Laura Oretti Te la dico, te la scrivo. Un testo della narrativa tradizionale tra oralita e scrittura Avtorica odpira pomemben problem v ljudskem pripovedništvu: razkorak med govorjenim in zapisanim. V svojem prispevku predstavlja poseben zgled: pripovedovalka, Rovinjčanka, roj. 1922 je zgodbo (Pastir namesto duhovnika odgovarja na kraljeva vprašanja - AT 922) povedala in sama tudi zapisala. Discussing an important theme in folk narrative, the discrepancy between what is said and what is written afterwards, the author introduces a special example: a female narrator from Rovinj, born in 1922, narrated a story (Pastir namesto duhovnika odgovarja na kraljeva vprašanja/A Shepherd Answers the King’s Questions on Behalf of a Priest - AT 922) and also put it in writing by herself. L’analisi dei rapporti fra oralita e scrittura rappresenta una delle questioni pin dibattute nell’ambito degli studi sulla narrativa popolare, sia per quanto concerne la fase di formazione del testo (e dunque la sua possibile derivazione da fonti letterarie), sia sul versante della raccolta e documentazione dello stesso. Fin dagli esordi demologici ottocenteschi l’attenzione dei ricercatori si e appuntata sul problema della trascrizione delle narrazioni orali, nel tentativo di individuare dei principi teorici ehe consentissero di determinare le tecniche di trattazione pin consone ai testi della tradizione orale. L’introduzione sempre pin ampia di moderni strumenti di registra-zione (dal magneto-fono alle videocamere) e l’affermarsi negli ultimi decenni di una nuova prospettiva di analisi piü attenta anche alle componenti linguistica, stilistica e formale dei racconti, hanno reso possibile il superamento di alcune impasse teorico-pratiche1 e l’aprirsi verso nuovi campi d’analisi, quali, ad esempio, lo studio della relazione ehe intercom; fra narrazione orale e performance teatrale, o quello rivolto ad isolate le specifiche tecniche espressive dell’oralitä e lo stile personale dei singoli narratori. 1 E ormai universalmente riconosciuta, ad esempio, l'inaceettabilitä di compiere rimaneggiamenti e “abbellimenti" e la necessity di trascrivere esattamente ciascun testo orale in tutte le stie componenti foniche e sintattiche. II recente emergere di un’ottica sempre piü attenta anche alle caratteristiche formali della narrazione ha spinto nuinerosi ricercatori ad interrogarsi sulle modificazioni ehe si producono in un testo nel suo passaggio dall’oralita alia serittura, ponendo in luce quanto una simile operazione, nonostante la possibile fedeltä della trascrizione (a partire magari da un nastro magnetico), finisca per determinate una trasformazione profonda ed indelebile del linguaggio, tale da poter essere considerata in realtä un processo di “vera e propria transcodificazione”.2 Se comunque un’analisi di tipo storico-contenutistico poteva accettabilmente essere condotta anche a partire da testi non perfettamente aderenti alia tradizione (Grimm, Von Arnim, ma anche Imbriani ed altri), sembra alquanto piü discutibile il presupposto ehe un’analisi dell’oralitä possa essere compiuta su fonti che in realtä orali non sono. La difficoltä di raccogliere (o di poter utilizzare) un numero consistente di registrazioni rilevate sul campo ha infatti spesso causato il ricorso a “trascrizioni” (prodotte da letterati, cultori della tradizione locale o ricercatori del passato) il cui grado di affidabilita all’originale e raramente nscontrabile. E evidente che in un simile contesto il ricercatore debba valutare una duplice transcodificazione, ovvero il passaggio da un genere all’altro, ma anche la “traduzione” della cultura popolare nei moduli propri della cultura “alta”. Non si tratta infatti di determinare unicamente in ehe misura i testi si modifichino in base alia forma in cui si incarnano (e dunque alle leggi compositive ed alle diverse convenzioni ehe sono proprie di ciascun genere espressivo), bensi di stabilire in ehe grado una “trascrizione” possa compoitare una ristrutturazione globale del racconto, tale da veico-lare contesti culturali, sociali, cognitivi ed esperienziali del tutto differenti. Di qui la perplessitä, suscitata da alcuni studi folclorici, ehe sia plausibile ritenere di poter rintracciare le regole del narrare tradizionale attraverso lo studio di testi trascritti con modalita incerte, o di isolare “leggi universali” senza l’opportuna verifica sul campo.3 Quanto, ad esempio, la “mancanza di prospettiva” riscontrata da Lüthi nella fiaba di tradizione orale e dovuta alio statuto di quel genere narrativo e non piuttosto alio stile personale del singolo narratore, o all’assenza, nell’uditorio, di persone ehe compartecipino della stessa realtä sociale, geografica, culturale? O ancora quanto l’uso di formule di apertura e chiusura standardizzate puo essere considerate un segnale di oralitä e non invece un elemento ehe il narratore stesso percepisce come fiabesco ed utilizza consapevolmente solo quando desideri creare un determinate effelto artistico? In un’ottica di questo tipo l’incontro con un informatore ehe, oltre ad essere un bravo narratore, scelga di utilizzare anche lo strumento della scrittura per trasmettere i propri racconti, appare ricco di potenzialitä: avremo cosi la possibilitä di confrontare 1 Cristina Lavinio, La magia della fiaba: Ira oralitä e scrlllura, Firenze, La Nuova Italia, 1993, p. 3. 11 fatto stesso ehe nello scritto manchino tutta una serie di fattori cite conferiseono senso al prodotto orale (gesti, ritmo, toni, pause, mitnica, ma anche quel contesto relazionale e spazio-temporale, quel flusso narrativo dialogico ehe stanno alia hase e motivano eiö ehe si sta raceontando), o che nell'oralitä ci sia una sovrabbondanza di elementi ehe nello scritto appaiono come ridondanti o ripetitivi (iterazioni, intercalari, interiezioni, recupero di porzioni di testo dimenticate, interruzioni), comporta ehe si faccia un uso diverso della parola e dunque cite si producano, in effetti, due testi differenti. In definitiva il testo scritto nasce per essere letto, quello orale per essere agito ed ascoltato. ■’ L’analisi svolta da Cristina Lavinio sulle Habe italiane d\ Calvino (op. cit., cap. 6) mostni ad esempio come uno serittore possa essere in grado di utilizzare molti elementi considerati tipici dello stile orale per produrre dei testi ehe del popolare abbiano il sapore ed il ritmo, anche quando questi siano del tutto assenti dalla variante originale: -nel passaggio dall’oralitfi alia serittura ... la fiaba perde infatti molti dei suoi tratti costitutivi, e tale perdita determina facilmente l'insorgere dell’esigenza di una rielaborazione seritta ehe sia magari diretta a simulare l’oralitä, ma utilizzando, per raggiungere questo scopo, i vantaggi, i lussi e i procedimenti della serittura- (p. 3). due varianti di un testo che sia veramente “lo stesso” (ossia un prodotto riconducibile alla medesima fonte e allo stesso ambito culturale)'1 e dunque di testare 1’effettiva validitä degli assunti teorici proposti. II primo incontro con E.B. ha generato in me un iniziale disappunto. Ero andata a Rovigno alla ricerca di testi della tradizione orale e con l’idea di raccogliere, per quanto possibile, anche delle narrazioni in quello che, a detta dei linguisti, e uno dei pochi “dialetti indigeni” rimasti in uso in Istria.5 Ma E.B. era di altro avviso. Non aveva nessuna intenzione di narrate in una lingua che, secondo lei, io non avrei potuto capire.6 Lo sentiva come qualcosa di artificioso e mi disse ehe, se avessi voluto un racconto in rovignese, mi avrebbe offerto in un secondo momento una trascrizione delle “sue” narrazioni, ehe aveva giä preparata tempo prima per aiutare il figlio ehe raccoglieva tradizioni locali con l’intento di farne dei racconti a fumetti. Non mi resto altro ehe registrare quanto aveva in mente di raccontarmi e attendere i suoi scritti, ehe in effetti mi consegnö dopo qualche giorno. Solo allora mi accorsi dell’opportunitä ehe mi era stata offerta per cercare di comprendere, piü da vicino, come si strutturano diversamente il pensiero e la narrazione a seconda del mezzo espressivo ehe si usa. E.B., nata a Rovigno nel 1922, si trovo ben presto a vivere in prima persona i drammatici awenimenti ehe in pochi anni avrebbero mutato il volto della regione. Seguendo “istintivamente” le idee antifasciste del padre, si impegnö attivamente in politica, tanto ehe alia fine degli studi (ha completato la preparazione magistrale a Forli), le venne negato l’accesso al lavoro perche dichiarata dal prefetto “politicamente malsa-na”. Arrestata durante l’occupazione tedesca, riusci a salvarsi solo grazie all’interessamento di un conoscente, “fascista per bisogno”, ehe garanti per lei. La scelta della clandestinita le apparve allora l’unica soluzione e prese “la via del bosco”, dove rimase per un anno e mezzo, lavorando principalmente a fianco delle donne e nella propaganda.7 L’impegno politico, sociale e civile contrassegnö la vita di E. B. anche dopo la liberazione“, ma, pur 4 E data qui ovviamente per implicita la questione deH’impossibllita di ricondurre un testo della tradizione orale ad una forma die sia definibile come “la stessa”, al di lä delle sue varianti. ’ Giuseppe Vidossi, Matteo Bartoli, Alleporte orientali <1 'Italia. Dialetti e lingue della Venezia Giulia (h'rinli e Istria) e stratificazioni linguistiche in Istria, Torino, Gheroni, 1948, p. 82. * Lo stesso mi accadde anche durante una campagna di raccolta a Sissano e mi pare una comprova evidente del fatto die la narrazione in ambito tradizionale non e mai un evento avulso dal contest« relazionale, ma piuttosto un atto sociale che necessita dell’interazione e della presenza lisica di esecutore e pubblico. E.B., in altra occasione, ebbe modo di esprimermi la sua idea del rovignese in quest! termini: ■ not gavemo sto ilia leto che el xe ostrogoto. No, no xe un bruto dialeto, solo ehe xe dificilepronunciar, perche el ga dei dittonghi e alora xe dificile... Mi so invece Inti i allri - Dignan, Galesan, Vale - ga [difficoltä], ma xe piü facile de pronunciar. HI nostro no. Per esempio el stesso nonte dela ciict, Rovigno, se disi Rutieigno. Xe subito... el primo aprocio xe un po’ dificile, eco». 7 A funzioni e cariche di tipo organizzativo affiancö anche attivita pratiche, ehe cosi descrisse nel corso di un’intervista, raccolta il 27.11.95, messaml a disposizione dall’antropologa statunitense Pamela liallinger, alia quale va il mio ringraziamento: -lo avevo prima di tutto I’attiviti delle donne, era il Fronte Femminile Antifascista, quella volta si chiamava. FFA. (...) E poi lavoravo - durante la lotta, sempre ero in bosco -lavoravo all’Agitprop, alia sezione stampa e propaganda. Battevo a macchina, facevamo dei manifestini, distribuivo la stampa - quella volta arrivava il nostro giornale e poi -La voce del popolo- - tutto nell’illegalita era fatto, in ciclostile insomnia, ecco. E c|uindi mandavo su articoli di vario genere, sugli awenimenti in cittä, in bosco, cose die... Poi quando moriva qualcuno, di questi combattenti, facevamo la biografia, insomnia... Quindi lavoravo nell’Agitprop, nell’agitazione e propaganda, insomnia nella stampa ecco, e piü nella sezione delle donne. Questo lino alla libcrazione-. B Eletta nel comitato regionale subito dopo la liberazione, si occupö di sanitä ed educazione, vivendo per alcuni anni in vari centri dell’Istria (Albona, Fiume, Capodistria) e stabilendosi infine a Rovigno, dove ebbe l’incarico della direzione delle scuole italiane fino al pensionamento. Ha ricoperto diverse cariche pubbliche ed e stata presidente dell’Associazione dei Combattenti fino alla sua morte, avvenuta agli inizi del 1999. avendola condotta lontano dalle occupazioni comuni a larga parte delle sue coetanee, non le fece dimenticare la cultura della propria infanzia. Anzi. Grazie alia sua eccellente memoria - affinata ed allenata dall’abitudine alla narrazione - E. B. riusciva a dare corpo ad una vivida ricostaizione della vita personale e cittadina e ad un cospicuo repertorio narrativo che le era stato tramandato dai nonni materni e da altri parenti quando era ancora bambina.'-’ Sembra quasi che il condurre un’esistenza “fuori dagli schemi” abbia contribuito a cristallizzare le memorie del passato in immagini plastiche a tutto tondo, episodi ben delimitati che E.B. narrava e ri-narrava usando grosso modo le stesse parole, pur differendo tempi, circostanze ed uditorio. E ciö sia nel caso di racconti provenienti dalla tradizione orale, sia per quanto riguarda alcuni episodi salienti della propria vita, ai quali conferiva una formulazione narrativa.10 E.B. aveva un modo di narrare peculiare, che risentiva probabilmente delle ripetute occasioni in cui era stata scelta come “fonte” per la ricostaizione della storia, della cultura e delle tradizioni di Rovigno. Non sembrava lasciare posto all’improwisazione; pareva invece che seguisse un suo preciso progetto, uno schema mentale che si era preparata in vista dell’incontro. Al nostro primo colloquio non ci fu molto spazio per i convenevoli. Intuendo in anticipo ciö che mi interessava, cominciö quasi subito a narrare i testi del suo repertorio, concatenandoli l’uno all'altro con ritmo serrato, senza particolari pream-boli." 11 racconto procedeva veloce, punteggiato dai dialoghi, che prevalevano in modo netto sulla parte descrittiva, regalando ritmo, calore e vivacitä ai testi. La gestualitä e la mimica - forse perche eravamo comunque in un ufficio, con altre persone che si awicendavano, e per di piü sedute ad un tavolo con il registratore in mezzo - non erano molto marcate, ma la narrazione non ne risentiva grazie anche alla sua notevole abilitä nell’uso degli espedienti paralinguistici (cambio di ritmo e velocitä del racconto, muta-menti nel tono, sapiente uso delle pause, inserimento di suoni onomatopeici a sottolineare l’azione, largo impiego del discorso diretto, talvolta anche con variazione del registra linguistico). Le incertezze erano rare e le autocorre-zioni quasi del tutto assenti, segno di una grande padronanza non solo dei testi, ma anche dell’arte narrativa orale.12 ‘‘ Cosi E.B. ricordava le narrazioni in ambito familiare: ■d’inverno- tisa- de sera, quando chefazeva scuru presto, alora... Noi nogaveulmo elfogoler, quel eul/ogu in mezo, citsi. Gai/evimo quel imurado (...) Alora slavimo tacadi vicin desto/ogo, e verzevimo anche la portela die ne vegni un pochet in de caldo de piü, e sia mia nona ne contava perche, cos' te vol... e in quela volta iera el lume a petrolio, porche no iera ancora venuda la luce, iera... l’acqua euren le iera soltanto zo in magazin de una signora cheghe vuleva pagarglie dieci centesimi per cior una mastela deaequa (...) li alora cosla lume, pianpian, mia nona me contava sie storie, sta roba, ecco. Mia mama laghe diesem “Cos' tighe conti sle rohe chedopu tighe impinisi la testa''. “No, no - la disi - xe bei”. Khb. 111 La capacitä di rielaborare le proprie esperienze in forma di racconto puo generare talvolta una sovrapposizione di racconti fantastici e vicende reali, o di aneddoti di paese e vicende personali. Durante il nostro primo incontro dedicato alla raccolta, E.B. mi racconto, ad esempio, un aneddoto relativo a due cognate che rieseono a gabbare il dazio fingendo un parto imminente, presentandolo come -un fatto avvenuto a Rovigno durante il periodo del fascismo-, La narrazione, inserita all’interno di un carpus di te.sti della tradizione orale, non era attribuita a una persona particolare ed era raccontata con lo stesso stile narrativo die caratterizzava il resto del suo repertorio. Nell’incontro seguente, improntato piü specificamente sulla ricostaizione della sua storia personale, avvenuto a distanza di tin anno, l’aneddoto ritrovö la giusta contestualizzazione e si rivelö essere un episodio accaduto a due sue parenti dirette. 11 Tranne in un caso, definite come «quela de Macacan•, i racconti non venivano presentati con formule referenziali o titoli. I te.sti erano introdotti semplicemente con un dopoxe...-, -Hdopo, speta... dopo iera un altro...-, ■Epoiancora xe...-, -lidopo, speta... cussagavessi ancora de contarte?...-, *Hpoi, spela... iera ancora qualcossa...-, e cominciavano senza formule d’apertura ritualizzate, solitamente con un ■Alora iera un prete [un giovane/ due eognade]*. u Per non dire della notevole abilitä mnemonica, che le permetteva ad esempio di riproporre in modo magistrale Ho avuto modo di registrare in quell’occasione, accanto ad alcuni aneddoti sulla vita cittadina e ricordi personali, nove testi narrativi tradizionali (tutti riconducibili ai tipi della classificazione internazionale di Aarne-Thompson), che costituiscono - a quanto suggerito dalla stessa E.B. - l’intero repertorio narrativo a lei noto. Negli incontri successivi, in effetti, non emerse alcuna nuova narrazione (ne ve ne sono nel manoscritto che mi fu affidato piü tardi), ma dubito che la questione possa considerar-si esaurita. Non posso infatti escludere che le mie domande, in seguito incentrate piü direttamente sulla ricostruzione della sua “storia di vita”, non abbiano posto in secon-do piano altre eventuali narrazioni conosciute. II corpus raccolto risulta costituito da documenti narrativi che, secondo la struttura deü’indice internazionale, appartengono a “generi" diversi13, ma presentano in effetti un forte carattere unitario, non tanto per una superficiale omologia dei personaggi protagonisti (in maggioranza preti o personaggi appartenenti alia sfera del sacro), quanto perche ripropongono tutti il motivo dell’astuzia, sia come riscatto dei deboli contro i potenti, che nell’accezione piü equivoca di furbizia (che come tale viene allora punita). Solo in tre testi l’astuzia rimane implicita e la narrazione si focalizza sul suo opposto, la stupidita. L’amore per la battuta arguta, il gioco, la beffa, pervade i racconti narrati da E.B. e molti suoi ricordi della vita rovignese, nei quali appaiono soprattutto gli Scherzi fra coetanei e gli episodi dal carattere piü squisitamente comico. Il contrasto di questo aspetto faceto ed ironico del narrare con la ricostruzione degli eventi drammatici dell’esperienza partigiana, sembra suggerire il fatto che E.B. conferisse alia vita cittadina dell’eta infantile un carattere mitico di spensieratezza, convivialitä e giovialitä: un periodo felice che lei poteva rivivere (e condividere) grazie alia sua grande abilitä mnemonica ed alla perfetta padronanza delle tecniche narrative orali. Anche l’utilizzo clella scrittura non era certamente un evento inusuale per E.B., sia come strumento di studio e conoscenza, che quale mezzo di comunicazione ed espres-sione (nella vita lavorativa, nell’attivitä politica e ad uso personale), ma, a giudicare dai testi in mio possesso, sembra che appartenesse ad un diverso modo di esperire la realtä. Il primo aspetto che colpisce nel comparare le due versioni clella fiaba qui presenta-taH, e l’incredibile omogeneitä dei testi. I due racconti procedono in modo lineare, rispettando fedelmente la sequenza interna dei motivi narrativi. Non ci sono sbalzi, ne discrepanze, cosi che e stato particolarmente agevole presentare le varianti accostate specularmente l’una all’altra. Di primo acchito sembrerebbe quasi che il testo scritto sia una “traduzione” o un riassunto della versione orale, ripulita dalle ripetizioni, interie-zioni eel indecisioni tipiche del parlato. Ma, osservando piü attentamente, si nota come la tecnica narrativa sia profondamenle diversa. le complesse e astruse concatenazioni die snno alia base di un tipo come l’AT 1562A, tutto giocato sulla formula finale, una sorta di litania in latino maccheronico, recitala con ritmo velocissimo. 13 Una ftaba di magia (AT 330A: The smith and the (levil [death]), due racconti romanzeschi (AT 922: The shepherd substituting for the priest answers the king 's questions-, AT 964: Tltief [murderer] deceived into betraying himself by a gesture), una storia dell’orco stupido (AT 1000 + AT1004: Bargain not to become angry + Hogs in the mud; sheep in the air), e cinque scherzi ed aneddoti (AT 1228A: Tools shoot from wooden gun, AT 1562A: The barn Is burning-, AT 1689: «Thank God they weren’t peaches', AT 1699: Misunderstanding because of ignorance of a foreign language; AT 1822: Tquivocal blessings). Nel manoscritto, accanto ad aneddoti cittadini, sono presenti solo due testi tradizionali: 1'AT 330A e l’AT 922, qui riproposto. 11 Fonte di questa fiaba e una -zia furlana-, di S. Giorgio al Tagliamento, ehe si era trasferita a Kovigno e, sposato lo zio materno di E.H., aveva vissuto per alcuni anni accanto alla nipote in casa della suocera. La variante orale (A) e tutta costruita sull’impatto emotivo e visivo. I personaggi sono rappresentati tramite le loro azioni e le loro parole, senza lasciare molto spazio ai commend esplicativi. Le situazioni sono tradotte in immagini; i sentimenti e le emo-zioni in dialoghi diretti.'5 II testo viene messo in scena e drammatizzato. Numerose sono anche le sollecitazioni rivolte all’uditore e gli intercalari e i commenti ehe creano complicitä fra chi narra e chi ascolta. Si notano inoltre diversi dispositivi incentrati sulla ripetizione, riconducibili alle dinamiche dell’oralita ed alle tecniche di memorizza-zione: dal racconto ripetitivo, dove si rappresenta piü volte un fatto avvenuto una volta sola (e il caso delle tre domande poste dal cavaliere in Al6 e ripetute in A21, oltre ehe, ovviamente, nel finale A26), alla piü semplice ripetizione di parole o espressioni, ehe spesso ha anche la funzione di crearsi il tempo per recuperare il ricordo di quanto accadrä in seguito e di organizzarlo ai fini narrativi (si veda ad esempio in A17 “Alora el xe andaclo via, rabiä. El xe andado via"). Anche i commenti personali dei protagonisti (A13, A24) e della narratrice (A7, A18), cosi come l’uso marcato del dialogato (si veda ad esempio lo scambio di battute in A22) possono costituire a ben vedere dei luoghi di strutturazione della memoria, poiche creano delle pause riflessive, un variare di ritmo, all’interno deü’intreccio narrativo. Tipico del narrare orale e inoltre il sovrapporsi di formule riassuntive e racconti ripetitivi, che crea un effetto ridondante di accentuazione della ripetizione (A17: “Xe nato ... cusi cnsi, che el nostro ... sacrestan ga scrito sta roba Allo stesso modo vanno riferiti alle dinamiche dell’oralita sia l’iper-utilizzo del “dice”, che la discordanza dei tempi verbali, i quali scivolano a piü riprese dal passato al presente e viceversa.16 La variante scritta (B) si discosta da quella orale fin dal suo esordio con la presenza di un titolo formalizzato e l’impiego di una formula d’apertura standardizzata (“A gira ouna vuolta”), chiari segnali della sensibilitä di li.B. alle esigenze di una produzione letteraria ed artistica. Lo stile narrativo, cosi vivace ed immediate nella variante A, diventa qui piü piano, discorsivo e costruito. Si perde la freschezza delle caratterizza-zioni a vantaggio di una descrizione piü ragionata e “spiegata”, mentre l’impatto del dialogato si attenua, fino a sparire quasi del tutto. Accanto alla naturale eliminazione di incisi, intercalari e interiezioni, spariscono anche le discordanze dei tempi verbali ed i commenti che strizzavano l’occhio all’ascoltatore. 11 testo e scritto in una lingua media, fortemente ricalcata sul parlato, e segnata da una certa propensione per il “colore popolare”, con 1’inserimento marcato di modi di dire e vocaboli di un dialetto che talvolta appare esibito piü che interiorizzato. In questo procedere lineare si perdono la tensione narrativa e tutti quegli elementi che creavano un’aspettativa nel racconto. Si confronti ad esempio come viene presentato Parrivo del sacrestano all’osteria, uno dei momenti significanti del testo in quanto da origine all’azione. La variante A, con quell’ammiccante “ eiama el nonsolo par mandalo in pais a cumpra oun puö da vazi da pitoura par daghe ouna rinfriseada ai banchi della česa. 4 e i ghe diji: “Ciol - diji - un vajo de pitura e un penelo». «Si, si», ghe diji, e '1 va. Quando el padre guardian ga uč> da i soldi al nonsolo, el ga uč> raeumanda da tourna priesto e da non imbriagase. ebraica del Vicino Oriente intorno al VII secolo d.C. Nel mondo anglofono e ben conosciuta ancbe in veste di ballata, con il titolo di Kingjohn and the Bishop. Per le varianti regional! e rimandi bibliografici in area italiana, slovena e croata si veda anche Laura Oretti, A caminando ehe 'II va... Repertorio della narrativa di tradizione orale delle comunitä italiane dell’Istria, Trieste, Edizioni ItaloSvevo, 1994, pp. 120-121. 5 E vicin de la drogheria, eh!... iera un’osteria, ah! IZ lui el xe andado la. Xe andä in drogheria el ga ciolto el penelo e... e... anche sto vajo de pitura, pero i soldi ehe ghe restava -perche ghe vanzava qualcosa - e lu el xe andado a bever. El nonsolo el si si in pais e quando el si rivä anduve ea gira la drugareia el uö pan.sä ehe el pudiva zi a bivi oun bicier in spacio ca gira rento la dmgareia. 6 El ga bevu tuto e adiritura - sicome che ’1 iera simpatico - altri ghe ga oferto... Insoma lu el iera imbriago a tochi. El va... va in sto convento e davanti de la porta, cust con sto penelo, ghe ga fato bel de seriver -Qui si trova la felicita-. E cusi un bicier duopo l’altro el uo seusuma squasi douti i suoldi. El gira biel inciearä ma cun i puochi suoldi ca ga uo rastä el uo conpra oun vaso da pitoura e un paniel, e cun la fiaca el si turnä al cunvento. Intanto ga uo da fora la bala e prima da si drento sul purton el uo scrito con la pitura e cul paniel sula puorta quiste paruole: "Qui si trova la felicitä«. 7 E poi lui xe andado ben dentro, el xe andado in... nela sua camereta ehe el gaveva, el se ga meso a dormir e la - fia - tuto felice el stava! Duopo duro coume un steiso el si si drento e el sa uo dastirä sul paion el sa uo indurminsa coume un suco. 8 A un eerto momento pasa de lä un cavalier che andava in eerca de fortuna. Pruoprio el di drio a uö pasä da la un siur che el gira dasparä par tante dasgrasie ehe el viva bou. Stu siur el sa uo farma davanti el purton del cunvento anduve ehe gira screite li paruole ehe el nonsolo aviva pitura da imbriago. 9 El bati sto... sona la campana, el bati sta porta e ghe vien el padre guardian verzer la porta. Stu siur el uö sunä la campana e oun frato a zi zi a vierzaghe el purton. 10 El ghe diji: -Cosa el dejidera?-. El ghe diji... el diji - pero lori no saveva che xe serite ste parole, no? -el ghe diji, diji: «Son venudo in eerca de la felicita», no? Stu zuano siur el ga uö dumandä da favalä cun el padre guardian e quando el si rivä el ga uö dumandä sa gira viro ehe lä a sa truviva la «filisitä». 11 El ghe diji: «Si - el diji - qua - el diji -xe la felicita, la serenitä, xe tuto quel che dejidera, perche qua xe la casa cli Dio...". Alura el viecio frato al ga uö deito ehe in cunvento, con la grasia del Signor douti gira filisi. 12 “Mache - el ghe diji - mi voio quel che gave serito de fora!». Alura stu siur el uo pansä ehe el frato lu ciuliso parculo e douto rabiä el ga vud mustra quil ca gira scrito dal da fora sulla puorta. 13 Alora el varda: -Orpo - el diji - sto mato ga serito sta roba», el ghe diji... »e sto qua el se ga senti ofejo". Alura el frato el uö capei ehe el nonsolo el gira turnä imbriago e el veiva scrito quile paruole. 14 El cli/i: «Me gave ciolto in giro« - no ’1 podeva dirghe ehe ga serito el sagrestan, el xe stado sito - alora el ghe di’: «Ben - ghe di’ - mi vado via. - el diji - Fra oto giorni ritorno e voi dovere darme tre risposte, e queste tre... E se no me savere risponder a quel ehe mi ve domandero ve faro masar tuti, perche me gave ofejo come persona, me gave ciolto in giro». El ga ud dumanda scousa al siur pragandolo da vi pasiensa. Ma stu siur douto inviparä el ga uö dito che loü pasaruö indreio duopo uoto giurni e ehe el ga faruö tri dumande e se el nu savaruö raspondaghe, el faruö masa douti i frati e el brousaro la cesa coun douto el cunvento. 15 El ghe di’: «Cosa?», el ghe diji. El viecio padre guardian alura el uo vusiü a cugnusi li tri dumande. 16 «Quanto ehe pesa la luna. Che distanza ehe xe tra el ciel e la tera e eosa - el diji - ehe penserö mi in quel momento». «Si, si, si, si». Cousi el zuano siur el ga 110 fato le tri dumande. 1) Quanto pisa la louna. 2) Quanto si largo la tiea dal sil. 3) Cuosa che pansaruö el siur quando el turnaruo indrio. 17 Alora el xe andado via, rahiä. El xe andado via. E sto povero padre guardian el va dentro: -Fratelli - el ghe diji - cosa e successor. E sti qua: «E cosa, cosa...?». El ghe diji: «Xe nato — el diji - cusi, cusi, ehe el nostro... el sacrestan ga scrito sta roba e adeso noi gavemo le conseguenze, tra oto giorni noi dovemo...». El ghe diji: «Niente - el diji - andemo in cieja pregar. Preghemo ehe Iddio ne ispiri per poder risolver questi tre indovineli». El zuano el si si veia e el puovaro padre guardian douto invili el zi tournä drento in counvento, anduve ehe el uö ciamä douti i frati e i si sidi in cesa a praga el Signur. 18 E sto orno dormiva, ah! E dopo el se ga jveiä, a un certo momento, el va in cerca, el va in eujina per vedere se xe de magnar, el trova tuto fredo, no xe aceji ne i fornei, ne niente. El diji: «Cosa - el diji - no se magna?». El nonsolo vierso misudi el sa uo dasmasadä muorto da fam. El si si in cousina ma nu gira nisun e sul fugulier nu gira gnanche ouna pignata ehe buiva. El uo sarcä par douto el counvento i frati ma nul uö cata nisun. 19 Alora el va in cieja e li vedi che i prega. El si si in cesa e lä li uö catadi ehe i stiva douti countriti in zinucion intenti a praga. 20 Alura el ga uö doumandä cuosa ca gira nato parchi I0C1 el nu sa racurdiva da vi fato la munada da screivi quile paruole sul purton. 21 «Ahhh - el ghe fa el padre guardian -cos’ che ti ga fatok El ghe di’: «Cosa?», el ghe diji. »Ara - el diji -anderemo tuti ala morte per colpa tua, ehe te ga serito cusi e cusi. E... dovemo risponder ste tre robe: quanto peja la luna, ehe distanza che xe tra el eiel e la tera e cosa ehe penserä sto cavalier quel momento che ’1 vegnerä lä a parlar con noi» -•■a parlar con mi», perche col padre guardian «Ohh - el ghe di’ - per sta roba! - el diji - Tuto regoleremo». Quando el padre guardian ga ud cuntä dela dasgrasia ca ga gira capitada e de li dumande ehe el siur gaviva fato, el nonsolo ga ud dumandä pardon e daspuoi el ga uo deito: «Mi i ie fato el maron e mi i va salvarie». 22 El ghe disi: «El me daghi un poco de soldi, ehe vado comprar certa roba». «Ohhh - el ghe di’ - ti te andarä a beverk «No - el ghe di’ - ghe dago la mia parola, sta volta, ehe mi ve salverö". El ga uo dumandä un puo da suoldi cun l’impigno da non imbriagase piun. 23 Alora el va in drogheria, el compra un sete, oto, dieci - no so - gomitoli de spago e dopo li fa tuti in un grande. El uo natä el purton e daspuoi el si si in pais e cun i suoldi ca ga uo da el trato, el uo cumpra tanti giomi da giavita e el si turna indrio. 24 E dopo el ghe diji al padre guardian, el ghe diji: »Lei devi taiarse la barba, la intachemo su un točo de... de roba, e me la metero mi e mi šaro al pošto silo». El ghe diji: «Ahh, come che moriremo tuti, poveri!». E i pregava lori in ceja, e i pregava. El giorno preima ehe caio i uoto giurni el ga uo fato taia la barba al padre guardian el sa la uo intacada sul suovo muso e el ga uo dito: «mei i sarie al vostro pošto a raspondaghe a cjuil siur tanto muscardin e vui i fari la parto del nonsolo». 25 E sto sacrestan xe sula porta e ariva sto cavalier. Ala meitina del giurno dreio zi rivä el siur e el padre guardian, visti da nonsolo, el ga uo vierto el purton del eunvento e si si a ciama el falso padre guardian che el si rivä con un grando grando giomo da giavita. 26 E alora el ghe diji: “Bon - el ghe diji -ti sa darme le risposte?», el ghe diji. «Si, si», el ghe di’. El diji: «Quanto peja la luna?». El ghe diji: «Un chilo». «Come un chilo?». «Eh, lei la ga quatro quarti, e la peja un chilo». «Hm - el ghe disi - ben... questa... la va». El diji: «E ehe distansia xe tra el cielo e la tera?». El ghe di’: «Vardi, mi go mijura, xe tuto sto gomitolo. Mura el siur ga uo fato la prima dumanda. 1) Quanto pisa la louna: e lu el ga raspon-do 1 chilo perchi la uo quatro quarti. 2) Quanto si largo la tiera dal cil: e lu el ga uo musträ el grando giomo da giavita disendoghe ehe se el nu crido ehe el vago a cuntrula. 3) Cuosa ehe el pensa in quil mumento: e lu el ga di «Vui i pansi da favalä cun el Se no ’1 čredi, el vadi a controlark Controlar no '1 podeva... E dopo el ghe di/i: «E adeso rispondime el terzo: cosa penso mi in questo momento?”. El di’: “Lei pensa de parlar col padre guardian e invese el parla col sacrestanl». padre guardian e invice i favali con el nonsolo». 27 El siur quando che el uo visto 1’astusia del nonsolo el sa uo da parvinto el ga uo parduna douto, e ridendo el si si veia. 28 E cusi el ga vinto la scomesa. El ga fato el guaio, ma el ga anche salvado la... la situasion. Cousi douti i frati i uo fato festa ringrasiando el Signur e piun da douti el nonsolo ehe el uo savisto cun astusia fa el paca ma anche la pinitensa. Povzetek “Povem ti, napišem ti.” Tradicionalna pripoved povedana in zapisana Prispevek prinaša primerjavo med dvema variantama zgodbe The shephard substituting for the priest answers the king’s questions (AT 922) - ustne, ki je bila posneta na kraju samem in zvesto prepisana s posnetka, ter pisne, ki jo je naredila ista pripovedovalka. Obenem ponuja nekaj razmislekov o različnih načinih oblikovanja misli, spomina in verbalizacije glede na posamezna izrazna sredstva, ki so bila uporabljena. Primerjava med obema besediloma, ki sta vzporedno predstavljena na koncu eseja, dejansko pokaže, kako se navidezni homogenosti obeh variant zoperstavljajo tako velike razlike na stilni ravni, da se močno čuti vpliv na način pripovedovanja. Ustna varianta - kot predvideno jo zaznamujejo vrinki in netočnosti, ki so značilne za govorjeni jezik, ter prijemi, ki jih je moč pripisati dinamičnosti ustnega izražanja - predstavlja pripovedno tehniko z močnim čustvenim nabojem. Še posebej je mogoče opaziti, da je besedilo uprizorjeno in dramatizirano na način, ki je značilen za gledališko scenografijo: zaplet se razrešuje prek podob, osebe se predstavljajo skozi svoja dejanja, medtem ko se čustva izražajo v neposrednih dialogih. Nasprotno pa stil pripovedi v pisni varianti vsebuje močno opisno in razlagalno komponento. Dogodek ni več prikazan, ampak je podan z izrazito rabo odvisnega govora ter z uvodnimi razlagami, ki utemeljujejo dogodke na logični ravni. Pripoved je zgrajena razumsko, pri čemer so dogodki nanizani tako natančno, da bi jih lahko navedli v obliki oštevilčenega seznama. Tradicionalni stil pripovedovanja, ki se v ponovnem zapisu, iztrganem iz poročevalskega konteksta, izgubi, se skuša posnemati z uvajanjem ustaljenih uvodnih obrazcev ter z vrivanjem narečnih besed in izrazov, za kar ni bilo potrebe pri ustnem izražanju. Zdi se, da velika homogenost obeh variant kaže, kakor da bi informatorka, ko je podala svojo pripoved na papirju, skušala v resnici svojo zgodbo - ki jo je v sebi ohranila v podobah - “prevesti” v jezik, ki pripada drugačni izkustveni resničnosti. Pri tem je napravila isti odmik, ki tudi sicer obstoji med pripovedovanjem in podajanjem pripovedi.