Paesaggio culturale e ambiente del Carso Aleksander Panjek paesaggio culturale e ambiente del carso Aleksander Panjek Paesaggio culturale e ambiente del Carso L’uso del e risorse naturali in età moderna ko p e r 2 0 1 5 Znanstvena monografija ■ Monografie scientifica Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso del e risorse naturali in età moderna Aleksander Panjek Recenzenta ■ Recensioni ■ dr. Aleksej Kalc e dr. Moreno Vertovec Prevod ■ Traduzioni ■ dr. Aleksander Panjek, Daniele Milotti Oblikovanje, prelom in priprava za izdajo ■ Impaginazionie e editing ■ dr. Jonatan Vinkler Izdala in založila ■ Editrice ■ Založba Univerze na Primorskem, Titov trg 4, si-6000 Koper, Koper/Capodistria 2015 Glavni urednik ■ Editore responsebile ■ dr. Jonatan Vinkler Vodja založbe ■ Direttore del a casa editrice ■ Alen Ježovnik © 2015 Založba Univerze na Primorskem isbn 978-961-6963-70-1 (www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-70-1.pdf) isbn 978-961-6963-71-8 (www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-71-8/index.html) isbn 978-961-6963-72-5 (tiskana izdaja; tiskana izdaja ni namenjena prodaji) Vodilni partner ■ Lead Partner ■ Univerza na Primorskem – Università del Litorale Ostali partnerji ■ Partner del progetto ■ Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropo-logici del Friuli Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Javni zavod Park Škocjanske jame, Slovenija, Javni zavod Republike Slovenije za varstvo kulturne dediščine Slovenije, Comune di Duino Au- risina – Občina Devin Nabrežina Publikacija je sofinancirana v okviru projekta Living Landscape / Živa krajina Krasa: raziskovalni in izobraževalni projekt na področju prepoznavanja in valorizacije čezmejne dediščine in okolja Programa čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007–2013 iz sredstev Evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. ■ Pubblicazione finanziata nel ’ambito del Progetto Living Landscape /Il Paesaggio vivo del Carso: un progetto di ricerca e formazione per riconosceree valorizzare il patrimonio culturale e l’ambiente transfrontaliero/del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia2007–2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali.Il contenuto della presente pubblicazione non rispecchia necessariamente le posizioniufficiali del ’Unione europea. Vsebina publikacije ne odraža nujno uradnega stališča Evropske unije. Za vsebino publikacije je odgovoren izključno avtor Aleksander Panjek. ■ La responsabilita del contenuto del a presente pubblicazioneappartiene al ’autore Aleksander Panjek. CIP - Kataložni zapis o publikaciji Narodna in univerzitetna knjižnica, Ljubljana 911.53(497.472+450.361)(0.034.2) PANJEK, Aleksander Paesaggio culturale e ambiente del Carso [Elektronski vir] : l'uso del e risorse naturali in età moderna : znanstvena monografija = monografie scientifica / Aleksander Panjek ; prevod Aleksander Panjek, Daniele Milotti. - El. knjiga. - Koper : Založba Univerze na Primorskem, 2015 Način dostopa (URL): www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-70-1.pdf Način dostopa (URL): www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-71-8/index.html ISBN 978-961-6963-70-1 (pdf) ISBN 978-961-6963-71-8 (html) 280358400 Indice Indice del e figure, del e mappe e del e tabel e 9 Introduzione 15 il paesaggio culturale 19 Immagini 21 Elementi 39 Mutamenti 61 uomo e ambiente 77 Senza bosco: la savana in Carso 79 Aleksander Panjek e Hrvoje Ratkajec Senz’acqua: il treno a vapore in Carso 113 mappe 123 Fonti e bibliografia 143 Indice dei nomi e dei luoghi 155 7 Indice delle figure, delle mappe e delle tabelle figure Figura 1. Viandanti nel Carso spoglio con la bora 24 Figura 2. Abitanti del Carso spoglio 26 Figura 3. Il Carso come terrificante montagna rocciosa: Školj e Gabrk 30 Figura 4. Il Carso come terrificante montagna rocciosa: Škocjan 31 Figura 5. Il deserto del Carso nella bora: come onde di un mare pietrificato 33 Figura 6. La coesistenza di due tipi di coltivazione della vite presso il castel o Roženk a Podnanos: in coltura promiscua maritata al 'albero nel piano davanti al castello e a vigneto su palo secco sul pendio sul o sfondo 41 Figura 7a e 7b. Il ripido ciglione carsico e i terrazzamenti sopra il mare Adriatico 43 Figura 8. Prato alberato presso Basovizza 45 Figura 9. Raccolta del 'acqua in Carso: una cisterna 46 Figura 10. Raccolta del 'acqua in Carso: uno stagno, Basovizza 47 Figura 11. Il paesaggio cultural e del Carso intessuto di muri a secco 50 Figura 12. Una casetta in Carso 54 Figura 13. I muri del e case delimitano la via 54 Figura 14. Un tetto ricoperto di lastre di pietra, Šmarje pri Sežani 56 Figura 15. Campagna fortificata: il tabor di Monrupino/Repentabor 56 Figura 16. Un vigneto a pergola 70 Figura 17. La landa carsica colonizzata dal pino nero 71 Figura 18. Una cisterna del villaggio cinta da muro 71 Figura 19. I muri a secco segnano le differenti funzioni e destinazioni d'uso del o spazio 74 indice delle figure, delle mappe e delle tabelle 9 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 20. Un muro a secco alto, con erba, cespugli e alberi 74 Figura 21abc. Landa carsica, stagno e alberi radi (»bosco chiaro« presso il vallaggio) 83 Figura 22. Nuda roccia e cespugli sulla superficie del Carso 85 Figura 23. Il lago intermittente di Doberdò, colmo d’acqua 89 Figura 24. Un muro a secco presso una superficie erbosa con alberi 89 Figura 25. Infiniti filari di pino nero durante l’imboschimento, Basovizza 1906–1910 107 Figura 26. L’uomo e l’acqua in Carso: la raccolta del ’acqua piovana da un tetto in pietra 116 Figura 27. L’area della costa di Aurisina sulla riva adriatica (Brojenca, Filtri) dove fu costruito l’acquedotto, su una carta del 1875 118 mappe Mappa 1. Schema della boscosità del Carso tra il mare Adriatico e Senožeče in un disegno del 1823 13 Mappa 2. Doberdò e il lago intermittente con gli abitati vicini, le strade e gli elementi del paesaggio culturale e naturale; veduta da Gorizia fino al 'orizzonte marino tra Duino, s. Giovanni e la rocca di Monfalcone (XVI secolo) 124 Mappa 3. Raffigurazione della costa carsica con il vicino retroterra tra S. Giovanni e Trieste con i villaggi, le chiese, le strade e le località sulla costa (XVI–XVI ) 125 Mappa 4. Il ciglione carsico sulla costa adriatica tra Sistiana e Opicina con i villaggi, il mare e alcuni toponimi, visto dal ’entroterra (XVI–XVI ) 126 Mappa 5 (dettaglio). Il ciglione carsico sulla costa adriatica tra Sistiana e Prosecco (XVI–XVII) 127 Mappa 6. S. Giovanni di Duino e le fonti del Timavo con i monti del Carso sul o sfondo, raffigurazione del confine tra la Repubblica di Venezia e l’Austria (sul ponte), luogo di un incidente frontaliero in cui furono confiscate due barche; disegno basato su altro analogo del 1651 128 Mappa 7. Disegno raffigurante il confine tra signorie e comunità nel ’area compresa tra Merče e Sesana, copia del 1742 dal ’originale del 1627 129 Mappa 8. Scenario di conflitti frontalieri tra comunità lungo il confine veneto-austriaco nel ’Istria interna (Antignana – S. Lorenzo), copia del 1713 dal ’originale del 1596 130 Mappa 9 (dettaglio). Elementi del paesaggio carsico in Istria: una dolina lavorata rotonda e uno stagno parimenti rotondo 131 Mappa 10. Raffigurazione del sistema di coltura dei boschi di quercia e dei diversi sistemi di potatura per gli usi della marina veneziana – un esempio dal ’Istria 132 Mappa 11. Area di confine tra signorie e comunità: un conflitto sul e terre comuni con segnate le doline lavorate distrutte dai membri della comunità di Tomaj a danno del e comunità vicine con l’elenco nominativo dei danneggiati (1771) 133 10 indice delle figure, delle mappe e delle tabelle Mappa 12. Bosco cintato a Lipizza 134 Mappa 13. Il castel o di Reifenberg con il Carso sul o sfondo, G. Capellaris, 1752 135 Mappa 14. Raffigurazione di S. Daniele del Carso, G. Capellaris, 1752 136 Mappa 15. L’area carsica tra Duino, S. Giovanni il Val one e Doberdò (con segnato il »confine carniolino«) 137 Mappa 16. La costa carsica da Duino a Sistiana e verso Trieste con due cave di pietra (per gli usi del porto di Trieste) e l’indicazione dei loro proprietari 138 Mappa 17. La costa carsica presso Duino con le fonti e la foce del Timavo 139 Mappa 18. Terreni arativi presso il villaggio, doline lavorate in mezzo al e superfici prative e boschive: Avber sulla carta del catasto franceschino (1880 circa sulla base di altra del 1820 circa) 140 Mappa 19. Terreni arativi presso il villaggio e doline lavorate a maggior distanza dal ’abitato: Dutovlje sulla carta del catasto franceschino (1880 circa sulla base di altra del 1820 circa) 141 Mappa 20. Terreni arativi presso il villaggio e doline lavorate a maggior distanza nel mezzo dei prati e pascoli alberati: Grahovo Brdo presso Štorje sulla carta del catasto franceschino (1880 circa sulla base di altra del 1820 circa) 142 tabelle Tabella 1: Numero dei capi di bestiame in Carso (1827/1830) 94 Tabella 2: Le superfici agricole nude in Carso nel 1830 98 Tabella 3: Superfici agricole alberate in Carso nel 1830 98 Tabella 4: Aumento della popolazione nei villaggi sul ciglione carsico sopra Trieste in cinquant’anni a caval o tra Settecento e Ottocento 108 Tabella 5: Prospetto degli incendi boschivi nel territorio di Trieste nel periodo 1882–1913 111 11 Mappa 1. Schema della boscosità del Carso tra il mare Adriatico e Senožeče in un disegno del 1823 (AST, Piani, 555). Introduzione La parola carso è di antichissima origine, significava »pietra« ed è stata accolta an- che dal a popolazione slovena, per la quale nel linguaggio popolare il termine »kras« (carso) da lungo tempo indica un’area scogliosa, un territorio la cui superficie è rico- perta da pietra calcarea (Kranjc, 1994). A causa di questa sua spiccata caratteristica am- bientale, la denominazione »In Carso« è venuta a indicare un’area piuttosto ben defini- ta, come testimoniato almeno già da Valvasor (1689): »La regione del Carso ( Karstner Boden, Nakrasso), con cui si comprende l’intero Carso, cioè da Laže e Senožeče fino al mare Adriatico. Questa regione è completamente e oltremodo sassosa«. Il Carso deve quindi il proprio nome ‘regionale’ alle caratteristiche del suolo, alla qualità della sua su- perficie sassosa. Sebbene il carso esista e sia noto in tutto il mondo, soltanto una regio- ne al mondo porta questo nome con la maiuscola. Questo è il ‘nostro’ Carso, quel o di cui tratta il presente lavoro. Il concetto di carso per il resto denomina tutti i fenomeni, gli ambienti e i paesaggi carsici al mondo, che hanno caratteri comuni. Nel ’Ottocento esso divenne un concet- to anche scientifico, favorito dal e ricerche e scoperte nel suo sottosuolo. Le grotte del Carso avevano però attratto l’attenzione di viaggiatori, visitatori e dei primi ricercatori già in precedenza, fin dal ’inizio del ’età moderna (Shaw, 2000). È quindi possibile ritene- re le grotte carsiche la cul a del turismo speleologico nel mondo. Sia in campo scientifico sia in ambito turistico nel ’Otto e Novecento ha predominato l’interesse per i fenome- ni carsici sotterranei, mentre la sua superficie è stata oggetto di minore apprezzamen- to e considerazione. Tuttavia il Carso costituisce uno straordinario esempio del rapporto tra uomo e ambiente e del ’adattamento antropico di un ambiente naturale peculiare, per cui ha an- che un valore culturale eccezionale. Al fine di comprendere il paesaggio culturale del Car- so e la storia del suo ambiente, è necessario sapere come e perché sia stato trasforma- to dal ’uomo nel corso dei secoli, quali siano le tracce materiali di questo tenace lavoro, quale fosse la funzione dei suoi singoli elementi e quale il significato dato loro dagli abi- tanti del Carso. Questo libro è suddiviso in due parti, nel a prima l’attenzione è rivolta al a storia del paesaggio culturale del Carso, mentre la seconda tratta del rapporto tra uomo e am- introduzione 15 paesaggio culturale e ambiente del carso biente. L’arco temporale preso in esame va dal a fine del medioevo agli inizi del ’epoca in- dustriale. In entrambe le parti si pone al centro del ’attenzione la relazione tra l’uomo e l’ambiente, prima attraverso il ruolo del e attività agricole nel a formazione del paesaggio, in seguito ponendo la questione del a sostenibilità degli usi del e risorse naturali da parte della popolazione contadina in età preindustriale. Nel a prima parte il nostro approccio si fonda sul o studio del paesaggio come ri- sultato di fattori economici e sociali, intendendolo sia come oggetto di studio sia come una fonte per comprendere i processi storici che l’hanno plasmato (Bloch, 1977; Verhulst, 1995). Il paesaggio culturale è qui compreso come il risultato del plurisecolare lavoro umano, l’impronta lasciata dal ’attività agricola sul o spazio rurale attraverso secoli di adeguamento del ’ambiente naturale agli usi agricoli. Si osservano tanto i singoli elemen- ti paesaggistici quanto i caratteri più generali del paesaggio. Per questa ragione il nostro paesaggio culturale da un lato comprende i tratti formali del e superfici agricole, quali la forma, l’estensione e la distribuzione di campi e prati nel o spazio (Ilešič, 1950), ma an- che dei pascoli e dei boschi (Melik, 1950; Bianco, 1994). Si tiene conto anche del a diffu- sione del e singole colture (tipi di cereali, viti e alberi), dei tipi di coltivazione e del a loro organizzazione nell’ambito dello spazio agricolo (Moritsch, 1969). D’altra parte il nostro paesaggio culturale del Carso è costituito dal e opere e dagli interventi con cui l’uomo ha gestito e organizzato il territorio in modo da consentire e tutelare la propria attività agricola, quali le forme e i modi di sistemazione del suolo, dal e »doline lavorate« ai ter- razzamenti e i muri a secco (Sereni, 1961; Moritsch, 1969; Radinja, 1987; Gams, 1991b). Si terrà conto anche del a tipologia degli abitati, mentre non ci soffermeremo specificamen- te sul ’architettura carsica, l’edilizia, le tecniche e tipologie costruttive, né sugli elemen- ti del ’architettura rurale, sebbene indubbiamente facciano parte del paesaggio e con ciò del patrimonio culturale del Carso (Fister, 1999, 251–260). Non da ultimo rivolgeremo l’attenzione al a percezione del paesaggio e del ’ambiente nel passato (Quaini, 1994, 5–12; Kučan, 1998; Mathieu, Boscani Leoni, 2005) e a come sia andata trasformandosi nel tem- po. In tal modo è possibile osservare le dinamiche nel rapporto tra uomo e ambiente, quindi tra natura e società, dai caratteri paesaggistici materiali e dal e loro trasformazio- ni fino al a percezione individuale e col ettiva del paesaggio. Al centro c’è sempre l’uomo, perché in sua assenza non sussisterebbe il paesaggio culturale, che è fenomeno antropi- co e concetto culturale al contempo. Questa parte è già stata pubblicata (Panjek, 2006) ed è stata qui rivista e corretta. Nel a seconda parte ci si concentra invece sul e questioni poste dal a storia del ’am- biente, cui si cercano risposte sul caso del Carso. La questione del ’accessibilità del e ri- sorse naturali costituisce un tema di crescente attualità nel mondo contemporaneo, con- nesso da un lato al a maggiore attenzione rivolta al a sostenibilità ambientale del e forme di sfruttamento e, dal ’altra, al a dimensione sociale ed etica del e forme di gestione e dei diritti di accesso al e risorse naturali, e quindi al a loro sostenibilità sociale. Come in al- tre scienze umane e sociali, anche in ambito storiografico il tema del rapporto tra uomo e ambiente è ormai entrato a far parte integrante del a ricerca contemporanea nel ’am- bito del a storia del ’ambiente, un campo che sta acquisendo importanza e attualità (Al- fani, Di Tul io, Mocarel i, 2012; Štih, Zwitter, 2014). L’area mediterranea, con la sua lunga storia nel e relazioni tra uomo e ambiente, e nel suo quadro il Carso in particolare rap- presenta un osservatorio ideale per affrontare tali questioni, trattandosi di un ambien- 16 introduzione te particolarmente fragile e sensibile, che al contempo costituisce l’archetipo di tutte le aree carsiche al mondo (Grove, Rackham, 2001). Nel a storia, l’ambiente carsico ha po- sto al ’uomo e al e sue attività problemi e sfide specifiche, da cui hanno preso forma pe- culiari rapporti reciproci. In questa parte si affronta l’annosa questione riguardante la storia dei boschi del Carso, che corrisponde in sostanza al a storia del suo denudamento. Qui ci chiederemo se il Carso spoglio e sassoso, come c’è noto dal ’età moderna e soprattutto dal ’Otto- cento, fosse il risultato di uno sfruttamento insostenibile del e risorse naturali, per esem- pio attraverso la deforestazione e l’eccessivo pascolo, o se è invece comunque possibile scorgere una razionalità nel e forme d’uso del e risorse da parte del a popolazione conta- dina locale. A ciò si lega naturalmente la domanda sul a misura in cui il Carso fosse stato ricoperto di boschi in un passato più lontano. Queste questioni specifiche che riguarda- no il Carso, costituiscono un’espressione particolare dei più ampi problemi della ricerca scientifica attuale. Tra di essi vi è la discussione sul e forme d’uso col ettivo del e risorse naturali (per esempio il bosco, i pascoli, l’acqua) e in particolare sul fatto se le comuni- tà rurali europee che le mettevano in atto fossero in grado di farlo in modo sostenibile, se tali usi fossero quindi sostenibili per l’ambiente naturale o invece indiscriminati e deva- stanti; se le comunità e le società rurali avessero conoscenze sul ’ambiente locale adegua- te a una gestione sostenibile del e sue risorse (Scott, 1998); se sia affatto possibile consi- derare i boschi europei e in particolare mediterranei come fenomeni naturali (Moreno, 1990). La questione del ’efficacia ecologica del e forme d’uso col ettivo del e risorse na- turali in confronto con quel e individuali e private può essere posta anche in merito al e acque; questo passaggio si rese particolarmente evidente nel periodo del ’industrializza- zione, che perciò costituisce un buon osservatorio sul tema (Barca, 2010). Essendo l’ac- qua, nel caso del Carso, una risorsa naturale particolarmente scarsa e preziosa, alla fine ci porremo brevemente anche questa domanda. Attraverso l’intero libro è trattato tutto il Carso, prescindendo dal ’attuale delimi- tazione politica tra due stati, la Slovenia e l’Italia. Del resto un’eventuale scelta di limitar- si a osservare una sola delle due parti sarebbe difficile da argomentare scientificamente, dato che nel corso dei secoli il paesaggio culturale e l’ambiente del Carso si sono forma- ti come territorio unitario, soggetto ai medesimi influssi e processi, sebbene singole aree possano averne risentito con maggiore o minore intensità. Tuttavia, il confine statale in- dubbiamente non rientra tra i fattori che hanno contribuito al a formazione del paesag- gio e del ’ambiente del Carso, per lo meno non tra la fine del medioevo e il Novecento. Nel corso del a prima guerra mondiale i combattimenti sul fronte del Carso provo- carono ingenti danni al patrimonio ambientale e architettonico, in particolare tra Opa- tje selo, Kostanjevica, Doberdò (Doberdob) e Duino (Devin) (Nice, 1940, 34, 58). Oltre alle distruzioni dovute ai bombardamenti dei villaggi e del territorio, durante la prolun- gata permanenza sul e linee del fronte e nel e retrovie i militari utilizzarono le pietre dei muretti a secco per costruzioni di strade e fortificazioni (Gams, Lovrenčak, Ingolič, 1971, 229). Dopo la prima guerra mondiale, il Novecento portò grossi cambiamenti in Carso. Alcuni di questi sviluppi corrispondevano a processi diffusi in tutta Europa, quali l’abban- dono del ’agricoltura, l’inurbamento e il miglioramento del e condizioni materiali e tec- nologiche, mentre altri erano più specifici, dovuti soprattutto al a particolare situazione ambientale e del ’agricoltura, consistendo in opere di sistemazione dei terreni e nel ’im- 17 paesaggio culturale e ambiente del carso boschimento. Un’eccezione al quadro generale, caratterizzato dal ’arretramento del ’at- tività agricola, è costituito dal a viticoltura, che è andata rafforzandosi nel corso del No- vecento, ma nel a forma del a coltura specializzata (a vigneto).1 Oltre all’espansione dell’ambiente urbanizzato e all’allontanamento dalle forme ar- chitettoniche tradizionali, l’attuale degrado del paesaggio culturale del Carso si evidenzia nel disfacimento di molte opere di sistemazione del suolo agricolo, quali i terrazzamen- ti e il reticolo dei muri in pietra a secco, nonché dal a riconquista del suolo e del e strut- ture agricole, quali i pascoli (landa carsica), i prati e le doline lavorate, da parte del a ve- getazione e innanzitutto dalle piante pioniere, che contribuiscono alla cancellazione dei segni del paesaggio e del ’ambiente come si sono formati fino al ’Ottocento. Questo pro- cesso porta al a cancel azione degli elementi che per lungo tempo hanno dato al Carso un’immagine specifica, contribuendo anche in misura rilevante alla sua denominazione, e quindi di un insieme di elementi dal significato e valore culturale. Tuttavia, nonostante il progressivo ma evidente degrado, i tratti fondamentali del paesaggio del Carso si sono conservati meglio che altrove in Europa. Il paesaggio culturale del Carso può a prima vista apparire elementare e primor- diale, mentre in realtà, proprio in conseguenza del e difficili condizioni che l’ambiente qui pone al ’uomo, esso è ricco di elementi diversi, risultato di una stratificazione di interven- ti, di secoli di un’impegnativa e incessante opera di trasformazione da parte del ’uomo, che vi ha impresso i segni del proprio lavoro dando forma a un paesaggio specifico e di- stintivo. Possiamo dire che in Carso non esista un palmo di superficie, né coltivata né bo- scata, che l’uomo non abbia più o meno trasformato e sistemato almeno una volta nel passato, imprimendovi così un’elevata densità di contenuti culturali, materiali e immate- riali. Per questa ragione e anche perché il paesaggio in genere può essere considerato come bene culturale, è possibile definire il paesaggio culturale del Carso nel suo insieme come patrimonio culturale. 1 Per i diversi aspetti qui menzionati si vedano Valussi, 1957, 7; Ilešič, 1980, 170; Natek, 1985, 189; Belec, 1985, 205–210; Radinja, 1987b, 131–134; Gams, 1987, 168–169; Klemenčič, 2002, 7–21; Panjek, 2003, 47– 55. 18 Il paesaggio culturale Immagini Le descrizioni e le raffigurazioni del passato possono essere una fonte importante per la storia del paesaggio, essendo possibile trarne molte informazioni utili o conferme, sia sui suoi caratteri di lungo periodo sia riguardo al ’epoca in cui sono avvenuti mu- tamenti più o meno noti.1 Al contempo queste fonti ci parlano della percezione culturale, di come i contemporanei vivevano e interpretavano l’ambiente e la realtà sociale ed eco- nomica. Buoni conoscitori del Carso, ma anche osservatori di passaggio ci hanno lasciato testimonianze relativamente numerose. Faremo uso di diversi tipi di materiale: descrizio- ni tecniche, relazioni di carattere amministrativo ed ecclesiastico, annotazioni di viag- gio, testi letterari e rappresentazioni grafiche, in particolare stampe, disegni e fotografie. Nel 1606, in una missiva al ’arciduca Ferdinando il nobile Filippo di Kobenzl descri- veva in modo pittoresco che S. Daniele del Carso (Štanjel) è un luogo scabro, selvaggio e sassoso, privo di qualsiasi elemento naturale al ’infuori del a bora sferzante, nel quale non c’è una pertica di terra né in lunghezza né in larghez- za su cui posare l’aratro per ottenere un pugno di grano. Non vi sono più di due abi- tanti che possano vivere quattro o cinque mesi di quanto ottengono dal a coltivazio- ne, mentre tutti gli altri, come i poveri sottani e giornalieri, e anche di questi molto pochi, riescono a tirare avanti 14 giorni con il proprio grano, il resto devono procu- rarselo altrove. Tra tutti gli abitanti e sudditi c’è un solo maso intero. Gli orti, dai quali la comunità e la signoria di Reifenberg ricavano i censi, consistono soltanto di nuda roccia ed è necessario portarvi con grossi sforzi la terra da altrove, e la pove- ra gente li coltiva con verdure, ma a causa del clima asciutto e secco ma soprattut- to del forte vento raramente ne ricava qualche beneficio (Panjek, 2002, 68). Molto lavoro e molta fatica, poca terra e tanti sassi, troppa bora e troppo poca ac- qua: l’immagine è viva ma le condizioni ambientali e di vita sono dipinte a tinte fosche, in cui incontriamo alcuni elementi ed espressioni che vedremo ripetersi anche nei secoli successivi nel e descrizioni e nel a percezione del Carso. Nel manoscritto dal titolo Notizie patrie inedite tratte da documenti autentici cronolo- gicamente ordinate, curato dal conte di Tolmino (Tolmin) Giuseppe Floreano Formentini, 1 Un esempio del 'utilizzo di una fonte letterararia per la storia economica e sociale in King, 1994, 66–101. immagini 21 paesaggio culturale e ambiente del carso un documento del 1551 riporta al egata una carta topografica di Doberdò, dell’omonimo lago e dei suoi dintorni, che costituisce forse la raffigurazione più antica del paesaggio cul- turale e naturale del Carso, sebbene la datazione non sia accertata. Il punto di osserva- zione è posto al ’estremità nord-occidentale del Carso, in cima al Monte S. Michele, e la veduta va da Gorizia, S. Martino (Martinščina) e Gradiscutta fino a S. Giovanni (Štivan), Duino e la rocca di Monfalcone veneta. Vi spiccano gli elementi del paesaggio sia cultura- le sia naturale: sono evidenti i resti del castel iere, i castel i e le fortificazioni, chiese for- tificate di campagna, il vil aggio accentrato di Doberdò e l’insediamento sparso nel Val- lone. Sul lago l’ignoto autore segnala tanto aspetti culturali, come i prati goduti dai masi del vil aggio, quanto fenomeni carsici naturali, quali i sifoni sul fondo del lago intermitten- te (Mappa 2). Verso la fine del Seicento, nel a sua monumentale opera sul ducato di Carniola ( Die Ehre des Herzogtums Krain), Johann Weichard Valvasor dedicò diverse pagine al territorio e al sottosuolo carsico e ai fenomeni che sarebbero in seguito divenuti elementi costituti- vi del o studio geomorfologico e paesaggistico del carso (Valvasor, 1689). Proprio queste ricerche valsero a Valvasor l’associazione al a prestigiosa Royal Society di Londra (Gams, 2003, 13–16). Come nel e altre aree regioni del a Carniola, anche riguardo al Carso Val- vasor intreccia, nel e descrizioni topografiche, conoscenze scientifiche a considerazioni fantastiche. Qui ci atteniamo al a sua descrizione topografica del a superficie del Carso. Il castel o di Senožeče »sta su un monte abbastanza alto, nudo e sassoso«, quello di S. Servolo (Socerb) è »costruito su un alto monte roccioso, sopra un bel ’altipiano con eccel enti pascoli e un panorama incomparabilmente bel o sia verso l’interno sia sul mare, […] v’è anche un bel maneggio per cavalcare, scavato e spianato nel a nuda roccia«. Nel territorio del a signoria di Duino la produzione di vino è »eccel ente, e specialmente a Prosecco […] dove si fa il celeberrimo vino Prosecco o Reinfall [ribolla]«; »oltre agli otti- mi vitigni crescono in questa contrada anche molti olivi, […] si al evano inoltre nel a signo- ria i più pregiati caval i del a razza carsica. Il suolo è altresì di sola pietra e rocce in tutta questa zona«. A S. Giovanni, presso le foci del Timavo, »cresce una quantità straordinaria d’alberi da frutta, viti e olivi del e migliori diverse qualità« (Valvasor, Parovel, Tasso, 1995, 122–154). Qui siamo già al e soglie del Mediterraneo. Valvasor loda generosamente i vini del Carso e del a val e del Vipacco (Vipava), menzionandone anche alcune qualità, tra cui il terrano, ma di particolare bontà risultano il vino di Prosecco (Prosek) e di Črni Kal (Val- vasor, 1689, II, LXIV). Nel e sue descrizioni Valvasor già utilizza elementi e anche topos narrativi, come le onde di un mare di pietra, che si perpetueranno nei secoli successivi. La regione del Carso (Karstner Boden, Nakrasso), con cui s’intende l’intero Carso, cioè da Lože e Senožeče fino al mare Adriatico. Questa regione è completamente e soverchiamente sassosa. Vi sono anche numerosi col i, monticel i e asperità, come vi sono le onde nel mare in tempesta, sicché sotto nessun aspetto essa è più unifor- me che nel a propria varietà e niente le è più piano del ’increspatura. In alcuni luo- ghi è pur possibile vedere alcune miglia d’intorno, ma tutto è grigio e vi è ben poco verde, perché dappertutto è ricoperta di pietre. Tuttavia in alcuni luoghi ciò nono- stante cresce, tra le pietre, la più bel a e nobile erba, che serve al bestiame al pa- scolo. Gli abitanti, infatti, qua e là al evano un gran numero di bestiame. Così vi si al evano i migliori caval i, detti carsolini, che si vendono in tutta Europa. Per questa 22 immagini ragione la stessa Maestà Imperiale Romana ha in Carso la sua scuderia, a Lipizza. [Lipica ...] In alcune zone agli abitanti soffrono un’acuta mancanza d’acqua limpida. D’altra parte in diversi luoghi vi sono determinati stagni o laghetti, che si formano con la raccolta del a pioggia. Quando l’acqua piovana così accumulata d’estate lungamen- te ristagna, quest’acqua torbida diventa di un rosso sangue. Nel caso in cui invece non piova per lungo tempo, un contadino del vil aggio al quale appartiene la poz- zanghera, sta tutto il tempo di guardia, la sorveglia ed evita che da altri paesi ven- gano a prendere loro l’acqua. In alcuni luoghi non hanno proprio niente legname e al contempo pochissima terra coltivata e campi. Tuttavia tale mancanza di legna e acqua limpida è addolcita e sostituita dal vino. Esso è del a migliore qualità, tanto il rosso quanto il bianco e di tutte le varietà, e per questa ragione va in paesi lontani. Questa potrebbe essere la ragione del fatto che in questa regione, nonostante la generale sterilità, i vil aggi bel i e grandi sono così numerosi. Qui non cade molta neve, ma d’inverno a volte imperversa un vento incredibilmen- te forte, che ribalta il caval o e l’uomo, come raffigura la stampa al egata. Per que- sto sul a strada spesso si ritrovano persone morte, soprattutto sul a strada regiona- le [Landstrasse] tra Trieste e Senožeče, cioè nel a zona detta Sul monte Gabrk [Na Gabrku]. Perciò molte volte i viandanti devono fare ritorno, quando s’alza il vento. Questo vento è detto Bora e proviene circa da oriente. Quando inizia a soffiare sul serio, e diremmo che riempie le proprie guance con proiettili d’aria, al ora nessun uomo può tenergli testa ed è impossibile arrivare da Senožeče a Trieste o da Trie- ste a Senožeče, fa lo stesso se a piedi o a caval o, se si ha qualche considerazione per il corpo e la vita. [...] Qui non vi è alcuna grotta che possa fungere da riparo e quando il vento è in piena tempesta, non è sufficiente a proteggerti neanche lo stendersi a terra, dato che al- lora alza di tutto, alza in aria persino i sassi che volano attorno, non diversamente dal a grandine [...] , per cui c’è sempre il pericolo che ti raggiungano e colpiscano le pietre che ricadono al suolo. Questo vento signoreggia (dovrei dire tiranneggia) in modo particolarmente forte sul Gabrk. Con questo nome si definisce una determinata area o zona del Carso che si estende per un miglio o due tra Trieste e Senožeče e non lascia intravedere né erba ne terra, ma solo pietre e rocce dure e appuntite. [...] Quando però il vento prende a soffiare più forte, sebbene la nostra gente, cioè i Carsolini, ancora riesco- no a passare con gran facilità (cosa non fa l’abitudine, no?), non è possibile convin- cere nessun forestiero a proseguire, anche avendo a disposizione tutto un mondo di oratori; egli si volta e ringrazia per la musica, non volendo più stare a sentire questi tromboni e fagotti eolici, nel a convinzione che facilmente gli spazzerebbero l’anima fuori dal corpo. Se però il vento al arga davvero le sue ali, muovendole e sbattendo- le veramente forte, al ora è tempo per chiunque, sia forestiero o del luogo, di met- tersi in salvo, perché al ora il vento gioca così duro da potersi giocare la vita (Valva- sor, 1689, II, LXI). 23 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 1. Viandanti L’immagine del Carso come mare di pietra s’incontra nel Carso spoglio sempre più spesso in particolare nel ’Ottocento, tanto nei con la bora testi letterari quanto tecnici, e similmente anche il mortale (Valvasor 1689). pericolo rappresentato dalla bora. L’attenzione e l’accento sugli aspetti paesistici e pro- duttivi positivi del territorio, caratteristici del a narrazione del Valvasor, si coniugano con la menzione di condizioni an- che difficili, quando le riscontra. Per questo la sua descrizio- ne topografica è alquanto reale, ma è sempre affascinato an- che dai fenomeni straordinari (Panjek, 2005). Così è anche nel a descrizione del Carso, la cui immagine risulta a tratti fertile e mediterranea, ma sa essere al contempo pietroso e roccioso, con un’attenzione particolare al fenomeno del- la bora. Tale tratto del paesaggio si rileva del resto chiaramen- te dal e incisioni contenute nel ’ Ehre. Sebbene l’attenzione sia rivolta principalmente ai castel i e ai centri abitati, mentre l’immagine paesaggistica risulta semplificata, nelle stampe di Valvasor nonostante la tipizzazione – o forse proprio a gra- zie a essa – sono ben visibili i col i spogli, le lande desolate, la 24 immagini nuda roccia e le pietre. Non vi si vedono veri boschi, se non dietro Senožeče. I dintorni di Duino sono del tutto spogli, soltanto a ridosso del e mura del borgo vi è un frutteto cin- tato. Škocjan è col ocato in cima a un col e di roccia nuda e terrificante. I viandanti nel de- serto di pietra del Carso lottano con forza contro la bora. I borghi e i tabor ( cente) sono cinti da mura e non si vedono superfici coltivate di una certa estensione. Valvasor dedicò un po’ d’attenzione anche agli abitanti del Carso e al e loro attivi- tà economiche. Anche nel a loro descrizione compaiono alcuni elementi che si sarebbe- ro mantenuti nei secoli a venire, come per esempio la laboriosità. I Carsolini [...] hanno una parlata e un modo di vestire particolari. Sono forti e la- boriosi, ricercano il proprio sostentamento nei vigneti, in cui crescono i migliori vini, come il prosecco, il moscatel o e altre buone varietà, che esportano in terre lontane. Il loro suolo è ovunque sassoso e quasi non vi si vede del a terra, ma ciò nonostan- te dà il miglior vino. Anche il bestiame, che ne al evano parecchio, fornisce loro ab- bastanza cibo. Non hanno grano e mangiano un pane scialbo di grano macinato a metà, simile a quel o olandese. Portano in spal a per la regione otri pieni d’olio d’oli- va e al e volte anche di vino, in particolare d’inverno. Anche se il portatore di questi recipienti cade, essi non si rompono tanto facilmente perché gli otri sono fatti di un intero caprone o montone. 2 Ciò è reso necessario dal duro percorso in Carso, che è spaventosamente aspro e sgradevole al cammino, essendo dappertutto sassoso. Questa buona gente si aiuta e vive in modo davvero misero ed è molto contenta, se ha un pezzo di lardo (che a causa del lavoro instancabile gli è facilmente digeribi- le), di cipol a e di pane scialbo (oppure nero e grezzo di crusca). In alcuni luoghi sof- frono anche una grande scarsità di legna e, soprattutto d’estate, d’acqua limpida. Tale penuria non toglie però loro la buona forza fisica, poiché ciò nonostante sono forti e sani. [...] La loro lingua è piuttosto dura. In alcuni luoghi parlano in modo così indiscernibile, che a malapena si comprendono, ma con parole carnioline [slovene], la cui pronun- cia in certi posti varia molto. Hanno grandi vil aggi e case in gran parte di pietra, alcuni dei loro tetti sono rico- perti di lastre di pietra. In poche case si trova un forno, ma solamente focolari. In alcune località sono assai veloci e abili con le fionde, sicché il sasso che lanciano con il laccio difficilmente fal isce il bersaglio. Quando viaggiano, come arma porta- no in mano grandi e lunghe piccozze. Per quanto riguarda il loro costume, camminano in braghe larghe e ampie di tela grezza e grossa, che in basso non sono legate. Sopra portano del e camiciole corte e in testa dei grandi berretti di feltro o più propriamente del e piccole cuffie, mentre le donne portano dei fazzoletti bianchi, ma non così pieghettati o ripiegati come al- trove. Gli uomini sono proprio ruvidi, selvaggi e spiacevoli d’aspetto, completamente marroni dal sole, le donne sono invece qui e là bel e bianche e piuttosto carine, ma il costume le rovina molto e oscura lo splendore del a loro naturale bel ezza. [...] Gli uomini non sopportano capel i in testa, per cui non portano nemmeno barbe lun- ghe. 3 2 In simili otri era trasportato anche il mercurio dal e miniere d’Idria, Valentinitsch, 1981. 3 Valvasor, 1689, II, LIII in VI, VIII; Rupel, Reisp, 1969, 73–74, 204. 25 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 2. Abitanti del Carso Pochi anni più tardi, in una descrizione del a visita pa- spoglio (Valvasor 1689). storale del nuovo vescovo di Trieste al a sua diocesi (1693), si affermava: »risiede questa parochia capitulare di Povir in Carso fertile però de grani et anche (ma in pocha quantità) de vini del a parte di Sessana« (Durissini, 1998, 133). Oltre al ’attestazione della fertilità e della produzione di grano e vino, va posta l’attenzione sul ’espressione »Carso ferti- le però«, che attesta una certa eccezionalità. Nel a prima metà del Settecento un altro membro del a Royal Society inglese, il ricercatore e viaggiatore tedesco J. G. Keyssler, ha lasciato un’altra annotazione sul paesaggio del Carso nei dintorni del castel o di S. Servolo. Qui nel a primavera del 1730 si vedeva »ben poca erba, il ché è generalmente anche una caratteristica delle regioni montane. [...] La re- gione è in genere molto desolata, rocciosa e scarsamente popolata« (Shaw, 2000, 61). Come nelle rappresentazioni della Gloria del ducato di Carniola di Valvasor, anche nei disegni del cartografo go- riziano Antonio Capellaris di mezzo secolo più tardi (1752) il paesaggio costituisce soltanto lo sfondo del castel o di 26 immagini Reifenberg e del borgo fortificato di Štanjel. Nondimeno è possibile notare come le su- perfici boschive appaiano più dei residui di bosco che boschi veri e propri. Il col e del ca- stel o di Reifenberg risulta parzialmente coltivato, davanti al a porta di Štanjel sono inve- ce chiaramente visibili i muri che cingono la strada e un frutteto (carte 13 e 14). Nel a seconda metà del secolo due personaggi di rilievo del Settecento triestino at- testano come lo sviluppo del a città di Trieste, sostenuto dal a politica mercantilista au- striaca, avesse ormai esteso i propri effetti anche al circondario. Lo sviluppo economi- co e la crescita della popolazione urbana influivano sulle campagne circostanti attraverso l’aumento del a domanda di generi agricoli per l’alimentazione e con nuove opportunità di lavoro. Dai loro scritti emerge chiaramente che si trattava di un’epoca dinamica, in cui avvenivano mutamenti. In una relazione sul ’agricoltura del territorio triestino del 1769, Pasquale Ricci trattò anche il Carso. Molta parte del terreno ha un fondo talmente pietroso, che appena produce una rara erba, la quale non giunge mai al grado di fieno. [...] Mirabil cosa è vedere la fatica, e la arte, con la quale i vil ani mettono a profitto ogni palmo di terreno su- scettibile di coltura; qui nasce grano, là nasce vino, dove prima nascevano sassi di macigno; e la terra che produce questo grano, e questo vino, è lavorata tutta con i bracci del i uomini, perché lavorata non puol essere dal i animali, quotidianamen- te si moltiplicano questi piccoli bracci di terreni pietrosi convertiti in campi (Lago, 1980, 499). Qualche anno dopo in un Rapporto generale sul o stato del a città e del suo territorio indirizzato al governo (1786) Pietro Antonio Pittoni, responsabile della direzione di poli- zia di Trieste fin dal a sua istituzione e buon conoscitore del a realtà locale, forniva un’in- teressante descrizione del ’agricoltura locale. Nel territorio comunale »le case de villa- ni sono quasi tutte a muro secco: la qualità e forma del e pietre fa che sieno resistenti, e gli abitanti del paese hanno un’arte particolare di ben costruirle«. Mentre in passato i tetti erano quasi tutti di paglia, con la diffusione di »parte del e ricchezze« in campagna le case dei villaggi e in particolare delle contrade erano ormai »quasi tutte coperte di la- stre o coppi«, come erano pochissime le stal e in legno. »Nel e contrade, e specialmente nel e Vil e di Servola, di Santa Croce e di Prosecco fabbricate veggonsi moltissime case di muro, che possono dirsi più signorili che di vil ani«. L’agricoltura era praticata in condizio- ni difficili e la produzione era insufficiente. Se si dà una occiata al ’agricultura di Trieste sì penosa, perché la terra deve essere o sostenuta con muraglie o forzata a forza di zappa e di batile a produrre; e se ri- flettesi, che poco lavorar si possano questi terreni, ove non hanno che poco più d’un palmo di fondo, che gl’ingrassi devono esser portati dagli uomini, non può esser che un popolo industrioso, che la lavori. Questo non può dirsi povero, anzi, fra il mede- simo vi sono molti ricchi, ma le ricchezze di questi tali non sono un risultato del ’a- gricoltura, la quale fornir loro non potrebbe sussistenza sufficiente, bensì l’industria particolare: le ville di Santa Croce, Contovel o e Prosecco, come pure la costa adia- cente, ove sono le contrade di Chiorbola e Gretta, si applicano al a pesca special- mente del a tonina [tonno] . Optschina e Trebich guadagna cò forspan [fornitura di animali da tiro] e cariaggi, Basovizza e Gropada col a scavazione e condotta de’ carboni di terra. Servola col a pesca del e ostriche, con la cottura del pane, e comin- 27 paesaggio culturale e ambiente del carso cia già a fornire eccel enti marinari. Tutti poi e specialmente le contrade concorrono la città co’ loro animali e guadagnano col trasporto del e merci dai magazini del a dogana, ed al e barche, e da questi luoghi ai magazini, e ne deriva loro sì gran pro- fitto, che negligono alquanto l’agricoltura. Nonostante le attività extra agricole, però, »l’agricoltura e l’economia rurale per quanto permette uno sterile territorio, è in fiore […], si coltiva il coltivabile« e si forma- vano nuovi terreni »per così dire tra le selci«. Destavano invece la preoccupazione di Pit- toni le condizioni dei boschi e il modo in cui venivano sfruttati. Li pocchi boschi, che esistono nel territorio di Trieste sono in mani di proprietari par- ticolari, eccettuato il bosco farnedo. Questi si tagliano, e si estirpano senza ordine, ed io credo, che questo dovrebbe essere un oggetto interessante, sopra il quale la legislazione dovrebbe anche per incoraggiare la coltura de’ boschi, e per conservar- li religiosamente, vegliare giacché in tale maniera minorarebbesi la veemenza de’ venti. Se i boschi sopra la cima de’ monti fossero stati conservati, Trieste non espe- rimenterebbe gl’effetti perniciosi del furor del a borea [bora] (Dorsi, 1989, 137– 185). Tra gli elementi e i caratteri del paesaggio culturale a noi nuovi, il rapporto di Pitto- ni attesta espressamente i saperi tradizionali nel a costruzione degli edifici, accanto al già noto metodo di costruzione con muri a secco e al ’uso del e lastre di pietra per la coper- tura dei tetti, che un secolo prima abbiamo incontrato in Valvasor. La prevalenza dei tetti coperti di pietra nei vil aggi dei dintorni di Trieste è espressione di benessere in contrasto al e coperture di paglia del passato. Pittoni menziona anche l’allargamento del e superfi- ci coltivabili attraverso il dissodamento e lo spietramento (che si riferisce però anche al e pendici fliscioidi sotto il ciglione carsico). Secondo la sua opinione, a causa del ’eccessivo sfruttamento e del ’assenza di control i il processo di disboscamento avrebbe raggiunto un livel o preoccupante, le cime carsiche intorno a Trieste erano denudate e al ciò faceva risalire la violenza con cui la bora si abbatteva sul a città. Trieste creava molta domanda di legname, che raggiungeva anche zone più lontane dal a città. Lo attesta il cesareo regio fiscale di Trieste Tomaso d’Ustia scrivendo nel 1760 che già in passato e anche al ora »venivano, come vengono vil ani del e vicine giurisdizio- ni [feudi del Carso] con legni da fuoco, e da lavoro, e per le vigne (AST, Intendenza, 190, 29–36). Nel 1775 il capitano distrettuale di Gorizia Giovanni Paolo Basel i riguardo ai red- diti del a popolazione del Carso scrisse che coltivano ovviamente appezzamenti di terreno poco fertile; poiché dal a loro attivi- tà non hanno un lavoro costante, né ricavano cibo sufficiente, sono costretti a vive- re distil ando carbone e al evando bestiame, che procura loro burro, formaggio e un po’ di lana. [...] producono il burro e il formaggio di cui si rifornisce la provincia (Cavazza et al. (ed.), Morelli, 2003, 175–177) . Come già gli abitanti di S. Daniele al a fine del Cinquecento, anche due secoli più tardi molti abitanti del Carso, e non solo nel e più immediate vicinanze di Trieste, integra- vano gli insufficienti proventi del ’agricoltura con fonti di reddito aggiuntive. Infine, alcune descrizioni già più vicine al ’impressione, testimonianze del a perce- zione del paesaggio. In una pagina del suo diario il conte Karl von Zinzendorf, altra figu- 28 immagini ra di rilievo del Settecento triestino (e non solo), descrisse il tragitto effettuato da Vipa- va a Trieste nel ’agosto del 1771. Da qui [Razdrto] si discende considerabilmente. Il paese è terribile [affreux]. Tutte queste terribili rocce del Carso, in mezzo al e quali non c’è che qui e là un po’ di campo coltivato circondato da pietre, mentre intorno ai borghi di Senosechia e Di- vatza [Senožeče, Divača …] ci sono i più begli alberi (Trampus, 1990, 87). Tra le descrizioni citate, questa è la prima in cui troviamo i muri di pietra che cingo- no fazzoletti di terra coltivata nel mezzo del a landa carsica, e più in generale è proprio in quegli anni che iniziano a farsi più numerose le menzioni dei segni del ’attività umana nel paesaggio del Carso. Lungo la nuova strada commerciale per Trieste, l’ingegnere minera- rio e professore B. F. J. Hermann nel ’estate del 1780 osservava come il Carso fosse »l’im- magine vivente della desolazione, che supera ogni immaginazione«. Due o tre miglia te- desche d’intorno tutto era ricoperto di pietre e circondato di rocce. Ovunque guardi, è una sola desolazione, solo qua e là qualche povero contadino ha ripulito una piccola superficie di terra cingendola di un muro fatto con le pietre che ha tolto, al fine di coltivare del frumento o del a segale. Il potente vento del nord ha continuato a soffiare per tutto il percorso in modo così eccezionalmente spietato che la nostra carrozza ha rischiato di essere spazzata dal a strada in ogni momen- to. Dopo circa tre o quattro ore da Postojna arrivi nel piccolo e miserevole vil aggio di Sesana [Sežana], dove vi sono alcuni ameni vigneti; nel e vicinanze c’è un monte, dove si vedono le rovine di un grande castel o del a famiglia del conte Petazzi. Ho scalato questo col e e goduto di un così bel panorama, che è appena possibile im- maginare; ho visto tutto il Carso e buona parte del paesaggio nei dintorni. […] Almeno i tre quarti del ’area carsica sono del tutto desolati. Tuttavia ciò è in cer- to modo ripagato dal fatto che il suolo molto sassoso dà del e erbe rade e corte, di cui si nutrono i caval i e (soprattutto) le pecore, nonché le capre. I primi sono molto apprezzati, essendo di corporatura forte e passo sicuro, e sono utilizzati anche al a corte imperiale. Vi sono due scuderie, una a Lipica e l’altra a Prestranek. Le peco- re e le capre del Carso hanno carne saporita assai, perché si pascolano del e mil e erbe alpine; quasi tutti gli agnel i vengono mandati a Venezia, dove sono venduti a prezzi sorprendentemente alti. Anche il minuscolo grano che cresce in Carso ha le sue qualità. I tegumenti ester- ni sono più sottili e i semi hanno più farina, perciò si vende a un prezzo maggiore (Shaw, 2000, 79). Accanto al a percezione del a desolazione, che inizia a formare il topos del deserto sassoso, ne risulta uno sguardo piuttosto realistico, fornendo informazioni anche sui pro- dotti agricoli del Carso. I muri di pietra sono presenti anche in un’annotazione del dia- rio di un generale napoleonico che al a fine del Settecento attraversò a caval o la signo- ria di Duino (1797). È sorprendente vedere come gli uomini siano stati in grado di trasformare quel a terra per l’uso agricolo […] con cura e laboriosità hanno dissodato le rocce facendo- 29 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 3. Il Carso ne dei muri, sicché pezzi di terra lunghi pochi passi forma- come terrificante no campi grandi come il palmo del a mano (Davis, 1986, montagna rocciosa: 12). Školj e Gabrk Nel 1817 giunse in Carso un altro membro del a Royal Society (Valvasor 1689). inglese, questa volta si trattava del matematico scozzese W. A. Ca- dell che, dopo essere salito da Trieste, notò come il paesaggio mu- tava in una terra sterile e rocciosa, che continua per alcune miglia lungo la strada di Vienna. […] Queste nude rocce calcaree rico- prono oltre la metà del a superficie, e ben poca erba cresce tra le rocce affioranti […], che possono costituire solo un cibo scarso per poche pecore. A causa del colore grigio del- le rocce la superficie del a regione sembra come ricoperta di neve o di rugiada ghiacciata. […] Nel e vicinanze di alcu- ni vil aggi si vedono alberi di noce e alcune viti, che crescono alte sui rami di alberi di acero. Il vino comune del paese è assai cattivo. Nel e osterie lungo la strada, il vino o è nuovo e dolciastro a causa del ’incompleta fermentazione oppure 30 immagini si tratta di vino vecchio, come lo chiamano, che è alquan- Figura 4. Il Carso to acido. Il vino di Prosecco è il migliore del paese. In diver- come terrificante si luoghi in questo suolo sassoso si ritrovano del e fosse o montagna roccio- avval amenti rotondi e conici […] di dimensioni diverse, al- sa: Škocjan (Valva- cune in cima misurano circa cento yard di diametro e sono sor 1689). fonde cinquanta piedi; sul fondo vi è una superficie piana di buona terra arativa, che viene coltivata. Ai margini di gran parte degli avval amenti [doline] vi sono degli alberi. […] Tra Corgnale [Lokev] e Trieste il paese è sassoso e spo- glio. Accanto al a strada, a Lipizza, su un terreno ricoper- to di alberi e cinto [enclosed] da un muro si trova la scu- deria per l’al evamento dei caval i (Shaw, 2000, 110–111) . La descrizione è interessante poiché oltre al ’impressione fornisce alcune informazioni più precise sul ’estensione del a deso- lazione della landa carsica lungo la nuova strada tra Trieste e Vien- na, sul muro di cinta del e scuderie di Lipizza, sul vino del Carso dal sapore estraneo al o straniero, nonché sul a forma di coltivazione del a vite a sostegno vivo, costituito da alberi, diffusa anche in Italia centrale e settentrionale (Sereni, 1961). 31 paesaggio culturale e ambiente del carso Nel a prima metà del ’Ottocento fanno la loro comparsa le prime guide turistiche di Trieste e dintorni. Con esse appare un nuovo genere di descrizione del paesaggio del Carso, di cui possono essere esempio il conte Girolamo Agapito (1823–1830) e lo storico Pietro Kandler (1845). La terminologia usata da Agapito ha già accenti romantici. »La stra- da da Lipizza a Corniale si compie in ¼ d’ora circa sempre per una pianura, tutta intorno seminata di macigni e di sassi«. Più avanti la definisce anche »la petrosa pianura del Carso la quale con la caratteristica inanimata nudità de’ contorni tempra lo spirito ad una pate- tica contemplazione«. Diversi sono invece gli immediati dintorni di Corgnale, »un grosso vil aggio con 130 case e 800 abitanti, posto nel mezzo di amena pianura che co’ suoi colti campi lo cinge d’una vaga corona di spiche.« Di nuovo, però, lungo la strada tra Opicina (Opčine) e Prosecco l’occhio »non trova di che appagarsi nel ’inamabile aspetto del ’alpe- stre e deserto dintorno«. Dal e parti di Aurisina (Nabrežina) vede il grottesco aspetto di tutto questo alpestre paese. […] Agli occhj del politico poi e del filantropo questo petroso deserto sterile com’è in sé stesso e tutto seminato d’ingenti masse di piccole schegge di sassi che si sfarinano e riducono in briciuoli, ne’ frequenti tratti di poca terra coltivata in un campo che bene spesso non ha ma- gior spazio di una camera presentando un raro esempio di laboriosa industria, tan- to più sorprendente quanto che sempre contrastata dal ’inclemenza di un clima il più stravagante e dal a terribile violenza del vento di bora che sorge ugualmente fu- rioso in tutte le stagioni, essi non possono che rendere a’ suoi poveri abitatori il tri- buto di più giusta ammirazione (Agapito, 1972, 177, 197, 200). Al paesaggio pietroso e sterile fanno da contrasto le aree coltivate nei pressi dei vil- laggi, risultato della »laboriosa industria« della popolazione rurale, attestata già da Ko- benzl nel 1606 e in quasi tutte le altre testimonianze fin qui riportate. Nonostante ciò, però, Agapito dice anche come già nel a prima metà del ’Ottocento i cittadini triestini si recassero nel a stagione estiva in vil eggiatura in Carso (Basovizza – Bazovica, Corgnale) al a ricerca di temperature più miti e di aria più salubre. Almeno fino al a metà del ’Ottocento una costante nel a percezione del Carso è costituita dal fatto che esso era rappresentato come una terra non solo montuosa, ma addirittura di montagna, che si rifletteva sia nel e descrizioni del ’ambiente naturale sia nelle considerazioni in merito all’economia e alla vita sull’altipiano carsico. A metà Otto- cento il Carso fu attraversato dal a linea ferroviaria Vienna–Trieste, che costituì un gran- de intervento infrastrutturale nel territorio. La ferrovia influì sul Carso in diversi modi. Divenne un nuovo elemento nel paesaggio, ne aumentò l’accessibilità e probabilmente influenzò anche la percezione del paesaggio a causa del a maggiore velocità di viaggio e del nuovo punto di vista. Al contempo portò nel e campagne del Carso nuove opportu- nità economiche e dinamiche sociali. Nel contesto del a costruzione del a ferrovia me- ridionale fu effettuato anche il disegno »dal vero« che ne raffigura l’intero tracciato tra Lubiana (Ljubljana) e Trieste (Weidmann, Varoni, 2004). Al passaggio dal a Carniola in- teriore ( Notranjska) al Carso si nota chiaramente come i boschi scompaiano, non si vede più altro che ampie aree spoglie, disseminate di alberi e cespugli rari e contorti, per il re- sto solo rocce e pietra. Si nota anche un nuovo elemento nel paesaggio, i grandi viadotti ferroviari in pietra. Nel a stessa pubblicazione del 1858, uscita in occasione del ’inaugura- zione del tratto carsico del a ferrovia, il paesaggio del Carso è descritto anche a parole. 32 immagini L’altipiano carsico è sterile e arido. Tra le rocce cre- Figura 5. Il deserto del Carso sce solo qua e là qualche esile e stentata boscaglia. nella bora: come onde Una gran parte del a pianura carsica è un auten- di un mare pietrificato tico deserto pietroso. Lo sguardo spazia su sassi e (dal 'il ustrazione di Fritz blocchi di pietra puntuta bianco-grigiastra che rag- von Kerner, Baumberger giungono a stento una trentina di centimetri. Qua e 1902). là spuntano fiori di brughiera. Sono stati eretti muri che circondano le conche dove cresce un po’ d’er- ba, per proteggerla dal e folate di bora. Lo stesso si può notare nel e rare oasi dove viene praticata l’a- gricoltura. Il Carso è inoltre ricco di grandi e di pic- cole fenditure e avval amenti del terreno chiama- ti doline. I vil aggi che sorgono su questo terreno arido hanno talvolta un aspetto abbastanza grade- vole. Gli stentati alberi che crescono su quel suo- lo sono quantitativamente abbastanza abbondan- ti e doppiamente piacevoli a vedersi sul ’altopiano. Ma le capanne isolate degli abitanti poveri del Car- so sparse sul a montagna sono miserrime. Capan- ne di pietra dal e quali il fumo esce solo dal a por- ta, dove gli uomini vivono nel a sporcizia assieme ai loro maiali e si nutrono di patate mezze crude, di minestroni cattivi e di pane ancora peggiore: que- sto è il triste ambiente che mostra il deserto pietro- so del Carso. 33 paesaggio culturale e ambiente del carso Non ci sono dubbi riguardo al fatto che un tempo il Carso fosse ricoperto da foreste e che solo in seguito ad una sconsiderata economia forestale sia divenuto come lo vediamo oggi. Una parte di questo territorio è ancora ricoperto da foreste (Hrušica e Škocjanski gozd) e gli abitanti più vecchi ricordano molti luoghi del ’altopiano che un tempo erano ricoperti da vegetazione. Meritano quindi grande attenzione i ten- tativi di rimboschimento del Carso (Weidmann, Varoni, 2004, 26–27).. Effettivamente l’imboschimento del Carso, portatore di un grande mutamento pa- esaggistico, stava iniziando proprio in quegli anni. Nel corso del ’Ottocento il Carso di- venne oggetto di crescente attenzione scientifica a livel o internazionale, in particolare per le sue peculiarità geomorfologiche, tanto che diede il nome al carsismo, mentre i lo- cali vocaboli sloveni vennero accolti dal a terminologia scientifica per definire i diversi ele- menti del suo paesaggio fisico (es. dolina, polje). Pur non entrando nel campo del a geografia fisica e del a geologia, appare interessante verificare il modo in cui le acquisizioni scientifiche andavano inserendosi nel e rappresentazioni del paesaggio del Carso. Alcu- ni esempi si possono individuare nel già citato Weidmann, ma Carl von Czoernig può es- sere l’autore giusto in questo senso: statistico e studioso, personalità di levatura nazio- nale austriaca e buon conoscitore del a storia e del a geografia goriziana, impegnato tra l’altro nel fare del a cittadina isontina la »Nizza austriaca«, scrivendo anche un’opera pub- blicata a tal fine. Vediamo quindi l’immagine del paesaggio del Carso fornita da Czoernig nel 1873, in cui sono evidenti i nuovi model i e interpretazioni, insieme a elementi e to- pos narrativi già noti. L’altopiano carsico è noto in tutto il mondo non tanto per le rarissime coltivazioni e per le anfrattuosità del a superficie, quanto per le meraviglie sotterranee, le grotte e gli invisibili corsi d’acqua. […] Ha l’aspetto di un mare di pietra formatosi al ’im- provviso dove le vette arrotondate e formanti catene rappresentano le onde irrigi- dite, le doline e i bacini infossati gli abissi marini. Blocchi di roccia si alternano a in- numerevoli frammenti di pietra dagli spigoli acuti, formatisi per decomposizione, tra i quali si insinua qualche cespuglio intristito, mentre nel e parti infossate, protet- te contro il rigido vento di levante, l’assiduo lavoro umano ha creato artificialmente piccole oasi di terreno coltivabile. Eppure a suo tempo l’intero Carso era ombreg- giato da folte foreste di querce, come si può ancora argomentare dal bel querceto nel cintato al evamento di caval i di Lipizza presso Trieste. Ma l’irrazionale disbo- scamento nel passato impedì il sorgere di una nuova vegetazione, dato il dominio violento del a bora. […] Nonostante la sua generalmente scarsa fertilità e la quasi completa mancanza d’acqua vi si trovano numerose località. D’altro canto l’espe- rienza insegna che anche oggi il Carso si coprirebbe presto di bosco se le aree co- perte di miseri alberel i venissero cintate e protette contro il bestiame al pascolo 4 . Ritroviamo le onde del mare di pietra, le pietre e la bora come fenomeni natura- li caratteristici, la mancanza d’acqua e di terra e le doline lavorate, ma anche l’interpre- tazione secondo la quale la nudità del Carso fosse il risultato di (sconsiderati) interventi umani nel passato. Dal a fine del ’Ottocento, oltre al e fonti scritte e iconografiche, si di- 4 »Recentemente però il rimboschimento del Carso è stato attivato dal governo (e dal comune di Trieste). […] Nel 1871 si contavano nei vivai centrali 10.479.293 piante da 1 a 3 anni, in parte conifere, in parte latifoglie con 300.000 alberi da frutto«, Czoernig, 1969, 28–29, 32. 34 immagini spone anche di documentazione fotografica: il paesaggio in prevalenza spoglio e sassoso del ciglione carsico iniziava ormai a essere punteggiato da aree verdi, risultato del e ope- razioni di rimboschimento con il pino nero avviate nei decenni precedenti5. Ciò nono- stante, agli occhi del viaggiatore forestiero, che poteva ormai agevolmente e velocemen- te percorrerlo in treno, il Carso appariva ancora come un tremendo deserto composto essenzialmente da due soli elementi, la nuda roccia e il vento di bora. Nel a descrizione fattane dal o scrittore svizzero Georg Baumberger (1902), autore di diversi libri di viag- gio che verso la fine del ’estate percorse l’area in treno sul tragitto tra Lubiana e Trie- ste, si percepisce un’enfatizzazione della desolazione del paesaggio carsico. La narrazio- ne pare ormai vicina a una sorta di manierismo del discorso sul Carso, i topos ormai noti sono condotti al ’estremo. Il Carso pressoché inanimato diviene paesaggio del a morte. Da St. Peter [Pivka] , si attraversa la peculiare area carsica. È una regione terribil- mente desolata, e diventa sempre più desolata e solitaria, di una desolazione ter- rificante e pietrificante. Si passa sopra l’altipiano carsico che si estende da Fiume [Rijeka] fino a Gorizia e che non è nient’altro che un deserto di pietre pressoché inanimato. Per spazi sterminati non si vede niente, se non massi di pietra grigi e sla- vati, qua e là qualche misero pino deforme e cespugli di ginepro, oppure ciuffi d’er- ba bruciata, e lì in mezzo, in una piccola conca di pietra, detta dolina, una capan- na infinitamente misera, di gran lunga più primitiva dei nostri più miseri fienili alpini, e accanto un campetto ugualmente misero che poverissima gente coltiva con scarsi risultati. Pare come se qui la creazione si fosse fermata e avesse lasciato incomple- ta l’opera. Non è l’atmosfera melanconica di una vitalità un tempo fiorente e ora decaduta […], ma piuttosto quel a infinitamente desolata del ’incompiuto, del di- seredato e del maledetto fin dal ’inizio, morto […]. La bora, un vento di nord-est – il terrore di questa regione fino giù in Dalmazia – infierisce tremendamente da que- ste parti: senza vincoli e senza barriere infuria e ulula sul ’altipiano, sferza neve e ghiaccio come pazza davanti a sé, forma grandissimi cumuli di neve, seppel isce i pastori e le greggi che sorprende e rovescia anche pesanti mezzi di trasporto. Guai al poveretto che, in questa terra deserta, essa assale e cinge con gelido abbraccio lontano da un tetto, da un riparo. Egli è preda del a morte quasi senza speranza di salvezza e la bora, figlia del a morte, ulula di gioia per aver spento un’altra vita (Baumberger, 1902, 52–54). L’il ustrazione che nel ’originale correda la descrizione, e riproduce un quadro di Fritz von Kerner, è significativamente intitolata Il deserto carsico con la bora ( Die Karstwüs-te bei Bora) e pare quasi una trasposizione su tela del »mare di pietra« battuto dal a bora descritto già da Valvasor e ripreso da Czoernig. Vale infine la pena di considerare la percezione del Carso espressa da due intel et- tuali e poeti locali del primo Novecento: Scipio Slataper e Srečko Kosovel6. Con Il mio car- so (1912) Slataper ruppe il silenzio sul Carso e sulla sua popolazione da parte della letteratura triestina di lingua italiana (D’Ascia, 1998, 19–30). L’ormai celebre incipit »Vorrei dirvi: Sono nato in carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dal e piove e dal fumo«, ri-5 Utili e interessanti risultano, ad esempio, le fotografie relative al ’attività di rimboschimento sul ciglione carsico sopra Trieste (catena del a Vena), scattate tra gli ultimi anni del XIX e i primi anni del XX secolo dal fotografo Circovich in FVG, 1992. 6 Per il contesto storico-culturale almeno Ara, Magris 1987² e Košuta,1997. 35 paesaggio culturale e ambiente del carso corda le misere capanne, da cui »il fumo esce solo dal a porta« della prima metà del ’Ot- tocento, ma è al contempo, almeno in parte, una licenza poetica, che serve a evocare la primordialità rurale in contrasto al paesaggio urbano. Che i tetti di paglia fossero anco- ra visibili è tuttavia confermato dal fatto che essi sono presenti anche in Kosovel, che in Carso è nato. Per il resto le descrizioni di Slataper del paesaggio del Carso sono attente, pur ripetendo, ma solo in parte, il discorso che abbiamo seguito nel a sua formazione ed evoluzione storica, peraltro fondato su alcuni caratteri innegabili e sul e più recenti sco- perte scientifiche sui fenomeni carsici. La novità nel a sua percezione consiste soprattut- to nel ’attribuzione di valori positivi al paesaggio e al ’ambiente del Carso, quali la bontà e la bel ezza, nonostante la durezza e l’essenzialità primordiale – o forse proprio a cau- sa di esse. Il monte Kal è una pietraia. Ma io sto bene su lui. […] Io sono come te freddo e nudo, fratel o. Sono solo e infecondo. Fratel o, su di te passa il sole e il pol ine, ma tu non fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pel e, e non sanguini; e non espri- mi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre […]. La bora aguzza di schegge mi frusta e mi strappa le orecchie. Ho i capel i come aghi di ginepro […] . Bel a è la bora. È il tuo respiro, fratel o gigante. […] Lichene sotto ai piedi, scricchiolante, rigido; erba gial astra come foglie morte; un querciolo torto, e eccoli i piccoli verdi pini […] stretti e intrecciati […] Procedo: sono fra i pini giganti. Un contadino con la frusta da pastore si ferma e mi guarda. Mongolo, dagli zigomi duri e gonfi come sassi coperti appena dal a terra […] Tu stai istupidito mentre ti rubano gli aridi pascoli, i paurosi del a tua bora. […] Perché tu sei slavo, figliolo del a nuova razza. Sei venuto nel e terre che nessuno poteva abitare, e le hai coltivate. […] Lo sloveno mi guarda seccato. – Brucia i boschi che gli italiani, gente sfatta di venti secoli, portarono qui per potere […] entrare nel a Borsa [di Trieste] senza bora! […] Il carso è un paese di calcari e ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi. Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole. La terra è senza pace, senza congiuntu- re. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato. Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sé tutto il terriccio rubato, cade re- golare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila. Carso, che sei duro e buono! […] Tutta l’acqua che s’inabissa nel e tue spaccatu- re; e il lichene secco ingrigia sul a roccia bianca, gli occhi vacil ano nel ’inferno d’a- gosto. Non c’è tregua. Il mio carso è duro e buono. Ogni suo filo d’erba ha spacca- to la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l’arsura per aprirsi. Per questo il suo latte è sano e il suo miele odoroso. Egli è senza polpa. Ma ogni autunno una fo- glia si disvegeta nei suoi incassi, e la sua poca terra rossastra sa ancora di pietra e di ferro. Egli è nuovo ed eterno. E ogni tanto s’apre in lui una quieta dolina, ed egli riposa infantilmente fra i peschi rossi e le pannocchie canneggianti. Disteso sul tuo grembo io sento lontanar nel profondo l’acqua raccolta dai tuoi abissi […] che por- ta la tua giovane salute al mare e al a città (Slataper, Guagnini, 2003, 41–44, 105) . Gli elementi del paesaggio sono quel i ormai noti: la roccia sterile, la bora sferzan- te, la scarsità d’acqua, relegata in corsi sotterranei, la rarità del e coltivazioni, mentre più 36 immagini nuova è la ricorrente presenza dei licheni e del ginepro. In altri passaggi si riscontra il la- voro nei campi e nei vigneti. Il »carso« di Slataper ha l’iniziale minuscola perché non è in- teso come toponimo o coronimo, ma come tipo di paesaggio, naturale, umano e sim- bolico7. Tuttavia, il Carso di cui parla è quel o più prossimo a Trieste, dove l’intervento di rimboschimento con il pino nero è stato particolarmente intenso a quel ’epoca, come avremo modo di vedere. Il pino stava diventando un nuovo elemento caratterizzante del paesaggio, e Slataper lo percepì. Da questo punto di vista è interessante l’interpretazio- ne del rimboschimento come intervento di origine urbana e italiana a danno del ’econo- mia pastorale del ’altipiano, praticata dalla popolazione rurale slovena. L’incitamento di Slataper al pastore di appiccare il fuoco ai pini è invece tutt’altro che una licenza poetica: gli incendi, almeno in parte dolosi, delle piantagioni, si susseguirono effettivamente per diversi anni tra la fine del ’Ottocento e il primo Novecento, come espressione del a resi- stenza di chi si vedeva privato dei pascoli. Appare quindi tanto più interessante il confronto con il discorso, pressoché con- temporaneo, di Srečko Kosovel (1904–1924) di Sesana ovvero Tomaj (Kosovel, Milič, 2000), nel ’area a più spiccata vocazione agricola del Carso. Anche in Kosovel il pino nero già costituisce un tema ricorrente, uno degli elementi caratteristici del suo paesaggio po- etico in tema carsico. Gli esempi sono alquanto numerosi, nel e poesie Autunno, Parole semplici, Lirica, Canto carsico, Vil aggio del Carso, Pini, Villaggio dietro i pini, Ho visto crescere i pini. Il pino non vi riveste però una valenza simbolica che riguardi esplicitamente la contrapposizione nazionale e socioeconomica tra italiani e sloveni, città e campagna, ma è piuttosto un elemento del paesaggio e un simbolo del sentire poetico, che può, inve- ro, anche essere legato al a congiuntura politica, ma in senso più ampio. Anche in Koso- vel compaiono gli incendi del e nuove piantagioni, che sono però metafora del e tensio- ni e dei contrasti in atto nel periodo tra la fine del a monarchia asburgica, la prima guerra mondiale e l’avvento del ’Italia, ben presto fascista al confine orientale. Il paesaggio carsi- co assume inoltre, a tratti, una valenza di contrasto tra la dimensione rurale e quel a ur- bana, come in Slataper. E, come Slataper, anche Kosovel ama il Carso. Nel buio ululano le pergole – la bora scala i muri, batte a una finestra: »Chi? « […] In fondo al vil aggio un pino stormisce – sussulta riconoscendomi. . I tetti scoscesi nel ’ombra dormono; di paglia, di pietra, tutti tetri, a fronte bassa. Pini, pini in cheto orrore, pini, pini in muto orrore, pini, pini […] ! Pini, Pini, tetri pini, come guardie sotto il monte, lungo la landa petrosa gravi e stanchi sussurrate. Ho visto crescere i pini verso il cielo. Stoici, sereni attraverso fuochi solari. E ho visto già l’incendio che li brucerà […] i pini sussurrano. (Con chi parlano?) Li ho visti, co- lonne ardenti, salire in cielo. . Il mio corpo si è fatto cenere (Kosovel, Milič, 2000). Gli altri elementi del paesaggio presenti nel a lirica di Kosovel dedicata al Carso, che caratterizza il primo periodo del poeta, sono le doline e i campi (»il sereno paesaggio so- pra la verde e quieta dolina, mi sembra di vedere le rocce e i pini che le fanno la guardia«; »sussurrano le brezze nei campi, lievi ondeggiano le erbe e il sole irradia la dolina«; »le 7 La dimensione simbolica del ’opera (si veda al e note precedenti) è indubbiamente ben più ampia del tema qui trattato. Ad ogni modo una del e chiavi di lettura de Il mio carso va individuata nell’affermazione »Tu sei malato d’anemia celebrale, povero sangue italiano, e il tuo carso non rigenera più la tua città« (corsivo di chi scrive), (Slataper, Guagnini, 2003, 44) . 37 paesaggio culturale e ambiente del carso doline bianche di grano saraceno«), la bora (»stanotte ascoltavamo la bora e non abbia- mo dormito per niente«), la landa (»siamo soli nel a landa, tra le rocce e i rovi«), il vil ag- gio (»un villaggio bianco, polveroso«), i muri (»dietro il muro del a chiesa«; »questi alberi, muri, torri, sono tutto quel o che ho«). La pietra compare come roccia o come il bianco del e strade e dei vil aggi (»dal bianco vil aggio bianche strade«). Pini fragranti, pini odorosi, il loro profumo è sano e forte e chi torna dal a loro soli- tudine, non è più malato. Perché in questo paesaggio pietroso tutto è bene, essere, vivere, lottare ed essere giovane e sano. Pini, compagni, fragranti, forti, silenti compagni del a solitudine carsica, vi saluto nel a mia solitudine, piena di grave e triste bel ezza! (Kosovel, Milič, 2000). Sebbene ai tempi di Kosovel il pino fosse ancora un elemento paesistico relativa- mente nuovo in Carso, nel e sue liriche esso risulta già familiare, integrato nel a rappre- sentazione del territorio roccioso e divenuto persino un elemento caratteristico del pa- esaggio carsico. Il passaggio al ventesimo secolo e la prima guerra mondiale condussero sul suolo carsico altri poeti, come Reiner Maria Rilke con le Elegie Duinesi e il poeta – soldato Giu- seppe Ungaretti. Con entrambi, insieme ai lavori di altri autori, il paesaggio del Carso fece il proprio ingresso nello spazio poetico europeo. 38 Elementi Dal Carso classico, che si estende tra la Slovenia e l’Italia, hanno tratto il nome tan- to i fenomeni carsici naturali quanto i paesaggi carsici di tutto il mondo. Le con- dizioni naturali caratteristiche di tali ambienti oppongono diverse difficoltà al ’in- sediamento umano: la scarsità d’acqua (rara in superficie e non sempre raggiungibile in profondità), la penuria di terra coltivabile, i magri pascoli, la scarsità di legname, l’azione del vento. Per questa ragione il noto geografo italiano Valussi inserì i paesaggi carsici tra i »paesaggi dello sforzo« , ossia fra quegli ambienti che […] richiedono al ’uomo uno sforzo continuo per essere abitati: uno sforzo di adattamento, di miglioramento, di trasformazione che stimola ed esercita continuamente le facoltà intel ettive per cui le popolazioni carsiche emergono, come in genere tutte le popolazioni montane, per la loro tenacia e la loro intraprendenza (Valussi, 1963). In effetti, nel e descrizioni del Carso viste in precedenza, ricorrono le espressioni di ammirazione nei confronti della popolazione rurale per i lavori di sistemazione agraria. Tali difficili condizioni non sono tuttavia imputabili solo ai caratteri naturali del e aree carsiche. Anche l’uomo, in diversi modi, ha contribuito nel tempo al depauperamento del- le risorse naturali, dal disboscamento per ottenere nuove superfici coltivabili fino ai tagli a fini produttivi e commerciali. A causa del e sue caratteristiche geomorfologiche il suolo carsico è particolarmente esposto al ’azione erosiva degli agenti atmosferici (vento, piog- gia, neve, ghiaccio) e il taglio del bosco l’accelera (Gams, 1991a, 1–3; Gams, 1991b, 9, 15–16). I paesaggi degli altipiani carsici mediterranei e submediterranei sono accomunati da una serie di caratteri ed elementi, tra i quali è classico l’uso agricolo del e depressioni del terreno, in cui si accumula la terra. La loro utilizzazione rende però necessari lavori di si- stemazione anche considerevoli: i fondi piatti del e doline e dei polje costituiscono per la maggior parte il risultato della trasformazione antropica finalizzata all’uso agricolo. A sottolineare la peculiarità e la tipicità del e forme di antropizzazione del e aree carsiche, è stato coniato il termine ovvero il concetto scientifico dei »paesaggi agro-carsici« ( paysa- ges agro-karstiques, Nicod, 1987, 108–110). Altri elementi diffusi nei territori carsici, seppure non siano un carattere esclusivo dei paesaggi carsici, sono i muretti in pietra e i ter- razzamenti (Lago, 1994, 31; Nicod, 1992, 9–18). elementi 39 paesaggio culturale e ambiente del carso In Carso, a causa della scarsità della terra coltivabile prevalgono i campi di dimen- sioni molto ridotte e di forma irregolare, dovuta soprattutto al a morfologia del terri- torio. Costituiscono un’eccezione le superfici meglio dotate di terra che consentono la sistemazione di campi di dimensioni maggiori, come nel ’area compresa tra Komen, Du- tovlje, Tomaj e Sesana. Sono caratteristici del ’agricoltura in Carso i campi situati entro le depressioni del terreno, nel e doline e in genere dove la terra si raccoglie perché è più al riparo dagli agenti atmosferici erosivi. Sia la localizzazione sia la forma del e superfici col- tivate sono quindi fortemente condizionate dalle ondulazioni del terreno, perché esse influiscono sul a maggiore o minore presenza di terra. Il Carso è caratterizzato da con- dizioni difficili anche per l’al evamento, data la scarsità dei prati e la modestia dei pasco- li (Melik, 1960, 217–220). Nel catasto franceschino i rappresentanti delle comunità del Carso hanno lasciato numerose annotazioni coincidenti su come la coltivazione del a terra fosse un’operazione estremamente faticosa, che esigeva un investimento di lavoro oltre l’ordinario, ed espo- sta a condizioni climatiche sfavorevoli. A Jamiano (Jamlje) lo fecero in modo più serio, a Sgonico (Zgonik) invece con un po’ di (auto) ironia. Si permette la comune di far osservare che i suoi terreni sono quasi tutti a base sassosi, soggetti generalmente al ’eccesiva arsura, e screpolanti nel a superificie, in tempo di calore continuato predominante assai in questo clima cosiche non ren- dono al ’industre mano che li coltiva il vantaggio, che dovrebbe avere d’altre terre. (AST, CF, Jamiano, S4) A questa comune è facile stabilire la classificazione dei propri campi, perché un anno il vento danneggia alcuni campi, che non sono danneggiati dal ’inondazio- ne, un altr’anno arreca danno la rugiada a quel i, che non vengono tanto facilmen- te danneggiati dal a siccità, e così via (AST, CF, Sgonico, S4). Tuttavia le condizioni ambientali assolutamente non costituiscono l’unico fattore che determinava l’immagine e le forme del paesaggio culturale del Carso. Come negli al- tri »paesaggi agro-carsici«, anche qui l’uomo adeguava le situazioni naturali al e esigenze del ’agricoltura. Così le doline trasformate in superficie coltivata erano dette »doline la- vorate« (Gams, Lovrenčak, Ingolič, 1971, 228). Il contadino del Carso sapeva inoltre cre- are artificialmente le condizioni adatte al ’agricoltura anche là dove la natura non le offri- va. A questo proposito è interessante notare come il questionario che faceva parte del e operazioni atte a formare il catasto franceschino nei primi decenni del ’Ottocento, pone- va questa questione già con la prima domanda. Se i terreni appartenenti al a comune sono situati in pianura in val e sopra col ine, o sopra alture scoscese, oppure in diverse di queste posizioni? Se i terreni situati sul e al- ture rapide o scoscesi, devono essere mantenuti in stato di coltura mediante l’erezione di muri di sostegno? Se nel e comuni sul e montagne del Carso vi siano terreni stati eret- ti artifiziosamente mediante accumulazione di terra sopra tratti, che altrimenti sarebbe- ro stati incoltivabili? Se questi tali terreni esistono sul a superficie del Carso, e sono per- ciò esposti al a distruzione per forza del e pioggie dirotte e venti veementi oppure se si ritrovano nelle cavità o profondazioni di essi monti? Quale di queste situazioni conside- ra la Comune riguardo ai diversi modi di coltivazione per la più vantaggiosa, o viceversa gradatamente per la meno produttiva? 40 elementi La domanda dimostra come le condizioni e le pecu- Figura 6. La coesistenza liarità del ’agricoltura carsica fossero piuttosto note, d’al- di due tipi di coltivazione tra parte la domanda stessa già suggeriva lo spunto per la della vite presso il castello risposta. Effettivamente la popolazione rurale con le pro- Roženk a Podnanos: in coltu- prie risposte poneva l’accento sul fatto che l’attività agri- ra promiscua maritata cola in Carso fosse resa possibile soltanto grazie al a gran- al 'albero nel piano davanti de quantità di lavoro investito nel a creazione artificiale al castel o e a vigneto su palo del e condizioni necessarie al a coltura e nel loro mante- secco sul pendio sul o nimento. A Tomaj ciò fu espresso chiaramente. sfondo (Valvasor 1689). I terreni che si trovano in questa comune, la qua- le è col ocata sui monti del Carso, sono stati tut- ti creati artificialmente, e precisamente attra- verso la costosa escavazione del e rocce e del e frequenti pietre e poi l’aggiunta del a terra (AST, CF, Tomaj, S4). Nelle zone più ingrate all’agricoltura i campi sono di dimensioni minuscole e disordinatamente sparsi nelle do- line e avval amenti. Le doline più grandi presentano a vol- te una fitta parcel izzazione tra diverse aziende rurali. Ma 41 paesaggio culturale e ambiente del carso la parcel izzazione estrema dal e forme assolutamente irregolari è diffusa in diverse par- ti del Carso, anche quel e più fertili (Ilešič, 1950, 20). Per rendere l’idea del e dimensioni delle doline lavorate, i cui campi presentano la caratteristica forma tondeggiante, e del a loro diffusione, può essere utile riportare alcuni dati rilevati nel ’ambito del comune ca- tastale di Krajna vas: 72 metri la lunghezza media del ’asse longitudinale, 57 metri quel- la del ’asse trasversale, con una densità media di 64 doline su 100 ettari di superficie. La mappa catastale ottocentesca di Corgnale riporta invece un centinaio di campi di forma tondeggiante (Gams, Lovrenčak, Ingolič, 1971, 226; Gams, 1991b, 28; Gams, 2003, 211–212). Sul a base del e descrizioni risalenti al Sei e Settecento e del catasto franceschino d’inizio Ottocento è possibile ricostruire l’organizzazione dello spazio nel sistema agrario tradizionale del Carso e tracciare in tal modo i lineamenti essenziali del paesaggio cultu- rale in età moderna. Negli immediati dintorni dei vil aggi si trovavano orti, campi, e prati, il tutto era circondato dal a landa incolta, a sua volta disseminata di piccoli appezzamenti coltivati sparsi che consistevano soprattutto di campi nel e doline, prati e prati da fieno, situati a maggior distanza dagli insediamenti, oltre che di superfici boschive più o meno sfoltite e isolate e che solo in singoli casi assumevano un carattere di bosco. I prati pote- vano essere nudi o alberati. Gli incolti utilizzati per il pascolo occupavano buona parte del territorio, erano molto e anche completamente pietrosi e rappresentavano il carattere predominante del paesaggio, per lo meno al ’esterno dal e aree più intensamente coltiva- te prossime ai vil aggi. I campi erano arativi nudi o a coltura promiscua, in cui coesisteva- no cereali, alberi e viti, che in alcune aree e periodi assumevano anche la forma del a col- tura specializzata ovvero del vigneto.1 Un carattere di lungo periodo del ’agricoltura è costituto dal fatto che essa era po- licolturale, dato che almeno dal medioevo e fino al ’Ottocento, pur con qualche muta- mento, i campi del Carso producevano frumento, avena, miglio, orzo, sorgo, spelta, se- gale, saraceno, fave, cappucci, nonché mais, rape, patate e, negli orti, anche varie verdure (Panjek 2004; AST, CF). La vite riveste un ruolo di rilievo nel ’agricoltura carsica almeno dal medioevo (Kos, 1956). In età moderna la coltivazione del a vite era presente in particolare ai margini nord-orientali del ’altipiano carsico verso la valle del Vipacco (nel ’area di Reiffenberg/ Branik e S. Daniele), nel a zona di Komen, tra Dutovlje e Sesana e sul versante costiero tra Duino e Prosecco. Verso la val e del Vipacco e verso la costa era piuttosto diffusa la produzione di vino bianco, mentre nelle zone interne prevaleva largamente il vino ros- so detto terrano. Come per le particel e colturali in genere, anche nel caso del a viticol- tura prevalevano le piccole dimensioni, le superfici ristrette (Panjek, 2002; Panjek, 2004). Il paesaggio culturale del Carso comprende diversi esempi di sistemazioni col ina- ri che comportano anche consistenti movimenti di terra per trasformare il pendio natu- rale in ripiani. Essi difendono il suolo agrario dall’azione erosiva dell’acqua, agevolano la coltivazione e, sui pendii più accentuati, consentono di ottenere nuove superfici che pri- ma non erano coltivabili. A seconda dei caratteri morfologici del territorio, sono presen- ti diversi tipi di terrazzamenti. In base al a classificazione di Sereni (1961) possiamo distin- guere tra le terrazze vere e proprie, che sono più lunghe e abbracciano, mutandolo, il profilo di un’intera col ina, e i gradoni, più corti, spezzati e sparsi, dato che si adeguano al e irregolarità del pendio, che in quest’area erano detti »pastini«. Vi è inoltre un tipo di 1 Di più sul a coltura del a vite nel capitolo seguente. 42 elementi Figura 7a e 7b. Il ripido ciglione carsico e i terrazzamenti sopra il mare Adriatico (foto: archivio CMC). 43 paesaggio culturale e ambiente del carso terrazzamento minuscolo, la lunetta, che abbraccia anche un unico albero, per esempio un ulivo. Tutti questi tipi di terrazzamenti sono sostenuti da muri in pietra a secco, ma vi possono essere anche i ciglioni, in cui il sostegno a muro è sostituito da una scarpata in terra battuta, utilizzabili dove i pendii sono meno ripidi o in cui c’è più terra e meno pie- tre, ma comunque più soggetti al ’erosione e dunque meno duraturi.2 Terrazzamenti con muri di sostegno erano diffusi sul dirupo costiero tra Duino e Contovello (Kontovel), dove nel corso del tempo gran parte del a superficie fu trasfor- mata in gradoni che ospitavano per lo più vigneti e ulivi. Essi erano presenti anche al ’in- terno del ’altipiano, dove però non erano sistemati solo per la coltivazione dei vigneti, ma servivano anche al a coltura promiscua o al ’arativo semplice (Ilešič, 1950, 70). In di- versi casi venivano parzialmente terrazzate anche le doline: in questi casi la scarpata del- le terrazze era di norma costituita da un muro di sostegno in pietra a secco (Gams, Lo- vrenčak, Ingolič, 1971, 228; Pagnini, 1966, 132). Accanto a queste forme più classiche di terrazzamento, in Carso veniva utilizzata anche una forma di terrazzamento parziale o improprio, che ricorda un unico gradone o una breve serie di bassi gradoni. In questi casi sul terreno irregolare oppure su una parte di pendio in cui non c’era terra a sufficienza, veniva aggiunta altra terra e intorno al a superficie così ottenuta si costruiva un muro in pietra, che tratteneva la terra al suo interno e la riparava dagli agenti erosivi. Gli uomini delle comunità di Štorje, Duino e Opatje selo ci hanno lasciato efficaci descrizioni di que- sta tecnica. Questa comune è situata fra li seni e col ine del monte detto Gabrig [Gabrk], e per conseguenza vi sono alcune pianure di piccolissima estensione, la più parte poi da campi è prati sopra val i pendenti da una, e l’altra parte di rive e col ine per cui è necessarissimo d’assicurare li campi arativi col ’erezione di muri in sostegno. Que- sta comune giace nel a più infima parte del Carso superiore, e non v’esiste nesun campo sia arativo o prativo che non fosse artifiziosamente eretto, qual ’erezione anzi deve essere per cosi dire ogni 4.to o 5.to anno da bel nuovo rinnovata, men- tre le pioggie e l’impetuosistima bora priva li campi del a terra [...]. La rinnovazio- ne di questi campi consiste nel raccogliere la terra fra li scogli e profondità dove vie- ne portata dal e pioggie e dai venti, e nel separarla dal e pietre, che in certi luoghi viene ritrovata; questa si deve alargare sopra li campi per lo più pendenti sopra rive e col ine [...]. Per cosi dire ogni seconda pioggia reca danno grandissimo a 8 deci- me parti dei campi di questa comune perché giacenti fra rive e col ine, vengono la- vati li sotto giacenti scogli dal a terra e del a grassa in guisa che è necessario di to- sto dopo la pioggia, trasportare dal ’angolo inferiore al superiore la terra condotta via dal a pioggia, mentre diversamente una seconda pioggia disperde affatto la ter- ra che dal a prima fu radunata nel ’angolo inferiore, e li frutti che in parte vengono trattenuti dal e radici, andereberro il giorno susseguente a perire, trascurando la ri- parazione (AST, CF, Štorje, S4). I terreni di questa Comune sono situati parte in pianura, sopra alture scoscese e in profondità cosi dette dol ine, talché per essere mantenuti in stato di coltura ab- bisognano di escavazione di sassi del a creazione di muri di sostegno. E hanno al- tresì dei terreni artifiziosamente eretti mediante accumulazione di terra sopra trat- 2 Per l’area slovena si veda per esempio Križaj Smrdel, 2010. 44 elementi ti, che altrimenti verebbero ad essere affatto sterili [...] . Figura 8. Prato albe- La maggior parte di questi vengono in occasione di piog- rato presso Basoviz- gie dirotte, di gagliardi venti, e del a cosi detta bora forte- za (foto: A. Panjek). mente dannegiati; per la forza del e acque che conduco- no via la terra coltivabile nel e caverne, e nel e profondità, che in seguito al tempo del ’inverno, i rispettivi possessori sono obbligati a farne eseguire in tali situazioni un nuovo trasporto di terra, e ciò accade in una, o nel ’altra parte di questa comune ogni secondo, o terzo anno, ed anesse pi- cole cose ogni anno (AST, CF, Duino, S4) . I terreni di questa comune sono generalmente in situazio- ne montuosa, però la maggior parte di questi sono posti in scoscese alture, di modo che, per esser mantenuti in stato di coltura, abbisognano scavagione di sassi, terrazzamen- to e muri di sostegno, esistono pure dei terreni artifiziosa- mente eretti mediante accumulazione di terra (ASG, C, Opatje selo, S4). Un tipo di destinazione colturale del suolo che costituiva un tipico elemento del paesaggio del Carso era il prato alberato, che consisteva in una superficie erbosa con radi alberi. Si tratta so- 45 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 9. Raccolta prattutto di superfici originariamente ricoperte da bosca- del 'acqua in Carso: una glia più folta, dove la terra era insufficiente per l’agricoltura cisterna (foto: A. Panjek). e furono quindi sistemate per uso di pascolo, conservan- do soltanto alcuni alberi. Lo strato di terra veniva protetto e rigenerato dagli alberi e continuamente spietrato nel cor- so dei secoli, mentre il bestiame eliminava il sottobosco e concimava il terreno. Il risultato combinato di queste prati- che era costituito da un pascolo di qualità migliore, dato che l’erba cresceva su uno strato di terra più profondo. L’esem- pio meglio conservato e più curato di tale tipo di paesaggio è rappresentato dal ’area circostante le scuderie di Lipizza (Moritsch, 1969, 131–133). Una variante del prato alberato erano anche le cosiddette ograde (chiusure) ovvero super- fici cintate che erano in possesso individuale dei contadini, per esempio nel a zona di Duino. Qui l’ ograda era addirittu- ra identificata con il bosco, come se al ’infuori di esse non vi fossero altre superfici boscate. Quando veniva loro chie- sto dei boschi, la risposta era: »essendo poco folti i boschi, osian cosi dette ograde«. La scarsità di boschi e di legname ha portato a recintare degli appezzamenti di prato con qual- che albero nel mezzo del a nuda landa (AST, CF, Duino, S4). 46 elementi Al ’altro capo del ’altipiano carsico, a una maggiore altitudine sul livel- Figura 10. lo del mare, a est e nord-est rispetto a Trieste, accanto al e superfici Raccolta del 'ac- boschive prevaleva il paesaggio costituito da prati e pascoli e dai pra- qua in Carso: ti alberati (Moritsch, 1969, 131–133). uno stagno, Elemento caratteristico del paesaggio culturale del Carso, già Basovizza incontrato in una viva descrizione di Valvasor, erano anche gli stagni (foto: A. Panjek). ( kal, lokev, mlaka). Spesso realizzati artificialmene entro depressioni del terreno rese impermeabili sovrapponendo strati di pietra e ma- teriale argil oso e alimentati dal ’acqua piovana, essi fungevano da ab- beveratoi. Gli stagni erano situati nei vil aggi, nel e loro immediate vi- cinanze e lungo le vie di transito del bestiame condotto al pascolo (Moritsch, 1969, 130–131; Pagnini, 1966, 133). A causa del ’azione com- binata del e condizioni climatiche e geomorfologiche, la necessità e la conseguente esistenza di particolari sistemi di raccolta del ’acqua è del resto tipica dei paesaggi carsici mediterranei in genere (Nicod, 1987, 107). Così, presso le abitazioni rurali e nei vil aggi del Carso si ritrovano inoltre i pozzi, che potevano essere individuali o comuni- tari, ma anche sistemi di raccolta del ’acqua piovana attraverso gron- daie in pietra (Pagnini, 1966, 117, 125). Strettamente legate agli stagni erano le ghiacciaie ( ledenica), in cui il ghiaccio invernale era conservato per tutto l’anno per essere 47 paesaggio culturale e ambiente del carso venduto a Trieste (Pagnini Alberti, 1972; Dolce, Stoch, Palma, 1991). La produzione si dif- fuse soprattutto nel ’Ottocento, quando la crescita urbana di Trieste aumentò la richie- sta di ghiaccio, anche nel ’industria per la conservazione dei generi alimentari. Il ghiaccio che durante l’inverno si formava sugli stagni veniva conservato nel e ghiacciaie, che erano in prevalenza in proprietà di privati, i quali potevano possederne anche più d’una, mentre in misura minore appartenevano a singole comunità. Esistevano diversi tipi di ghiacciaie, da quel e che sfruttavano le condizioni naturali (es. grotte) fino a costruzioni in pietra si- mili al e cisterne per l’acqua, realizzate per lo più sistemando depressioni naturali del ter- reno (es. doline) e dotate di tetto (Belingar, 2005, 341–348). In Carso la terra adatta al ’utilizzo agricolo non solo è poca ma è anche frammista a pietre, che dovevano essere continuamente rimosse dai campi e dai prati. Lo spietra- mento si rendeva tanto più necessario al fine di ridurre a coltura nuove superfici, e co- stituiva quindi uno dei lavori agricoli principali che contribuì notevolmente al a formazio- ne del paesaggio culturale. A causa del ’erosione lo strato di terra andava diminuendo di continuo: per questa ragione i contadini del Carso usavano dire che »le pietre crescono«. In questa comune non vi sono vigne unicamente coltivate a tal uso, e i terreni ara- tivi bensì vengono in parte contemporaneamente utilizzati col a coltivazione del e viti, conviene però a riflettere, che questa coltivazione venne introdotta in tempo in cui vi era meglior strato di terra più profonda, ne così sassoso, com’è presentemen- te […] Sul Carso in generale è ritenuto che le piogge trasportano cogli anni quel a superficie di terra, che poteva rendere qualche vantaggio con la coltivazione (ASG, C, Opatje selo, S4). La consistenza del o strato di terra suggeriva il tipo d’uso agricolo del suolo, men- tre le differenti destinazioni colturali richiedevano diversi gradi d’intensità del lavoro di sistemazione agraria. Dove lo strato di terriccio era più sottile, il terreno era adatto al a creazione di un prato o di un prato alberato. A tal fin era necessario asportare le pietre nel a misura in cui ostacolavano lo sfalcio del ’erba o erano insidiose per il bestiame al pascolo. Ciò signi- ficava raccogliere il pietrame più grosso sparso sul a superficie e spezzare gli spuntoni di roccia affioranti ( čiščenje). La sistemazione di un campo presupponeva un intervento più in profondità ( trebljenje), al fine di ottenere uno strato di terra sufficiente al a vegetazione delle colture e al ’utilizzo di strumenti per la lavorazione della terra, dalla zappa al ’aratro, a seconda delle dimensioni del ’appezzamento e della profondità del o strato terroso. Le colture legnose, per la sua diffusione in particolare la vite, erano quelle che richiedevano la maggiore profondità del dissodamento ( rigolanje): in Carso si raggiungeva il mezzo metro circa. Per la scarsità di terra, la bassa profondità del suo strato e la continua erosione, non era raro che se ne apportasse artificialmente ai campi che ne erano scarni (Gams, 1987, 168–169; Gams, 1991b, 20–28). Del resto abbiamo già avuto modo di constatare come il trasporto e l’aggiunta di nuovo terriccio costituisse una pratica regolare nel ’agri- coltura locale e come i contadini del Carso creassero e sistemassero campi artificiali che abbisognavano poi di una manutenzione altrettanto artificiale. La trasformazione di una dolina al fine di adattarla al ’utilizzo agricolo comportava un particolare lavoro di sistemazione, in seguito al quale essa diveniva una »dolina lavora- ta« ( delana dolina), pronta per essere coltivata. Sul fondo del ’avval amento naturale nor-48 elementi malmente si raccoglie di per sé una maggiore quantità di terra, che costituisce la base del futuro campo, o più spesso campetto. La sistemazione del a dolina consisteva nel o spie- tramento e nel ’abbattimento degli spuntoni di roccia, che dava una pendenza più unifor- me ai versanti. Le pietre erano depositate in una fossa scavata sul fondo del a dolina, che veniva poi ricoperto con la terra in precedenza trattenuta dal e (e tra le) rocce e ricava- ta con lo spietramento. In questo modo il fondo risultava rialzato e livel ato. Dato che le doline sono in genere di forma tondeggiante restringendosi verso il basso con andamen- to conico, l’appezzamento di terreno coltivabile realizzato sul fondo della dolina lavora- ta assumeva la caratteristica forma tondeggiante (Gams, Lovrenčak, Ingolič, 1971, 228– 229; Nicod, 1987, 107–108). Lo spietramento doveva essere ripetuto nel tempo per riparare al e conseguenze del a progressiva erosione o quando si passava a un uso più intensivo del suolo, che ri- chiedeva più terra e una lavorazione più in profondità (Radinja, 1987, 117). La profondi- tà del o strato di terreno va dal e poche decine di centimetri nei prati ai tre metri e oltre nei campi e nel e doline. La quantità di pietrame rimosso nel e operazioni di sistemazione variava in base carattere del suolo e del a sua destinazione colturale, ma era comunque ingente, tra uno e quattro quintali per metro quadro di superficie dissodata (Gams, Lo- vrenčak, Ingolič, 1971, 229, 231; Gams, 1991b, 28). In ogni modo venivano lavorati e coltivati anche campi dotati di uno strato di terra molto sottile. Quando nel ’ambito dei prepara- tivi del catasto franceschino i rappresentanti dei contadini di Duino suddivisero le super- fici arative in base al e proprie considerazioni, espressero la convinzione che i loro campi migliori fossero in verità soltanto »mediocri«. S’aspeta la 1.a classe a quel campo arativo, ed arativo avitato, che situato in pia- nura ed in dolce pendio ha lo strato di terra ad una tale profondità, che arandolo si urta nel sottoposto scoglio nel a terza parte soltanto del a sua estensione, e pel di cui mantenimento necessita ogni decenio circa un nuovo trasporto di terra, soltanto in alcune situazioni per essere soggetto al danno cagionato dal e piogge e dai venti gagliardi [...]. Si può attribuirsi la 2.a classe a quel campo [...] situato tanto prossimamente in pia- no quanto in dolce e ripido pendio, costruito artificialmente e mancante del a ne- cessaria terra coltivabile per cui ogni secondo o terzo anno vi occorre un nuovo tra- sporto di terra in tal i situazioni poi che l’arativo è quasi di continuo a contatto col sasso per cui sono indispensabili i muri di sostegno, che infine sono soggetti al mag- gior danno di piogge dirotte, e venti impetuosi. In questa categoria si contemplano anche le così dette dol ine e tutti quel i campi posti nel e cavità soggetti per la loro bassa situazione al e brine, rugiade, al ’umidità eccessiva ed anche al a totale inon- dazione del e acque (AST, SF, Duino, S/4). Le pietre rimosse dal e superfici agricole venivano raccolte in cumuli ( groblje, det- ti groumasi in Istria), oppure utilizzate per la costruzione di muretti a secco ai margini dei campi e dei prati. I muri in pietra a secco costituiscono uno degli elementi caratterizzan-ti del paesaggio culturale del Carso, per cui dedicheremo loro un’attenzione particolare. Il paesaggio del Carso è, infatti, segnato da una fitta rete di muri in pietra a secco che racchiudono singole superfici e intessono il territorio addensandosi in particolare in prossimità dei villaggi, mentre al ontanandosene le maglie si allargano. Essendo le parti- 49 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 11. Il pae- cel e coltivate di forma prevalentemente irregolare, perché si adegua- saggio culturale no al e irregolarità del suolo, anche l’andamento dei muretti che le del Carso intes- cingono è, di norma, geometricamente irregolare. Tuttavia, laddove la suto di muri conformazione del terreno lo consente, si nota la tendenza a dare al e a secco (foto: chiusure forme più regolari, rettangolari, con muretti ad angolo retto. archivio CMC). Sebbene i muri in pietra a secco costituiscano un elemento caratteriz- zante del paesaggio culturale del Carso, essi non sono una caratteri- stica propria soltanto del Carso o dei paesaggi carsici. Per questo l’e- lemento più originale è rappresentato dalle chiusure circolari attorno al e doline lavorate. In base al a forma ovvero al a tecnica costruttiva è possibile distinguere più tipi di muri: semplici (a corso singolo), doppi (a due corsi, accostati e appoggiati uno al ’altra), oppure a sacco, dove due muri esterni contengono pietrame più minuto. Sulle funzioni dei muretti in Carso sono state avanzate diverse interpretazioni. Pagnini le individua nel ’utilizzo del pietrame rimosso dal terreno, nel delimitare i confini del a proprietà e, in subordine, nel frenare l’erosione causata dal vento (Pagnini, 1966, 133). Moritsch ri- tiene che lo scopo principale dei muretti fosse la protezione del e su- perfici utilizzate intensivamente dal bestiame al pascolo, che le fun- zioni di segnare la proprietà e di limitare l’erosione del suolo fossero d’importanza secondaria e che l’utilizzo del e pietre ottenute dal dis- sodamento permanente venisse da ultimo (Moritsch, 1969, 130). Al contrario, Gams considera i muretti fondamentalmente come un esi- 50 elementi to secondario del dissodamento e quindi innanzitutto una forma di accumulo del pietra- me, che svolge però anche le funzioni di limite tra particel e, di difesa del coltivo dal be- stiame e di segnale del possesso individuale; la loro funzione era quindi »complessa« (Gams, 1991b; Gams, 2003). L’analisi più approfondita appare tuttavia quella proposta da Radinja, il quale ritiene che i muretti a secco fossero »multifunzionali«. La trama dei muri in pietra del paesaggio del »carso chiuso« ( enclosed karst) si sarebbe diffusa con l’avanza- re del disboscamento e del denudamento (e in questo senso i muri costituiscono un »ri- sultato secondario« del ’abbondanza di pietre), mentre in precedenza le chiusure sareb- bero state costituite prevalentemente da recinti di legno. Le differenti funzioni dei muri secondo Radinja comprendevano: il deposito del materiale di risulta del dissodamen- to, la demarcazione dei confini di proprietà e di singole particel e (la più diffusa), la dife- sa dal ’intrusione del bestiame e la regolazione del suo accesso periodico per il pascolo nel ’ambito del sistema della rotazione agricola, lo sbarramento anti incendio e la dife- sa dal ’erosione causata dal vento (questa funzione veniva svolta anche da palizzate in le- gno, appositamente erette) e, infine, nel caso del e scarpate in pietra dei terrazzamen- ti, l’ostacolo al dilavamento causato dal ’acqua. Più in generale, la caratteristica presenza della pietra calcarea nel paesaggio culturale del Carso trarrebbe origine dal processo di denudamento per mano del ’uomo, databile al ’epoca storica, che avrebbe portato alla progressiva scarsità di altri materiali da costruzione, soprattutto del legno (Radinja, 1987, 116–118, 121). Al fine di individuare la funzione dei muri e quindi la ragione per la quale venisse- ro costruiti, possiamo iniziare dal a semplice constatazione che essi erano costruiti con il materiale di risulta del e operazioni si sistemazione e manutenzione del a terra, che era necessario depositare in qualche modo e luogo. Per questo prenderemo in considerazio- ne la quantità di pietre che andavano a comporre il muro. Prescindendo dagli altri possibi- li utilizzi, in Carso erano in uso soprattutto due pratiche di deposito del pietrame rimos- so, i cumuli e i muri. Ammassare le pietre in un cumulo è un’operazione più semplice del a costruzione di un muro e consente al contempo di occupare una superficie inferiore, poi- ché la medesima quantità di pietre riposta in un muro a secco occupa più spazio (Gams, 1991b, 33). Un cumulo di pietra largo e alto due metri e lungo tre contiene per esempio la stessa quantità di pietre come un muro alto un metro, largo mezzo e lungo 24 metri, che occupa però una superficie doppia. I muretti dovevano dunque avere altri vantaggi e motivazioni che ne giustificavano la costruzione. Per questa ragione, nel tentativo di indi- viduarne l’origine e il significato prenderemo innanzitutto in considerazione le loro fun- zioni in diversi casi, a partire dal rapporto con i vicini, la comunità e gli estranei. Dato che in Carso la posizione del e superfici coltivate dipende molto dal e possibilità offerte dal- la morfologia del terreno, i campi, i prati e soprattutto le doline erano di regola discosti l’uno dal ’altro o sparsi nel territorio, per cui non necessariamente erano contigui e con- finanti, tranne nel ’area centrale del e terre coltivate in prossimità dei vil aggi. Sul e terre incolte circostanti, che costituivano gran parte del a superficie agraria, era praticato il pa- scolo. Tali campi, prati e doline lavorate appartenevano di norma a singoli, che le ritaglia- vano entro boschi e lande che spesso erano terre comuni, su cui le comunità di vil aggio avevano diritto di pascolo. Per questa ragione, nei casi i cui si trattava di chiusure isolate, la funzione dei muri è chiaramente individuabile nella protezione del terreno utilizzato in modo intensivo dal bestiame al pascolo sul e circostanti terre comuni del a landa. Ciò 51 paesaggio culturale e ambiente del carso significa che il muro delimitava il terreno in base al a sua destinazione colturale (arativo, prato o boschetto rispetto al a landa), distinguendo al contempo le forme di possesso e uso individuale da quel e col ettive, poiché separava la terra coltivata in possesso indivi- duale dal ’incolto, su cui la comunità di vil aggio esercitava i diritti di pascolo. In questi casi i terrenti cintati erano come del e oasi di terra coltivata in mezzo al ’incolto e, al contem- po, isole di possesso individuale in mezzo ai diritti col ettivi. È qui possibile appoggiarsi al ’ormai classica interpretazione di Bloch, secondo il quale le »caratteristiche materiali« del paesaggio »non erano che il simbolo visibile di realtà sociali profonde«. Ciò non signi- fica che »il sistema a campi cintati avesse carattere individualistico: sarebbe dimenticare che generalmente i vil aggi che praticavano questo sistema possedevano pascoli comuna- li molto estesi [...]. Diciamo piuttosto che il potere del a col ettività si fermava di fronte ai coltivi« (Bloch, 1997, 67–68). Le superfici coltivate situate nei pressi dei vil aggi erano col ocate entro il reticolo di strade, tratturi e sentieri, lungo i quali i muri erano mediamente più alti, perché lungo quel e vie passava il bestiame condotto al pascolo. In questi casi le funzioni dei muri era- no le stesse: la protezione del coltivo dal bestiame e la distinzione del terreno individua- le e coltivato dal a via pubblica e col ettiva. Nel ’area immediatamente circostante i vil aggi, i campi e i prati erano contigui e i muretti che li circondavano potevano fungere da confine tra l’uno e l’altro: in questi casi rivestivano piuttosto chiaramente la funzione di delimitare il possesso privato, poiché separavano un fazzoletto di terra da quel o del vicino. Contemporaneamente poteva- no però delimitare terreni la cui destinazione colturale era diversa, per esempio l’arati- vo dal prato, che richiedevano un differente grado d’intensità di lavoro per la loro siste- mazione e manutenzione. In alcuni casi i muri potevano cingere anche possessi col ettivi, come i prati comu- nali oppure i pozzi nei vil aggi. In questi casi fungevano essenzialmente da barriera che re- golava l’accesso a un bene comune3. Tuttavia, in termini generali, in Carso la presenza dei muretti in pietra con funzio- ni legate al e pratiche agricole aumenta con l’intensità del ’uso del suolo e con il grado di presenza di bestiame nei pressi del e superfici coltivate in modo più intensivo, e dun- que laddove le forme d’uso individuali confinavano con quel e col ettive. In questo sen- so i muri indicano l’esistenza di un certo grado di ‘individualismo’ nel e pratiche agrarie e nel a società rurale in genere, comprensibile se si tiene conto del a scarsità del e superfi- ci coltivabili, che indubbiamente comportava una maggiore dipendenza e induceva un più alto grado di attaccamento ai coltivi. I diritti col ettivi d’uso del e risorse naturali si svol- gevano invece in prevalenza sul e vaste terre comuni, costituite da pascoli e boschi più o meno folti. La funzione dei muri di delimitare il possesso e la proprietà, privati o col ettivi, si dif- fuse con il tempo, in particolare in seguito ai provvedimenti di suddivisione del e terre co- muni. Questo processo di recinzione ha avuto fondamentalmente due fasi, una prima an- cora entro il regime tardo feudale nel Settecento, quando le terre comuni furono divise tra i membri del a comunità e furono contestualmente costruiti dei muri di confine (spes- so piuttosto diritti) tra le nuove particel e individuali nel mezzo del a landa già col ettiva. 3 Questa funzione dei muretti di cinta ancora rilevabili intorno ad alcuni pozzi in Pagnini, 1966, 125 e in Radinja, 1987, 121. 52 elementi La seconda si ebbe invece nel ’ambito del a riforma agraria austriaca (l’esonero del suo- lo) che dopo il 1848 andò abolendo i resti del sistema feudale. Attraverso complessi pro- cedimenti e trattative, da una parte furono liquidate le servitù e ciò che restava del regi- me di sudditanza della popolazione rurale, mentre dal ’altra agli individui e alle comunità fu attribuita la piena proprietà dei terreni sui quali in precedenza gravavano diversi titoli di possesso e usufrutto, caratteristici del sistema feudale. Un esempio. Nel ’ambito degli accordi sul ’esonero del suolo tra la signoria di Duino e le comunità di Repen (Rupingran- de), Opicina e Vrhovlje-Voglje (1864), in merito ai boschi in cui le comunità in questione avevano diritti di pascolo si stabilì tra l’altro quanto segue: tutti gli interessati si impegnano a costruire entro l’anno a metà con il comune di Opicina un muro di pietra a secco di 3 piedi in altezza e 2 in larghezza lungo la de- finenda linea di demarcazione che diverrà linea di confine, diversamente sarà data esecuzione a spese e a rischio del a parte inadempiente. Contestualmente, in seguito al ’accordo di liquidazione dei canoni fondiari, la signo- ria di Duino cedeva, dietro pagamento, il »godimento in proprietà« sugli stessi fondi4. In questi casi l’erezione dei muretti fu dunque richiesta dal e autorità competenti e aveva come scopo esplicito la demarcazione dei nuovi limiti del a nuova proprietà. Ma questi nuovi muri non costituivano più delle chiusure di campi o prati, bensì delle vere e proprie linee di confine che attraversavano la landa e i boschi. Nel ’ambito del e stesse operazio- ni, un abitante di Fernetti fu riconosciuto come proprietario esclusivo del a particel a di terreno prativo circonda- ta da un muro di pietra a secco [ograda], in cambio [della] rinuncia a ogni pretesa sui contesi terreni a pascolo comunale assegnati a Rupingrande. Anche i muri che furono costruiti nel contesto del ’imboschimento del Carso tra la fine del ’Ottocento e il primo Novecento segnavano limiti di proprietà, che in questi casi era spesso pubblica: il comune di Trieste, per esempio, pose lungo i muri che cingevano le sue piantagioni di pino nero dei cippi di confine con il proprio stemma (FVG, 1992; Lago, 1980, 508–510). Questi stessi muri al contempo e in modo altrettanto chiaro delimitava- no le superfici in base al a destinazione colturale, poiché distinguevano le nuove pianta- gioni dai circostanti terreni desolati, in particolare in relazione al pericolo, per le piantine, costituito dal bestiame al pascolo. Sia nel caso dell’esonero del suolo sia dell’imboschimento è comunque possibile notare anche come le autorità pubbliche, fosse lo stato o il comune urbano, abbiano fat- to uso a propri fini di un elemento paesaggistico tradizionale, il muro in pietra a secco. Tra le diverse funzioni che esso svolgeva nel paesaggio culturale, le amministrazioni po- 4 Il seguente passo del ’accordo dà un’idea di quanto fosse complessa la situazione precedente, espressione del sistema socioeconomico tradizionale, e quindi quanto fossero intricate le operazioni in questione: »Le rappresentanze dei Comuni di Rupingrande e Opicina, così come quel a del e località di Vogle e Vrhovlje sono d’accordo che debbano cessare il finora esistente reciproco uso di pascolo da parte del Comune di Rupingrande sui pascoli comunali del Comune di Opicina e da parte del Comune di Opicina sui pascoli comunali del Comune di Rupingrande, come pure il fin qui esistente uso di pascolo da parte del Comune di Rupingrande sui pascoli comunali del Comune di Vogle-Vrhovlje e da parte di quest’ultimo sui pascoli comunali del Comune di Rupingrande«, Archivio di Stato di Trieste, I. R. Luogotenenza, N° 19852/1250 (1862–1865). 53 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 12. Una casetta in Carso (foto: archivio CMC). Figura 13. I muri del e case delimitano la via (foto: archivio CMC). 54 elementi sero l’accento sul a demarcazione dei confini, per cui il muro in pietra del Carso divenne sempre più un segno di confine. Fin qui non abbiamo però ancora trattato una funzione piuttosto diffusa, se non generalizzata, e comunque fondamentale dei muri nel ’agricoltura del Carso: la conser- vazione e la protezione del a terra coltivata dal e condizioni ambientali e dagli influssi metereologici, in molti casi addirittura la sua stessa creazione. In breve, questi muri ren- devano possibile la stessa esistenza del e superfici coltivate, come già ci hanno efficace- mente rappresentato gli omini d’ogni parte del Carso, a Duino sul a costa, a Opatje selo sopra il lago di Doberdò, nella fertile Tomaj come a Štorje, villaggio situato più in altura. Ovunque si rendevano necessari muri di sostegno e di contegno che trattenevano la ter- ra al ’interno del loro perimetro, non soltanto nel caso in cui facevano parte di terrazza- menti, ma anche dove le superfici coltivate venivano sistemate ex novo, apportando ar- tificialmente del a terra sul suolo roccioso. Tali muri proteggevano la terra soprattutto dal dilavamento in caso di forti piogge, mitigando al contempo l’azione erosiva del vento di bora al suolo. Per contro, i muri in pietra a secco attorno al e doline lavorate costitui- vano dei muri di contegno che agivano verso l’esterno, nel senso che impedivano il crol- lo dei margini superiori e il conseguente riversamento di materiale pietroso sul e colture in fondo al a dolina. Dato che le diverse forme d’uso del suolo richiedevano anche un di- verso grado d’intensità dei lavori di sistemazione e manutenzione, nei punti in cui super- fici con diversa destinazione colturale confinavano l’una con l’altra, i muri avevano anche la funzione di barriera tra di essi. Il medesimo muro poteva evidentemente svolgere più funzioni contemporanea- mente, questo era anzi un caso diffuso, se non la regola, per cui i muri in Carso erano effettivamente multifunzionali. Le funzioni erano diverse, alcune avevano un carattere eminentemente pratico, legato al a sistemazione e al a stabilità del a terra coltivata o al a protezione del e colture. Tuttavia il muro poteva svolgere efficacemente la funzione di barriera contro gli animali, in particolare i bovini, solo se era sufficientemente alto, men- tre nei confronti del bestiame minuto, che costituiva la grande maggioranza degli animali al pascolo, non poteva essere sempre sufficiente. Anche per questo è piuttosto evidente che i muri costituivano al contempo un segnale che recava un messaggio indirizzato al e persone: aveva il suo significato per il vicino nel vil aggio, per la comunità rurale, per gli appartenenti al e comunità vicine e non da ultimo per i pastori del a propria o di altre co- munità che conducevano e governavano il bestiame al pascolo, per non menzionare i pas- santi più o meno occasionali. Le differenti funzioni dei muri a secco nel paesaggio agrario del Carso possono quindi essere distinte tra pratiche, come nel caso del a creazione e mantenimento delle superfici coltivate, della loro difesa dal bestiame e della separazione tra diverse colture e modi di coltivazione, e funzioni sociali ovvero culturali, quali la sud- divisione tra colto e incolto, la distinzione tra individuale e collettivo, la demarcazione del possesso (individuale o col ettivo) e la regolazione del ’accesso al a risorsa. A ben vede- re, al a luce di quanto si è esposto, nel ’individuare le differenti funzioni e la loro rispettiva importanza nei singoli casi è necessario tenere conto di più fattori: del luogo in cui i muri si trovano e del a destinazione colturale del o spazio racchiuso e di quel o circostante, del a loro diversa dimensione e struttura e, non da ultimo, del ’epoca in cui furono eretti. Costituiscono un elemento caratteristico del paesaggio culturale del Carso anche le dimore e i ripari temporanei, strettamente legati al e attività agricole e pastorali del 55 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 14. Un tetto ricoperto di lastre di pietra, Šmarje pri Sežani (foto A. Panjek). Figura 15. Campagna fortificata: il tabor di Monrupino/Repentabor (foto: archivio CMC). 56 elementi passato, nonché, per i loro caratteri costruttivi e la col ocazione, ai muretti. Dato il ca- rattere sparso dei terreni coltivati, spesso essi si trovavano lontano dagli abitati. Analoga- mente, il bestiame veniva condotto su aree estese e lontane al a ricerca di pascoli meno magri. In tali casi poteva essere utile disporre di un riparo dal e intemperie e un luogo co- perto in cui riporre gli attrezzi. I ricoveri del Carso, detti hiška (casetta), richiamano nei loro caratteri costruttivi e funzionali le casite istriane e numerosi altri tipi di dimora temporanea diffusi in area mediterranea. Il materiale costruttivo è costituito dal a pietra cal- carea, la forma interna è circolare mentre quel a esterna può essere quadrata o rettan- golare, il tetto è a falsa cupola, il piccolo ingresso è posto al riparo dal a bora. In base al a classificazione della Pagnini, sul Carso triestino sono presenti tre tipi di casite. Uno è inserito nel o spessore del muro carsico ed è frequente nel e aree coltivate, quindi nei murei intorno al e doline e ai campi. Un secondo tipo è col ocato nel punto d’incrocio tra due muretti o è appoggiato agli stessi ed è quindi sporgente. Il terzo è invece costituito da co- struzioni isolate ed è diffuso »nel e zone dei vecchi pascoli comunali«. Le casette del Car- so sono, per la maggior parte, di fattura e dimensioni più modeste di quel e istriane (Pa- gnini, 1966, 126–132). La ragione di ciò va individuata innanzitutto nel a diversa qualità del materiale costruttivo, in particolare nel a disponibilità di pietre di forma piatta, che con- sentono l’edificazione di strutture circolari e di tetti a falsa cupola (Gams, 1991b, 92). Ne- gli ultimi anni l’interesse per le casette carsiche e più in generale per le tecniche di costru- zione dei muri in pietra a secco è notevolmente aumentato, portando a una conoscenza più dettagliata del e tipologie e tecniche costruttive (Belingar, 2014). Passando ai centri abitati, si nota che la pianta dei vil aggi del Carso è agglomerata e irregolare, con vie strette e tortuose, il cui andamento segue la morfologia del terre- no e contribuisce a smorzare l’intensità del e raffiche di bora. Le strade sono delimitate dai muri dei cortili e dal e pareti esterne posteriori del e case. La casa rurale del Carso è in pietra e, a seconda del tipo e del ’epoca di costruzione, dispone del solo pianterreno o è a uno o due piani con, in alcuni casi, un sottotetto praticabile. Il rustico può fare par- te del ’abitazione o costituire un edificio a sé stante, creando una corte ( borjač) delimita- ta dagli edifici stessi e da muri sufficientemente alti da impedire la vista dal ’esterno, che la riparano al contempo dal a bora. Vi si accede da un ingresso a portale, i cui esempi con- servati risalgono per lo più al ’Ottocento. In origine il tetto era prevalentemente di paglia, sostituito in seguito da quel o in lastre di pietra, mentre la copertura di paglia si è conser- vata più a lungo per le stal e e i rustici. Per quanto riguarda la tipologia, la casa rurale del Carso è stata classificata come »carsico-mediterranea«, con analogie con l’architettura rurale friulana, ma anche semplicemente »architettura carsica«. L’architettura in pietra del Carso è caratterizzata dal fatto di dare l’impressione di una completa fusione con il territorio, con il quale compone un’immagine unitaria del paesaggio culturale del Carso.5 Questa ricostruzione corrisponde in buona parte al e descrizioni riportate nel pri- mo capitolo, sebbene oltre alle piccole dimensioni delle case e dei villaggi bisogni ricor- dare le affermazioni di Valvasor di fine Seicento, secondo il quale i vil aggi del Carso era- no relativamente grandi, mentre già al ora alcune case erano coperte di lastre di pietra. Anche dal e raffigurazioni qui riprodotte e tratte da Valvasor (1689) e da Capellaris (1752), si rileva come nei borghi di una certa importanza quali S. Daniele e Senožeče, ma anche 5 Pagnini, 1966; Fister, 1999, 251–260; Lah, 1999, 260–271. Sul a casa carsica e sul ’uso del a pietra nel ’architettura vernacolare si vedano anche Ciglič 1993 e Renčelj, 2002. 57 paesaggio culturale e ambiente del carso Branik sotto il castel o di Reifenberg, coesistessero effettivamente case rurali di diverse dimensioni e costituite da uno o più piani, ma si tratta di abitati e borghi particolari, situati presso castel i. Le coperture mutarono nel tempo, passando progressivamente dal tetto di paglia a quel o in pietra fino al e »tegole carsiche« in terracotta (Fister, 1999). È comun- que ragionevole presumere l’esistenza di differenze tra centri maggiori e minori, come pure tenere conto della stratificazione della società contadina, e quindi sulla differenzia- zione al ’interno del a popolazione del e campagne che si rispecchiava anche nel tetto che aveva sopra la testa. Il catasto franceschino mostra come intorno al 1830 la maggioran- za del e case d’abitazione in Carso fosse coperta di lastre di pietra, mentre i rustici di re- gola avevano tetti di paglia. Al ora prevalevano le case »basse«, costituite dal solo pian- terreno (AST, CF). Dal punto di vista del model o insediativo e del ’edilizia rurale, un elemento carat- teristico del paesaggio culturale del Carso è costituito dal e fortificazioni rurali dette ta- bor. La loro origine va individuata nel a necessità di difesa al ’epoca del e maggiori incur- sioni turche provenienti dai Balcani, cui la popolazione rurale rispose, in particolare tra la seconda metà del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, con diversi tipi di fortificazio- ne, tutte dette tabor: semplici rifugi nel a roccia, torri di guardia, chiese cinte da muri, fortificazioni presso i castel i, centri abitati completamente fortificati. I tabor erano generalmente posti in cima ad alture, in luoghi panoramici, mentre i vil aggi erano situati negli avval amenti, presso ogni zona di terreno un po’ più fertile. Per questo è possibile sostenere che con la loro costruzione tra la fine del medioevo e gli inizi del ’età moderna si sia riaffermato il doppio e paral elo sistema insediativo sui col i e nel- le val i, presente nel paesaggio culturale del Carso al più tardi dal ’epoca romana, costi- tuendo quindi un tratto paesaggistico di lungo periodo (Slapšak, 1999, 145–163). Essi era- no invero presenti non solo in Carso, ma su gran parte del territorio del ’odierna Slovenia e del a Carinzia e Stiria austriache (Fister, 1975, 292–309; Ebner, 1954). Analogie sono ri- scontrabili anche con le fortificazioni rurali del vicino Friuli, dette centa).6 Due begli esempi di abitati fortificati del Carso, S. Daniele e Škocjan, sono qui riportati nel e raffigurazio- ni di Capellaris e Valvasor (Figura 4, Mappa 14). Oltre alle funzioni difensive all’origine della loro costruzione, i tabor assunsero in se- guito un ruolo piuttosto importante nel a realtà socioeconomica rurale e in particolare nel ’attività commerciale che percorreva le campagne slovene (Grafenauer, 1962). In età moderna, i traffici commerciali condotti dal a popolazione rurale erano importanti e vi- vaci anche in Carso. In quanto siti sicuri e fortificati, i tabor divennero così ben presto anche il luogo dove, in caso di necessità, i contadini del circondario mettevano al sicuro le proprie scorte (grano, vino e bestiame), come attestato nel 1606 dal conte Filippo di Ko- benzl, futuro signore di S. Daniele, che ne descrisse il tabor ( Taber), seppure con l’interesse a sminuirne il ruolo. Questo luogo non è un piccolo borgo di mercato ma un vil aggio, nel quale i suddi- ti […] che abitano nei vil aggi circonvicini hanno baracche e cantine nel e quali per maggior sicurezza portano il vino e il grano che loro stessi producono, come in mol- ti altri luoghi di questo tipo sul Carso e nel a Pivka. 6 Degrassi, 2002. Vedi anche Colombo, 2002, 285–322. 58 elementi La grande diffusione dei tabor, nel e diverse tipologie, fa sì che da questo punto di vi- sta il paesaggio culturale del Carso avesse il carattere di una ‘campagna fortificata’. Oltre al e fortificazioni rurali vi erano naturalmente anche i castel i, che parimenti non costituiscono una specificità del Carso, ma fanno comunque parte del suo paesaggio. 59 Mutamenti Tra la fine del medioevo e la prima guerra mondiale il paesaggio del Carso ha attra- versato diversi mutamenti. Alcuni caratteri hanno conosciuto dapprima un’espan- sione e quindi arretramento, per altri il movimento è stato inverso, in alcuni casi invece si sono mantenuti sul lungo periodo. Tutti questi cambiamenti sono avvenuti in stretta relazione con le dinamiche economiche, sociali, demografiche e culturali del Car- so, ma anche di carattere più ampio. Per osservare più facilmente i mutamenti posteriori, iniziamo questa indagine sulla dinamica storica del ’evoluzione del paesaggio dai rapporti agrari e dall’agricoltura in età moderna. Dal punto di vista politico-amministrativo tra il Cinquecento e il Settecento il Car- so era in parte compreso nel a contea di Gorizia, in parte nel ducato di Carniola e in mi- sura minore apparteneva al territorio di Trieste, mentre verso il Friuli a ovest e l’Istria a sud confinava con la Repubblica di Venezia. Tuttavia il carattere di frontiera di questo ter- ritorio non si esauriva nel ’appartenenza statuale, ma si esprimeva anche in ambito eco- nomico, sociale ed etnico. Riguardo al ’ambito commerciale ci limiteremo a osservare che il Carso costituiva l’entroterra del ’Adriatico nord-orientale, in particolare del e città asburgiche di Trieste e Gorizia e di quel e venete di Capodistria (Koper) e Pirano (Piran). Le campagne erano attraversate da flussi commerciali transfrontalieri tra l’area austria- ca e ungherese da una parte e quella italiana e adriatica dal ’altra. La popolazione rurale vi si inseriva con attività di trasporto, traffici e contrabbandi, intrattenendo al contempo rapporti con le piazze di Gorizia, Trieste e Capodistria. I contadini erano quindi coinvol- ti negli scambi commerciali a lunga distanza e avevano contemporaneamente legami con il mercato locale, sia urbano sia rurale (Gestrin, 1991; Panjek, 2002). Un elemento importante del carattere di confine di queste terre investiva la strut- tura agraria, che nel a Carniola e nel a contea di Gorizia si differenziava in modo piutto- sto netto da quel a prevalente nel Friuli, tanto austriaco che veneto, nel territorio di Trie- ste e nel ’Istria veneta. In Carso, nel a parte superiore del a val e del Vipacco e nel ’alta val e del ’Isonzo l’ordinamento economico e amministrativo era segnato da signorie fon- diarie e giurisdizioni territoriali piuttosto estese. Il grande possesso fondiario era in ge- nere legato a competenze giurisdizionali, sicché i detentori delle giurisdizioni territoriali erano al contempo anche i maggiori signori fondiari del ’area. In alcune zone più prossi- mutamenti 61 paesaggio culturale e ambiente del carso me ai centri urbani il possesso signorile era più frammentato, come nel ’ambito del a giu- risdizione di Castelnuovo del Carso (Novi Grad; Vilfan, 1980a, 200) o nei vil aggi del a si- gnoria di Duino più vicini a Trieste (Panjek, 1997). Signorie fondiarie più frammentate e di dimensioni più contenute, che prevalevano per esempio nel a Carniola (Gestrin, 1991, 39, 72), nel ’area del Litorale erano concentrate soprattutto nei dintorni di Gorizia e Trieste. La popolazione rurale deteneva le aziende agricole in locazione, che era perpetua di fat- to o anche di diritto nel caso in cui il possesso si basasse sul Kaufrecht, poiché ne sanci- va formalmente l’ereditarietà e l’alienabilità. Tale situazione era, nel e sue linee generali, propria a buona parte del e regioni dell’Austria Interiore. Nelle signorie del Carso erano dunque presenti entrambe le forme principali di possesso del e aziende agricole, come altrove nel ’area slovena e in genere dell’Austria Interiore, l’enfiteusi e il Kaufrecht. Anche nel Litorale la camera erariale si adoperò, tra il Cinque e il Seicento, in favore del passaggio dal ’enfiteusi al Kaufrecht, ma con successo solo parziale. In tutte le signorie già al ’atto del e revisioni degli urbari negli anni Settan- ta del Cinquecento gli stimatori camerali tentarono di convincere i contadini di accettare tale trasformazione, garantendosi in tal modo anche sul piano legale l’ereditarietà e l’a- lienabilità del e loro aziende. Il cambiamento del a forma del possesso, che richiedeva il pagamento di un corrispettivo, fu ampiamente accolto nella signoria del Vipacco. Altro- ve, invece, negli anni 1615–1637 i commissari constatarono nuovamente che la popolazio- ne contadina si rifiutava »con pervicacia« di acconsentire a tale passaggio, mentre nel- la signoria del Vipacco gran parte del e aziende già erano posseduto in base al Kaufrecht. Non è invero da escludere che la resistenza contadina non rappresentasse l’unico osta- colo. L’impressione è, anzi, che anche i signori fossero contrari al ’operazione, una posi- zione comprensibile considerando che con essa la camera erariale interferiva nel e forme del possesso e quindi nei rapporti sociali al ’interno del a signoria, andando al contempo a incidere nel e saccocce dei contadini oltre che sui futuri redditi dei signori, che percepi- vano dei tributi dalle compravendite e dai passaggi ereditari dei terreni. Tuttavia, con tutta probabilità le cause per la pervicace resistenza al passaggio di status vanno individuate nei contadini stessi, derivando in alcuni casi dal ’entità relativa- mente modesta dei tributi sui passaggi di possesso ma, più in generale, dal a loro povertà e dal a scarsa fertilità del territorio carsico, come loro stessi adducevano, e soprattutto dal fatto che in pratica già potevano disporre del e aziende possedute in enfiteusi come se le detenessero in base al Kaufrecht (Vilfan, 1980, 431–435). Bisogna, infatti, considerare che l’ereditarietà del possesso costituiva un dato di fat- to se non di diritto. La lunga durata del possesso infonde la convinzione che esso sia du- raturo e, del resto, nel mondo rurale europeo era diffusa la mentalità in base al a quale le situazioni e le azioni erano giuste e giustificate qualora fossero fondate sulla consuetudi- ne ovvero sul a memoria, sul a tradizione: la validità era riconosciuta a ciò che era »a me- moria d’uomo«. Pur possedendo la terra in locazione e non in base al Kaufrecht, il con- tadino la percepiva come propria, la acquistava, la vendeva, la scambiava, la assegnava. Nei casi in cui la documentazione relativa al e stime del e signorie del Carso lo consen- te, è in effetti possibile constatare l’esistenza di vivaci transazioni con la terra tra i suddi- ti. Le locazioni di carattere enfiteutico prevalevano nella maggior parte delle signorie del Carso (Reifenberg, Schwarzenegg, S. Servolo, Duino; StLA, Hofkammer, 90, 11; 91, 13). Il mercato del a terra tra sudditi comunque si svolgeva a prescindere dal o status lega- 62 mutamenti le della forma di possesso e anche violandolo (si pensi al a suddivisione dei masi registra- ta e a quel a nascosta). Al ’atto del e transazioni, i contadini verosimilmente tendevano a evitare, nel a mi- sura del possibile, di pagare i corrispettivi al signore e ciò contribuisce al fatto che dai do- cumenti d’archivio non siano sempre evidenti gli effettivi rapporti di possesso. Gli urbari, le stime e la rimanente documentazione rivelano quei casi di divisione dei masi che erano resi pubblici dal fatto che erano stati dichiarati e quindi registrati: così si riscontrano men- zioni di mezzi masi, quarti di maso e così via. I tributi dovuti al e signorie nei primi decenni del Seicento indicano piuttosto chia- ramente come la situazione variasse di caso in caso in misura anche consistente. I fatto- ri principali del e specificità locali traevano origine da una parte dal e condizioni naturali e dal a col ocazione geografica, dal ’altra dai diritti e dal e competenze relative a ogni sin- gola signoria, area e vil aggio. Qui ci soffermeremo sui tratti comuni. Uno dei più eviden- ti è costituito dal ’elevato grado di concentrazione del possesso e dei diritti, e quindi del potere, nel e mani dei detentori del e signorie (censi, tributi per le terre comuni, i disso- damenti e i vigneti, decime, tasse giudiziarie e competenze fiscali), soprattutto laddove le signorie erano più estese (Duino, Reifenberg, Schwarzenegg).1 Tratti comuni sono riscontrabili anche nel a composizione del a rendita in natura delle signorie. Ovunque tra i cereali prevalevano il frumento e l’avena, laddove le condi- zioni lo consentivano, anche il vino e il bestiame minuto rivestivano un ruolo importante. L’indirizzo preferenziale dei tributi verso il frumento, l’avena, il vino e il denaro si realiz- zava sia attraverso i consueti censi e decime, sia con una pressione selettiva verso que- sti stessi generi e la diffusione del e relative colture. Tuttavia, l’agricoltura in Carso aveva un carattere policolturale, rispecchiato chiaramente dalla variegata composizione del e decime, legata alle necessità alimentari della popolazione contadina e al e condizioni am- bientali particolarmente difficili. Ciò nonostante il frumento e l’avena probabilmente pre- valevano anche nei campi, sia in conseguenza del e richieste del signore, percettore del a rendita, sia perché insieme al vino rappresentavano un’opportunità commerciale anche per il contadino, nel a misura in cui rimanevano disponibili una volta assolte le varie gra- vezze. Ad ogni modo l’agricoltura in Carso era piuttosto scarsa, dato che l’ammontare complessivo del e rendite in natura di tutte le signorie del Carso, che costituiva buona parte del surplus realizzato, non era sufficiente a coprire il fabbisogno di grano e vino di neanche una del e piccole città vicine, come Trieste e Gorizia (5.000 abitanti circa). Con- temporaneamente, per lo meno gli strati più poveri del a popolazione rurale, con il pro- prio raccolto netto non raggiungevano il livel o di sussistenza. Nel ’ambito del ’al evamento prevaleva il bestiame minuto. Sul a base dei tributi è possibile desumere che nel a prima metà del Seicento nel ’area litoranea fosse diffuso so- prattutto l’allevamento delle capre, mentre nelle zone interne del ’altipiano prevaleva- no le pecore. Dal punto di vista economico l’al evamento del bestiame minuto integrava l’attività agricola, anche indirettamente attraverso la trasformazione artigianale dei suoi prodotti in forma di formaggio e di lavorati e semilavorati di lana e pel ame. I maiali era- no al evati anche con il sistema del pascolo libero (ghiande). 1 Entro l’ambito di queste giurisdizioni territoriali esistevano anche altri signori fondiari, mentre le signorie menzionate detenevano terre anche al di fuori del territorio di propria giurisdizione. 63 paesaggio culturale e ambiente del carso Con la coltivazione di frumento, avena, segale, orzo, sorgo, spelta, miglio, sarace- no, legumi, cappucci e altre verdure e, dove possibile, anche di vino, soprattutto terra- no, oltre che con l’al evamento di caprini, ovini, maiali e pol ami, l’agricoltura era tesa a coprire le necessità alimentari di base del a popolazione. Con molta probabilità gli avvi- cendamenti colturali seguivano diverse sequenze. In Carso e nel a vicina val e del Vipacco fino agli anni ’30 del Seicento il mais ancora non compariva tra i tributi (Panjek, 2004). La sua diffusione procedeva provenendo dal Friuli, dove al ora già si era affermato, mentre in Carso probabilmente ancora non si era fatto strada tra le seminagioni, sebbene come nuova coltura fosse destinato ad acquisire un ruolo importante nel ’agricoltura e nel ’a- limentazione popolare.2 Nel e regioni slovene, già entro la metà del Cinquecento si era invece affermata un’altra nuova coltura di rilievo e dal carattere di alimento popolare, il grano saraceno (Gestrin, 1991, 224), che però, nel ’area qui esaminata, nei primi decenni del Seicento si riscontra soltanto tra i tributi del e signorie di Duino e del Vipacco e anche qui in misura appena percettibile. Ciò suggerisce che il processo d’inclusione del e nuove colture tra i tributi poteva durare a lungo, soprattutto per i raccolti dal valore commer- ciale contenuto, qual era al ora anche il mais. L’indirizzo policolturale dell’agricoltura non lasciava molto spazio alla specializza- zione, sebbene se ne possano cogliere dei segnali nel ’ambito del a vitivinicoltura, in par- ticolare nel e zone che consentivano di sfruttare condizioni ambientali favorevoli al a produzione del vino bianco, soprattutto nei pressi di Trieste. Tracce di specializzazione possono essere individuate anche nel ’al evamento del bestiame minuto, poiché era fon- dato sul o sfruttamento del e superfici a pascolo di qualità mediocre, caratteristiche del territorio carsico. Tuttavia nel caso del a viticoltura si trattava di un’agricoltura indirizza- ta in senso più intensivo, mentre nel ’al evamento del bestiame minuto di un uso estensi- vo del e risorse ambientali. Al più tardi nel a prima età moderna si fece palese il processo di frammentazione del e aziende agricole. Così è possibile stimare che nel a comunità di Sgonico nel 1570 i masi interi disponevano di una quantità di arativo tra i 2,3 e i 5 ettari, un mezzo maso ave- va 3,6 ha di terra, mentre a un quarto di maso ovvero a una kajža ( Keuschler, Korb) apparteneva soltanto un ettaro scarso (Panjek, 1997, 47–52). La frammentazione dei masi non era però sempre visibile ed evidente dal ’esterno, e quindi dal a registrazione ufficia- le del e aziende come frazioni di maso. Il frazionamento poteva, infatti, rimanere nasco- sto: sebbene le aziende agricole negli urbari mantenessero la loro unità formale, di fatto erano abitate e coltivate da più nuclei famigliari. I commissari camerali che nel 1624 cu- rarono le operazioni di stima del e entrate e del valore del a signoria di Reifenberg, evi- denziarono come molti dei masi fossero »occupati da quattro, cinque e più sudditi«. Ne- gli stessi anni, a Schwarzenegg (1620) un’analoga commissione annotò che degli intestatari registrati nel precedente urbario nessuno era più in vita, che alcuni masi erano da al ora »passati di mano tre o quattro volte« e infine che »la maggior parte di essi sono stati sud- divisi in alquante parti«. Una voce camerale quasi contemporanea (1637) constatava nel- la signoria di Duino un »aumento dei sudditi e residenti della giurisdizione in questi anni passati« e anche in questo caso i masi erano occupati da »quattro, cinque e più« capifa- miglia (Panjek, 2002, 51; Panjek, 2004, 34). 2 Sul periodo del a comparsa e del a diffusione del mais nel Litorale sloveno e in Friuli si vedano Britovšek, 1964, 210–211; Moritsch, 1969, 74–75; Gestrin, 1991, 38; Fornasin, 1999, 21–42. 64 mutamenti Il processo di frazionamento continuò sul lungo periodo. Se nel 1494 l’urbario del a signoria di Duino registrava a Tomaj 19 masi interi, nel 1756 le erano tributarie ben 56 fra- zioni di maso. Nel 1827 esistevano a Tomaj ancora soltanto due masi interi, il resto erano frazioni (mezzi, quarti, ottavi); i più numerosi erano i quarti di maso. Quel i interi dispo- nevano di 7 o 8 ettari di arativi e vigneti e 10 ovvero 14 ettari di prati, boschi e pascoli. Le aziende più piccole (ottavi di maso) disponevano invece in media di mezzo ettaro di cam- pi e vigne e tra i due e i tre ettari di altre superfici colturali (Moritsch, 1969, 73). Parallel elamente alla graduale frammentazione dei masi si svolse un altro processo, la fondazione di nuove aziende agricole, dette kajže, caratterizzate dal fatto che in preva- lenza avevano a disposizione superfici colturali più ristrette. Oltre a queste andava com- parendo uno strato sociale di popolazione quasi senza terra, i sottani ( gostači, Untersas-sen). Verso la fine del Cinquecento e agli inizi del Seicento entrambi questi strati sociali di recente formazione e di più bassa condizione erano già divenuti piuttosto numerosi: nel 1624 nel a signoria di Reifenberg furono conteggiati 249 masi e 524 kajže, mentre in quel- la di Duino (1637) a fronte di 273 masi vi erano un centinaio di kajže.3 Accanto alla frammentazione delle aziende agricole esistenti e alla fondazione di nuove, nel corso del ’età moderna e nel ’Ottocento andarono progressivamente allar- gandosi le superfici coltivate. Al fine di soddisfare il bisogno di nuove terre, i contadini del Carso dissodavano nuovi terreni su suoli via via meno fertili (marginali), che richiede- vano una crescente entità di lavori di sistemazione e sempre nuovi muri in pietra. Dato che l’ampliamento del e superfici coltivabili avveniva anche con il dissodamento di nuo- ve doline in mezzo al a landa, le doline lavorate e cintate divennero un elemento sem- pre più presente nel paesaggio culturale del Carso.4 Questo processo può essere segui- to dal Cinquecento fino al ’Ottocento incluso e, nel ’area del Litorale sloveno, è possibile riscontrargli un paral elo almeno nel Tolminese; anche qui nel Seicento e nel Settecento il dissodamento di nuovi campi e prati ( novali) avveniva su terre comuni (Panjek, 2002). È difficile immaginare che un processo tanto esteso e prolungato di dissodamen- to delle terre comuni (landa), utilizzate collettivamente dalle comunità rurali, possa es- sere avvenuto senza che i vicini ne fossero a conoscenza. Verosimilmente le iniziative ve- nivano quindi concordate al ’interno del e comunità, sebbene ciò non significhi che non vi fossero conflitti. Le società rurali tradizionali erano conflittuali, le dispute avvenivano sia tra i vicini al ’interno del a comunità sia tra comunità vicine. In quest’ultimo caso a es- sere oggetto del e dispute erano spesso proprio i diritti d’uso col ettivo del e terre co- muni e i dissodamenti al loro interno, in particolare lungo i confini tra comunità o giuri- sdizioni. Una bella rappresentazione grafica di un simile conflitto è costituita dal disegno del e quasi trenta doline lavorate che nel 1771 i membri del a comunità di Tomaj distrus- sero lungo i confini del proprio territorio a danno dei contadini del e signorie di Duino e Schwarzenegg (Mappa 11). La crescente pressione sul a terra testimoniata da questi sviluppi può essere com- presa al a luce di una progressiva crescita del a popolazione, sebbene tranne questi indi- catori più o meno indiretti non vi siano ancora dati demografici attendibili. Un altro fat- 3 Panjek, 2004. Come già detto, bisogna tenere conto del fatto che la maggioranza dei masi era in verità abitata da più nuclei famigliari. 4 Nel a signoria di Duino si nota, per esempio, un numero crescente di doline coltivate e cintate nel mezzo del a landa (Luchitta, 2005, 22–23). 65 paesaggio culturale e ambiente del carso tore che avrebbe potuto creare il bisogno di nuova terra è un decremento, temporaneo o più duraturo, delle fonti di reddito extra agricolo, con cui la popolazione delle campa- gne integrava i proventi dei raccolti. Sono infatti numerose le fonti che testimoniano come la popolazione del Carso si dedicasse anche ad altre attività, oltre al a coltivazione dei campi, dei vigneti e al ’al eva- mento. Poiché con il tempo lo strato di popolazione rurale senza terra sufficiente per vi- verne andava aumentando, spesso era necessario attingere a redditi aggiuntivi in settori non agricoli. Oltre al lavoro salariato nel e campagne, per molti l’artigianato, il commer- cio, il trasporto, i traffici e il contrabbando costituivano attività quasi obbligate, in parti- colare dove le condizioni per l’agricoltura erano più difficili e più consistenti erano i flus- si mercatili. L’ampiezza e la forma del e attività extra agricole naturalmente mutarono nei secoli, ampliandosi e restringendosi. Tuttavia, la polverizzazione delle unità agricole contadine con buona probabilità non va interpretata soltanto come una causa del e attività in ambito non agrario, ma an- che come una conseguenza del ’esistenza di tale opportunità. La possibilità di ottenere redditi extra agricoli, infatti, consentiva la polverizzazione, per cui questi redditi erano strutturalmente integrati nell’economia contadina. In Carso non siamo quindi di fronte a un’azienda contadina autosufficiente e autarchica, ma a un’economia contadina piutto- sto aperta, nel a quale i contadini traggono redditi anche da attività esterne al a propria azienda, in diversi settori economici, e che per questa ragione possiamo definire »eco- nomia contadina integrata«. In una situazione connotata dal a prevalente staticità dei rapporti sociali e del e ca- pacità tecniche, caratteristica del a maggior parte del ’agricoltura europea e anche del Carso in età moderna, la crescita del a popolazione causava un aumento del a pressio- ne sul e risorse economiche e ambientali. In ambiente carsico ciò può portare a intac- carle (Gams, 1991b). Più o meno fino al Trecento il Carso triestino probabilmente an- cora disponeva di boschi relativamente consistenti, poiché negli antichi statuti cittadini sono menzionati, tra gli altri, i boschi del a Vena, situati sul ciglione carsico sopra la città, protetti dal e disposizioni statutarie e sottoposti al control o di guardiani. Nei boschi co- munali, e in quel i privati confinanti, erano proibiti sia il taglio sia il pascolo, in particola- re del e capre che vi arrecavano i danni maggiori. Fu però proprio a partire dal Trecento che venne progressivamente al entata la tutela del patrimonio boschivo comunale tanto nel ’immediato circondario del a città quanto nel a parte di Carso che rientrava nel terri- torio triestino. Verso la metà del secolo, ad esempio, si decise di concedere ampie por- zioni di boschi comunali del a Vena per il dissodamento e il pascolo. Un secolo e mezzo più tardi i boschi del territorio comunale avevano già subito decurtazioni sufficienti, per- ché Massimiliano I nel 1507 concedesse ai triestini il taglio del e querce nei boschi del e si- gnorie di Duino, Postojna, Reifenberg e Schwarzenegg. Gli statuti del 1550 confermarono che i provvedimenti di tutela venivano al entati, stabilendo che »ogni cittadino od abitan- te di Trieste, tutti i mulattieri e tutti i macel ai potranno in tutti i boschi del comune ta- gliare erba e legna, e pascolare, e fare quant’altro può farsi in luogo pubblico« (Panjek G., 1980, 274–275; Lago, 1980, 508). Il fatto che nel 1507 si consentisse ai triestini di sfruttare le risorse boschive entro le signorie del Carso con tutta probabilità significa che al ’interno del ’altipiano ancora sus- sistevano boschi sufficientemente consistenti e in particolare legna di quercia. In base al e 66 mutamenti notizie ricavabili dal e operazioni di stima del e signorie del Carso, si può ritenere che nel- la prima metà del Seicento i boschi più consistenti si trovassero nel a parte sud-orientale del ’altipiano carsico (nei pressi dei Brkini), mentre nel a parte nord-occidentale (signorie di Duino e Reifenberg) fossero più ridotti. Nel a signoria di Reifenberg nel 1572 sono se- gnalati alcuni boschi dominicali: oltre a un bosco di querce presso Vipavski Križ, e quindi non sul Carso, il bosco »Kreplach«, uno a »Gabroviz«, un’altro querceto »quasi distrut- to« e altri due a esclusivo uso del castel o. Nel 1624 nel a stessa signoria non è menzio- nato alcun bosco dominicale, ma è segnalato il pagamento del legnatico per l’utilizzo del bosco Pliskovski dol. Nel a signoria di Duino (1637) vengono stimati alcuni boschi, ma senza segnalare quali. Per quanto riguarda il Carso sud-orientale, invece, nella signoria di Schwarzenegg (1618) sono elencati una foresta ( Forst) verso Rodik, un bosco »verso il Carso«, uno di querce e faggi a Barka, più i boschi di Corgnale, Povir e Sesana in Carso. Nel a signoria di Senožeče (1615) viene fatta menzione solo del bosco »Kembschüz«. En- tro la signoria di S. Servolo (1620) sono elencati un bosco presso »Mislech und Weckha«, il bosco Brda sotto il castel o e i boschi Jelovica, Draga, Srebotnik e Zobnik.5 Da queste menzioni è tuttavia difficile desumere la qualità e il carattere paesaggistico di tali boschi. Ancora un secolo più tardi, una commissione incaricata di valutare la consistenza dei boschi del Litorale austriaco (1724) segnalava nell’entroterra triestino la relativa scarsità di querce di una certa consistenza e rilevava alcune pratiche dannose che ostacolava- no il rinnovo. Il pascolo del e pecore e del e capre e lo sfalcio danneggiavano le piante gio- vani, i contadini praticavano il taglio dei cimali e dei rami che utilizzavano come foraggio e legna da ardere, la legna era utilizzata anche per la produzione di calce e carbone. An- che in quest’epoca le risorse forestali erano più consistenti nel Carso orientale e sud-o- rientale6. Una situazione analoga è testimoniata dal a carta del ’utilizzo del suolo nel ter- ritorio del comune di Trieste di Baldé del 1854, dalla quale appare evidente come l’unica superficie boschiva compatta e di una certa consistenza esistente a quel ’epoca nel ’en- troterra carsico di Trieste si estendesse tra i vil aggi di Basovizza, Gropada, e Corgnale, comprendendo l’area di Lipizza. Da quanto riportato è comunque possibile dedurre che i principali nuclei boschivi resistettero nei secoli del ’età moderna, mentre si diradarono le menzioni del e superfici boscate minori. I fattori che in quest’epoca influirono sul diboscamento del Carso erano dunque diversi, dal a sistemazione di nuove superfici coltivate al e pratiche dannose al rin- novo dei boschi, in particolare legate al ’al evamento. Contemporaneamente anche Trie- ste, come centro urbano e portuale, creava una domanda di legna da ardere e legname da costruzione. Al fine di soddisfare il proprio fabbisogno, dalla fine del medioevo la cit- tà andò ampliando il suo bacino di sfruttamento del e aree boschive, al argandolo al ’alti- piano carsico, sempre più oltre i confini comunali, dopo aver consentito sul proprio ter- ritorio un largo sfruttamento e dissodamento dei boschi. La progressiva rarefazione del manto boschivo portò in Carso al ’espansione di un paesaggio spoglio e brul o. Così nel e zone più densamente popolate i boschi apparivano soltanto come delle isole sparse sulla 5 SLA, IOHKS, b. 90, ff. 10–11 e b. 91, ff. 12, 15 e 18 e b. 113, f. 7. Valvasor (1689) dei boschi del Carso menziona invece soltanto quel o di S. Servolo. 6 Nei dintorni carsici di Trieste vi erano al ora i boschi »Fernedo« (Fernetti), Rodik, »Gradischiza« (presso Basovizza), Lipizza, uno intorno ai vil aggi di »Draga, Ocisla e Beca« (Draga, Ocizla, Beka), »Scoffliza«, »Presussniza« (Prešnica), Hrpelje, Podgorje-Jelovica, Draga (tra i boschi di Hrpelje e Skadanščina), Vodice, S. Servolo e S. Croce, Panjek G., 1980, 275–277. 67 paesaggio culturale e ambiente del carso landa carsica (Moritsch, 1969, 130). La metà del ’Ottocento rappresenta verosimilmente il punto più basso del a lunga parabola discendente del ’estensione dei boschi sul Carso in età moderna, proprio quando si avviò un pubblico dibattito sul ’opportunità di avviare il rimboschimento (Rossetti, 1831). Su queste questioni torneremo nel capitolo successivo. Dopo la metà del Settecento la crescita di Trieste iniziò ad acquisire dimensioni si- gnificative, che non rimasero senza conseguenze per il mondo rurale circostante. La cit- tà offriva alla popolazione dell’entroterra nuove opportunità d’impiego e di guadagno. La crescita della popolazione urbana comportò un aumento della domanda alimentare e quindi di prodotti agricoli. Entrambi i fenomeni continuarono ad agire sul mondo rura- le anche nel corso del secolo successivo. Nel e campagne s’innescò un graduale proces- so di mutamento degli indirizzi produttivi con l’obiettivo di rifornire il crescente mercato urbano, sebbene in gran parte del Carso tali sviluppi fossero in un primo tempo frena- ti da quanto rimaneva del regime feudale e dalla conseguente persistenza di rapporti di produzione e di possesso del a terra che lo caratterizzavano. Queste direttrici di svilup- po portarono al a moltiplicazione del e superfici coltivate nel paesaggio e, dato che la ter- ra migliore era stata già da lungo tempo messa a coltura, venivano ora sistemati i pendi (costruendo terrazzamenti), le terre marginali (sul e quali era necessario creare le condi- zioni colturali praticamente dal nul a) e sempre più doline. In tutti questi casi compariva- no nuovi muri a secco. Contestualmente vi fu un parziale mutamento degli indirizzi pro- duttivi in agricoltura, con cui si cercava di rispondere al a domanda del mercato urbano. In Carso l’introduzione di nuove colture, in particolare del mais e del e patate, ebbe tempi di diffusione e importanza alimentare diversa. L’introduzione del a patata tardò ad affermarsi a causa degli insuccessi che avevano accompagnato per un periodo piutto- sto lungo la sua coltivazione. Nel 1787 l’amministrazione del a signoria di Duino espres- se l’opinione che sul suo territorio non sussistessero le condizioni per la coltivazione del- la patata in quanto tutti i tentativi effettuati si erano risolti con un insuccesso. Quasi un secolo più tardi (1870), però, nel ’area di Senožeče le patate occupavano ben il 24% del- la superficie arativa (Britovšek, 1964, 191, 204). Le patate furono dapprima coltivate negli orti, come per esempio a Tomaj nei primi decenni del ’Ottocento, dove sui campi nel si- stema di rotazione del e colture comparivano anche i fagioli e le rape (AST, CF, Tomaj). La diffusione del mais fu invece molto più precoce. Il granturco veniva coltivato in coltura promiscua con la vite almeno dal a prima metà del Settecento, occupando un ruolo cre- scente tra i seminativi anche nel ’Ottocento, sebbene per lungo tempo ancora si semi- nasse soprattutto frumento, prima destinato al pagamento dei tributi e in seguito al mer- cato, mentre la popolazione rurale continuava a consumare soprattutto cereali minori7. L’introduzione del mais comportò un cambiamento rilevante tanto nel ’agricoltura quan- to nel paesaggio del Carso. Confrontando la composizione dei tributi contadini nei pri- mi decenni del Seicento con le colture coltivate nei primi decenni del ’Ottocento, quin- di due secoli più tardi, si nota infatti come il mais avesse sostituito l’avena tanto nei campi quanto nel ’alimentazione e non da ultimo anche nel sistema di rotazione. Nel ’elaborato catastale di Tomaj intorno al 1830 scrissero quanto segue. L’usuale nutrimento del rustico contadino consiste in pane di granoturco misto con saraceno e segala, in minestra di legumi, di rape ed erbaggi, cucinati e conditi con 7 Cfr. Britovšek 1964, 210 e Moritsch, 1969, 74–75. 68 mutamenti lardo ed olio, in erbaggi freschi, in salumi, ova, caccio, e vino puro al ’atto dei lavo- ri, ed adacquato nel rimanente del ’anno (AST, CF, Tomaj, S5). Mutamenti particolarmente consistenti interessarono la viticoltura. Già nel corso del Cinquecento vi era stata in Carso, come in tutta l’area litoranea asburgica (soprattut- to nel e zone del Col io goriziano e di pianura, ma anche nel e altre) una notevole espan- sione del e superfici coltivate a vite e quindi un sensibile orientamento in direzione del- la produzione vinicola (Panjek, 2002). Da un lato si trattò di sviluppi che rispecchiavano il momento di crescita economica e commerciale a livel o europeo, accompagnata da una tendenza alla specializzazione regionale della produzione agricola in base alle vocazio- ni colturali (Slicher van Bath, 1978, 81–82; Topolski, 1979, 202; Abel, 1976, 171). Dal ’altro esso fu un movimento espansivo che s’innestava su tradizioni colturali preesistenti. La vi- ticoltura è, infatti, attestata nei dintorni di Trieste almeno dal ’epoca romana e anche du- rante il medioevo fu presente in tutta l’area8. Tra il Cinque e il Settecento i vini con la mag- giore proiezione commerciale erano indubbiamente i bianchi del Collio goriziano ( ribolla, vino di col e), dove la viticoltura rappresentava l’attività economica più importante in as- soluto. Il vino veniva in buona parte esportato oltralpe, soprattutto in Carinzia. Seguiva- no i vini bianchi della pianura friulana orientale, del a valle del Vipacco e del territorio di Trieste, anch’essi in buona parte esportati verso le regioni settentrionali. I vini rossi era- no per lo più destinati al consumo locale e venivano prodotti in tutte le zone: in Carso il rosso veniva detto »terrano«, nome che mantiene ancor oggi. L’unico vino del Carso che in età moderna era in grado di concorrere con i bianchi del Col io, del Friuli e del Vipac- co, era quel o prodotto presso Prosecco. La forma di coltivazione del a vite, che influisce notevolmente sul a forma del pae- saggio culturale, è meglio nota dal a fine del Settecento e dagli inizi del ’Ottocento, quan- do prevaleva la coltura promiscua, in cui sui campi insieme al grano la vite cresceva su so- stegno vivo – l’albero. Era tuttavia conosciuta anche la coltivazione del a vite sostenuta da pali secchi, sebbene nel ’Ottocento fosse utilizzata soprattutto quando non vi era l’albe- ro. Per lo meno in un passato più lontano (come nuovamente nel Novecento), era inve- ce forse più diffusa la coltura specializzata del a vite a vigneto. Nel 1624 sul territorio del- la signoria di Reifenberg, per esempio, furono contati ben 1.443 »piccoli vignetel i« ( kleine Weingärtel, SLA, Hofkammer, 90, 11), in cui è invero possibile vedere sia vigneti puri sia viti in coltura promiscua. Dal censimento catastale effettuato nel 1777 a S. Croce (Križ) presso Trieste, dove il ciglione carsico discende ripido fino al mare, si desume come la vite vi venisse coltivata tanto a vigneto quanto in coltura promiscua, associata al ’ulivo, mentre sul ’altipiano la vite cresceva lungo gli arativi. La forma di coltura promiscua usata veniva detta »al a friulana«, »in cui le viti erano disposte a gruppi in fila attorno a pali o alberi«, e sarebbe stata introdotta dal a metà del Seicento (Kalc, 2005, 305).9 Nel catasto france- schino della prima metà dell’Ottocento è possibile rilevare una spiegazione convincente, riferita al caso di S. Daniele del Carso e del a vicina Kobdilj, dove il vino bianco di miglio- re qualità era coltivato a vigneto specializzato con la vite a palo secco, mentre il vino ros- so di qualità inferiore era coltivato su sostegno vivo (albero) in coltura promiscua (AST, 8 La cronaca in rime di Ottocaro elenca la presenza in quest’area dei seguenti tipi di vino: pinol, vino di Muggia, ribolla, vino di col e (del Col io), vino di Vipacco e terrano, cfr. Ottokars Österreichische Reimchronik, Seemül er, 1890–1893, 457. 9 Si veda anche Malnič, 2000, 117–119. 69 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 16. CF, Štanjel, S5; Kobdilj, S5). Entrambe le forme erano quindi Un vigneto a pergola presenti contemporaneamente, proprio come già nella secon- (foto: A. Panjek). da metà del Seicento nella rappresentazione di Valvasor del ca- stel o Rosenek (Roženk) a Podnanos (valle del Vipacco), dove davanti al ’edificio, in piano, sono visibili le viti che crescono ap- poggiandosi agli alberi in coltura promiscua sui campi, mentre sul pendio dietro il castel o sono coltivate a vigneto su palo sec- co (Figura 6). Nel a documentazione del catasto franceschino, per To- maj si trova una descrizione piuttosto precisa del sistema di col- tivazione del a vite in coltura promiscua con l’albero come so- stegno vivo, com’era usuale in Carso agli inizi del ’Ottocento. Le viti di questa specie di coltura sono piantate a grup- pi in filari simetricamente disposte ed appoggiate ad un albero vegeto di acero, frassino, ciliegie selvatiche, ed olmo, meno qualche gruppo il quale per mancanza di un albero vegeto viene sostenuto da pali secchi. Questi gruppi si chiamano alberi vitati, ed in lingua cragnolina cleni [in lingua slovena »kleni«] (AST, CF, Tomaj, S5). In Carso i kleni erano spesso aceri. L’albero destinato a sostenere la vite era volutamente coltivato nel a funzione di klen dandogli una forma particolare, per cui aveva solo due o 70 mutamenti Figura 17. La landa carsica colonizzata dal pino nero (foto: A. Panjek). Figura 18. Una cisterna del villaggio cinta da muro (foto: archivio CMC). 71 paesaggio culturale e ambiente del carso più rami, sui cui poggiavano tre o quattro viti, piantate nei suoi pressi (Križnar 1999, 227; Ažman Momirski et. al. 2008, 110). Tendendo a un utilizzo il più completo possibile del a terra e richiedendo un mag- giore investimento di lavoro per l’impianto e il mantenimento del e viti e degli alberi, la coltura promiscua è una forma di coltivazione più intensiva del ’arativo nudo. In un am- biente in cui le superfici coltivabili sono scarse, come in Carso, una simile scelta appare quanto mai ragionevole. L’impianto di alberi consente inoltre di risparmiare i pali di le- gno di sostegno e rappresenta una fonte di legna per l’uso domestico e ramaglie per il fo- raggio, entrambi aspetti tanto più utili e necessari quanto maggiore è la mancanza di le- gna adatta nei boschi e di erbaggi sui pascoli, situazione che in Carso andò aumentando nel corso del ’età moderna. In generale è possibile notare come al ’inizio del ’Ottocento si coltivava tutta la terra che poteva essere coltivata e anche di più, attraverso la sistema- zione di superfici artificiali sul suolo sassoso. In Carso l’agricoltura era quindi molto inten- siva sul a terra coltivata, poiché richiedeva anche un grande investimento di lavoro nel a trasformazione, sistemazione e mantenimento del e superfici sottoposte a coltura. L’in- tensità è evidente anche nel a rotazione che, pur seguendo diverse successioni del e col- ture nel e varie zone, comunque era una rotazione continua, senza maggese. Tanto lungo la costa adriatica presso Duino quanto sulle pendici nelle pertinenze di Štorje i contadini sostenevano di non potersi permettere di lasciare la terra a riposo, essendo troppo scar- sa (AST, CF, Duino, S4; Štorje, S4). Nel corso dell’Ottocento le favorevoli condizioni di mercato portarono all’avanza- mento del a viticoltura anche sul ’altipiano con l’estensione del a vite di terrano, che av- veniva ancora nel a forma del a coltura promiscua. Come in buona parte d’Europa, ver- so la fine del ’Ottocento si susseguì una serie di malattie del a vite, tra cui la filossera, cui si rispose innestando le viti su piede americano e sostituendo il sostegno vivo, quindi l’al- bero su cui poggiava la vite, con un sostegno secco, un tipo di pergola alta ( latnik), adot- tata in tutta l’area e non solo in Carso, e divenuta elemento tipico del paesaggio agrario. L’al evamento del a vite di terrano nel a forma del a pergola si mantenne entro la cornice della coltura promiscua, pur guadagnando terreno sul campo rispetto ai cereali (Morit- sch, 1969, 78, 136, 138). Il latnik si conservò anche nel sistema del a coltura specializzata. L’introduzione del piede americano in conseguenza delle malattie della vite richiese rin- novati dissodamenti in profondità (Gams, 1991a, 4–5; Gams, 1991b, 90). A fronte di un’introduzione relativamente precoce del mais e della diffusione della patata nel corso del ’Ottocento, anche a causa del a natura orografica del Carso, come in genere del Litorale Austriaco, la modernizzazione del ’agricoltura non comprese la mec- canizzazione. Riguardo al e altre colture è da segnalare la progressiva estensione della viticoltura, nonostante le malattie da cui la vite fu colpita nel a seconda metà del ’Otto- cento, della frutticoltura e del ’orticoltura. Si trattò di un’evoluzione che rappresentava soprattutto una risposta al a crescente domanda di generi alimentari da parte del merca- to urbano triestino. La coltivazione degli olivi, che tranne sporadiche eccezioni sul terre- no propriamente carsico era concentrata sul a costa tra Duino e S. Croce, conobbe ripe- tute battute d’arresto a causa del e gelate. La popolazione del e signorie del Carso, come del resto in tutta l’Austria storica, ne era suddita ( Untertan), ma non era legata al a terra (serva del a gleba). L’esonero del suolo ( Grundentlastung, 1848) fu l’atto con il quale la monarchia asburgica abolì ogni re- 72 mutamenti siduo del sistema feudale rimasto dopo le riforme teresiane e giuseppine di fine Sette- cento, che avevano portato »le signorie fondiarie del ’area alpina e danubiana a divenire sempre più dei relitti«. I diversi titoli di possesso fondiario furono trasformati in pro- prietà e la terra fu divisa, con diversi criteri, tra gli ex signori feudali e i rurali. I tributi e gli aggravi feudali furono aboliti gratuitamente o dietro il pagamento di un risarcimento, la cui somma fu stabilita capitalizzando al 5% il loro importo. Lo Stato si assunse un ter- zo del ’importo del risarcimento, ai contadini fu assegnato il pagamento di un altro ter- zo mentre del ’ultimo gli ex signori feudali furono decurtati poiché anch’essi venivano li- berati da costi e obblighi. In questo modo, pagando soltanto un terzo del a somma del riscatto, la popolazione rurale poté finalmente disporre liberamente e pienamente del- le proprie aziende agricole e le comunità di vil aggio del e loro terre comuni (Sandgru- ber, 1978, 260–263). L’abolizione dei tributi feudali non fu tanto importante per i loro importi, quanto piuttosto per gli obblighi colturali (tributi in natura) e di lavoro che essi comportavano e che spesso contrastavano con le necessità del a modernizzazione. La riforma consentì, in alcuni casi, uno sfruttamento più razionale del a terra e una maggiore mobilità del mer- cato fondiario. L’esonero del suolo coinvolse anche le terre a uso col ettivo, che erano in realtà già state interessate da provvedimenti di questo tipo nel a seconda metà del Set- tecento, sebbene i procedimenti si protrassero per decenni e non sempre si giunse a so- luzioni del tutto chiare (Sandgruber, 1978, 260–263; Britovšek, 1964). In termini generali, questo processo comportò, tra l’altro, un restringimento del e superfici soggette a uso comune da parte del e comunità di vil aggio. Insieme a fattori sociali ed economici di più ampia portata, ciò contribuì al declino del e tradizionali pratiche legate al pascolo e quin- di anche al ’arretramento del ’al evamento di bestiame minuto. Il declino del pascolo si- gnificava un profondo mutamento del e forme economiche e sociali tradizionali e, natu- ralmente, anche del paesaggio culturale del carso. La progressiva diminuzione dell’allevamento ovino nel corso dell’Ottocento fu do- vuta anche al a qualità relativamente bassa del a lana che se ne ricavava (Fanfani, 1978, 28), sempre più esposta al a concorrenza sul mercato, dove i moderni mezzi di traspor- to consentivano ormai il rifornimento a prezzi concorrenziali con lane di qualità superio- re e con gli altri nuovi prodotti del a moderna industria tessile. Tra i fattori che frenarono l’al evamento ovino in Carso bisogna inoltre menzionare i provvedimenti di rimboschi- mento che su superfici di crescente estensione escludevano la possibilità del pascolo. Il declino del ’allevamento delle pecore e la parziale divisione dei pascoli collettivi nel cor- so della seconda metà dell’Ottocento, portarono alla trasformazione dei terreni migliori da pascoli in prati, mentre le superfici di qualità più scadente venivano sottoposte a rim- boschimento (Moritsch, 1969, 138; Valenčič, 1970a, 425). Il caratteristico paesaggio del- la landa carsica iniziò quindi a restringersi, soprattutto in favore del bosco, ma anche del prato. Contemporaneamente vi fu, infatti, un aumento del ’al evamento bovino in stal a, diretto al a produzione del latte che le donne portavano giornalmente a vendere a Trie- ste insieme ad altri prodotti agricoli. Tale attività si diffuse in particolare nel e località del Carso triestino centrale e orientale, meglio situate rispetto al e vie di comunicazione (per esempio Dutovlje, Corgnale, Basovizza; Moritsch, 1969, 138), ma anche altrove. Da Dui- no per esempio i prodotti venivano portati a vendere a Trieste, ma anche a Gorizia (AST, CF, Duino, S4). 73 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 19. I muri a secco segnano le differenti funzioni e destinazioni d'uso del o spazio (foto: archivio CMC). Figura 20. Un muro a secco alto, con erba, cespugli e alberi (foto: archivio CMC). 74 mutamenti A partire dai primi tentativi effettuati nel 1842, per tutta la seconda metà del seco- lo si continuò nel ’opera di rimboschimento. Dal 1865 la Società forestale austriaca risol- se di concentrare gli sforzi adottando il pino nero, mentre con il 1870 in territorio triesti- no l’iniziativa passò al comune di Trieste. Entro il 1879 sorsero così già sedici boschi nel Carso triestino (a Basovizza, Gropada, Trebiciano – Trebče, Padriciano – Padriče, Banne – Bani, Opicina e Contovel o), ognuno dei quali fu cinto da muretti in pietra a secco con al ’ingresso una lapide che riportava le insegne del comune di Trieste, la denominazio- ne del bosco e l’anno d’impianto. Tra il 1870 e il 1882 furono piantati 110 ettari di terreno. Dal 1882 l’iniziativa passò a una commissione mista finanziata dal comune di Trieste e dal- lo stato, che concentrò la propria azione sul e aree più degradate dei terreni comunali, mentre si tese a escludere le aree private. In questo modo si sarebbe tentato di non ar- recare danno al ’attività di allevamento della popolazione. Vi furono comunque anche ac- quisti ed espropri. Il rimboschimento continuò a ritmi elevati fino al a prima guerra mon- diale. Tra il 1882 e il 1911 l’area complessiva dei nuovi impianti in territorio triestino fu di 873 ettari (ciglione carsico, monte Cocusso – Kokoš, Basovizza, Gropada ecc.) in preva- lenza con il pino nero austriaco. I nuovi boschi furono cinti con muretti a secco per un totale di ben 33.426 metri di lunghezza e si costruirono numerose strade di accesso per consentire i lavori e la tutela degli impianti (Lago, 1980, 509–510). Tra le nuove piantagio- ni di pino nero, che non è un’essenza autoctona, i nuovi muri in pietra e le nuove strade, l’impatto paesaggistico fu quindi imponente. Il rimboschimento non interessò soltanto l’area triestina, ma tutto il Carso, con risultati che modificarono radicalmente il paesaggio. Mentre ancora intorno al a metà del ’800 soltanto il 7,3% del a superficie produttiva era coperta da bosco, nel 1896 tale percentuale era già passata al 21% e al 30% circa nel 1929 (Valenčič, 1970a, 425). Sul ’espansione del bosco e più in generale sui mutamenti del paesaggio culturale del Carso influirono quindi sia precise scelte di politica territoriale e agraria sia cambia- menti di carattere economico e sociale. Eventi importanti furono anche la costruzione del e linee ferroviarie e l’esponenziale crescita demografica di Trieste che influiva in misu- ra crescente sul ’entroterra carsico. La costruzione del e linee ferroviarie che col egarono il porto di Trieste con l’entro- terra vicino e lontano ebbe effetti differenti sul e diverse località del Carso e sui diversi ceti sociali della popolazione locale. I lavori di costruzione rappresentavano un’importan- te occasione d’impiego mentre la loro conclusione portava alla disoccupazione. Più pro- fondi furono, però, i mutamenti di lungo periodo, poiché le nuove linee ferroviarie (Me- ridionale, Transalpina, Parenzana) causarono da una parte il declino delle attività legate al trasporto del e merci su strada e del ’indotto (fornitura degli animali da tiro e del forag- gio, carrettieri, artigiani, giornalieri, osti e locandieri), che costituivano un settore tradi- zionale del ’attività extra agricola della popolazione rurale almeno per tutta l’età moder- na. Dal ’altra portarono nuove opportunità di sviluppo per le località sede del e maggiori stazioni ferroviarie (Sesana, Divača) e per l’agricoltura, facilitando l’accessibilità del mer- cato triestino in particolare e austriaco in generale. La rapida espansione urbana di Trieste nel corso del ’Ottocento, il cui ritmo au- mentò quasi vertiginosamente verso la fine del secolo e l’inizio del Novecento, compor- tò una paral ela forte crescita del ’attività edilizia e quindi del a domanda di materiali edi- li, ulteriormente irrobustita dalla costruzione delle infrastrutture portuali (Panjek, 2003). 75 paesaggio culturale e ambiente del carso Una parte dei materiali da costruzione veniva tratta dal e cave carsiche (per esempio a Sistiana e Aurisina; Mappa 16). L’impiego nel e cave di pietra acquisì in particolare a parti- re dal a metà del ’Ottocento crescente importanza per la popolazione del Carso triesti- no, che vi trovò una nuova fonte di reddito integrativo dei proventi del ’attività agricola. Rientrano in questo contesto anche le cave di marmo di Aurisina, cui i nuovi col egamen- ti ferroviari consentirono di al argare il mercato dal a città di Trieste all’esportazione ver- so l’Austria e l’Ungheria (Davis, 1986, 38, 43–44). In seguito, per alcuni il lavoro nel e cave poté acquisire il carattere del a specializzazione e divenire l’unica occupazione e fonte di reddito, allentando il legame con l’economia agricola e aumentando la differenziazione professionale e sociale nel a società locale. Del resto già dal Settecento la crescita eco- nomica di Trieste offriva ampie possibilità di lavoro per la popolazione del ’entroterra e l’inurbamento assunse dimensioni crescenti nel corso del ’Ottocento (Breschi, Kalc, Na- varra, 2001). Anche a prescindere dal ’inurbamento, però, la città in espansione offriva opportunità di impiego più o meno saltuario o stagionale per la popolazione dei dintor- ni, incidendo sul a struttura sociale ed economica del Carso. In particolare dal a metà del Settecento, quindi, la rapida crescita del a città nuo- va di Trieste attraverso il commercio, l’immigrazione, le opere pubbliche e l’edilizia pri- vata, creò opportunità di lavoro e aumentò il fabbisogno di generi alimentari. Entrambi i fattori agirono sia sull’immediato circondario della città sia sul suo retroterra più ampio. In Carso gli effetti di questa crescita si resero evidenti accentuando l’orientamento eco- nomico del a popolazione rurale al a ricerca di proventi extra agricoli integrativi e provo- cando una forte spinta al ’estensione del e superfici coltivate. Si dissodavano, ancor più che in passato, nuove terre per la coltivazione e si vendevano i prodotti in città, si effet- tuavano trasporti di merci e si fornivano animali da tiro a tale scopo. Dal a città (e dal centro) proveniva anche la decisa iniziativa in favore del ’imboschimento del Carso, por- tatrice di profondi mutamenti di carattere paesaggistico, ma anche sociale ed economi- co, con il declino dei tradizionali diritti e pratiche del pascolo sul e zone del e piantagioni. Si è osservato come una serie di processi portasse a cambiamenti nel e forme del ’e- conomia e del a società del Carso e come essi si rispecchiassero nei mutamenti del pa- esaggio culturale. La trama del e chiusure con muretti in pietra a secco, caratteristici del paesaggio locale, andò infittendosi nei secoli tra la prima età moderna e poi con nuovo vigore dal Settecento, un processo in cui si possono individuare diversi fattori e momen- ti. Il primo è costituito dal a crescita demografica, che ha portato a una progressiva in- tensificazione della parcel izzazione; il secondo è rappresentato dal ’estensione delle ter- re coltivate attraverso il dissodamento di nuove superfici, rafforzata nel a seconda metà del Settecento e continuata anche nel ’Ottocento. Un terzo fattore furono le divisioni di una parte del e terre a uso col ettivo tra i membri del e comunità di vil aggio, in particola- re dal Settecento. Dopo la metà del ’Ottocento vi sono state inoltre, in esecuzione del ’e- sonero del suolo e dei successivi provvedimenti legislativi, le attribuzioni del a proprietà sul e terre su cui le comunità rurali avevano in precedenza goduto in comune dei diritti di pascolo e legnatico. Vi furono, infine, il declino del ’al evamento ovino, che nei secoli pre- cedenti contribuì in misura rilevante alla formazione dell’immagine desolata del paesag- gio del Carso, e le operazioni di rimboschimento su vaste aree del ’altipiano. In tutti que- sti casi comparivano nuovi muretti in pietra e mutava il paesaggio culturale che dapprima andò divenendo sempre più spoglio, per poi ricoprirsi piuttosto velocemente di un nuo- vo elemento paesaggistico e ambientale, il pino nero. 76 Uomo e ambiente Senza bosco: la savana in Carso Nel’ambito dela più recente storia del’ambiente si sono affermate due considera- zioni di fondo che costituiscono i punti di riferimento metodologico per lo studio del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente: in questo contesto l’uomo costituisce un fattore necessario e decisivo mentre la natura riveste il ruolo di soggetto attivo. Come la storia del paesaggio, anche quel a del ’ambiente del Carso è qui affrontata con una trat- tazione combinata delle dimensioni naturale e sociale. Ne derivano tanto l’individuazione del problema che si pone come questione di fondo, ossia la sostenibilità ambientale e so- ciale del o sfruttamento del e risorse naturali sul lungo periodo, quanto la scelta del cam- po d’indagine, incentrato soprattutto sulle risorse naturali in uso collettivo delle comuni- tà rurali, quindi in primo luogo le superfici boschive e i pascoli. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il paesaggio spoglio e pietroso evoca- to dal termine »carso« è in buona misura un fenomeno storico, risultato d’interventi an- tropici. La questione principale emerge da una constatazione fondamentale, ossia che le zone più brulle nel ’area del Carso erano proprio quelle in cui si trovavano le risorse na- turali comuni, in uso collettivo alle comunità rurali locali. Le interpretazioni sinora propo- ste relativamente al a storia del ’ambiente e del paesaggio di tale territorio hanno fornito risposte diverse al a domanda inerente le cause e i fattori che hanno portato a una tale marcata contrazione del bosco sino al predominio del ’arido paesaggio roccioso. Accan- to al ’opinione tradizionale, secondo la quale a tale stato di cose in quest’area e in gene- rale sul e coste adriatiche orientali avesse contribuito sostanzialmente la grande richiesta di legname della vicina Repubblica di Venezia (per le necessità del ’Arsenale e del o svi- luppo urbano),1 si rileva anche la tesi che individua come fattori determinanti per la ridu- zione del bosco le irrazionali e distruttive forme di utilizzo del e risorse forestali da parte della popolazione contadina locale.2 L’interrogativo riguardante la possibilità che le forme col ettive di sfruttamento del- le risorse naturali possano (potessero) essere sostenibili sul lungo periodo è presente in seno al e scienze sociali e anche nel a storiografia almeno a partire dal a pubblicazio- 1 La questione rientra in un contesto interpretativo più ampio che riguarda la gestione dei boschi da parte del a Repubblica di Venezia: le opinioni spaziano da una conservazione oculata al taglio sconsiderato, vedi Zannini, 2012. 2 Ad esempio Piussi, 1976, che si richiama al parere già espresso da Grubić nel 1928 per la Dalmazia. senza bosco: la savana in carso 79 paesaggio culturale e ambiente del carso ne del ’articolo di Hardin sulla »tragedia dei beni comuni« ( The tragedy of the Commons, 1968), nel quale sosteneva la tesi che non esistono modi efficaci e sostenibili nel tempo per l’utilizzo col ettivo dei beni comuni in quanto il desiderio del fruitore di massimizza- re i ricavi porta inevitabilmente al ’esaurimento del a risorsa stessa. Nei decenni successi- vi numerose ricerche nel campo dell’ecologia, della storia, dell’economia e della sociolo- gia hanno cercato di confermare o confutare questo assunto. Le più recenti – tra le quali possiamo evidenziare quella del premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom (2009), che usa il concetto »risorse naturali comuni« ( common pool resources) – dimostrano, vicever- sa, che possono sussistere metodi efficaci e sostenibili a lungo termine per lo sfruttamen- to del e risorse col ettive a condizione che tra i diretti utilizzatori prendano forma ido- nei quadri istituzionali e accordi sulle regole di sfruttamento (Ostrom, 1990). Anche gli studi antropologici confutano l’interpretazione secondo la quale nelle società tradiziona- li, vuoi per la ricerca del vantaggio individuale vuoi per mancanza di conoscenze adegua- te, il contadino non gestisse le risorse naturali in modo da assicurarne la sostenibilità sul lungo periodo. Così, ad esempio, James Scott ha posto l’accento sul ’importanza del sa- pere e del e tecniche agricole ed ecologiche locali, fondate sul a pratica e sul e esperienze nel o sfruttamento delle risorse naturali del proprio ambiente, sulla »conoscenza verna- colare degli ecosistemi locali« ( vernacular knowledge of local ecosystems), affermando non soltanto la loro sostenibilità in termini generali, ma anche una migliore sostenibilità am- bientale sul lungo periodo e una maggiore sostenibilità sociale rispetto al e moderne for- me di utilizzo (Scott, 1998). Il rapporto tra uomo e ambiente costituisce il tema centrale del ramo storiografi- co, squisitamente interdisciplinare, della »storia del ’ambiente«. In esso possiamo identi- ficare due correnti di pensiero predominanti in merito al e vicende passate del ’ambien- te in area mediterranea. La storiografia più convenzionale sostiene la cosiddetta »teoria del degrado« per cui, con un eccessivo sfruttamento, negli ultimi secoli l’uomo ha de- pauperato un ambiente un tempo coperto da ricchi boschi e lo ha irrimediabilmente trasformato in una landa pietrosa che non può offrire sostentamento ai sui abitanti, ob- bligandoli quindi ad emigrare (Mc Neil , 1992). L’ambiente mediterraneo rappresentereb- be un esempio del »massiccio degrado ecologico« per cui »i cespugli e gli alberi sparsi«, sono interpretati in Braudel »senza prove« come »forme degradate di bosco« (Grove, Rackham, 2001, 10). Questo primo giudizio è profondamente radicato in varie discipline scientifiche e nel ’opinione pubblica. L’effetto deleterio del e attività antropiche sul ’am- biente naturale nel corso del a storia è sostenuto anche dal e più recenti opere »globali« (Martini, Chesworth, 2010). Una corrente interpretativa più recente afferma, invece, che il bosco non va considerato esclusivamente come fenomeno naturale, esposto al o sfrut- tamento del ’uomo, ma che nel a storia esso »è, soprattutto nel ’area mediterranea, un manufatto e come tale deve essere studiato« (Moreno, 1990, 26). In altre parole »gli alberi non sono soltanto ambiente, vittime passive di qualsiasi cosa l’uomo decida di infliggere loro. Non sono unicamente parte del o scenario nel tea- tro del a storia: sono attori in gioco e ognuno ha un ruolo diverso« (Rackham, 1996, 298). Dunque, i cambiamenti di matrice antropica nel ’ambiente naturale non vanno intesi ne- cessariamente come una conseguenza di metodi di sfruttamento distruttivi, bensì come forme d’uso consuetudinarie, fondate su conoscenze precise e rispondenti al e istanze di razionalità economica del e comunità locali, che assicurano al contempo il rinnovamento 80 senza bosco: la savana in carso del e risorse naturali seppure in un ambiente mutato. Per tale motivo parliamo di forme sostenibili di sfruttamento dell’ambiente antropizzato, ossia dell’ambiente naturale con modifiche e adattamenti di origine antropica, capaci di contribuire anche al a sostenibili- tà sociale del rapporto tra popolazione e risorse naturali. A differenza del ’approccio si- nora prevalente, in questa sede cercheremo di applicare una prospettiva diversa. Tra i due estremi, tra lo sfruttamento distruttivo e la gestione sostenibile del e risorse natura- li, dove si col oca la storia del ’ambiente del Carso? Poiché abbiamo avuto modo di delineare la storia dei boschi e dei pascoli carsici già nel precedente capitolo, cercheremo la risposta al a domanda sul a sostenibilità del o sfruttamento del e risorse naturali col ettive da parte dei contadini del Carso comincian- do con l’esaminare più da vicino lo stato e l’utilizzo del e aree boschive, descritti in due fonti elaborate a distanza di un secolo. Si tratta del ’inventario redatto dagli ispettori ca- merali nel 1724, che il ustra la situazione e le possibilità di sfruttamento dei boschi nel Li- torale austriaco, e del catasto franceschino e in particolare dei suoi elaborati, risalenti agli anni 1820–1830. Questo è un periodo importante, che spazia dal ’epoca in cui ebbe ini- zio uno sfruttamento più intensivo dei boschi in un ampio settore del ’entroterra per le necessità del a »nuova« Trieste in espansione e per l’attività cantieristica dopo la procla- mazione del porto franco, sino al ’epoca in cui la »nudità« del Carso stava raggiungendo il suo massimo storico. Infine faremo riferimento a un parere tecnico risalente al periodo in cui già era in corso il rimboschimento (1873). Nel 1724 l’area del Carso era quasi del tutto priva di boschi in grado di fornire quan- tità sufficienti di legname per le nuove esigenze del settore navale. Alcune di queste aree forestali si trovavano nel e immediate vicinanze di Trieste, sotto il Ciglione carsico, ma nel a zona del Carso se ne menzionano soltanto a Santa Croce (Križ) presso Trieste, nel- la parte superiore del a Val Rosandra (Glinščica) e sopra ad essa nonché presso Lipizza, Hrpelje, Kozina, Senožeče, sul Gabrk e nel e vicinanze di Rodik, oltre ad altre più mode- ste. Dal a maggior parte di queste superfici silvicole si potevano ricavare soltanto alcu- ne centinaia di alberi di grandezza adeguata al e necessità. Nel ’unico bosco di dimensio- ni maggiori la Compagnia Orientale, costituita alcuni anni prima, aveva già abbattuto una consistente quantità di vegetazione arborea. Il bosco è a un’ora dal castel o verso il Vipacco, si chiama Werda [Brda] e misura ore tre per una e mezza. È formato di faggio, quercia e cerro di 1 a 3,5 piedi di dia- mentro [30–110 cm], in parte svettati e potati. Il bosco è stato utilizzato di recente dal a compagnia Orientale, che ha ricavato circa 20.000 piante. Esso è inoltre pa- scolato (Piussi 1976, 33). La Compagnia Orientale sfruttava già anche altri boschi più estesi e ricchi, che però si trovavano tutti esternamente al ’area del Carso classico: i più vicini, a partire da quel o di Rodik, erano ubicati per lo più nel ’area dei Brkini, tra la val e del Timavo (Reka) e i li- miti settentrionali dell’Istria. Il bosco Rodik è situato presso il paese del o stesso nome sul Carso: misura tre quarti d’ora per un quarto. È costituito principalmente da cerri di 8–30 once [20– 80 cm], con poche querce e rari tigli selvatici. La densità del bosco è buona ma la statura del e piante è ridotta, l’accrescimento è scarso e la rinnovazione completa- mente assente. Il legno è utilizzato come combustibile e anche, negli ultimi anni, 81 paesaggio culturale e ambiente del carso per costruzioni navali (benché il cerro sia inadatto a questo impiego) da parte del- la Compagnia Orientale (Piussi, 1976, 18). Sul a scorta del e descrizioni dei boschi del Carso, sintetizzate da Piussi, è possibile ricavare maggiori informazioni unicamente in merito a quel o situato nei pressi di Lipizza; sono più rilevanti, invece, le notizie sui boschi sovrastanti la valle Rosandra. Queste indi- cazioni introducono in maniera più specifica la questione primaria, ovvero quel a legata al e forme e al e pratiche d’uso e sfruttamento del e aree boschive da parte del a popo- lazione contadina locale. Il bosco Lipiza giace sul ’altipiano del Carso a tre ore da Trieste. È costituito da bel e querce, ma in molti casi cima e rami sono stati troncati, così le piante deperiscono. Il bosco è circondato da un muro di pietre al di fuori del quale ci sono molte querce che però appartengono a proprietari privati. Il bosco intorno ai vil aggi di Draga, Ocizla e Beka ha inizio sui due lati del a val e attraverso la quale da Trieste si va a Klanec; vi sono piccole querce dal portamen- to arbistivo, ed il bosco è fortemente utilizzato e pascolato, in particolare da capre. Verso nord, per una lunghezza di un’ora e mezza, si estende un bosco abbastanza bel o con querce di 8–30 once [20–80 cm] , piuttosto basse, ma ugualmente buo- ne per costruzioni navali. V’è inoltre del novel ame. Un altro tratto di questo bosco, detto Capitaniza, si stende verso nord e continua in lungo come il tratto dirimpetto, chiamato Draga, per un’ora e mezza, fino a Klanec, con una larghezza di un quar- to d’ora. Vi sono querce con diametri da uno a tre piedi [30 95 cm] . Vi sono inoltre carpini bianchi, frassini e ontani. Le piante giovani sono danneggiate dal pascolo e dal o sfalcio: se si applicassero norme selvicolturali, nel giro di 80–90 anni si avrebbe legname per navi e per le al- tre necessità del ’Impero, mentre se la situazione resta invariata verrà distrutto an- che il bosco fin’ora rimasto. Infatti fino a epoca recente le condizioni del bosco era- no buone in tutta la sua estensione. I boschi dei paesi di Ocizla e Beka sono pure danneggiati dal o sfalcio del e erbe e dal pascolo di capre: anche qui la rovina del bosco risale a non molti anni addie- tro. Infatti si notano qua e là nel e radure le querce secche ancora in piedi, lasciate a suo tempo come portaseme, e che invece sono state private di cimali e rami dai contadini che hanno così dato loro il colpo di grazia. Il bosco Škofljica è situato nel a val e di Klanec. È costituito da faggio, con quercia al o stato arbustivo. Non vi si trova legname per costruzioni navali. A partire da qui hanno inizio i boschi neri imperiali che si estendono per varie miglia tedesche verso sud [in direzione del monte Taiano (Slavnik) e del a Cicceria (Čičarija)] (Piussi, 1976, 18–19). La situazione, come riassunto da Piussi, era simile in tutto il territorio descritto dal ’inventario. Tutti o quasi tutti i boschi visitati sono soggetti al pascolo di capre, pecore, maia- li, bovini e più raramente, caval i. [...] Col taglio di rami o cimali o addirittura di interi alberi i quali venivano lasciati al suolo si provvedeva a rifornire comodamente 82 senza bosco: la savana in carso il bestiame di una cospicua quantità di Figura 21abc. Landa carsica, stagno foraggio. Sono evidenti le conseguenze e alberi radi (»bosco chiaro« presso che una simile pratica poteva avere sul a il vallaggio) (foto: archivio CMC). densità del bosco e sul e condizioni del e 83 paesaggio culturale e ambiente del carso piante assoggettate a questo tipo di potatura. Il morso del bestiame è poi un osta- colo decisivo per l’affermazione del novel ame. [...] L’alimentazione del bestiame è anche assicurata dai prati ricavati con dissodamenti o, più semplicemente, da pa- scoli ottenuti distruggendo il bosco mediante la cercinatura del e piante o l’incen- dio. Parte del foraggio è costituito da fieno raccolto in bosco: i Commissari ricordano in qualche caso questa pratica in quanto essa distrugge sistematicamente la rinno- vazione. È chiaro che, per ottenere dal sottobosco di un querceto una buona quan- tità di fieno la densità del querceto deve essere sensibilmente ridotta (Piussi 1976, 46–47). In quest’ultimo caso si trattava di una forma di sfruttamento tipica del Carso, che ha dato corpo a una configurazione specifica del paesaggio agrario, precisamente il prato al- berato, che abbiamo già incontrato e ancora incontreremo. I boschi sopra citati erano gli ultimi degni di menzione in Carso nel 1724 e nessuno di essi, secondo l’opinione dei com- missari, aveva dinanzi a sé grandi prospettive, né dal punto di vista del a loro pura esisten- za né nel ’ottica del a nascente marina austriaca. Del resto, non era nel ’interesse del con- tadino che gli alberi crescessero tanto da soddisfare le esigenze del settore navale, infatti, egli non traeva alcun profitto da questo tipo di governo del bosco o almeno esso non era tale da controbilanciare il mancato sfruttamento degli alberi e del a foresta stessa per un secolo, quanto era il tempo necessario per la sua adeguata rinnovazione. Prima di ogni ul- teriore commento, con un lungo passo storico, esamineremo la situazione del e aree bo- schive in Carso un secolo più tardi, così come risulta dal catasto franceschino. Sebbene anche questa fonte sia espressione del a volontà del o stato di classificare e creare del e basi per i propri scopi, tendendo perciò stesso al a »semplificazione, astrazione, standar- dizzazione e descrizione selettiva dei boschi«, che di norma »escludono la maggior parte del e essenze e degli utilizzi del bosco e del legname (da parte del e popolazioni e attività produttive locali)« (Scott, 1998, 12–15) , i passi descrittivi e i questionari del catasto franceschino sono concepiti in modo da consentire, almeno in parte, che la voce degli abitan- ti possa venire a gal a, permettendo quidi di desumere le »forme di conoscenza fondate sulle esperienze locali« (forms of knowledge embedded in local experience, Scott, 1998, 311). Alle domande sui boschi nel ’ambito delle loro comunità, la popolazione del Car- so negli anni 1820–1830 rispondeva spesso che non c’erano alberi d’alto fusto, anzi che non c’era alcun bosco e che solo nei terreni a pascolo crescevano degli arbusti dai quali, ogni vent’anni, si ricavavano dei pali.3 In alcune località il bosco non è neppure menziona- to. Laddove, invece, le aree forestali sono comunque citate, tutte risultano molto simi- li per composizione: vi crescevano la quercia, il frassino e il carpino in quest’ordine; rara- mente era segnalata qualche altra specie.4 Tuttavia, vi erano anche altre caratteristiche comuni, a partire dal fatto che la popolazione ben difficilmente considerava queste su- perfici come veri boschi e di norma non le trattava quasi mai come tali. Esaminiamo ora alcune eloquenti annotazioni relative a diverse zone del Carso, quella più elevata a sud- est, la nord-occidentale e l’area costiera. 3 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4; Tomaj, S4. 4 AST, CF, Tomaj, S5; Povir, S5; Naklo, S5; Corgnale, S5; Štanjel, S5; Pliskovica, S5; Avber, S5; Gabrovica pri Komnu, S5; Hruševica, S5; Tomačevica, S5; Veliki Dol, S5; Šmarje, S5; Volčji grad, S5; Zgonik, S5; Gorjansko, S5; Malchina (Mavhinje), S5; Aurisina, S5; Sales (Salež), S5; Slivia (Slivno), S5; S. Pelagio (Šempolaj), S5; Repen, S5; Duino, S4; Jamiano, S4. ASG, C, Doberdò, S5. 84 senza bosco: la savana in carso Non esistono boschi, ne alberi di alto fusto per taglio, e ra- Figura 22. Nuda rissimi sono quei rovori crescenti sopra qualche prato, che roccia e cespugli le sue legna stivate, formassero 1 klafter quadrato [3,5 sul a superficie m2] ; si rimarca poi, che il suolo sotto quel albero non pro- del Carso (foto: duce che una piccola quantità, e di pessima qualità d’er- archivio CMC). ba. […] Non esistono alberi sopra terreni li cui tronchi si potessero uttilizzare, ne si usa di netare li medemi. Sopra li comunali quà è là crescono dei spini, e cespugli di gine- pro, che serve per la mettà dei bisogni per li forni di cuo- cere il pane; e non formano veruna parte di rendita di cal- colarsi (AST, CF, Štorje, S4). Nel a comune non si trovano boschi cosi detti, esistono bensì di quei piantati di legna cedua la magior parte dura, altre qualità di legname quivi non si trova. […] Le frasche e i cimali vengano utilizzati parte per legno di fuoco parte per alimento del e pecore. I pali si tagliano di ordinario di venti in venti cinque anni, ogni anno nel a stagione d’au- tunno. […] Boschi di legna d’alto fusto in questo territorio non esistono e perciò non si può dire in qual maniera ven- gano solitamente tagliati ed in quanto tempore giungano ad essere tagliabili; si trova ben legname ceduo duro e dei cespugli, i quali tagliati una volta appena in trenta anni certi anche in venti cinque anni, giungono simili qualità di 85 paesaggio culturale e ambiente del carso legname da essere tagliabile di nuovo. […] Non essendo boschi di alto fusto, boschi poco folti di legna cedua dura non somministrano del legno di costruzione. […] Si trovano dei boschi, i quali per essere poco folti vengono utilizzati anche come pra- ti, questi boschi come s’ha detto consistano la piu parte di legna dura e cedua e dei cespugli, i fieni nei medesimi si tagliano una sol volta in anno (AST, CF, Brestovi- ca pri Komnu, S4). In questa comune non ci sono boschi, nei luoghi dove crescono gli alberi si falcia il fieno e pertanto sono considerati anche come terreni prativi. In queste aree recinta- te crescono querce, frassini, faggi ecc. I rami sono impiegati come legna da ardere e per trarne pali, che si tagliano a settembre. […] Le selve di questo tipo sono, di fat- to, i boschi del a comune, sono come prati di queste comunità e si falciano solo una volta l’anno. Questi boschi (terreni recintati) appartengono esclusivamente a priva- ti. […] In effetti, in questa comune non ci sono prati, poiché dappertutto dove si ta- glia il fieno ci sono superfici con cespugli e alberi e solo tra di essi e tra i folti arbusti il contadino può raccogliere il fieno, con fatica e per lo più con il falcetto. In questa comunità si possono trovare soltanto prati di questo tipo, chiamati ograde […], che sono completamente abbandonati al a natura. […] Esistono unicamente alcuni al- beri di quercia ad alto fusto, alcuni dei quali sono usati come legna da ardere, altri come legno da costruzione (AST, CF, Sgonico, S4). La maggior parte del e zone del Carso nel e quali erano presenti del e essenze ar- boree non aveva né l’aspetto né la funzione esclusiva di bosco. Gli alberi e i cespugli di di- mensioni più o meno rilevanti, si trovavano su superfici con diversa destinazione, sempre a carattere misto e mai con una prevalenza del ’attività forestale. Si trattava soprattutto di prati e pascoli con presenze arboree; gli spazi con fitta copertura vegetale erano rari. L’impiego promiscuo ossia la molteplice destinazione d’uso di tutte le tipologie di terreni è ben evidente nel e risposte registrate al e singole domande e voci nel ’elaborato cata- stale: vi si riscontra invariabilmente un approccio comune e la sovrapposizione delle for- me di utilizzazione del e superfici boscate, dei pascoli e dei prati. Nei casi in cui la popolazione del Carso conservava e curava gli alberi, la tipologia di governo era quasi esclusivamente quel a del bosco ceduo, nel quale i tronchi del e lati- foglie si tagliano periodicamente rasente al terreno, in modo tale che dal e ceppaie si svi- luppino nuovi pol oni che dopo qualche decina d’anni potranno essere nuovamente ta- gliati. Il bosco ceduo è particolarmente indicato per la produzione di legna da ardere, pali e altro legname da opera di minori dimensioni e proprio tale era il suo impiego e la sua destinazione in Carso. Sebbene negli elaborati del e fonti citate il termine »ceduo« ap- paia solo raramente, dal ’utilizzo indicato per gli alberi si può dedurre che questo tipo di sfruttamento fosse largamente diffuso. Quando si fa riferimento al e forme d’impiego del legno degli alberi si parla sempre di legna da ardere e di pali, soprattutto per la viticoltu- ra. »Le frasche e li cimali«, che si tagliavano in autunno e in inverno, »vengono utilizzati soltanto per uso di fuoco«.5 In effetti, praticamente tutte le superfici che nel a parte sta-tistica del catasto erano inserite nel a categoria »bosco«, sono definite »bosco ceduo«. In molti luoghi si menziona anche il legname per la riparazione degli attrezzi agrico- li, più raramente si citano pezzi di dimensioni maggiori, adatte per ricavarne travi da im- 5 AST, CF, Duino, S4; Jamiano, S4; Tomaj, S5; Naklo, S5. 86 senza bosco: la savana in carso piegare nella costruzione delle case. La descrizione, annotata a Voljči grad, è l’eloquente esempio di uno schema diffuso: »I boschi sono popolati di quercia, frassini e carpine. Da questi e dal i prati con legna si ricava l’occorente numero di pali per sostenere le viti, e le legna da fuoco, oltre qualche trava e qualche pezzo per rimettere gl’instrumenti rurali«.6 Inoltre, è piuttosto evidente che i contadini operavano una selezione attiva del e specie arboree, limitate a tre sole: la quercia, predominante, insieme al faggio e al car- pino. Queste essenze erano mantenute e coltivate per la loro capacità di adattamento al ’ambiente e perché adeguate al loro utilizzo e destinazione. A Tomaj ciò fu esplicita- mente rilevato, con l’annotazione che questo tipo di legname, oltre agli altri usi già indica- ti, offriva »l’occorrente qualità di pali per sostenere le viti«, dove l’accento va posto sul a qualità adeguata (AST, CF, Tomaj, S5). Come registrato a Komen, »dai prati-boscati e dai boschi si ottiene del a legna di quercia in ogni rapporto buona«.7 Abbiamo già accennato che la produzione di legname era ben lontana dal ’essere l’unica forma di sfruttamento degli alberi e del e aree boscate. Un importante segmento del loro utilizzo, infatti, era costituito dal ’al evamento, praticato in forme diverse. Qui, ovviamente, bisogna ricordare in primo luogo il pascolo, oltre alla produzione di forag- gio e strame. Il sistema era complesso e semplice al o stesso tempo, in ogni caso tale da aiutarci ulteriormente a chiarire e comprendere la funzionalità del ’ambiente e del pae- saggio del Carso, così com’erano. Gli stessi abitanti del Carso e i rilevatori degli operati catastali avevano dichiarato e annotato che la destinazione d’uso primaria delle aree bo- schive era in effetti il pascolo. Nel e loro risposte di regola i termini »bosco« o »pasco- lo con alberi« come anche »prato con alberi« erano associati e trattati insieme: »I boschi oltre che danno l’occorente legna da fuoco e pascolo agli animali« (AST, CF, Sežana, S5); » I boschi sono popolati pure come li prati e pascoli, e vengono pascolati nel a stagione di estate« (AST, CF, Naklo, S5); »I boschi oltre del pascolo che vi si pratica, sono popolati di legna« (AST, CF, Tomaj, S5). Le superfici più o meno grandi, con una copertura arborea più o meno accentua- ta, erano nel o stesso tempo una fonte aggiuntiva di foraggio e strame. In molte locali- tà il fieno era insufficiente per il bestiame domestico e in pratica in nessun luogo gli ani- mali si potevano nutrire solamente con l’erba dei pascoli e il fieno del a stal a. Il mangime era composto di una piccola quantità di fieno al quale si aggiungeva molta paglia, per cui quest’ultima non era sufficiente per la lettiera del bestiame, pertanto vi si sopperiva con la raccolta del e foglie degli alberi. Dopo quest’uso, lo strame di foglie o di foglie e paglia era reimpiegato per la produzione del letame. In diverse località fu annotato: »Quel e po- che foglie che a stento è possibile raccogliere tra le pietre si usano per lo strame, in quan- to a causa del a mancanza di fieno la paglia viene utilizzata come aggiunta al mangime«.8 Solamente a Duino e Jamiano per preparare lo strame si mescolava al e foglie degli albe- 6 AST, CF, Volčji grad, S5. L’uso per il fuoco è attestato in AST, CF, Hruševica, S5; Kobdilj, S5; Kobjeglava, S5; Kopriva, S5; Povir, S5; Sesana, S5; Šmarje, S5; Tomačevica, S5; Tomaj, S5; Veliki dol, S5; Volčji grad, S5. L’uso per le travi e gli attrezzi è attestato in AST, CF, Avber, S5; Brje pri Komnu, S5; Duino, S4; Duino, S5; Gabrovizza, S5; Gabrovica pri Komnu, S5; Gorjansko, S5; Ivanji Grad, S5; Jamiano, S4; Kazlje, S5; Komen, S5; Kostanjevica na Krasu, S5; Lipa, S5; Merče, S5; Pliskovica, S5; Sveto, S5; Škrbina, S5; Štorje, S5; Temnica, S5; Voglje, S5; Vojščica, S5. 7 AST, CF, Komen, S5; Kostanjevica na Krasu, S5. 8 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Rodik, S4; Sgonico, S4. »La paglia viene impie-gata parte per foraggio, e parte per straglia nel e stal e« fu annotato in AST, CF, Komen, S5; Ivanji Grad, S5; Lipa, S5; Sveto, S5; Škrbina, S5; Temnica, S5; Vojščica, S5; Brestovica pri Komnu, S4. 87 paesaggio culturale e ambiente del carso ri una piccola quantità di piante raccolte sui terreni paludosi nei dintorni del e sorgenti del Timavo e del lago di Doberdò.9 Pure di questo sistema fu fatta un’accurata registra- zione a Štorje. Per lo strame viene adoperata soltanto una scarsa quantità di fogliame che con gran stento vien racolto nei buchi, fra li scogli, dietro qualche muro, o cespuglio, se l’impetuosa bora non priva la comune anche di queste, altro strame di bosco, o paludo non esiste, e la paglia viene per lo più adoperata per foraggio invernale dei bovi, essendo il fieno in scarsissima quantità (AST, CF, Štorje, S4). I contadini concimavano con un composto che, ad esempio nel a zona di Sesana (Sežana), era costituito da »letame prodotto dal ’animalia, e dal a straglia sottopostavi consistente in foglie fresche e stagionate, accumulate nel i boschi e prati e pascoli cespu- gliati, in paglia di saraceno e fusti di granoturco ed in rimasugli del i foraggi«.10 Anche al- trove »a profitto del a concimazione vengono poi diligentemente raccolte le foglie secche dei prati boscati e boschi«.11 Laddove esistevano del e superfici boschive un po’ più este- se, ossia sul e prime pendici dei Brkini, questo sistema funzionava particolarmente bene: »La comune abbonda di prati boscati, e di effettivi boschi dai quali ritragono l’occoren- te quantità di foglie per stendervi le stal e e li cortili, e con ciò aumenta la massa del con- cime, mediante il quale vengono spesso fertilizzati li terreni arativi con una significante quantità di letame per cui sono conservati sempre in buon stato produttivo« (AST, CF, Naklo, S5). A parte lo strame e il letame, la questione del a disponibilità di foraggio ci ri- porta ai pascoli e ai prati, ma anche nuovamente agli alberi, tenendo conto che le diver- se specie di bestiame avevano, ovviamente, necessità differenti. Con la ricostruzione del sistema di al evamento, le diverse tipologie di terreni con erba e alberi acquisiscono ognuna un proprio ruolo in un contesto organico. In primave- ra i bovini si portavano al pascolo sui terreni comunali. Questi erano sia completamen- te rocciosi, nudi, senza alberi e con poca erba tra i sassi, sia ricoperti da una vegetazione arbustiva e arborea più o meno fitta. Talvolta il pascolo alberato poteva trasformarsi in un’area con una maggiore copertura, più simile a un bosco, ma il suo utilizzo era lo stes- so poiché fungeva da pascolo. Le differenti tipologie di terreno in uso col ettivo aveva- no un’altra caratteristica comune, quel a cioè di essere lasciate al a vegetazione natura- le e, di norma, stante l’eccessiva presenza di pietre, di non essere coltivate e migliorate. Questa situazione fu evidenziata da alcune comunità, mentre quelle ubicate sul ciglione carsico sopra Trieste evidenziarono che i rocciosi pascoli comunali ricoprivano gran par- te del territorio. I pascoli poi vengono abbandonati al a naturale loro facoltà produttiva. […] I pascoli sono talmente scogliosi e ripieni di macigni, che senza una vistosa spesa, al a quale qu- esti agricoltori non sono al caso di soportarvela, non possono essere levati (AST, CF, Naklo, S5). I pascoli sono abbandonati alla naturale loro produzione, poiché impossibi- litato di migliorarli per l’estrema quantità di macigni e scogli che li cuoprono (AST, CF, Corgnale, S5). Questi sono li pascoli comunali in generale, li quali cuoprono una gran 9 AST, CF, Duino, S4; Jamiano, S4. 10 AST, CF, Sesana, S5, e tutte le comunità del suo distretto. 11 AST, CF, Kostanjevica na Krasu, S5; Komen, S5; Ivanji Grad, S5; Lipa, S5; Sveto, S5; Škrbina, S5; Temnica, S5; Vojščica, S5. 88 senza bosco: la savana in carso Figura 23. Il lago intermittente di Doberdò, colmo d’acqua (foto: archivio CMC). Figura 24. Un muro a secco presso una superficie erbosa con alberi (foto: archivio CMC). 89 paesaggio culturale e ambiente del carso parte del territorio. Sono ingombrati da maccigni, e pietre, fra i quali vi spunta del ’erba, che sul luogo viene divorata dagli animali.12 La stagione di pascolo dei bovini durava dai sei ai sette mesi, sino al a tarda estate: dagli inizi di aprile al a fine di ottobre (un mese in meno nel e aree più fredde), ma ogni sera i buoi e le vacche erano riportati nel a stal a. In alcune zone il pascolo sui terreni co- munali si protraeva sino al ’autunno inoltrato, in altre al ’incirca fino ad agosto, il che, evi- dentemente, dipendeva dalla quantità e dal a qualità del pascolo stesso. Inoltre, di fre- quente, il bestiame non riusciva a trovare nutrimento sufficiente sui pascoli e aveva quindi bisogno di essere ulteriormente alimentato al ritorno, talvolta anche la mattina prima del a partenza. »Qui non ci sono pascoli naturali sui quali il bestiame potrebbe pascola- re tutta l’estate senza foraggio, per questo motivo, oltre al miglior pascolo, il bestiame ha bisogno di essere in parte foraggiato anche nel a stal a,« fu annotato nel comprensorio di Sesana.13 In maniera ancora più pittoresca a Gorjansko e Štorje. Il bestiame tutta l’estate si manda al pascolo sul a comugna luoghi arridi e sasso- si a nul ’altro utilizabili, ove intervenendo qualche siccità neppur trova il bestiame sufficiente pascolo; onde molte volte fa di scopo di dargli in sussidio specialmen- te al a sera qualche fogliame del e viti, alberi etc. raccolto nel e campagne (AST, CF, Gorjansko, S4) . Non esistono nel a comune pascoli di natura, che l’animalia nel tempo d’estate possi esser suficientemente nutrita, ma deve questa foraggiarsi mattina e sera nel e stal e, giungendo per lo più affamata dal pascolo a casa (AST, CF, Štorje, S4). Nel ciclo del pascolo c’erano poi i prati, con o senza alberi o cespugli, in prevalenza proprietà di singoli, che nel frattempo erano già stati oggetto di attenzione da parte dei contadini. Diversamente dai pascoli, i prati erano spesso lavorati, ciò significa che in pri- mavera si eliminavano le pietre nuovamente »cresciute«, che servivano poi per soprae- levare i muretti che li separavano dai pascoli circostanti e li proteggevano dal bestiame al pascolo, ed inoltre si ripulivano anche dai rovi e dal e foglie.14 Simili prati con alberi, cinti da un muro di pietre, almeno nel a parte occidentale del Carso erano definiti con il ter- mine »ograda«.15 Erano presenti sia qui sia in altri luoghi, anche nel e doline. Durante l’e- state, generalmente tra luglio e agosto, a seconda se la siccità era più o meno intensa, si falciavano per ricavarne il fieno. Poco dopo, quindi tra agosto e settembre, anche su que- sti prati alberati, così come sui pascoli con alberi e sui terreni coperti da vegetazione ar- borea, si tagliava il legno necessario per i pali. Nessuna comunità del ’area carsica pote- va falciare il prato più di una volta l’anno, in alcuni prati era addirittura impossibile usare la falce. In diverse zone tagliare il fieno era un lavoro particolarmente difficile e faticoso, sempre a causa del a grande quantità di pietre e rocce che non consentivano l’uso del a falce e quindi si dovevano impiegare unicamente falcetti. Questo lavoro era svolto in pre- valenza dal e donne: »Le donne con piccoli falcetti devono tagliare e raccogliere l’erba tra 12 AST, CF, Basovizza, S5; Gropada, S5; Banne, S5; Padriciano, S5; Trebiciano, S5. 13 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Lokev, S4; Divača, S4; Rodik, S4. Lo stesso vale per Duino e dintorni. 14 AST, CF, Naklo, S5; Tomaj, S5; Krajna vas, S5; Lokev, S5; Gorjansko, S4; Štorje, S4. 15 AST, CF, Jamiano, S4; Duino, S4; Sgonico, S4. 90 senza bosco: la savana in carso rocce e il pietrame.«16 Come per i pascoli, anche per i prati c’erano del e differenze che per quanto attiene al fieno dipendevano dal o spessore del o strato di terra e dal a quan- tità di pietre, oltre, ovviamente, al a presenza o meno di alberi e arbusti. Quale esempio particolarmente il ustrativo, citiamo quel o di Brestovica presso Komen. I prati di questa comune per la quantità dei sassi mai possono essere segati col a falce solamente, bensì col a falce e col falcetto, certi una sola volta nel ’anno certi nessuna a motivo del a cattiva erba che cresce nei medessimi. […] I prati di questa comune in nessun maniera vengano coltivati ma si abbondonano al a natura stes- sa. La coltivazione consiste nel ’escavazione dei sassi e dei cespugli nel a primave- ra. […] Mancanza d’aquamento e d’innondazione fa che questa comune raccoglie una pessima qualità di fieno ed in gran mancanza cosiche debbe condurlo d’al- tri luoghi lontani. […] Prati: al a 1ma classe s’assegnano quei pratti, che produco- no una qualità di fieno misciato coi spini, che vien tagliato ogn’anno una sola volta parte col a falce parte col falcetta a motivo dei scogli prominenti. L’arsura e la pro- fondità del a terra è sempre rel ativamente al a 2da classe. D’un jugero [0,575 ha] di pratto si ricava annualmente 3 ½ centenari di fieno. Al a 2da classe assegna la comune quei pratti, che producono mescita coi spigni, i quali vengono una sol volta nel ’anno tagliati non con la falce ma con falcetta motivo la gran quantità dei sassi prominenti sopra la superficie percio non si puo assegnare la profondita del a terra. Si ricava annualmente sopra la superficie d’un jugero d’Austria centenara 2 di fieno. La terza classe s’ascriva a quei pratti, che producono erba mesciata coi spini, i qua- li la piu parte sono coperte coi sassi e scogli e perciò non possono essere tagliate ne con la falce ne con falcetta, ma servono per pascolo degl’animali, più pel e pecco- re che per i manzi. La profondità del a terra a motivo dei scogli non si puo indicare. Si ricava d’un jugero quadrato annualmente fudri di fieno trenta sei (36) (AST, CF, Brestovica pri Komnu, S4). Nei vil aggi del ciglione carsico sopra Trieste fu rilevato che esistevano anche pascoli recintati a uso privato, che si ripulivano ed erano leggermente migliori di quel i comuna- li, terreni che possiamo confrontare con il tipo di pascoli appena citati, adatti solo per far pascere le pecore. »Questi pascoli sono circondati da muri, formati col e pietre raccolte sui medesimi, e in tal modo sono meno ingombri dei comunali«. A Trebiciano sottoline- arono che in questi luoghi »un notabile spazio è però tolto al a vegetazione del ’erba, dai maccigni, che vi esistono sul a superficie« (AST, CF, Trebiciano, S5). Dopo la falciatura dei prati, vi si trasferiva il bestiame: »generalmente tutti i prati di questa comune vengono pascolati dalla propria animalia dopo la raccolta del fieno«.17 A Štorje fu ribadito che ciò era dovuto al fatto che in autunno nei pascoli comunali veni- va a mancare la pastura: »dopo il primo taglio del ’erba deve lasciarsi pascolare l’anima- lia cornuta, venendo a mancare i pascoli al comunale« (AS T, CF, Štorje, S4). I bovini pa- scevano sui prati sino al a fine del periodo pascolativo, che si concludeva più o meno nel tardo ottobre. 16 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4. 17 AST, CF, Ivanji Grad, S5; Lipa, S5; Sveto, S5; Škrbina, S5; Temnica S5; Vojščica, S5; Brestovica pri Komnu, S4; Duino, S4; Jamiano, S4; Gorjansko, S4; similmente AST, CF, Sgonico, S4; Štorje, S4. 91 paesaggio culturale e ambiente del carso Come su tutte le superfici in cui era presente vegetazione arborea, in quel periodo anche sui prati si raccoglieva la legna da ardere, infatti, si può affermare che dappertut- to i prati offrivano, oltre al fieno e al a pastura autunnale, anche legna da ardere (nonché materiale per i pali, gli attrezzi agricoli e in alcuni luoghi anche per le travi).18 »Sui prati ci sono alcune querce che si usano per le necessità domestiche, e precisamente begli albe- ri per le costruzioni e più scadenti per legna da ardere, che però diventano adatti al ’uso in cento o duecento anni« si rilevò nel territorio di Sesana.19 Da ottobre-novembre e durante l’inverno i bovini restavano nel a stal a, dove era- no foraggiati, come abbiamo già ricordato, generalmente con una miscela composta da una parte più o meno rilevante di fieno, falciato in estate sui prati, e dal a paglia residuo del a lavorazione del e granaglie. Riassumiamo in breve il ciclo di pascolo dei bovini, come fu annotato a Pliskovica. I bovi e le vacche sono di taglio medio tendente al piccolo. Con questi si disimpegna- no tutti li lavori da tiro. Dessi sono per il più provenienti dal Carso, e la minima par- te dal a Carniola. Vengono cacciati al pascolo del a comune tutto il corso del ’esta- te, cioè dal a metà di aprile, sino a tutto di ottobre, ritirandoneli la notte; e durante la stagione invernale vengono foraggiati con fieno, paglia di orzo e in parte anche di formento e di saraceno, e con fusti di granoturco (Pliskovica, 551 S/5.17.20.21). I buoi erano foraggiati in modo frugale e tenuti come animali da lavoro, da traino, e anche le vacche erano aggiogate, tanto che nel a maggior parte dei casi non erano in grado di al evare adeguatamente i vitel i. Per questo motivo molto spesso s’importava- no buoi da altre zone del Carso, dal a Carniola e anche dal Tolminese.20 Unicamente nei vil aggi sovrastanti il ciglione carsico sopra Trieste si trovavano vacche al evate esclusiva- mente per la produzione e la successiva vendita del latte.21 I bovini costituivano quasi un quarto di tutto il bestiame presente sul Carso (oltre 12.000 capi): più del a metà erano buoi, mentre i vitel i erano rarissimi, tanto che in numerose comunità non ne fu registra- to nemmeno uno (erano presenti solo nel ’area costiera dalle parti di Duino, in alcune co- munità nel a zona di Sesana e a Senožeče). Ma i bovini non erano l’unica razza di animali domestici esistente sul Carso e tanto meno la più numerosa. Il bestiame di gran lunga più numeroso erano le pecore, quasi il 70% di tutto il be- stiame, ed erano presenti dappertutto in Carso: se ne contavano decine di migliaia (quasi 40.000 capi). Anche le pecore pascolavano sui pascoli comunali e sui prati. Sebbene fos- sero gli animali domestici più numerosi, nel Catasto sono poco trattate. In alcuni paesi si lasciavano al pascolo nel corso di tutto l’anno,22 in altre località erano tenute al riparo soltanto durante il freddo più intenso (»desse si pascolano tutto l’anno, meno le giorna- te d’inclemente freddo«, AST, CF, Štanjel, S5). D’inverno in diversi luoghi le portavano al 18 AST, CF, Avber, S5; Brje pri Komnu, S5; Devin, S5; Divača, S5; Gabrovizza, S5; Gabrovica pri Komnu, S5; Gorjansko, S5; Hruševica, S5; Ivanji Grad, S5; Kazlje, S5; Kobdilj, 195 S5; Kobjeglava, S5; Komen, S5; Kopriva, S5; Lipa, S5; Corgnale, S5; Merče, S5; Naklo, S5; Pliskovica, S5; Povir, S5; Sesana, S5; Skopo, S5; Sveto, S5; Škrbina, S5; Šmarje, S5; Štorje, S5; Temnica, S5; Tomačevica, S5; Tomaj, S5; Veliki dol, S5; Voglje, S5; Vojščica, S5; Volčji grad, S5; Sgonico, S5. 19 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4. 20 AST, CF, Kostanjevica na Krasu, S5; Štanjel, S5. 21 AST, CF, Opicina, S5; lo stesso vale per tutti gli altri vil aggi del ciglione carsico sopra Trieste. 22 AST, CF, Opicina, S5; lo stesso vale per tutti gli altri vil aggi del ciglione carsico sopra Trieste. 92 senza bosco: la savana in carso pascolo solamente durante il giorno, tuttavia dovevano essere ulteriormente foraggiate nel a stal a, tanto la mattina che la sera,23 con rami, cime di alberi e arbusti. Nel territo- rio di Gorjansko fu precisamente riportato che »le foglie del frassino si seccano e si usa- no per pascolo delle pecore nell’inverno.«24 Questo significa che per nutrire gli ovini si raccoglievano le foglie, si tagliavano i rami degli alberi e dei cespugli, si seccavano e quin- di si conservavano per l’inverno. In nessuna del e località censite si menziona un pascolo stagionale del e greggi al di fuori del Carso; in diversi paesi, invece, si tiene a sottolineare che in quel ’area non si ospitavano animali forestieri poiché non c’era abbastanza pastu- ra neppure per il bestiame locale.25 Solo a Duino e Jamiano avevano annotato che, seb- bene fosse fuori questione accogliere animali provenienti da altre zone, la gente del luogo subiva dei danni in quanto il conte duinate Del a Torre (Thurn) dava ospitalità a tre greg- gi di pecore – uno nel ’area di Duino e due presso il Lokavec al e foci del Timavo (uno nei dintorni di S. Giovanni di Duino e l’altro a Sablici – Sabliči) – in cambio di un indennizzo che gli versavano i pastori.26 A San Daniele si rimarcò che le pecore erano »del a razza la più ordinaria, piccole e di lana grossa«.27 L’allevamento delle pecore dava diversi vantaggi ai contadini del Carso: una parte della lana serviva per realizzare i propri capi d’abbiglia- mento mentre il rimanente era destinato al a vendita, anche il formaggio prodotto veni- va in parte consumato e in parte venduto, al a vendita erano destinati pure gli agnel i che non erano indispensabili per rinnovare le greggi. Anche i suini erano abbondanti (circa 3.500), tanto che quasi ovunque il loro nu- mero superava quel o complessivo del e vacche e dei vitel i: unica eccezione la zona del Ciglione carsico più prossima al a costa, dove in molti luoghi di maiali non ce n’erano proprio e per tale motivo nel computo totale risultano meno numerosi del e vacche. I contadini nutrivano anche i maiali con il pascolo e raccoglievano le ghiande per foraggiar- li. Li alimentavano pure con erbe, avanzi di cucina e poco grano: soprattutto a quel i de- stinati al ’ingrasso si davano polenta di grano saraceno, sorgo e mais. Erano »di razza or- dinaria«. Con la carne del maiale e con lo strutto »condiscono gl’agricoltori le minestre nel i giorni di grasso«.28 In Carso c’erano inoltre alcune centinaia di caval i. »I caval i sono carsolini, di ta- glio piccolo e mal nutriti«. Erano foraggiati come i buoi e impiegati anch’essi per i lavo- ri nei campi.29 A San Daniele fu però annotato che »i caval i sono nel e mani degli impie- gati, i quali se li nutriscono con lusso« (AST, CF, Štanjel, S5). Ugualmente diffusi erano gli asini, anch’essi condotti al pascolo e utilizzati come animali da soma, mentre i muli era- 23 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4; Sgonico, S4; Duino, S4; Jamiano, S4. 24 AST, CF, Brestovica pri Komnu, S4; Gorjansko, S4. 25 AST, CF, Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4; Sgonico, S4; Brestovica pri Komnu, S4. 26 AST, CF, Duino, 980–S4; Jamiano, 994, S4. »Per nesun conto potrebbe essere l’introduzione del bestia- me forestiero, come lo è d’una posta di peccore, e questa comune non risenta verun utile, ma discapito, e S. E. Conte del a Torre gode questo utile, che paga il peccoraio« (AST, CF, Duino, S4); »come lo è di due poste di peccore, cioè una posta in S.Giovanni, e l’altra apresso il Sablig, e questa comune non risen-te verun utile, ma discapito, e S.E. Il Sig. Conte de Thurn gode questo utile che pagano li pecoraj« (AST, CF, Jamlje, S4). 27 AST, CF, Štanjel, S5. 28 AST, CF, Štanjel, S5; Pliskovica, S5. 29 AST, CF, Pliskovica, S5; Kostanjevica na Krasu, S5; Opicina, S5. 93 paesaggio culturale e ambiente del carso no più rari, tranne che a Vojščica e in tre località lungo il ciglione carsico, dove erano pre- senti terrazze coltivate sul ripido versante costiero sino al mare, in particolare a S. Cro- ce e poi a Contovel o e ad Aurisina (Nabrežina). In generale »tutte queste bestie sono di taglio piccolo, e vengono nutrite mediocremente« (AST, CF, Kostanjevica na Krasu, S5). Nel ’intera area del Carso furono complessivamente censiti ben 54.000 capi di bestiame (Tabella 1). Tabel a 1: Numero dei capi di bestiame in Carso (1827/1830) Distretto Cavalli Muli Asini Buoi Vacche Vitelli Maiali Pecore Duino 6 2 66 379 276 62 195 1.667 Duino (Go) 54 9 126 1.197 789 302 713 5.966 Ciglione carsico 74 25 72 1.903 1.288 0 0 9.384 (Trieste) Funfenberg 24 0 72 245 267 0 210 2.729 Sesana 111 0 90 1.551 915 111 1.249 9.920 S. Daniele 0 22 0 605 421 0 374 2.516 Reiffenberg 38 3 0 939 522 0 672 3.704 Senožeče (Postojna) 28 0 0 178 24 13 0 234 Kostanjevica (Renče) 12 0 0 114 78 0 82 435 Val one (Go) 0 0 12 148 122 34 80 551 Totale 347 61 438 7.259 4.702 522 3.575 37.106 Fonte:30 Come si evince dal e descrizioni citate, il sistema di sfruttamento del e risorse natu- rali boschive ed erbose in Carso era elaborato e perfezionato sin nei minimi particolari. Prevedeva l’utilizzo prevalente del e terre comuni per gran parte del periodo di pascolo, dopo di che il bestiame si tratteneva per alcuni mesi soprattutto sui pascoli e sui prati in- dividuali, che in precedenza erano stati falciati e il cui fieno rappresentava la base del fo- raggio invernale di bovini e caval i. Paral elamente gli alberi erano usati per soddisfare tut- to il fabbisogno domestico di legna da ardere e legname, ma al o stesso tempo anche per ricavarne foraggio (durante il periodo del pascolo) e in particolare per trarne l’alimen- tazione invernale delle pecore, mentre le ghiande delle querce erano destinate ai maia- li. In diversi luoghi il bestiame era ulteriormente alimentato anche durante il pascolo esti- vo. Il sistema si basava sul o sfruttamento ottimale di tutte le risorse naturali disponibili di 30 AST, CF, Distretto (comune catastale ovvero busta), sempre fasc. S5, come segue: Distretto di Duino (Brestovica pri Komnu, Brje pri Komnu, Devin, Gabrovec, Gorjansko, Jamiano, Malchina, Aurisina, Sales, Sela na Krasu, Slivia, S. Pelagio, Repen, Sgonico); D. Funfenberg (Črni Kal, Grozzana – Gročana, Hrpelje, Ocizla, Prebenico – Prebeneg); D. Renče (Kostanjevica na Krasu); D. Reiffenberg (Ivanji grad, Komen, Lipa, Branik, Sveto, Škrbina, Temnica, Vojščica); D. Štanjel (Avber, Gabrovica pri Komnu, Hruševica, Kobdilj, Kobjeglava, Kopriva, Pliskovica, Šmarje, Štanjel, Tomačevica, Veliki Dol, Volčji grad); D. Sesana (Dane, Divača, Dutovlje, Kazlje, Krajna vas, Ležeče, Corgnale, Merče, Naklo, Povir, Rodik, Sesana, Skopo, Štorje, Tomaj, Utovlje, Voglje); D. Trieste (Banne, Basovizza, Gropada, Contovello, S. Croce, Opicina, Padriciano, Prosecco, Trebiciano). ASG, C, Doberdò, S5, Dol, S5; S. Martino S5, Opatje selo, S5. AS, FK, Senožeče. 94 senza bosco: la savana in carso modo che ogni singola risorsa desse il massimo rendimento possibile, tenendo conto del- le sue peculiarità e delle caratteristiche del ’ambiente carsico. Ogni risorsa naturale ave- va un suo proprio ruolo, anzi, di norma più d’uno, in un insieme perfettamente coordina- to. Agli inizi del ’Ottocento questo sistema consentiva l’al evamento di un gran numero di animali. È possibile dedurlo non soltanto sul a base del e cifre riportate, ma specialmen- te in considerazione del fatto che sul Carso c’erano più capi di bestiame che, ad esempio, nel a ben più estesa Carnia (Fornasin, 2011, 243), nonostante le sue montagne, gli alpeggi e i prati alpini. In Carso era particolarmente alto il numero di pecore ed š indubbiamen- te possibile affermare che, accanto al a coltivazione e al a viticoltura, la pastorizia costitu- iva uno dei pilastri fondamentali del ’economia contadina del territorio. E invece il bosco? Per cercare di rispondere al fondamentale interrogativo che ci siamo posti, partire- mo da alcuni pareri e punti di vista dei contadini locali, che possiamo desumere dagli ela- borati del catasto franceschino e che ci consentono di completare il quadro già delineato. Così, ad esempio, a Gorjansko si rilevava che »boschi in questa comune non esistono, ma crescono solamente nei prati alcuni alberi, come rovoro, frassino, e tutto in picola quan- tità e qualità a motivo dei venti che non permettono crescere«. La bora, quindi, secon- do la popolazione del Carso costituiva un serio ostacolo al a crescita degli alberi. Aggiun- sero che dal e loro parti, da tempo non c’erano alberi ad alto fusto, »poiché ove esiste qualche uno dei simili oltre passa la memoria dei ora viventi« (AST, CF, Gorjansko, S4). La scarsa presenza di alberi a Opatje selo e a Jamiano era imputata anche ai ver- santi pietrosi. Il sassoso pendio del territorio non lascia quel a profondità, che abbisognarebbe ge- neralmente a qualunque pianta per radicarsi, e divenire d’alto fusto di modo che conosciuta la poca, o nessuna utilizzazione che si ha di tal sorta di boschi, la colti- vazione dei medemi si può dire che in questa comune manchi affatto (AST, CF, Ja- miano, S4). Boschi in natura non esistono in questa comune, si trovano bensì dei tratti sparsi qua e là di piante cedue forti, ma questi tratti in complesso non presentano la vera significazione del a parola bosco. Impercioche la situazione del Carso non è tale di poter in questo genere di coltivazione essere frutuosa; egli è troppo sassoso il pen- dio di queste montagne, per cui non possono le piante radicarsi e crescere (ASG, C, Opatje selo, S4). Si tratta di considerazioni da cui si evince chiaramente che in Carso il bosco ad alto fusto non aveva alcun senso per il contadino, non fosse altro per il semplice fatto che non vi poteva prosperare. A un ulteriore passo in questa direzione ci porta la nota relativa a Duino e Jamiano, dove scrissero che i »prati, e boschi, li quali per esser antichi e di me- todo, non puono per nessun conto indicarsi come distinti« (AST, CF, Duino, S4; Jamiano, S4). Quest’ultima affermazione è di particolare rilevanza, non solo perché rappresenta un bel ’esempio di resistenza a un tentativo di classificazione amministrativa ovvero del ’i- nadeguatezza delle definizioni ufficiali, come ci sono note dalla letteratura internaziona- le (Scott, 1988). Per le nostre finalità è ancora più importante constatare che in questo modo i contadini esprimevano la consapevolezza e la convinzione che tale forma del ’am- biente, in cui non c’era un vero bosco ma superfici erbose cosparse di radi alberi, riflette- va il loro antico metodo d’uso, in favore del quale già da tempo avevano sistematicamente 95 paesaggio culturale e ambiente del carso adeguato e coerentemente conservato l’ambiente naturale così modificato. Nel e dichia- razioni finali, riportate per entrambe le località, si sottolinea che nel e risposte era sta- to spiegato »ciò che la continua esperienza insegna, e quel o che il fatto conferma« (AST, CF, Duino, S4; Jamiano, S4). Evidenziarono, quindi, come le loro pratiche di coltivazione e d’uso del ’ambiente carsico poggiassero sul sapere locale, formatosi attraverso le genera- zioni, in merito a ciò che è possibile e sensato e a ciò che non lo è. Si ricordi che nel a zona di Sesana avevano annotato che gli alberi di quercia raggiungevano una misura utile (per ricavarne legname da costruzione) solo dopo cento o duecento anni. A Sgonico afferma- rono che »sui terreni migliori la quercia raggiunge nuovamente dopo 50 anni uno stato tale da essere redditizia«, ma anche che »se si taglia una quercia molto vecchia, si secca- no pure le radici«.31 In questo caso l’albero è perduto per sempre, la ricrescita è molto lenta e lunga, tanto che appena i pronipoti avrebbero potuto sperare di ricavare dal nuo- vo alberel o il legname per le travi di una nuova casa. E nel frattempo? Dal punto di vista del contadino del Carso era certamente più ragionevole il sistema di coltivazione e utiliz- zo degli alberi che prevedeva la potatura saltuaria dei rami e la forma di governo a ceduo. Quanto sopra esposto e la descrizione di un tale regime di sfruttamento del »bo- sco« sono confermati e al o stesso tempo molto ben il ustrati nel e annotazioni di Bre- stovica presso Komen dove, come si è già osservato, i boschi locali erano »poco folti«, con piccole e rade essenze arboree, ed erano quindi usati anche come prati, nonché nei commenti di Gorjansko, dove il momento del a potatura era stabilito in base al e espe- rienze locali. Gli alberi non si tagliavano in maniera indiscriminata ma erano sfruttati se- condo un col audato ciclo di potatura, stabilito tenendo conto del a qualità del terreno e di conseguenza conformato al a ricrescita, che forniva al contadino il necessario legna- me da ardere e da opera. La prima classe si attribuisce a quei boschi che hanno una profondità di terra di piedi uno e che sono tagliabili ogni venti cinque anni [25] e dei quali crescimento è meno impedito dagli scogli e dal ’ardere del sole. Si ricava ogni venti cinque anni so- pra la superficie d’un jughero [0,575 ha] 4 carra di legname, due carra di pal i per le vitti e due carra di frasche per fuocco […] La 2da classe s’attribuisce a quei bo- schi, i quali la piu parte sono coperti coi sassi e scogli e dei quali crescimento è as- sai impedito degli scogli e dal ’ardore del sole, questi sono tagliabili ogni trenta anni. Si ricava ogni 30 anni sopra un jughero 2 ½ carra di legname, un carro dei pal i per le vitti ed un mezzo carro del legname minuto per fuoco (AST, CF, Brestovica pri Komnu, S4). I pali di frassino si devono tagliare nel fine di agosto, ed in settembre, altrimenti ta- gliati sono sottoposti al a devorazione dei vermi, e le foglie del frassino si seccano e si usano per pascolo del e peccore nel ’inverno. Pali di rovoro poi si tagliano nel ’in- verno. […] Legna poi pel fuoco vengono appena in 20 o 25 anni a simil qualità da esser tagliati. [Alla domanda sui boschi, sul legname da costruzione e sui pro- fitti derivanti risposero:] Nul a di questo esiste, fuorche in un picolo distretto co- munale con cespugli di rovori e frasche, e spini con pochissimo di somaco quale ap- pena merita da esser nominato. Le di cui frasche e spini vengono consumate pel fuoco, ed il somaco raccolto dagli individui [che si vendeva con grande profitto a 31 AST, CF, Sgonico, S4; Sesana, S4; Naklo, S4; Tomaj, S4; Krajna vas, S4; Corgnale, S4; Divača, S4; Rodik, S4. 96 senza bosco: la savana in carso Trieste per la tintura dei tessuti32] amontante a pochi funti [0,56 kg] per cadau- no; e questo non annualmente, ma soltanto dopo il corso d’alcuni anni (AST, CF, Gorjansko, S4). Gli abitanti del Carso non distruggevano il bosco e gli alberi, li usavano. Ogni albero si trovava lì con uno scopo ben preciso. Nel determinare l’uso del ’ambiente e del o spa- zio nonché delle piante, si basavano sulle verificate caratteristiche del terreno carsico e del e condizioni climatiche e, al contempo, sul a sperimentata capacità vegetativa del e di- verse specie. In Carso, infatti, le essenze arboree crescevano anche al di fuori dei pasco- li e dei prati più o meno alberati. In primo luogo va ricordato che nei vigneti si coltivava l’acero campestre, una specie di pianta usata come tutore vivo del e viti sebbene, proba- bilmente, gli alberi più frequenti fossero quel i di noce: si coltivavano nei pascoli comuna- li e negli altri terreni col ettivi, lungo le strade e in qualche piazza di paese, ma anche nei pascoli e nei vigneti individuali nonché nei cortili del e case. Peraltro nel e corti ( borjači) erano più diffusi i gelsi, piantati pure lungo le vie dei borghi e in taluni luoghi anche nel e campagne e quindi, per lo più, su possedimenti individuali ma anche su terreni comuni.33 Specie nel e zone del Carso prossime al a costa, si rileva che i contadini più »zelanti« col- tivavano nei campi e tra le viti qualche albero da frutto: quel i citati più spesso sono pe- schi, susini, ciliegi; a Sgonico e Brestovica anche fichi.34 La descrizione più ricca, che al o stesso tempo completa l’elenco del e specie di alberi da frutto presenti nel ’area, ci è sta- ta lasciata a Tomaj, probabilmente il villaggio con il suolo più fertile del Carso. Alcuni del i più zelanti ed attivi agricoltori coltivano tanto nel i campi arativi sempli- ci e vitati, com’anche nel i pascoli prossimi al e abitazioni, un piccolo numero di pru- ne, e ciliegie oltre qualche noce, mela e pera. Nel i cortili poi qualche gelso (AST, CF, Tomaj, S5). Sul a scorta di quanto esposto sinora è possibile concludere che, in base al e loro esperienze e al sapere derivante dal a pratica, i contadini ritenevano che in Carso il »vero bosco« non era economicamente giustificato. Gli alberi, infatti, crescevano piuttosto male e lentamente, per cui il potenziale rendimento e reddito ricavabili per esempio dal legname da costruzione sarebbero stati inferiori a quel i che si potevano ottenere dal a stessa superficie se utilizzata anche per il pascolo, in particolare se il bosco fosse stato di- radato per produrre più erba, utilizzando al contempo i rimanenti alberi per soddisfare tutte le esigenze quotidiane e stagionali. Bisogna considerare, inoltre, che la coltivazione di alberi ad alto fusto di forma regolare richiedeva al contadino di rinunciare al loro sfrut- tamento, comportando una perdita di reddito (potenziale) ovvero di una fonte di legna necessaria e di superfici da pascolo, protratta per diversi decenni o addirittura un paio di secoli. Per tale ragione lasciavano crescere di proposito solamente gli alberi necessari a coprire i bisogni domestici, il consumo nei vigneti e a integrare il foraggio. Era per questo motivo che avevano scelto il ceduo quale forma di al evamento degli alberi. 32 Scharnaggl, 2008, 79, 84. 33 AST, CF, Brestovica pri Komnu, S5; Brje pri Komnu, S5; Duino, S5; Gabrovizza, S5; Gabrovica pri Komnu, S5; Gorjansko 339, S5; Hruševica, S5; Kobjeglava, S5; Kopriva, S5; Repen, S5; Salež, S5; Sela na Krasu, S5; Slivno, S5; Šempolaj, S5; Štanjel, S5; Tomačevica, S5; Veliki dol, S5; Volčji grad, S5; Sgonico, S5). 34 AST, CF, Brestovica pri Komnu, S5; Sales, S5; Slivia, S5; S. Pelagio, S5; Sgonico, S5. 97 paesaggio culturale e ambiente del carso Tabel a 2: Le superfici agricole nude in Carso nel 1830 Superficie Distretto totale Pascolo nudo Prato nudo Jugeri Jugeri % Jugeri % Duino 23.076,98 6.498,65 28,16 169,39 0,73 Duino (Go) 5.564,92 2.365,22 42,50 331,02 5,95 Ciglione carsico (Trieste) 10.436,61 5.292,86 50,71 261,20 2,50 Funfenberg (Črni Kal) 6.694,39 2.972,68 44,41 520,96 7,78 Sesana 29.312,84 11.765,77 40,14 2.616,28 8,93 S. Daniele del Carso 14.696,58 5.431,32 36,96 2.399,92 16,33 Reiffenberg 12.545,20 5.531,64 44,09 524,82 4,18 Senožeče (Postojna) 4.119,99 424,04 10,29 1.064,28 25,83 Kostanjevica n. K. (Renče) 2.490,45 1.337,15 53,69 0 0 Val one (Gorizia) 1.710,01 422,36 24,70 130,98 7,66 Totale 110.647,97 42.041,69 38,00 8.018,85 7,25 Totale (ha) 63.673,95 24.193,49 4.614,56 Fonte:35 Negli anni 1820–1830 in diverse comunità il bosco non era stato neppure inserito tra le categorie di terreni previste dal catasto; dove fu registrato, si trattava sempre di »ceduo«. Le eccezioni erano rarissime. Un bosco con essenze d’alto fusto fu registrato a Podgorje ai piedi del monte Taiano (Slavnik) (circa 200 ettari, ma non abbiamo incluso questa comunità tra i dati statistici qui presentati). Nel 1830 lo si incontra nuovamente a Lipizza presso Basovizza (120 ha) e in particolare ancor sempre presso Senožeče, dove il »bosco d’alto fusto, utilizzabile per ricavare legname da costruzione« ( Bauhochwälder), copriva oltre un terzo del territorio catastale del comune (36%) e si estendeva addirittu- ra su 860 ettari:36 era questo lo stesso bosco nel quale un secolo prima, intorno al 1720, erano stati abbattuti 20.000 alberi (ed esisteva ancora). A Duino c’era »un sol boscho ri- servato il quale, è di proprietà di s.e. il sig. conte Raimondo de Thurn« oltre a »due pic- coli boschi di proprietà del o stato« (AST, CF, Duino, S4). 35 AST, CF, Distretto (comune catastale ovvero busta), sempre fasc. R12, come segue: D. Duino (Brestovi- ca pri Komnu, Brje pri Komnu, Duino, Gabrovizza, Gorjansko, Jamiano, Malchina, Aurisina, Sales, Sela na Krasu, Slivia, S. Pelagio, Repen, Sgonico); D. Funfenberg (Črni Kal, Grozzana, Hrpelje, Ocizla , Prebenico); D. Renče (Kostanjevica na Krasu); O. Reifenberg (Ivanji grad, Komen, Lipa, Branik, Sveto, Škrbina, Temnica, Vojščica); D. Štanjel (Avber, Gabrovica pri Komnu, Hruševica, Kobdilj, Kobjeglava, Kopriva, Pliskovica, Šmarje, Štanjel, Tomačevica, Veliki Dol, Volčji grad); D. Sesana (Dane, Divača, Dutovlje, Kazlje, Krajna vas, Ležeče, Corgnale, Merče, Naklo, Povir, Rodik, Sesana, Skopo, Štorje, Tomaj, Utovlje, Voglje); D. Trieste (Banne, Basovizza, Gropada, Contovello, S. Croce, Opicina, Padriciano, Prosecco, Trebiciano). ASG, C, Doberdò, S5, Val one, S5; S. Martino S5, Opatje selo, S5. AS, FK, Senožeče. 36 AST, CF, Basovizza, R12; AS, FK, Senožeče. 98 senza bosco: la savana in carso Tabel a 3: Superfici agricole alberate in Carso nel 1830 Superficie Distretto totale Prato con alberi Pascolo con alberi Bosco ceduo Jugeri Jugeri % Jugeri % Jugeri % Duino 23.076,98 6.509,96 28,21 5.341,13 23,14 1.391,87 6,03 Duino (Go) 5.564,92 1.318,40 23,69 719,34 12,93 6,49 0,12 Ciglione carsico (Trieste) 10.436,61 643,44 6,17 530,33 5,08 1.950,96 18,69 Funfenberg (Črni Kal) 6.694,39 709,3 10,6 1035,46 15,47 506,59 7,57 Sesana 29.312,84 6.577,29 22,44 7.125,60 24,31 2.598,53 8,86 S. Daniele del Carso 14.696,58 2.015,71 13,72 586,84 3,99 1.187,86 8,08 Reiffenberg 12.545,20 1.663,11 13,26 1.992,86 15,89 499,26 3,98 Senožeče (Postojna) 4.119,99 476,16 11,56 84,61 2,05 388,59 9,43 Kostanjevica n. K. (Renče) 2.490,45 770,41 30,93 0 0 59,90 2,41 Val one (Go- rizia) 1.710,01 651,34 38,09 185,42 10,84 11,86 0,69 Totale 110.647,97 13.506,76 12,21 11.541,12 10,43 8.601,91 7,77 Totale (ha) 63.673,95 7.772,66 6.641,50 4.950,09 Fonte:37 Per quanto concerne la loro estensione, i boschi cedui non rappresentavano nep- pure un decimo del ’intero territorio, poco estesi erano anche i pascoli e i prati con albe- ri, pertanto i terreni più o meno brul i, più o meno cosparsi di sassi, coprivano un terzo del territorio. La forma d’utilizzo più diffusa era quel a dei pascoli nudi, che occupavano il 38 % del a superficie totale, in alcune zone fin oltre la metà, in altre invece molto meno. Di norma si trattava di terreno comunale ovvero di landa carsica. Le differenze tra le di- verse comunità e distretti erano notevoli anche per quanto riguarda le altre categorie del suolo, ma nonostante queste oscillazioni i dati quantitativi confermano l’impressio- ne generale. Il contadino carsolino aveva adeguato l’ambiente carsico al proprio siste- ma agricolo e per le esigenze del ’al evamento lo aveva trasformato in una sola, grande estensione di pascolo e prato, con o senza alberi (più spesso senza). Tali aree costituiva- no addirittura i due terzi del totale (68%), ma poiché i boschi cedui erano usati anche per il pascolo, la quota di territorio carsico sul quale si praticava il pascolo e dal quale si rica- vava il foraggio, arriva ai tre quarti (76%) del a superficie complessiva (tabel e 2 e 3). Pos- siamo quindi affermare che gli abitanti del Carso avessero abolito il bosco e introdotto la savana – vediamo perché. Il ceduo, che abbiamo incontrato anche in Carso, era un tipo di bosco diffuso in area mediterranea, dove anche le foglie essiccate erano spesso utilizzate come foraggio. »Gli interventi di potatura del e cime e dei rami laterali sono prassi conservative: consen- 37 Vedi nota al a Tabel a 2. 99 paesaggio culturale e ambiente del carso tono la produzione e la raccolta di legname e foglie senza distruggere l’albero la cui vita, anzi, si al unga in maniera rilevante rispetto a una pianta lasciata crescere in autonomia. Si tratta di pratiche più tipiche del a savana che del bosco«. La combinazione di diver- se superfici destinate al pascolo e di differenti sistemi di foraggiamento aumenta sensibil- mente il numero di capi di bestiame che l’ambiente è in grado di sopportare. È razionale avere meno alberi e di conseguenza più pascolo, inoltre, nel e zone secche, gli alberi radi possono meglio espandere le proprie radici e crescono con più vigore (Grove, Rackham, 2001, 55, 71, 192). In ragione del a permeabilità del suolo, si presenta tale pure il Carso dove soffia anche la bora, vento che sol ecitava ulteriormente le radici, il cui sviluppo era reso difficile dal a presenza di uno strato di terra molto sottile sopra le pietre, pertan- to in quest’area una minor densità poteva costituire un ulteriore beneficio per gli alberi. In passato le essenze arboree e il loro legno erano utilizzati in maniere e per sco- pi diversi. È noto che nel a Repubblica di Venezia, così come in Liguria e in Francia, i rami dei roveri erano addirittura intenzionalmente e progressivamente potati e forzati ad as- sumere la curvatura necessaria al ’attività cantieristica (»stortami«). Un esempio simile è documentabile per la vicina Istria veneta nel a seconda metà del Settecento quando Giu- lio Cesare Vittori, »soprastante al i boschi« della provincia, rappresentò dettagliatamen- te il procedimento di »custodia, disciplina et coltura« dei boschi di rovere »per gli impor- tanti usi del ’arsenale«. A tal fine il ustrò lo stato iniziale di un giovane bosco coltivato, la situazione dei boschi di quercia coltivati in Istria e il loro necessario sfoltimento (»schiari- tione«), affinché gli alberi crescessero secondo le esigenze del e costruzioni navali. Impie- gando le »distanze, e metodo di coltivar il bosco«, definiti fin nei minimi particolari, era possibile ottenere l’effetto voluto, »acciò tutti li roveri divenir possino ottimi per le nava- li costruzioni, e con le necessarie curve nel più beve tempo, e nel a loro maturità«. Sono raffigurati anche il metodo di potatura e i suoi risultati, ben dodici diverse modalità di cre- scita forzata degli alberi e dei rami, ognuna con il proprio nome, nonché la combinazio- ne più adeguata rispetto al a forma del ’albero vicino (Mappa 10). Per quanto riguarda la Liguria è stato addirittura scritto che vi si coltivavano le »querce come ulivi« (Moreno, 1982). A prescindere da queste tecniche di selvicoltura, elaborate per scopi industriali, sia le essenze arboree sia le superfici arborate erano utilizzate in numerosi modi diversi, an- che contemporaneamente, tanto che le tipologie che abbiamo presentato relativamen- te al Carso sono pienamente corrispondenti al panorama mediterraneo e anche a quel o più ampiamente europeo. Le foglie costituivano una forma antica di foraggio e in Euro- pa lo sfruttamento degli alberi per trarne pastura era una prassi particolarmente diffusa, che si è mantenuta a lungo (Sigaut, 1982). A seconda del e condizioni del territorio e del bagaglio di conoscenze locali, una stessa superficie alberata era un luogo destinato a un uso polivalente e combinato: contemporaneamente campo, pascolo e bosco, senza che ciò determinasse la totale distruzione della copertura forestale. Questi modi di utilizzo sono stati definiti »tecniche di uso multiplo del e risorse boschive« (Moreno, 1990, 34). Il termine »savana«, che deriva da un termine amerindio, è stato solo in seguito adottato per altre parti del mondo, in particolare per l’Africa. »La savana è composta da pochi alberi isolati, sparsi su praterie o su terreni sassosi«, può inoltre comprendere su- perfici coltivate e anche alcune forme di giardini si possono interpretare come esempi di »savana artificiale«. Secondo Rackham, in passato in Europa, soprattutto nel ’area medi- terranea, erano molte le zone con una bassa densità di essenze arboree, il che consenti- 100 senza bosco: la savana in carso va una migliore crescita di erba da pascolo; è errato intendere la savana come una fore- sta degradata (Rackham, 1996, 299–305) Nel Mediterraneo aveva preso forma »un tipo di savana nel a quale con la potatura, il fuoco e l’abbattimento, gli alberi erano stati ridot- ti a una macchia cespugliosa«; tra le specie più diffuse nel a »savana mediterranea« c’era- no le querce. Di norma gli alberi »del a savana sono troppo piccoli e deformati« per po- ter essere utilizzati come materiale da costruzione, per contro se ne possono potare le cime per ripetuti ricavi di legno oppure i rami per trarne le foglie con le quali si foraggia- va il bestiame. Inoltre, la savana sarebbe stata un pascolo migliore rispetto al bosco pure per i maiali, che si nutrono anche di erba, e le poche querce potevano produrre una mag- gior quantità di ghiande. In fin dei conti, non va dimenticato che anche la »savana è un si- stema agro-silvo-pastorale che produce prodotti tra essi collegati« (Grove, Rackham, 2001, 194–195). Tutto ciò ricorda molto da vicino quanto abbiamo esposto e accertato per il Carso. Grove e Rackham analizzano anche i paesaggi carsici mediterranei, la cui vegeta- zione può spaziare »da deserto a savana e bosco«, e specificatamente anche il Carso in Slovenia. In merito a quest’ultimo sostengono che in periodi più recenti aveva un aspetto »semidesertico« ma che non ci sono prove del ’esistenza di un bosco in epoca preistori- ca e neppure del e modalità del a sua scomparsa, avanzando l’ipotesi che avrebbe potu- to trattarsi di una savana (Grove, Rackham, 2001, 323–325). In base a quanto il ustrato in questo capitolo e in quel i precedenti, potremmo affermare che una parte del Carso, e in particolare la landa carsica, poteva forse effettivamente apparire come un deserto, ma se entro questa cornice includiamo anche i pascoli e i prati alberati nonché i radi boschi ce- dui, compreso il sistema di gestione del e risorse naturali, il Carso si presentava più con- forme a una savana che a un deserto. Molte savane mediterranee (e di altre aree) sono il risultato del e attività umane e quindi possono essere definite come »savana culturale« (Grove, Rackham, 2001, 193). A motivo del ruolo determinante svolto dal ’uomo, anche l’ambiente e il paesaggio del Carso, così come apparivano nel ’età moderna, sono coe- renti con il concetto di »savana culturale«. La questione relativa al a possibile esistenza di foreste in Carso in un passato più lontano, fino al ’età della pietra, è direttamente collegata a quella del a »culturalità« del- la savana carsica e in particolare al a sostenibilità della gestione delle risorse natura- li nel ’età moderna, al termine del a quale il Carso appariva così come l’abbiamo cono- sciuto in questo capitolo. In verità disponiamo degli esiti di alcune indagini scientifiche sul a passata forestazione del Carso, risultanti sia da scavi archeologici sia dal ’analisi dei sedimenti di pol ine. Di quest’ultima abbiamo un esempio dai fondali della Val Stagnon (Škocjanski zatok) presso Capodistria risalente fino a 7.000 anni fa (vedi il grafico in Cu- liberg, 1997, 137, e 2008, 100). Vi sono chiaramente presenti da un lato tracce del e pian- te tipiche del ’Istria settentrionale (ad es. l’olivo), dal ’altro è possibile dedurre che, così come risulta rappresentata la vegetazione del Carso, lo sia anche quel a del ’area dei Br- kini e forse anche di un retroterra più distante. Per tale motivo qui di seguito prende- remo in considerazione dal »grafico Culiberg« soltanto i rifermenti al a quercia, che era sicuramente diffusa in Carso anche diversi mil enni orsono. Si può notare che il Paleo- litico finisce con il pol ine di quercia in deciso aumento, il che significa che prima di al o- ra tale essenza fosse meno presente. Da quel ’epoca in poi e sino al ’inizio del ’età mo- derna (Cinquecento), la presenza del a quercia conosce una forte oscil azione, con fasi 101 paesaggio culturale e ambiente del carso alterne e almeno per tre volte, precisamente nel ’età del rame e in quel a del bronzo, si attesta su un livel o così basso da ricalcare la situazione riscontrabile agli inizi del ’età mo- derna. Ciò significa che non era la prima volta che in Carso le querce erano così scarse come in età moderna. La più modesta estensione del e querce verso la fine del ’età del a pietra e nel ’età del bronzo concorda con alcune interpretazioni che si completano a vicenda nel contri- buire a dimostrare che il Carso nel a preistoria non era coperto da ampi boschi e che essi erano stati dissodati. Per il periodo del a tarda preistoria è già stato proposto uno scenario che »indica un utilizzo agricolo e pastorale a fronte di un’intensa colonizzazio- ne interna, che si impadronisce di tutte le più importanti nicchie di buona terra e proba- bilmente causa una notevole deforestazione della regione carsica« (Slapšak, 1999, 162). E proprio nel periodo dei castel ieri è possibile identificare in Carso le tracce di pratiche che prevedevano »l’incendio della vegetazione« e dei boschi e la rimozione dei ceppi con l’intento di aumentare e migliorare le superfici adibite a pascolo (Fabec, 2012, 52–53). Pa- rallelamente la sedimentazione di Podmol presso Kastelec (Hrpelje), che copre un las- so di tempo che va dal Neolitico al ’antichità classica, può essere spiegata »solo con forti processi erosivi che depositavano granel i di terra e con fattori antropogenici« e segna- tamente con la lavorazione del a terra per la coltivazione, dato che il suolo nudo è più facilmente sottoposto al ’erosione del a bora rispetto a uno »spazio erboso o boscato« (Turk et. al., 1993, 55–56). In particolare il carbone di legna […] dimostra come durante tutto il periodo del ’in- sediamento qui prosperasse un bosco chiaro di querce (rovere, frassino, acero, car- pine nero e anche qualche faggio) nonché la vegetazione tipica dei terreni pascola- tivi (sorbo, corniolo, ciliegio canino e prugnolo). Un simile bosco non assomiglia per nul a a quel o primario »inviolato« . Quest’osservazione è completata anche da al- tri accertamenti […] che rivelano come fosse l’al evamento e non la caccia la prin- cipale fonte di sostentamento degli abitanti di quel periodo: sul a loro tavola erano più frequenti le carni di pecora, di bovino e maiale. Poiché gli animali da pascolo, al pari del a fauna selvatica e ancor più del ’uomo, hanno un’incidenza negativa sul a vegetazione, si può legittimamente parlare d’influenza antropica e zoogena sul bo- sco. […] Ne risulta, dunque, che per composizione arborea il bosco di al ora era più o meno simile a quel o odierno, che è anch’esso tipicamente pascolativo, antropico e zoogeno (Turk et al., 1993, 70). I risultati degli scavi nel a grotta Mala Triglavca presso Divača hanno rivelato che in Carso nel Neolitico l’al evamento era indirizzato anche al a produzione del latte e dei prodotti caseari (Budja et al., 2013). Per quanto riguarda invece l’analisi condotta nel Viktorjev spodmol della valle di Vreme (Vremska dolina), essa »consente di concludere che esisteva un bosco misto di querce che dopo il Mesolitico si è trasformato in una bo- scaglia notevolmente sfoltita e degradata di pascoli in via d’imboschimento. Non c’è trac- cia di faggi. Il bosco di querce può essere col ocato agli inizi o al a fine del primo Oloce- ne« (Turk, 2004, 209). È interessante notare che la quercia conobbe una notevole espansione nel perio- do romano. In quei tempi Plinio, quando scriveva del castel um Pucinum che si trovava sul territorio del Carso tra la foce del Timavo e il golfo di Trieste, nel primo secolo del a no- 102 senza bosco: la savana in carso stra era aveva coniato la locuzione saxoso col e. Del suo famoso vino invece scriveva che Pucina vina in saxo conquuntur, ossia che qui l’uva maturava tra i sassi (Vedaldi Iasbez, 1994, 390). Dunque, anche in epoca romana, quando storicamente la quantità di querce era al massimo in epoca storica, la superficie del Carso si presentava anche, almeno in alcune zone, spiccatamente rocciosa. Sebbene le prove non siano numerose, sono tuttavia sufficienti per avanzare la fon- data ipotesi che in passato il Carso fosse effettivamente boscoso, ma ciò non significa un periodo ininterrotto in cui il bosco rimase intatto in un lungo stato di »climax« vegetati- vo. Ma quel »in passato« è accaduto a più riprese tra la preistoria e l’antichità, e nel frat- tempo il Carso è stato diverse volte scarsamente coperto di vegetazione, più o meno come nel a prima età moderna. Del resto ciò è coerente con l’interpretazione sostenu- ta da Moreno e da Grove e Rackham (Moreno 1990, 17–19; Grove, Rackham, 2001, 188) per la storia del ’ambiente mediterraneo. Sul a base dei già citati risultati del e indagini ar- cheologiche, possiamo inoltre dedurre che con il Carso prevalentemente ricoperto di »boschi chiari« di querce, già nel a preistoria era presente la forma paesaggistica ovvero ambientale corrispondente al concetto di prato boscato o »savana mediterranea«, che almeno in parte era »culturale«. È interessante notare che nel 1819 a Doberdò usarono la stessa espressione quando proposero che nel catasto fosse introdotta per i loro bo- schi la categoria »boschi cedui chiari« (ASG, C, Doberdò, S4). A sostegno di questa ipo- tesi è possibile addurre l’analoga lettura del a storia del ’ambiente carsico e del ’uso delle sue risorse naturali proposta da Slapšak, in altre parole del »periodo di addomestica- mento del Carso«. Le comunità umane del a tarda preistoria con una continuità d’insediamento an- che in epoca romana, si adattano con successo al e specificità del ’ambiente car- sico e sviluppano un model o di vita, una cultura abitativa e un ambiente cultura- le che per lungo tempo saranno riconoscibili come caratteristici di questa regione. […] Al e regole del gioco, che questo periodo ha stabilito per il rapporto tra l’uomo e l’ambiente carsico, dovranno adeguarsi tutti. L’eccezionale continuità degli spazi abitativi e dei siti d’insediamento […], l’originale e molteplice uso del a pietra per le costruzioni, […] i sistemi di control o del ’acqua, le forme del paesaggio costrui- to con i terrazzamenti a protezione dei terreni, la caratteristica sistemazione del- le doline e i più diversi adeguamenti al ’articolato rilievo carsico, le forme di pulizia dei pascoli – sono tutti elementi di lungo periodo del paesaggio carsico, le cui radi- ci affondano nel e strategie d’uso sviluppate dal e comunità dal a tarda preistoria in tutta l’area del Carso (Slapšak, 1999, 163). Potremmo aggiungere soltanto che l’adattamento era reciproco: infatti, com’è evi- dente, anche l’uomo adeguava l’ambiente carsico ai propri usi e al e proprie necessità. Nel a tarda antichità e nel ’alto medioevo la presenza del a quercia andò costante- mente riducendosi. A questo periodo risale il celebre Placito del Risano del ’804, che tra le altre questioni regolava pure l’accesso al e risorse naturali tra le città istriane del a co- sta, compresa Trieste, e la popolazione slava del ’entroterra. Il Placito riguardava un’a- rea che, oltre al a penisola istriana, certamente comprendeva anche per lo meno parte 103 paesaggio culturale e ambiente del carso del Carso e dei Brkini, nel a misura in cui appartenevano al numerus 38 triestino. Per le no- stre finalità sono rilevanti l’assetto naturale e le forme d’uso del ’ambiente citate nel do- cumento. Prese i nostri boschi, da cui i nostri avi traevano l’erbatico e il glandatico. […] Inoltre insediò gli Slavi sul e nostre terre. Essi arano le nostre terre e i nostri ronchi, falciano i nostri prati, pascolano i nostri pascoli […]. Questi boschi e pascoli, di cui dite, io pensavo che da parte del signor imperatore dovessero essere pubblici. 39 Anche in pieno alto medioevo, oltre ai coltivi, si vedono quindi boschi nei quali pa- scolano bovini, pecore e maiali, e poi terreni dissodati, pascoli e prati. A questo proposi- to è ugualmente rilevante l’informazione che questi tipi d’uso del ’ambiente erano impie- gati dagli Slavi, quanto il fatto che si faceva lo stesso già in precedenza. Tra l’alto medioevo e la prima età moderna la quercia ebbe un’ampia e molto rapida diffusione, per poi ridursi di nuovo, progressivamente, sino al a piuttosto limitata esten- sione preesistente. Contemporaneamente al ’espansione del a quercia ci fu una contra- zione del grano e quindi del ’agricoltura (Culiberg, 2008, 100). Avanzando una congettu- ra, potremmo ricercare la causa di entrambi i fenomeni nel a peste nera, l’epidemia che a metà Trecento falcidiò la popolazione europea, la quale sarebbe tornata ai livel i prece- denti verso gli inizi del ’età moderna. Ma come le altre aree di confine del e regioni slovene e quel e contigue, anche il Carso entrò nel ’età moderna in uno stato di crisi demografica ed economica, conse- guenza del succedersi di epidemie di peste e di decenni di reiterate incursioni turchesche (Štih, Simoniti, 2009, 207–208). Nel a loro ultima scorreria del 1499, i »turchi« avrebbe- ro lasciato dietro di sé 132 vil aggi incendiati o depredati nel a pianura friulana e oltre 60 »fra monti presso Gorizia e sopra le alture del Carso«.40 Che al ’inizio del Cinquecento le condizioni di vita fossero molto difficili e l’agricoltura in »estrema decadenza« proprio a causa del e incursioni turchesche, del a peste e del a conseguente mancanza di braccia per lavorare le campagne spogliate e desolate, fu affermato con decisione anche dal Del- la Bona. Le devastazioni avrebbero causato anche moti di protesta tra la popolazione ru- rale e »specialmente quel i del Carso erano nel massimo movimento, […] si dolevano del a loro situazione e reclamavano e assordavano le autorità di continuo, talché fu uopo ricorrere al a forza armata per ridurli al a ragione« (Del a Bona, 2003, 70–72). Così in al- cune signorie del Carso e nel e sue immediate vicinanze (Duino, Senožeče, Prem, Vipa- va) le aziende agricole vuote erano intorno al 30% (Štih, Simoniti 2009, 207). A quel tem- po sulle terre abbandonate ( pustote) del Carso cresceva l’erba e pascolava il bestiame. L’immagine di desolazione che traspare dagli urbari carsici intorno al ’anno 1500 è veramente terribile. Interi vil aggi deserti e vuoti, campi incolti. Di alcuni vil aggi co- nosciamo il nome, ma di essi oggi non ci sono più tracce neppure nel a tradizione 38 Sula concetto di »Istria«, che nel ’antichità e nel ’alto medioevo comprendeva anche il Carso’ i Brkini e la Carniola interna (Notranjska), si veda Kos, 1985, 164. Sul ’ambito territoriale interessato dal placito Pleterski, 2005, e Žitko, 2005; sul e attività economiche in esso rappresentate invece Mihelič, 2005. 39 Traduzione di chi scrive dal a trascrizione del ’originale latino come riportata in Krahwinkler 2004, 74, 79. Riguardo al ’interpretazione del e terre del ’imperatore come spazi a uso pubblico si vedano Kos, 1985, 324, e Žitko, 2005, 157–158. 40 Antonini 1865, 258, che cita Malipiero, 1843, che però non menziona i vil aggi presso Gorizia e in Carso. 104 senza bosco: la savana in carso orale. In numerosi vil aggi oltre la metà dei masi sono rimasti abbandonati e […] in godimento dei vicini. Non sono rari i casi in cui un contadino, oltre al a sua terra, possiede anche due o tre masi disabitati, se non altro in cambio dei tributi per l’er- ba che falciava sul e pustote (Kos, 1952, 236). Trascorse circa mezzo secolo prima che nel vicino Goriziano si facessero evidenti tanto un’aumentata attività agricola, con la coltivazione di terreni prima abbandonati e di coltivi nuovi, dissodati sul e terre comuni, quanto una vivace ripresa demografica (Panjek, 2015). Nel o stesso periodo anche in Carso era possibile percepire un incremento del ’at- tività. Nel 1524 nel ’urbario del a signoria di Schwarzenegg, che si estendeva tra il Carso di Sesana e i Brkini, sono elencati complessivamente 179 masi, dei quali 21 erano anco- ra disabitati (il 12 %). Esattamente cinquant’anni più tardi, l’urbario del 1574 ne riportava 212 e nessuno era più indicato come incolto.41 Questo significa che nel frattempo il nu- mero di tutte le unità colturali era aumentato di un terzo e ne erano sorte quasi un quin- to di nuove. Come attestato dal ’esempio di Corgnale, che è particolarmente dinamico, in quel periodo non solo tutte le aziende agricole erano occupate (quindi i campi erano lavorati e i pascoli in uso), ma i masi si stavano già frazionando e i loro proprietari si era- no procurati ulteriori appezzamenti coltivabili sulle terre comuni, e precisamente nove orti e una vigna nonché altri campi per complessive dieci giornate (circa 3,5 ha).42 Con il dissodamento della landa carsica sorsero anche numerose nuove piccole aziende, le co- siddette kajže. Se nel 1524 a Corgnale erano registrati »soltanto« nove sottani ( Untersassen, Cova, 2008, 137), nel 1574 vi sono rilevate già 29 kajže, alcune dei quali, ovviamente, »oltre alla capanna, possedevano anche terreni oppure orti nella landa carsica« e preci- samente oltre 2 giornate di campi e addirittura 36 orti (Umek, 1987, 63–64). Nel o stes- so periodo anche nel a signoria di Duino sono elencati, accanto ai masi e al e loro parti, pure le kajže e i sottani. Ad esempio nel a comunità di Sgonico nel 1570 si contarono 24 masi e 5 kajže (Panjek, 1997, 48). Verso la fine del secolo nel ’urbario del e decime di Du- ino (1588–1595) è esplicitamente citato »Marco Peruza« che, appropriatosi di un prato comunale nella comunità di Brestovica, »lo cinge con un muro di pietra e lo mette a coltura« (Luchitta, 2005, 22). Il processo di allestimento di nuovi campi e prati a scapito della landa carsica pro- seguì anche nel Seicento e nel Settecento secolo, il che vale tanto per le aziende agricole nuove quanto per quel e esistenti, che nel frattempo si erano frammentate in più nuclei familiari. Abbiamo menzionato questo processo già nel capitolo precedente, pertanto i suoi effetti da un punto di vista paesaggistico ci sono già noti: col tempo le terre comuni furono sempre più densamente disseminate di una sorta di oasi coltivate dal a forma cir- colare e circondate da muri di pietra. Così, ad esempio, nel 1758 nel a zona di Brestovi- ca non c’era praticamente contadino che non avesse in affitto qualche appezzamento dei terreni col ettivi (Luchitta, 2005, 22). A San Pelagio (Šempolaj), nella redazione del cata- sto franceschino questa situazione è ben il ustrata quando si parla dei pascoli e dei prati »nel corpo di quali si trovano varie particel e di terreno arativo semplice e vitato, in for- ma di bacino, volgarmente dette doline, alcune più, ed altre di minore profonda superfi- cie« (AST, CF, Šempolaj, S5). In ogni caso va tenuto conto del fatto che le terre comuni 41 I dati al a base di questi calcoli sono tratti da Cova, 2009, 135, 138. Si veda anche Umek, 1987. 42 I dati al a base di questi calcoli sono tratti da Umek, 1987, 63. 105 paesaggio culturale e ambiente del carso occupavano una grande parte del a superficie totale, ma che al contempo comprendeva- no i terreni meno produttivi e i suoli marginali. Inoltre, le doline individuali lavorate e le ograde si trovavano nel e zone più fertili ossia meno scadenti del e superfici comuni, seb- bene i campi nel e doline lavorate fossero pur sempre di scarsa qualità, come fu riscon- trato in diversi luoghi durante la compilazione del catasto franceschino. Questo proces- so innescò quindi una crescente pressione del pascolo col ettivo sul e superfici di minor pregio. Più o meno parallelamente al ’estendersi della coltivazione negli appezzamenti (mi- gliori) del e terre comuni, che determinava una contrazione del o spazio destinato al pa- scolo, probabilmente si diradavano gli alberi per compensare, aumentare e anche mi- gliorare la superficie a pascolo. In questo senso va probabilmente compresa la prassi registrata sul ciglione carsico sopra Trieste, che destò non poca preoccupazione in sede di consiglio cittadino. Infatti, nel 1698 fu riferito che le grise (pietraie carsiche) dei villaggi del territorio triestino »vengono totalmente estirpate, e che i contadini di dette vil e nel i boschi publici tagliano le radici al i arbori acciò si sechino« (Masiel o, 1992, 44). Vie- ne da chiedersi come, nel corso del ’età moderna, le comunità del Carso guardassero al processo di al estimento di appezzamenti individuali recintati nei terreni col ettivi, che erano un elemento costitutivo insostituibile del ’economia e del sistema agricolo carsico, come abbiamo avuto modo di conoscerlo attraverso il catasto franceschino e al ’inter- no del quale il pascolo aveva un importante ruolo. Le comunità, infatti, gestivano le su- perfici comuni e in cambio del loro uso pagavano determinati tributi al signore fondiario. Quest’ultimo aveva tutto l’interesse affinché fossero al estite doline coltivate e recinzio- ni sul a terra col ettiva, visto che egli stesso doveva dare il proprio consenso e stabilire il corrispettivo che avrebbe poi esatto, oltre al fatto che per i terreni dissodati riceveva un tributo maggiore rispetto a quel o previsto precedentemente per la stessa superficie di landa carsica. D’altro canto è difficile immaginare che un tale numero d’interventi dei sin- goli sui terreni comuni potesse avvenire eludendo le comunità di vil aggio e il loro assen- so, ma questo aspetto va ancora indagato. Qui naturalmente insorgono anche interroga- tivi di più ampia portata, come le controversie di confine tra le singole comunità riguardo al o sfruttamento del e terre comuni, testimoniate anche in Carso (Mappa 11), i conten- ziosi tra le comunità e i signori feudali in merito al ’accesso ai terreni col ettivi e al a sua li- mitazione, e infine la percezione del diritto d’accesso al e risorse naturali e del a loro in- dispensabile natura collettiva da parte del a popolazione rurale.43 Se passiamo ora al a questione del a sostenibilità del sistema di sfruttamento del- le risorse naturali in Carso nel ’età moderna, possiamo partire dal a constatazione che le modalità d’uso degli alberi e del e superfici boschive, indicate in apertura attraverso la de- scrizione critica dei funzionari nel 1724, erano essenzialmente le stesse che si incontrano cent’anni più tardi nel catasto Franceschino dove, attraverso le spiegazioni dei contadi- ni, abbiamo compreso anche la loro logica. Si tratta di due punti di vista differenti rispet- to al e stesse pratiche: prassi certamente non insensate e sconsideratamente distruttive, bensì sistematiche e razionali per la gente che viveva in quel e località. Esse confermano l’assunto metodologico per cui dobbiamo »lasciar emergere dal e fonti i sistemi coltura- 43 Su questi temi esiste un’ampia letteratura internazionale, per cui qui ricorderemo soltanto Bianco, 2004, quale esempio dal vicino Friuli, Alfani, Rao, 2011, per l’area italiana in genere, e Thompson, 1991, per un contesto più ampio. Un interessante esempio di lotta per le terre comuni in Laurenti, 2014. 106 senza bosco: la savana in carso li storici del bosco che gli schemi del a storia del e scienze fore- Figura 25. Infiniti fila- stali e agronomiche avevano spesso descritto come irrazionali ri di pino nero durante o prescientifici« (Moreno, 1990, 27). Gli abitanti del Carso non l’imboschimento, Baso- avevano bisogno di boschi ad alto fusto, ma di alberi da utilizza- vizza 1906–1910 (L'im- re e di grandi pascoli, dunque di quella savana al a quale aveva- boschimento del Car- no dato forma. Ciò nonostante la pressione sul e risorse natu- so, FVG, 14). rali del Carso verso la fine del ’età moderna era indubbiamente molto forte; grazie a un’attenta organizzazione, l’ambiente lo- cale riusciva addirittura a reggere la presenza di un gran nume- ro di bestiame. Al contempo la popolazione andava aumentan- do e possiamo affermarlo a prescindere dal a carenza di dati demografici affidabili per i primi tempi del ’età moderna e co- munque almeno per quanto riguarda il periodo a caval o tra Settecento e Ottocento. Al ’epoca nel e comunità presenti sul ciglione carsico sopra Trieste l’aumento minimo degli abitanti fu di un terzo, mentre in alcuni luoghi il loro numero nel volgere di mezzo secolo era quasi o più che raddoppiato: in media il livel- lo di crescita del a popolazione era attestato al 75% (Tabel a 4). Tuttavia, un tale incremento non si tradusse automatica- mente in una pressione maggiore, direttamente proporzionale, sul e risorse naturali poiché in questa situazione bisogna consi- derare anche la possibilità (acclarata) di acquisire fonti aggiun- tive di reddito anche al di fuori del settore agricolo (traspor- ti, lavoro a Trieste ecc.). In realtà, nel verificare la sostenibilità dei metodi di sfruttamento delle risorse naturali nel ’economia 107 paesaggio culturale e ambiente del carso contadina è necessario tener conto del fatto che le comunità rurali non vivevano e ope- ravano come oasi felici in un rapporto esclusivo con il loro ambiente naturale. Ad esem- pio, nel e regioni slovene occidentali e anche sul Carso i redditi agrari e non erano stret- tamente collegati in una »economia agricola integrata«. Quando i redditi extra-agricoli si contraevano, aumentava la pressione sul e risorse agrarie e in genere su quel e natura- li, di modo che le forme e l’intensità del loro uso si costituiscono una specie di »barome- tro« della congiuntura o di »indicatori« del sistema economico nel quale sono inserite. Nel caso in cui invece le fonti di reddito di provenienza non agraria aumentavano, la pres- sione sul e risorse naturali poteva anche al entarsi. Tabel a 4: Aumento del a popolazione nei vil aggi sul ciglione carsico sopra Trie- ste in cinquant’anni a caval o tra Settecento e Ottocento Comunità Numero degli abitanti Numero degli abitanti Crescita della popolazione 1777/78 1827/30 % Banne 96 150 56,25 Basovizza 357 495 38,66 (con Lipizza) Contovel o 396 548 38,38 Gropada 112 219 95,54 Opicina 413 1.021 147,22 Padriciano 98 129 31,63 Prosecco 414 773 86,71 S. Croce 487 829 70,23 Trebiciano 245 405 65,31 Totale 2.618 4.569 74,52 Fonte: Kalc 2009, 7; AST, CF, Banne, S5; Bazovizza, S5; Contovel o, S5; Gropada, S5; Opicina, S5; Padriciano, S5; Prosecco, S5; S. Croce, S5; Trebiciano S5. E dunque, gli abitanti del Carso hanno distrutto il loro Carso trasformandolo in de- serto? La risposta è negativa. Ovunque nel catasto si rimarca l’instancabile cura dedica- ta al a conservazione del a fertilità del suolo e del a possibilità di utilizzo degli arativi e dei prati. Così, ad esempio, a Corgnale fu annotato che da parte dei contadini i terreni »ven- gono conservati con diligenza, zelo ed amore« (AST, CF, Corgnale, S5). È possibile rin- tracciare anche alcuni provvedimenti che hanno contribuito in maniera notevole al a so- stenibilità del o sfruttamento, comunque intenso, delle risorse naturali. Il primo riguarda le capre che sono un deciso avversario del ’utilizzo control ato dei pascoli e in particola- re del e superfici boschive. A differenza dei primi decenni del Seicento, quando gli urba- ri del e signorie di Senožeče (1615) e Duino (1637) prevedevano ancora tra i tributi pure i capretti (a titolo di decima Duino ne consegnava addirittura 307, Senožeče, assieme agli agnel i, 81; Panjek, 2004, 22, 35) e ancora dei primi decenni del Settecento, quando nel 1724 in alcune aree boschive ai margini del Carso verso i Brkini e l’Istria si cita ancora il pa- scolo delle capre (Piussi, 1976), al ’incirca dal a metà del XVIII secolo in Carso non incon- triamo più le capre. Nella signoria di Duino, che due secoli prima riscuoteva la decima dei capretti, negli anni 1752/53 si registra al suo posto la decima degli agnel i (Luchitta, 2005, 108 senza bosco: la savana in carso 43). Nondimeno nel 1780 l’ingegner Hermann menziona ancora le capre in Carso (Shaw, 2000, 79). Intorno al 1830 nel catasto franceschino in tutto il Carso non fu registrata una sola capra. Nel 1873 l’autore di uno studio sui boschi e sul rimboschimento nel Litorale austriaco scrisse che nel ’area più ampia del Carso (anche al di fuori del Carso classico) non c’erano capre, bensì che ne possedevano solo nel e comunità dei Cici e a Pinguente (Buzet) (Scharnaggl, 2008, 95), quindi già in territorio istriano. Possiamo interpretare l’as- senza di capre sul Carso come un provvedimento e un segno di un utilizzo razionale del e risorse naturali. Lo stesso significato si può attribuire al e indicazioni dei contadini di tutte le comunità del Carso riportate dal catasto negli anni 1820–1830, per cui sui loro pascoli non accoglievano bestiame animali minuti forestieri (ad eccezione del conte di Duino che lo faceva per proprio tornaconto). Già mezzo secolo prima, attorno al 1770, i notevoli flussi stagionali del a transumanza di pecore tra la Carniola interna (Notranjska) e l’Istria settentrionale non toccavano l’area più ristretta del Carso, bensì al massimo i suoi mar- gini (e nuovamente S. Giovanni presso Duino) (Umek, 1957). Va considerato, infatti, che i sistemi di pascolo, la tipologia degli animali sui singoli pascoli e non da ultimo le forme di possesso e d’accesso ai pascoli attraverso i secoli potevano essere soggetti a cambiamen- ti, che potevano essere espressione di provvedimenti nel caso di un deterioramento del- la risorsa a causa del ’eccessivo sfruttamento (Head-König, 2014, 27, 31). Nonostante la manifesta e generalizzata mancanza di fieno e la scarsa copertura dei boschi e dei prati con alberi, il fatto che nel catasto franceschino presso numerose comunità si registrasse un’»abbondanza« di fieno, che di conseguenza veniva venduto a Trieste (a volte si vendeva in città anche la legna) costituisce un segnale del a sostenibili- tà del ’utilizzo del e risorse naturali o almeno che queste non si erano esaurite. La situa- zione era ancora tale anche quasi mezzo secolo dopo, come emerge chiaramente dal a descrizione e dal parere sul o stato dei boschi del Carso espresso da un osservatore tec- nico, l’imperial-regio ispettore forestale e sostenitore del rimboschimento del Carso Si- mon Scharnaggl. Una vera e propria compagine boschiva del Carso nei distretti di Comeno e Sesa- na, così come nel territorio del a città di Trieste, è notoriamente già da tempo scom- parsa e i boschi del Carso sono rappresentati da estesi e desolati campi sassosi con sporadiche boscaglie di latifoglie o macchie di ginepro. Pur tuttavia il suolo del ’intera area del Carso, nonostante i tanti sassi e il sottile strato di terra e nonostante la siccità e i venti, è estremamente appropriato per la silvicoltura. Le stesse continue mutilazioni del e piante legnose, il taglio nel periodo di linfa, il pascolo praticato tutto l’anno senza alcuna regola pratica ecc. non riescono a to- gliere al e radici il loro incredibile vigore riproduttivo e, infatti, queste si possono di- struggere completamente solo con il completo sradicamento. La poca terra frammi- sta a molti sassi del Carso possiede una propria incredibile forza. Quando, durante la siccità, che spesso per molti mesi la lascia senza pioggia o rugiada, tutte le erbe sembrano ormai disseccate, la poca terra bruciata e arida, il fogliame sugli alberi gial o e appassito comincia a cadere, in breve l’intera vegetazione appare morta, stupisce la rapida trasformazione che subentra dopo una bel a pioggia abbondan- te. Come per magia erbe e verdure cominciano a spuntare dal a terra, l’avvizzito fo- 109 paesaggio culturale e ambiente del carso gliame degli alberi si trasforma in verde lussureggiante e alcuni alberi gettano per- sino nuove foglie. […] Su tutta la zona del Carso con una superficie totale di 110.381 iugeri si trova una sola fustaia di grandi dimensioni, ovvero il querceto del a scuderia di palazzo Lipiz- za, che appartiene propriamente al territorio di Trieste. I restanti boschi sono un po’ ovunque fortemente ridotti e spesso anche trasformati in nudi pascoli custoditi. […] Su tutta l’area del Carso l’incremento del e piante da legno è molto forte e il vigore riproduttivo del e latifoglie è rilevante. Fra le rocce e le scogliere più selvagge spun- tano piante da legno, quando il suolo resta per alcuni anni risparmiato dal pascolo e le radici degli alberi non sono totalmente sradicate. […] Dal Carso vengono annualmente trasportate circa 800 cataste [0,9 metri cubi] di legna da ardere, parte in Furlania, parte a Trieste (Scharnaggl, 2008, 77–78). Ancora nel 1873 in Carso venivano dunque ogni anno venduti 720 metri cubi di le- gname. A prescindere dai commenti critici sul conto del e pratiche agricole, che sappia- mo non essere del tutto giustificati, il sostenitore del rimboschimento del Carso e criti- co del a pastorizia constata che, nonostante l’intenso uso del e risorse naturali, il Carso era ancor sempre vitale. Tuttavia ciò non è da ascrivere esclusivamente al e energie na- turali nascoste del Carso e al a tenacia del a sua vegetazione. La »magia« non va attri- buita unicamente al a natura, ma anche al ’uomo del Carso che ha evidentemente sapu- to non soltanto sfruttare a proprio vantaggio questa vitalità, bensì anche conservarla nel tempo, seppure in un ambiente modificato e adattato. Una tale situazione nel perio- do in cui era già stato avviato il rimboschimento, è nettamente in contrasto con l’inter- pretazione secondo la quale con un pascolo eccessivo e con l’abbattimento degli alberi i contadini carsolini avrebbero degradato e devastato il Carso, causandone la desertifica- zione che l’avrebbe trasformato (pressoché irreversibilmente) in un deserto. Poiché se- condo la »teoria del paesaggio distrutto la degradazione è un processo unidirezionale« ( ruined landscape theory, Grove, Rackham, 2001, 60), essa non può dunque essere appli- cata al Carso. La popolazione locale si trovava ad avere il Carso che essa stessa aveva forgiato, usandolo e conservandolo in vita. Lo si evince anche dall’opinione dei contadini in merito al rimboschimento, in quel periodo propugnato dal a élite urbana triestina e dagli esper- ti forestali austriaci. Scharnaggl, per esempio, riteneva che il Carso andasse destinato allo »sfruttamento silvicolturale«, che comportava un totale mutamento del ’uso del ’am- biente rispetto a quello sviluppato e implementato dalla popolazione locale. Un cambia- mento d’uso così radicale faceva presagire il crol o del sistema economico esistente. Gli abitanti del Carso erano (comprensibilmente) contrari. L’abitante del Carso ha già capito dal e precedenti, anche se piccole, piantagioni di pino nero che, in caso di maggiori piantagioni di questa specie legnosa, è la fine per il suo pascolo; ed è questo, in parte, anche il motivo del a sua contrarietà. Nel a pri- mavera del 1872 già più di una comunità approntava ben volentieri le rabotte per le piantagioni, ma a condizione che fossero concesse per piantare solo orniel i dei vivai centrali di semina, adducendo di aver urgente bisogno di legna e di non poter aspettare 80 anni prima di poter tagliare i pini neri […] . 110 senza bosco: la savana in carso Da quanto sopra detto si ricava che, in caso di imboschimento del Carso in maggio- ranza a pino nero, non si può sperare nel a volontaria col aborazione del a popola- zione e che, se questa specie dovesse essere imposta al e comunità quasi per for- za, ciò potrebbe comportare una certa resistenza o in seguito, quando le crescenti compagini di pino nero avessero reso impossibile l’uso dei pascoli, anche una guer- ra fra l’economia forestale e l’al evamento del bestiame (Scharnaggl 2008, 95–96). Secondo Grove e Rackham il rimboschimento del Carso sloveno è stato il primo caso del genere nel Mediterraneo, altrove simili iniziative furono realizzate successiva- mente. Nel Settecento e ancor più nel ’Ottocento in tutta Europa cominciò a »sviluppar- si il conflitto tra forestali e pastori per l’utilizzazione del a foresta«. Alla fine »vinceranno i forestali […] appoggiati come sono da tutto l’apparato amministrativo degli Stati e dal ’i- deologia delle classi proprietarie« (Sigaut, 1982, 49–50). Gli strali dei moderni tecnici fo- restal erano rivolti contro le tradizionali forme di gestione del e risorse boschive, per la definizione delle quali è proposto il concetto di »uso multiplo delle risorse« e di »econo- mia integrale del bosco« (Sansa, 1996, 205, 211; Sansa, 2012, 262–263). Anche il caso del nostro Carso esprime tutto ciò. La popolazione locale voleva avere il Carso così come lo aveva forgiato, perché corrispondente al suo sistema economico. Dapprima tentò di vol- gere a proprio vantaggio le pressioni in favore del rimboschimento e indirizzarlo in modo che fosse in sintonia con l’esistente metodo di gestione del territorio, proponendo un’es- senza arborea che rispondeva al e sue necessità (l’orniel o). A tale proposito è molto in- teressante la previsione del perito, secondo il quale nel caso di un ampio rimboschimento del Carso con il pino nero sarebbe potuta scoppiare una »guerra« tra l’economia fore- stale e quel a contadina. E, in effetti, scoppiò. Nel ’arco di trent’anni, tra la fine del ’Otto- cento e gli inizi del Novecento, quando il rimboschimento sul Carso era in pieno corso e si piantava prevalentemente il pino nero, solo nel ’area del Carso triestino si contarono oltre cento incendi del e nuove piantagioni le cui cause rimasero »ignote« (Tabel a 5). In- dubbiamente si trattava per la maggior parte di fuochi appiccati dagli abitanti del Carso a difesa del loro ambiente, del paesaggio e non da ultimo del loro sistema economico e del- la sostenibilità sociale. Questo, ovviamente, non significa che la vita e il lavoro sul pietro- so Carso fossero comodi, al contrario, erano faticosi, duri come la pietra. Tabel a 5: Prospetto degli incendi boschivi nel territorio di Trieste nel periodo 1882–1913 Piante di pino Causa degli incendi Area Età incendiata delle Faville Pallonci- Totale (ha) Perite Danneg- piante giate di loco- ni aeros- Ignota motive tatici 85,90 188.788 26.713 1–40 65 20 105 190 Fonte: Masiel o, 1992, 49. In realtà, il rimboschimento del Carso triestino rappresentava anche del ’altro, e precisamente la conquista e l’occupazione »urbana« del a campagna, il che è reso eviden- te anche dal a decisione di rinominare i »nuovi boschi«, scegliendone le denominazioni tra i cognomi di il ustri cittadini triestini, ignorando del tutto i toponimi locali esistenti. Il mutamento del ’ambiente con il rimboschimento comportò al contempo la sua radicale 111 paesaggio culturale e ambiente del carso trasformazione esteriore con l’introduzione di un’essenza affatto estranea, il pino nero, piantato in infiniti filari diritti che arrivavano fino al ’orizzonte. Come una sorta di eserci- to verde. Queste superfici non avevano più nul a in comune con l’uso e la fisionomia pre- cedenti: erano state alienate, occupate. Ma il rimboschimento del Carso è un’altra storia e anche questa potrebbe essere ben diversa da quel a raccontata sinora. 112 Senz’acqua: il treno a vapore in Carso L’acqua era la risorsa più rara in Carso, ma la sua mancanza non era assolutamente causata dal ’attività del ’uomo, anzi era vero il contrario. Anche per quanto concerne le risorse idriche, gli abitanti del territorio avevano sfruttato tutto quanto era pos- sibile, impiegando la tecnica, le conoscenze e non da ultimo i mezzi disponibili ai conta- dini. Dai tetti l’acqua piovana era convogliata, tramite grondaie, nel e cisterne del e case o in quel e comuni, con la sistemazione dei pendii essa veniva inoltre indirizzata verso gli stagni artificiali. Nei periodi di siccità erano costretti ad andare a prendere l’acqua nel- le vicine comunità meglio fornite e sufficientemente altruiste, oppure sino ai fiumi e al e sorgenti, lontani diverse ore di cammino. A una domanda riguardante l’irrigazione e l’e- ventuale pericolo di al agamento dei prati, nel catasto di Štorje si rispose in modo pres- soché scientifico. Non esistono acque […] che potessero uttilizzare per acquamento dei pratti; né si sà che le acque facciano immersioni perniciose, giacchè l’acqua piovana viene as- sorbita dal suolo carsolino, come da una spugna, e si scol a tosto nel e vene che sono nel i scogli che sostengono la scarsa quantità di terra (AST, CF, Štorje, S4). Una del e rare sorgenti del Carso si trovava sul a costa, sotto Aurisina, ma lo sfrut- tamento di questa preziosa fonte idrica rappresentava per la popolazione locale un im- pegno finanziario insormontabile. Però questa comune tiene una forte sorgente di acqua limpida, chiara e salubre, la quale scattorisce fra i macigni al ’immediato contatto del mare, del a quale questi comunisti non si possono servire che nel a sola bassa marea, giacché nel ’alta viene coperta e framischiata con la salsa. Questo caro tesoro in questa regione non può essere preservato dal a mescolanza col ’acqua marittima senza incontrarvi un’ecce- dente spesa al a forza di questi abitanti (AST, CF, Aurisina, S5). Proprio questa sorgente, chiamata »Brojenca«, ebbe un ruolo importante per la ferrovia. Qui ci concentreremo sul a questione del ’acqua quale risorsa naturale in Car- so a metà Ottocento, quando era in corso la costruzione del a ferrovia meridionale da Lubiana a Trieste. Una tale opera era, di fatto, una grande impresa logistica che spazia- senz’acqua: il treno a vapore in carso 113 paesaggio culturale e ambiente del carso va dal ’impegno del ’amministrazione statale per garantire i mezzi finanziari e i materiali, al e pressioni esercitate sul potere politico, al a progettazione del a tratta e al a sua stes- sa costruzione, sino all’inserimento nel territorio della ferrovia con tutta l’infrastruttura pertinente (stazioni, officine, al oggi). In questa prospettiva era fondamentale assicurarsi e sfruttare anche le risorse naturali locali, tra le quali rientrava pure l’acqua, un elemento insostituibile dell’economia e della vita della popolazione carsolina, per la ferrovia, inve- ce, una risorsa strategica. Proprio su questo punto si giunge al confronto tra due mondi: quel o degli abitanti del Carso, dove l’acqua è un bene naturale col ettivo nel ’economia e nel a società contadina tradizionali, una risorsa che, al ’infuori del e cisterne private, è ge- stita dal a comunità e al a quale tutti possono accedere, e il mondo del a modernizzazio- ne, con l’impegno dello stato e degli imprenditori locali volto all’appropriazione e alla pri- vatizzazione delle risorse naturali sino ad allora collettive. Processi e vicende analoghe trovano riscontro anche altrove in Europa, poiché l’in- dustrializzazione, della quale la costruzione della rete ferroviaria era un segmento, ha de- terminato un sostanziale mutamento delle implicazioni economiche delle risorse natu- rali. Se uno degli interrogativi più importanti del a storia ambientale è quel o relativo al a minore o maggiore »sostenibilità« del e forme col ettive di sfruttamento del e risorse na- turali rispetto a quel e individuali e private, il periodo dell’industrializzazione rappresen- ta un adeguato campo di osservazione dei loro diversi effetti, in quanto nel contesto di questo fenomeno non di rado si arriva al a privatizzazione del e risorse naturali e del loro sfruttamento. È possibile esaminare tale questione anche nel caso del ’acqua: così, per un processo analogo nel a Val e del Liri nel sud d’Italia nel ’Ottocento, è stata coniata l’e- spressione »recinzione dell’acqua« ( enclosing water, Barca, 2010). Dopo che tutta una se- rie di industriali locali aveva cominciato a sfruttare il imitatamente il fiume Liri e i suoi af- fluenti, sempre più spesso avvenivano forti inondazioni, distruzioni di abitati e terreni. Le nuove forme di utilizzo del ’acqua avevano infatti portato al »disordine idrico« ( disorder of water). Le cause di questo disordine sono da ricercare nel a percezione che gli industriali summenzionati avevano del ’acqua in quanto capitale naturale, che era non solo oppor- tuno ma anche indispensabile sfruttare per avviare una moderna produzione industria- le. Agli industriali si opposero gli abitanti del luogo e i proprietari terrieri, i cui differen- ti interessi coincidevano in un punto, ossia l’ostinazione nel voler conservare gli esistenti, »tradizionali« modi d’uso del fiume. In altre parole erano interessati a conservare il vi- gente ordine sociale e i metodi tradizionali di regolazione del ’accesso agli spazi col ettivi e al e risorse naturali in essi presenti. Il terzo attore in questa vicenda era lo stato, ossia i diversi sottosistemi amministrativi. Questi ultimi seguivano il paradigma del ’industrializ- zazione e appoggiavano le attività degli imprenditori, ma poi ricadde sul e loro spalle l’o- nere di dover risolvere i problemi sia economici sia ambientali causati dal o sfruttamen- to indiscriminato del fiume. Avremo modo di tornare su questo tema più avanti, prima vediamo come si svolse il confronto nel caso del e risorse idriche a S. Croce e Aurisina. A metà Ottocento sul territorio del e provincie slovene era in corso un importan- te progetto, la costruzione del a tratta del a cosiddetta ferrovia meridionale, il nuovo col- legamento principale tra Vienna e Trieste, che fu realizzata negli anni 1842–1857. Sino al 1849 fu ultimato il tratto da Vienna a Lubiana, entro il 1857 invece quel o da Lubiana a Trieste. Il tracciato del a ferrovia tra Lubiana e Trieste correva attraverso il Carso e pre- cisamente tra la stazione di Gornje Ležeče, che si trovava in Carniola, e le stazioni di Di- 114 senz’acqua: il treno a vapore in carso vača, Sesana, Prosecco e Aurisina che facevano parte del Litorale austriaco e si trovavano in Carso.1 La costruzione della ferrovia sul terreno carsico rappresentò per gli ingegneri responsabili una sfida complessa, sia per quanto riguarda il superamento del terreno ir- regolare (doline, avval amenti, grotte), la bora e gli accumuli di neve, sia per la mancan- za di sorgenti idriche per il rifornimento del e locomotive a vapore. Le difficoltà inerenti al terreno, in particolare la discesa dal ’altipiano carsico alla città di Trieste (con un disli- vel o compreso tra i 501 metri s.l.m. presso la stazione di Gornje Ležeče e i 3 metri s.l.m al a stazione di Trieste) furono risolte con la costruzione di viadotti; diversi muri di prote- zione furono invece predisposti per far fronte al e raffiche di bora e agli accumuli di neve (Rustja, 1997, 34–37). L’altro problema che si doveva affrontare era quel o riguardante un adeguato rifor- nimento d’acqua, sia potabile per le necessità del e migliaia di lavoratori e impiegati nel corso del a costruzione sia successivamente per le locomotive a vapore. L’ostacolo fu su- perato convogliando l’acqua del e sorgenti presso Gornje Ležeče in due grandi bacini di raccolta per poi rifornire d’acqua, mediante un condotto di 38 chilometri, le stazioni di Divača, Sesana e Prosecco (Horn, 2007, 190; Mohorič, 1968, 33). La costruzione della conduttura idrica per le esigenze della ferrovia rappresentò, per gli abitanti del Carso, anche un’importante occasione per poter disporre di una fon- te costante di acqua corrente. Al a Luogotenenza del Litorale ( Stattshalterei), che segui- va passo passo l’andamento degli acquisti dei terreni per la costruzione del a ferrovia sul Carso, pervenne una lettera del 1857 con la quale gli abitanti di Divača, Sesana e Gabro- vizza (Gabrovec) chiedevano di poter utilizzare l’acqua in eccesso al e stazioni ferroviarie di Divača, Sesana e Prosecco (quest’ultima si trovava sul territorio del a comunità di Ga- brovizza) dopo che le locomotive avevano fatto rifornimento, argomentando la supplica con le note difficoltà causate dal a carenza d’acqua in Carso, per cui la possibilità di utiliz- zare l’acqua eccedente avrebbe almeno in parte al eviato i loro disagi. La carenza d’acqua in Carso è generalmente nota e si manifesta regolarmente ogni estate, spesso anche in primavera come avvenuto di recente quando le sunnomi- nate comunità già in aprile e maggio hanno sofferto per la mancanza d’acqua. […] Questo incomodo potrebbe essere almeno in parte superato solo con grandi inve- stimenti, tuttavia a ogni intervento di questo tipo si frappone quale ostacolo insor- montabile la miseria degli abitanti del Carso (AST, LL, 74, 7353). Con una situazione analoga si confrontavano anche ad Aurisina, dove le locomoti- ve a vapore, dopo una ripida salita del tracciato dal a stazione costiera di Trieste e quel a di Aurisina (167 m. s.l.m.) e poi avanti sino a Prosecco (a 260 m. s.l.m.) sarebbero potute rimanere senz’acqua (Werner, 1898, 188; Mohorič, 1968, 33–34; Volpi Lisjak, 1995, 69). La necessità di garantire il rifornimento per le esigenze del a ferrovia ha coincise, a seguito del forte incremento demografico, con l’esigenza, sentita da tempo, di dotare di un nuo- vo acquedotto la città di Trieste, che dipendeva ancora dal vecchio acquedotto teresia- no. A metà Ottocento, infatti, a Trieste gli abitanti ancora si rifornivano d’acqua al e fon- tane pubbliche oppure l’attingevano dalle cisterne e dai canali. Anche la popolazione del 1 Sul progetto di costruzione del a ferrovia in generale si vedano in particolare Mohorič, 1968; Dienes, 1987; Artl, Gürtlich, Zenz, 2007; Bressan, 2007. Sul a tratta Lubiana-Trieste anche Rustja, 1997, 28–33 e Poniž, 2001, 131 136. 115 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 26. L’uomo retroterra triestino aveva a disposizione soltanto l’acqua del e ci- e l’acqua in Carso: sterne. Nei periodi di siccità, quando le riserve d’acqua nel e ci- la raccolta del ’acqua sterne erano esaurite, gli abitanti del a città e dei dintorni erano piovana da un tetto costretti a recarsi con i carri al fiume Timavo o ai ruscel i nei din- in pietra (foto: archi- torni di Barcola e Zaule per fare scorta d’acqua. La progettata vio CMC). costruzione di una linea ferroviaria tra Lubiana e Trieste, che sa- rebbe passata vicino ad Aurisina, rappresentava quindi per l’am- ministrazione comunale di Trieste, in accordo con l’i.r. Erario del- le Ferrovie ( K. u. K. Staatseisenbahn Verwaltung), l’occasione per sfruttare le sorgenti di Aurisina e costruire l’acquedotto sino a Trieste (Panjek, 2003, 702; Faraone, 2009, 13, 15). Ben presto si presentò anche il problema inerente la pro- prietà del e risorse idriche. Già nel 1854 l’Erario del e Ferrovie aveva chiesto la collaborazione della Luogotenenza del Litorale per accelerare l’iter per l’indispensabile acquisto del a sorgente. L’acquisto del e particel e nr. 803 e 1121 nel a comunità di Aurisina è nel ’interesse del a Società per le Ferrovie del- lo Stato ed è per essa assolutamente necessario, in quan- to su queste particel e sono state ritrovate forti sorgenti d’acqua potabile […] a scanso di contrasti, è necessario che lo stato divenga proprietario assoluto di queste parti- celle […] che del decreto di esproprio relativo ad entram- be le particel e siano urgentemente informati sia i proprie- 116 senz’acqua: il treno a vapore in carso tari del ’oggetto del ’esproprio sia l’i.r. Commissione per l’esonero del suolo, affinché lo stato assuma quanto prima la proprietà legale su queste particel e. 2 L’acquisto andò a buon fine. Fu costituita una società per azioni con il nome di So- cietà del ’Acquedotto d’Aurisina (Auresina Wasserleitungs Gesel schaft), fondata con capita- le pubblico-privato, con la compartecipazione del o stato, del comune di Trieste e di in- vestitori privati. In base al suo statuto (1855), la società aveva per scopo »la conduttura, ed utilizzazione economica del ’acqua«. Per un periodo di cinquant’anni ottenne il diritto al ’utilizzo del a sorgente di proprietà del ’erario ferroviario a titolo gratuito e »l’esclusiva del a vendita di acqua dolce per qualunque uso a portata del nuovo acquedotto«. L’era- rio ferroviario si era impegnato a realizzare tutta l’infrastruttura necessaria nel settore di sua competenza, mentre il comune conservava la possibilità di »aumentare in altra guisa i provvedimenti d’acqua a pubblico uso«. La Società del ’Acquedotto di Aurisina doveva fornire al e ferrovie e al comune una determinata quantità d’acqua a prezzo fisso, pote- va quindi vendere l’acqua rimanente ai privati e fissarne autonomamente il prezzo. Ave- va inoltre il diritto di al estire la rete di distribuzione »nel e vie urbane del a città ed adia- centi territoriali coll’obbligo del ristauro«. Trascorsi i cinquant’anni del a concessione, la sorgente sarebbe rimasta di proprietà statale, mentre tutta l’infrastruttura idrica neces- saria »agli usi pubblici e comunali« sarebbe passata »nel ’indivisa proprietà del o Stato e del Comune di Trieste«. Le condizioni di gestione del a Società del ’Acquedotto di Aurisi- na divennero ben presto più favorevoli visto che nel 1861 stipula un nuovo accordo con il Comune che prevede un sostanziale aumento del prezzo del ’acqua, mentre il suo quan- titativo veniva invece deciso dal Comune. L’amministrazione municipale cedette una gran parte del e proprie azioni del a Società, la cui struttura azionaria si basava sempre più sul capitale privato di commercianti e assicuratori triestini e del e loro imprese di famiglia (Panjek, 2003, 702–703; Faraone, 2009, 15–23). Le sorgenti di Aurisina si trovavano praticamente a ridosso della costa, nella loca- lità »Vir« presso »Brojenca«, al confine tra i comuni catastali di Aurisina e Santa Croce. Poiché la linea e la stazione ferroviaria si trovavano sul ’altipiano carsico, dai 150 ai 180 metri più in alto, si rese necessario realizzare un sistema di pompaggio del ’acqua, com- posto da un grande serbatoio di raccolta al a sorgente, pompe mosse da macchine a va- pore che portavano l’acqua dal serbatoio presso la fonte a quel i sul ’altopiano, nonché una torre piezometrica. La torre sopperiva al e necessità del a ferrovia mentre dal e va- sche sul ’altipiano furono posate le condutture lungo la strada ferrata sino al a città (Fara- one, 2009, 16–17; Mohorič, 1968, 34–35. La costruzione dell’intera infrastruttura dell’ac- quedotto con l’erezione del e due fontane sul piazzale del a stazione dei treni in città si concluse nel 1857 (Faraone, 2009, 27–29). Mentre i lavori al ’acquedotto erano nel a loro fase conclusiva, gli abitanti di Santa Croce si rivolsero al ’amministrazione municipale per chiedere la posa di una conduttura aggiuntiva sino al villaggio, »la quale si dipartirebbe da quella di Aurisina, e precisamente dalla torre appositamente eretta per alimentare d’acqua la stazione ferroviaria di egual nome«. La richiesta era integrata da una relazione del ’Ispezione civica edile, nel a quale si ribadiva che al ’amministrazione municipale di Trieste erano note le difficoltà di questo paese dovute alla carenza d’acqua potabile, situazione tipica per l’intero altopiano car- 2 AST, LL, AG, 74, n° 8360 (19. 9. 1854). 117 paesaggio culturale e ambiente del carso Figura 27. L’area sico. Gli abitanti del vil aggio, che erano 1.200, così come i passeg- della costa di Au- geri lungo la principale strada commerciale da Trieste verso Duino risina sulla riva e più avanti verso l’Italia, nonché i soldati di presidio in questa lo- adriatica (Brojen- calità avevano a disposizione solamente una cisterna mentre c’era- ca, Filtri) dove fu no due stagni per abbeverare gli animali e per lavarsi. Poiché que- costruito l’acque- ste riserve d’acqua non erano sufficienti a soddisfare le necessità, dotto, su una car- gli abitanti del villaggio erano costretti ad andare a prendere l’acqua ta del 1875 (AST, o al a sorgente presso il mare o addirittura sino al fiume Timavo a CF, 650, II, 07). San Giovanni.3 Un tale stato di cose non deve stupire, se anche ne- gli elaborati del catasto franceschino, realizzati una trentina d’anni prima (1829–1830), relativamente ai vil aggi tra Duino e Trieste si ri- scontrano annotazioni sul fatto che la popolazione poteva dispor- re unicamente di cisterne e stagni sia per i propri bisogni sia per ab- beverare il bestiame e che nei periodi di siccità andava a rifornirsi d’acqua al Timavo.4 La relazione del ’ispettore conteneva anche un elenco dei lavori necessari per la costruzione della conduttura ag- 3 AGCT, MC, 10/8-1, n° 8195/441 (20. 5. 1858). 4 AST, CF, Duino, S5; Aurisina, S5; Malchina, S5; Contovel o, S5; Prosecco, S5; S. Croce, S5. 118 senz’acqua: il treno a vapore in carso giuntiva, compreso il preventivo di spesa per il materiale e i lavori. Il comune di Trieste però respinse il progetto ovvero non lo realizzò.5 Malgrado questa prima risposta negativa, un anno dopo (1859) i rappresentanti del- la comunità indirizzarono una nuova richiesta per la realizzazione di una conduttura idri- ca al ’amministrazione municipale di Trieste, richiamandosi alla promessa dell’ingegner Juncker che, in cambio del a cessione gratuita dei terreni comuni, col ettivi per le neces- sità del ’acquedotto, aveva loro assicurato l’accesso gratuito al ’acqua, per la quale gli abi- tanti erano disposti a scavare da soli, con il proprio lavoro, i canali necessari per la posa delle tubature. … ottenere dal Consiglio municipale che per questa comune-frazione venga po- sta dal a conduttura principale sotto S. Croce una conduttura d’acqua laterale, tan- to più perché la Società del ’Acquedotto ovvero precisamente il sig. ing. Juncker già al ’inizio dei lavori avrebbe promesso, in considerazione del a cessione gratuita del terreno e suolo per l’acquedotto da parte di questa comunità, di dare gratis l’acqua necessaria per questo vil aggio, mentre tutti gli abitanti s’impegnano a svolgere tut- ti i lavori manuali nel a posa conduttura del ’acqua e nel ’escavazione dei canali ac- ciò necessari. 6 Che gli abitanti del vil aggio dicevano il vero e che avevano ragione, fu confermato anche da un nuovo rapporto del ’ispettore edile nel 1860. Il tubo verticale che trasmette l’acqua dal a sorgente fino al a torre, e di là fino al a confine del territorio, verso Nabresina, giace sopra il fondo comunale in una lun- ghezza di circa klafteri lineali 400 ed ammettendo una larghezza di 1 klafer, risul- terebbero klafteri quadrati 400 [1439 m²] . 7 Ma il problema nel frattempo si era ulteriormente complicato poiché nel 1858 la società per azioni privata Società del e Ferrovie Meridionali (Südbahn – Gesel scahaft) aveva acquisito la ferrovia statale da Vienna a Trieste e con essa anche l’infrastruttu- ra del ’acquedotto di Aurisina.8 Il municipio di Trieste semplicemente respinse l’ipotesi di qualsivoglia indennizzo con una motivazione quasi cinica: »In quanto al preteso paga- mento del fondo comunale occupato col a conduttura d’acqua, trattandosi di un’opera di pubblica necessità, non si trova di avvanzare ora la domanda, che fu ommessa di fare in tempo utile«. Ma gli abitanti del vil aggio, convinti di essere nel giusto, non si diedero per vinti e si rivolsero nuovamente al ’amministrazione municipale di Trieste. Così, nei documenti del 1861, possiamo verificare quale fosse il terreno contestato, cosa fosse stato promes- so e quale la richiesta del a comunità. Si trattava di una particel a »appartenente al a co- mune di St. Croce ed a nome di lei trascritto nei pubblici libri«, classificata come »pasco- lo con cespuglio«. 5 AGCT, MC, 10/8-1, n° 8195/441 (22. 6. 1858). 6 AGCT, MC, 10/8-1, n° 7211/1607 (22. 7. 1859). 7 AGCT, CM, 10/8-1, n° 7211/1607 (18. 5. 1860). 8 Riguardo al a vendita si veda Mohorič, 1968, Bressan, 2007; Dienes, 1987; Artl, Gürtlich, Zenz, 2007; sul ’acquedotto invece Faraone 2009, 35–36. 119 paesaggio culturale e ambiente del carso E forse più che altro ebbero a persuadere ciò le parole del sig. cav. de Scrinzi, pre- sidente del a fu menzionata Società e del ’ingegnere sig. Carlo Juncker, i quali al e nostre osservazioni risposero [. . che] potessero i comunisti essere tranquil i, giachè la Società disporrebbe che pel bisogno del a vil a venisse aperta una spina d’acqua perenne. Però questa promessa non venne mai mantenuta né dal a Società né dal- la Società del a Ferrovia, la quale a quanto udiamo divenne cessionaria di quel ’ac- qua. I rappresentanti della comunità ribadirono nuovamente che, a causa della promes- sa non rispettata, gli abitanti erano condannati a servirsi del e scorte d’acqua estrema- mente carenti del e cisterne (bastanti solo per quattro mesi al ’anno) e che dovevano re- carsi regolarmente a prendere l’acqua fino al mare, anche con il maltempo, o con i carri sino a San Giovanni. Conclusero il reclamo osservando che le sorgenti si trovavano sul- le loro terre comuni e che si aspettavano »quel e misure che crederà« più opportune »a far cessare la violazione del nostro diritto di proprietà«.9 Il contenzioso era in attesa di soluzione ancora l’anno successivo, il 1862. L’ammini- strazione municipale di Trieste si rivolse al a Società del ’Acquedotto di Aurisina chieden- dole in quale modo intendeva risolvere il problema, e quest’ultima rimandò la questione al suo proprietario, la Società del e Ferrovie Meridionali. Questa assunse una posizione, in base alla quale scaricava la responsabilità per la soluzione del contenzioso sulla direzio- ne del a Società del ’Acquedotto. In relazione al a vostra pregiata missiva del 15 marzo del o scorso anno, numero 194 in merito al a questione del ’acqua per coprire le esigenze del vil aggio di Santa Cro- ce nonché al ’al acciamento al ’acquedotto, comunichiamo al a spettabile direzione che sfortunatamente non siamo in grado di accogliere la richiesta inoltrata. Se durante le trattative per l’acquisizione del a proprietà sui terreni del a comunità di Santa Croce per le necessità del ’investimento nel ’impianto si è pensato ad una forma di cessione del ’acqua quale forma di risarcimento, sarebbe necessario con- siderare il rispetto di un tale accordo verbale tra quegli impegni che la spettabile direzione ha assunto esplicitamente con il protocol o del 13 marzo 1859, e se deve essere deciso a favore del a comunità di Santa Croce, lo può realizzare solo la spet- tabile direzione. 10 A Santa Croce, quindi, pretendevano l’erogazione gratuita del ’acqua per le esigen- ze del a comunità. La documentazione citata non rivela come sia stato risolto il conten- zioso. In ogni caso, nei decenni successivi la Società del ’Acquedotto di Aurisina fu ber- saglio di numerose critiche a causa del ’elevato prezzo del ’acqua. Le tariffe elevate e la scarsa qualità (nel 1897 causò un’epidemia di tifo) e quantità del ’acqua di fronte al ’inces- sante crescita demografica del a città, sol evarono fin dagli anni ’80 polemiche e propo- ste per la realizzazione di un secondo acquedotto, più moderno. Esse rimasero senza esito e il comune di Trieste persistette nel rinnovare i contratti con il fornitore monopo- lista. Secondo alcuni gli azionisti del a Società del ’Acquedotto d’Aurisina traevano grossi 9 La particel a era contrassegnata: N.T. 3348 cat. 454, AGCT, CM, 10/8-1, n° 12248/1333 (9.9.1861); AST, CF, 1029 (S. Croce), Protocol o particel e fondi. 10 AGCT, CM, 10/8-1, n° 11966/1237 (9. 5. 1862). 120 senz’acqua: il treno a vapore in carso profitti dal e azioni, mentre il comune si trovava a pagare tariffe senza riscontro in Euro- pa. Tuttavia, ancora al a vigilia del a prima guerra mondiale (1910) soltanto poco più del a metà degli edifici d’abitazione in città erano al acciati al a rete del ’acqua potabile, mentre in periferia la percentuale scendeva al 10 % (Panjek, 2003, 703). In alcuni vil aggi del Car- so, come ad esempio a San Daniele e a Dane presso Divača, i nuovi pozzi comuni furo- no realizzati appena nei primi anni del Novecento grazie al ’appoggio regionale (Belingar, 2010; Belingar, 2011). La costruzione del a ferrovia Lubiana-Trieste ha dunque avuto un notevole impatto sul rapporto tra la popolazione del Carso e il suo ambiente. La ferrovia era un elemen- to estraneo sul quale gli abitanti non avevano un’influenza diretta – il tracciato del a stra- da ferrata era stato progettato dagli ingegneri, l’intero processo di costruzione era stato invece diretto dal ministero austriaco. Ma la ferrovia li aveva comunque coinvolti diretta- mente, in quanto aveva bisogno del ’accesso al e risorse naturali che sino ad al ora aveva- no utilizzato. Con il suo arrivo la destinazione d’uso del a risorsa naturale cambiò. Con il progetto di costruzione del a strada ferrata, l’acqua – che sino ad al ora era stata una ri- sorsa rara, preziosa e più che necessaria per la vita e l’economia del a popolazione loca- le, al a quale poteva accedere liberamente, per quanto concesso dal a natura – divenne un fattore strategico d’interesse statale, sempre indispensabile, ma in questo caso per il funzionamento del a ferrovia. Ciò comportò anche un diverso sfruttamento e la costru- zione di bacini, pompe, torri e condutture, in breve tutto quel o che sino ad al ora la po- polazione del territorio non aveva mai potuto permettersi. Al o stesso tempo, a questo nuovo approccio al ’utilizzo del ’acqua è legata anche la questione del a proprietà, ovvero il diritto di sfruttamento. A questo proposito sorse una controversia tra gli abitanti del Carso, lo stato e le autorità locali. Poiché le sorgenti idriche si trovavano sui fondi comuni, col ettivi nel territorio di Santa Croce (e Aurisina), gli abitanti di questo vil aggio reclamavano il diritto ad accedervi. Lo stato e l’amministra- zione del e ferrovie statali era consapevole di questo diritto e si impegnò di conseguen- za, al fine di assumere la proprietà di tali risorse. L’amministrazione municipale di Trie- ste, che aveva una partecipazione nel a Società del ’Acquedotto di Aurisina, era chiamata a stabilire un adeguato risarcimento al ’atto del trasferimento del a proprietà e del dirit- to di sfruttamento dagli abitanti al o stato ovvero al e ferrovie statali. E a questo punto si giunse al conflitto: gli abitanti di Santa Croce presentarono ricorso per il mancato rispet- to della promessa, ossia la realizzazione di una conduttura aggiuntiva per il fabbisogno del villaggio. Possiamo considerare questa controversia alla luce del confronto tra il regola- tore, in questo caso lo stato, i fruitori del e risorse naturali, in questo caso gli abitanti di Santa Croce, e l’ iniziativa pubblico-privata, per la quale costruire l’acquedotto di Trieste era più importante che soddisfare l’esigenza, molto più limitata ma essenziale, di una fon- te costante di acqua corrente per gli abitanti di Santa Croce. In altre parole, l’interesse di un grande gruppo finanziario (la Società del ’Acquedotto di Aurisina e l’amministrazione municipale di Trieste) superava di gran lunga per importanza le richieste giustificate di un gruppo più piccolo, gli abitanti di Santa Croce, volte ad ottenere il risarcimento concor- dato per la cessione del diritto di sfruttamento del a risorsa e d’uso dei terreni comuni con la motivazione che la il bene comune (»opera di pubblica necessità«) avesse la prio- rità rispetto ai diritti di una comunità più piccola. 121 paesaggio culturale e ambiente del carso Su questi presupposti possiamo constatare che anche nel caso triestino gli interes- si economici e l’interpretazione del ’acqua come »capitale naturale« e non più come »ri- sorsa naturale collettiva« erano risultati vincenti (Barca 2010). In tale contesto, un ruolo importante fu svolto dal fatto che l’attenzione del comune di Trieste, oltre che al a cura degli abitanti del suo territorio, era rivolta ad altri interessi, soprattutto a quel i econo- mici in seno al a Società del ’Acquedotto di Aurisina e al a vendita del ’acqua attraverso di essa. L’élite triestina si mostrava così, come nel caso del e autorità comunali nel a Val- le del Liri, in un doppio ruolo: da un lato avrebbe dovuto operare nel ’interesse pubbli- co, quel o col ettivo del a città e del territorio, dal ’altro sempre gli stessi circoli sfrutta- vano questo ruolo per i propri profitti privati. Gli esponenti del ceto triestino al potere erano coinvolti nella vicenda del ’acquedotto come rappresentanti pubblici e al o stesso tempo come privati. In questo periodo il comune di Trieste puntava, infatti, a cedere la gestione del e infrastrutture pubbliche e dei servizi ad aziende private (Panjek, 2003). In questo processo lo stato austriaco si attenne al e proprie regole e avviò la procedura di acquisto dei terreni, ma si ritirò dal ’impresa prima che fossero risolte le vertenze anco- ra aperte. La questione passò quindi in altre mani, ovvero in quel e di un’impresa privata ancor più grande, la Società del e Ferrovie meridionali, che a sua volta affidò la soluzione dei problemi alla direzione della Società del ’Acquedotto di Aurisina, dandole istruzione di risolvere da sola la questione. Il caso della privatizzazione della fonte idrica ad Aurisina non palesa impatti am- bientali negativi, interpretabili come una dimostrazione del fatto che la gestione privata di questa risorsa naturale avesse avuto effetti »non sostenibili«. D’altra parte è però pos- sibile constatare che le conseguenze del passaggio in gestione privata di quel a che sino ad al ora era stata una risorsa idrica col ettiva, almeno a breve termine non furono social- mente sostenibili per la popolazione locale. 122 Mappe mappe paesaggio culturale e ambiente del carso a 07). eduta d critti, 1 anos aturale; v , M SPGA ulturale e n ecolo) (I sVXaesaggio c el p enti d onfalcone ( lem i M li e occa d trade e ge s iovanni e la r icini, l . G bitati v uino, s li a Dra on g arino t ittente c nterm go i l'orizzonte m l la no a oberdò e i orizia fiG . D appa 2M 124 mappe 16). ocali-e l 2 A 2 /, 1Dtrade e le sT, ABC ese, l I) ( hi V e c I–XV ggi, l X illa ta (os on i v ulla c tà s Trieste c iovanni e . G ra S etroterra t icino rl v on i arsica c ta cos ella c one d gurazi affi. R appa 3M 125 paesaggio culturale e ambiente del carso 16). 2 A 2 /, 1 al’entroterra D isto d T, A i, v BC I) (V oponim I–XV lcuni t (X are e a l m ggi, iilla on i v picina c na e O istia ra S tica t dria ta aos ulla c arsico s iglione c . Il c appa 4M 126 mappe 16). 2 A 2 /, 1D T, A BC I) (V I–XVX ecco ( Pros na e istia ra S tica t dria ta aos ulla c arsico s iglione c dettaglio). Il c appa 5 (M 127 paesaggio culturale e ambiente del carso i ).7, 1 nalogo 0, 1 li, 4 epubblica d ltro a riu u a ra la R asato s dine – F onfine t el c isegno b ettori, U one d arche; d enato, R gurazi ue b SV, S affi A cate d 651 ( fondo, r onfis del 1 ullo s urono c arso s ui f el C n c onti d on i m rontaliero i avo cim ncidente f el T n ii u onti de f ogo d uino e l onte), lu i D sul p iovanni d ustria ( . G l’A . S appa 6 Venezia e M 128 mappe lena -d). 41.3, 1 all’origi , 2 TA 742 d T el 1 ST, A a d A opi, c 627 ( del 1 Sesana erče e Mra presa t om el’area c unità n om gnorie e c ra si onfine tl c gurante i affi isegno r . D appa 7M 129 paesaggio culturale e ambiente del carso o- 1). 6, 1 , M 4 orenzo), c , K . L StLA 596 ( ntignana – S el 1 A nterna ( al’originale d 713 d nel’Istria i el 1 co pia d eneto-austria onfine vl co ing unità lu om ra c rontalieri t onflitti fi c cenario d. S appa 8M 130 mappe 1). 6, 1 , M 4, K StLA otondo ( enti r arim tagno p no s otonda e u vorata r olina la na d: u Istrian arsico i aesaggio c el p enti d lem dettaglio). E appa 9 (M 131 paesaggio culturale e ambiente del carso na ). 33, 2 enezia rsenal, 1 arina v ella m enato, A si dli u SV, SAer g777 ( otatura p ittori, 1 i p . V i d . C , G stem iversi si dal’Istria ei d pio sem n e uercia e d – u i q chi dos ei b oltura di c a d stem el si one d gurazi affi 0. R appa 1M 132 mappe bri I). em 30, I ai m ni, 3ia ST, P istrutte d A 1771) ( vorate d ti ( oline la anneggia e d ei d egnate l inativo d on s om uni c om ’elenco n erre c on l ule t icine c onflitto s unità v n c om ele c unità: u om anno d aj a d gnorie e c i Tom ra si unità d onfine t om i c rea d della c 1. A appa 1M 133 paesaggio culturale e ambiente del carso 43). ni, 2ia ST, PA Lipizza ( intato a co cos 2. B appa 1M 134 mappe 692)., 2 PGM 752 ( ris, 1 apella . C fondo, G ulo s arso s l C on i eifenberg ci R astelo d 3. Il c appa 1M 135 paesaggio culturale e ambiente del carso 639)., 2 PGM 752 ( ris, 1 apella . C arso, G el C aniele d i S. D one d gurazi affi 4. R appa 1M 136 mappe 5). ni, 6ia ST, PA arniolino«) ( confine cl » egnato i con s oberdò (D alone e l V iovanni i . G uino, SDra arsica t ’area c 5. L appa 1M 137 paesaggio culturale e ambiente del carso ). 16, 2 icazione l’ind appe, 6 te) e isc. M i Tries SV, MA orto d el p si d roprietari ( li u oro p per g dei l ietra (i p ave d ue c on d Trieste c erso na e v istia uino a SDa arsica d ta cosa c 6. L appa 1M 138 mappe )., 1 70, a ni, 5ia ST, PA avo (im el T oce d onti e la fe f on l uino cD resso arsica p ta cosa c 7. L appa 1M 139 paesaggio culturale e ambiente del carso ). atasto el c appe, 7 b 4 arta d , M ulla c ST, CA vber s irca) ( ve: Achi 820 c os el 1 ltra di a rative e b ase d ulla b uperfici p le s irca s ezzo a 1880 c n m no ( vorate i franceschi oline la ggio, dillal v resso i rativi p erreni a 8. T appa 1M 140 mappe - ). 75, b 2 ranceschi appe, 1 atasto f , M el c ST, CA arta d irca) ( ulla c 820 c el 1 utovlje s ltra di a al’abitato: D ase d ulla b istanza d irca s 1880 c aggior d no ( vorate a m oline la ggio e dillal v resso i rativi p erreni a 9. T appa 1M 141 paesaggio culturale e ambiente del carso ). rdo 53, b 6 1 rahovo B appe, 5 , M lberati: G ST, CA ascoli a irca) ( rati e p 820 c ei p el 1 ezzo d ltra di a el m ase d istanza n ulla b irca s aggior d 1880 c no ( vorate a m ranceschi oline la atasto f ggio e dilla el c l v arta d resso i ulla c rativi p Štorje sso erreni a pres 9. T appa 1M 142 Fonti e bibliografia Fonti AGCT = Archivio Generale del Comune di Trieste MC 10/8: Magistrato Civico, fondo 10/8-1 AS = Arhiv Slovenije FK: Franciscejski kataster za Kranjsko – SI AS 176, Elaborati ASG = Archivio di Stato di Gorizia C: Catasti secc. XIX–XX, Elaborati (Catasto Franceschino) ASPG = Archivio Storico Provinciale di Gorizia Manoscritti: Manoscritti. AST = Archivio di Stato di Trieste ATTA: Archivio Torre Tasso Antico CF: Catasto Franceschino, Elaborati catastali (1818–1840). CF, Mappe: Catasto Franceschino, Mappe Intendenza: Intendenza Commerciale. LL: Luogotenenza del Litorale, Atti Generali Piani: I.R. 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S/5.17.20.21 Aurisina - Nabrežina = b. 950 Naklo = b. 468 Avber = b. 14 Ocizla = b. 484 Banne - Bani = b. 954 Opicina - Opčine = b. 1056 Basovizza - Bazovica = b. 959 Padriciano - Padriče = b. 1005 Branik = b. 609 Pliskovica = b. 551 Brestovica pri Komnu = b. 84 Podgorje = b. 532 Brje pri Komnu = b. 68 Povir = b. 577 Contovel o - Kontovel = b. 976 Prebenico - Prebeneg = b. 1009 Corgnale - Lokev = b. 203 Prosecco - Prosek = b. 1012 Črni Kal = b. 692 Repen = b. 1020 Dane = b. 251 Rodik = b. 619 Divača = b. 257 S. Croce - Križ = b. 1031 Duino - Devin = b. 980 S. Daniele - Štanjel = b. 660 Dutovlje = b. 277 S. Pelagio - Šempolaj = b. 1028 Gabrovica pri Komnu = b. 303 Sales - Salež = b. 950 Gabrovizza - Gabrovec = b. 982 Sela na Krasu = b. 750 Gorjansko = b. 339 Sesana - Sežana = b. 758 Gročana = b. 989 Sgonico - Zgonik = b. 1047 Gropada = b. 987 Skopo = b. 738 Hrpelje = b. 283 Slivno = b. 1049 Hruševica = b. 239 Sveto = b. 806 Ivanji Grad = b. 140 Škrbina = b. 723 Jamlje = b. 994 Šmarje = b. 656 Kazlje = b. 132 Štorje = b. 794 Kobdilj = b. 195 Temnica = b. 812 Kobjeglava = b. 193 Tomačevica = b. 822 Komen = b. 201 Tomaj = b. 820 Kopriva = b. 118 Trebiciano - Trebče = b. 1051 Kostanjevica na Krasu = b. 136 Utovlje = b. 857 Krajna vas = b. 895 Veliki Dol = b. 267 Ležeče = b. 386 Voglje = b. 1058 Lipa = b. 394 Vojščica = b. 931 Mavhinje = b. 997 Volčji grad = b. 935 Merče = b. 428 144 fonti e bibliografia ASG, C AS, FK S4 = fasc. S4 Senožeče = a.e. A171 S5 = fasc. S/5.17.20.21 Doberdò - Doberdob = b. 198 Opatje selo = b. 40 S. 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Žitko, Salvator. »Objave in interpretacije listine Rižanskega placita v domačem in tujem zgodovinopisju.« Acta Histriae 13, no. 1 (2005): 151 – 65. 154 Indice dei nomi e dei luoghi A Braudel, F. 80 Abel, W. 69 Brda 67, 81 Agapito, G. 32 Breschi, M. 76 Alfani, G. 16, 106 Bressan, M. 115, 119 Antonini, P. 104 Brestovica 86, 87, 91, 93, 94, 96, 97, 98, 105 Ara, A. 35 Brestovica pri Komnu 86, 87, 91, 93, 94, Artl, G. 115, 119 96, 97, 98 Austria 62, 72, 76, 91, 128 Britovšek, M. 64, 68, 73 Austria Interiore 62 Brje pri Komnu 87, 92, 94, 97, 98 Avber 84, 87, 92, 94, 98, 140 Brkini 67, 81, 88, 101, 104, 105, 108 Ažman Momirski, L. 72 Budja, M. 102 Buzet 109 B C Balcani 58 Baldé, G. 67 Cadel , W. A. 30 Bani 75 Capellaris, A. 26, 57, 58, 135, 136 Barca, S. 17, 114, 122 Carinzia 58, 69 Barcola 116 Carniola 22, 26, 32, 61, 62, 92, 104, 109, 114 Barka 67 Chesworth, W. 80 Basel i, G. P. 28 Chiarbola 27 Baumberger, G. 33, 35 Ciglič, Z. 57 Bazovica 27, 32 Circovich, fotografo 35 Beka 67, 82 Colombo, F. 58 Belec, B. 18 Cova, U. 105 Belingar, E. 48, 57, 121 Culiberg, M. 101, 104 Bianco, F. 16, 106 Czoernig, C. von 34, 35 Bloch, M. 16, 52 Č Bonaparte, N. 29 Boscani Leoni, S. 16 Črni Kal 22, 94, 98, 99 Branik 42, 58, 94, 98 indice dei nomi e dei luoghi 155 paesaggio culturale e ambiente del carso D Gestrin, F. 61 Dane 94, 98, 121 Gorizia 22, 28, 35, 61, 62, 63, 73, 98, 99, D’Ascia, L. 35 104, 124 Davis, J. C. 30, 76 Gorizia, contea di 61 Della Bona, G. D. 104 Gorjansko 84, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, Devin 17, 22, 25, 29, 42, 44, 45, 46, 49, 53, 97, 98 55, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 72, 73, 84, Gornje Ležeče 114, 115 86, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 98, Gradiscutta 22 99, 104, 105, 108, 109, 118, 124, 128, 137, Grafenauer, B. 58 138, 139, 149 Greta 27 Dienes, G. M. 115, 119 Gročana 94 Di Tullio, M. 16 Gropada 27, 67, 75, 90, 94, 98, 108 Divača 29, 75, 84, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 98, Grove, R. 17, 80, 100, 101, 103, 110, 111 102, 114, 115, 121 Grubić 79 Doberdob 10, 17, 22, 55, 84, 88, 89, 94, 98, Gürtlich, G. H. 115, 119 103, 124, 137 H Dol 84, 94, 98 Dolce, S. 48 Hardin, G. 80 Dorsi, P. 28 Head-König, A.-L. 109 Draga 67, 82 Hermann, B. F. J. 29, 109 Durissini, D. 26 Horn, A. 115 d’Ustia, T. 28 Hrpelje 67, 81, 94, 98, 102 Dutovlje 40, 42, 73, 94, 98, 141 Hruševica 84, 87, 92, 94, 97, 98 Hrušica 34 E I Ebner, H. 58 Ilešič, S. 16, 18, 42, 44 F Ingolič, B. 17, 40, 42, 44, 49 Fabec, T. 102 Istria 49, 61, 81, 100, 101, 104, 108, 109, 130, Fanfani, T. 73 131, 132 Ferdinando, arciduca 21 Italia 17, 31, 37, 39, 114, 118, 162 Fernetti 53, 67 Ivanji Grad 87, 88, 91, 92 Fister, P. 16, 57, 58 J Formentini, G. F. 21 Fornasin, A. 64, 95 Jamlje 40, 93 Francia 100 Jelovica 67 Funfenberg 94, 98, 99 Juncker, K. 119, 120 Furlania 110 K G Kal 22, 36, 94, 98, 99 Gabrk 23, 30, 44, 81 Kalc, A. 69, 76, 108 Gabrovec 94, 115 Kandler, P. 32 Gabrovica pri Komnu 84, 87, 92, 94, 97, 98 Kazlje 87, 92, 94, 98 Gams, I. 16, 17, 18, 22, 39, 40, 42, 44, 48, Kerner, F. von 33, 35 49, 50, 51, 57, 66, 72 Keyssler, J. G. 26 156 indice dei nomi e dei luoghi King, R. 21 Lovrenčak, F. 17, 40, 42, 44, 49 Klanec 82 Luchitta, A. 65, 105, 108 Klemenčič, V. 18 Kobdilj 69, 70, 87, 92, 94, 98 M Kobenzl, F. de 21 Magris, C. 35 Kobenzl, F. di 21, 58 Malipiero 104 Kobjeglava 87, 92, 94, 97, 98 Malnič, A. 69 Kokorovec, Marino 143 Martini, P. 80 Kokoš 75 Martinščina 22 Komen 40, 42, 87, 88, 91, 92, 94, 96, 98 Masiello, D. 106, 111 Kontovel 27, 44, 75, 94, 98, 108, 118 Massimiliano I, imperatore 66 Koper 61 Mathieu, J. 16 Kopriva 87, 92, 94, 97, 98 Mavhinje 84 Kos, M. 42, 104, 105 Mc Neil , J. R. 80 Kosovel, S. 35, 36, 37, 38 Mediterraneo 22, 101, 111 Kostanjevica 17, 87, 88, 92, 93, 94, 98, 99 Melik, A. 16, 40 Kostanjevica na Krasu 87, 88, 92, 93, 94, 98 Merče 87, 92, 94, 98, 129 Košuta, M. 35 Mihelič, D. 104 Kozina 81 Mocarelli, L. 16 Krahwinkler, H. 104 Mohorič, I. 115, 117, 119 Krajna vas 42, 84, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 96, Monfalcone 22, 124 98 Morelli, C. 28 Kranjc, A. 15 Moreno, D. 17, 80, 100, 103, 107 Križ 27, 67, 69, 72, 81, 94, 98, 108, 114, 117, Moritsch, A. 16, 46, 47, 50, 64, 65, 68, 72, 118, 119, 120, 121 73 Križaj Smrdel, H. 44 Križnar, N. 72 N Kučan, A. 16 Nabrežina 32, 76, 84, 94, 98, 113, 114, 115, L 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122 Naklo 84, 86, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 96, Lago, L. 27, 39, 53, 66, 75 98 Lah, L. 57 Natek, M. 18 Laurenti, M. 106 Navarra, E. 76 Laže 15 Neppi, Tiziano 143 Ležeče 94, 98, 114, 115 Nice, B. 17 Lidén, Matthias 143 Nicod, J. 39, 47, 49 Liguria 100 Notranjska 32, 104, 109 Lipa 87, 88, 91, 92, 94, 98 Novi Grad 62 Lipica 23, 29, 31, 32, 34, 46, 67, 81, 82, 98, 108, 110, 134 O Litorale austriaco 67, 81, 109, 115 Ocizla 67, 82, 94, 98 Litorale sloveno (Primorska) 64, 65 Opatje selo 17, 44, 45, 48, 55, 94, 95, 98 Ljubljana 32, 35, 113, 114, 115, 116, 121 Opčine 27, 32 Lokavec 93 Ostrom, E. 80 Lokev 31, 90 157 paesaggio culturale e ambiente del carso P Ricci, P. 27 Padriče 75 Rilke, R. M. 38 Pagnini, M. P. 44, 47, 48, 50, 52, 57 Rodik 67, 81, 84, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 96, Palma, M. 48 98 Panjek, A. 16, 18, 21, 24, 42, 45, 46, 47, 56, Rossetti, D. 68 61, 62, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 75, 105, 108, Rupel, M. 25 116, 117, 121, 122 Rustja, K. 115 Panjek, G. 66, 67 S Parovel, P. G. 22 Peruza, M. 105 Sabliči 93 Petazzi, conte 29 Salež 84, 97 Piran 61 Sandgruber, R. 73 Pittoni, A. 27, 28 Sansa, R. 111 Piussi, P. 79, 81, 82, 84, 108 Scharnaggl, S. 97, 109, 110, 111 Pivka 35, 58 Scherl, Ferry 143 Pleterski, A. 104 Schwarzenegg 62, 63, 64, 65, 66, 67, 105 Plinio 102 Scott, J. 17, 80, 84, 95 Pliskovica 84, 87, 92, 93, 94, 98 Seemül er, J. 69 Podgorje 67, 98 Sela na Krasu 94, 97, 98 Podmol pri Kastelcu 102 Senožeče 13, 15, 22, 23, 25, 29, 57, 67, 68, Podnanos 41, 70 81, 92, 94, 98, 99, 104, 108 Poniž, D. 115 Sereni, E. 16, 31, 42 Postojna 29, 66, 94, 98, 99 Servola 27 Povir 26, 67, 84, 87, 92, 94, 98 Sežana 10, 26, 29, 37, 40, 42, 67, 75, 84, 87, Prebeneg 94 88, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 98, 99, 105, 109, Prem 104 115, 129 Prestranek 29 Shaw, T. R. 15, 26, 29, 31, 109 Prosek 22, 27, 31, 32, 42, 69, 94, 98, 108, Sigaut, F. 100, 111 115, 118, 127 Simoniti, V. 104 Skopo 92, 94, 98 Q Slapšak, B. 58, 102, 103 Quaini, M. 16 Slataper, S. 35, 36, 37 Slicher van Bath, B. H. 69 R Slivno 84, 97 Rackham, O. 17, 80, 100, 101, 103, 110, 111 Slovenia 17, 39, 58, 101, 162 Radinja, D. 16, 18, 49, 51, 52 Socerb 22 Rao, R. 106 Srebotnik 67 Razdrto 29 Stiria 58 Reifenberg 21, 27, 58, 62, 63, 64, 65, 66, 67, Stoch, F. 48 69, 98, 135 Sveto 87, 88, 91, 92, 94, 98 Reisp, B. 25 Š Reka 81 Renče 94, 98, 99 Šempolaj 84, 94, 97, 98, 105, 144 Renčelj, S. 57 Škocjan 25, 31, 58 Repen 53, 84, 94, 97, 98 Škocjanski zatok 101 158 indice dei nomi e dei luoghi Škrbina 87, 88, 91, 92, 94, 98 Vedaldi Iasbez, V. 103 Šmarje 56, 84, 87, 92, 94, 98 Veliki dol 87, 92, 97 Štanjel 21, 27, 28, 42, 57, 58, 69, 70, 84, 92, Venezia (Repubblica di Venezia) 29, 61, 79, 93, 94, 97, 98, 99, 121, 136 100, 128, 143, 160 Štih, P. 16, 104 Verhulst, A. 16 Štivan 22 Vienna 30, 31, 32, 114, 119 Štorje 44, 55, 72, 85, 87, 88, 90, 91, 92, 94, Vilfan, S. 62 98, 113, 142 Vipava 22, 29, 104 T Vipavski Križ 67 Vittori, G. C. 100, 132 Tasso Jasbitz, A. 22 Vodice 67 Temnica 87, 88, 91, 92, 94, 98 Voglje 53, 87, 92, 94, 98 Thompson, E. P. 106 Vojščica 87, 88, 91, 92, 94, 98 Thurn (della Torre), conte 93, 98 Volčji grad 84, 87, 92, 94, 97, 98 Timavo 22, 81, 88, 93, 102, 116, 118, 128, Vrhovlje 53 139 Tolmin 21 W Tolminese 65, 92 Weidmann, F. C. 32, 34 Tomačevica 84, 87, 92, 94, 97, 98 Werner 115 Tomaj 10, 37, 40, 41, 55, 65, 68, 69, 70, 84, 86, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 97, 98, 133, Z 144 Zannini, A. 79 Topolski, J. 69 Zaule 116 Trampus, A. 29 Zenz, H. 115, 119 Trebče 75 Zgonik 40, 64, 84, 86, 87, 90, 91, 92, 93, 94, Trieste 23, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 34, 35, 96, 97, 98, 105, 144 36, 37, 47, 48, 53, 61, 62, 63, 64, 66, 67, 68, Zinzendorf, K. von 28 69, 73, 75, 76, 81, 82, 88, 91, 92, 94, 97, Zobnik 67 98, 99, 102, 103, 106, 107, 108, 109, 110, Zwitter, Ž. 16 111, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 125, 138 Ž Turk, I. 102 Žitko, S. 104 U Umek, E. 105, 109 Ungaretti, G. 38 Ungheria 76 Utovlje 94, 98 V Valenčič, V. 73, 75 Valentinitsch, H. 25 Valussi, G. 18, 39 Valvasor, J. V. 15, 22, 23, 24, 25, 26, 28, 30, 31, 35, 41, 47, 57, 58, 67, 70 159 kulturna krajina in okolje krasa Le il ustrazioni conservate presso la Biblioteca Civica di Trieste -Archivio Diplomatico sono pubblicate in base al a concessione nr. M53 – 26/1/1 – 8/15 (701), PG. 66695 del 22.4.2015. Le il ustrazioni conservate presso l'Archivio di Stato di Venezia sono pubblicate in base al a concessione nr. 20/2015, 193/28.13.07. Le il ustrazioni conservate presso l'Archivio di Stato di Trieste sono pubblicate in base al a concessione nr. 1626 del 22.4.2014. Le il ustrazioni conservate presso i Musei provinciali di Gorizia sono pubblicate in base al a concessione nr. 13105/2015 del 24.4.2015. Le il ustrazioni conservate presso l'Archivio Storico Provinciale di Gorizia sono pubblicate in base al a concessione nr. 6151/2015 del 24.3.2015. Le il ustrazioni conservate presso lo Steiermärkisches Landesarchiv sono pubblicate in base al a concessione nr. R42 GZ 52308&2015/1 del 20.2.2015. 160 Progetto Living Landscape /Il Paesaggio vivo del Carso: un progetto di ricerca e formazione per riconoscere e valorizzare il patrimonio culturale e l’ambiente transfrontaliero finanziato nell'ambito del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia Progetto Living Landscape /Il Pae 2007–2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. Projekt Living Landscape /Živa krajina Krasa: raziskovalni in izobraževalni projekt na področju prepoznavanja in valorizacije čezmejne čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007-2013 iz sredstev Evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. dediščine in okolja sofinanciran v okviru Programa čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007–2013 iz sredstev Evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. Document Outline Panjek, Aleksander (2015). Paesaggio culturale e ambiente del Carso. L’uso delle risorse naturali in età moderna. Založba Univerze na Primorskem, Koper. Colophon Indice Indice delle figure, delle mappe e delle tabelle Figure Mappe Tabelle Introduzione Il paesaggio culturale Immagini Elementi Mutamenti Uomo e ambiente Senza bosco: la savana in Carso Aleksander Panjek e Hrvoje Ratkajec ■ Senz’acqua: il treno a vapore in Carso Mappe Fonti e bibliografia Fonti Bibliografia Indice dei nomi e dei luoghi A B C Č D E F G H I J K L M N O P Q R S Š T U V W Z Ž