Vesna Deželjin Zagreb CDU 805.0-318(450.361) FUNZIONITESTUALIDEIPROVERBINEL TESTO DI Maldobrie 1. Introduzione Due scrittori triestini, Lino Carpinteri e Mariano Faraguna hanno pubblicato negli anni sessanta la loro prima opera narrativa, un dialogo intitolato Maldobrie. Sono fácilmente percettibili due segmenti del titolo: mal e dobria. II primo punta sull'italiano malo (agg.) oppure male (avv.), o sugli equivalenti latini malus e male, e il secondo sul croato dobro. Fusi formano un lemma dal significato lessicalizzato, inesistente in dialetto triestino, che funziona come sostantivo croato (cfr. maldobria/maldobrié). L'opera consiste di cinquanta capitoli indipendenti (cinquanta maldobrie, birichinate, faccende "cattive") attraverso i quali due interlocutori, sempre identici, sior Bortolo, uomo di mare e di esperienza, e siora Nina, vecchietta casalinga al corrente solo di cose locali, evocano momenti del passato. Vi s'intrecciano parti dedícate ad avvenimenti e personaggi storici comunemente noti, nonché a coloro che facevano parte dell'ambiente lócale, zona che si estende lungo la costa orientale dell'Adriático, fino alie Bocche di Cattaro, piü le isole, per cui erano conosciuti solo ai due interlocutori che non sono Triestini e non parlano il triestino (cfr. maldobria). Se ne deduce che in quella zona, storicamente multiculturale e plurilingüe, si usava una lingua sola, una varietá comprensibile a tutti gli abitanti della regione. La lingua dell'opera é, dunque, una certa koiné, e poiché in forma di dialogo, si tratta della sua varietá parlata permeata di umorismo e ironia. La varietá lingüistica formata e usata da popoli provenienti da culture diverse deve rispecchiare elementi di tutte le lingue che hanno contribuito alia sua formazione e anche molti elementi extra-linguistici. La forma particolare dell'espressione lingüistica é segnata da proverbi, documenti autentici di tanti momenti importanti nella vita di un gruppo socio-linguistico. I proverbi, essendo una forma autónoma della letteratura órale (Kekez), sono da sempre presentí nella comunicazione umana. II presente testo ne abbonda: nei cinquanta capitoli si possono trovare quasi altrettanti proverbi. Noi tratteremo solo proverbi completi sintatticamente e semánticamente (Cubelic) che nel nostro caso sono spesso 89 preceduti dalla formula riconoscibile, che introduce la citazione (corne se dise, corne che i diseva). I proverbi trovati nel testo si possono ragruppare in diversi campi semantici che corrispondono a certi settori délia vita umana (salute, lavoro, amore e sentimenti, famiglia, ecc.). È molto intéressante paragonare i proverbi trovati nell'opera ai loro equivalenti dell'italiano standard e anche di altre lingue (il croato1 per es.). Nell'identificazione dei proverbi ci siamo serviti délia raccolta di Gianni Pinguentini Proverbi, sentenze, aforismi triestini e del Vocabolario giuliano di Enrico Rosamani. 2.1 proverbi nel testo Più di quaranta proverbi trovati in quest'opera relativamente breve sono un fatto che attira l'attenzione dello studioso. Ai proverbi viene assegnato un ruolo particolare, importante per la costruzione del testo, e la funzione di ciascun proverbio dipende dalla situazione comunicativa. A causa dello spazio limitato faremo una scelta tra gli esempi del corpus, per ¡Ilustrare funzioni testuali svolte dai proverbi trovati. 2 (1) Tra i dodese ghe xe stà el Giuda. (13) Il narratore, che fu uno dei partecipanti aiï'avvenimento narrato, usa il proverbio per convincere l'interlocutrice che il suo método per scoprire il ladro délia morfina sulla nave sia stato giusto. Tra il signifícato del proverbio e la situazione extra-testuale si stabilisce il parallelismo, per cui il Giuda (del proverbio) corrisponderà al rubatore e i dodici apostoli all'intera ciurma délia nave su cui il furto è avvenuto. (2) Chi non lavora non mangia. (21) È proverbio comune nella lingua standard con moite varianti, come per es. Chi se vergogna de lavorar che se vergogni de magnar (Pinguentini, 298). Pari ai proverbi croati Tko radi ne boji se gladi (Chi lavora non teme la famé) e Tko Ijeti planduje, zimi gladuje (Chi d'estate meriggia, d'inverno soffre la famé) illustra l'importanza del lavoro. Uno degli interlocutori, parlando nell'idioletto comune ai due, descrive il comportamento dei passeggeri a bordo délia nave che non fanno che mangiare e godere. La contraddizione délia morale del proverbio è espressa dalla particella pragmatico-semantica "Altro che!" che precede il proverbio in italiano, scartandolo irónicamente come un argomento possibile a favore délia tesi che bisogna lavorare. 1 Pur consultando parecchie raccolte di proverbi, per molti esempi non siamo riusciti a trovare equivalenti adeguati nell'italiano standard o in croato. La ricerca pero continua. 2 Nella rassegna che segue citeremo solo il proverbio senza formula (per es. come se dise) che lo lega al resto del testo. 90 (3) Chi che sta in ascolteria senti robe che no '1 voria. (45, 133) Nella variante citata da Pinguentini (288) c'è la forma chi del pronome relativo (tipico del triestino e délia lingua standard). La forma chi che è tipica délia koinè del testo.3 Nel primo caso (p.45), il parlante fa la premessa al racconto d'un avvenimento e la sua interlocutrice indovina che lui, essendosi trovato nella situazione di origliare, ha sentito delle cose non piacevoli. Per commentare le parole di lui, lei usa questo proverbio come sfida perché la veridicità proverbiale non è stata valida in quella situazione. Nel secondo caso (p. 133) Bortolo vuole parlare dell'uomo noto nella loro zona perché origliava per abitudine. Per introduire un avvenimento e per avvertire dei dispiaceri che la spia aveva provato, si serve délia strategia particolare: dice che con il presente proverbio un vecchietto del luogo, stimato per la sua integrità, ammoniva sempre la spia locale di non origliare. (4) Chi li ga spessi e chi li ga ciari. (46) Citato da Pinguentini (292) e Rosamani (1069): il primo lo considera proprio di Trieste, il secondo di Albona. Ci sono stati spostamenti del signiñcato: spesso significa fitto e poi per estensione anche molto; ciaro puo significare, oltre al signiñcato proprio di clarus (per esempio: note ciara, color ciaro), anche vado (non fitto) e per estensione anche poco, inoltre puô avere la funzione dell'avverbio chiaramente. Si parla dei soldi e Bortolo ricorda la banconota di mille corone di colore azzurro del periodo austro-ungarico. La sua interlocutrice, quasi offesa, gli ribatte che lei non l'ha mai neanche vista. Cita il proverbio, la cui funzione è di avvertire Bortolo che la sua famiglia era stata piuttosto povera, e ció viene esplicitato subito dopo. (5) Comanda chi pol, ubidisse chi deve. (74, 225) Pinguentini cita Comanda chi pol, ubidissi chi devi, e Rosamani (1187) invece Comanda chi pol, ubidissi chi vol.4 Nel primo episodio raccontato nel discorso diretto il narratore usa il proverbio al posto délia sua risposta affermativa quando il comandante della nave gli ha domandato se voleva adempiere il compito a lui ignoto. Nell'altro caso Bortolo descrive la vita dei marinai: essa è piena di sacrifici, bisogna lavorare e fare quello che gli altri vogliono. Per corroborare i suoi argomenti pronuncia questo proverbio. Con la stessa funzione, usa anche il seguente: (6) Chi pissa controvento, se bagna le braghe. (225) In Rosamani (112): Pissar contro vento se se bagna le braghe e nella lingua standard Chipiscia contro il vento si bagna la camicia (Proverbi italiani, 1980:42). 3 C'e una variante simile: Chi sta in ascolteria sente cose che non vorria. Cfr. Proverbi italiani, 1978:39. 4 Le varianti citate da Pinguentini e Rosamani, a differenza del nostro esempio, lasciano vedere le desinenze verbali proprie del dialetto triestino (ubidissi, devi). 91 (7) Xe meio ubidir che farse santificar. (75, 225) Non citato nelle raccolte a disposizione si trova in due situazioni diverse. A p. 75 Bortolo descrive un'operazione segreta che doveva compiere in Egitto (cfr. es. 5, p. 74). Per suscitare la curiosità délia donna, indugia sul racconto non focalizzando il tema (cioè la missione). A questo scopo serve pure il proverbio, che accentua i suoi sentimenti e ripensamenti relativi al compito. A p. 225 il proverbio deve corroborare l'argomento délia vita difficile dei marinai (cfr. es. 5, p. 225 e es. 6). (8) In guerra se va con dô sachi: un per darle e un per ciaparle. (79, 89) Pinguentini cita: In güera se va con do scarsele, una per darle, l'altra per ciaparle (292). Volendo spiegare (p.79) ail'interlocutrice perché due fratelli, da entrambi conosciuti, cercavano di scappare dal fronte durante la prima guerra mondiale, il parlante usa il proverbio per giustificare la truffa di cui si sono serviti i due per realizzare il loro progetto. In un'altra occasione (p. 89) si parla del ragazzo di cui Bortolo fu padrino. Al tempo dello scoppio délia prima guerra mondiale, il giovanotto navigava, guadagnava bene e il solo pensiero di fare il militare gli era estraneo. Gli interlocutori concordano che la guerra è brutta e Bortolo, più esperto délia sua interlocutrice, usa il proverbio per accennare all'incertezza délia guerra in cui si attacca e si è attaccati allo stesso tempo. (9) Parenti mal de denti. (80) Proverbio, in forma di elissi, citato da Pinguentini (286) e Rosamani (736). Il parlante descrive il litigio tra due fratelli di una famiglia locale conosciuta ad ambedue i locutori. L'ascoltatore, con il proverbio, esprime la comprensione e la concordanza con il narrato, nonché, fino ad un certo punto, anche la propria esperienza idéntica. (10) Pasqua con chi vuoi. (106) L'enunciato in questa forma non puô avere il valore di proverbio, ma l'abbiamo incluso conoscendo il proverbio dell'italiano standard: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi (Zingarelli 1993:2221). Nell'episodio narrato anche la sola seconda parte del noto proverbio è funzionale e significativa: la siora Nina si lamenta delle spese necessarie per la tavola, giacché - contrariamente al proverbio - tutti i suoi figli con le loro famiglie vengono a pranzo da lei. Il proverbio deve accentuare il contrasto tra la veridicità del proverbio e quello che in effetti succédé alla donna nella vita reale. La funzione avversativa è indicata dal connettore "e intanto" che per la sua qualità anafórica la sottolinea perfettamente: - "Pasqua con chi vuoi", e intanto tutti ifioi me xe vignudi a casa. (11) Canta o no canta, un dolaro e quaranta. (109) Pinguentini5 dà la spiegazione di questo proverbio, affermando altresi che era noto solo ad un ristretto livello sociale: ai marinai, ma anche a coloro che ci venivano a contatto (i commercianti). Volendo rappresentare vivamente la capacità del noto capitano Nicolich di far abbassare i prezzi durante le compere, Bortolo cita il presente 92 proverbio affermando che esso era il detto preferito del capitano. L'interlocutrice non capisce il significato del proverbio, poiché è a lei sconosciuto. Dopo la sua richiesta esplicita, Bortolo deve parafrasarlo: -Ma si, se dise per dir: "Questo xe el prezzo mió. Per bon che sia, de più no pago". (12) Chi aceta per piazer, paga per dover. (109, 111) Rosamani dà la fonte e la spiegazione, che chiarisce che il tema è la cambiale.6 Pinguentini cita: Chi che aceta per piazer, paga per dover. Questo proverbio ricorre in due sequenze del capitolo citato prima (cfr. es. 11). Nella prima, si parla dell'onestà di Nicolich. Lui non ha mai approfittato della posizione di capitano della nave anche se avrebbe potuto farlo. Parlandone, Bortolo cita questo proverbio, che secondo lui veniva usato anche da Nicolich, per rafforzare 1' asserzione sull' onesta. Nella seconda sequenza Bortolo racconta come Nicolich - che non accettava mai regali dai commercianti - una volta è riuscito a comprare dell'apprezzato caviale caspio ad un prezzo modesto grazie alia benevolenza di un venditore. Lui inserisce il proverbio nel racconto ed esso fa parte dell'enunciato proprio del personaggio di cui racconta ed è anche il motivo dell'azione dell'altro personaggio nella storia raccontata. Nella conversazione tra Bortolo e siora Nina, il proverbio diventa leit-motiv della descrizione del carattere del personaggio. (13) Le primarole le fa quel che le vole. (116) Troviamo questo proverbio nel brano che tratta la nascita dei bambini. Dopo una serie di argomenti, sior Bortolo ne ha posto ancora uno per convincere l'interlocutrice che le discendenze femminili sono altrettanto buone quanto quelle maschili (se non perfino migliori perché piu affezionate alia casa paterna). Poi, riprende il discorso della figlia incinta della siora Nina usando questo proverbio per iniziare un altro tema. Ora, il topic è un medico locale, famoso una volta perché, secondo le voci, poteva indovinare il sesso del bambino non ancora nato. Perció la donna non reagisce al proverbio, che fa da connettore temático, ma all'enunciato che apre il nuovo tema. Fa una domanda di tipo informativo per identificare la persona di cui si parlera. (14) Xe meio esser paron de barca che capitan de vapor. (137) Rosamani (739) cita: Meo paron de barca che capitan de vapor / de vassel. Nella situazione comunicativa dove lo troviamo, il proverbio, con cui inizia un nuovo capitolo, serve per incitare la conversazione. 5 Accanto a questo proverbio c'e la nota: Cosi dicevano i cinesi venditori di canarini a bordo delle navi, nei porti di Hong-Kong e Sciangai, e il detto ha acquistato valore proverbiale di vario significato. Cfr. Pinguentini, 1954:281. 6 La spiegazione dice: Accetta, cioè, cambiali per piacere, le deve poi pagare. Cfr. Rosamani, 1958: 780. 93 (15) L'abito non fa il moñaco, ma lo rapresenta.7 (154, 231) Poiché Pinguentini cita solo la prima parte del nostro esempio, nella forma L'abito no fa 7 monico, (286), e Rosamani (641) da la variante rovignese L'abito nufa el monago, pare che il tema del nostro esempio nell'italiano standard nonché delle altre versioni italiane corrisponda a quello del proverbio croato Odijelo ne čini čovjeka (L'abito non fa l'uomo). Quanto alia proposizione avversativa che segue, la consideriamo un'aggiunta libera che pero ha la sua funzione. Nel primo episodio (si parla dei proprietari degli yacht che indossano giacche blu coi bottoni d'oro per farsi notare in terraferma e per identificarsi coi marinai) il proverbio pronunciato con ironia rafforza il disprezzo del parlante per la mondanitá e i suoi seguaci che viene accentuato anche dalla proposizione avversativa che lo segue. Nel secondo episodio (p. 231) il proverbio é all'inizio del nuovo capitolo e poiché non si conosce il co-testo, il suo senso e la funzione sono vaghi. Si concretizzano quando il parlante esplica che teneva molto al suo aspetto físico e al vestiario. In dipendenza dalla situazione e dall'intenzione del parlante, il signifícato attualizzato del proverbio é diverso; anzi c'é un contrasto fra i due episodi. Una volta si dice che 1'abito non ha nessuna importanza nel giudicare la persona e l'altra, quando é il parlante stesso che usa il vestiario per certi scopi, un vestito bello ha molta importanza. (16) Madona8 e gnora, tempesta e gragnola. (168) Questo proverbio, (citato solo da Pinguentini, 287), ha la sua forma anche nella lingua standard: Suocera e gnora, tempesta e gragnola (Devoto-Oli), nonché un equivalente in croato: Svaka svekrva mrzi na snahu (Cubelic, Ogni suocera odia la nuora). Lo pronuncia l'ascoltatore, per avvertire la parlante che la sua esperienza con la suocera non é né nuova né sconosciuta e per esprimere la concordanza e comprensione. Questo si capisce poiché l'enunciato, di cui il proverbio fa parte, inizia con l'interiezione eh! (che nel testo di solito indica la comprensione), seguita dalla pausa obbligatoria, nonché dall'indirizzo diretto aH'interlocutrice tramite la formula determinante + nome: - Eh, siora Nina, savé come che se disi: "madona e gnora, tempesta e gragnola". L'opinione espressa non trova il consenso dalla donna che, anche se si lamentava poco fa, ora all'improvviso comincia a difendere la propria suocera. Dice che é buona, fuorché per la mania di tratattare il figlio, ormai nonno, e cioé il marito della parlante, come bambino. L'interlocutore, ascoltatore attivo, sente il bisogno di usare un altro proverbio: ora con l'intenzione di suggerirle il comportamento e la risposta nella situazione descritta. 7 Va osservato che a p. 154 rapresenta non é scritto conforme all' ortografía dello standard, mentre a p. 231 é scritto correttamente. Se il sintagma lo rap(p)resenta figura come estensione libera da parte del protagonista, allora la forma rapresenta é conforme alia koiné usata e la forma rappresenta va vista come imitazione dello standard, conforme alia forma standardizzata del proverbio. 8 Madona nel dialetto significa anche suocera, (Pinguentini, 1954:124; Rosamani, 1958:563). 94 (17) Sior Idio i fioi, miga no li da, li impresta. (168) Una variante modificata é citata puré da Pinguentini: "I fioi, dio no li da, li impresta" (286). (18) De sora lisso lisso, de soto merda e pisso. (191) A questo proverbio, non citato da Rosamani, si puó paragonare uno ben conosciuto nella forma regionale dello zagabrese sub-standard: Zvana huj znutrajuj. II parlante descrive due ombrelli comprati nel Giappone molti anni fa, di cui uno (di seta pura e col manico di legno prezioso) era suo, e l'altro (di seta di scarsa qualitá e col manico di legno artificiale) apparteneva al suo compagno di nave. Usando il proverbio identifica l'ombrello peggiore con il proprietario e cosi spiritosamente esprime la propria opinione del compagno. (19) Bisogna rispetar el can per el paron. (192) Rosamani (739) localizza questo proverbio a Fiume, Pinguentini (272) a Trieste e Curto cita la variante rovignese: Ch'i vuli, biegna ch'i supuórto el can par elparoün...9. La scena si svolge a Venezia. Dalla mano del figlio del capitano é volato via il pallone fermandosi sotto il porticato del palazzo. La situazione é un'occasione per compiacere il capitano e ottenere il desiderato posto di nostromo della nave, per cui il compagno del parlante cerca di salvare il pallone. II narratore usa il proverbio la cui funzione é doppia: spiegare perché il compagno si sia comportato in quella maniera e anche rinvigorire la descrizione del carattere di quest'ultimo (cfr. es. 18). 3. Conclusione Da quanto detto, si possono trarre le seguenti conclusioni: 3.1. In molti casi esistono due o piü varianti dello stesso proverbio. Le variazioni di tipo morfosintattico provano la diffusione del proverbio in tutto il territorio pur unitario in senso lingüístico. La varietá delle versioni é senz'altro la conseguenza degli idiomi locali. Le variazioni di tipo lessicale mostrano che ogni comunitá adatta il proverbio alia propria realtá extra-linguistica e provano l'inventivitá della rispettiva comunita, la vivacitá del suo spirito e della sua lingua. II fatto che esistano equivalenti semantici (o esempi ravvicinabili almeno in parte) dei proverbi, nell'italiano standard e nel croato standard per esempio, conferma la ormai nota tesi che i proverbi superano i confini statali ed etnici. Inoltre, si osserva quali elementi, in particolare, lessicali vengono usati da una certa comunitá per esprimere le veridicitá proverbiali. 3.2. Nel testo scritto in una particolare varietá lingüistica si trovano anche proverbi in lingua standard. Questo dettaglio indica: 9 Giusto Curto, Istria Nobilissima, vol. XII, 1979, str. 307. 95 3.2.1. I proverbi usati nella forma standard sono il segno degli ambienti istituzionali (scuola, chiesa e sim.) e appartengono, quindi, alla lingua standard (usata nei manuali scolastici, nella Bibbia, ecc.). Ne risulta che la gente li studia e li impara in quella forma indipendentemente dal diasistema locale. 3.2.2. L'uso del proverbio anche nella lingua standard fa nascere il contrasto tra 1'idioma locale o regionale e la lingua standard. È certo che i due interlocutori preferiscono l'idioma regionale e/o locale di cui ambedue si servono. La varietà standardizzata rimane "riservata" solo per alcuni settori délia vita, quale l'istruzione pubblica, il governo, ecc. 3.2.3. Se il proverbio è nella lingua standard la sua veridicità è sempre minacciata. Colui che lo usa cerca di mostrare, in modo ironico, che nella concreta situazione la veridicità proverbiale è invalida. 3.3. Ogni proverbio svolge una funzione ben determinata. Nella maggioranza dei casi il proverbio contribuisce alla vivacità d'una descrizione oppure corrobora un'asserzione. Meno numerosi sono i casi in cui il proverbio deve corroborare l'argomento espresso immediatamente prima. Più rari sono ancora i casi in cui un dato proverbio precede 1' argomentazione seguente, annunciandola, oppure introducendo una storia, un racconto, un episodio. In alcuni casi il proverbio fa da conclusione alia conversazione, diventando cosí il commente finale di tutto il racconto. Col proverbio poi, si cerca di convincere l'interlocutore oppure gli si suggerisce il comportamento in una certa situazione. Altre volte il proverbio sostituisce una risposta diretta, nonché un'opinione più esplicita o diventa leit-motiv. Più frequentemente pero, il locutore usa il proverbio con l'intenzione di mostrare che ci sono situazioni in cui la veridicità proverbiale è invalida o si serve del proverbio per commentare ció che dice l'interlocutore, esprimendo l'accordo con lui. In certi casi poi il proverbio stesso diventa un argomento per difendere una tesi o un'opinione. Altre volte il parlante rallenta il ritmo délia propria storia usando il proverbio per protrarre l'attesa dell'ascoltatore al massimo e aumentare l'incertezza della fine della storia. Infine, il proverbio svolge la funzione di connettore temático, cioè di passaggio da un tema ail* altro. II parlante lo effettua servendosi del proverbio al posto dei mezzi piu comuni (avverbi, interiezioni e particelle10). Literatura: Carpinteri, L. - Faraguna, M., 1996, Maldobñe, MGS Press, Trieste; Doria, M., 1987, Grande dizionario del dialetto triestino (storico, etimologico, fraseologico), Ed. "Del Meridiano", Trieste; Pinguentini, G., 1954, Dizionario storico, etimologico, fraseologico del dialetto triestino, E. Borsatti, Trieste; 10 Quanto al termine particella si veda Tekavcic', 1989, in particolare pp. 127-129 e 183-184. 96 Rosamani, E., 1958, Vocabolario Giuliano, Ed. Lint, Trieste; Devoto, G., - Oli, G. C., 1971, Dizionario della lingua italiana, Le Monier, Firenze; Zingarelli, N., 1993, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna; Deanovic, M. - Jernej, J., 1984, Talijansko - hrvatski ili srpski rječnik, Skolska knjiga, Zagreb; Curto, G., 1979, in Istria Nobilissima, Antologia delle opere premiate, vol. XII, Trieste; Cubelic, T., 1975, Usmene narodne poslovice, pitalice i zagonetke, Zagreb; Kekez, J., 1996, Poslovice, zagonetke i govornički oblici, Matica hrvatska, Zagreb; Lapucci, C., 1969, Per modo di dire, Valmartina ed., Firenze; 1978, Proverbi italiani, Deutscher Taschenbuch Verlag GmGH & Co, KG, Miinchen; 1980, Proverbi italiani (a cura di S. Benvenuti & S. Di Rosa), Club degli Editori; Tekavčic, R, 1989, Prema kontrastivnoj pragmatici tzv. "čestica" u hrvatskom ili srpskom jeziku i talijanskom jeziku u "Rad JAZU", knjiga 427, str. 127-194. Povzetek FUNKCIONALNOST PREGOVOROV V MALDOBRIJAH L. CARPINTERIJA IN M. FARAGUNE Maldobrie so prvo pripovedno delo obeh tržaških avtorjev. Jezik je seveda koine, torej triestinščina, kjer pa se najdejo tudi leksikalne prvine jezikov, s katerimi je ta beneška različica skozi dolgo zgodovinsko dobo prihajala v stik vzdolž vse vzhodne jadranske obale. V številnih pregovorih velikokrat odseva zunajjezikovna resničnost. Članek skuša analizirati funkcije pregovorov v tem proznem besedilu, in sicer: prispevajo k opisu položajev in oseb, pojasnjujejo dogodke, mnenja in izjave obeh sogovornikov (delo je zasnovano kot pogovor), postanejo celo dokazi v podporo nekemu mnenju ali prepričanju. Vse to z veliko mero čustvenosti. 97