ANNO XXVII. Capodistria, 16 Febbrajo 1893. N. 4 LA PRO DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOC1AZIONK per un anno fior. 3; semestre e qua-Iriraeetre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. IN ISTRIA D'AUTUNNO (Herbsttage in I Strien) DEL DOTT. M. HOERNES (traduzione e note di G. Vàtova) (contin.e e fine : v. n. preced.) In un momento — eravamo alla seconda metà di settembre — da tutta l'Istria si spande una fragranza di vin nuovo e di botti vecchie. Ferve la vendemmia ed è già fatta per metà. Tutti, i vignaiuoli dell' un sesso e dell' altro, non meno de' bottai, non meno de' pacifici e diligenti asinelli, anno tutti un gran da fare, a tagliare, a pigiare, a martellare, a trasportar sulle schiene. Dovunque nette vigne ingiallite dal sol d'estate, fra mezzo agli abbondanti grappoli soavissimi, spenzolanti a guisa di mazzi di perle d'un nero smorto, spiano due maliziosi occlii bruni; dovunque per le vie e per le viuzze, fiancheggiate da siepi e muricce, sgambetta la gente curva sotto il peso delle ricolme ceste. Qua e là comparisce già in tavola il vin nuovo ; ma — tempus !') si potrebbe con amica intenzione sciamare nel gergo studentesco, quando una mano estranea si allunga inesperta verso il goto incoronato di spuma. Qua giù non e' è il colera, è vero; ma un lontano parente di lui è più facile tirarselo in corpo di quello che non sia poi sbarazzarsene. Sbarcammo a Parenzo, rinnovammo la visita alla basilica ed al museo, due vecchie conoscenze preziosissime, e ispezionammo il progresso dei restauri ai mosaici del duomo ed i recenti scavi ai Pizzughi, tributando meritate lodi. Parenzo è sede dell' operosissima Società istriana d'archeologia e storia patria, ne'cui Atti e memorie — al presente sette volumi — si contengono le più copiose notizie sui monumenti preistorici, romani e medioevali della città e della regione. E scopo del nostro viaggio si era appunto qiiello di arricchire le nostre cognizioni intorno alle prime di queste antichità. Ma, già che ci siamo, ci godiamo anche la città odierna, i cui contorni! e le linee interne bene spesso fanno riconoscere la pianta dell' antica città romana, ci godiamo 1' architettura delle molte case nello stile veneziano antico, la vita sulle vie, dove spiccano le figure alte slanciate degli abbronziti contadini, che portano in capo un berrettino nero a tagliere e un orecchino artisticamente lavorato a un orecchio, ci rallegra anche la vista del mare azzurro cupo percorso da bianche lucide vele e annebbiato dal fumo nero dei vapori, bello se si guarda dall'edificio degli uffici provinciali, dov' è allogato anco il museo, più bello s' è visto dal molo, di rimpetto all'isola rocciosa su cui s'erge il palazzo del. marchese Polesini, quando i maggiorenti della citta-detta passeggiano su e giù immersi negP intimi ed assennati ragionari e' 1 sole che si affonda discioglie aria ed acqua in veli ondeggianti di porpora. Bello è lo spettacolo che si gode dal molo anche più tardi, quand' è accesa la lanterna, quando le barche pescherecce de' chioggiotti, simili a tacite ombre, le vele allentate, ci sguisciano dhibzi e, facendo lor pro della brezza che si leva proprio a tempo, prendono 'il largo, a due a due, per gettare là, alcune miglia lungi dalla costa, le reti micidiali. Poi manda lontano i suoi raggi luminosi — siccome il forassero che vien di terra ferma s'è dato cura di leggere già prima, non senza il dovuto rispetto, nella sua carta speciale — il faro d' Umago, fisso, verde, sei miglia, il faro di porto Quieto, fermo, undici miglia. Gli olivi col loro scialbo fogliame, con le loro simmetriche lussureggianti chiome, i quali dèi resto attorno a Parenzo non crescono tanto frequenti, le vigne fronzute, gli asinelli col bel crespo di peli sulla fronte, i pistrini a mano, la spiaggia scogliosa, i profili delle alture lontane, dalle linee regolari e senza sbalzi, ricordano rilievi antichi e antiche pitture. Nè dico già questo quasi fossi tutto compreso d'ammirazione per 1' arte e per la vita degli antichi nè come entusiasta del paesaggio meridionale e de' suoi accessori così spesso decantati. Attrattive sì fatte sono molto relative, dipendono assai da un modo di concepire il mondo, eh'è in noi da lunga pezza sopito e che al colto settentrionale non può giammai parlare al cuore per via d' un godimento schietto, ma solo per dotta riflessione e dotta esercitazione. Il ricordo di un' età, se non felice, nobile almeno, della nostra schiatta è ricordo che nasce in noi dalla scuola, se non è semplice ricordo di scuola. Conoscere il mezzogiorno e sentirne affetto son due cose diverse, com' è un altro par di maniche rettamente giudicare dell' antichità e un altro struggersi dal desiderio eli' ella a noi ritorni. Quest' ultima cosa noi non la facciamo ; c' impenniamo anzi, se c'imbattiamo in certe forme dell'ingenua vita rutica. L'artista imparziale divora con lo sguardo le immagini, le belle linee, gli armonici colori. L'occhio di colui che studia la civiltà misura il baratro che ci separa da questo terreno. Da questa terra noi non abbiamo menato via che delle pietre, onde costruire l'edificio della coltura nostra ') ; ma l'edificio stesso venne costrutto su proprie fondamenta con altri mezzi, spesso, e in altre forme. Ti reca sopra uno dei colli, che portano sulle loro spalle le città e le borgate dell'interno — son quasi tutte situate sui colli — peregrina dall'una e all' altra per ben costrutte vie, visita i siti abbandonati, nei quali fermò sua dimora l'uomo primitivo, chiamati castellieri, muovi di buon mattino — alle 9 il caldo è già soffocante, ma alle 11 si leva una brezza da mare che ristora — e torna a casa nella frescura della sera nella scintillazione delle stelle. Non c'è nebbia mattutina, che ti rallenti lo apparire del giorno, non c'è sera vaporosa e fosca che te lo strappi via. Terse e svelate ti salutano le lontananze dall'alba benedetta innanzi allo spuntar del sole fin a quando la uotte cala lo scuro suo manto. Dove ti fermi a riposare sul sedile d'una roccia, mandano a te dolci parolette d'amore l'erbe olezzanti; che se ne premi fra le dita, a lungo recherai teco in giro il soave aromatico profumo. La gente ti passa da canto cortese e ti saluta, sia uomo sia donna, con dignitosa grazia ed è anche pronta a somministrarti l'informazione o l'aiuto, di cui tu senta il bisogno. Sul castelliere puoi raccogliere tra le glebe cocci di orci vinari e di embrici romani o frammenti di friabili rasi di ter ra preistorici ; se si dà il caso, trovi anche uno o due pezzi di maggior valore, un bronzo od altro, che meriti che te lo prenda teco. Di questi siti ve ne sono a centinaia in Istria, e inoltre alle falde del colle e nella valle fughe di tombe e sepolcreti accessibili solo al piccone dello scavatore. Dei ripari, spesso costruiti su tre linee concentriche, chiudono il luogo in giro o 1' assicurano almeno contro il dosso aderente del monte. Tutte queste sono belle cose, senza dubbio, piacevoli, al meno interessanti. Ma non puoi rimanerti sempre su strade ben tenute e devi metterti per vie naturali che somigliano a letti di rivi scavati dall' acqua nel fondo roccioso e quasi gole sono ripiene di ciottoloui di lastre e di schegge. 11 paese non à siti ombrosi, acqua poca 2) e buona anche meno, in abbondanza sassi e prunai, boschi punti3); la terra rossa ') Piace a noi la franca sincerità del tedesco, che sa il suo edificio già hello e incrollabile. Ma certo non piace ai nostri villani fratellastri, i quali in quelle loro testacee pensano — nò mi farebbe meraviglia, sfacciati come sono, che un bel giorno lo proclamassero a voce alta ai quattro venti — che l'edificio della civiltà loro non l'anno fino ad oggi potuto faDbricare, perchè tutte le pietre in quel tempo le regalarono a noi ed ai tedeschi ancora e che però sono costretti ad attendere un altro pochino — fin che madre natura si risolva a far nascere delle pietre nuove apposta per loro. Allora sì che vedrassi sorgere uu edificio proprio originale ed invidiabile al mondo ! 2) Di acque sono discretamente fornite le valli del Risano, della Dragogna, della Brazzana e del Quieto. 3) C'è bensì il bosco di Montona, che già fornì gran legname eccellente &\\'Arzanà de' V'iniziarti, e qualche altro bosco e boschetto o reliquia di bosco antico qua e là. Ma lo scrittore vuol dire certamente che i boschi non sono cosi frequenti come li bramerebbe il viaggiatore, affranto trafelato e sudante, per soffermarvisi di tratto in tratto e ristorarsi un poco all'ombra delle verdi fronde meglio che ora non possa fare sul sedile di un'ardente rupe. Ma fra pochi anni, si spera, verdeggeranno le pinete, che vanuo piantando con molto zelo le commissioni per esala la malaria1), la morte cagionata dal morso d' un vipera non è sconosciuta2); l'aspetto dei colli ondula dell'interno, uniformi, troppo spesso nudi come portai natura del così detto Carso, t'infonde di tratto in tratt una cupa melancolia. Tra le cose che mancano affati perfino in molti de'paesi maggiori, a una sola voglio -accennare : chè nominar non si lascia. Quivi non si pu lamentare la lordura di certi luoghi, non se ne pu pretendere la buoua disinfezione, perchè non n' esiston affatto. Quando di notte i radi fanali spandono l'iucert luce sulle vie,, anche borgate minori ti presentan tisonomia di città. Sparisce quel nou so che di trist« di nudo, di aspro all' occhio nordico, male avvezzato, c quei muri tirati su con rottami di pietra senza intonaco le rase si levano nello stellato firmamento quasi mol cupo alte rettangolari. Ma di giorno non si crederebbi quai pulite e comode stanze nascondano deutro di si questi edifici che di fuori ti sembrano altrettante rovine Il soggiorno migliore è certamente alla costa, dove il mare co' suoi bagni, co' suoi pesci bene ammanititi, con le gite in barchetta e col giuoco vaghissimo de'suoi colori à forza di ristorarti il corpo e 1' animo, dove —j e non è piccolo vantaggio — ogni mattina, valendoti delVAdriana, del Lerne, del Quieto o del Risàno — così ànno nome i piroscafi della società Istria-Trieste — nel più giocondo dei modi puoi mutare il tuo domicilio. Ella è cosa originile sedere all'unico tavolino messo fuori dinanzi alla modesta porta del Caffè nazionale di Cittanova; ma non vorrai sedere ivi eternamente. Lesto prendi il tuo bagno nell' onde della darsena limpide « chiare come uno specchio e quindi corri frettoloso al piroscafo,' che annuncia il suo arriva con un e prolungato. A bordo ài tutto l'agio poi di fregare vi; dagli occhi e dagli orecchi il sale che vi si è formate sodo e bianco. Oppure in carrozza corri incontro a nuov( scene e con la trottata di un'ora verso l'interno giung su a Verteneglio, o ancor un' ora e sei uell'alta Buie la spia dell'Istria, com'è chiamata la cittadina fin da tempi antichi, donde si gode una vista magnifica. L'ultima volta — due anni or sono p.jr ognissanti — chi mi trovai ad albergare nell' osteria di Verteneglio A cervo d'oro, là, dinanzi al deschetto sul quale giace! il cadaverino dell' unica sua bambina, singhiozzava un; giovine donna strutta dall' angoscia. Poco fa rividi li stessa madre nello stesso luogo, fioreute e sorridente teneva in braccio una graziosissima creatura, un' altra l'imboschimento del Carso triestino ed istriano, e si stenderann< e si atfoltiranno quelle larve di boschi che tuttora rimangono E noi, più previdenti degli avi, morremo confortati al meno da pensiero che i nostri nepoti e quelli dello scrittore potranno nel! loro gite storico-archeologiche godersi anche uu miccin di soavi rezzo. ]) Ma lo straniero non deve già credere che di questa tern rossa sia ricoperta proprio tutta l'Istria o che dovunque n* è ri coperta regni la malaria. N' è ricoperta quella parte che da no si dice appunto Istria rossa: limitata verso i monti dal terrazzi calcare che dallo Spaccato di Trieste va al Maggiore, sugi altipiani del Carso appena accennata, à strati più profondi nelli regione marittima. Il resto è Istria bianca o grigia. E, d'altri canto, mche là, dove la terra rossa c'è, le condizioni igieniche s sono negli ultimi anni migliorate d'assai e vanno miglioraudi oguor più. 2) Ma quasi affatto. Io, che traduco, e con me molti amici che ò interrogati, non sappiamo una buccìcata di così terribil accidenti. bambina. Questa era raggiante e stendea le manine a .una ciocca di strisce di carta bianche e rosse, di quelle che ivi adoperano a imballare le squisite frutte. Del resto nulla, per quanto ebbi ad osservare, s'era mutato in quel luogo. Sì fatte dimore dell'uomo rimangono 1 simili a se stesse siccome il mare, che si vede lontano oltre il fertile tratto della costa, siccome il terreno sul quale le case sono fabbricate. Gli uomini fioriscono ed avvizziscono; ma la civiltà, quando s'è fatta stazionaria, ricade, quasi a dire, in grembo a madre natura, si 'sottrae a1 nostri anfanamenti, talvolta anche alla nostra J intelligenza e diviene muta, strana, veneranda al par d'ini paradiso da lungo tempo abbandonato ed obliato. •——-- DELLE MURA DI CAPODISTRIA > Nel numero ultimo della Provincia, nell' Appunto bibliografico degli Atti e Memorie, ho detto che la relazione del Podestà Conte G. B. Polcenigo 22 Ottobre 1701 è degna di speciale studio, e che ne avrei parlato in apposito articolo ; e mantengo la parola. Detta relazione ci dà un' accurata descrizione delle mura di Capodistria come si vedevano al cominciare del secolo scorso. È prezzo dell' opera esaminarla ; lo studio delle mura è studio "Di quei che un muro ed una fossa serra., ed è buon indizio a conoscere le condizioni di una città, e nel caso nostro dell' intera provincia, di cui CaywUfetria era la capitale. Dice dunque il suddetto Provveditore che accanto al porto grande fuori della porta San Martino, vi era un torrione detto Mosella, e più avanti un angolo detto pure Mosella con un cannone che difendeva la città fino al Belvedere. Sono queste le opere fortificatorie erette dai Veneziani dopo la ribellione del 1348; e ne abbiamo detto altra volta. Qui però ci è data occasione di precisare la posizione del forte Mosella, che alzavasi dove è ora il magazzeno del sale. Dal forte Mosella, sempre secondo il detto provveditore, le mura si stendevano fino alla piattaforma chiamata Belvedere con modiglioni e un corritojo interrotto dall' orto dei frati d'i San Francesco, e da una piccola chiesa rovinata. Evidentemente il provveditore s'inganna; i frati de quo erano di San Domenico, o di San Francesco sì, ma volgarmente detti di San Gregorio, i famosi Schiavoni nelle grazie del canonico Volaric. Segue la descrizione delle mura fino alle- due porte Isolana e Bossedraga, o meglio Busardega, come si legge nelle carte più vecchie, quali, dice l'autore, 1) Crediamo opportuno ricordare al lettore che nella Provincia d.ì '20 e 23 anno 1875, vennero pubblicati alcuni cenni del Kandier «Le antiche recintazioni di Capodistria.» Nota della Red. "sono così vicine che sarebbe ben fatto murar una.„ I)a questo punto fino a Porta San Pietro c' era il maggior tratto di mura, senza uscite, ed è naturale, perchè guardavano sopra il palude. Sappiamo però da questa relazione che all' angolo tra tramontana o levante era stata aperta "una piccola porta nella muraglia della città e fattoli un Mandracchio o darsena al di fuori per comodo di una fornace de Padri Zocolanti di Sant'Anna.» Di tutto ciò rimaneva traccia a' miei tempi nel muro del bersaglio, e credo ci sia ancora. Dopo, così il Provveditore, c'era una torre e quindi tra ortaglie il muro fino a Porta San Pietro, con accanto altra torre per conservare le polveri, e fino alla Porta di tutti i Santi, questa poco meno che inutile, e a quella della Muda. Descritto il castello, seguita a dire della parte meridionale delle mura con un' altra porta di sortita (Bracciol) attaccata ad un braccio del Revellino del castello, e pochi passi più in là con Porta Maggiore, giudicata anche questa non necessaria, oltre alla quale si compie a Porta San Martino il giro delle mura. Tutto assieme è uno spazio rilevante con otto porte, e dimostra le condizioni floride un tempo della città. Ma le mura dei tempi veneti, e delle quali rimane ancor qua e là qualche vestigio, sono poi le stesse dei tempi romani e bizantini ? No certo, anzi le reliquie del passato e le testimonianze scritte c' inducono ad asserire che Capodistria, come tutte le altre città italiane, ha rifatto più volte ed ampliate le sue mura ; e che vi si ha a cercare una triplice cerchia : la romana, la bizantina o comunale e la veneta. Cominciamo dalla prima. Premetto che per conoscere a occhio la cerchia più antica conviene attendere a due cose: all'allargamento delle vie, e alla rapida scesa delle vie stesse, dove, come nel caso nostro, la città si eleva sopra di uno scoglio o di un colle. Così è visibile anche oggi a Milano la cerchia romana all' improvviso allargamento della Via Broletto al Ponte Vetero, dove si alzava la Porta Comense ; al Bottonuto, al Carro-bio di Porta Ticinese ecc. ecc. E per non andar tanto lontano chi non vede a Trieste il sito di Porta Cavana, dove la stretta Via di San Sebastiano sbocca ad un tratto nell' ampia Via Cavana, all'angolo dell' antico Caffè dei Cappuccini ? E così pure a Capodistria. Dal Campidoglio, le cui rovine sono a cercarsi secondo il Kandier sotto il campanile, scendiamo giù per Calegheria. Dove la stretta via di subito si allarga, e scende per la gradinata a Porta Maggiore, e per altre due vie in Ponte, si alzava la Porta principale; di qui comincia a sinistra verso levante il giro delle mura romane. Voltavano queste precisamente davanti alla casa Marsich, dove nacque il valoroso raccoglitore di storiche memorie, sempre tra i primi veramente sopra il muro in difesa della patria. Quindi il muro romano girava a levante nella direzione del Ginnasio, e poi via fino tra la casa Pavento e il convento dei Cappuccini. Le rapide discese, gli allargamenti delle vie che dal Ginnasio mettono dietro la chiesa dell' Ospedale, al piazzale Barega ecc.... i rottami, e le alture del così detto quartiere del Carantano, ci dicono chiaramente che tutte quelle viuzze e casupole sono aperte ed alzate sulle rovine del muro romano. Dalla piazzetta dei Cappuccini detto muro girava verso la moderna Calle Eugenia davanti al palazzo Belli. Le contrade basse di Ponte, d' Ognissanti, di San Pietro e tutto il quartiere attuale di Sant'Anna erano escluse dalla primitiva cerchia romana. E non sono già fantasie coteste: le carte del tempo parlano chiaro. Eccone una. « 1093. Voldarico, patriarca d' Aquileja ed Arri go figli di Marquardo Duca di Carintia, danno all' abazia di Bosazzo la chiesa di Sant' Andrea, fuori le mura di Capodistria con campi, vigne, o-1 i veti ed altre rendite e beni. La suddetta chiesa era situata vicino all'odierna chiesa di Sant'Anna.» Così don Angelo Marsich (Vedi "Centenari Istriani, nel numero 1 della Provincia anno corrente). D;tlla Porta Busardega poi fino al Belvedere credo che la cerchia romana, per la vicinanza del mare da una parte e del Campidoglio centrale dall' altra, di poco si sia scostata dall' attuale cerchia veneta. Dal Belvedere però di nuovo si hanno a cercare le reliquie del muro primitivo più in su. Eccone le traccie. Dal Belvedere girando dietro San Domenico passava dinanzi al palazzo Tacco ; qui sorgeva probabilmente altra porta, e la rapida discesa verso casa Toto n' è buona spia. Le viuzze strette che mettono all'ospedale e alla casa Manzoni c'indicano che qui continuava il muro romano, e che sempre tenendosi in alto, dalla casa Manzoni andava a raggiungere lo sbocco della Calegheria, accanto a casa Marsich donde abbiamo cominciato il giro. Passiamo ora alla seconda cerchia, alla bizantina. Penso che avendo Giustino dato il suo nome alla città, certo abbia fatto qualche cosa di più che rifarne le mura, ma che a lui si debba il merito di averla ampliata. Non da per tutto però; non a tramontana, perchè il documento che abbiamo citato è del 1093. Forse a Giustino rimane il merito di averla ampliata a mezzogiorno e a ponente. Dico forse, perchè mi mancano i documenti; se mai quelli del luogo, il Marsich ed il Tomasich specialmente ci potranno dire qualche cosa di più positivo. Più probabile è un maggior ampliamento ai tempi dei comuni ; ed ecco perchè ho chiamato la seconda — cerchia bizantina o del comune. Rimane finalmente T ultima veneta, e che è quale tuttora si vede, con 1' ampliamento tra Porta San Martino e il Belvedere per 1' erezione del forte Mosella dopo il 1348. Conchiudo con un augurio. Possa coi nuovi tempi cercare la vecchia città altra cinta verso le saline ed i colli per erigervi stabilimenti d'industria. Per ora, non ci è troppo a veder chiaro ; ma chi sa? col tempo tutto è possibile. E intanto accettino i Gapodistriani 1' augurio : augurio di finisecolo. P. T. —--—--- 3ST o ti zi e È morto improvvisamente in Parenzo il giorno 5 corr. il sig. Giovanni Sussa direttore della contabilità provinciale, in età ancor fresca, appena raggiunto il termine di 40 anni di servizio, per cui avrebbe goduto della pensione intiera. Si deve alla sua intelligente e indefessa attività 1' ordinamento perfetto degli uffici di contabilità provinciali ; nel 1881 assunse in aggiunta la carica di ragioniere dell' allora ereato istituto di credito fondiario. Pubblicò nel 1883 un Manuale pratico pel cassiere comunale, libro consultato con vantaggio dai funzionari cassieri nei nostri comuni, con evideute giovamento della pubblica amministrazione. Lasciò buona memoria della sua operosità, ad e— sempio dei colleghi. Gli furono tributati onori ai funerali da tutte le autorità provinciali governative e cittadine. Crediamo far cosa gradita ai lettori e doverosa, riportare dal Giornale Vinicolo Italiano alcuui cenni in commemorazione del chiarissimo professore Ottavio Ottavi, eli' era molto conosciuto anche nella nostra provincia. Il giorno 12 dello scorso gennajo l'improvviso decesso del chiarissimo Ottavio professore Ottavi costernò e gettò nel lutto l'iutiera cittadinanza di Casale Monferrato. Pur troppo l'inesorabile fato spegneva in sul fiore degli anni e dell' attività un' esistenza preziosa per l'agricoltura italiana. Uomo dotto, ma eminentemente pratico, che aveva studiato profondamente l'agricoltura non solo sui libri ma anche sulle pagine dei campi, Egli ebbe sempre in mente il concetto di uuire la scienza alla pratica e di propagare nel modo più semplice possibile le conquiste della scienza. Nel suo lavoro non era il pensiero di sè, del suo vantaggio materiale, che lo guidava ; un ben più nobile intento aveva innanzi a sè, quello di giovare alla patria agricoltura, quello di giovare agli altri. E così il nome suo si fece popolarissimo, i suoi giudizi divennero fra i più autorevoli, l'opera sua fu altamente benemerita. Nacque a Sandigliano di Biella nell'agosto 1849. Figlio di quel sommo agrouomo che fu 6. A. Ottavi, sotto la guida del padre apprese fin da giovanetto l'amore alle cose campestri, sotto la guida sicura del valente Maestro compì la sua educazione agronomica. Nel 1875 con brillanti esami conseguiva alla Scuola •Superiore di Agricoltura in Portici il diploma di professore di scienze agrarie. Surrogò temporariamente il padre suo nell' insegnamento all' istituto di Casale. Ivi nel medesimo anno fondava il giornale Vinicolo Italiano, che, mercè l'opera sua dottissima ed attivissima, riusciva in breve ad essere uuo dei più importanti e popolari giornali d'Italia per la viticoltura e per l'enologia, lu pari tempo era collaboratore e direttore, dopo la morte del padre, del Coltivatore, 1' antico, 1' autorevole giornale di agricoltura, fondato dal sommo G. A. Ottavi fino dal 1855. Nel 1878 prese parte vivissima alla fondazione del giornale il Bacologo Italiano e vi collaborò per più anni attivamente per modo da portarlo in alta rinomanza. Coprì cariche onorifiche. Fu membro del Consiglio Superiore d'agricoltura, presidente del comizio agrario Casale, delegato tìllosserico, giurato di varie esposizioni agrarie, relatore in varii congressi agrari, membro della Camera di commercio della provincia e consigliere nelle amministrazioni della sua città. Dovunque l'ingegno suo, la sua dottrina, e l'operosità sua lasciò traccie indimenticabili. Ma ciò clie eternerà la di lui memoria sono le sue erudite pubblicazioni. Tra" queste quelle, che rimarranno quali attestazioni imperiture della sua profonda coltura e del suo eletto ingegno, le principali sono : Il trattato siili'Enologia teorico-pratica; sulla Viticoltura teorico-pratica; sui Vini di lusso, vermut ed aceti aromatici; sullMcefo commestibile-, sulla Coltura siderale con sovescio e senza ; sul Prato ; sulla Fabbri-- nazione dei secondi vini e vini d'uva secca; sul Sistema ; economico Cavallo per V allevamento dei bachi da setu-, sul Gelsetto ed altre pregievoli monografie. Ed ora nou è più ! la morte Inesorabile lo colse a soli 43 anni, nella pienezza delle sue forze, del suo ingegno, della sua attività, quando l'agricoltura italiana attendeva molto ancora da lui. Sia pace alla sua beli' anima. E cosa già nota, ma che rileviamo con piacere, che in tutte le nostre città e borgate, in queste ultime settimane di carnevale furono organizzate feste a profitto della Lega Nazionale, da per tutto riuscite a meraviglia, ciò che fa sperare assai bene per le sorti della santa istituzione, che in ogni modo deve essere rafforzata. -t-------- G o se locali La domenica 5 corr. ebbe luogo l'adunanza ordinaria generale del gruppo della Lega Nazionale, e ne riportiamo la relazione fedele ed esauriente che ne ha pubblicato VIndipendente del 6 corr.: Nel pomeriggio di ieri avvenne nella sala municipale l'ordinario congresso di questo Gruppo della Lega Nazionale, e la straordinaria affluenza di soci ci addimostrò il vivo iuteressamento dei nostri concittadini per la istituzione che per noi supplisce ad un altissimo ideale. 11 presidente del#Gruppo aperse il congresso salutando i convenuti con appropriate parole e presentando all' adunanza il commissario governativo Luigi Luches. Svolgendo poi 1' ordine del giorno dette la parola al segretario sig. Elio Longo, il quale lesse una fiorita relazione sulla attività spiegata dalla Direzione nell' anno decorso, raccogliendo in chiusa uu caldo applauso. Se iu questa relazione ci confortò nou poco la notizia della apertura della scuola a S. Colombano, e degli ottimi risultati conseguiti mercè l'indifessa ed abilissima attività del maestro sig. Lorenzo Casinelli, ci sorprese dolorosamente la condizione finarziaria del nostro Gruppo, la quale se non può chiamarsi indecorosa, è lontana assai da quella meta che la Lega Nazionale ha diritto di pretendere dal nostro paese. La scuola di S. Colombano è frequentata, stiamo per dire, con entusiasmo da ben 200 tra ragazzi e fanciulle. Ed è tauta la voglia d'istruzione in quella contrada che si dovette istituire una scuola serale per adulti, che ornai frequeuta una ottantina di allievi, alcuni dell' età oltre 49 auni. Vogliamo sperare che la novella direzione, allevata da più gravi cure, si darà pensiero di accrescere i redditi annui del Gruppo nella certezza che oguuuo risponderà certamente e largamente al suo appello. Fu esposto quindi dal cassiere signor Leonardo Venuti il resoconto finanziario della gestione del quale abbiamo già parlato più sopra. Ed eccovi 1' esito delle elezioni della direzione del gruppo e dei delegati ai congressi generali. Furono eletti ; a presidente il signor Pietro de Madouizza, a vice direttore il sig. Nicolò de Belli, a segretario il sig. Elio Longo, a cassiere il sig. Leonardo Venuti. Sortirono eletti a delegati i signori: Almerigogna Autonio, Almerigptti Francesco, de Baseggio Bortolo, Bennati aw. Felice, Cobol Giorgio, Deriu dott. Stefano, Cambini ing. Pio, Gravisi marchese Giuseppe, Longo avv. Pietro, Sandriu avv. Autonio. Il presidente ringrazia a nome dei colleghi della fiducia loro dimostrata e promette continuare a spendere tutta 1' opera sna a beneficio della società. Avuta quindi la parola il sig. Giorgio Cobol, elogia la Direzione pel proficuo suo lavoro, raccomanda caldamente che si prendano i provvedimenti opportuni per 1' aumento dei cespiti di questo Gruppo, ed eccita i presenti a far del loro meglio perchè il veglione di domenica prossima allestito da apposito Comitato a beneficio della Lega riesca degno della città nostra e della nobile istituzione. Il solito ballo datosi domenica ultima del carnevale a profitto della Lega Nazionale riesci iu grazia di fortunate circostanze veramente splendido per lo straordinario concorso, 1' allegria e il desiderato gruzzolo incassato, quod erat in votis; oltre 600 fiorini ; e dobbiamo ringraziare prima di tutti, le belle e graziose signore e signorine che tanto vi contribuirono, e il prestantissimo comitato che ha organizzato la festa in modo perfetto. E siccome ogni fatica merita premio, ci troviamo in obbligo di riconoscere le veramente straordinarie fatiche di un pescatore Chioggiotto battezzato 'al Carmine,, il quale assistito dalla non meno infaticabile consorte, ha contribuito assai a dar fuoco all'allegria e ad incassare col sistema dell' incanto-pistola un centinajo di fiorini, che altrimenti sarebbero limasti a dormire nei taschini del rispettabile pubblico. Nè dobbiamo dimenticare quei tanti generosi che inviarono oggetti svariatissimi, e parecchi di valore, per un' estrazione a sorte improvvisata con felice pensiero dal benemerito comitato organizzatore della festa. Arrivederci al ballo oggi un anno, ma intanto non si dimentichi la Lega Nazionale! Anche uel nostro teatrino, venne commemorata la sera del 6 corr., la data della morte di Carlo Goldoni; illuminato a giorno, tutti i palchetti erano zeppi, e le nostre signore sfoggiarono i loro più belli ornamenti. Alzata la tela, gli attori in costume goldoniano si trovavano sulla scena intorno all'effigie del poeta incoronata di lauro, e fattosi innanzi Adolfo Drago lesse un forbitissimo discorso scritto da un nostro concittadino che desidera non essere nominato pubblicamente; e che riscosse i più calorosi e meritati applausi. Ci dispiace che la tirannia dello spazio non ci permetta di pubblicarne almeno qualche brano, ma chi desiderasse leggere il discorso potrebbe facilmente procurarselo presso il libraio B. Lonzar, dove si vende a beneficio della Lega Nazionale, fatto stampare dalla solerte direzione teatrale per gentile concessione dell'autore. Terminato il discorso e fatto omaggio al Poeta, la compagnia comica recitò Gli innamorati. La società Filarmonica contribuì alla più solenne riuscita della bella festa, suonando con la sua orchestra scelta musica negli intervalli, sotto la direzione del maestro Giorgieri. Giovedì grasso nella sala della Loggia gentilmente concessa, parecchie famiglie di artieri si raccolsero a ballare e cenare allegramente ; e generosi sempre, raccolsero tra loro e consegnarono alla direzione del gruppo locale della Lega Nazionale fiorini 58. Bravi, così va fatto, e così tutti in ogni occasione si ricordino della Lega Nazionale. Appunti bibliografici Archeografo triestino edito per cura della società del Gabinetto di Minerva. Volume XVIII. Fascicolo 1 1892. Trieste Caprili 1892. Di questa pubblicazione edita dalla benemerita Società di Minerva ho tardato a dare la recensione, che avrei voluto pronta, come si merita per le materie trattate, e pei nomi dei chiarissimi autori; ma ci fui da altri lavori impedito. Supplisca alla involontaria tardanza la diligenza presente.1 In capo al volume stanno, in continuazione,, i documenti goriziani del secolo XV raccolti dal Dr. Vincenzo loppi: in tutto sedici, e vanno dal 1400 al 1412. Accennano alle lotte dei nobili della Patria col Patriarca Marchese, alle ingerenze dei Conti di Gorizia quali Avvocati della chiesa aquilejese, e ai tentativi dei Veneti per impadronirsi un po' alla volta del Friuli, a spese del Patriarca. E non è, senza un senso di mestizia che si avverte oggi come a Pordenone, a Spilimbergo, e in altri luoghi nominati in questi documenti, anche-persone di una certa cultura ignorino tutto ciò, e abbiano Gorizia ed Aquileja in conto di città e paesi situati in Oga Magoga, coi quali ebbero pure tante storiche relazioni. Importantissimo è il documento 13 — Il comune di Aquileja promette obbedienza ai Conti di Gorizia fino al ritorno-delia pace in Friuli coti un unico Patriarca. Per comprenderne l'importanza rammenti il lettore che allora si era ai tempi del famoso scisma occidentale, per cui due Papi Gregorio XII e Benedetto XIII (più tardi tre) si contendevano il diritto di sedere sulla cattedra di San Pietro, e tutta la cristianità era divisa non sapendo più a qual Papa obbedire. Il contraccolpo di tale scisma si sentì anche nella chiesa aquilejese ed ecco come. Il capitolo aquilejese avea, come di suo diritto, nominato a Patriarca Antonio Pancera da Portogruaro,. accetto ai Veneziani. Cividale però guastatosi col Pancera, ricorse a Gregorio XII, che lo depose, e nominò in sua vece il vescovo di Concordia Antonio da Ponte. Il parlamento della Patria rimase fedele al Pancera, e ricorse al consiglio di Pisa che annullò la deposizione del legittimo Patriarca. Quindi liti e guerre interminabili nel Friuli e nell'Istria fra i partigiani dei due prelati; e la lite finì coti la deposizione di entrambi 1411 e la nomina di Lodovico de Tech che fu l'ultimo patriarca marchese. Alle corte, in tutto e per tutto una riproduzione in piccolo del grande scisma romano; e come se non bastasse la confusione per l'incertezza del potere centrale, i cattolici friulani ed istriani, oltre a non sapere a qual Papa obbedire, erano obbligati a starsene infra due se prestare obbedienza ad uno o all' altro patriarca". E siccome, secondo il noto proverbio, tra due contendenti c' è sempre un terzo che gode; così nel caso attuale, di questi litigi, come si ha dal documento, approfittò il conte di Gorizia per consolidare la sua potenza nel Friuli. Anzi, oltre al terzo gaudente ci fu un quarto, cioè il governo veneto, che ne pigliò subito occasione, per collocare presidio veneziano nel comune di La-tisana, qualmente si ha dal documento XVI. Gran maestra di vita la storia! Anche allora si sarà gridato, se non contro la massoneria, contro la prepotenza del Conte di Gorizia e dei Veneziani •che tolsero al patriarca il potere temporale; pure col tempo tutte le cose tornarono al posto, e la provvidenza divina salvò la società e la chiesa, e Je porte dell' inferno un'altra volta rimasero vinte. Perchè chi ha fior d'ingegno comprende subito che il famoso passo — Portae inferi non praevalehunt vuol essere interpretato nel senso, che l'assistenza superiore non mancherà mai alla società cristiana, e che, più che dagli errori degli inferiori, tocca alla mente divina guardare la società dagli errori stessi dei capi. Salvo perciò sempre pei credenti il principio dell'infallibilità del capo, parlante dalla cattedra, la storia, anziché sanzionare 1' attuale papo-latria gesuitica, ci dimostra a chiare note un'ammirabile intervento della sapienza divina nel rime «diare agli errori dell' uomo. È su per giù 1' argomento di quell' ebreo il quale, secondo il Boccaccio, .si convertì alla fede in vista degli scandali di Roma. E credo vi alludesse anche Pio IX quando in un momento di buon umore, a chi lo eccitava a tener saldo, e a non aver paura dell'esercito italiano av-ric'iiiautesi alle mura di Roma ripetendo il — Portae inferi non praevalébunt, — rispose : La barca sarà salva, ne sono certo; ma la ciurma? Sta a vedere