ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-04-15 UDC 340.141:340.13(450.2/.4)"14/17" 340.13:340.141(450.2/.4)"14/17" L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. PER UNA INDIVIDUAZIONE DELLA 'CULTURA POLITICA' DELLE ISTITUZIONI IN ETÄ MODERNA - NOTE SU ALCUNI LIBRI RECENTI Angela DE BENEDICTIS Universitä degli Studi di Bologna, Dipartimento di discipline storiche, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2 SINTESI Il saggio consiste sostanzialmente nella presentazione di tre studi recenti che affrontano le questioni poste dal Convegno a partire da vicende di comunità e villaggi, territori e città in alcuni Stati italiani. Nel libro di Angelo Torre, Il consumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dellAncien Régime (1995); in quello di Marco Bellabarba, La giustizia ai confini. Il principato vescovile di Trento agli inizi dell'età moderna (1996); nel lavoro, infine, di Claudio Povolo, L'intrigo dell'onore. Poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento (1997), considerati tutti sia singolarmente sia in reciproca comparazione, viene registrata la presenza o assenza di un concetto di fondamentale valore teorico-pratico per la comprensione dell'antico regime, quello di iurisdictio, e della sua intima connessione con il concetto di onore. Sulla base della propria esperienza di ricerca ed in riferimento ad alcune ultime impostazioni del problema, l'A. ipotizza che dalla relazione tra iurisdictio e onore si sostanziasse la 'cultura politica' delle istituzioni. Tre studi recenti (Torre, 1995a; Bellabarba, 1996; Povolo, 1997) affrontano le questioni poste dal Convegno a partire da vicende di comunità e villaggi, territori e città negli Stati italiani di nord-ovest e di nord-est: il mio contributo alla tavola rotonda consistera nel presentarli brevemente a partire dalla presenza o assenza in ognuno di essi (e in reciproca comparazione) di un concetto di fondamentale valore teorico-pratico per la comprensione dell'antico regime, quello di iurisdictio, e della sua intima connessione con il concetto di onore. Quanto questo abbia a che fare con il problema storiografico dei rapporti 'centro-periferia' verrà pure discusso nelle brevi considerazioni che seguiranno. 1. L'impostazione data da Angelo Torre alla sua ricerca su Il consumo di de-vozioni nel Piemonte cinque-sei-settecentesco (Torre, 1995a) costituisce una forte 19 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTE: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 novità sia nel método di utilizzazione delle visite pastorali, sia per l'individuazione di una natura squisitamente giurisdizionale nel documento e nella realtà che esso descrive. L'istituzione su cui si appunta l'interesse di Torre è la decima e il sistema di potere in cui è inserita si manifesta attraverso l'idioma del 'patto rituale', anch'esso inequivocabilmente giurisdizionale: in quanto tale, pur essendo espresso da un potere di fatto, presenta un vocabolario strutturalmente analogo ad un idioma che io ho avuto modo di analizzare come proprio di 'poteri formali', di 'istituzioni politiche' (De Benedictis, 1995). Scoprire, e accettare, questa dimensione giurisdizionale significa per Torre riflettere ineludibilmente sulle fonti della ricerca e sul loro uso, in relazione al problema del rapporto rappresentazione-realtà:1 e quindi mettere alla prova, in modo costruttivo, schemi concettuali di uso consolidato come 'centro-periferia'. Significa accostarsi alle vicende locali "spogliandole della loro peculiarità irri-petibile", per renderle comprensibili. Il che comporta, data l'alterità di quel mondo per noi, una precisa scelta di metodo: "A differenza della sociologia storica retrospettiva, non ho fissato i parametri in base a considerazioni esterne, dettate dalla teoria sociale, ma ho lasciato il più ampio spazio possibile alle categorie condivise dai protagonisti delle vicende studiate e ai criteri che ne ispirano il comportamento" (Torre, 1995a, 160). Nella "prasseologia" di Torre il rapporto tra corpi sociali e corpi politici (nel caso da lui studiato, tra parentele e compagnie di devozione da una parte e consigli di comunità dall'altra) costituisce "un asse di tensione costante nei modelli di organiz-zazione religiosa e di controllo del sacro" nei diversi tipi di villaggi piemontesi. Ed è un rapporto che "riflette i modi svariati in cui la comunità contadina appare strutturata politicamente": modi "determinati dai processi non omogenei attraverso cui lo Stato sabaudo ha incorporato, e creato, le sue periferie" (Torre, 1995a, 169). L'analisi e la scomposizione dell'istituzione parrocchia - religiosa e politica insieme - oltre la sua apparente unitarietà, consente che al suo interno si rivelino, attraverso la lettura delle indicazioni dirette e della stessa terminologia usata dalle fonti episcopali, "indizi di funzionamenti e di profili organizzativi inediti" (Torre, 1995a, 174). Si tratta di collegiate e confederazioni parrocchiali, cappelle campestri: molteplici centri di culto tra i quali "le linee gerarchiche non sono affatto definite" (Torre, 1995a, 37), in quanto "conseguenza della natura giurisdizionale dell'istituzione" (Torre, 1995a, 47). Ne consegue un marcato pluralismo della vita religiosa di Ancien Régime, caratterizzata da contestazioni e conflitti: una "convivenza" di segmenti territoriali e sociali diversi carica di tensioni, che possono esprimersi anche in conflitti violenti ma non in alternativa con altre forme. Essenziale è quindi il Segnalo qui solamente, senza entrare nel mérito, la discussione tra Torre (1995b) e Chartier (1996). Accenno brevemente all'impressione che il Torre per cosí dire 'teorico' affili il coltello della critica nei confronti di Chartier piu di quanto non lo usi, poi, effettivamente, nella sua scrittura storica. Per questo, nonostante la mia difficoltá a seguire il Torre teorico, mi trovo invece sostanzialmente sulla stessa (o meglio vicina) lunghezza d'onda del narratore storico. 20 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTE: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 funzionamento délia giustizia locale; e centrale per lo storico è la sua analisi. A partiré, nelle comunità piemontesi di Torre (nella diversità delle tipologie di co-munità osservate da Torre), dalla pratica della decima - cui si è già accennato - di natura esclusivamente locale e di carattere consuetudinario. La decima e le risorse simboliche che attraverso di essa vengono scambiate sono "importanti momenti rituali nei quali i diritti della popolazione vengono ricreati e prodotti in una sequenza che assume il significato - e il valore - di un vero e proprio 'patto rituale'" (Torre, 1995a, 47). La "logica di reciprocità delle obbligazioni" che in esso è visibile "ridefinisce, ricreandoli, il corpo politico e la gerarchia sociale in un ambito deter-minato" (Torre, 1995a, 59). La connotazione culturale (il corsivo è mio) della decima in quanto pratica è data dal fatto che essa - nei suoi momenti rituali - è una delle matrici dell'identità del villaggio o della comunità: "prevale, in perfetta sintonia con gli aspetti giurisdizionali della decima, la definizione dei diritti legati all'ap-partenenza alla comunità in quanto ambito politico" (Torre, 1995a, 66). Negoziazione, scambio, patto come 'normalità', e conseguente definizione di diritti, riportano a quel pluralismo di cui si diceva prima. Cercare di interpretarlo, come vuol fare Torre, senza limitarsi a constatarlo, significa anche accorgersi - sem-pre attraverso il linguaggio delle fonti - della impossibilità di accettare una unica definizione di relazioni gerarchiche. Soprattutto, mi sembra, di quelle che rappre-senterebbero "l'esito più diffuso di strategie di accorpamento territoriale perseguite da poteri formali - feudali, ecclesiastici e 'statali'" (Torre, 1995a, 96). Nel costruire specifici vincoli di comunità, pero, le confrarie dello Spirito Santo e il linguaggio della carità resistono "a successive ondate di riforme in senso assistenziale della confraria, che culminano con l'istituzione delle congregazioni di carità da parte del governo torinese nel 1721" (Torre, 1995a, 74). Fu uno dei ripetuti tentativi della dinastia sabauda di conoscere e riformare le confrarie dello Spirito Santo per attuare un modello di assistenza municipale che non ando in porto; significativo, pero, per quanto la documentazione statale mostra del dialogo avviato tra le autorità centrali torinesi e le comunità locali piemontesi riguardo la definizione del ruolo delle élites locali nel governo della comunità e dei linguaggi in cui esprimere questa funzione (Torre, 1995a, 111). La raffigurazione triandrica della Trinità - i tre Salvatori col mondo in mano, che illustrano significativamente la prima pagina di copertina del libro di Torre - non è solo la probabile prova di una "idea non gerarchica della molteplicità del divino" (Torre, 1995a, 123). Essa puo anche essere messa in relazione "con una pratica politica, e con una serie di concezioni della comunità contadina che la documentazione piemontese, statale come episcopale, ha fatto emergere" (Torre, 1995a, 122-123). Ne risulta che "il Piemonte di Ancien Régime non si presenta affatto come una regione omogenea, ma come una costellazione di sistemi politici e istituzionali differenti" (Torre, 1995a, 159). 21 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTE: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 Il significato dell'onore e la vita cerimoniale délia piccola comunità di Pianfei ne sono una spia: "il rispetto dei diritti di questa pluralità di segmenti ... crea il consenso capace di sollecitare la partecipazione politica degli abitanti del luogo" (Torre, 1995a, 169). "Equum enim est honorari qui oneratur", aveva affermato nel 1667 un visitatore della diocesi di Alba - nel Piemonte analizzato da Torre - di fronte a un lascito contestato (Torre, 1995a, 202). Caricati e sollecitati contemporaneamente a tale compito, i consigli municipali costituivano anche il luogo in cui i differenti interessi delle fazioni locali e dei gruppi parentali potevano trovare una mediazione pubblica e formale. Nonostante che "faida e vendetta paja]no radicati principi organizzativi del conflitto politico" (Torre, 1995a, 186), la presenza del consiglio municipale nella sfera cerimoniale era il segno che la vita religiosa poteva essere usata per rafforzare l'unità del villaggio di fronte agli appetiti delle parentele (Torre, 1995a, 212). Osservando un dato ignorato dagli storici, "le catene di interdipendenza e i sistemi di tensione" che presiedono alla genesi della funzione del clero (Torre, 1995a, 225) tra diverse modalità di azione e diverse intenzioni di chi le compie, l'intenzione e la progettualità giurisdizionale sembrano a Torre dover essere annoverate "tra i tipi di azione che caratterizzano fino a tutto l'Ancien Régime le pratiche religiose nella campagne cattoliche ... sempre più di frequente, infatti, i sistemi politici dell'Ancien Régime vengono analizzati come sistemi di legittimazione reciproca fra autorità cosiddette centrali e notabilati locali" (Torre, 1995a, 344-345). 2. Non è tanto la pratica religiosa, ma quella della giustizia colta nelle sue dimensioni reali e simboliche a costituire il piano dal quale Marco Bellabarba osserva il "lento affermarsi di un ordine giuridico fondato sul territorio e non più sulla parentela nobiliare" nel Trentino imperiale e vescovile quattro-cinquecentesco (Bellabarba, 1996, 10). Popolato, prima ancora che dai suoi abitanti naturali di comunità, signorie feudali e città, dalle altrettanto 'naturali' ricostruzioni e interpretazioni della storiografia austriaca e tedesca, questo Trentino è un mondo estremamente complesso, sia nella realtà storica, sia nella sapiente ricostruzione e interpretazione che escludono esplicitamente qualsiasi modello interpretativo oppositivo (Bellabarba, 1996, 65). Anche qui, come in Torre, l'attenzione al linguaggio delle fonti è essenziale nel-l'orientare metodo, oggetto e problematica della ricerca. Fonti giuridiche, pero, quelle trentine (e prevalentemente colte), capaci di rappresentare la dimensione politica della realtà: esse consentono a Bellabarba di usare la storiografia del diritto - più o meno tradizionale -, unita a una efficace appropriazione di riflessioni antropologiche, per addentrarsi nelle pratiche giudiziarie e indagare i concreti rapporti di potere. Se letto attraverso le scritture dei 'pratici', lo ius commune dei giuristi colti esprime infatti, con un linguaggio certamente 'speciale', contenuti non sostanzial-mente diversi da quelli percepiti dagli abitanti di un piccolo feudo attraverso 22 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 l'esperienza di rituali pubblici connessi al fare giustizia. La visione, o il racconto tramandato di un'impiccagione, danno corpo concreto ai nomi astratti con cui viene indicato il potere: iurisdictio. E d'altra parte questo puo avvenire perché "nel pensiero giuridico medievale, che descrive la giustizia come la forma piü immediata di dominio, la iurisdictio e qualcosa che si possiede, una posizione di potere a cui sono legate pratiche coercitive ... Anche per un podesta o per un notaio con una buona infarinatura di diritto il possesso della giurisdizione deriva da un atto concreto e non c'e nulla che la provi meglio, dal punto di vista processuale, del ricorso al 'sensum corporis'" (Bellabarba, 1996, 9). Nelle aule di giustizia linguaggio colto e pratiche quotidiane si incontrano, come la pluralita degli ordinamenti giuridici e l'intreccio di culture che contribuiscono a definire la peculiare identita dei sudditi vescovili. "Il ricorso, durante le udienze giudiziarie, al rito accusatorio o inquisitorio, le contaminazioni flessibili degli arbitrati e dei consilia legali ... mostrano i risvolti pratici della convivenza di stili giudiziari in cui si disperdono ragioni 'private' e 'pubbliche'" (Bellabarba, 1996, 10). Di questo mondo, e della pluralita delle sue forme, la faida e espressione 'normale', sentita come atto lecito o come abuso a seconda delle varie sfumature di senso che il concetto assume tra '400 e '500, quando "la fitta normativa delle ordi-nanze di pace territoriale testimonia la crucialita del tema e il disorientamento che esso provoca nei contemporanei" (Bellabarba, 1996, 18). Una varieta, e persino contraddittorieta, di percezioni la cui persistenza nella storiografia e simpatetica-mente resa da Bellabarba nella lettura di Brunner, Mauss e Verdier e nella indivi-duazione di diversita e contiguita tra faida e vendetta. Difesa delle leggi non scritte del territorio, identificate con un ordine morale e religioso che e parte della coscienza giuridica, dell'idea di diritto propria della comunita nella faida (brunneriana): e quindi nesso tra le forme della politica e della societa. Reazione difensiva di un gruppo familiare per proteggere un proprio membro offeso da un'ingiuria, invece, la vendetta. Entrambe, pero, faida e vendetta, accomunate dall'essere pensabili e praticabili entro una concezione del diritto che non ha ancora smesso di essereius e che non si e ancora astratto nella nozione di lex (Bellabarba, 1996, 33). Cosí, storio-graficamente delineato, il Trentino di Bellabarba e un territorio in cui giudizi morali e consuetudini non appaiono contrastanti con le norme del diritto positivo; i campi giuridici della parentela, dell'onore personale e delle istituzioni non hanno netti confini (Bellabarba, 1996, 33). Anche il concetto di onore e variamente proposto e afferrato dai molti soggetti che ad esso si richiamano. "Principio d'ordine sociale e di stratificazione per ceti in una societa divisa da gradini di virtü personali piuttosto che da scale di ricchezza, esso puo indicare una funzione - la guerra per la nobilta, la carita o la preghiera per il clero, l'onesta operosita per i contadini - e le qualita morali ritenute idonee a quelle funzioni". Nonostante le possibili lacerazioni cui e sottoposto e che induce nei ranghi 23 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 dell'aristocrazia, il mondo dell'onore ha una sua cultura política che "si sposa difficilmente con i concetti di sovranita e di obbedienza alla legge civile o religiosa" (Bellabarba, 1996, 38). Tra rappresentazione e realta non vi e certo coincidente so-vrapposizione, ma lo scarto ha una sua motivazione anch'essa gravida di con-seguenze nella pratica: "stabilendo un nesso tra gli ideali di una societa e la loro riproduzione degli individui, l'etica dell'onore trasfigura, dando a essi colore e regole proprie, la gamma dei fatti politici ed economici" (Bellabarba, 1996, 39). La fles-sibilita del concetto di onore, la sua presenza dal campo della procedura giudiziaria a quello dell'intimita delle scelte familiari, ne fanno una abitudine culturale: detto con Roger Chartier, uno schema inconsapevole, un principio interiorizzato (Bellabarba, 1996, 40). Una diatriba d'onore tra esponenti di famiglie nobili e fatto che puo immediatamente coinvolgere anche l'onore e il prestigio di una intera comunita, quando uno degli interessati e giudice cittadino nominato dal sovrano (Bellabarba, 1997, 118-124). Lo testimonia il caso di cui fu protagonista nel 1529 il nobile giurista trentino Tommaso Tabanelli de Fatis, allora podesta di Rovereto. L'onere della giurisdizione onora il podesta, come pure la comunita per il cui bene comune il giurista esercita il suo ufficio (Bellabarba, 1997, 118-124). In uno scenario in cui interagiscono pure costituzione territoriale e riforma imperiale, ordine laico e ordine religioso, cittadini e forestieri, giuristi e loro collegi, tribunali, la 'declinazione' trentina della guerra contadina; in questo scenario com-plesso e denso di conflitti, l'articolazione della comunita politica "disposta senza nette polarita tra un centro istituzionale - la corte, il capitolo, le magistrature principesche - e i nuclei dei poteri locali raccolti attorno ai castelli del distretto ... elide le differenze tra centro e periferia" (Bellabarba, 1996, 65). La "polverizzazione" della iurisdictio che ne sta alla base pare elemento strutturale della realta politica quattro-cinquecentesca nel Trentino ai confini tra impero germanico e mondo italiano. 3. Diverso il quadro resoci da Povolo (Povolo, 1997), e non solo perché si tratta di un altro Stato, ma soprattutto perché sono diverse le domande e l'atteggiamento nei confronti delle fonti. Si tratta di una storia dominata da un modello oppositivo: centro - periferia; citta - campagna; aristocrazia - ceti borghesi; onore come riflesso delle gerarchie sociali - onore come virtú. L'onore di Povolo e intrigante in quanto si presenta come terreno di scontro e di conflitti, in cui la sua costante ridefinizione - in senso individualistico - e in grado di incidere sui rapporti di potere esistenti all'interno della comunita: nel senso (cosí espresso nell'estrema sintesi di un'attenta lettrice) che i ceti borghesi riescono a far valere i loro valori su quelli aristocratici; che la campagna e piú virtuosa della citta; che la periferia viene controllata dal centro. Suggestivo e 'manzoniano', accuratamente costruito nel mixaggio di micro e di macro, il libro di Claudio Povolo ha immediatamente provocato in me un inter- 24 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 rogativo certamente molto secco nella sua formulazione, ma che si e imposto in questa forma anche prima e indipendentemente dal confronto sia con le situazioni piemontesi e trentine sia con altre a me piü direttamente note. Detto drasticamente: come e possibile che un avvenimento come quello costituito nel 1605 dal processo a Paolo Orgiano sia il segno irreversibile - stando al giudizio di Povolo: un evento, in certo senso - della "sostanziale delegittimazione politica che piü complessivamente aveva colpito la vita delle istituzioni cittadine [vicentine] nei decenni precedenti" (Povolo, 1997, 301)? Vedere come il libro risponde a questa domanda significa, in una certa misura, riandare all'ideazione di questo Convegno. Punto di partenza e presenza 'forte' di tutta la ricerca e una comunita del territorio vicentino, Orgiano: villaggio capoluogo del vicariato omonimo nel territorio di Vicenza, era circondato da tenute appartenenti ad influenti famiglie nobili cittadine, che da tempo controllavano pure l'amministrazione della giustizia. Nel periodo in cui si colloca l'inizio del racconto di Povolo, era gia da qualche tempo che all'interno del villaggio qualcuno aveva osato mettere in discussione quel controllo, e lo aveva fatto ricorrendo direttamente a Venezia. Anche ai piü umili contadini la giustizia vene-ziana sembrava improntata all'equita, rispettosa dei diritti di tutti i sudditi qualunque fosse la loro collocazione sociale, intenzionata a porre fine alle prepotenze e ai soprusi di un'aristocrazia convinta dei propri privilegi e della propria posizione di forza. Con tale convincimento la consorteria nobiliare aveva innanzitutto infranto le norme non scritte, le consuetudini che prevedevano l'osservanza di determinate regole del gioco, pur mantenendo il rispetto delle gerarchie sociali. Paolo Orgiano, in specifico, si era sottratto alla struttura morale che uniformava gli individui e i rap-porti sociali all'interno del villaggio, violando cosí i principi costitutivi dei rapporti di patronato e di clientela che legavano l'aristocrazia al mondo contadino) e rurale. Due ragazze della comunita avevano perduto la loro verginita a causa delle violenze sessuali subite da parte di Paolo; e poiché in essa consisteva la virtü loro riconosciuta dalla comunita, avevano contemporaneamente perduto l'onore. Ma, peggio ancora, alla violenta interruzione del normale circuito degli scambi sociali non era seguita, da parte di Orgiano, l'offerta di alcuna contropartita economica, come di solito suc-cedeva con l'istituzione di una dote che avrebbe dovuto facilitare il reinserimento delle giovani all'interno della comunita. Orgiano aveva negando la reciprocita dello scambio, qualificando come puttane le donne che lo accusavano; in tal modo egli aveva inteso innanzitutto "sottolineare come egli non avesse infranto le regole della comunita" (Povolo, 1997, 362-364). Ma quest'ultima aveva rivolto un appello al Consiglio dei dieci contro la sequela dei soprusi e delle violenze commesse da Paolo Orgiano e compagni. Il Consiglio dei dieci aveva dato la delega del rito inquisitorio alla Corte pretoria di Vicenza, rendendo cosí possibile l'ingiunzione del podesta contro Orgiano e compagni. E questo significava che la magistratura cittadina del Consolato veniva esclusa da ogni ingerenza sia nell'istruzione al processo che nella 25 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTE: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 pronuncia délia sentenza: le nobili famiglie cittadine avevano perso il contrallo dell'amministrazione della giustizia. Non vi è dubbio alcuno che il percorso seguito dall'autore nel condurci a questa conclusione sia ben documentato e chiaramente argomentato. A partire, innazitutto, dalla segnalazione della robusta "componente ideologica collettiva" che contrad-distingueva la comunità di Orgiano ancora nel primo '400 (Povolo, 1997, 63), e dalla constatazione della mancanza di un ceto che, nelle profonde trasformazioni econo-miche e culturali di meta '500, fosse "in grado sia di appropriarsi degli strumenti culturali e giuridici diffusi nel mondo cittadino, che di individuare chiaramente lo sfondo istituzionale entro cui calare e muovere la propria azione conflittuale", a causa della preminenza politica della citta (Povolo, 1997, 65). Seguendo, poi, la presenza di uomini politici 'nuovi' nella comunita e capaci di mettere in discussione quella preminenza, in quanto "nuovo ceto borghese rurale" pronto alla scontro con il vecchio ceto dirigente legato ai valori più tradizionali della comunita sul terreno del superamento di "istituti giuridici che da secoli sancivano simbolicamente il predominio dell'aristocrazia cittadina", anche attraverso il ricorso alle magistrature del potere centrale veneziano (Povolo, 1997, 71). Osservando la separatezza giuridica della Terraferma (con le sue corrispondenti diversita politiche e antropologiche) e la sua difesa per il tramite della proclamata intangibilta di privilegi riconosciuti dal centro dominante ai centri sudditi, fino alla crisi creata sia dall'espansione della proprieta fondiaria veneziana a mezzo '500 sia dalla concomitante creazione di nuove magistrature e manifestatasi in modo violento e inequivocabile attraverso l'emergere della faida nobiliare alla fine del '500 (Povolo, 1997, 107). Valutando la faida come spia di una "ridefinizione dei rapporti tra centro e periferia" (Povolo, 1997, 164), parallela alla lotta nella Dominante tra 'vecchi' e 'giovani', contestuale alle trasfor-mazioni indotte nei tribunali di Terraferma dalla adozione della procedura inquisitoria introdotta dal Consiglio dei dieci, alla perdita del predominio politico delle aristocrazie cittadine (Povolo, 1997, 172), al "ridimensionamento dei rapporti di potere [tra centro e periferia], con un netto spostamento degli equilibri in favore della Dominante" (Povolo, 1997, 175). Per le citta e le loro istituzioni è una vera e propria mutazione: "svuotate al loro interno dei tradizionali contenuti politici ed ideologici", le nobilta cittadine non poterono che rinunciare alla "propria identita politica, agganciandosi ai gruppi e alle consorterie che detenevano il potere nella dominante" (Povolo, 1997, 177). A nulla valevano i richiami al rispetto di convenzioni e patti conclusi - e segno di una sottomissione volontaria - tra le citta e Venezia. Una nuova cultura giuridica ne negava la consistenza e la validita (Povolo, 1997, 179). "La faida nelle sue mani-festazioni più violente esprimeva probabilmente a livello simbolico il rifiuto dell'ac-cettazione di un potere esterno, quello veneziano, che proprio in quegli anni si stava insinuando nei gangli più vitali dei lignaggi nobiliari. Pur nelle sue tragiche con- 26 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 seguenze la faida aristocratica si proponeva con un nuovo linguaggio, che manifestava, innanzitutto, la perdita d'identita politica delle aristocrazie di Terraferma" (Povolo, 1997, 190). In questo aveva giocato un ruolo rilevante il sistema delle confische che non solo intaccava i patrimoni familiari senza piü possibilita di difesa con istituti giuridici come il fedecommesso, ma rappresentava anche una infamia per chi li subiva "poiché sul piano della rappresentazione sociale veniva a colpire pubblicamente l'onore della Casa" (Povolo, 1997, 186). La mia iniziale domanda puo essere ora leggermente riformulata; non senza, prima, aver riconosciuto la grande capacita di Povolo nell'offrirci i vari volti del-l'onore, soprattutto la dove esso normalmente veniva negato. Anzi, e proprio per questo che la domanda si apre a piü interrogativi. Da che cosa si fa dipendere la legittimazione politica delle istituzioni cittadine? Il livello simbolico della faida sta veramente nel rifiuto dell'accettazione del potere 'esterno' veneziano? Il linguaggio della faida e veramente l'unico (nuovo) che le aristocrazie delegittimate riescono a formulare? Detto in altro modo, che suppone l'esistenza di una radicata 'cultura politica' delle istituzioni cittadine: le citta, o i loro patriziati, in quanto corpi, non ritenevano di avere un onore anch'essi? Non ne avvertivano le lesioni? Non ne rivendicavano la restituzione? Non era, o non poteva essere questo il modo, certo non facile, per mostrare alla Dominante la propria identita nella difesa delle sue parti costitutive, nonostante i conflitti interni? E cosí facile per il centro controllare la periferia e delegittimarla? La Repubblica e davvero cosí 'tiranna', come lamentano i veronesi durante la crisi dell'Interdetto, denunciando la rottura delle capitolazioni giurate stabilite agli inizi del '400 (Povolo, 1997, 178-179)1? Non si tratta di interrogativi esterni al racconto di Povolo e ai problemi che esso pone. Sono suscitati dalla tendenza tipica di ogni ricercatore (in questo caso io) a riconoscere tracce dei 'suoi' problemi in quello che per altri e resto, residuo, quando non anche cascame. L'oggetto c'e: si tratta di vederlo e di riconoscerlo, anche se oscurato da una densa ombra. Significativamente, oggetto e problema stanno dentro ad una importante decisione del Senato veneziano, ad un segno forte della sua 'politica del diritto'. La "Legge dei cinque casi", emanata nell'ottobre 1585, dettava che i rettori di Ter-raferma potesero procedere sommariamente nei confronti di taluni delitti di estrema gravita. Qualche tempo dopo Vicenza inviava rappresentanti, lamentando come tale provvedimento ledesse le prerogative giudiziarie della magistratura del Consolato, che insieme al podesta e ai suoi assessori aveva ampie competenze nel settore penale. "Prestigiosa magistratura, costituita da quattro membri del Collegio dei giudici -iudices cónsules - insieme ad altri otto cónsules laici designati annualmente dal Problemi analoghi sono stati posti, nel corso della tavola rotonda, dalla relazioni di Gherardo Ortalli e di Giorgio Chittolini. 27 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 consiglio cittadino" (Povolo, 1997, 274), il Consolato adottava una procedura derivata dal processo romano-canonico che garantiva ancora un ruolo rilevante al confronto tra parte lesa e imputato. Ció che interessa maggiormente a Povolo rilevare e come, piü di ogni altra istituzione cittadina, il Consolato impersonasse la stretta compenetrazione tra i lignaggi aristocratici detentori del controllo del potere politico e le corporazioni dei giudici e degli avvocati che si identificavano nel Collegio dei giudici; come costituisse, quindi, il luogo per eccellenza di riscontro del potere esercitato nei villaggi dalle consorterie nobiliari (Povolo, 1997, 275). La riformulazione delle rimostranze vicentine sollecitata dal Savio veneziano Giacomo Foscarini non possono suonare altro, quindi - anche se non espressamente detto in questo punto -, che una ennesima riproposizione dell'onore come espressione delle gerarchie sociali, cioe proprio della concezione opposta a quella dell'onore come virtü individuale, e per questo valore totalmente negativo. Ma leggiamo alcuni passi in cui Vicenza, sottolineando le difficolta che la nuova legge le avrebbe creato, insisteva su "la fede data per sua Serenita a detta sua citta nella prima deditione, la benignita et religione sua et l'amor paterno che ha sempre portato a detta sua citta", incredula che Venezia "habbi voluto con detta deliberatione spogliarla et privarla in parte alcuna dell'authorita et giurisdittione dil consulato. Tanto maggiomente quanto che il privar una Citta della giurisditione et consequentemente dell'honor et reputatione sua e la maggior pena chel suo Prencipe li possa dare. Onde non e possibile che sua Serenita, Prencipe cosí giusto et santo, habbi voluto condanar de cosí grave pena una sua Citta innocentissima col farla infame appresso li vicini et posteri" (Povolo, 1997, 291-292). Sono solo vuote formule retoriche, o non sono piuttosto i segni molto chiari di un linguaggio (giuridico-politico) strutturalmente diverso dalla faida, di una cultura (giuridico-) politica che non si lasciava annullare dalla 'nuova' cultura giuridica -perché esprimeva concezioni della 'vita civile' non riducibile alla identificazione (semplificazione) di potere economico della aristocrazia proprietaria terriera e di potere politico cittadino? Ci servono ancora questi meccanicismi storiografici, oppure non abbiamo bisogno di altri schemi di interpretazione? Perdere la giurisdizione di una o piü magistrature significava per una citta perdere la sua giurisdizione, quindi perdere il suo onore, quindi essere giudicata infame. E questo non valeva per le magistrature 'aristocratiche' solamente, ma anche per quelle 'popolari' che in molte citta italiane continuavano a sussistere (De Benedictis, 1997b). Giacomo Foscarini, difendendo in Senato la supplica di Vicenza insieme a quelle presentate da Verona e Brescia, sapeva sicuramente che lacommunis opinio valutava ogni infamia come illegittima. Il provvedimento fu ridimensionato, cosa di fatto normale al tempo, perché la "complessita dei rapporti politici creatisi in quegli anni con i centri sudditi della Terraferma" (Povolo, 1997, 292) consisteva proprio in quello che Povolo sembra non voler accettare. 28 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 Come ha di nuovo recentemente sostenuto Luca Mannori, puré se il "potere centrale viene scoprendo (anche se con livelli di consapevolezza e di urgenza molto diversi da Stato a Stato) che una mediazione puramente giudiziaria non e sufficiente a tenere in equilibrio la periferia e che a questo fine e indispensabile il ricorso alla regolazione normativa", questo non comporta di per sé una vera cesura rispetto ai modi precedenti di gestione del potere. "Le nuove regole danno luogo certamente a una prassi di governo piü repressiva che dirimente, ma vengono per lo piü attuate mediante il tradizionale meccanismo giurisdizionale" (Mannori, 1997, 27). Che questo succeda anche quando, come nel caso affrontato da Povolo, l'emergenza del banditismo marca il forte acuirsi del confronto istituzionale 'centro-periferia', ho cercato di segnalarlo io stessa per il rapporto Stato pontificio (sistino) - Bologna (De Benedictis, 1997a). Ma pure quando - seguendo di nuovo Mannori - in vari Stati italiani comincia a profilarsi l'idea che per governare la periferia ci si debba affidare alla tecnica giuridica del controllo ("molto piü pervasiva di quella giurisdizionale, questa tecnica promuove il centro al ruolo di un interlocutore in cui gli ammi-nistratori periferici devono imbattersi ineludibilmente; e quindi ne potenzia enormemente la capacita d'interdizione rispetto a quella di cui esso godeva all'interno di un semplice Justizstaat" (Mannori, 1997, 29)), questo non produce una mobilitazione del panorama socio-istituzionale. "La storia del controllo si riassume in gran parte nello sforzo di tenere in piedi una struttura di identita territoriali per molti versi arcaica, a cui pero tutto il progetto statale si appoggia. Esattamente come nella coeva Francia borbonica, l'accentramento d'antico regime e molto piü elemento di con-servazione che non di mobilitazione del panorama socio-istituzionale" (Mannori, 1997, 34). Siamo con questo ad una questione centrale, storiografica e insieme cognitiva, la cui valutazione - diversa, se non sostanzialmente opposta a quella di Mannori, e proprio rappresentata, in questo caso, da Povolo. Leggendo precedenti risultati delle ricerche di Mannori, Povolo gli attribuisce una "negazione o sottovalutazione dello spessore effettivo degli ordinamenti statuali prima e dopo le codificazioni ottocentesche, [che] se trova ben fondati riscontri e fondamenti interpretativi sul piano effettivo degli assetti amministrativi ed istituzionali, non tiene forse nella dovuta considerazione le profonde trasformazioni che sul piano della redistribuzione del potere si ebbero pero di seguito al delinearsi, dapprima, e al consolidarsi, poi, di una struttura burocratico-amministrativa che incise, tra l'altro in maniera rilevante - in particolare nell'Europa continentale - nell'affermazione di determinati valori ideologici e culturali. Questi aspetti del problema segnarono in realta il volto effettivo degli stati di antico regime ... La mobilita politica e sociale delle famiglie (veri centri di potere) si misuro in effetti costantemente, incidendo sul piano clientelare e amministrativo, sulle possibilita di ascesa nell'ambito di un apparato istituzionale che si era sensibilmente distaccato dalle radici costituzionali dualistiche 29 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 medievali. Piü che riflettere una vera e propria centralizzazione (impensabile, come e gia stato notato, nelle stesse organizzazioni statuali degli ultimi due secoli) le nuove strutture burocratiche e amministrative permisero una sostanziale redistribuzione del potere, coivolgendo le élites locali" (Povolo, 1997, 221-222). Perché il problema, per Povolo, e quello di addensare "l'attenzione sulla concreta dinamica dei rapporti di potere tra centro e periferia" (Povolo, 1997, 221-222). 4. Ci si trova ancora di fronte ad un problema di fondo: dato che uno storico voglia conoscere i concreti rapporti di potere e seguire la loro dinamica,come puo farlo? Ovvero, come fa giocare il rapporto tra fonti e ipotesi di lavoro e schemi interpretativi? Pur nel comune interesse per l'oggetto di ricerca, le vie percorse da Torre e Bellabarba da una parte, e Povolo dall'altra sono profondamente diverse. Nei primi i problemi nuovi posti dalle fonti sono liberamente confrontati con piü o meno recenti impostazioni e acquisizioni sociologiche e antropologiche, in modo tale che nuovi soggetti del loro racconto storico possono convivere con vecchi soggetti ed essere comunque sempre in primo piano. Nel secondo, invece, i nuovi soggetti che parlano attraverso le fonti processuali - la comunita di Orgiano, le ragazze violentate dai signorotti - riescono a farlo solo e unicamente costringendo i vecchi soggetti al silenzio, in una sorta di rivincita storica che e consentita da una forza superiore. La provvidenza manzoniana assume qui le sembianze laiche del 'princeps' - di Venezia regina - che impone a favore dei deboli il suo nuovo diritto (positivo) sul vecchio diritto espressione dei forti. L'onore come virtü individuale puo essere riconosciuto solo se l'onore familiare, di un gruppo, di un ceto viene condannato. Individualismo' vs. 'communitarismo'. 'Assolutismo' filoindividualista contro particolarismo corporativo. L'onore, pero, e talmente intrigante - come Povolo ha il merito di farci vedere -da non lasciarsi collocare in uno spazio unidimensionale. Recenti studi, non certamente propensi ad una sopravalutazione del ruolo delle aristocrazie d'antico regime, ma anzi interni a quella storia della criminalita che e anche uno dei punti di riferimento piü importanti per Povolo, sono pervenuti ad un risultato molto diverso. Se l'onore viene analizzato come prassi sociale, come mezzo di comunicazione col cui aiuto viene ascritto riconoscimento e valore in varie relazioni di vita e che quindi da e e restituisce considerazione, timore e simpatia, allora l'onore puo essere messo in relazione a persone e gruppi di diversa appartenenza sociale, a uomini e donne, a Dio e al corpo umano, a quadri e segni religiosi (Schreiner - Schwerhoff, 1995)? L'onore cosí inteso (come si evince pure da Torre e Bellabarba) non deve essere piü concepito posivisticamente solo come un concetto morale, un oggetto chiaramente delimitabile e definibile a una qualita personale, ma piuttosto come codice di Di grande importanza per le questioni generali di cui si sta parlando e anche il volume collettaneo Miethke - Schreiner, 1994. 30 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 comportamento, come sistema di rególe estremamente complesso e diffusamente comunicato. L'onore e meno qualita di una persona che médium determinante inter-azione sociale e comunicazione fra persone. In questo senso l'interesse della ricerca e meno volto agli elementi contenutistici del concetto d'onore che all'effettiva utiliz-zazione fatta da individui, gruppi sociali e titolari del potere di un codice d'onore temporalmente delimitato. I ferimenti all'onore sono percepiti - a partire dalla loro logica pubblica - non tanto come strisciante abolizione di facolta, quanto piuttosto come minacciosa improvvisa perdita: l'onore e sottoposto a test pubblici attraverso i quali gli individui (anche quelli collettivi) sono spinti a difenderlo e a mantenerlo, proprio come se si trattasse di un possesso materiale. Il codice di comportamento dell'onore puo essere cosí inteso come medium centrale per la risoluzione di conflitti. Se la piü recente ricerca pone al centro dell'attenzione gli orientamenti di individui e i conflitti sociali, l'onore di gruppi e di ceti non si puo comunque escludere: e difficile separare gli uni dall'altro. I codici d'onore funzionano ovunque in modo simile. Questa lettura dell'onore (flessibile come il concetto, direbbe Bellabarba) ha un particolare rilievo per le considerazioni che vado facendo, in quanto e espressamente messa in relazione con il ruolo svolto dallo 'Stato in formazione' nel processo che porta ad un mutamento di concezione dell'onore. Questo cambiamento 'storico', che indubbiamente e avvenuto, non ha comportato necessariamente una continuata perdita di significati e funzioni precedenti. Il modo notevolmente complesso in cui il mutamento si e prodotto non puo essere identificato con una modernizzazione. Per quanto fin dall'alto medioevo il principe abbia continuamente cercato di mono-polizzare pratiche di mediazione del tutto connesse ad una determinata concezione dell'onore, ciononostante per il tardo medioevo e la prima eta moderna i risultati di tali tentativi rimangono contraddittori. La ricerca su specifiche situazioni cittadine imperiali sostiene una simile valutazione: nella 'normale' realta delle contese politiche l'onore era un 'capitale simbolico' di cui proprio in tali situazioni si chiedeva e doveva essere chiesta pubblicamente la restituzione, dal momento che esso ap-parteneva alla legittimazione del potere (Rogge, 1995). Ritornare a Vicenza e alle sue petizioni del 1585 con una - mi si passi l'es-pressione - apertura di credito basata su elementi di valutazione come quelli sopra sinteticamente delineati, significa allora forse concedere che la delegittimazione operata da Venezia nei suoi confronti non e un'operazione del tutto riuscita, in quanto ancora sostanzialmente estranea alle 'normali' pratiche di potere (e qui puo valere quanto detto da Mannori a proposito del rapporto-successione tra tecniche giurisdizionali e tecniche di controllo). Chiedendo il mantenimento della giuris-dizione della Consulta, Vicenza chiede la restituzione dell'onore, cioe il ricono-scimento della legittimazione del potere. Questo discorso porta poi direttamente al centro della valutazione storiografica (=inconcepibile derubricazione) della citta 31 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 come 'periferia'. Nella rappresentazione corporativa in quanto antropomorfica dei rapporti di potere - e quindi nella concezione prevalente del rapporto tra vari titolari-possessori di giurisdizione (Vallejo, 1992; De Benedictis, 19944 - le magistrature cittadine di governo si considerano e si vantano di essere considerate dal principe come suoi 'consiglieri', cioe come gli occhi del principe, le cui pupille sono la religione e la giustizia, che guardano all'utilita pubblica5 Le magistrature cittadine, la citta tutta, sono cioe una parte del caput del principe: togliere loro la giurisdizione non ha conseguenze solo per il loro onore, ma anche per la capacita del principe di vedere l'utilita pubblica. Giurisdizione e onore della citta non sono allora solo elementi residuali; gli occhi non sono la periferia del capo. E non si tratta di rap-presentazioni che non hanno connessione con la pratica, anzi la orientano e ne costituiscono la cifra; e aiutano lo storico di oggi a muoversi nella estrema difficolta di identificare, fino alla fine quasi dell'antico regime, un 'centro istituzionale' che si ponga antagonisticamente nei confronti di una periferia!5 Parlare in questi termini -voglio sottolinearlo - non significa negare l'esistenza e l'addensamento di pratiche "statali" di accorpamento: significa solo ri-conoscere (sempre attraverso l'uso com-binato delle fonti) che esse si pongono al di fuori, anche teoricamente, di una concezione del diritto e della giustizia molto risalente (e non solo laica) non circo-scrivibile al concetto di norma positiva e della sua esecuzione. Alcune recenti considerazioni di Bartolomé Clavero, formulate proprio a proposito della questione centro-periferia, possono essere qui molto utili. In riferimento al quadro della Toscana medicea delineato da Luca Mannori (ma gia qualche anno prima a proposito della difficile riconoscibilita, oggi, del concetto territorios forales e quindi della loro realta storica) (Clavero, 1995; Clavero, 1993), Clavero, ripren-dendo una considerazione di Tocqueville, sottolinea la divaricazione fra potere e diritto nelle teorie e pratiche assolutistiche: il potere della monarchia assoluta arri-vava dove non riusciva a giungere il suo diritto, che allora non si riduceva alle leggi della monarchia. In questo diritto 'irriducibile' (l'espressione e mia) rientra una forma corporativa di tutela che, in quanto di origine medievale, non viene piü considerata come elemento vivo per l'eta detta moderna. Baldo la aveva cosí sintetizzata: "Rex debet esse tutor regni, non depopulator nec dilapidator". Non e quest'ultima la forma di tutela, ritornando ora per un momento alle comunita piemontesi di Torre, che Vittorio Amedeo II avrebbe voluto attuare con l'istituzione (mal riuscita) delle Congregazioni di carita; ma quella, appunto della monarchia assoluta, simile nel Una ripresa di molti lavori precedenti in Hespanha, 1997. L'immagine e presente anche in uno dei piu diffusi e citati esempi della letteratura giuridica pratica, Calixtus Ramirez, 1616, 78-85. Non e questo il luogo per approfondire un problema che richiederebbe ben altro spazio. Rinvio, per una recente ripresa dei termini della questione centro-periferia, a Fasano Guarini, 19972a; nonché le recensioni-rassegne sull'intero volume di Mannori, 1995; Blanco, 1997; Petralia, 1997 . 32 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 Piemonte di Torre come nella Toscana cui fa riferimento Clavero in questo: nel suo essere un'operazione politica volontaristica priva di ispirazione e copertura giuridica. Requisito, quest'ultimo, peraltro assolutamente essenziale in un ordine giuri-sdizionale e intercorporativo, estremamente attento ad osservare dove e fino a che punto si introducesse un potere alieno dal diritto; e ad evidenziare in che modo e in che forma questo potere operasse e si stabilisse sotto un ordinamento che continuava a essere sostanzialmente giurisdizionale e in quanto tale a richiedere copertura giuridica. Un concreto esempio storico addotto da Clavero mi sembra particolarmente pertinente sia in rapporto al problema centro-periferia, sia in riferimento alle rela-zioni tra rappresentazione e realta. Negli anni quaranta del '700, Lorenzo Santayana, un magistrato di Nueva Planta, cioe della politica monarchica che aveva cominciato agli inizi del '700 ad abolire fueros e a ridurre diritti di territori interi, scriveva un'opera di intento pratico intitolata Govierno Político de los Pueblos de España y el Corregidor, Alcalde y Juez en ellos. Santayana intendeva certamente far imporre alle comunita la legge del monarca, ma lo faceva salvando usi e consuetudini, pre-scrizione immemorabile, privilegi, tolleranza, diritto naturale. La giustizia era prerogativa del re, ma la tutela delle comunita spettava a loro stesse, in quanto capaci di governo e aventi un diritto. Anche in opere piü tarde la legge del monarca era solo una tra le 'fonti del diritto', compresa com'era tra altre autorita religiose e dottrinali: la Sacra Scrittura, le leggi del regno e le dottrine dei giuristi. Si trattava di una semplice reiterazione meccanica della dottrina medievale della iurisdictio, o non significava, piuttosto, la volonta delle comunita - espressa nell' 'idioma del diritto' utilizzato dai giuristi che le rappresentavano (ma forse anche da altri idiomi) - a non sottostare a quel tipo di tutela cui, per esempio, erano assoggettate in America le comunita aborigene? Perché questa era, sostanzialmente, il tipo di tutela della 'monarchia assoluta' (Clavero, 1995): quella, cioe, che tendeva a rendere 'altro' da sé, a non riconoscerne la personalita giuridica ad altri (Mannori, 1997), a delegittimare il potere delle comunita. 5. Rivendicare invece quel potere - che nel riconoscimento del potere giusto del princeps non poteva essere fatto che in termini di iurisdictio - era una questione sostanziale di onore: e la sostanza della 'cultura politica' delle istituzioni dominata dall'idioma del diritto non riducibile a legge. Si tratta di esigenze e comportamenti collettivi di corpi politici e sociali rintracciabili in tutta l'Europa di antico regime. L'intrigo dell'onore ci porta cosí, per riprendere il sottotitolo del Convegno, a teorie e pratiche dello Stato in Europa (non solo mediterranea). E, nella sua declinazione comunitaria e corporativa, anche a realta che non sono affatto quelle delle ari-stocrazie cittadine dell'Italia centro-settentrionale . Uno dei piü recenti prodotti del filone di ricerca sulle resistenze contadine nei territori imperiali della prima eta moderna chiarisce proprio sul terreno della 'cultura 33 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTES: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 política' la reciprocita di influssi tra signoria territoriale e sudditi contadini, esem-plarmente resa da fonti come petizioni, interrogatori, memoriali degli avvocati. Dall'azione e dalla pratica derivano valori fondamentali e norme di comportamento delle comunita contadine. Il concetto di 'patriottismo' rinvia, per esempio, almeno dagli anni venti del '700 ad una concezione storico-cetuale dei rapporti sociali che e sinonimo di solidarieta, dominata dall'idea dellamutua obligatio, cioe di un legame fondato contrattualmente ed espresso anche nella formula del do ut des. Una concezione riscontrabile non solo tra i contadini, ma anche nel mondo della nobilta: il guadagno di uno era inteso come perdita dell'altro. E questo valeva tanto per i beni materiali quanto per i beni immateriali: cosí i contemporanei potevano spiegare e spiegarsi la diversa partecipazione individuale a forme di "capitale" personale come amicizia, fortuna e onore. Essendo poi ogni mutamento considerato una offesa alla consuetudine, un altro principio portante era quello della consuetudinarieta. Ancora nel 1720 i contadini rivendicavano liberta mantenute da tempo immemorabile; si richiamavano ad antichissimi privilegi e diritti conservati da 10, 20, 30, 40, 50 e piü anni. Attraverso la costruzione di leggende storiche nelle quali si parlava di privilegi caduti in dimenticanza, i sudditi cercavano di fondare una nuova consuetudine designata spesso come "buon diritto antico" ed in realta effettivamente adatta ai loro desideri soggettivi, al loro tendere verso una vita migliore. Da qui anche la qualita mitica della consuetudine. Dare ad ognuno il suo, "suum cuique tribuere", significava rispettare l' equita o giustizia naturale, con particolare riguardo alla giustizia fiscale. Pensare che il signore dovesse attenersi al principio dell'equita naturale, cioe che dovesse tralasciare misure che minacciavano la vita dei sudditi o pregiudicavano la loro integrita fisica significava, per i contadini avanzare una pretesa che puo essere considerata centrale per la genesi della moderna concezione dei diritti fondamentali. Il consenso dei sudditi alle deliberazioni sugli affari che tutti riguardano ("quod omnes tangit") era uno dei principi consociativi che accomunava comunita contadine e assemblee cetuali: esso comportava un'esigenza fortissima di partecipazione Centrale era pure, come si e accennato, il ruolo attribuito all'onore: ogni infamia era valutata illegittima. Qualsiasi colpo inferto contro i principi suddetti oltrepassava nella considerazione dei sudditi cio che era considerato sopportabile. Le conseguenti rimostranze erano un percorrere la via giuridica consentita dal diritto divino e umano. Comportavano la scelta di una parte sola, quella processuale, dellaresistentia licita contro l'esercizio del potere ingiusto. La resistenza legale si poteva manifestare anche nella forma di disobbedienza verso gli ordini e le pratiche signorili, nella forma del ricorso all'auto-aiuto attivo sul terreno processuale. Forme giuridico-processuali e forme di disobbedienza non si escludevano a vicenda: se queste ultime erano generalmente respinto da parte signorile, la loro legittimita era invece continuamente assicurata dalla valutazione dei compendi giuridici contemporanei (Gabel, 1995, 341-368). 34 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTS: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 La cultura politica, fatta di rappresentazioni, puó costruire una realta sociale che situazioni conflittuali evidenziano con particolare forza: anche una rivolta, come la guerra dei contadini svizzeri del 1653, e un fatto culturale (Suter, 1997a; Suter, 1997b).7 Anche le istituzioni cittadine (e non solo queste) vivono una loro lunghissima vita che e contrappuntata da situazioni piü o meno intensamente conflittuali: la realta di cui sono parte e talmente complessa da rendere la loro vita molto poco tranquilla, diversamente da quanto sembra ipotizzare Elena Fasano Guarini (Fasano Guarini, 1997, 331).8 La denuncia ripetuta di 'vulnerazione' e menomazione dellaiurisdictio non e mai espediente meramente retorico, o almeno e anche retorico in quanto aiuta le istituzioni a scrivere nelle diverse situazioni una loro storia che di uguale a se stessa ha la spinta materiale e il fondamento teorico di legittimazione per l'azione nel presente.9 Rivendicare iurisdictio ha effetti politico-istituzionali (Mannori, 1997, 22). Nell'antico regime le istituzioni (cittadine) hanno ancora la memoria per scrivere la loro storia - con tutte le mitizzazioni che ne possono derivare, nell'integrazione di ricordo fondante e ricordo contrappesistico10 - prima che l'ordinamento ammi-nistrativo ottocentesco (e le sue conseguenze) cerchi di annullarla con l'invenzione delle tradizioni locali e con la costruzione del rapporto centro-periferia. Parafrasando il titolo di un recente prezioso libro (Petit, 1997), una delle piü forti passioni delle istituzioni d'antico regime e proprio la memoria di se stesse, misura - in certo senso -della propria cultura politica. ČAST USTANOV. UGOTAVLJANJE 'POLITIČNE KULTURE' INSTITUCIJ V NOVEM VEKU - ZAPIS OB NEKATERIH NAJNOVEJŠIH DELIH Angela De BENEDICTIS Univerza v Bologni, Oddelek za zgodovinske vede, IT-40124 Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2 POVZETEK V dveh raziskavah, ki sta po svoji vsebini dokaj različni, obenem pa podobni po pozornosti do govorice virov, gre za monografiji Torreja in Bellabarbe, je avtorica zaznala soglasje med pomenom, ki ga avtorja pripisujeta pojmu in uresničevanju 7 Sul rapporto istituzioni-avvenimenti, e prima ancora sui concetti di 'istituzione' e 'avvenimento' si veda ora Blänkner-Jussen, 1998. 8 Di Fasano Guarini, si veda anche, su questi temi, 1998. Una sintesi sui mutamenti avvenuti nelle istituzioni politiche italiane tra '500 e '700 in Verga, 1996. 9 Ho cercato di dare qualche esempio in De Benedictis, 1995. 10 Secondo la definizione di Assmann, 1997, 51. 35 ACTA HISTRIAE VII. Angela De BENEDICTS: L'ONORE DELLE MAGISTRATURE. ..., 19-38 oblasti kot iurisdictio, ter izginjanjem razumevanja zgodovine zadevnih ozemelj po interpretacijski shemi dejanskega nasprotja center-periferija. Nasprotno pa se zdi avtorici kritika novejših raziskav v delu Claudia Povola, ki veliko odločneje kot že omenjene izpostavljajo dolgotrajno ohranjanje jurisdik-cijskega pojmovanja oblasti do konca starega režima, v določenem smislu posledica dihotomičnega nasprotja center-periferija, apliciranega na zgodovino odnosov med ozemeljskimi državami in mesti. Uveljavitev časti kot individualne čednosti se Povolu zdi mogoča, samo v kolikor bi državno središče odvzelo oblast aristokratski mestni periferiji. Avtorica zagovarja tezo, da nesporna uveljavitev individualnega vrednotenja časti med 16. in 18. stoletjem ne pomeni tudi njenega sočasnega izginjanja kot vrednote, ki jo gre pripisati celotnim skupnostim in območjem: bratovščinam, o katerih govori Torre, skupnostim, o katerih govori Bellabarba, mestom in njihovim sodiščem, ki vedno znova vzbujajo zanimanje zgodovinarjev. Izguba lastne iurisdictio pomeni za vse izguba časti, izguba materialne dobrine in simbolnega kapitala obenem. Novejše raziskave o 'politični kulturi' v različnih evropskih okoljih starega režima, razkrivajo, da nenehna opozorila glede 'kršenja' in krčenja iurisdictio s strani 'kolektivnih' dejavnikov nikoli niso bila zgolj retorične narave, temveč so predstavljala potrebno urjenje 'spomina', ki je, teoretično podprto, omogočilo podeljevanje legitimnosti dejanjem v tedanjem času. FONTI E BIBLIOGRAFIA Assmann, J. (1997): La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identita politica nelle grandi civilta antiche. 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