Il motivo del Salvatore nella culla in un racconto popolare resiano. Roberto Dapit This paper focuses on a Resian tale; its principal motif is a soul conjured into a snake, coiled around a tree. The snake is forced to wait for her deliverer who will rise from the cradle. Along with some minor believes about the afterworld life the wide-spread mythological motif under investigation is the central element of this folk tale which is compared with other Slovenian folk traditions and with the Legend of the Cross, as painted by the italian artist Piero della Francesca. Il "Salvatore nella culla" è il motivo principale individuato in un racconto resiano raccolto a San Giorgio di Resia1. Secondo l'indice internazionale2 tale motivo rivela la salvazione di un morto vagante o di un'anima in pena condizionata dalla crescita di un albero con cui deve essere costruita una culla, solitamente destinata a un bambino che più tardi avrà la vocazione al sacerdozio; alla celebrazione della prima messa questo sacerdote salverà l'anima in pena. La salvazione viene tuttavia rinviata a un momento futuro e molto agogniato dall'anima costretta ad attendere. Nel caso resiano l'anima in pena appare come un'enorme e terrificante serpe che si mostra alla persona designata, una ragazza, a cui chiede di prenderle le chiavi dalla coda3. La ragazza tuttavia non riesce a vincere la paura e riceve una maledizione. Di conseguenza l'anima potrà essere salvata soltanto da colui che, una volta cresciuto, avrà dormito nella culla costruita con le assi ottenute dal legno dell'albero a cui la serpe è attorcigliata. Il motivo è assai noto e diffuso ma alcuni aspetti, in particolare nel racconto resiano, meritano un'attenzione speciale: in primo luogo i contenuti e l'essenza narrativa nonché comunicativa che contestualizza il racconto nell'ambiente resiano con personaggi, secondo la narratrice, realmente esistiti; inoltre, da un punto di vista comparativo, le strette relazioni con altre espressioni della tradizione orale slovena e con la leggenda cristiana medievale del Sacro Legno, che in veste iconografica vediamo raffigurata magistralmente da Piero della Francesca negli affreschi 1 E' stato narrato da Maria Di Lenardo Rozalina (nata nel 1906) a Bila/SanGiorgio di Resia (Italia) la sera del 13.12.1962 e registrato da Milko Maticetov, che ringrazio per aver messo cortesemente a disposizione questo racconto. 2 Cfr. l'indice di Thompson II al numero D791.1.3 'The deliverer in the cradle'; nonché EdM, IV, 214: "Der Erlöser in der Wiege". 3 Cfr. anche in Thmpson II e III i motivi E.423.5. 'Revenant as snake (serpent)' e F.401.3.8. 'Spirits in form of snake'. Secondo Kropej (1995, p. 137), che dedica un capitolo agli incantesimi, nella narrativa popolare slovena il motivo della principessa trasformata in serpe sarebbe piuttosto diffuso, in particolare nei racconti. Afferma tuttavia che l'essenza originaria di questo aspetto mitico si conserverebbe con maggiore integrità nelle favole. Anche in ambito friulano è documentata la trasmigrazione di anime in serpe o altri animali; si osservino a questo proposito gli accenni in Dapit 1999, p. 136. della chiesa di San Francesco a Arezzo. Prima di iniziare la discussione relativa agli aspetti appena menzionati, è opportuno venire a conoscenza nei dettagli del contenuto narrativo, leggendo la sintesi del racconto4: Molto tempo indietro, una giovane chiamata Veronica, mentre sta falciando l'erba nella zona di Korito, vede in un bosco fitto una serpe, attorciliata attorno a un abete, con la testa grossa come quella di un vitello. La ragazza impaurita fugge e ritorna a casa. La notte stessa sogna una donna che le dice di non temere quella serpe perché si tratta di un'anima purgante che non le farà alcun male. Aggiunge infine che quella serpe è lei stessa e la prega di recarsi di nuovo in quel luogo la sera successiva alle undici, anche accompagnata da qualcuno, perché la ragazza è la persona prescelta, 'degna' di liberarla dalle pene a cui è condannata. Il giorno dopo racconta il sogno alla madre ma non ha il coraggio di andare sul posto come richiestole dall'anima. Va a coricarsi e sogna nuovamante la donna che le chiede di alzarsi e di recarsi sul posto dove ha visto la serpe. La consiglia di portare con sè qualcuno perché le dimensioni della serpe saranno raddoppiate. Sulla testa avrà inoltre le corna sulle quali si troveranno delle chiavi che la ragazza dovrà prendere con un bastone. Le verrà quindi suggerito cosa dire. La ragazza si sveglia, racconta il sogno alla madre e decidono di partire. Arrivano sul posto ma la ragazza è terrorizzata a causa delle dimensioni spropositate dell'animale che pero la madre non puo vedere. Ritornano a casa e vanno a dormire. Appena addormentata la ragazza sogna nuovamente la donna che adesso sarà condannata a rimanere in quel luogo fino a quando quell'abete non verrà tagliato e con le assi non verrà costruita una culla; dovrà quindi nascere un bambino che vi verrà cullato e quando sarà cresciuto potrà liberarla dalle pene. L'anima, promettendo la fortuna, chiede quindi alla ragazza di prendere un bastone più lungo e di riprovare. Ritornano sul luogo dove si trova la serpe ma la ragazza non riesce a vincere la paura e scappano. L'anima maledice allora per tre volte la ragazza preannunciando la sua sfortuna. In seguito questa cade dal fienile e si spezza la schiena. Un giorno, mentre si trova al pascolo, tre uomini scendono dal monte Canin. Sono degli spiriti, dei dannati, vestiti con pantaloni bianchi e berrette rosse. La percuotono e la fanno cadere sulle pietre dove viene ritrovata in fin di vita. Dopo inutili cure viene condotta dai frati del monastero di S. Antonio a Gemona e in seguito si riprende ma rimane tutta la vita disgraziata. Il motivo centrale del Salvatore nella culla viene qui inserito in una cornice narrativa ricca di elementi della vita reale e con una precisa ambientazione nel territorio della Val Resia (alpeggio Rûscë, borgo Coritis/Korïto, monte Canin/Canen) e in quello limitrofo (monastero di Sant'Antonio di Gemona)5. Ascoltando questo racconto, si nota che l'inserimento dei fatti nell'ambiente resiano offre alla narrazione, sebbene caratterizzata da forti accenti fantastici, una struttura piena, conferendole un'intensa efficacia comunicativa. Menzionando una persona realmente vissuta, che porta i segni (la gobba) di un'esperienza devastante con l'aldilà, nonché le attività della stessa svolte in luoghi a tutti noti, il racconto acquista una determinata potenzialità dettata sicuramente da precise funzioni (ezilologica, educativa, di intrattenimento?), caratteristiche intrinseche della narrazione. Simili rappresentazioni di esseri mitici inseriti in un contesto reale e noto sono frequenti nei 4 Quanti invece desiderano leggere il racconto integrale in resiano, troveranno il testo in appendice a questo contributo. 5 Si registra infatti con una certa frequenza nelle testimonianze sull'aldilà, ma non solo, l'atteggiamento di collocare la narrazione in contesti noti anche nei casi in cui i motivi sono di tipo universale come quello qui trattato. E' noto quanto nella tradizione popolare sia presente il mondo dell'aldilà e la comunità resiana dimostra di aver conservato ancora oggi in modo molto spiccato questo complesso di credenze che tuttavia vengono trasmesse spesso come esperienze personali di relazione con l'altro mondo, piu precisamente con le anime dei morti (cfr. Dapit 1999). racconti e fanno parte tutt'oggi dell'immaginario popolare, rispecchiando credenze ancora molto radicate nell'ambiente resiano6. Altri elementi - che spesso si manifestano nei racconti sulle anime in pena - sono individuabili nell'unitá: il saldo legame tra vivi e morti, la comunicazione onirica e la ricerca di una soluzione a problemi talvolta molto gravi, causati dai contatti con l'aldilá, presso sacerdoti esorcisti. Qui viene scelto il monastero dei francescani di Gemona, meta di pellegrinaggio per molti resiani, i cui frati sono considerati, nella narrativa popolare resiana, dotati di particolari capacitó nelle pratiche di esorcismo o "scongiuro" delle anime dannate. La maledizione ripetuta tre volte dall'anima-serpe causa gravi sventure alla ragazza. Tra i fatti che illustrano le disgrazie a cui va incontro la persona, l'elemento piü interessante e certamente la comparsa di tre esseri che vengono descritti come uomini, vestiti di bianco con un berretto rosso, che scendono dal monte Canin. Non puo che trattarsi di esseri demoniaci visto che il Canin e considerato, non solo a Resia ma anche in diversi punti dell'area friulana, uno dei luoghi dove vengono confinati i dannati'. La descrizione del loro abbigliamento inoltre confermerebbe cio, in quanto il bianco e anche il colore simbolicamente legato alla morte e agli spiriti; il berretto rosso inoltre ricorda l'immagine dei folletti, molto presente nelle vicine valli del Torre dove uno degli esseri mitici piü diffusi e chiamato Škarifič, un folletto con il berretto rosso che rapisce i bambini. Nell'ambito della tradizione orale slovena sono state osservate due particolari espressioni che riflettono il motivo comune della serpe come risultato della metamorfosi di un essere umano che attende il salvatore: i canti leggendari appartenenti al motivo "Dekle reši v kačo ukletega kraljica" e il ciclo di racconti attorno al castello Mali grad, a Kamnik, raccolti in uno scritto intitolato "Veronika z Malega gradu". Dal gruppo di canti riporto il seguente testo9, annotato da Stanko Vraz prima del 1839, affinché si possa effettuare un immediato confronto: 1. Lepa Vida proso plela, 5. Drugo jutro plela proso, jako rano pred zorjami. stepeno je najšla roso: 2. Lepa Vida plela proso, 6. »Da bi, Bog daj, mojo bilo, stepeno je najšla roso: kaj nicoj je tod hodilo, 3. »Da bi, Bog daj, mojo bilo, 7. kaj nicoj je tod hodilo, kaj nicoj je tod hodilo, rano roso je strosilo!« 4. kaj nicoj je tod hodilo, 8. Tretjo jutro proso plela, rano roso je strosilo!« tam je najšla velko kačo. 6 II racconto è stato narrato da un'abile novellatrice, Maria Paletti Rozalina, che ha dato a Milko Matičetov innumerevoli unità del proprio repertorio. Tali racconti vengono solitamente narrati in forma molto piu sintetica, ma, è opportuno ripeterlo, questo caso dimostra, oltre all'abilità narrativa, un particolare atteggiamento: chi narra rende le proprie parole del tutto convincenti; allo stesso tempo questo tipo di racconti potrebbe rivelare la persistenza di determinate credenze del narratore rispetto ai contenuti. Spesso accade infatti che il limite fra credenza e scetticismo puo essere difficilmente individuato presso gli informatori. 7 Cfr. Dapit 1999, pp. 120-121, dove vengono riportate alcune testimonianze su questa credenza. 8 I canti sono raccolti nel primo volume di SLP, pp. 150-153; cinque sono i canti appartenenti al tipo classificato al n. 27 e provengono dalla Slovenia orientale (Prekmurje, Štajerska); i racconti sono invece stati pubblicati da E. Cevc, cfr. il titolo riportato nella bibliografia. 9 SLP I, 27.,1. 9. Kača mela devet repov, 16. na vsakšem repi devet ključov. 10. »Ne straši se, lepa Vida! 17. Saj sem jaz ne huda kača, 11. al jaz sem ti mladi kraljič, 18. ki kraljuje v belem gradi. 12. Ti boš šla po gladkoj stezi, 19. Jaz pam šla po gostem grmji. 13. Tam bova se mija zišla, 20. na polji per belem gradi. 14. Tam vtrgaj tri drobne šibe, 21. ki bodo tri leta stare.« 15. Da ga vujdre s prvoj šiboj, on postane od glave človek. La comunanza di elementi fra questo canto e il racconto resiano e sorprendente: il salvatore e impersonificato nel canto come nel racconto resiano da una giovane contadina a cui la serpe dice di non spaventarsi (perché si tratta solamente di trasmigrazione da persona/anima ad animale); altri elementi comuni sono la fortuna promessa; il sentiero nel bosco fitto; le chiavi sulla coda e i diversi bastoni per prenderle (nel canto questi elementi hanno numeri definiti: tre bastoni, nove code e nove chiavi). La differenza piü evidente risiede invece nell'esito della narrazione: lieto fine nel canto dove la serpe ritorna nuovamente essere umano/principe e la Lepa Vida diventa principessa, drammatico nel racconto resiano, dove l'anima e destinata ad attendere ancora a lungo il salvatore e la ragazza dovrá portare i segni della disgrazia per tutta la vita. Questo doppio esito del motivo e diffuso anche in altri aspetti della tradizione narrativa popolare slovena in base ai generi: positivo nelle favole e negativo nei racconti10. Il finale drammatico infatti si evidenzia nuovamente nei racconti del ciclo Veronika z Malega gradu, dove per esempio nella variante n. 4 appare il motivo della metamorfosi da essere umano a serpe, condannato in quello stato finché dall'albero, ancora da seminare, non verrá costruita la culla del salvatore. Anche in questo caso si propone la lettura della sintesi: Nel castello di Kamnik, chiamato Mali grad, viveva una signora che aveva una sola figlia. Quando per costruire la chiesa parrocchiale si recano al castello per chiedere la carita, la madre si rifiuta di dare un'offerta perché vuole che sua figlia possa stare seduta sopra i denari. Dio trasforma allora la figlia in serpe che si siede sulle botti piene di denaro e sprofonda nella terra: potra salvare la ragazza soltanto chi si presentera con tre bastoni di nocciolo colpendola tre volte. Allora si trasformera in una bella e ricca ragazza che andra in sposa al salvatore. Mostratasi a un giovane, lo avverte che al primo colpo diventera terrificante, al secondo credera di essere divorato, mentre al terzo riacquistera sembianze umane. Il giovane la colpisce due volte ma alla terza fugge. La serpe dice che sarebbero stati entrambi fortunati se l'avesse colpita per la terza volta. Ora, prima di essere salvata, un uccello dovra portare un seme di abete sulla Križna gora, dal seme dovra crescere un albero da cui si otterranno delle assi con le quali sara costruita una culla e il giovane che vi sara stato cullato potra salvarla. Affinché non esca dalle rocce a molestare la gente, devono confinarla per un certo numero di anni, tanto che ora non la si vede affatto. 10Cfr. anche Kropej 1995, pp. 137-138. Da ga vujdre z drugoj šiboj, on je do pojasa človek. Te ga vujdre s tretjoj šiboj, on postane do pet človek. »Vzemi, vzemi meni z repa, z mojega repa devet ključov, No odkleni bele gradi, no poberi srebro zlato! Če sem bila grozna kača, pa sem ti zdaj mladi gospon, ki kraljuje v devet gradih z lepoj Vidoj nestrašlivoj.« Le corrispondenze sono anche in questo caso molto significative, se consideriamo, oltre a cio, anche il fatto che in altri racconti del ciclo di Kamnik il nome del personaggio è proprio Veronika. Nel canto invece il nome della giovane è Lepa Vida, che riflette un mito assai diffuso nel mondo sloveno e che si manifesta in particolare nei canti narrativi11. Nei due racconti (di Resia e Kamnik) il contatto fra l'anima e l'essere umano si risolve con esito assolutamente negativo: l'anima è costretta a scontare la pena ancora per un lungo e indeterminato periodo; la persona perde l'occasione di ottenere una grande ricchezza o addirittura riceve una grave maledizione. La differenza, sebbene non sostanziale, sta fra le due tradizioni nella ragione della metamorfosi. Nel racconto di Kamnik l'uomo diventa animale a causa della punizione di Dio; nel racconto resiano la causa della dannazione dell'anima in forma di serpe non viene resa esplicita e nemmeno appaiono riferimenti a concezioni religiose; qui probabilmente alcuni aspetti della struttura simbolica originaria hanno perduto il significato oppure, per vari motivi, sono stati adattati. L'ultimo aspetto che si intende trattare in questo scritto è, come già accennato, la tradizione leggendaria del Sacro Legno, alla quale il motivo del Salvatore nella culla è geneticamente legato. La leggenda del Sacro Legno viene suddivisa in tre momenti. Di Figura 1 Cfr. Nartnik 1995, p. 92, che propone un'interpretazione mitologica dei personaggi presentí del canto "Lepa Vida je proso plela", SLP 27., 2. Riguardo a questo canto cfr. pure Ovsec 1998, p. 272 e sgg. maggiore pertinenza con il motivo del salvatore, come lo possiamo osservare nel racconto resiano, e il primo, ossia quello che riflette la storia che tratta i temi dalla morte di Adamo alla costruzione della Croce di Cristo, ossia del Salvatore. Viene presentata qui una 12 ricostruzione del motivo comune o prototipica: Adamo giace in punto di morte e chiede al figlio Seth di recarsi in Paradiso per prendere l'olio della misericordia. Seth ottiene in Paradiso tre semi (rami) dalTAlbero della Vita (Albero della conoscenza) da porre sotto la lingua di Adamo. Seth ritorna a casa e Adamo muore. Dopo la sua morte crescono dalla sua bocca tre rami (un albero). Il legno viene utilizzato da Abramo, Mose e altri come bastone. Mose pianta questo bastone ai piedi del monte Sinai. David scopre il legno e lo porta a Gerusalemme, dove durante la notte cresce in una cisterna. Salomone cerca di utilizzare il tronco nella costruzione del tempio ma e inutile poiché le sue misure sono inadeguate. Il tronco viene allora posto come ponticello sul Kidron e viene identificato dalla regina di Saba (da una sibilla) come il legno della Croce di Cristo. Per rispetto la regina di Saba attraversa l'acqua senza passare sul ponticello e perde cosi il segno che portava in seguito a un atto peccaminoso. Il tronco viene gettato (sotterrato) in una vasca (cisterna) per l'acqua, dove accadono dei fatti miracolosi. Nel periodo di Cristo l'acqua si asciuga e con legno viene costruita la croce del Salvatore. Per concludere propongo la visione di alcuni momenti della leggenda del Sacro Legno come raffigura-ti da Piero della Francesca, ricordando quanto l'impatto visivo dell'arte figurativa sia determinante nella forma-zione dell'immaginario po-polare e quindi di riflesso anche nelle relative espres-sioni, fra cui la narrativa. Negli affreschi di Piero del-la Francesca la pianta che cresce dalla bocca di Adamo e il grande albero che si trova in mezzo alla tavola n. 1 chiamata "La Morte di Adamo", dove si puo scorgere che il figlio Seth pianta nella bocca del padre un ramoscello dell'Al-bero della Vita (particolare nella figura 2). Il Sacro Le-gno viene esplicitamente dipinto in varie tavole e lo Figura 2 12EdM, VIII, 398. vediamo nella figura n. 3 dove la regina di Saba si inginocchia per adorarlo e nella figura n. 4 dove il Sacro Legno viene fatto rimuovere da Salomone e in seguito sotterrato. Testo dialettale Na mála hcirica na ji právila ta-na Rüsce ta-pod ni gímon, ki ni so ta-lete, ki ni so grá-bili senu, ne. Na ji právila da káku, ki jsa na bíla wze stára, da káku to ji se séginalu, ki na bíla wsa dizgracjána, na mela góbo, ne. Anu mo máti o bárala, da zakój baj da táku dizgracjána, da ci to je malatja ki je pargnála jtáku. Tadíj na ji se gála právit, ne, da te bíla na hcirica, wonä, anu dä ni so meli planino ta-gore na Kurite (ni vin, ci vi víte, da ke e Kurito, víte?). Aldre, dä din den insóma da na slä, da na ma jtat wbrät tráwo - dímo da zet mi - anu na je slä po ni póti - tadíj, víte, göst bi fíto, tadí te bílu góstu, ne taj jnjän ka so pusíkani gozdöwji - da na je se wsträsila, ko na vidala no táko béstijo, no káco, no káco, ki te bílu fuori, fuori limiti te bílu! Anu dä jsa hcirica, ko na vidala da, káka na káca to je, dä na mela no gláwo, na mela no gláwo taj, po da taj no tale, na mela no gláwo, na je wbízala - ano na je bíla wöku ne smreke zavita - na je wbízala ko na vidala. Aldre na paslä ta jisi anu na raklä mátari, dä: "Máti jtáku nu jtáku, ja ni gren vic jte krej, köj za no táko ric, ki ja si vidala!" Aldre ko te bílu ta-w nice, na slä spat anu na je snüwala no zano. Jsa zanä na je ji raklä ta-w sne, dä: "Veronika," (na mela jime Veronika) "Veronika" - na raklä - "zakó bej si se bála," - na raklä - "te káce? Ti ni mese se bat nikár," - na ji raklä ta-w sne - "ki na ti ni dílase nikár ta káca." - na raklä - "Ja te lepu prösin," - na raklä, na di - "zütra zvecara," - na di - "koj to bo alle undici, prit pulnocó, ja te lepu prösin," - na raklä - "pridi," - na raklä - "tü na tö mestu, ki ti si vidala to káco, ki tö si jä," - na raklä - "ki ja man plántat. To je na düsa ta káca, to ni, to ni na káca," - na raklä - "to na düsa anu ta düsa tö si jä," - na raklä - "anu Buk an me kondanjäl jtü." - na raklä; anu na raklä -"Ti si ti dénj za me salvät" - na raklä - "anu te lepu prösin," -na raklä - "pridi zütra zvecara alle undici prit pulnocó, anu ci ti se bujis," - na raklä - "parpijí pa kompaníjo, parpijí pa two máter, ki ja ti ni dílan nikár." Anu hcirica na se pribüdila za stráhon, ne, anu se spet spö-munila na to béstijo: to ji délalu fin ni vin kace, na e zbüdila pa máter, ki to je spálu wküp, anu na ji právila mátari, da káku na je snüwala. Ano insdma zütra den pujütre, to melo vas den jtö, to bílu köj rüdi jte diskdrs da, ma na gäla, da: "Máti, ja ni gren vic jte krej, ni gren pa ciz den jte krej ja ne vic, ki se bu- Figura 3 jïn." Ko to bílu zvëcara, na rakla nji máti da: "Bèn, da mas tôt?" - "Ah në, në, máti," - na rakla - "ni gren ja, ni gren ja, ah në, në, në!" Ko to bílu zvëcara na sla spet spat, na spe' ji pasla jsa zana wsnë, në, anu na spe' ji rakla, da: "Wstáni Varonika!" - na ë rakla - "anu prïdi tï ta-na tô mëstu ki ti si me vïdala." - na rakla anu parpijí [...]. Na se bála, në, pa ciz den, da na ni gre vie jti póti, jte krèj. Anu dópo na sla spat, ona nu nji máti, anu na spet pasla jsa zana tu-w snë anu na ji rakla, da: "Wstáni bèj Varonika, ki," - na di - "ja si te cákala pa snúkej anu ti nïsi pasla!" - na di - "Ci ti se bujïs," - na di - "parpijí two mátër kompanïjo" - na rakla, anu na rakla - "Koj ti prïdës ta-na tô mëstu, ki ti si me vïdala, ja ni eon bat kôj na táka, ki ti si me vïdala, ja eon bat pridoplajána, bôj na vlïka anu" - na di - "ja eon mët rôge ta-na glávi," - anu na di - "tï, wzamo din dúlgi ráklin" - na rakla - "anu s ti ráklinon mas mi rizgát te kjüce, ki ja bon mëla ta-na rôga anu tadíj," - na rakla - "ja eon ti rieot, da ko ti mas rieot," - na rakla - "ti si tï, ki ti mas me deliberat" - na rakla. Anu na rakla, na di - "Wstáni nu ni stu' se bát, nikár!" Anu to héirïco, dópo na sla, to spe' o pribüdilu, në, na rakla: "Máti, na spet mi pasla wsnë" - na rakla; na rakla: "Ko máwa zdélat," - na rakla - "máwa jtot?" Na rakla máti: "Wstáni, ki eéwa jtot." - na rakla. Bèn to wstálu anu to jë se wzélu anu to nï naslô ráklina, vftë, to bílu zábilu, to slô jtáku. Anu kôj to jë paslô ta-na mëstu, insôma wzë da lontano të bíla na ric spro-pozitána, ki na nï mëla kurága jta' dônge, na jë se mása bála. Du bèj vi, káko dnô to bílu se nárdi-lu! Anu ta heirïca na jë zawrjuvëla anu na rakla, da: "Máti, bíziwa, bíziwa, bíziwa!" - ma máti na nï vïdala nikár. Na rakla, da - "Bíziwa máti, bíziwa ki ja, ja nïman kurága ja!" Anu to spet wbízalu názët anu básta, to slô spet spat ta-na liw. Anu ko to wsanülu, na spe' pasla wsnë, na rakla, da: "Le, Varonika, zakó bèj ti si se bála, zakó bèj si na táka?" - na rakla; na rakla - "Ti mësë bi bíla" - na rakla - "wzéla din dúlgi rák-lin," - na rakla, anu na di -"mi rizgála te kjüce, ki ja man ta-na rôga anu ni stu' se bat," - na rakla - "ki ja ti Figura 4 ni dílan vis nikár, nikár" - na rakla - "anu te lepu prosin," - na rakla - "pridi, ki ci ti ni boš tela ti" - na rakla - "me šalvat" - na rakla - "ja si búžica!" - na rakla; na rakla, na di - "Si vidala to smreko, ki ja si woku nu wokul," - na rakla, na di - "ta smreka ma se ^šinat din utručoc" - na rakla - "anu na ma se spilit prit ta smreka anu" - na rakla da - "mao se zrezat doske anu ma se ndšinat te utručoc anu ma se narédit ta zibíla anu an ma se wzíbit te utručoc anu an ma wrast anu an ma pri' no etát za muret me deliberat, me šalvat, ci ne" - na rakla da - "ja man stat rüdi jtü anu jnjan" - na rakla - "ti si ti" - na rakla - "ti si ti, ki ti ba mela me šalvat" - na rakla - "anu ci ti me šalvániš, ti ni ci bi' vic boga" - na rakla - "jse na tin svetu," - anu na rakla - "ti ci met no furtüno, ko powsót te kréj, ki ti boš šla, ti ci bi' furtunána wso two vito!" - na rakla. Anu bášta jsa hcirica na rakla, da: "Máti, ja si spet jo vidala to žano tu-w sne, na spe' mi pašla! Nu ne da ne me prosi, kace, ma kace" - na rakla - "ja, ja man spet jtot, ja" -na rakla - "ki, viste pur vidala vi, ki niste vidala, da káko dno to je!" - na rakla. Bášta, na rakla: "Cüj Varonika, céwa spe' jtst!" - na rakla. Tadíj to bílu la terza volta jto, per la terza volta to je šlo. Na rakla: "Céwa spe' jto', provéjwa" - na rakla - "ko na táku sili jsa düša." Anu to wstálu (ne, to ni bílu šlo spat to zádnjo nuc), to šlo prit pulnocó anu to wzélu din dúlgi, dúlgi ráklin. Anu bo ta na je šla, bo... insóma to o tézalu názet, na ni, na ni mela kurá-ga za dujtot ta, no táke, ki to bílu. Anu na gala, da: "Nu, nu, nu, nu awá bo nu málu ta!" -nu nji máti na ni vidala nikár nu na fin jo tézala - "Nu Mžiwa máti," - na gala - "Wžiwa, Mžiwa máti, wojme ja sabot, vi ki vi ni vidite, da káko dno to je! Ne, ne, ne, ne, ne niman kurága ja," - na gala - "ni moren ja, si ni cüjen jas!" Anu hcirica na je spe' wWžala ne. Alóre te braw, ne, na jo primwaladila trikrat. Na rakla: "Primwaladina ti bódi" - na rakla, da - "ti anu wsa twa ganaracjún" - anu na rakla, na di - "mwéjfurtüne ti nimaš met anu ti maš bot dizgracjána wso vito!" - na ji rakla - "Te kréj, ki ti boš wudila, te kréj ti maš bot dizgracjána!" Anu infine na ni mogla wodélat nikár, to mažalu jtot spe' názet. Alóre te stálu, jsa hci na bo bíla mela skore ne, vin ja, ne dieciassette, dieciotto anni, ni so meli jišo le-te sen, ta-na Patoce, tu ki je M., jtü ni so meli jišo. Alóre ni so meli pa kráve anu na nagála no kórbo sena, da na ma nisto' wün na solár, víte, wün na liw, dímo mi. Anu jsa hci na nasla jso senu wün na liw, ko na pašla wün na to zádnje štiglu, taj da ba bílu dno o drüknulu, na je wdárila ziz wso kórbo dre' do w dwor anu na je si zlumila vos jíbat le-ti-zde, na bíla wsa polomjana. Bášta, dópo te stálu, na bíla ta-gore w planini (...ne, ja zbaljáwan ja! Jso to je bo názet). Pri' ki na se zlumila wod líwa dolu, ni so bíli ta-gore w planini, anu to je bílu no nedejo anu na šla, da na ma jto' gnat ne kuzlicace ün s Canon, da na ma jto' te kréj wün za Mamüšon, viš, jte kréj. Anu na wzéla pa kórbico, da na ce jin wbrat nu málu víjaca, nu málu tráve, ne. Na šla. Koj na pašla wün din patok, da na vidi, da gréjo triji dedavi s Canina nútur anu ni so pašlo wsi triji nútur njej. Anu ni so jo jéli za láse nu ni so jo tiliku lüpali, ni so tiliku jo šmikali woku ti picí, nu na ta nu na se. Anu insóma ni so jo püstili, ki ni ki na romunila, ni ki na vidala, ni ki na cüla ni nikár. Anu, si sa, pašla nuc anu na ni pašla anu nji máti anu nji waca ni so šli ta-na zwun anu so gnüli jüdi, da ni mao jti o jiskat, da na ni pašla. Ni so pašlo wün te patok, na bíla jtü dištimna. Alóre niša ni vedel nikár, ni so mažali jo jet, jo zadinüt anu ni so jo parnislo nútu jiši. Anu ta-par jiši insóma, ni ka na mu romunila ni nikár, ni so ji dižali svíco koj, da za wmrit. Anu te stálu, na ni mogla ni wmrit ni živit, na bíla kárje timpa in agonia. Anu parájal mídi, anu pa mídi gal, da: "Ko béj man ji dat?!" An ni vedel pa, da ko an ma ji dat, ne. An bo bil ji dal káko midižino, ma ni valálu nikar. Alóre ni vin, da du je jin gal nútur w gláwo, je rekal, da: "Cüjta, to ni po dobrin, da wzamíjta to hcirico anu nisita jo dolu w Gumin. Parnisita o dárdu tü ki je cesta anu déjta o ün na no barélico anu pijíta o do w Gumin, do frátinan anu zdélajta ji da' no benedicjún!" Alóre ni so wowdélali jtáku. Ni so o parnislo dár- du tü ki ni so mugls, do na Súlbico, anu jtü ni so o nagáli wün na no barelico anu ni so o pajáli dre do w Gum'in. Ta-do w Gumine ni so jo nisls ta frátinan anu ni so rikls, da ni ji jo pozegnajte, da ni ji dejte no binidicjún. Apene ki ni so o pozégnuli na wagála woci, jsa hciri-ca. Ko na wagála woci, insóma, na vidala anu je ji jel ts' pa sintiment, ne. Alóre ni so rikls frátinavi, da: "Bon segno." Ni so spe' ji dáli pa taj no zígnano wodo, da ni jo zignúwajte nu bro vin ja, ko ni so rikls gore po nimu líbrinu anu ni so jo parpajáli gore. Anu ko ni so o parpajáli gore ni so o gáli spe' w kówo, na jéla právit anu na pa cüla. Alóre na jin právila, da káku te bílu: da so pasls triji múzji wod róbuw nútur ta-w Canine. Anu, da káku ni so bíli ublicins, da ni so meli ne bíle bragése, te siroke, anu, da - ni so taj vi, ki mate jzde jnjan te rangáne bragése - ano, da ni so meli no carnjele ta-na noga ano sce no prisíkane jtáku ta-na warse. Anu, da ni so meli ne carnjele baréte anu, da káku ni so bíli, básta, srákice, da ni so bíle zbufáne jzde, te bíle, anu, da ni so o jéli anu jo tézali za láse nu jo lüpali woku ti picí, tü ki to [...] prit. Alóre tadíj, da insóma ni so teli ricst, da to so bíli spiritavi, ti donáni, ne. Ma vss wona právila, mi mátari na právila. Dópo tadíj taj wan din, ta-s toga líwa dolu na je spádla anu dópo spe' wün z ni lejtrow anu infine na rüdi spadüwala anu na rüdi se lumila, wso nji vito na bíla dizgracjána. Dárdu wmrit na bíla rüdi, rüdi, rüdi dizgracjána. Bíla ji vile-zla fin góba ta-zat, na mela no vliko góbo, go. Anu tadíj na tela ricst, da jsa düsa, ki to bíla, da na ji dála moladicjún, ki na o vizála prit, da ci na bo kopac za o salvat, da na ce ji dat no vliko furtüno. Na tese bs' furtunána anu erst káke béce na tese ji..., du bej vi, ko na mese ji dat, ne. Anu jtáku na ni jo mogla deliberat. Insóma wso nji vito na bíla dizgracjána. Jnjan na rivána. Bibliografía Dapit R., Manifestazioni dell'aldilá attraverso le testimonianze dei resiani, Studia mythologica slavica, Ljubljana-Udine, II (1999), pp. 99-144. Cevc E., Veronika z Malega gradu, IV. Kamniški zbornik, 1958, pp. 111-145. Enzyklopädie des Märchens. Handwörterbuch zur historischen und vergleichenden Erzählforschung. I-, Berlin-New York, 1977-. (= EdM) Kropej M., Pravljica in stvarnost. Odsev stvarnosti v slovenskih ljudskih pravljicah in povedkah ob primerih iz Štrekljeve zapuščine, Ljubljana, 1995. Nartnik V., K razmejevanju legend od nelegend pri slovenskih ljudskih pesmih, in Razvoj slovenske etnologije od Štreklja in Murka do sodobnih etnoloških prizadevanj, Ljubljana, 1995, pp. 91-93. Ovsec D. J., Fair Vida. The Everlasting Importance of the Psychological Aspect of the Slovene Ballad. Interdisciplinarian Ethnological Interpretation, Studia mythologica slavica, I (1998), Ljubljana-Pisa, pp. 265-277. Slovenske ljudske pesmi. 1. Pripovedne pesmi, Ljubljana, 1970. (=SLP) Thompson S., Motif-Index of Folk-Literature. I-VI, Copenhagen, 1955-58. Motiv rešitelja v zibelki v rezijanski pripovedi Roberto Dapit Avtor predstavlja rezijansko pripoved, ki vsebuje motiv duše zaklete v podobo kače, zavite okoli drevesa in prisiljene čakati vse dotlej, dokler jo rešitelj v zibelki ne osvobodi tega stanja. Poudarja tudi dejstvo, da je, poleg drugih manjših prvin iz onstranstva, ta, sicer zelo razširjen mitološki motiv, osrednji element obravravane ljudske pripovedi. Sledi primerjava med rezijansko pripovedjo in nekaterimi drugimi izrazi slovenskega ljudskega izročila in ciklusom slik italijanskega umetnika Piero della Francesca, ki predstavljajo Križevo legendo, sorodno motivu rešitelja v zibelki.