Organo quindicinale della Gioventù Antifascista Italiana Anno I Abbiamo udito alcune voci giustamente risentite e meravigliate che nella Sede della GAI qualche giovane avesse bestemmiato. Naturalmente il fatto in sè, pur avendo da parte nostra, un sincero biasimo, non esorbita certamente da quella deprecata abitudine che hanno contratto ricchi e poveri, di lanciare talvolta degli epiteti poco o molto sostanziosi contro Colui che i credenti di una fede religiosa chiamano «Fattor supremo». Certamente il vizio divenuto abitudinario, fortunatamente non come nella gentil Toscana, anche qui da noi trova nell’elemento educativo una giustificata severa opposizione che tenta tutte le vie per togliere questa sconcia bruttura morale e dialettica. Anzi si può dire che la G.A.I. non vuole, che una tale abitudine divenga l’intercalare nè dei giovani e men che meno dei vecchi. Ad ognuno è lecito di credere più o meno, poiché siamo convinti che il credere o il non credere non alteri la figura morale di nessuno, poiché i valori umani e spirituali appartengono a quell’essenza individuale che si plasma attraverso l’educazione, la coltura, la società e la disposizione etica di quel bene o male che purtroppo la ferrea legge fisica ci trasmette quale eredità atavica, aggravata dalle circostanze di quell’ambiente nel quale siamo nati. Tollerare però che dei giovani infrangano un principio di elementare educazione ci sembra cosa riprovevole, specie se quest’atto offende le altrui credenze religiose. Perciò possiamo assicurare che noi provvederemo in merito con tutta energia. Tuttavia non possiamo esimerci di fare una considerazione retrospettiva, che ha un valore di constatazione attuale. Attraverso 1’ educazione impartita ai giovani dai saggi reggitori di quel Fascismo, mai bastantemente maledetto, Capodistria, 20 agosto 1945 abbiamo constatato che l’elevazione spirituale si era unicamente arrestata all’insegnamento e allo sviluppo di quelle facoltà negative, che il regime di allora definiva «virtù militari», e che noi riteniamo invece «la scuola del delitto». Accanto a queste «virtù militari» funzionavano pure dei cappellani militari, siamo certi, animati dalle migliori intenzioni, poiché sacerdoti, ma allora, come mai fu possibile che già a quel tempo i «ballila» tirassero giù dei moccoli, da richieder una scorsa sul «Vocabolario della bestemmia» per orizzontarsi da che dialetto e regione tale invettiva aveva origine? E perchè mai, questi educatori emeriti, rivestiti di cariche, di divise scintillanti, eruttanti ad ogni piè sospinto le massime morali più pure, non sono intervenuti allora con qualche salutare scappellotto a togliere lo sconcio? Evidentemente l’educazione giovanile stretta nella sua sintesi storicomilitare richiedeva la durezza dell’allevamento spartano, con la crudezza di vita e bruttezza d’espressione del legionario romano, ma allora i cappellani militari cosa stavano facendo? predicare al deserto? Sta bene! Il comuniSmo denigrato quale negazione di ogni credo e di ogni fede, assume di togliere dall’ animo di questa gioventù della GAI che frequenta la sede, il vizio della bestemmia; non siamo però ugualmente convinti se in sostituzione non risuonerà la maledizione eterna contro l’autore di questa infame strage mondiale, e contro coloro che lo hanno compiacentemente sostenuto nel nefando assassinio d’ un popolo di 45 milioni di italiani. Valga la massima dello scienziato inglese Brougham che disse: L’abici del maestro di scuola, è più importante della baionetta del soldato. Giuseppe Borisi N. 2 L’ approvvigionamento „ partigiano “ sotto il nazi - fascismo (g. b.) Ora che la guerra è terminata, è interessante far conoscere al pubblico, che certamente lo ignora, il sistema di approvvigionamento per le famiglie dei partigiani e dei perseguitati politici della nostra zona. A Portorose, in pieno centro nazista, sotto gli occhi di due Berater, di un vice prefetto, di un intero plotone S.S., il famigerato plotone così detto di «esecuzione» e di tutti gli agenti fascisti e nazisti in borghese, si svolgeva lo smistamento dei viveri a favore delle famiglie partigiane. Nell’ Ufficio della Sepral tutti e tre gli impiegati, direttore compreso, facevano parte del movimento antifascista clandestino. Attraverso un intelligente ma non per questo meno rischioso servizio delle compagne «corriere», il compagno Oscar o il compagno Renato Lonzar avvisava l’ufficio sul quantitativo medio occorrente per soddisfare le esigenze di circa una quindicina di famiglie. 1 buoni, spesse volte, ironico a dirsi, vidimati dallo stesso Berater, venivano successivamente consegnati al segretario della Sezione che assieme a qualche compagno o compagna provvedeva al ritiro della merce. A seconda delle difficoltà di carattere politico, o del tempo disponibile o addirittura della stessa disponibilità della merce (che doveva venir prelevata con infinite cautele in quanto nessuno dei grossisti della zona faceva parte diretta del movimento antifascista) i viveri venivano in un massimo di sette-otto giorni raccolti e trasportati a Capodistria; l’officina di Renato Lonzar era il punto di arrivo; le operazioni venivano sempre svolte alla sera; infine altri incaricati procedevano alla diretta distribuzione fra le varie famiglie. E’ logico che non sempre le cose procedevano come si desiderava. A Portorose la Sepral era rigorosamente controllata sia dai tedeschi, sia dai fascisti specialmente dopo la «calata» in quella prefettura del dott. Mario Petronio (attualmente detenuto al Co-roneo) il quale aveva una vera manìa «epurativa». Spalleggiato da una parte dall’ allora podestà di Capodistria e dai suoi agenti e dall’ altra dal segre- EREDITÀ AMARA tarlo del fascio di Pirano, l’emerito Petronio cercò di mettere il naso anche negli uffici della Sepral. Sarebbe troppo lungo descrivere tutte le angherie ed i piccoli e grandi soprusi che vennero sistematicamente appioppati a quella Sezione con una scusa o con 1’ altra. Ciononostante il «grande» Petronio non la spuntò. La lotta continuò per circa un mese sino a che con una abile contro-manovra il giovane direttore di quella sezione riuscì ad eliminarlo. Con la caduta di Mario Petronio i pericoli però non cessarono. 11 podestà di Capodistria, dopo il famoso «sblocco» alimentare a favore dei Comuni di Monte, Maresego e Villa Decani compiuto dalla Sepral di Portorose e di cui parleremo in altro numero, non poteva capacitarsi di essere stato così abilmente battuto da due o tre «sbarbatelli» come usava egli chiamare gli impiegati della Sepral. Sicché a Capodistria ogni passo del segretario di quella Sezione era La rappresentazione de La serva padrona di Giambattista Pergolesi, annunciata per il 18 agosto nell’Aula Magna del locale Liceo-Ginnasio «C. Combi», e dovuta alle solerti cure del maestro Luciano Milossi, ci offre l’occasione di rievocare brevemente la vita e l’opera del Pergolesi, per rinfrescarne la memoria tra il pubblico capodistriano. * * * Ci sono, nel mondo dell’arte, eterne giovinezze ed eterne vecchiezze: genii esaurentisi in una fioritura rapida, primaverile,' meteorica direi, e rapiti anzi tempo dalla morte invidiosa, e titani dolorosi e gagliardi, cui la canizie conferisce qualcosa di oltreumano e di spirituale, come se appartenessero ad una stirpe di numi, discesi a portar luce in mezzo alla discorde umanità. Da una parte Raffaello, Mozart, Schubert, Leopardi; dall’altra Tolstoi, Hugo, Dostojewski, Beethoven. Giambattista Pergolesi appartiene alla prima categoria: la sua vita è un guizzo di luce che si spegne troppo presto in un crepuscolo tragico. Nato a Jesi nel 1710 da povera famiglia, frequentò sotto la guida di celebri maestri il Conservatorio di Napoli, concretando giovanissimo la sua vocazione musicale ne La conversione di Guglielmo Duca d’Aquitania (1731). Nel 1733 nasce il capolavoro: La serva padrona, inserita come intermezzo comico nell’opera seria II prigioniero superbo. E’ un trionfo, e gli spettatori non si stancano d’applaudire quei personaggi, che cantano con naturalezza e brio, senza paludamenti classici e impalcature mitologiche. Le repliche si susseguono alle repliche, in Italia e in Francia. E’ questa una delle nostre prime opere buffe, rappresentate di controllato in una maniera o nell’altra dai suoi agenti (per fortuna già da tempo e molto bene individuati). Tutto andò sempre per il meglio poiché ad astuzia fascista si contrappose astuzia partigiana, ben più rifinita di quella, in quanto si sapeva con certezza la fine che ci sarebbe toccata se fossimo caduti nelle mani del magg. Martini e dei suoi accoliti. Il lavoro clandestino così continuava calmo e sereno. E se spesse volte alla fine della giornata i nervi erano scossi e non si poteva con certezza sapere se all’indomani si sarebbe potuto continuare ancora il nostro lavoro, avevamo almeno l’intima soddisfazione di aver anche noi, nella piccola parte che ci spettava, contribuito in qualche modo alla vittoria dei compagni che in quella medesima ora, lontani, nei boschi, sulle montagne, lungo le strade ed i sentieri vegliavano o combattevano per un più puro Ideale di Libertà. solito, in quel tempo, tra un atto e l’altro delle opere serie, quasi per riscuotere la gente dall’ eroico furore che destano le vicende di Enea e Di-done, di Edipo e d’ Achille; ben presto però l’opera buffa avrà la sua piena autonomia, e al Pergolesi seguiranno Mozart e Rossini, che porteranno tale genere alle più alte vette, traducendo in melodia immortale il sorriso eterno della- gioia. Ma al successo della Serva padrona segue il fiasco àe\Y Olimpiade. E’ un grave colpo per l’autore, che, già minato dalla tisi, si ritira a Pozzuoli, ospite del convento dei Francescani, sperando di trovare in quel luogo di religione e di pace non solo un conforto spirituale, ma anche un sollievo al corpo malato, data la dolcezza e la salubrità del clima. Qui egli termina lo Stabat mater, che ben fu definito «il poema dello strazio divino riflesso nell’anima umana». Le ultime note della mirabile composizione precedono di poco la morte dell’autore: è il 16 marzo 1736 e Giambattista ha appena ventisei anni! La leggenda ha voluto circondare del suo alone poetico la fine del Pergolesi, conferendole una romantica nota di triste elegia: egli amava una fanciulla nobile, Maria Spinelli, ma i parenti, gelosi del blasone, gliela rifiutarono. La giovinetta andò a rinchiudere il suo dolore in un chiostro, ove morì nel 1735; il Pergolesi, dopo aver diretto la messa da requiem per l’estinta, seguì la soave creatura nella tomba. Questa è la vita del nostro autore, che si potrebbe veramente compendiare nel binomio leopardiano «amore e morte». Amore: e nascono le note giulive, scintillanti, dinamiche della Serva padrona e di Lisetta e Tracollo, dove la maliziosa e scaltra comicità la grazia tutta settecentesca, la giovialità d’ un riso immutabile si fondono in un inno supremo di celebrazione della bellezza e della vita. Morte: e sorgono le composizioni religiose, le armoniose strofe dello Stabat mater, in cui la meditata tristezza accompagna il commosso ardore della fede, che guarda in alto, al di là della terrena esistenza. EL NOSTRO DIALETO Questa volta et paolan, volendo festeggiare il Ferragosto in piena libertà, non ha inviato ai giornale il suo poetico tributo. Non potendo però mancare in questo numero una rubrica cosi interessante e così nostra, abbiam dovuto provvedere altrimenti; e dopo lunga ricerca ci è capitato tra le mani un componimento inedito del compianto Tino Gavardo, che fa proprio al caso nostro. Si tratta d’una sua bizzarra, implacabile requisitoria contro le bellezze della sua città: un’apologià a rovescio, vorrei dire, di Capodistria, contemplata in taluni dei suoi più caratteristici aspetti. Del componimento in sestine, troppo ampio per essere qui pubblicato integralmente, riportiamo le strofe più importanti, quelle cioè che ancor oggi conservano un sapore di viva attualità, a conforto dei nostri concittadini che con nobile orgoglio paesano leggeranno come il gioviale Tita Bidoli si raffigurava nel 1910, in un momento di buonumore, la sua terra natale. Che bel logheto, disi tutti quanti i forestieri quando i casca qua e gnanca i lugaroni1) no i sta muti, che fra .dossento bitte e mile ja 'ssai volte ò inteso dir in Belveder: Wie schon ist diqse Stadi und dieses Meer2)| Persiò gnente de mal se mi che son capodistrian dirò che la xe bela 3 4 ; mi no lo fosso, ciò, per presunsion e se qualche persona, orca mustela, la me dirà che son campanilista bisogna dir che no ’l la gabi vista... Letor benigno, vien con mi che andemo a visitar una superba plaga; una più bela mai no vedaremo la zentil e superba Bossedraga : un dei più neti loghi, che se sa, de tuta quanta questa mia sitò. Se ’na persona gà de far ’na cura se i su’ polmoni i brama respirar un’ aria sana, qua, senso paura, eh’ el vegni se ’l se brama governar: int- un mese, per mal che le ghe vaga, el passa a miglior vita a Bossedraga... Per non parlare de le gran beiesse che se trova a San Pieri, ve dirò che le strade xe bele e xe ben messe, che xe un saliso proprio, come el fò ‘) e adesso co la solita mia briva ve parlerò un fiatin de Šotoriva... Qua le signore, che ghe piasi darse la polvere de Sipro sora el viso, le trov.arà sicuro (figurarseli Šotoriva un secondo paradiso qua polvere, per diana, no ghe manca, e quel che importa più: gratis e franca... Se Milan ga el teatro de la Scala dove canta i più selebri tenori anca el nostro, diremo, noi ne fata; e se le malte casca so al Ristori xe colpa dei can.. tanti, ste sicuri, che co i se meti i fa tremar i muri... Se no credessi, za, che se contenti ve podaria parlar avanti ancora e portarve davanti, altri... argomenti, ma fosso tardi e adesso vado fora e vado a spassisar su e so pel molo corendo risciò de spacarme el colo... 1) - I tedeschi. 2) - Com’è bella questa città e questo mare. 3) . Sottinteso: Capodistria. 4) - Francesismo: come è necessario, come sta bene. Giambattista Pergolesi Approvvigionamento e difficoltà attuali (G. B.j Quando la donna del popolo, l’operaio o l’impiegato protestano, brontolano, si lagnano perchè certi viveri non arrivano, perchè certi altri non sono stati distribuiti tempestivamente o addirittura non sono ancora giunti, certamente tutte queste persone hanno ragione. Effettivamente il triste fenomeno della rarefazione dei viveri dopo ogni guerra si è fatto sentire in misura ancor maggiore dopo quest’ ultimo conflitto, poiché, specialmente la guerra aerea, ha polverizzato strade, ponti, centri di comunicazione e di produzione anche se lontani centinaia di miglia dalla linea del fronte vera e propria. Per quanto riguarda la nostra cittadina, sono dell’opinione, che non tutti si rendono conto od hanno anche una pur approssimativa idea delle grandi difficoltà cui sono quotidianamente sottoposti coloro che si sono assunti l’ingrato incarico del-l’approvvigionamento: Noi non riceviamo mai parole di lode o di ringraziamento per 11 nostro lavoro. Noi lavoriamo in mezzo a cento difficoltà di ogni genere e riceviamo in cambio solo frasi ironiche se la merce tarda ad arrivare e biasimi a getto continuo se disgraziatamente i viveri, bloccati in zone lontane, non si sono potuti tempestivamente, far giungere in città. Per approvvigionare del solo pane Capodistria, occorrono 21 quintali giornalieri di farina pari a circa 630 quintali mensili di detto genere. A disposizione per i trasporti c’ è un solo camion dalla portata di 40 quintali circa... Per cuocere il pane ci vuole, naturalmente, la legna; il consumo medio giornaliero di legna per i forni cittadini è di 10- 12 quintali. La popolazione può avere dunque un’ idea, trattando solo l’argomento „pane11, di che cosa voglia dire la frase „assicurare la distribuzione giornaliera di pane'1. Non parliamo degli altri generi, zucchero, grassi, generi da minestra, tabacco, sale, ecc. del relativo trasporto, del finanziamento della merce, della equa distribuzione della stessa, ecc. Si sente dire da più di qualche persona, non sappiamo se in buona o in cattiva fede, che a Trieste ,,si trova di tutto-1. Certamente questo sarà vero. Ma bisogna aggiungere subito dopo, che se a Trieste c’ è di tutto, questo „tutto" viene a costare migliaia e migliaia di lire. Ora io mi domando : da Capodistria a Trieste abbiamo un’ora e mezza circa di tragitto. Chi proibisce a tutta questa brava gente di andarsi a prendere tutta quella grazia di Dio quando pare e piace a loro? Nessuno certamente. Poiché siamo sinceri, a Trieste c’ è, si, di tutro ma senza tessera ed a prezzi sbalorditivi. Trieste con la tessera dà la metà e forse meno di quello che non dia Capodistria. La popolazione di Trieste riceve giornalmente con la tessera gr. 200 di pane a lire 15 il chilo, quella di Capodistria gr. 300 a lire sei. A Capodistria dal 1° maggio ad oggi abbiamo distribuito con la tessera i seguenti generi : Mese di maggio : gr. 210 di olio » 1500 farina di soja » 250 pasta » 250 zucchero (categ. 0-3 anni e oltre 65) » 600 farina gialla ai lavoratori Mese di giugno : gr. 300 marmellata (categ. 4-18 ed oltre 65) » 300 latte condensato (categ. 0-3 anni) » 150 formaggio grana » 100 strutto > 200 carne in scatola » 400 zucchero » 1000 sale » 100 formaggio grana (seconda distri- buzione). Mese di luglio : gr. 250 zucchero (categ. 0-3 ed oltre 65) » 300 latte in polvere (categoria 0-3 anni) » 125 zucchero » 300 marmellata » 300 sapone » 200 olio » 200 strutto » 600 farina gialla ed inoltre distribuzioni di carne fresca con e senza tessera, di patate, legumi ecc. Si è pure passato all' evasione dei supplementi medici per zucchero ed olio. Cento-settantacinque poveri del Comune hanno regolarmente usufruito della mensa istituita gratuitamente a loro favore. Trecento operai hanno regolarmente ricevuto, fuori tessera, un pasto al giorno al prezzo di lire otto per pasto. Come si vede, attraverso dati e cifre precise, il diavolo non è poi esattamente tanto brutto come lo si dipinge o lo si vuol far dipingere... Chi legge, confronti questi dati e queste cifre con quelli di Trieste. Non so se poi sarà ancora dell’ opinione, che a Trieste, con la tessera, si riceva più di quello che si riceve a Capodistria. E quando uno del popolo vedrà passare per la strada uno dei compagni (gente del popolo come lui) addetti all’alimentazione, pensi per un momento al lavoro che gli pesa sulle spalle, lavoro difficile, ingrato, irto di difficoltà e di responsabilità, lavoro di poche soddisfazioni e molto spesso di ingiusti rimproveri. E pensi soprattutto che quel compagno è una persona onesta. Il Tarzan Istriano Riceviamo e pubblichiamo: Avere un campione mondiale, d’immersione subacquea, in casa, è una gran bella soddisfazione tnon è vero ?) E precisiamo che il precedente campionato mondiale è stato battuto di gran lunga, senza sortilegi o malintesi di sorta. Piero Zama-rin, il iTarzan Istriano*, ha iniziato la sua temeraria e fortunata carriera pochi mesi or 'sono. Egli aveva avuto sentore delle gesta subacque di Toni Popovich e la sua indole ardita l’aveva indotto a tentare. Prima prova: 3T1”. Non mancarono gli incoraggiamenti da parte dei suoi simpatizzanti. Intanto, nelle acque del Canale Popovich fa un’immersione che dura 3’34”3/5 (con servizio di Guardia Medica). Zamarin invita nella nostra cittadina una giuria per cronometrare legalmente il tempo. 3’54’'3/5. Popovich col suo campionato mondiale è largamente battuto. Il Tarzan si crede in dovere lanciare il guanto di sfida al suo diretto rivale, senonchè questi finge di non sentire (si tratta forse di acqua nelle orecchie...) e di rimando lancia un altro genere di sfida, consistente nello scendere in fondo al mare, prelevare un dato peso e portarselo a spasso verso (credo) la superficie. Il Tarzan è troppo sportivo per abbandonarsi a competizioni che esulano totalmente da ciò che rappresenta uno sport, e di rincalzo decide di migliorare il proprio primato. Riunione all’Ausonia: Molta gente, moltissimi sportivi attendono con malcelata curiorità questo immersiouista subacqueo che brucia a gran carriera tutte le tappe. Piero Zamarin è in mezzo alla piscina, su una barchetta con la giuria. Fa una prova — tanto per ambientarsi col liquido elemento — òhe dura due minuti e mezzo. Fa un breve riposo poi comincia ad immagazzinare aria, aria, ancora aria. Un attimo dopo il Tarzan è sott’ acqua, illuminato da riflettori che lo rendono visibile ad ogni spettatore. Un minuto, due, tre, tre e mezzo, 3’40’’, 3’50’’4 minuti. Il pubblico freme d’ impazienza e parecchi dubitano di un esito felice, delle possibilità fisiche del nostro campione. Qualcuno grida di tirarlo su. I cronometristi nel baccano che crea la folla non possono trasmettere al Tarzan il tempo. Al 4’3”, Zamarin fa un segno, dimostrando di essere pienamente in sè. 4’5”, 4T0”, 11”, 12”. Il Tarzan lentamente risale. 4T4”3/10. Un uragano di applausi si ripercuote nell’ aria. Il campione c’è. Fuori dunque i rivali a battere (è una parola!) il presente record, e... attenzione alla Guardia Medica. ERI APPUNTI DI STORIA CAPODISTRIANA ,,0 2taliani, Lo- ti edotto. aMe y foscolo I. - Le origini e l’età romana Un’ennesima narrazione della bimillenaria storia di Capodistria, dopo quanto è stato scritto sull’ argomento da insigni studiosi, in opere d'interesse più generale o in specifiche monografie, non sarebbe, oggi, più giustificabile, se non possedesse almeno qualche carattere di novità. E’ fatto che, sinora, la storia della nostra città, e dell’ Istria in genere, è stata quasi sempre trattata in maniera pesante ed erudita, in libri che s’indirizzavano per lo più agli specialisti ed a pochi intenditori, nè è uscita mai dalla cerchia ristretta e arcigna dell’alta cultura per interessare anche la gran massa dei lettori: la quale, da parte sua, ha preferito sempre, ai ponderosi volumi storici, i romanzi economici delle benemerite case editrici Salani e Bietti... L’unico che abbia cercato di venire incontro alle esigenze del largo pubblico è stato Giuseppe Caprini il capitolo da lui dedicato alla Gentildonna dell’Istria, nelle Marine Istriane, è un capolavoro del genere, di lettura facile, piana, divertente. Ma quanti capodistriani conoscono quelle pagine? Io cercherò di seguire, modestamente, la nuova via, dal Caprin così genialmente inaugurata. Oggi, nulla più e meglio d’un periodico può ottemperare alla finalità di far conoscere al popolo di Capodistria la storia della sua città. Per questo solamente ho voluto interrogare ancora una volta i fantasmi del passato, e riascoltare il leopardiano grido dei nostri avi famosi; per questo mi sono proposto di ripercorrere sinteticamente, in una serie di successivi capitoli, lo svolgimento storico di Capodistria, dai tempi più remoti fino alle soglie dell’età contemporanea. * * * Una leggenda diffusa nei primi fulgori dell’Umanesimo, quando pareva essere un titolo di nobiltà e di gloria far risalire la fondazione d’ una città ad eventi della mitologia grecolatina, collegava le origini di Capodistria alla famosa spedizione degli Argonauti : i Colchi, infatti, postisi all'inseguimento della nave fuggente di Giasone, dopo il ratto del vello d’oro, sarebbero giun- ti, nella loro peregrinazione marina, sino allo scoglio ove sorse la nostra citta. E come s’era formato quello scoglio? Un’altra favolane abbellisce la genesi: si tratta, nientemeno, d’una celeste contesa tra Atena e Posìdone, durante la quale la dea soccombente lascia cadere in mare lo scudo, la sua Egida, da Giove tramutata in isó-lotto. Alla prima leggenda Pier Paolo Vergerio ha cercato invano di dar valore di storica concretezza; la seconda è stata resa argomento di poesia da Gerolamo Muzio. E Tuna e l’altra rivelano che degli antichissimi tempi della nostra città una storia vera e propria non esiste ; probabilmente, io penso, perchè non ci fu. Ci soccorre piuttosto la fantasia, nell’immaginare la nostra isola circondata da un mare agitato e mosso, che i buoni abitanti della terraferma vicina guardano non senza diffidenza; e appena quando l’acqua è tranquilla e sereno è il cielo osano attraversare con qualche barca rudimentale il braccio di mare che separa dalla costa istriana lo scoglio verzicante di prati, residenza di capre e di greggi. E senza mobilitare Giasone, i Col-chi, Posìdone, Atena e Giove, l’unica maniera di aprire un pur esiguo spiraglio di luce sulle antichissime età della nostra cittadina è quello di analizzare i suoi due primi nomi : l’uno, Egida, è greco e significa «pelle di capra» o, piu semplicemente, «capra». 11 secondo, Capris, non è altro che la traduzione latina del precedente, fatta dai Romani quando, vinto il re istriano Epulo e conquistate Nesazio, Mutila e Faveria (177 a. C.), estesero il loro dominio anche sulla nostra città. E allora si può dire che si compie il passaggio dalla leggenda alla storia, dal poetico sogno della favola al risveglio della vita operosa, illuminata da un’evoluta civiltà. In età romana Capodistria diventa un fiorente municipio e si regge da sè, come una piccola repubblica, con propri magistrati ; al tempo di Augusto (27 a. C.) ottiene la cittadinanza romana e fa parte della Decima Regio, comprendente l’Istria e la Venetia. Nei primi secoli dell’Impero Capodistria attraversa un periodo di rigogliosa prosperità : le sue navi tramano una rete di commerci nell’alto Adriatico, mentre negli ameni dintorni della nostra città (Ancarano ed Oltra), come del resto lungo tutta l’incantevole costa istriana, vengono edificate ricche ville patrizie, delle quali sono ancor oggi visibili i magnifici mosaici. Ma intorno al IV secolo dell’era volgare, quand« l’Impero volge al suo tramonto, anche il municipio di Capris decade. S’iniziano le invasioni barbariche: gli Unni di Attila giungono sino alla costa prospicente la nostra isola. E fu provvidenziale, allora, la fascia marina, che impedì alle orde incalzanti di raggiungere la romana città. Tuttavia, in quei tempi incresciosi, il Cristianesimo già largamente diffuso nell’Occidente, diventa motivo di unione e di forza spirituale: l’Istria è tra le prime terre ad accogliere la nuova dottrina e S. Nazario (sec. V-VI) apre la serie dei vescovi di Capodistria. Così l’autorità vescovile viene a sostituire la vacillante autorità municipale, ed a raccogliere i cittadini sotto il vessillo di Cristo, quando l’altro vessillo di Roma pagana comincia ormai a non avere più, sui popoli federati e soggetti, l’antico prestigio. (continua) ...........i.......'"«li.. NOTIZIARIO SPORTIVO Doveva essere la prova che lo sport desta pur qualche interesse in questa eternamente insonnolita cittadina e invece solo pochi e sparuti cittadini sono intervenuti giovedì 9 c. m. nella sala di S. Chiara per prendere parte all’assemblea indetta dai dirigenti dell’U. S. Capodistriana, il massimo organo sportivo cittadino. Le varie relazioni dei dirigenti non hanno gravato sugli intervenuti col solito e tedioso incubo dei discorsi preparati ma non sentiti. Affrontare un argomento sportivo non è scavalcare una trincea, cosa questa a cui pochi sono preparati. Si tratta piuttosto di una discussione leggera su cose che possono anche richiamare alla memoria i giorni migliori della fanciullezza. Vorremmo che almeno questo i capo-distriani assenteisti comprendessero. Le cose che sono state dette sono al-l’incirca le seguenti : . Dopo molti anni di attività calcistica ridotta allo zero o quasi, a causa della situazione politica di fatto e al diminuito interesse degli sportivi locali stanchi di essere presi in giro da dirigenti della società, i quali mancavano di interesse, di tatto, di capacità, forse anche di onestà, questo anno i vecchi e fedelissimi tifosi unitamente ai giovani sono stato chiamati a raccolta dai dirigenti della società per uno scambio di idee possibilmente non sterili di svilup-po, per riferire sull’ attività svolta e per progettare quella da svolgere. Qui tutti potranno partecipare perchè lo sport si fa sotto il segno della massima libertà e indi-pendenza da simpatie politiche, di modo che una società sportiva è un ente assolutamente apolitico. La situazione finanziaria per il periodo dal 13 febbraio 1944, data d’inizio dell’attività, ad oggi è stata sempre abbastanza buona: ENTRATE.... L. 105.455,60 — USCITE .... L. 102.982,60. Attualmente dunque la cassa sociale attende le dovute iniezioni. Finita la relazione finanziaria si è passato all’elezione della nuova dirigenza. I 103 soci intervenuti hanno riconfermato in carica i dirigenti attuali. I voti sono stati personali e segreti e lo scrutinio è stato fatto dai soci presenti : Suplina Libero, Suplina Francesco, Busan Carlo, Deponte Bruno. Il risultato è assolutamente valido perchè Tart. 14 dello statuto sociale suona: ..L’assemblea generale dei soci. può de- liberare qualunque sia il numero degli intervenuti, perchè gli assenti decadono dal diritto di voto11. Si è trattato quindi dell’attività futura. II relatore ha comunicato che la Sezione locale del Partito Comunista si è offerta di dare il suo appoggio finanziario alla società, ove questa ne sentisse il bisogno. Con ciò la piena indipendenza e il carattere apolitico della società non saranno minimamente scalfiti. Nell’ offerta c’ è la volontà che se attività vi deve essere a Capodistria, questa sia effettivamente degna di Capodistrià. Nessuna inframettenza pratica tra sport e politica, si intenda bene, anche se tra le due vi deve essere una simpatia naturale e logica. Inoltre si è auspicato che gli sportivi locali che aderiscono nel rapporto di 1:20 circa, aumentino ancora. Finirà quindi il periodo di magra per la squadra. Finiranno le delusioni e le miserie senza rimedio. Ciò che conta quest’anno è di cominciare una nuova vita e affiancarsi lentamente al movimento calcistico regionale italiano, glorioso come nessun altro. Il relatore ha poi condensato in otto punti 1’ attività che l’U. S. Capodistriana intende questo anno esplicare. Notevoli migliorie al campo sportivo per conto del Comune che ne è il proprietario. Risolvere il problema dell’equipaggiamento. a cui è d’ ostacolo la carenza dei generi adatti nel mercato e l’elevatissimo costo. Un paio di scarpe di cartone vale più di 2000 lire. Curare la campagna per i soci, perchè essi costituiscono la spina dorsale della società. La quota di associazione è attualmente alla stregua dei più poveri che sono anche i più numerosi. Possibilmente organizzazione nella stagione autunnale-invernale di trattenimenti sociali. Intanto è in allestimenti» per il 26 c. m. la tradizionale festa da hallo in Belvedere. Apertura appena possibile di una sede sociale decente che diventi per gli affiliati un circolo di cultura sportiva e di ricreazione. Qui, tra dirigenti e soci, si potranno scambiare quattro chiacchere in famiglia, le singole proposte saranno ascoltate e, se buone, applicate. Qui il socio avrà modo di dare un voto di sfiducia verso un dirigente manchevole e in unione agli altri associati chiedere la sua sostituzione. Si cercherà di uscire dall’ isolazionismo sospetto e ridicolo dei dirigenti passati, i quali sembravano permanentemente dei congiurati tanto erano misteriosi. Ognuno avrà modo di consultare lo statuto sociale, i libri cassa, le relazioni amministrative e tecniche. Partecipazione a tornei che arrivino oltre Trieste in modo da continuare le vecchie contese con le società friulane di cara memoria agli sportivi più anziani. Allestimento nei prossimi mesi di una mostra sportiva con il cospicuo materiale raccolto negli anni passati. Certamente sarà uno sguardo retrospettivo molto gradito ai capodistriani Finalmente si è accennato alla nuova squadra in formazione e che scenderà in campo per il primo allenamento il 18 c. m. Assisterà tecnicamente la squadra 1’ ex nazionale Bruno Scher : a sua dispo sizione avrà, oltre a tutti gli elementi dello scorso anno, 1’ ambrosianino Mario Cociani, il cui piede micidale darà i nalloni delle nostre affermazioni. Bruno Žago e Livio Parenzan sono gli altri due giuocatori che appena ora il vortice della guerra ha rimandato a casa. Passione, capacità, tecnica saranno le doti della nostra squadra. Nessun basso interesse mercantile, perchè lo sport vale fino a quando è fatto da dilettanti. Da ultimo il giuocatore Mario Perini ha letto ai convenuti lo statuto sociale. Il nostro statuto è un vero manuale di principi democratici, di quelli veri s’intende L’U. S. Capodistriana è dei suoi soci, perchè sono essi ad averla costituita, a mantenerla, a dirigerla attraverso la scelta curata dèi dirigenti. Solo in base allo statuto potrà essere modificata qualche ruota dell’ ingranaggio della società, ma sempre saranno i soci a determinare la decisione. Direttore responsabile: PIETRO BUSSA M Redattore Capo : GIUSEPPE BORISI Stabilimento Tiposrafieo Giuliano - Capodiatria