ANNO I. ■ «k e-v SECONDA EDIZIONE CAPODISTRIA, 31 Luglio 1904. N. 14. Associazione annua Corone 10. Stati dell' Unione postale Corone 12. Semestre in proporzione. I manoscritti non si restituiscono. Redazione ed Amministrazione: Scrittoio della Tipografia Cobol & Priora. V i> „EGIDA" Giornale commerciale, industriale, agricolo e politico. Volere è potere. Lessona Non sbigottir, ch'io vincerò la pruova. Dante Il giornale si pubblica tutte le Domeniche nelle ore antimeridiane. Prezzo delle inserzioni per ogni riga di testo : Avvisi commerciali in III pag. cent. 10, in IV pag. cent. 8. Comunicati in III pag. cent. 20. Avvisi collettivi i cent, la parola. Tassa minima cent. 20. Uu numero separato cent. 20. Jti nostri Abbonali! Rinnoviamo la preghiera a tulli quei Sigg. Abbonali che non si sono posli in regola con /' amministrazione, di farlo quanto prima, affine di evitare la spesa di un nuovo invilo speciale per noi sempre spiacevole. X'j^mmìr)isfragione. Saiato liislinipoiilai O h C K h CD D a M (D 29 LUGLIO Quando, la mattina del 30 luglio 1900, si diffuse il triste annunzio dell' assassinio del re, fu unanime il grido di orrore e di esecrazione che, dalla sfortunata Monza, suo asilo prediletto, dove soleva recarsi ogni anno a ritemprare la mente dalle gravi cure del regno, in mezzo agli affetti della famiglia ed al plauso del suo popolo, si sparse sino all'estremo lembo d'Italia. Fu un grido di indegnazione e di pietà che si sollevò spontaneo da tutti i cuori del mondo civile, fu un grido di lutto ! Ed in quel rimpianto universale il triste annunzio ha strappato le lagrime dalle ciglia più rigide, ed à rivelato quanta stima ed affetto raccogliesse il re trafitto. Dai dorati palazzi, ai più miseri villaggi, dalla reggia all'umile casolare, risuonarono voci di orrore e di cordoglio per l'ottimo sovrano, per l'amico del popolo, custode vigile d'ogni diritto e della gloria d'Italia! Lo hanno chiamato il re buono, e non a torto. Ricorda forse l'Italia di non esser stata soccorsa dal suo re nelle più gravi calamità? Nelle «inondazioni che funestarono e Roma e il Veneto, durante le epidemie e tan-t'altre sciagure, non mai venne meno il cuor generoso dell'augusto principe, ma il conforto della sua parola e la mano fin troppo generosa giammai mancava per ogni dove una sola voce gridasse al soccorso. Pochi furono quelli che non ebbero a dimostrare il rimpianto per il luttuoso avvenimento, ed anche i rari nemici non hanno potuto astenersi dal deplorarlo e dal rendere omaggio alle virtù reali. Soltanto qualche malvagio disse, che gli fu conferito il titolo di buono perchè non era stato capace di altro se non che di soccorrere i poverelli; ma che re di energia, che prode soldato non potrà dirsi giammai. Di costoro non sarebbe opportuno prendersi cura ; ma giacché vi sono ancora di quelli che possono smentire un tal detto, s'interroghino gli ulani tedeschi che combatterono nella giornata di Custozza, e dicano quelli chi fu il principe Umberto nel quadrato di Villafranca: dicano se fu un vile o un eroe: dicano se mancava il sangue Savoia nelle vene del re d'Italia ! Ora egli riposa nel Pantheon! e tutta Italia si raccolse il 29 a Roma a piangere la vittima del più orrendo misfatto. Questo pellegrinaggio si rinnovarà ogni anno, pegno sincero dell'affetto d'una nazione intera ad un re. Ad un re la cui tomba non sarà mai deserta, ma dove i fiori che l'adornano saranno sempre irrorati dalle lacrime di tutto un popolo riconoscente. Di CARLO^ALBERTO «Io giuro di consacrare tutta la mia vita all' indipendenza d'Italia», aveva detto Carlo Alberto prima di salire sul trono, «giuro che la mia spada, le mie sostanze, tutto il mio sangue, saranno consacrati ad un solo fine : a quello di tornare l'Italia al suo arbitrio natio». E' facile immaginarsi con qual giubilo fosse salutato il nuovo re da tutti i migliori patriotti italiani, quale speranza corresse d'improvviso attraverso la penisola. E poteva Carlo Alberto, il principe nobile e cavalleresco macare a una promessa tanto solenne ? Si poteva forse dubitare di chi aveva cospirato col Santorre Santarosa, col Balbo, col Pallavicino, col Confalonieri e con cent' altri dei federali e dei carbonari ? Poteva tradire l'amico del cónte Belguardi? No, certamente. Carlo Felice è morto! è morto il re ligio ai potenti, fedele alla sacra alleanza; gli è successo un principe dal sangue bollente, che è vissuto tra l'amore e la fede degli italiani, un guerriero che à combattuto da eroe. — L'Italia spera. E' un nuovo periodo che dovrà incominciare, un periodo di rivendicazioni, un periodo di lotte e di vittorie ; e quel debole soffio di libertà che si espandeva per tutta la penisola, avrà novella forza e vita dalla stessa reggia di Torino. — Carlo Alberto è il re! Ma non fu cosi : 11 nuovo principe non potè sfuggire alle male arti che avevano paralizzato dapprima Carlo Felice e Vittorio Emanuele. I sanfedisti non abbandonano le loro posizioni, ma attaccano il re, lo afferrano stretto, stretto, lo conquistano a palmo a palmo, e s'industriano di demolire in quel petto generoso le più nobili aspirazioni, gli ideali più sacri. Ed egli cade infine, vittima inconscia di quella gente abbominevole, cade nelle sue spire infanti, e viene meno a un giuramento, dimentica un patto. Il 1831 che doveva segnare le basi dell'emancipazione d'Italia è invece il principio di un periodo di vergogna e di lutto. I più caldi patriotti vengono mandati in esilio, chi inneggia alla libertà viene messo in ceppi, chi si solleva, ucciso. Il conte Belguardi stesso, che nei primi anni di lotta era stato il più fido consigliere del principe ed aveva assieme a lui divise le difficoltà della reggenza, nel marzo 1821, dopo la morte di Vittorio Emanuele, viene scacciato dal Piemonte. Non vi è nella storia una macchia di sangue che non s'allarghi smisuratamente su colui che la fece versare; e questa verità posò implacabile sul re, che pagò col proprio disonore i primi 17 anni di regno, ed espiò le sue colpe e quelle degli altri con la stessa vita. Ma Carlo Alberto aveva detto : «Io giuro di consacrare la mia vita all'indipendenza d'Italia», e non mancò alla promessa. Siamo al 28 ottobre del 1847; l'Italia tutta disillusa ancora e scoraggiata. Una giovane donzella, di rare bellezze, eludendo alla severa sorveglianza, riesce a varcare le soglie della reggia piemontese é penetrare negli appartamenti del re. Rimane sorpreso e attonito Carlo Alberto a tal vista e la fissa in volto attentamente, come per studiarne i lin eamenti. Non trema la donna a quello sguardo, ma, forte della sua missione, svela il nome e ricorda al principe tutto intero un passato.... «Giuro che la mia spada, le mie sostanze, tutto il mio sangue, saranno consacrati ad un solo fine: a quello di tornare l'Italia al suo arbitrio natio», mormora l'audace. Chi è mai questa donua che, sfidando mille pericoli, ha 1' ardire di presentarsi a un re, di rinfacciargli il presente, di ricordare un giuramento, un' antica promessa ? — E' Stella, la figlia del conte Belguardi, una donna cui la dimenticanza e l'ingratitudine soltanto, può aver negato un posticcino, e non 1' ultimo, tra i fattori dell'indipendenza della patria. Da quel giorno, una nuova vita si diffonde per il Piemonte, è una novella speranza che si espande per tutta Italia. Il re pubblica riforme liberali, annuncia larghe franchigie. All' armi ! all' armi ! si grida dall'alpe al mar. Il di 8 febbraio 1848 viene concesso lo statuto. Cresce l'impeto delle idee generose, dei fatti eroici. Nel marzo dello stesso anno Carlo Alberto intima la guerra all' Austria. Si combatte da eroi: il nemico è respinto, fugati i tedeschi a Venezia. L'azzurro e giallo s'intreccia col tricolore ; è un popolo intero che combatte, un popolo di forti. Vittoria ! Vittoria ! si grida sui campi di Pastrengo, di Goito, a Go-vernolo, dalle mura di Vicenza, dalla rocca d'Osopo, dalle lagune, dalla regina dell'Adria. Vittoria! Vittoria! L'Italia tutta è in armi. Dalle lontane Calabrie, dalla Sicilia, da ogni parte accorrono a mille i volontari; donne e fanciulli offrono tutti il loro tributo alla patria. Ma indarno : Chi si è coperto di ferite, chi si è votato alla gloria, cede infine, e sui campi insanguinati della Lombardia sventola ancora un vessillo nemico. L'Italia è vinta, non doma ancora ! Ai primi di marzo dell'anno seguente Carlo Alberto impugna di nuovo le armi, e sui campi di Novara si decidono le sorti d'Italia. E' una lotta sanguinosa; cadono a migliaia gli eroi. Il re, sfidando la morte, corre il primo tra le sue file e incoraggia alla pugna. Ma è un eroismo perduto, sangue indarno versato. Carlo Alberto, alla fine della battaglia, vistosi a capo di un' esercito scoraggiato, sconfitto, distrutto, nell' impossibilità di continuare una lotta ormai divenuta insostenibile. «Tutto ò perduto — esclama — anche l'onore», e consegna la sua spada insanguinata, al figlio Vittorio Emanuele. In quella stessa notte, attraversando in mezzo a mille pericoli l'accampamento austriaco, egli abbandona l'Italia che non doveva mai più rivedere e si ritira in Ispagna ad Oporto. Infelicissimo re, troppo duramente hai scontato le tue colpe; i ricordi di un'Italia avvilita, le memorie di un regno perduto, i decreti d'esiglio e di prigionia ti pesano inesorabili sul petto e affrettano a gran passi il giorno della tua morte; e senti con orrore il cupo frastuono delle catene che dilaniano le carni dei confratelli, e vedi un nemico imbaldanzito che si avvanza: tu fremi, e vorresti impugnare ancora le armi tra le file del tuo vecchio esercito, non più duce, non re, ma come semplice soldato; vorresti combattere l'oppressore, vincere o morire. depositate alta ganca popolare Capodistriana al piccolo risparmio ed avrete il b lo. (Vedi operazioni della Banca in IV pagina). Ma non vi sono più speranze, non conforti che possano ridare all' infelice principe quella vita, che il giudizio troppo severo e ingiusto di un popolo va lentamente spegnendo. Ai 28 giugno dello stesso anno Carlo Alberto muore, benedicendo all'Italia. E voi che avete coperto di fiori la tomba di Vittorio Emanuele, voi che avete adornato di trofei il sasso che ricopre le ceneri dell'eroe dei due mondi, voi abbiate anche per questo re una lacrima e un fiore. E sul freddo marmo che racchiude le sue ossa a caratteri indelebili scolpite: «Qui giade un martire dell' indipendenza di Italia.» Oldrado A proposito di scuole magistrali l Tedeschi della Slesia e con loro tutti i connazionali, fanno un gran chiasso perchè il governo austriaco è intenzionato di affibiare corsi paralelli slavi agli istituti magistrali di Troppavia e di Teschen. Tutto questo chiasso ci pare a- dir vero ingiustificato; la Slesia è una provincia bilingue, anzi trilingue; al Nord abitano i tedeschi, al Sud i Cechi e i Polacchi; qualche cosa meno della metà della popolazione appartiene ai primi il resto ai secondi. Da notarsi inoltre che le due città principali, di cui abbiamo fatto più sopra parola, sono su territorio slavo, quantunque la maggioranza degli abitanti sia tedesca. Abbiamo toccata questa- questione slesiana per fare un piccolo confronto con la Regione Giulia. Nel nostro paese le condizioni etnografiche corrispondono su per giù a quelle della Slesia; quasi la metà della popolazione appartiene all'elemento italiano, il resto ai Croati ed agli Sloveni. Anche da noi esistono due istituti magistrali bilingui (quello di Capodistria anzi trilingue!), ma nessuno s'è mai sognato per questo di protestare. In cose scolastiche noi siamo più tolleranti dei Tedeschi; noi sappiamo che la nostra regione è abitata anche da altre nazionalità che pure hanno diritto ad un' istruzione elementare: noi sappiamo benissimo che maestri che ànno studiato in lingua differente dalla loro non possono essere bravi maestri ; per ciò non abbiamo nulla in contrario che hfl STORIA DI UH SOhDO La sera, di ogni giovedì si andava tutti dalla marchesa Ginori nella quale non si sapeva che cosa più ammirare o la bellezza delle forme o la bontà dell'animo. Pittori, uomini di lettere, magistrati, preti, ufficiali, tutti convenivano in casa Ginori dove si eseguiva ottima musica e dove si stava sino a tarda ora discorrendo intorno ai più svariati argomenti. Solamente di politica 11011 si parlava, giacché era opinione della marchesa che la politica guastava ogni sentimento gentile. Quella sera però, c'era poca gente dalla marchesa, vuoi perchè la serata era rigida, e fuori tirava un vento maledetto, vuoi perchè proprio quella sera si apriva il Bellini e molti a-vevano preferito di sentire il tenore De Lucia anziché andare a prendere il tè in casa Ginori. La marchesa era nel suo salotto a discorrere col conte Pandolfi e colla marchesa Torrearsa sulla stagione musicale che si apriva, quando fu annunziato il commendatore Cordova. presidente di Corte d'appello. — Favorisca, commendatore. Solo che ella è venuta proprio.... questa sera Veda... Mi hanno tutti abban-opnata. — Tutti ? No. Io qui vedo i signori nel nostro paese vi siano dei-corsi magistrali slavi. Se noi protestiamo, protestiamo contro l'ibridismo dei nostri istituti magistrali; im domandiamo la separazione dei corsi italiani dai corsi slavi: noi domandiamo che questi ultimi vengano trasportati in luoghi slavi, a vantaggio dei maestri di entrambe le nazionalità. Fra le nostre domande e le pretese dei tedeschi slesiani ci corre un bel pò. E già che siamo a parlar di scuole magistrali continuiamo. Il dott. Korber ad una deputazione di tedeschi che erano andati ad esporre le loro lagnanze riguardo alla vertenza di cui sopra, ebbe a rispondere seccamente che le paralelle slave verranno istituite, ma che gli istituti resteranno in inailo ai tedeschi. Questa seconda parte della risposta fa subito pensare ad un trattamento ben diverso usato a nostro riguardo: da parecchi anni a questa parte le scuole magistrali di Capodistria e di Gorizia vengono rette da slavi; perchè questa ingiustizia? Noti abbiamo anche noi il diritto d'aver qualche direttore italiano? Mancano forse professori idonei? Perchè dobbiamo sempre venir calpestati ? Di questo ingiusto trattamento verso di noi si dovrebbe pur chieder conto lassù, ai signori di Vienna. (r. NOTE AGRARIE Stalla e.... pasticci. Della stalla s'incarica il sottoscritto; de' pasticci — vetrinari, ultmo, diesi, ur.... e chissà quant'altri n'ha in serbo per oggi! — il proto, in prevalenza, si cura. E i buoi, amico proto, ti porgono grazie anticipate. Ben sanno che la stalla, senza la nuova tua collaborazione, andrebbe a finir nel letamaio. Io ti lodo, compagno! Come il suono grave e solenne d'un cantico tedesco lento lento Cacca dimenticare, molt'anni fa, a Beppe Giusti buon anima, certo attributo delle candele d'un aitar maggiore; oggi, e qui dove l'opera savia di preti e governo ha tanto fatto per l'affratellamento de' popoli, la croata dolcezza de' tuoi pasticci ben potrebbe commuovere gli italiani dell' Istria ! Viva, ripeto : a' pasticci, a' reverendi, al governo evviva! Pandolfi ed i Torrearsa, i quali hanno affrontati i disagi della serata per fare cosa grata alla signora marchesa. — Sempre cosi, ella, commendatore. Sempre gentile. Ma la conversazione anche dopo l'arrivo del consigliere commendatore perdeva sempre di colorito e di vita, sicché la marchesa per dare nuova esca al discorrere ed anche per quella curiosità propria alle donne anche elevate, dice al commendatore: — Perdoni la curiosità. Perchè ella commendatore, tiene attaccata alla catena dell' orologio quel soldino? Sarà un ricordo alei molto caro. — Non è un ricordo, ma lo tengo egualmente caro, perchè tempo fa mi apportò fortuna. — Ci dica, ci dica qualche cosa del suo soldino — rispondono il signor Pandolfi e la marchesa Torrearsa. Il signor Cordova fattosi serio in viso, dice: — Questo soldino è del sessantuno, epoca gloriosa per la patria. Non ha niente di diverso dei suoi fratelli di conio, se si tolga un bucchetto triangolare in prossimità della periferia. Chi sa quante mani di ingordi avari, di giovani spensierati, di belle donne e di uomini senza cuore, lo avranno stretto prima di venire attaccato alla mia catena! Questo soldino che nulla ha di diverso degli altri, ha una Ma la prudente redazione dell'«E-gida» mi potrebbe ricordare il còm-pito più umile onde son quivi : la prevengo, e cesso di curarmi della vita d'altri che non sieno i buoi — bestie pazienti. * E felicissime bestie, i bovini istriani, a giudicarne almeno da' ricoveri lor concessi dallapiùparte degliallevatori. Descrivo. Un locale a pian terreno, basso e il meno possibile spazioso, perchè mai contenga tropp' aria viziata. Unici fori una porta d'ingresso e qualche spiraglio sempre aperto quasi a livello della testa de' buoi, così non privi d'aria esterna purissima e qualche volta di freschissima acqua. Pavimento in pietra di «inasegno», de' liquidi e de' gas cosi nemica da cacciarli fuor di sè senza riposo; op-pur la terra funge di pavimento e allora di sotto a' buoi non la si rinnova, per evitare di condurli a' fanghi. Posta larga e lunga abbastanza, quando pure la lunghezza sia delimitata per l'esistenza d'un fossetto; il qual fossetto, coni' è, a spigoli vivi, discretamente profondo, serve a contenere disinfettanti per le inevitabili ferite che i buoi si fanno a' piedi posteriori. Inclinata parecchio, la posta, non solo perchè le urine v'abbiali facile scolo, ma anche per procurare alle bestie il sollievo d'un continuato stiramento di membra, alle prolifiche ma povere vacche l'aborto. Corsia quanto mai ristretta, onde il fieno serva ben anche da lettiera. Mangiatoia con la sponda di legno, ottima cosa per la pulizia. Un solaio di belle travi cariate e sovra queste il pavimento del fienile fatto con tavole mal connesse, acchè il delizioso pulviscolo trovi prestamente la via delle narici e degli occhi de'buoi, i profumi della stalla possano al fieno indur sapore anche più grato ; con trombe o meglio trabocchetti pe' 1 passaggio del fieno, oltreché, in copia maggiore, de' profumi e del pulviscolo. Quasi clic sempre letame di più giorni accumulato sotto i buoi, ond'essi godano il più possibile delle gradevoli sue emanazioni. Ragni e muffe, su' muri, con invidiabile costanza, lavorali da imbianchino. L'acqua sovente pulisce il latte medesimo. Durante l'inverno, chiusa la porta, v' è tropp'.aria li dentro, ma salubre cosi che intere famiglie coloniche si raccolgono liete per tòme la soverchia a' fortunati animali. Neil' estate, tafani e mosche accorrono in copia, e con mirabile pazienza pervengono a sottrarre parte del corpo bovino al caldo oppressore. Tutto questo e di meglio sussiste e succede in una stalla nostra. (Continua) x TRA I FIORI storia di dolori, la quale, in parte è legata alla mia fortuna. Bravo! bravo! il commendatole - esclama la marchesa. Ci racconti la storia. — Ce la racconti - ripetono gli altri. Il commendatore prosegue: — Avevo ventisei anni ed ero giudice a Bencina, piccolo villaggio. Una mattina vengo con sollecitudine svegliato dai carabinieri, i quali mi annunziano che la baronessa Cereolo era stata durante la notte assassinata nel suo letto. Si corre in casa Cereolo. La povera signora bianca, come la cera, pareva che dormisse sul suo letto di morte. Da una piccola ferita in prossimità del cuore, uscivano poche stille di sangue. Nessun disordine, nè sul letto, nè nella stanza. La poveretta con molta probabilità era stata assassinata durante il sonno. Il furto era stato il movente del delitto, giacché il cassetto dove la povera morta conservava le sue gioie era stato trafugato. I famigliari enumerarono le gioie rubate e si seppe che, in mezzo ad esse, la poveretta teneva conservato, quale ricordo, un soldino con un buchetto triangolare alla periferia e che era servito da balocco all' unica bambina mortale sei anni addietro. Per quanto però si indagasse, era stato impossibile scoprire i rei, quando un caso mise me o meglio la giustizia sulla buona Dei giardini francesi. Prima ancora che le creazioni del Le Nòtre sotto il lungo regno di Luigi XIV dessero ai giardini francesi quella rinomanza e quella voga che li fecero accettare come modelli in tutta Europa, i giardini in Francia avevano già preso un certo sviluppo ed acquistato una certa importanza, giacché i parterres specialmente dei tempi di Enrico IV venivano considerati come modelli di perfezione. Infatti se consideriamo l'intreccio delle linee, la varietà dei disegni di foglie vagamente disposte, 11011 possiamo a meno che rimanere sorpresi al pensare come si potessero conservare e far risaltare siffatti lavori (adatti piuttosto per un ricamo che non per giardini) con soli arbusti ed erbe; ma le forbici e la pazienza furono per lungo tempo i principali strumenti del giardiniere, che per mezzo di essi costringeva quelle poche ed infelici piante a figurare fogliami e contorni, conservando scrupolosamente l'ingegnoso tracciato. L'arte dei giardini credevasi in allora avesse raggiunto l'apice del progresso in Francia, per modo che il sig. Olivier de Serres, autore contemporaneo, esclama in un momento di patriottico zelo «che non fa d'uopo viaggiare «in italia nè altrove per contemplare «i bei ordinamenti dei giardini, giac-«chè la nostra Francia vince il premio «sovra tutte le altre nazioni, potendo «dessa essere maestra in questa matteria»; veramente l'amor patrio in questo caso ci sembra un po' eccessivo ma noi perdoniamo volentieri al signor Olivier de Serres, il quale probabilmente ha parlato dei giardini italiani senza conoscerli, la qual cosa pur troppo succede assai sovente. Un altro giudizio dello stesso autore al quale lasciamo interamente il merito, è quello ove dice «che i «giardinieri francesi erano giunti a «superare delle difficoltà riguardo a «disegni eseguiti con vegetali, che «sorpassavano di gran lunga tutto «ciò che avevano potuto eseguire gli «artisti italiani. Qui, esclama, s' in-«segnà come si possano piegare le «piante secondo il loro merito orna-«mentale». E dopo aver citate le ville reali di Fontainebleau, Saint-Germain, le Tuileries, Monceaux, Blois, prosegue dicendo «che non si «può a meno di rimanere compresi «di meraviglia contemplando delle «erbe che raffigurano iniziali, nomi «di personaggi celebri, trofei, gesta «d'uomini e di animali, edifizi, vascelli, «ed altre cose. contraffatte con erbe