norman Daniel, secondo le quali l'islam, e tutto quanto venisse identificato con l'Oriente in generale, dopo che si era affermato nel Medioevo, ancora nell'Ottocento veniva associato alla violenza (Daniel, 1960). Ora, una differenza fondamentale tra l'immagine della violenza medievale, che nell'Occidente rappre-sentó i credenti mussulmani per secoli fino all'Ottocen-to, e l'immagine specifica della violenza dei mussulmani bosniaci nell'Ottocento c'era. Nel secondo caso, la violenza era ricollegata regolarmente all'origine "slava" dei mussulmani bosniaci. Cosí, anche se l'islam era la causa principale di certe generalizzazioni relative alla violenza dei mussulmani bosniaci, era il discorso razziale a dare una forma finale a quell'atteggiamento violento. Infatti, i viaggiatori inglesi, indipendentemente dal loro orientamento politico, rappresentavano i mus- sulmani bosniaci, specialmente a partire dagli anni della Crisi Orientale, come "Sclav", "Slav" o "Sclavonic", con tutte le implicazioni negative che ció all'epoca aveva13. In una situazione del genere, l'islam finí, agli occhi di molti commentatori, con l'aggravare ulteriormente la situazione. Questo ragionamento emerge con grande nitidezza dal travelogue di T.W. Legh's: Nowhere are the seclusion and veiling of women more strictly enforced, and in no portion of the Turkish dominions did fanaticism obtain a firmer foothold. The circumstance is all the more curious when it is remembered that the Bosnian Mussulmans are, strictly speaking, not Turks at all, but renegade Slavs, who are unacquainted with the Turkish language, and bear the same names as their Christian neighbours. There could be no more forcible demonstration of the transforming power of Islam (Legh, 1891, 471). Questi furono dunque alcuni degli eventi socio-cul-turali che servirono da coordinate per la maggior parte delle osservazioni dei viaggiatori. Rivolte e violenze, insubordinazione all'ordine costituito, ignoranza: tutto ció favorí un approccio filoturco nei travelogues di questo periodo, concretizzandosi in immagini che rappresentavano i bosniaci in termini per lo piu negativi, quali nemici dell'Impero e oppositori dell'élite turca, guarda-ta con piu simpatia. Qualcosa cambió con il 1875-1876. In quegli anni ebbero luogo le tristemente famose 'atrocita turche' con-tro la popolazione bulgara e bosniaco-erzegovese, le quali fecero sí che l'opinione pubblica britannica prima e l'arena politica poi venissero deviate dalle loro posizi-oni filoturche. Contrariamente ai tories al potere, tra le fila dei liberali si iniziarono a difendere le cause nazio-nali delle popolazioni slavo-cristiane oppresse, sia bulgare, che slavo-meridionali, quindi bosniaco-erzegove-si, serbe e montenegrine. Nel 1876 Gladstone pubblicó il suo pamphlet politico di toni provocatori, Bulgarian Horrors and the Question of the East, che lo mise a capo del movimento pubblico che incitava il governo a capo-volgere le posizioni pro-turche e a sostituirle con una politica di incoraggiamento dell'emancipazione delle popolazioni europee ancora soggette al dominio turco (Gladstone, 1876). Nel maggio del 1877 egli si espresse persino a favore degli slavi del sud nella House of Common, dichiarando che in futuro sarebbero stati loro a decidere della propria sorte politica nel futuro: A portion of those unhappy people are still as yet making an effort to retrieve what they have lost so long but have not ceased to love and to desire. I speak of those in Bosnia-Herzegovina. Another portion - a band of heroes such as the world has rarely seen 13 Per la visione razzista degli slavi nell'Ottocento in particolare vedi Mosse, 1978, 76. - stand on the rocks of band of Montenegro, and are ready now, as they have ever been during the 400 years of their exile from their fertile plains, to sweep down from their fastnesses and meet the Turks at any odds for the reestablishment of justice and peace in those countries. Another portion still, the 5, 000 000 of Bulgarians, cowed and beaten down to the ground, hardly venturing to look upwards, even to their Father in heaven, have extended their hands to you; they have sent you their petition, they have prayed for your help and protection. They have told you that they do not seek alliance with Russia, or with any foreign power, but they seek to be delivered from an intolerable burden of woe and shame. That burden of woe and shame - the greatest that exists on God's earth - is the one that we thought united Europe was about to remove14. Si tratto di un cambiamento di rotta di enorme por-tata che risulta facile seguire persino nei testi di viaggio di questi anni, i quali, seppure continuavano ad essere fortemente politicizzati, non erano piu solo filoturchi, bens! iniziavano ad essere caratterizzati anche da po-sizioni filoslave. L'empatia con i rulers turchi, atteggia-mento in precedenza predominante tra i viaggiatori bri-tannici nell'Impero ottomano nell'Ottocento, a questo punto spariva quasi completamente dalle pagine dei travelogues britannici nei 'Balcani ottomani'. Un autore anonimo che scrisse per The British Quarterly Review nell'ottobre del 1876 uso un resoconto di viaggio per appellarsi alle "Great Powers", affinche sostenessero i popoli delle terre che si erano ribellate ai propri "op-pressori" di cui anche la Bosnia faceva parte ("The lands which have risen against their oppressors, Bosnia, Herzegovina, Bulgaria, Crete, must be for ever set free from his yoke. So to set them free is the duty of the great powers of Europe [...]") (Anonymous, 1876b, 469). Da questo momento in poi, i viaggiatori in Bosnia-Herzegovina videro il futuro di questo paese nel quadro di uno stato degli slavi del sud capeggiato dalla Serbia. Fu soprattutto A. J. Evans a farsi promotore dell'idea di questo stato slavo-meridionale, che secondo lui avrebbe dovuto essere sotto l'egida della Serbia e in cui la Bosnia si sarebbe dovuta integrare (Evans, 1876). In questo per-corso, egli si fece guidare non solo dalle proprie impres-sioni di viaggiatore, ma anche da W. E. Gladstone, che nel corso del 1877 si schiero a favore di uno stato bulgaro indipendente. Le simpatie filoserbe caratterizzarono anche le posizioni di Paulina Irby. Irby, anche se gia da-gli anni Sessanta era impegnata in missioni educative ri-volte alla popolazione serba della Bosnia-Erzegovina, fu solo durante gli anni della campagna gladstoniana che arrivo a sviluppare una netta posizione politica favore-vole allo stato serbo, che avrebbe dovuto comprendere 14 Il discorso di Gladstone e tratto da: Morley, 1903, 1 75-1 76. anche la Bosnia. Questa viaggiatrice inglese giustificava infatti la necessita dell'adesione della Bosnia a quella che all'epoca era nota come la "Free Serbia" in base alla 'razza' d'appartenenza della sua popolazione. Secondo quest'autrice tutta la Bosnia, ossia tutti i bosniaci, erano discendenti dalla stessa 'razza', altrove definita anche come "Slavonic"(Muir Mackenzie et al., 1877, 75), che li accomunava ai serbi che abitavano in Montenegro, Ungheria e nella Dalmazia: "Its race [Bosnia's] is identical with that of Free Serbia, Old Serbia, and Montenegro, and with the Serbs of Hungary and Dalmatia" (Muir Mackenzie et al., 1877, 75). Tornando al rapporto tra arena letteraria, in questo caso pensando alla letteratura di viaggio, e quella politica, rileviamo che un chiaro sentimento filoserbo anima anche un travelogue piu tardo, del 1886, The Growth of Freedom in the Balkan Peninsula, il cui autore e un diplomatico britannico di nome James G. C. Minchin (Minchin, 1886). Ciononostante, la politica estera uffi-ciale continuo ad agire sotto l'influsso delle idee poli-tiche tories di Benjamin Disraeli, favorevoli all'integrita dell'Impero ottomano, opponendosi all'idea della con-cessione di un'autonomia statale alle popolazioni slavo-cristiane e seguendo cosí la linea politica decisasi nel 1856 e protesa a difendere gli interessi imperiali britannici. Questo tipo di atteggiamento emerse con maggiore enfasi proprio durante il Congresso di Berlino del 1878 e le trattative relative alla Bosnia-Erzegovina. Secondo un accordo tra l'Austria e la Gran Bretagna capeggiata da Disraeli, Londra venne accontentata nella sua richie-sta di ridurre le dimensioni del neonato stato bulgaro, in modo tale da assicurare l'integrita dell'Impero ottomano in Europa, mentre dovette concedere agli austriaci una parte limitrofa di questo stesso Impero, che non avrebbe comunque danneggiato l'integrita ottomana nei punti geografici nodali della rotta verso l'India, permetten-dole cosí di occupare la Bosnia-Erzegovina. Di questi sviluppi troviamo un'eco nelle testimonianze dei viaggiatori conservatori attivi nel periodo immediatamente successivo a questa occupazione, con posizioni favore-voli all'occupazione della Bosnia dall'Austria-Ungheria, quindi chiaramente in sintonia con la politica decisional di Disraeli (Lang, 1879, 657). Nemmeno la salita al potere di Gladstone nel 1880 altero questa condotta politica britannica stabilita da Benjamin Disraeli per la parte occidentale dei Balcani. Gladstone opto infatti per una politica di collaborazione con l'Austria, abbandonando quindi il suo progetto politico filoslavo che aveva avanzato da liberale negli anni della campagna elettorale e che gli aveva permesso di riprendere la guida del paese, e continuando a condurre una politica filoturca, almeno fino al 188215. Di con-seguenza, una Bosnia nell'Impero austro-ungarico non venne mai messa in dubbio da Gladstone. Questo pro- babilmente contribuí alla diffusione, a partiré dagli anni Ottanta, di un sentimento filoaustriaco tra i viaggiatori britannici di ogni orientamento politico, sia liberali che conservatori. Si tratto di una progressiva scomparsa de-gli slavofili favorevoli ad una Bosnia nel quadro di una Serbia ampliata. Cio ricordava il destino dei filoellenici inglesi del 1827 che, benché avessero appoggiato l'in-dipendenza greca durante la guerra scoppiata nel 1821, gia verso la sua fine avevano iniziato progressivamente ad allontanarsi da quella posizione, per poi abbando-narla completamente. Questi esempi di interazione tra eventi diplomatici e bellici da un lato, e letteratura di viaggio dall'altro, ci danno una traccia dell'intreccio dal quale si origina l'immaginario pubblico di un Paese, in questo caso la Gran Bretagna, nei confronti di un altro, in questo caso la Bosnia-Erzegovina. Scegliere di visitare un Paese, o di scrivere su di esso, porta gia con sé una serie di no-zioni e rappresentazioni derivate dal piu ampio contesto sociale in cui l'autore opera. Giudicare i bosniaci 'inferiori' ai turchi, giudicarli capaci di autogovernarsi o meno, aggregarli a un impero piu 'orientale', come quello ottomano, o a uno piu 'occidentale', come quel-lo asburgico, sono prese di posizione che hanno forti ricadute nei testi che si scrivono, nella rappresentazione di quei territori e delle persone che li abitano. Per quanto riguarda il posizionamento dei viaggiatori britannici in favore o meno dell'inclusione della Bosnia nell'Impero austriaco, riferiamo solo brevemente che Robert Hamilton Lang fu il primo, nel 1879, ad esprimersi nettamente a favore (Lang, 1879, 663), men-tre dopo il 1882 il numero dei viaggiatori in Bosnia con simili posizioni apertamente filoaustriache aumento considerevolmente. E' sicuramente il caso di William Miller, nel 1898 (Miller, 1898, 1289), e di Ellinor F. B. Thompson, nel 1907, la quale giudicava la Bosnia non ancora pronta per l'autogoverno (Thompson, 1907, 700). E questo parte di uno sguardo che tradisce la con-vinzione di una 'superiorita' europea, piu precisamente europeo-occidentale, nei confronti di popolazioni collocate alla periferia della 'civilta' e che rivela l'esistenza di un discorso britannico peculiare per questo paese che analizzeremo nel prossimo paragrafo. LA BOSNIA E ORIENTE Come hanno affermato alcune ricerche di geografia postmoderna, lo spazio e composto anche dalle relazioni sociali che di esso fanno una dimensione dell'esistenza umana intrisa di potere e di simbolismo: as a result of the fact that it is conceptualized as created out of social relations, space is by its very nature full of power and symbolism, a complex web of rela- tions of domination and subordinations, of solidarity and co-operation. (Massey, 1994, 265) Tale consapevolezza geografica postmoderna, e presente anche negli studi che recentemente hanno inda-gato le relazioni di potere politico-culturali all'interno della stessa Europa. Queste, infatti, sono state studiate a partire dagli aspetti simbolici dello spazio geografico europeo, che lo hanno diviso secondo le coordinate est-ovest. Fra i primi a distinguersi in questo campo d'indagine e stato Larry Wolff con il suo Inventing Eastern Europe (Wolff, 1994). Nonostante le numerose critiche, lo studio di Wolff rimane un valido punto di riferimento per tutti coloro che decidono di indagare gli immaginari collettivi occi-dentali relativi allo spazio geografico europeo degli ultimi tre secoli. Applicando la cornice teorica del pioni-eristico studio di Edward Said, Orientalismo, Wolff ha dimostrato come nel Settecento l'Ovest europeo abbia 'inventato' un Est europeo come un suo "complementary other half". Da questo momento in poi, secondo Wolff, ad un'immagine dell'Ovest inteso come uno spazio intriso d'alti valori morali e civili, gli europei occi-dentali hanno iniziato ad opporre un'immagine dell'Est europeo inteso come violento e barbaro, abitato da genti selvagge e primitive che venivano percepite come inferiori in termini di civilta. Con questo processo di 'costruzione' di uno spazio europeo-orientale selvaggio nell'Illuminismo si sarebbe svolta, secondo lo studioso, una ri-scrittura delle mental maps europee occidentali, passando da una antica divisione nord-sud a una moderna divisione est-ovest. Significativamente, Wolff giustifica l'avvento di una nuova mappatura dell'Europa a partire dall'invenzione della nozione occidentale di "civilization", il neologismo settecentesco che l'Occidente ha potuto affibbiarsi proprio grazie all'invenzione contemporanea dell'O-riente europeo come il proprio complemento negativo. Tuttavia, in Inventing Eastern Europe non solo l'evol-versi del concetto di "civilization" viene individuato come momento cruciale per la nascita dell'idea di un polo negativo dentro l'Europa; molta importanza viene data al posizionamento geografico dell'Est Europa, come "Europe but not Europe". Secondo Larry Wolff, infatti, era proprio tale "ambiguous location" geografica dell'Est Europa, spesso identificata anche con il concetto di frontiera, a rendere possibile tra gli occiden-tal-europei l'invenzione di uno spazio arretrato e poco evoluto che avrebbe mediato tra i poli della 'civilta' e della 'barbarie': "It was Eastern Europe's ambiguous location, within Europe but not fully European, that called for such notions as backwardness and development to mediate between the poles of civilization and barbarism." (Wolff, 1994, 9) 15 Nel 1882, con l'occupazione britannica dell'Egitto, le relazioni anglo-turche si guastarono, portando il sultano Abdul Hamid a diffidare della politica estera di Gladstone (si veda Anderson, 1966, 224). Il concetto di "terra di passaggio" lo ritroviamo in Imagining the Balkans di Maria Todorova, l'altro studio che come si è già detto ha cercato similmente di de-costruire le relazioni sociali e di potere dello 'spazio europeo', studiando nello specifico le immagini dei Balcani sud-est europei e della sua gente (Todorova, 1997, 16). Todorova studia il balcanismo in opposizi-one all'orientalismo saidiano, enfatizzando che anche se il discorso principale che costruisce i Balcani come un'alterità in Europa nasce in contemporanea con l'orientalismo moderno analizzato da Said, non deve es-sere considerato una sua semplice sottospecie, bensï un discorso che rispetto a quest'ultimo si evolve indipen-dentemente. Tra le caratteristiche che secondo Todorova distinguono l'alterità balcanica da quella orientale trovi-amo, richiamando da vicino le tesi di Wolff sull'Europa orientale, proprio il "transitionary status" dei Balcani. Cosí, mentre l'orientalismo ha percepito l'Ovest e l'Est come due entità incompatibili, "incompatibile entities, antiworlds, but completed antiworlds", il balcanismo ha concepito la natura dei Balcani come liminale. Per de-scriverli ci si è spesso avvalsi dell'immagine di un ponte o di una crocevia, come zona di transizione tra i vari "stages of growth", invocando "labels such as semide-veloped, semicolonial, semicivilized, semioriental" (Todorova, 1997, 16). Ora, tenuto conto di quanto appena esposto, ció che colpisce dell'immagine della Bosnia tracciata dai viag-giatori inglesi degli anni Settanta è che essi non associ-ano questo paese all''Est Europa' individuato da Wolff e che, in relazione a queste terre, manca il concetto di "terra di passaggio", cioè la loro ubicazione a cavallo tra l'Europa e l'Asia, che invece abbiamo visto essere la caratteristica principale dei costrutti simbolico-geogra-fici individuati da Wolff e da Todorova. Al contrario, la Bosnia-Erzegovina rappresenta una costruzione culturale associata direttamente all'Asia o addirittura all'Africa, assumendo tra i britannici tutte le qualità di una terra incompatibile con l'Occidente europeo e prendendo le sembianze di un Oriente radicalmente "altro". Questa costruzione della Bosnia come un 'Oriente autentico' in Europa si svolge, non di certo casualmente, in contemporanea con la formulazione occidentale di un preciso "intellectual artifice of ideological self-interest and self-promotion" (Wolff, 1994, 14), cioè di quell'immagine moderna dell'Oriente che, come ha mostrato Edward Said e la corrente di studi che a lui si sono ispirati, avviene proprio nel momento in cui i viaggiatori britannici visitarono la Bosnia, ossia alla fine dell'Ottocento (Said, 1978). L'immagine orientalistica della Bosnia è, infatti, una creazione culturale che ri-flette tutte le caratteristiche dell'immagine occidentale dell'Oriente e che quindi non puó essere studiata come un fenomeno da esso indipendente. L'associazione del-la Bosnia ai paesi extra-europei è la prima caratteristica che accomuna l'Oriente delle analisi di Edward Said all'Oriente dei viaggiatori inglesi in Bosnia-Erzegovina. Sono molti, infatti, gli esempi dei viaggiatori britannici degli anni Settanta che associano la Bosnia ai paesi dell'Asia e dell'Africa, 'creando' in questo modo, dal punto di vista della geografia immaginaria, un 'Est autentico' in Europa. James Creagh, ad esempio, accosta questo paese all'India, precisamente all'"Hindustan", che tra i britannici, come e risaputo, raffigura una terra orientale per antonomasia: il viaggiatore "might wander by land to the centre of Hindustan without seeing any great difference in a mode of life which is so much the same all through the East". La sua Bosnia, da lui sintomaticamente chiamata "Turchia" ("When the Save is crossed the traveller is in Turkey"), secondo un processo d'omologazione caratteristicamente orientalista, viene persino associata alle citta indiane, in modo particolare a Hyderbad: "that Indian fakirs often come to Brod, and feel as much at home as they do in Hyderbad" (Creagh, 1876, 59). Paulina Irby e Humphry Sandwith, dal canto loro, sono assai piu espliciti nelle proprie associazioni: nell'osservare la Bosnia, rimandano continuamente all'Asia, quella "piu selvaggia", secondo le parole di Irby, e "assai musulmana" secondo Sandwith. Cosl, Paulina Irby osserva come la Bosnia, seppure geograficamente sia molto vicina alla "civilta europea", per quanto concerne le condizioni sociali e la piu barbara di tutte le provincie della Turchia europea: "In geographical position the nearest to European civilisation, but in social condition the most barbarous of the provinces of Turkey in Europe". Secondo questa viaggiatrice il paese ostenta "a savage and Oriental aspect" e il viaggiatore non puo fare a meno che pensare di trovarsi nelle parti piu sel-vagge dell'Asia: Bosnia, including Turkish Croatia and Herzegovina [...] interposes a savage and Oriental aspect between the Dalmatian shores of the Adriatic and the advancing culture of Serbia, Hungary, and Croatia. Cross the frontier from these lands, and you may fancy yourself in the wilds of Asia. (Muir Mackanzie et al., 1866, 1) Per Humphrey Sandwith, la Bosnia e rassomigliante all'Asia persino nel paesaggio: "As I ride along the glens and by the slopes of the hills, I am perpetually reminded of Asia" (Sandwith, 1873, 704). Ma non solo, poiche egli pone questo Oriente in contrasto con il proprio paese d'origine anche in termini culturali, prima associan-dolo a Timbuktoo e poi descrivendolo come "piu mu-sulmano" di qualsiasi altro posto asiatico da lui visitato: I scarcely exaggerate when I say that you would see hardly a greater contrast in everything if you were transported from an English village to Timbuktoo. I have travelled to very remote parts of the Turkish empire, amongst the Nomads of Mesopotamia, and the Kurds on the Persian frontier, yet never did I feel myself in a more Moslem and Asiatic country than now, with an exception there was a very fair road. (Sandwith, 1879, 698) Arthur J. Evans, a sua volta, ritrova in Bosnia "le scene familiari dell'Asia e dell'Africa": Travellers who have seen the Turkish provinces of Syria, Armenia, or Egypt, when they enter Bosnia, are at once surprised at finding the familiar sights of Asia and Africa reproduced in a province of European Turkey. (Evans, 1876, 89) E mentre ci riferisce che i bosniaci si autodefini-scono in opposizione all'altra sponda del fiume Sava, chiamandola "Europa", egli associa 'specularmente' la Bosnia all'Asia: "The Bosnians themselves speak of the other side of the Save as 'Europe', and they are right; for to all intents and purposes a five minutes' voyage transports you into Asia" (Evans, 1876, 89). Sembra fossero convinzioni diffuse: un viaggiatore anonimo, che scri-veva per "The British Quarterly Review", paragono la Bosnia al Kurdistan: "The general aspect of Bosnia and Herzegovina is quite as barbarous as that of the wildest part of Kurdistan" (Anonymous, 1876a, 90). Un fattore di grande rilevanza in quest'opera di po-sizionamento geografico-simbolico della Bosnia-Erze-govina e legato ad una parallela 'scoperta' degli anni Settanta, ossia la presa di coscienza da parte dei viaggi-atori britannici dell'esistenza in quel paese non tanto di musulmani turchi, bens! di slavi islamizzati. Cio ha cer-tamente influito sulla rappresentazione di una societa non solo 'amministrata' da funzionari musulmani, ma abitata da una popolazione islamizzatasi. Un 'corpo islamico' indigeno nel cuore dei Balcani semi-europei, gia di per sé a cavallo tra due mondi e i valori ad essi connessi. A questo proposito, Louis Massignon, una delle voci piu autorevoli nel campo dell'orientalistica moderna, sostiene che la differenza tra Ovest ed Est corrisponde alla differenza tra modernita e tradizione (Said, 1878, 264-266). Tale affermazione di Massignon risale al 1951 e in sé riunisce i contenuti di quel pensiero orientalista dell'Occidente che secondo Edward Said ha plasmato a partire dal Settecento l'immagine moderna di un Oriente tradizionalista e arretrato. Sebbene l'asimmetria dei due poli culturali del pensiero di Massignon sia gia sta-ta criticamente analizzata da Said, solo negli anni piu recenti si e visto piu in profondita come la tendenza orientalista a paragonare ed opporre il carattere tradizi-onale dell'Oriente alla modernita della civilta occidentale nei paesi dell'Occidente veniva posta soprattutto in termini religiosi, cioe a partire da una visione dell'islam come un'istituzione che nella propria essenza ostacola-va la "liberta", il "progresso" e l'umanesimo incarnati dall'Europa illuminista: Although modern orientalists rarely engage in overt propaganda, and have adopted a more secular and detached tone, they have still been concerned to contrast Islamic society and civilisation with their own, and to show in what the former has been lacking. In particular, they have been concerned to emphasise the absence of 'liberty', 'progress' and humanism in classic Islamic societies, and in general to relate the reasons for this alleged absence to the religious essence of Islam. (Talal, 1970, 115) Anche Charles Issawi, parlando dello 'shift' otto-centesco nella percezione delle societa e civilta orientali nell'Occidente, caratterizzato da un passaggio dall'atteggiamento di rispetto a quello di disprezzo, ha fatto notare come all'epoca degli imperialismi europei si e spesso proceduto verso una ricezione dell'islam come principale ostacolo al progresso. Cio, secondo questo studioso, era anche dovuto al fatto che nei paesi musulmani occupati dalle forze europee la resistenza spesso veniva organizzata nelle moschee o attorno ai nuclei delle confraternite religiose (Issawi, 1998, 148). La letteratura di viaggio inglese che si rivolge alla Bosnia con una retorica di tipo orientalista, traducen-do l'immagine di questo paese in quella di un'alterita orientale tradizionale e arretrata, non solo abbonda di immagini che mostrano queste terre e la sua gente come un baluardo di tradizioni orientali, specchio fedele dell'alterita orientale tradizionalista e arretrata discussa da Massignon, bens! individua precipuamente nell'islam il movente di tale condizione orientale arretrata. Sono significative a questo proposito le parole del resoconto di viaggio di Paulina Irby. Confermando appieno la tesi di Talal Asad e di Charles Issawi, Irby persino percepisce i bosniaci di religione musulmana come intolleranti nei confronti della modernita; secondo la viaggiatrice, infat-ti, il loro atteggiamento nuoceva a chi nel paese avrebbe voluto procedere sulla strada della "innovation": The Pravoslav Christians of Bosnia are merchants, small tradesmen, and farmers. Some few Christians have attained to the possession of landed property; but the Mussulmans cannot endure the innovation and they do their utmost, usually with success, to prevent the ghiaour from acquiring land, or to dispossess him if he has accomplished the purchase. (Muir Mackanzie et al., 1866, 8) A questo punto e opportuno ricordare che i viaggia-tori britannici non hanno solo percepito la Bosnia come uno spazio orientale in senso geografico, associandola al mondo africano o asiatico; nei resoconti di viaggio troviamo anche numerosi esempi testuali che enfatiz-zano l'orientalita culturale della Bosnia. Cio e suggerito a partire da un'immagine di questo Oriente visto come una regione che persiste nel mantenimento dei costumi tradizionali provenienti dal mondo islamico ed ottoma- Fig. 1: Scena d i vita quotidiana in Bosnia-Erzegovina (Evans, 1876, 117). SI. 1: Prizor iz vsakdanjega življenja v Bosni in Hercegovini (Evans, 1876, 117). no. Cosl, il risultato finale e I'immagine di un Oriente culturalmente remoto, al cui interno si muovono donne velate e uomini oziosi con i turbanti e sul cui sfondo si trovano le moschee musulmane addobbate da minareti. Anzitutto, il processo di 'orientalizzazione' della Bosnia-Erzegovina e gia presente nel nome con il quale viene chiamata la popolazione: "The streets and the bazaars are crowded with Orientals of different nations; and besides Greeks, Jews, Christians, and Turks, I saw several Indian Mussulmans" (Creagh, 1876, 100-101). Cio che pero con piu insistenza suggerisce questo 'Oriente europeo' e un'immagine del paese che conserva pratiche e credenze di stampo tradizionale, che ne "the immediate neighbourhood of Christendom has no effect on the habits, manners, customs, or religion of the Turks" (Creagh, 1876, 100-101), ne i segnali di moder-nizzazione provenienti dalle altre parti del vasto Impero ottomano potevano alterare. Cosl la popolazione mussulmana della Bosnia e mostrata come ostile nei confronti del fez, che a partire dall'anno 183916 fungeva da simbolo della progressiva modernizzazione dell'Impero ottomano: "As to the introduction of fezzes, the Imperial order almost provoked a revolt here; and to this day among Mahometans the fez is almost confined to officials, the rest of the believers going about in the capacious turbans of the East" (Evans, 1876, 89-90). Mentre in questa citazione vedi-amo Evans riferirsi ai turbanti dei ceti alti, Sandwith lo fa parlando dei ceti piu bassi: "towards evening [we] reach the gloomy town of Tchabtji, a small place with a small bazaar, in which big turbaned Moslems sit all their lives waiting for customers who appear rarely to come" (Sandwith, 1879, 702). In alcuni casi il turbante degli uomini viene affian-cato al velo delle donne ("women completely covered in long white winding-sheets, glide stealthily from house to house" (Creagh, 1876, 58)) o alla "maulouka", un mantello turco tradizionale, degli uomini, come ci mo-stra in modo esemplare anche questo passaggio tratto dal travelogue di Evans che richiama il tradizionalismo dell''Oriente europeo' proprio a partire dal vestiario del-la popolazione: In no other European province of Turkey is the veiling of women so strictly attended to. It is said that not long ago the fine egg-shaped turbans of the Janissaries might still be found in Bosnia, and the Maulouka, the most precious of all mantels, which had died out elsewhere, long survived among these Bosnian Tories. (Evans, 1876, 89-90) Quest'immagine della Bosnia come baluardo delle tradizioni tipicamente ottomano-islamiche si arricchi-sce di un ulteriore elemento "orientalistico", con rife-rimenti alla presunta inclinazione all'inerzia e all'ozio dei bosniaci musulmani. A nostro avviso e proprio quest'immagine quella che richiama piu di ogni altra l'idea della Bosnia come un Oriente decaduto ed incivile: "Sic transit Gloria mundi", amaramente chiosa in un passaggio Evans (Evans, 1876, 116). E suggestivo in questo senso il travelogue di James Creagh, in un passaggio in cui egli stesso mostra di essersi sottoposto all'ozio 'orientale': "I sat on a cushion in its verandah, inhaling the soothing fumes of a long hookah", non mancando di soffermarsi su certe figure come gli "shopkeepers" che, seduti sui tappeti turchi a gambe incrociate, fuma-no le lunghe pipe "in true Eastern fashion", associando questo 'dolce far niente' all'Oriente e cosl alla Bosnia: "the shopkeepers deal in open stalls in front of their houses, and sitting with their legs folded under them on Turkey carpets, smoke long pipes in true Eastern fashion"(Creagh, 1876). Lo stesso effetto e prodotto da una scena richiamata da Paulina Irby, la quale descrive la "tcharsia, or bazaar", come un posto dove "were sitting turbaned Turks, cross-legged, in their shops before the usual paltry stores of water melons, Manchester cottons [...] and little coffee cups" (Muir Mackanzie et al., 1866, 25). Anche Evans osserva il tradizionalismo dei costumi dei cosiddetti "turchi" della Bosnia in un "café" della citta di Tesanj, che paradigmaticamente richiama l'ozio e l'inerzia di cui si e detto sopra: From here I adjourned to a neighbouring café, discovered by entering another stable and climbing 16 In questo'anno venne proclamato da Abdülmecid I l'Hatt-i Serif, editto imperiale che rappresento il punto di partenza per un vasto programma di riforme che sarebbe culminato nella prima costituzione ottomana del 1876. another ladder, [...] I found myself amidst a bevy of comfortable Turks, who were alternately sipping their mocha and smoking their long chibouks, - for they belonged to the old school, and were robed in flowing dressing-gowns and surmounted with pompous turbans. (Evans, 1876, 118) In un altro passaggio del travelogue, Paulina Irby addirittura individua un'"absence of life" tra i musul-mani della Bosnia, quel sentimento di apatia che tra il Settecento e l'Ottocento veniva considerato come ca-ratteristicamente orientale e spesso affibbiato proprio ai musulmani. Nel descrivere alcuni "festeggiamenti" a Trebevic, dopo aver introdotto gli uomini che indossano "red turbants" e le donne "in white veil", scrive: "They sit in separate companies smoking and drinking coffee, and there is a striking absence of life among them" (Muir Mackanzie et al., 1866, 8-9). Concludendo, la Bosnia, che era per molti versi de-cisamente immersa in un ampio contesto islamico, dal quale emanavano tutta una serie di abitudini e di costu-mi islamici che si sarebbero radicati fino ai giorni nostri nelle sue forme piu diversificate, veniva sottomessa a partire dagli anni Settanta da parte dei viaggiatori britan-nici a un processo di netta 'orientalizzazione'. Superato dunque il mitico fiume Sava, si arrivava, secondo Cre-agh, "In Eslamiah [where] the long and graceful minarets of Turkish mosques point upwards among the trees" (Creagh, 1876, 46) e, secondo Sandwith, nella terra "of an Asiatic despotism" (Sandwith, 1873, 702). Questo atteggiamento orientalista non si fermo con gli anni Settanta. Esso continuo a riprodursi anche nei viaggiatori degli anni successivi, che conobbero questo paese sotto l'amministrazione austriaca. Lo possiamo osservare anzitutto nelle rappresentazioni delle citta bosniaco-erzegovesi. Sin dal loro nome le citta quali Doboj, Jajce, Mostar e naturalmente Sarajevo vengono orientalizzate e quindi denominate "Oriental towns": The profound solitude, the virgin-like nature of the vast wilderness, are broken here and there by Oriental towns, mediaeval castles and keeps, and widely scattered, picturesque villages, wherein dwell a dignified and proud people, of inflexible courage, ever ready for war or song [...]. (de Asboth, 1890, vii) I viaggiatori ritrovano le "note" scene dell'Est anche quando passeggiano per le strade di queste citta. Un viaggiatore irlandese, Patrick Barry, nella citta di Mostar riconosce le prime apparizioni dell'"Oriente": "The town of Mostar, except for its pretty situation by the mountains, did not interest me much. For travellers unfamiliar with Asia it opens up the first glimpses of the East" (Barry, 1906, 240). Inoltre, come fanno notare gli altri, questo Est gia convive in parte con l'Ovest, ma non per questo cambia le sue abitudini: Fig. 2: Scena di vita quotidiana in Bosnia-Erzegovina (Muir Mackenzie, Irby, 1877, 310). Sl. 2: Prizor iz vsakdanjega življenja v Bosni in Hercegovini (Muir Mackenzie, Irby, 1877, 310). Here, early in the day, you will find the East and the West elbowing one another - smart Austrian officers and strapping Hercegovinians, Albanians with their braided white trousers and shaven heads, tall Montenegrins from over the border, and a sprinkling of Dalmatians, easily distinguishable from the rest by their tiny scarlet caps. (Miller, 1898, 134-135) Oggetto di trattazione sin da subito e anche l'estetica che caratterizza questi luoghi "orientali", un'estetica che si oppone alla "Western school" ed e animata da una certa "vitalita" che viene definita "orientale" e da luogo a un'"infinita varieta": The great bulk of the houses here are not like those "in Europe", governed by circle and line, after the Western school; Oriental freedom reigns, intolerant of all monotony: everything is lively, and adds to the endless variety. On the near side of the water, to the right, the massive pile of the cathedral belonging to the Greek Church is seen; on the further, just facing us, that of the Konaks; but the real enchantment of the picture lies in the minarets, which rise white and slender in countless numbers. (de Asboth, 1890, 14-15) La capitale bosniaca, Sarajevo, e quella che attira maggiore attenzione ed e significativamente detta anche la "Damascus del Nord". Oltre ad essere definita il "centro dell'Est" ("At last we reached the town, and found ourselves in the very centre of the East"), ostenterebbe nel suo aspetto esteriore un Oriente eterno, che nemmeno la presenza della "Austrian Sarajevo" nelle vicinanze immediate avrebbe potuto triascinare nel tempo presente ("Yet side by side with Austrian Sarajevo is Turkish Sarajevo [...] - the unchanged Orient" (Holbach, 1910, 89-90)). Altri autori sottolineano come Sarajevo, nonostante il numero elevato delle case moderne, costruite sotto la nuova amministrazione, continuasse ad essere una capitale tipicamente "Turkish" ("The number of newly built modern houses, and houses in the course of construction, has not been able as yet to rob Serajevo of its character of a Turkish capital" (de Asboth, 1890, 11)), cosa che traspariva anche dai suoi "fascinating bazaar and its venerable mosques, purely Eastern at heart" (Thompson, 1907, 685). Per questo motivo i viaggiatori riconoscono in questa citta anche molti scenari che definiscono di sapore "pitto-resco": "Sarajevo is beautifully situated on the slopes of the hills [...] The distant view of glistening minarets peering out from amongst the foliage of the gardens is very picturesque" (Lang, 1897, 657). Le citta bosniache sembrerebbero inoltre ostentare uno scenario del "mystery" tipico dell'Est. Cruger Coffin, in un articolo che porta un titolo che e tutto un programma ("Where East Meets West"), dopo aver visitato anche la citta bosniaca piu a nord, ossia Banjaluka, entra nei territori ungheresi e con un velo di tristezza e di nostalgia ricorda il "mistero" dell'Est che ha dovuto lasciare per ritrovarsi nella "worthless" quotidianita del mondo ungherese: "The East, its scenery, mystery, and costumes were left behind; the crown lands of Hungary through which we passed seemed worthless in comparison and the every-day life to which we were returning remarkably tame" (Cruger Coffin, 1908, 339). Naturalmente, sono molti anche i lati negativi che i viaggiatori ritrovano nelle citta di questo 'Oriente europeo', come, per esempio, le strade strette e "affollate": "[Sarajevo] presenting a lively appearance with its richly caparisoned teams, the horses trotting along to the tinkling of multitudes of tiny bells, its groups of begging or fiddle-scraping gipsies, its women in white gowns" (Go-edorp, 1902, 499). Alcuni addirittura ricordano come la "crowd" avesse il potere di sciupare la "bellezza" tipica dell'Oriente: "like all Oriental towns, the conception of beauty which we had formed, is dispelled as soon as we enter the crowded and dirty streets" (Legh, 1891, 657). Tra le caratteristiche negative di questo Oriente figura "peculiarmente" la sporcizia: "The dilapidated looking houses, with their wooden kiosks, dingy from age, protruding over the narrow streets, gives to Sarajevo the impression of poverty and dirt that is peculiar to all Eastern towns" (Lang, 1879, 657). Non poteva mancare in questo catalogo negativo il disordine, che raggiunge le sue punte di massima visibilita nei mercati e nei negozi ("In the little square of the quarter situated on the flank of the mountain dominating the superb valley are to be seen better-stocked shops - general emporiums, so to speak, where are jumbled together articles of luxury, musical instruments, clothes, saddlery, leather-work, and kitchen utensils" (Goedorp, 1902, 498)), e che a volte viene ac-compagnato da un consistente rumore: "through steep and winding and narrow ways [Sarajevo], over small paving-stones, surrounded on all sides by the many-col- oured, noisy, vivacious street-life of an Oriental city" (de Asboth, 1890, 11). Ma non solo le città sono orientali. Gli abitanti, con la già nota retorica orientalista, vengono estrapo-lati dal loro contesto storico e descritti attraverso i già noti topoi orientalisti, la noia e l'ozio. Cos!, per alcuni la noia diventa la condizione "normale" dei mussulmani ("their normal state of utter boredom" (Miller, 1898, 499)). L'immagine che ancora una volta richiama la quotidianità di questa gente è quella che li vede o dediti ai loro caffè o a pregare il loro Dio: "Jaice is peopled with Moslems, squatting in Moorish cafés sipping coffee or quietly praying to Allah" (Goedorp, 1902, 499). E nemmeno la popolazione cristiana della Bosnia si puo sottrarre ad un simile processo di orientalizzazione: la Hobach, per esempio, descrive una scena che si svolge nella chiesa di Mostar, dove i devoti avevano assunto posizioni tipicamente orientali: "sitting cross-legged on the round in Oriental fashion; many, I noticed, like the Turks in the mosques, came provided with prayer carpets [...]" (Holbach, 1910, 62-63). Possiamo quindi concludere affermando che il concetto di "Est Europa" individuato presso gli occidental--europei da Larry Wolff, e quello di "Balcani" individuato da Todorova, e i relativi 'discorsi', non si adattano al caso dei viaggiatori britannici in Bosnia. Piuttosto, l'approccio specifico qui assunto ci porta a concludere che nel nostro caso sia più opportuno parlare di un vero e proprio Oriente. L'immagine della Bosnia vista come una terra orientale associabile all'Asia e all'Africa e baluardo delle tradizioni islamiche nonché turche non è infatti un'immagine che rimanda all'ambiguità, come invece notoriamente accade con l'Est e il Sud-est Europa, bens! riferisce di una chiara contrapposizione, seppure interna all'Europa. I viaggiatori britannici, sia prima che dopo il 1878, stabiliscono un chiarissimo contrasto tra questo 'Oriente europeo' e il loro Occidente. L'ubicazione simbolica della Bosnia in un Est più a est dell'Est europeo, con il processo di associazi-one del paese all'Africa e all'Asia e una sua raffigura-zione in termini di una alterità orientale, convergono verso questa 'orientalizzazione' geografica e culturale della Bosnia-Erzegovina avvenuta tra metà Ottocento e inizio Novecento. Anche dopo l'occupazione austriaca, infatti, e ancora nei primi anni del Novecento, a differenza che per le altre regioni balcaniche, per le quali prevale sempre più il discorso balcanista (Todorova, 1997) per la Bosnia rimane forte la componente orientalista. UN ORIENTALISMO BALCANEGGIANTE Pur tenendo fermo quanto abbiamo esposto nei paragrafi precedenti, notiamo che nei testi di viaggio in Bosnia degli anni Settanta la 'Bosnia orientalizzata' puo as-sumere in alcuni punti qualche sfumatura di ambiguità, richiamando cos! quella transitorietà che è tipica dei Balcani. Cosí, l'orientalismo che i viaggiatori hanno assunto per la Bosnia viene sottoposto a influenze del discorso balcanista, facendo sí che l''Oriente bosniaco' acquisisca alcune caratteristiche che per gli occidentali di quegli anni erano tipicamente balcaniche - e per noi "balcaniste". Evans e Sandwith, ad esempio, seppure poco sopra ci abbiano fornito esempi di una retorica nettamente 'orientalista', annunciano, con un'immagine dal forte valore simbolico, un''ibridizzazione' della 'Bosnia ori-entalizzata' attraverso alcuni elementi tipicamente occidentali, facendo cosí emergere quest'area quale parte di un Oriente in qualche modo 'occidentalizzato': Paper cigaretes! - twenty years ago they would have been narghilés, ambery, Oriental, ablaze with gold and jewels, enchantingly barbaric; but their date is fled; the West advances and the East recedes; and now, even in Conservative old Bosnia, the pipe is degenerating into the symbol of a fogy! Sic transit gloria mundi. (Evans, 1876, 116) I was offered a cigarette, and so perfectly un-Turkish did this appear that I declined it, a flagrant breach of Turkish manners. (Sandwith, 1873, 708) Le sigarette sono un simbolo, seppur negativo, dell'Occidente penetrato in Bosnia. Questo ingres-so avverrebbe quindi a caro prezzo, ossia attraverso il decadimento delle grandi tradizioni orientali, e l'acquisizione di elementi degenerati della cultura occidentale, che Sandwith addirittura si rifiuta di accettare. La conseguenza e, come testimoniano le parole tratte dal travelogue di Evans, che ad una visione statica dei confini delle aree culturali, che abbiamo visto nel paragrafo precedente e che e spesso incarnata nell'idea di un fiume che rappresenta il limite netto tra due mondi, si affianca un'immagine di osmosi tra essi stessi, resa attraverso l'idea di un confine che si fa, seppure in minima parte, mobile. Pertanto, il concetto di un paese che ha tutte le caratteristiche di un Oriente agli antipodi dell'Europa, che abbiamo visto nei paragrafi pre-cedenti, e moderatamente ridimensionata e si ha modo di osservare la percezione di un presunto avanzamento dell'"Ovest" in direzione della Bosnia. La stessa parziale 'occidentalizzazione' dell'Oriente si puó osservare quando Evans affronta concretamente gli usi e i costumi dei mussulmani di Bosnia: questo vi-aggiatore non pone l'accento sul loro conservatorismo, e nemmeno sul loro fondamentalismo, ma su ció che li rende simili agli europei, e addirittura diversi dai turchi e dagli altri islamici. L'esempio che citiamo e che riferisce dell'assenza della poligamia nella comunita bosniaco--mussulmana e infatti in forte contrasto con quanto si e visto prima nell'immagine della Bosnia come baluardo dei costumi islamico-orientali: We learnt that polygamy was almost non-existent throughout the provinces. It has been dying out, it is true, in other parts of Turkey, but here it appears never to have taken. What is still perhaps exceptional among the wealthier Turks, the richest Bosniacs have only one wife. Some of them are said to have concubine, but public opinion here denounces the Moslem who concludes more than one marriage. (Evans, 1876, 197) Similmente, una certa 'occidentalizzazione' di questi mussulmani puo avvenire anche a partire dal loro modo di vestire. Patterson, per esempio, ci parla degli abiti "europei" dei mussulmani bosniaci, solo "leggermente orientalizzati": "Turning round to look for my guide, I found him engaged in conversation with a man who was dressed in respectable, but at the same time slightly Orientalised, European cloths, with a red fez on his head" (Patterson, 1872, 511). Anche lo sguardo di Irby si soffer-ma su un "cadi" (il magistrato ottomano) "with European features": No one made himself more agreeable than the cadi, a personage who in other places seldom came near us at all. He was a tall, fair man, with European features, and gave one an idea of the knights his forefathers, when they first put on the turban. (Muir Mackenzie et al., 1866, 257) Questi autori sembrerebbero dunque dar forma all'idea di una Bosnia intesa come un luogo islamico--orientale lentamente in transito verso l''Occidente europeo'. Questa operazione e stata resa possibile nella seconda meta dell'Ottocento dall'incrociarsi di due discorsi nei nostri testi di viaggio, l'uno orientalista e l'altro balcanista, che prendevano una forma piu stabile proprio negli anni in cui i viaggiatori qui menzionati si recarono in Bosnia. Un simile processo di relativa 'occidentalizzazione' si verifica con un'enfasi maggiore in alcuni viaggiatori che visitarono la Bosnia negli anni successivi all'occupazione del paese da parte dell'Impero austro--ungarico. E' esemplare in questo senso il testo The Balkan Peninsula di Emile de Laveleye. Questi, che prima si fece conoscere con questo libro in Francia che solo successivamente venne tradotto anche in Inghilterra, da un lato ricorreva chiaramente a una retorica orientalista nel descrivere il contrasto tra le due sponde del fiume Sava, tra le due citta di Brod, l'una austriaca e l'altra turca, secondo un pattern che ormai conosciamo bene ("There are two Brods, opposite to one another, on each side of the Save: Slavonic-Brod, an important fortress, as the base of operation of the Austrian armies, which occupied the new provinces; and Bosna-Brod, which belonged to Turkey"), coerentemente individuando nel fiuma Sava il confine simbolico di questi due mondi ("Two civilizations, two religions, two entirely different modes of life and thought, are here face to face, sepa- rated by a river"); dall'altro, invece, l'autore annuncia-va un'imminente fine di questo secolare contrasto, che si sarebbe realizzata nella scomparsa del "Mussulman character": "It is true that during four centuries this river has really divided Europe and Asia; but the Mussulman character will rapidly disappear under the influence of Austria" (de Laveleye, 1887, 72). Una causa storica di questo 'shift' è facilmente in-dividuabile nell'operato della nuova amministrazione austro-ungarica, che dopo il 1880, anno che segna il ritorno di Gladstone al potere, veniva unanimemente appoggiata dai britannici di ogni orientamento politico. I britannici che viaggiarono in Bosnia in questo periodo enfatizzarono i chiari segnali di 'civilizzazione' del paese sotto l'influsso della nuova amministrazione, mentre nelle descrizioni del paese venivano esaltati i primi passi verso la modernizzazione e il progresso di questo 'Oriente bosniaco'. Si puo leggere, ad esem-pio, che l'operato dell'amministrazione austriaca "has restored to civilisation" un popolo che "for centuries" era stato "the prey of ignorance, fanaticism, and indeed almost of barbarism". Ma non sono infrequenti i commenti entusiastici in relazione ai profondi cambia-menti che secondo i viaggiatori erano occorsi in tempi molto ristretti: Nowhere else in Europe has there been so rapid an increase in population and wealth, and the picturesque old towns are taking on an air of activity. While subject to the Turks Bosnia practically vanished from the current of civilization until 1875, when, exasperated by extortion, robbery, rapine, murder, and religious persecution, the people rose in rebellion. The powers of Europe placed them under the protection of Austria, which has given the most remarkable exhibition of administrative reform known to modern history, and has demonstrated the possibility of governing alien races by justice and benevolence. (Curtis, 1903, 46) Mentre già tra il 1875 e il 1878 la 'Bosnia orientaliz-zata' venne sottoposta ad un leggero processo di occi-dentalizzazione, dopo il 1878 la Bosnia sembrerebbe, agli occhi dei viaggiatori in esame, un Paese dell'Oriente molto più europeo-occidentale della Bosnia di qualche anno prima. Pertanto, la novità più radicale di questa percezione è lo spostamento di un'intera regione nella mental map collettiva: la Bosnia non è più solo un''Oriente' associato, sia geograficamente sia cultural-mente, alla Turchia, all'Asia o all'Africa, bensï anche e sempre di più all'Europa. Lo afferma molto chiaramente un autore, quando sostiene che la Bosnia si puo visitare non solo "without undergoing any pleasurable privations or extraordinary sufferings", ma, per quel che ci ri-guarda, soprattutto "without quitting Europe" (Blowitz, 1894, 625-626). Ebbene, un simile sovrapporsi di altre formazioni discorsive a quella orientalista si potrebbe spiegare a partire da alcuni studi recenti sull'orientalismo, che na-scono da un rapporto di critica diffidenza nei confronti dell'orientalismo concepito da Edward Said. Anzitutto, questi studi hanno rilevato i limiti delle interpretazio-ni del concetto di 'discorso' da parte di Said, che hanno portato verso una visione dell'orientalismo come un terreno "chiuso" e "stabile", privo di alcun tipo di contraddizioni al suo interno. Piuttosto, come afferma-no alcuni, per evitare di conformare tutti i processi di differenziazione e necessario rivedere l'orientalismo e il colonialismo in generale alla luce della concezione foucaultiana del discorso come "ubiquitous" e "inconsistent". Lisa Lowe, per esempio, riporta l'attenzione alla concezione foucaultiana del discorso quale "irregular series of regularities that produce objects of knowledge" (Lowe, 1991, 6). Secondo la studiosa, anche se le fonti settecentesche e ottocentesche all'origine dell'"Oriente" sono sostanzialmente le stesse per vari immaginari occidental^ rientrando quindi in una dimensione di "re-golarita", "the manner in which these materials conjoin to produce the category "the Orient" is not equal to the conjunction constituting the "Orient" at another historical moment, or at another national culture" (Lowe, 1991, 6). E' evidente che la studiosa vuole ritornare all'i-dea per cui ne le condizioni delle formazioni discorsive, e nemmeno gli oggetti di sapere sono identici, statici o continui nel tempo (Lowe, 1991, 6). Conseguentemen-te, questo riorientamento metodologico sottolineato da Lowe finisce col concepire il discorso non piu come un sistema "chiuso" e "stabile", bensl come un terreno aperto, un "multivalent, overlapping, dynamic terrain", al cui interno puo avvenire un intreccio di formazioni discorsive che a loro volta sono determinate da fattori storico-culturali. Lisa Lowe riassume la problematica in questi termini: "I encounter the problem of what to call this nexus of apparatuses that is not closed but open, not fixed but mobile, not dominant although it includes dominant formations, and so forth" (Lowe, 1991, 10). La rivisitazione del concetto di 'discorso' ha portato la studiosa a sostenere la tesi secondo cui l'orientalismo e un fenomeno eterogeneo e contraddittorio, composto da "situazioni orientaliste" che mutano il proprio ca-rattere a partire dal contesto storico-culturale nel quale sono situabili, rivelando inoltre una propria natura interna complessa e instabile (Lowe, 1991, 5). Possiamo concludere sostenendo che il discorso dominante nei travelogues britannici sulla Bosnia risulta essere un Orientalist discourse eterogeneo e complesso che, tra gli anni Settanta e i primi anni del Novecento, a causa di alcuni fattori geo-culturali e di determinati avvenimenti storico-politici, viene sottoposto alle influ-enze di un altro discorso, quello balcanista appunto, e che per via di questa sua natura specifica, oltre che per la sua collocazione balcanica, abbiamo voluto chiama-re 'Orientalismo balcaneggiante'. Se abbiamo scelto questo sintagma e perché annun-cia la presenza sia di elementi balcanistici che orientalised, pur lasciando intendere che a prevalere netta-mente sono i secondi. Abbiamo visto che ció vale non solo per gli anni Settanta, ma che prosegue fino a inizio Novecento: l'orientalismo e infatti una costante del discorso in esame, anche se non di 'semplice' orientalismo si puo parlare, non solo perché nessun 'discorso', come si e detto, e mai 'semplice', ma anche perché quello classico saidiano, pensato soprattutto per il caso medio-orientale e palestinese, non si puo applicare a quello balcanico e bosniaco, se non introducendo delle mo-difiche e delle integrazioni, come quelle che abbiamo visto. PREDSTAVLJAJMO SI BOSNO IN HERCEGOVINO. BRITANSKA POTOPISNA KNJIŽEVNOST (1844-1912) Neval BERBER EURAC, Inštitut za specializirano komunikacijo in večjezičnost, via Druso 1, 39100 Bolzano, Italija e-mail: neval.berber@univr.it POVZETEK Zadnja leta je bilo prikazovanje območij evropskega jugo-vzhoda v javnosti velikokrat predmet znanstvenih raziskav. Malokdaj pa so bile oblike, ki so jih dobili procesi posploševanja znotraj določenega specifičnega nacionalnega konteksta, raziskane s pomočjo proučevanja njihovih posebnosti pri nastajanju in posredovanju. Članek izhaja iz predpostavke, da se je kolektivna podoba o Bosni-Hercegovini ustvarila glede na obstoječe geografske, politične in družbene pogoje izvorne zahodne države, kakor tudi ciljne jugo-vzhodne države. Dokazano je bilo, da so britanski popotniki, ki so opisovali Bosno-Hercegovino v času med drugo polovico devetnajstega stoletja in začetkom dvajsetega stoletja, uporabljali repertoar zelo specifičnih in povsem drugačnih podob in »diskurza« v primerjavi z za Balkan značilnimi in imenovanimi »>balkanistični« pristop. Stereotipi in predsodki skovani za bošnjaško območje so bili pogosto »>orientalističnega« značaja in samo občasno so dobili bolj izrazito »>balkanistične« poteze. Iz česar izhaja, da britanski diskurz okrog Bosne-Hercegovine ni bil samo podvrsta »>balkanizma«, temveč je bil veliko bolj specifičen in zato poimenovan »>orientalizem z balkanskim pridihom«. Ključne besede: Bosna-Hercegovina, britanski popotniki, potopisna književnost, mentalni zemljevid, Orient, Balkan, balkanizem, orientalizem FONTI E BIBLIOGRAFIA Allcock, J., Young, A. (1991): Black Lambs and Grey Falcons: Women Travellers in the Balkans. Bradford, Bradford University Press. Anderson, M. (1966): The Eastern Question 17741923 (A Study in International Relations). New York, Verso. Anon. (1876): Bosnia and Bulgaria. Edinburgh Review, 8, 535-572. Anon. (1876a): Independence and Integrity of the Ottoman Empire. The British Quarterly Review, 64, 128, 78-98. Anon. (1876b): The Turks in Europe. The British Quarterly Review, 64, 128, 441-472. Arbuthnot, G. (1862): Herzegovina; or Omer Pacha and the Christian Rebels. London, Longman - Roberts & Green. 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