ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 ricevuto: 2001-02-21 UDC 264-2(497.4-14)"17/18" RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900 Pietro ZOVATTO Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, Dipartimento di Scienze geografiche e storiche, IT-34124 Trieste, Via Tigor 22 e-mail: mstoppa@dsgs.univ.trieste.it SINTESI Sul finire del XVIII sec. Capodistria, come tutta la penisola istriana e Trieste, veniva investita dall'urto delle guerre e occupazioni napoleoniche con la caduta della Serenissima Repubblica (1797). Da quelle circo stanze drammatiche e incerte emerge la figura episcopale di un uomo saggio e avveduto, che riesce a sottrarre la città e dintorni ad una situazione caotica e di violenza. In quel quadro politico veneto di fine Settecento, sonnacchioso e senza tante iniziative riformatrici (anche se Capodistria riesce ad esprimere una personalità illuminata come Gian Rinaldo Carli) - a differenza della confinante Austria, paese riformista per eccellenza - il prestigio morale dell'istituzione religiosa diventa l'unico punto di riferimento, sotto la spinta del giacobismo rivoluzionario. L'anziano vescovo Bonifacio da Ponte sa eludere una situazione che poteva finire nel tragico, come avvenne al podestà della vicina Isola d'Istria trucidato dalla folla inferocita, poiché rasserena una popolazione tumultuante radunata nel Duomo, neutralizzando la rivolta con una solenne benedizione eucaristica, cioè con quella religiosità popolare che impregnava di un denso sentimento sacrale il tessuto della società capodistriana fin nelle ime radici della sua identità storica più autentica. Parole chiave: liturgia, rito religioso, festività, Capodistria, XVIII-XIX secolo 519 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 RELIGIOUSNESS AND FOLKLORE IN KOPER BETWEEN 1800 AND 1900 ABSTRACT Towards the end of the XVIII century Koper, as well as the whole of the Istrian peninsula and the city of Trieste, was overwhelmed by the impact of the Napoleonic wars and occupations following the fall of the Republic of Venice (1797). Under those dramatic and uncertain circumstances the episcopal figure of a wise and shrewd man stands out for having saved the city and the environs from a chaotic and violent situation. Within the sluggish Venetian political scene of the end of 1700 characterized by the absence of reforming initiatives that abounded instead in Austria, a pre-eminently reformist country (even though Koper can boast the enlightened personality of Gian Rinaldo Carli), the moral prestige of the religious institutions becomes the only point of reference, thanks to the spur of the revolutionary Jacobinism. The old bishop Bonifacio da Ponte indeed evades a situation that could have resulted in tragedy, as it happened for the podesta of the neighbouring Istrian peninsula who was slaughtered by the mad crowd. Bonifacio da Ponte instead clears up the riotous population gathered in the Cathedral by neutralizing the insurrection with a solemn Eucharistic blessing, that is to say with that very popular devoutness which had always imbued the Koper society with deep sacred feeling up to its innermost historic identity. Key words: liturgy, rituals, religious feast, Koper, 18th - 19th centuries Capodistria rappresentava il centro di maggiore cultura di tutta la penisola alla fine del '700 (cfr. Alisi, 1932; Ziliotto, 1910; Semi, 1933; Ricciotti Giollo, 1969, 85108; Quarantotti, 1954; Apollonio, 1998, 211-221; Ivetic, 1998; Lavric, 1998) e tale da poter gareggiare con la stessa Trieste che non poteva vantare - come dira Scipio Slataper, all'inizio del nostro secolo - una "tradizione culturale". Il sapere e l'istru-zione nelle scuole venivano impartiti soprattutto dal Collegio dei Nobili di Capo-distria e dai frati dei molti conventi della cittadina costiera per una popolazione di circa seimila abitanti. Fin dal quinto secolo, se si presta fede agli annali ecclesiastici locali, si fa risalire una sede vescovile con un episcopato, che anche recentemente e stato oggetto di studio. La citta di Capodistria sede vescovile fino al 1830, anche se vacante dal 1810, aveva un proprio Capitolo, ove i canonici erano non di rado anche uomini di cultura e oratori notevoli, e con il relativo Seminario. Alle molte chiese si aggiungevano le numerose cappelle minori annesse alle Scuole laiche o Confraternite, che aggregavano il popolo minuto, mentre la piccola nobilta cittadina presiedeva con il suo patronato a ognuno di questi sodalizi ecclesiali con l'influenza del proprio casato e con le cure personali della devozione. 520 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Avveniva che le confraternité1 si caratterizzavano per il ceto di persone cui quella istituzione faceva riferimento. Cosí a Capodistria si trovava la Confraternita del Ss. Sacramento alla quale confluivano soprattutto i nobili; quella di S. Antonio Abate, i commercianti e i notabili; quella della B. V. dei Servi (appartenente al convento dei Servi di Maria) gli artisti e i letterati; quella di san Nicolo, i marinai; quella di S. Andrea, i pescatori. In ogni Scuola laica presiedeva un personaggio della nobiltà che proteggeva la vasta clientela devota del gruppo corrispondente. In questa temperie profondamente impregnata di sacralità il tessuto religioso aggregava in connessione unitaria la cittadina con tutte le sue classi sociali, dal colto aristocratico all'ultimo pescatore analfabeta o il popolano dedito all'agricoltura. Lo rivela un erudito locale, Giuseppe De Lugnani: Scorgesi da ció, che ¡'elemento religioso costituiva la base del sistema sociale d'allora; e presiedeva, invece che alla centralità, ad una serie di associazioni o aggruppamenti che ripartivano, addentellavano, e tornavano ad unificare la città e gli individui; e le classi e le famiglie; i ranghi e gli uffici; i notabili e il popolo, sotto l'invocazione de' Santi (De Lugnani, 1843, 188). L'elemento religioso non formava un monocorde organismo senza dialettica interna, poiché queste istituzioni religiose nella "controlleria per promuovere il bene e frenare il male" a Capodistria andavano "a gara di emulazione"; cosí il Collegio dei Nobili degli Scolopi aveva per antagonista il Seminario; il clero secolare, le confraternite degli artisti (B. V. dei Servi) potevano avere per contraltare quella dei commercianti e dei notabili (S. Antonio Abate); quella dei nobili (Ss. Sacramento), quella dei marinai (S. Nicolo) o quella dei pescatori (S. Andrea). Questa pluralità articolata non generava una conflittualità radicale o permanente, ma creava piuttosto le condizioni da cui "derivavano armonia d'interesse e di mire; e per cosí dire una rete di superiorità e dipendenze, in cui v'era posto per tutti". In tale situazione le mansionerie e i canonicati erano appannaggio dei rampolli della piccola nobiltà capodistriana o dei dintorni; e avere nella propria famiglia un figlio sacerdote conferiva un ulteriore splendore al casato o innalzava il rango sociale degli umili figli del popolo. Anzi qualche famiglia gentilizia o benestante fondava un canonicato e con il patronato ne assegnava l'onorario a qualche ecclesiastico suo parente. Nella variegata articolazione ecclesiastica la convergenza sacrale sovrastava ogni tendenza di disgregazione, riunendo clero secolare e clero religioso, confraternite e massa del popolo minuto nelle espressioni culturali delle funzioni religiose, special-mente nel solenne Duomo di Capodistria nelle maggiori solennità - la messa cantata do- 1 La confraternita di S. Andrea, cioè dei pescatori del convento francescano di S. Anna, nello statuto n. 2 afferma: "Soci onorari sono tutti quei cristiani cattolici, senza riguardo alla loro età o professione, che desiderano appartenervi versando lire 2 annue" (Ricciotti Giollo, 1969, 93 e passim). 521 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 menicale -; nella predicazione quaresimale; nelle processioni, particolarmente in quella del Venerdi Santo, il più sentito e rinomato evento sacro nella Repubblica Veneta, integrato, in regime asburgico, con quello del Corpus Domini. Nella magnificenza del culto liturgico nel grandioso Duomo la distinzione marcata delle classi trovava un'in-visibile unità superiore e convergeva verso la trascendenza. "Lo spirito religioso poi -scrive il De Lugnani - sovrasta a tutto; e tutti riunivansi, clero secolare e conventi, Confraternite e massa della popolazione nella pompa comune delle funzioni ecclesiastiche". Il resto lo faceva il canto ed era fatto in lingua latina nonostante gli interventi litur-gici di Giuseppe II per la vicina Trieste. Ció fa pensare che le ingerenze del giusep-pinismo dopo il 1797 non solo trovarono resistenze, ma dopo la morte della Veneta Repubblica la situazione restava uguale allo stato precedente sotto questo profilo. Una cosa va rilevata intorno al ruolo delle confraternite: esse rappresentavano il coagulo interclassista, perché diffondevano ponti di rapporti solidali tra le classi sociali, ma non al punto di estinguere la distinzione delle tre classi di nobili, borghesi e popolani. Il canto degli inni cui le Confraternite cercavano di emergere diffondeva lo studio e l'esercizio della música in tutto il popolo: ed il legame tra gl'inferiori ed i superiori in quelle adunanze lo educava buono, spiritoso e sagace.2 Da ogni convento si irradiava la carità che si esprimeva nelle mense che giornal-mente venivano elargite agli indigenti sia da parte dei conventi sia da quelle confraternite che avevano potuto conservare quasi intatti i loro "beni - fondi" nei Domini Veneti, tra cui Capodistria, fino all'occupazione francese (1797) (cfr. Cherini, 1868). Una lauda tramandata oralmente di generazione in generazione e raccolta da Francesco Babudri all'inizio del secolo è significativa sul senso di protezione universale che il popolo capodistriano e dell'Istria attribuiva a Sant'Antonio: Sant'Antonio, gilgio giocondo, nominado per duto 'l mondo, chi che l'haper su' avocato el sarà de lui iutato; sant'Antonio mio benigno nominarve no son digno; sant'Antonio grolioso dème in ciel el bel riposo, coi anzoli e i santi e con Maria, duti quanti in compagnia. Amen3 2 II De Lugnani nel tratteggiare la situazione religiosa della sua città non sfugge alla tentazione dei "laudatores temporis acti", pur essendo ben informato e ricco di notizie (De Lugnani, 1843, 189). 3 Cfr. Radole, 1997, 127 e, sempre su S. Antonio, Radole, 1967, 19. 522 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Pur essendo una confraternita nata nel dinamismo devozionale d'un convento e da un oratorio pubblico tenuto da clero regolare, l'associazione manifestava esplicita-mente il nesso doveroso con la parrocchia ("funzioni parrocchiali", si e nel 1874), ai cui confratelli si prescriveva di far riferimento nelle pratiche ordinarie di precetto e di devozione del buon cristiano. Ció e tanto piu sintomatico se si pensa che la chiesa o oratorio pubblico, senza giurisdizione parrocchiale, per forza di cose poteva naturalmente sorgere come antagonista al Duomo, concattedrale e parrocchia ch'era il punto di riferimento religioso piu prestigioso e di maggiore attrattiva sacrale della cittadina capodistriana.In quest'ultima citta si salvarono (1811) solo due confraternite, quella del Ss. Sacramento e quella del Suffragio per i morti. I monasteri femminili, sempre attivi nell'ambito dell'educazione delle fanciulle, quasi scomparvero. Dei monasteri maschili se ne poterono salvare una meta: soppressi furono i Domenicani, i Fran-cescani, i Conventuali e i Gregoriti. Rimasero comunque le altre fondazioni religiose dei francescani: i Minori Osservanti e i Cappuccini, perché ordini mendicanti, e gli Scolopi con il loro Collegio dei Nobili, perché svolgevano un ruolo sociale culturale, quello dell'istruzione della gioventu. In questa scuola elitaria, ma non esclusiva dei nobili, incominció ad apprendere i primi rudimenti dell'educazione umanistica e scientifica Giuseppe De Lugnani. E opportuno analizzare brevemente una confraternita, quella di S. Antonio, risorta spontaneamente a Capodistria dopo le occupazioni francesi e l'affermarsi della Restaurazione ormai sotto il vigilante regime asburgico, ove tuttavia, il tradizionale cattolicesimo tridentino trovava il suo spazio adeguato in termini di continuita con la tradizione cattolica veneta. Essa diventava nel fervore religioso della temperie postrivoluzionaria una emanazione diretta del convento francescano di S. Anna, dei Minori Osservanti, i quali non tenevano una parrocchia, ma erano dediti a una pastorale della predicazione, in particolare delle missioni al popolo, delle confessioni, e delle devozioni specifiche di quell'ordine, popolari per lunga tradizione (Madonna, Passione di Cristo, S. Antonio). Lo Statuto della Pia Unione in onore di Sant'Antonio di Padova diventa uno spaccato del sentire religioso ottocentesco cosí come veniva vissuto dal popolo minuto capodistriano, e non solo di quello. Lo scopo della pia unione era quello supremo della "maggior gloria di Dio", ma insieme di tener attiva una particolare devozione a S. Antonio specialmente nei giorni della sua festa, 13 giugno e il 15 febbraio, in cui si ricordava la memoria della sua traslazione, quando la sua lingua - che tanto aveva proclamato la parola di Dio - fu trovata incorrotta. I mezzi non erano rappresentati solo dalla "luminaria" (quota d'iscrizione annuale), ma da un complesso insieme di compiuto programma cristiano di carattere controriformista e popolareggiante per gli associati, i quali dovevano: Pur anco nell'astenersi dalle colpe osservando esattamente i divini comanda-menti, e i precetti di S. Chiesa, frequentando i SS. Sacramenti, e cid specialmente al 523 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 tempo di Pasqua, e nelle due feste del Santo, assistendo con singolare diligenza e pieta alle funzioni parrocchiali, e procurando di piacere al Santo coll'adempimento esatto de' doveri delproprio stato.4 I soci godevano dei benefici spirituali delle altre confraternite, se al loro decesso venivano suffragati con messe dell'associazione; nelle processioni piu solenni del Corpus Domini, di S. Nazario e ovviamente di S. Antonio - non occorre dire che intervenivano in massa - la loro presenza era segnalata da un gonfalone, nel cui lato campeggiava una effigie del Santo. A ogni confratello era fatto obbligo di recitare quotidianamente il Si quaeris miracula e un Pater, un'Ave e un Gloria; preghiere che risultavano efficacissime (per non dire infallibili nella credenza popolare) per ritrovare oggetti perduti, come pure si potevano in alternativa recitare tredici Gloria Patri per ottenere il medesimo risultato. Questo pio esercizio largamente praticato dal popolo poteva assumere l'aspetto di un magismo cabalistico, perché si poteva connettere o far dipendere l'intervento soprannaturale dal numero tredici, oppure poteva assumere l'aspetto di un maleficio o d'uno strigo desacralizzante quando, accendendo una candela al Santo per eccellenza, si univa il gesto a un funesto augurio: quel tale possa consumarsi giorno dopo giorno lentamente come questa candela. II trionfo antoniano si celebrava il tredici giugno, festa del Santo (preceduto da una Tredicina preparatoria nel convento di S. Anna), con la variopinta processione che coinvolgeva non solo i suoi devoti, ma tutte le altre confraternite e la citta intera. Per l'occasione le altre scuole arrivavano con le loro statue e i loro gonfaloni per onorare il Santo, ed erano S. Cristoforo, S. Francesco, S. Pietro che precedevano la statua di S. Antonio portata da quattro robusti "paolani", circondata da una selva di candidi gigli dall'intenso profumo inebriante. Il popolo portava le primizie della terra, come le pesche, o grappoli di uva agostana per invocare la protezione celeste sui raccolti dei campi esposti alle imprevedibili tempeste e temporali estivi. Da questo quadro di aggregazioni religiose, dovuto alle confraternite, non si puo dire certo che esse fossero l'elemento determinante nel coagulare attorno all'intensita del sacro popolareggiante ogni componente di Capodistria. Le tensioni anche violente esplodevano nei momenti di crisi quando la storia nei suoi eventi del divenire e nel suo passaggio da un'epoca a un'altra le mettevano in evidenza con una crudezza inattesa. Le confraternite, tuttavia, certamente contribuivano a smussare le distinzioni di classe troppo marcate, anche se esse dal loro interno potevano farle accentuare. Sembrano, comunque, godere di una virtualita di ripresa stupefacente, perché nascevano perlopiu dal diffuso sentimento religioso popolare, nonostante le sop- 4 Cfr. Statuto Pia Unione, 1874, 4. Mons. Lorenzo Schiavi all'inizio del secolo pubblica un Panegírico di Sant'Antonio di Padova, letto in piu chiese a Capodistria e a Trieste a Sant'Antonio Vecchio e pubblicato per "Il XII centenario della invenzione del corpo di San Nazario", 19 giugno 1901 (Schiavi, 1901). Tra gli statuti di confraternite studiati cfr. Cigui, 1994. 524 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 pressioni, ben intuito dal clero secolare e regolare e incanalato con avveduta intel-ligenza dalla gerarchia ecclesiastica. Quest'ultima con i suoi interventi moderatori evitava ogni tipo di scivolamento superstizioso e insieme le manteneva entro i limiti della religiosita popolare che fosse in raccordo col credo cattolico, oltre a volgerle verso l'istanza del sociale nella solidarieta prescritta tra i suoi sodali. Accanto alla preghiera ufficiale della chiesa, quella liturgica in particolare, che rappresenta una fonte della teologia, poiché fondata sul dato rivelato, si trova anche a Capodistria un insieme di preghiere d'indole ingenua e ritmate musicalmente nella loro espressione, che trovavano nella libera creativita popolareggiante la propria origine. Sarebbe certamente azzardato considerarle tout court un miscuglio etero-geneo d'incantesimi e d'infiltrazioni magiche penetrate nella tradizione paraliturgica cristiana, o peggio ancora una muraglia eretta dal popolo in antitesi alla preghiera prescritta e ufficiale della chiesa in difesa dei diseredati fatta da loro stessi per un riscatto sociale di protagonismo. Attorno ai sublimi dogmi cristiani teologicamente filtrati nasce quasi dal loro prolungamento spontaneo e dalla "pietas" popolare5 un sentimento del sacro diffusivo che trova nella facolta creativa dell'immaginazione una specie di verosimile periferico della verita cristiana, che si avvale del vissuto religioso diluito nella mentalita sempli-ficatrice di una fede elementare e per tanti aspetti genuina. Quella che gli studiosi chiamano religiosita popolare altro non si puo considerare che la fede vissuta in modo peculiare dal popolo cristiano. Una di queste espressioni piu genuine e rappresentata anche a Capodistria dalle "orazioni", o preghiere che accanto a quelle classiche Padre Nostro, Ave Maria il popolo recitava con fedelta, disseminandole lungo la giornata fino alla sera prima di coricarsi, segnandosi col segno della croce con l'acqua benedetta dell'acquasantiera. Al mattino la giornata iniziava con una orazione rivolta al sacro, in particolare all'angelo custode e alla Madonna. La giornata con le sue opere viene offerta a Dio, a cui si chiede tramite l'angelo custode e la Madonna la liberazione dal peccato, male supremo della vita cristiana. Ecco un esempio di preghiera nel suo candore e sincerita: "Angiolo di Dio/ no me bandonare / agio che no casco / in pecato mortale. / Vergine gloriosa, / Madre amorosa, / libereme del pecato/ ogi e sempre. Amen" (Radole, 1967, 14; 1991, 92-93). Nella vita grama e stentata sotto il profilo economico della popolazione capo-distriana e dei dintorni della cittadina non solo si recepiva l'incertezza della vita alla 5 Sulla vasta letteratura inerente alla religiosita popolare mi limito a segnalare il numero monográfico di "Rivista Liturgica" 2, 1976 dedicato a devozione e liturgia; la Tavola Rotonda (25-26 ottobre 1976 uscita in "Ricerche di storia sociale e religiosa" 11, 1977, di cui va raccolta la conclusione di Gabriele De Rosa. Si vedano pure Tillard, 1976; Plongeron, 1976 (fondamentale); Religiosita popolare, 1979; Bo, 1979; Delumeau, Bolgiani, 1985; Stella, 1985, Zovatto, Radole, 1991; Radole, 1997, bibl. 179182; Cossar, 1934, Caprin, 19682 525 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 ricerca del pane quotidiano, ma anche s'incontravano le malattie e i disagi connessi con un tenore di vita appena sufficiente alla sopravvivenza. Il ricorso ai santi soprat-tutto, a quelli di più larga diffusione assicurati dai Francescani Minori di S. Anna e dai Cappuccini di S. Marta convogliava la devozione popolare verso S. Antonio di Padova, efficacissimo presso il trono di Dio nell'ottenere le grazie ai poveracci o ai poverini del popolo bisognosi proprio di tutto a cominciare dalle necessità vitali. E non mancavano i casi estremi della "disperazione" con cui ci si rivolgeva a S. Antonio, santo straordinariamente taumaturgico: "Sant'Antonio mio benigno, / de pregarve non son digno, / prego 'l vostro Protetor, / Gesù Cristo Salvator, / prego Dio che me l'à dà, / o Signor, son disperà" (Radole, 1967, 19).6 Altre orazioni, che assumono l'aspetto della filastrocca musicale, non pongono solo il bisogno unito alla grazia implorata in termini molto concreti, ma si abban-donano a una fantasia creatrice quasi fiabesca, sospesa tra il folclorico e il religioso. Eccone il sunto: Maria Maddalena ricca e trasgressiva soggiornava in un ricco castello quando vide passare Gesù per strada; dalla vergogna si ritira nelle sue stanze, ma poi non resiste al fascino di Cristo e l'invita a pranzo. Durante quel banchetto avviene la conversione che assume anche un rilievo teologico piuttosto sottile, perché la religiosità popolare sa distinguere nel peccato di quella meretrice la colpa e la pena. Maddalena "la vede el bon Gesù che in tavola el pranzava. / Soto la tola la se inzenociava, / i piedi al bon Gesù la ghe lavava, / co' l'onto pressioso la li onzeva, / (no ghe iera nè manto nè tovaia), / e co' le sue bionde dresse la li sugava. / - Alsite suso, Maria Maddalena, / che te perdono de colpa e de pena.- / Colpa de pena e colpa de pecato/ nostro Signor sia sempre ringrassiato" (Radole, 1967, 21-22). In linea con una spiritualità che portava evidenti gli influssi francescani in una cittadina come Capodistria, anche S. Francesco d'Assisi ha la sua parte unitamente a Gesù Cristo, alla Madonna, ma soprattutto il fondatore dei Francescani viene invocato quale protettore delle barche dei pescatori - il ceto più diseredato - che in mare possono rischiare la vita quando sono sorpresi dagli improvvisi temporali estivi. "Queste anime divote / per un Santo cosí pio/ pregheremo el Signor Idio, / che ne daghi un santo viagio, / che ne daghi un buon sufragio. / ... O Maria, nostra avocata, / indove xe quel bel Bambin, / per salvar el mondo meschin. / Dute le barche che se trova in mare, / san Francesco le possa compagnare, / in grassia sua. Amen" (Radole, 1967, 20-21). Anche la croce come evento del Venerdí Santo, giorno in cui si facevano memorabili proces-sioni a Capodistria e in tutta l'Istria secondo una tradizione di costume religioso veneto s'inserisce con una sua collocazione particolare nella religiosità popolare. Emerge anche la croce come emblema di una vita irta di sofferenze che trovava in un "pathos" religioso popolare la forza di sopportarle e la speranza del riscatto trascendente. I testi raccolti sempre a Capodistria passano dalla tenerezza mistica veneta fino 6 Si veda pure Radole 1991, 97 ove per l'educazione religiosa s'invoca il Santo: "che S. Antonio me compagni / el strigolo el le strighe / che 'l diavolo se li magni". 526 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 alle zone della teología con filastrocche in rima ben modulate: "Croce dolce, Croce amara.../ o Gesu, el mio bon conforto, / o Gesu, per me sei morto". Anche di fronte al cuore dell'evento redentivo, nel Venerdi Santo, l'inventiva popolare escogita un rito "infallibile" ripetuto per trentatré volte, per ottenere la grazia dalla preghiera fatta ai piedi della croce, soprattutto perché pone come protagonista della richiesta l'inno-cenza d'un bambino. E: "Se si ritrovasse qualche fanciullo, / che la dicesse trentatré volte / a la matina del Venerdi Santo, / a zenoci nudi, a tera sacrata, / la grazia del mio Filiol saria data" (Radole, 1967, 17-18).7 Dopo il tramonto l'orazione della sera chiude la giornata con la preghiera all'Angelo custode dal punto preciso da dove si era iniziata la giornata e la diffusa prece ha un "incipit" molto noto e riscontrabile in altre regioni italiane: "Vado in leto / co' l'angelo perfeto / co' l'angelo de Dio, / con san Bartolomio, co la corte del ziel..." e si enumera veramente l'empireo di dantesca memoria, i santi presenti nelle absidi delle chiese piu famose, San Michele Arcangelo, i dodici apostoli, i quattro evangelisti, ma soprattutto si implorano tre grazie per quando si arrivera in punto di morte: la confessione, la comunione, e l'olio santo. E: "A voi me racomando, / Spirito Santo. / Spirito Santo sia con mi, / e la Beata Vergine e su' mari" (Radole, 1967, 6-7). Queste preghiere dimesse e spontanee documentate a Capodistria, che sotto il profilo delle classi sociali poteva distinguersi in una piccola nobilta e borghesia, in pescatori, in marittimi e in popolani, che si occupavano della coltivazione dei campi, non vanno disattese e considerate come scorie magico superstiziose, né ritenute patrimonio esclusivo di pescatori, marittimi e popolani. Esse sembravano percorrere un vettore trasversale tra le classi della societa dalle piu povere alle piu benestanti con una traiettoria interclassista. Impossibile quindi sostenere una tesi della esorciz-zazione della poverta riservata agli appartenenti alle classi piu umili del popolo, perché tali preghiere erano nella bocca del contadino e del benestante, del borghese, del pescatore e del nobile. Similmente é quasi impossibile negare contenuti genuinamente religiosi, anche se teologicamente espressi con vivacita fantasiosa e popolare, come quando s'invoca "lo Spirito Santo sia con mi, la beata Vergine e su' mari". Sembra, quindi, configurarsi una situazione in cui i valori autenticamente religiosi attraversino i vari ceti sociali, unendoli in una aggregazione che possiede tutta la tensione del trascendente, portandosi dietro piu che magismo o stregoneria un diffuso sentimento devozionale con qualche venatura d'irrazionalita. Da tutte le classi si condivideva un'idea comune, coltivata dalla peste, dal colera, dalle crisi di miseria ricorrenti,8 convinzione diffusa data dalla categoria della fra- 7 Sul Venerdi Santo e la processione cfr. Radole, 1991, 165-167. 8 Cenni sulla peste a Capodistria si trovano in Pusterla, 1886, 3-4. Sotto forma letteraria ne parla Schiavi, 1887. Da questa pubblica calamita nacque il santuario di Semedella nel 1640. Naldini riporta che la citta nel 1630 aveva 5000 abitanti, per la peste nel 1631 era ridotta a 1500 (Naldini, 1700, 527 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÄ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 gilita umana. Questa condizione umana di precarieta nell'ambito di una civilta agricola, pur in una cittadina con una sua espressione intellettuale, che si svolgeva nel ritmo dell'alternarsi delle stagioni, rappresentava piuttosto una cultura nel senso antropologico moderno, perché offriva con un riferimento religioso adatto, un com-plesso di situazioni umane ineludibili che trovavano un incanalamento e una soluzione nel devozionale. Questo ruolo del significativo religioso sia pur dimesso addolciva i contraccolpi di una esistenza sottoposta a mille prove e offriva una soluzione di superamento morale o di accettazione dinamica. Al di la di queste preghiere che sotto una cornice folclorica conservano ancora un nucleo d'intatta religiosita popolare con rintracciabili frammenti dei dogmi cattolici, si possono trovare le configurazioni di donne istriane guaritrici, con un ruolo di sciamano, perché potevano guarire non solo dalle malattie organiche o funzionali, ma soprattutto dagli "strighi" (Del Bello, 1886-1887, 66-70; Ginsburg, 1989, 138-139; Cossar, 1934, 53-56; Ginsburg, 1979). Proprio coloro che avevano subito un invasamento ed erano stati fatti oggetto di un'operazione perversa da parte di una strega, espressione del male misterioso e gratuito diffuso nelle credenze popolari, e non solo in quelle, non avevano altro ri-medio che di rivolgersi ai "Krsniki" o "Kersniki", parola croata che significa "caval-cante". Costoro erano nati con la camicia (con la placenta materna) e "con un beretin soto 'lscaio" (cioe sotto l'ascella) e con la coda (sporgenza cutanea al coccige) (Radole, 1997, 131-136).9 Di costoro parla diffusamente R. M. Cossar nelle Tradi-zioni di Montona e lo studioso (nonché musicologo) del folclore istriano, Giuseppe Radole, ricorda che ancora negli anni Trenta, suo padre faceva gli auguri a un Krsnik per la notte vicina di S. Giovanni che si preannunciava piena di combattimento con le streghe e altri perversi folletti. "Corajo compare - gli disse - stanote ve toca a voi difenderne". E il Krsnik, pienamente compreso della serieta del ruolo, rispondeva: "Go si corajo, ma la sara dura".10 Segno evidente che il Krsnik si sentiva coinvolto da un destino superiore a una esistenza di lotta contro un male radicale, ma non tale da non essere vinto da parte di chi la natura aveva dotato di un destino evidente con i segni che apparivano come stigmate "soprannaturali" fin dalla nascita, placenta, ascella, coda. Anche Baccio Ziliotto nel suo scintillante volume Capodistria (1910) dipinge 713). 9 Per fuochi come per la notte di San Giovanni nella vigilia dei SS. Pietro e Paolo cfr. Radole, 1997, 136-137. 10 Giuseppe Radole, ragazzo, rimase vivamente impressionato dall'attivita notturna dei Krsniki contro gli spiriti perversi alla ricerca delle loro vittime, soprattutto nella notte di S. Giovanni nelle "crosere", cioe negli incroci delle strade (Radole, 1997, 134, n. 110). Anche il poeta russo Alessandro Blok, scrive una poesia sulla Notte di S. Giovanni, ove perö lo strigo subisce una metamorfosi per la malia dell'amata, cfr. Blok, 2000, 119-120; Zovatto, 2000. 528 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 pittorescamente questo frammento dei tempi passati con una specie di caccia alla strega nella piazza principale della cittadina, ma senza approfondire il problema: Corre un frémito fra gli astanti; non il narratore l'ha suscitato, ma quella strega là, che fra due secondini attraversa la piazza ed è tratta alla berlina. Tutti si riversano nel vicino brolo, per vederla legare, vestita e coronata per dileggio, alla colonna della giustizia: la maledetta, "l'invocatrice de diavuli" ha finalmente cessato di far suoi malefici con erbe e con incantesimi (Ziliotto, 1910, 34-35). Ancora attualmente si trovano in Istria delle donne sopravvissute allo scomparire della civiltà rurale che vivono entro un'atmosfera mistico-magica, come la signora Rosina di S. Valentino (Del Bello, 1986-1987, 66-67 e passim) (presso Portole) nella parte croata della penisola istriana, che indisturbata esercita il suo ruolo di guaritrice e di soccorritrice delle sventure altrui, soprattutto verso quelle persone cadute vittime di qualche "strigo". Il suo rituale sembra quello di una persona sacra con poteri superiori, perché è una guaritrice dal "sangue forte", è nata sotto "un pianeta" che le dà potere, ma questa prerogativa diventa un logorio psicologico e un assillo di carattere morale, perché gli strighi "no i me dà pase... no rivo gnanca tiràr el fià". Il suo rituale quando si presenta qualche persona invasata da qualche strigo è quello di saper ascoltare, di pronunciare parole di conforto, soprattutto di mimare le benedizioni del rituale sacramentale - o del Benedizionale - del sacerdote e imitarlo con segni di croce e con benedizioni, magari pronunciando parole incomprensibili, che possono far pensare al "latinorum" dei sacerdoti rurali dell'Istria dei secoli passati. Queste guaritrici, una via di mezzo tra un Cristo mistico e un Cristo magico, certo più magico che mistico, venivano rese popolari e alla portata di tutti presso il popolo che a quelle guaritrici o ai Krsniki si rivolgeva nelle molteplici ambasce esistenziali. L'atteggiamento di Rosina è semplice e lineare, non ha nessuna aria mistificatoria, ella sembra deputata a svolgere un ruolo di antagonismo alle imperiose forze del male. Poiché la sua arte si svolge sempre nei riguardi del singolo, la sua presenza assume il ruolo dell'equilibrio individuale, anche se puo esprimere un bisogno collettivo. La funzione di Rosina è quella di combattere il male, di inclinare le forze perverse dello "strigo", e il suo mimare con la liturgia dimessa popolare mostra abbastanza vistosamente che ella va annoverata tra le forze fortunate del bene contro il male, del buono efficace contro la potenza occulta del cattivo.11 Non si vuole in questa sede risuscitare distinzioni medioevali catare della lotta tra 11 Secondo le interpretazioni del De Martino la Rosina esplicherebbe una funzione simile a quella dello "stregone" che è colui che ha la capacita di regolare la labilità altrui, ne "l'agone delle fatture e delle controfatture" (De Martino, 1973, 196). 529 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 il principio del bene e il principio del male, sul destino ineluttabile dei mortali, ma la Rosina tra i due poli di ruolo positivo e ruolo negativo, è certamente legata alla prima categoria di bene. In nessun modo puo essere avvicinata allo stregone, o a uno spirito malefico. Forse nell'Istria settecentesca e ottocentesca ove i piccoli centri non ave-vano certo assistenza medica capillare, la Rosina o i Krsniki potevano svolgere un ruolo che si configurava tra il medico e l'assistente sociale, funzioni che non raramente venivano esercitate dallo stesso parroco, che rappresentava certo l'autorità religiosa, mediatrice del sacro tra il popolo e Dio, ma anche il punto di riferimento culturale e civile. I Krsniki, quindi, non sembrano ergersi in antagonismo ai preti dei paesi e villaggi istriani, anzi il parroco rurale di campagna con quelle poche fondamentali nozioni teologiche apprese da un Seminario non sempre all'altezza dello scopo, nato dal popolo, condivideva il diffuso clima di magismo imperante nelle plaghe istriane. Uomo del popolo in tutto partecipava della sorte misera di esso e verso i Krsniki aveva un atteggiamento di comprensione come quello mostrato da Giuseppe Radole, padre del noto Giuseppe, musicologo e studioso dell'Istria religioso-folclorica. I Krsniki quindi affiancavano il sacerdote della campagna istriana nella sua presenza benefica, sia nella versione maschile sia in quella femminile, superdotati com'erano dalla natura usavano un cerimoniale simile a quello dei sacramentali, ac-compagnato da segni sacri e magari da parole incomprensibili che si avvicinavano al latino del prete rurale in una mimesi volgarizzata. Le donne che svolgevano un ruolo sanitario-filantropico venivano chiamate "bogovizze", cioè donne di Dio, e adem-pivano a una funzione semi sacerdotale a livello popolare e a favore dei poveri. Capace di strighi, e di sventure meteorologiche o di altre cose, sempre comunque nocive alla comunità, dal popolo di Capodistria veniva considerata la madre di S. Pietro. Per la notte che precedeva la festa dei santi Pietro e Paolo (28 giugno) si accendevano grandi fuochi nelle tenebre che sotto il cielo si stagliavano come vive fiamme d'un raro fulgore sotto le stelle. In quella notte si raccontava la sorte eterna della "mare de S. Piero" che per la sua spilorceria mai aveva dato un pezzo di pane a un poverello e che conseguentemente dopo la morte precipito giù nell'inferno. In paradiso ci si angustio per la sorte della genitrice del portinaio del cielo con le chiavi in mano, e riesaminando con diligenza il caso nel gran libro della vita si trovo in una noticina che essa aveva una volta dato in carità "una foieta de zivola". Detto fatto si escogito un modo per tirarla su in paradiso con una fragile corda composta de "foiete de zivola. Mentre con cautela veniva elevata temendo la fragile tenuta della fune, due anime dell'inferno vi si attaccarono, ma essa comincio a scuotere la fune per ricacciarle giù nell'abisso di Satana. Tutto finí in tragedia perché - rotta la corda - anche lei precipito di nuovo con quelle nella dimora del diavolo (Radole, 1997, 136-137). Ma non finisce qui la sua funesta influenza. Dall'inferno si prende licenza di 530 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 uscire una volta l'anno: a fine giugno e in luglio per sfogare con le sue rabbie (e cat-tiverie di cui è tristemente nota): piogge diluviali e calori sahariani. Nel popolo si erano formati anche due proverbi pittorici intorno a una madre che tanti danni mete-orologici provocava per la festa del figlio (Radole, 1991, 190): La mare de san Piero ga 'l cuor duro come 'l fero: o che piovi o che saeta per sta mare maledeta. Se piovi per san Piero piovi col caldiero o che 'l vento te spaventa o che 'lte brusa anca la spelta (biada). Questo unire gli acquazzoni estivi accompagnati da saette e fulmini alla madre di un santo di diffusa devozione come S. Pietro, sembra indicare la familiarità con la cultura religiosa del popolo, che era entrata fin nelle vicende della sua esistenza in maniera vitale. Il motivo era evidente: se succedeva un acquazzone estivo con tempesta e forte vento, poteva rovinare il raccolto e provocare crisi economiche cui ciclicamente l'Istria andava soggetta. La sventura in questo caso non veniva connessa ai peccati dei paesani, come normalmente facevano i predicatori dai pulpiti nelle messe solenni domenicali, ma alla "mare de S. Piero" che assumeva un ruolo molto vicino a quello di uno "strigo" e in questo caso non si poteva trovare un Krsnik capace di parare il colpo infernale ai malcapitati contadini, che mettevano a repentaglio un magro raccolto strappato a una terra avara. L'autorità religiosa si mostrava tollerante nei riguardi di queste persone, perché non vedeva in esse gli estremi di una deplorabile superstizione e neppure posizioni ideologicamente eterodosse. Del resto i buoni parroci istriani le comprendevano, poiché ne capivano il ruolo sociale rivestito di addobbi parareligiosi, in consi-derazione del fatto che la stragrande maggioranza di queste donne si mostravano ferventi cristiane, frequentavano la messa domenicale, si accostavano ai sacramenti ed erano anche donne piene di fede. Alla medesima autorità non sfuggiva una distinzione fondamentale tra i Krsniki e le streghe: quelli erano uomini o donne del popolo che agivano a favore del popolo, queste rappresentavano, invece, l'oggetto d'indagine sospettoso dell'alto clero, almeno fino a metà del XVII secolo anche in Istria (Bertosa, 1987, 40 e passim). 531 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Foto 1: Stemma del vescovo Bonifacio da Ponte (1789, facciata del palazzo vescovile, nel mezzo in alto). Sl. 1: Grb škofa Bonifacija da Ponte (1789, fasada škofijske palače, zgoraj na sredini). E poi bisogna rilevare che l'attenzione verso le streghe e i loro sortilegi e gli asseriti loro commerci carnali notturni col diavolo andava via via diminuendo in Istria da parte dell'Inquisizione e dell'autorità religiosa dall'ultimo Seicento in poi. Del resto il sinodo dell'ultimo vescovo di Capodistria, Bonifacio da Ponte, tenuto nel 1779 nel Duomo, e uscito a stampa l'anno seguente a Venezia, non tocca espli-citamente né l'argomento dei Krsniki, né delle streghe. Sembra, invece, puntare verso un argomento attiguo a quest'ultime, e cioè gli indemoniati. Ma proprio sull'identità di costoro bisogna porre la massima diligenza di investigazione, perché presunti invasati possono essere degli individui"melanconici" (forse oggi si direbbe depressi) o "ignoranti" (rudes) o affetti da malattie nervose che li tormentano di notte e di giorno di cui s'ignora la causa. Tutti costoro - asserisce il Sinodo - pensano in cuor loro d'essere tormentati da uno spirito demoniaco, e cio è molto frequente nel sesso debole. Inoltre si trovano altri soggetti, autentici impostori, che si arrogano particolari virtualità demoniache, o poteri parasoprannaturali oscuri ("arte maligna se fingunt") per essere ammirati e commiserati e cosí "largiores emungant elemosynas". I sacer-doti esorcisti, che devono essere muniti di una particolare approvazione episcopale, 532 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 non credano di trovare "infestazioni demoniache" ovunque, a loro spetta di saper discernere tra ció che e malattia specifica della natura umana e ció che e di natura demoniaca. Questa "veritas rei" di non facile enucleazione, puó essere raggiungibile consultando le persone colte, fornite di scienza specifica, e soprattutto i medici (Synodus, 1780, CIX). Il vescovo Bonifacio da Ponte, che amministrera la diocesi di Capodistria fino al 1810 (Fumis, 1992, 29-37; Luglio, 2000, 226-245), apparteneva all'ordine benedet-tino (della Congregazione Camaldolese), si presenta quindi come una personalita colta e fornita di un sapere teologicamente ben fondato sulla Sacra Scrittura e sulla patrologia. Nel tenere una posizione cosí illuminata sul problema degli indemoniati o su coloro che si ritenevano detentori di poteri ipernaturali, fenomeno rimandabile a una potenza demoniaca, preferiva attenersi a una regola di equilibrio razionale. Buona parte di quelle situazioni, cosiddette demoniache, cui ricorreva facilmente la fantasia del popolo, non si poteva spiegare altrimenti che come affezioni naturali dovute a malattie con una forte componente psicologica e nel contesto di una corporeita fragile e debole. Il da Ponte piu che a una temperie di carattere illuministico - che considerava la religiosita popolare superstizione o fanatismo - doveva il suo atteggiamento accorto e realistico a una soda formazione teologica di carattere positivo piu che speculativo e a una probabile condivisione del criterio gia divulgato trent'anni prima da Ludovico Antonio Muratori nel celebre libro Della regolata devozione dei cristiani (1747).12 Con questo scritto illuminato si difendeva "la sana dottrina" contro ogni "fantasia femminile", che spesso scambiava una percezione fantasiosa per un evento soprannaturale. In linea con tale posizione di misurata razionalita di fronte al sacro, il da Ponte obbligava nel sinodo del 1779 a informare la curia ogniqualvolta si gridasse dal popolo al miracolo, o qualcosa che somigliasse al miracolo ("miraculi speciem habens"). E soprattutto diffidava di spacciare per miracoloso ció che era stato ot-tenuto dal contatto con reliquie, di santi o da benedizioni, senza prima aver sottoposto la questione alla curia, perché in nessun modo puó giovare "l'impostura" alla purezza della religione, cioe alla "Religio Orthodoxa" (Synodus, 1780, XXII). Non ci e dato di sapere quali fossero i testi usati dal Seminario di Capodistria, ma e ipotizzabile che con tutta probabilita dovevano essere molto vicini a quelli consigliati dal sinodo di Cittanova del 1780 (cfr. L'Istria, n. 48-49, 1846, pp. 200201), celebrato un anno dopo quello di Capodistria. Il vescovo emoniense, Giovanni Stratico, consiglia al suo clero una serie di testi per assicurare una pastorale teologicamente ben fondata. Oltre al Catechismo romano, emanato dal Concilio di 12 Muratori, 1990, 195-219 sulla devozione alla Madonna, ai santi a alle reliquie dei santi; a p. 207 il buon popolo "trascurando di cercare ed adorare il padrone, corre a venerare i suoi servi"; oppure si mettono piu candele ai santi che al SS. Sacramento; o sopra il tabernacolo si pone il santo protettore della chiesa con una evidente inversione gerarchica. 533 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Trento, si suggeriva dal sinodo, il Dizionario dell'Ardelli; per la teología morale il Cuniliati, ma soprattutto l'Antoine, gesuita, il noto moralista di successo che con la sua Theologia moralis universa (1726) rivista dal Carbognano, divenne il testo adottato da molti seminari in Italia. S. Alfonso nell'Homo Apostolicus lo considera di "sentenze molto rigide" e tale che nessun confessore l'avrebbe potuto prendere per sua guida nel "tribunale della penitenza", perché giansenizzante. Anche le Avvertenze ai confessori di S. Carlo Borromeo venivano indicate quale guida sicura per ricondurre la disciplina penitenziale ai suoi perenni principi della tradizionale saggezza ecclesiastica. Cosí pure si prescriveva l'opera morale del vescovo Nicola Terzago, Istruzione pratica sopra la fedele amministrazione del sacramento della Penitenza (1753), affinché i parroci potessero usufruire di sicuri strumenti ortodossi nel ministero del confessionale. Infine, per risvegliare il desiderio dell'aggiornamento permanente del clero, si considera grave responsabilité morale non essere illuminati in teologia morale per il delicato compito del confessionale. "Il confessore - afferma il Sinodo - che omette di leggere libri di morale non va esente da peccato mortale, perché si espone al pericolo che la memoria lo tradisca, o che ignori le recenti leggi". Questo atteggiamento nei riguardi dell'ignoranza del clero in discipline teologiche e morali sarà ripreso negli anni Trenta del secolo seguente da Antonio Rosmini, sia nelle Conferenze sui doveri ecclesiastici, sia nelle Cinque piaghe della Santa Chiesa13 (1848), ove si afferma che l'ignoranza del sacerdote lo fa vivere in stato permanente di colpa moralmente grave e che la causa va ricercata nella sua radice, cioè nella "insufficiente educazione del clero" (seconda piaga), impartita dai Seminari diocesani. Nell'Ottocento in Istria con il regime asburgico si assiste al fenomeno della alfabetizzazione generalizzata, ma terminata la scuola popolare d'obbligo, la gran parte dei giovani non proseguiva gli studi ginnasiali superiori. Solo nobili, borghesi e seminaristi vi potevano accedere. Con la diminuzione dell'analfabetismo andavano restringendosi le sacche di ignoranza popolare a tutto vantaggio di un minimo di base di cultura, ma la situazione sotto il profilo religioso non mutava in maniera sensibile. L'interruzione della scuola elementare creava quasi immediatamente una situ-azione di analfabetismo di ritorno, dando origine a un fenomeno complesso, in cui la cultura orale rurale dei popolani continuava il suo corso con le sue costanti portate all'ingenuismo devozionale e a una fede tradizionale semplice, sempre diretta, co-munque, dal capo religioso indiscusso che restava la figura emblematica del parroco, sia nelle campagne istriane sia a Capodistria. La severità con cui il Sinodo del da Ponte si scaglia contro i proclamatori di eventi miracolosi a buon mercato, mostra che questa credenza diffusa non era solo un deplorevole costume del popolo, ma anche, almeno in parte, dei sacerdoti. Spia 13 "L'ignoranza volontaria in un sacerdote è un continuo peccato" (Rosmini, 1941, 386); "L'insufficiente educazione del clero" (Rosmini, 1981, 37-63). 534 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 significativa che la cultura intrisa di magismo cosí caratteristica della civilta rurale istriana e capodistriana, rappresentava un'atmosfera comune entro la quale viveva sia il clero sia il popolo, da cui la curia vescovile doveva stare egualmente in guardia. Segno evidente che il vescovo Bonifacio, cosí mite e mansueto, era nel medesimo tempo ancora rigorosamente guardingo nei riguardi del miracolismo popolareggiante, di cui si trovavano tracce striscianti anche nel clero. A questi era fatto obbligo di segnalare alla curia per un giudizio ponderato ogni insorgenza popolare con pretesa miracolistica. Questo stesso atteggiamento costituiva nel corso del Settecento anche uno dei cavalli di battaglia del giansenismo, che lamentava una inflazione troppo ele-vata del taumaturgico tra il popolo credulone. E per ovviare a queste esagerazioni si faceva continuo riferimento da parte del giansenismo, alle origini cristiane, elevate a paradigma di ortodossia, alla "veneranda antichita", quale garanzia di una "sana dot-trina". Lo stesso atteggiamento si ha nel Sinodo del Bonifacio, ove esplicitamente per affermare il carattere del sacramento del matrimonio si parla di una "antiquitas generis", per contrapporlo al solo contratto civile introdotto subito dopo dalla Ri-voluzione francese. Fra tutte le posizioni espresse di vigilare nei riguardi del facile taumaturgico, fu particolarmente deciso il Muratori, dichiarato avversario dei falsi miracoli che in-quinano la storia cristiana tanto da auspicare - nel De ingeniorum moderatione14 -(libr, I, cap. XVII) e nella Regolata devozione dei cristiani una depurazione del meraviglioso miracolistico da espungere anche dal breviario, di togliere dalla "Via Crucis" l'episodio della Veronica non riscontrabile nei Vangeli, di non prestar fede al miracolo di S. Vincenzo Ferrer emanante fuoco dalla testa durante la predicazione; in tale modo veniva rappresentato nelle pale d'altare. Tanta diffidenza nei riguardi del soprannaturale taumaturgico non nasceva tanto da una metodologia positivistica, ma da una precisa finalita pastorale, perché in pieno Settecento illuminato non si voleva offrire materiale di polemica agli "eretici" e soprattutto agli "increduli" che vedevano troppo fanatismo nella religione che non si atteneva piu ai canoni del razionale. E il Muratori difendeva la posizione della "regolata devozione", cioe osservante i fonda-menti teologici, per togliere gli argomenti dalle mani degli illuministi ormai agnostici. E sempre nel Sinodo del vescovo da Ponte parlando di devozione sotto il profilo pastorale da impartire al popolo si raccomanda ai parroci di mantenere le proporzioni nel quadro di una doverosa e necessaria gerarchia nel divino: dapprima l'adorazione va a Cristo "solus noster Redemptor", poi alla Madonna "Mater Dei" (iperdulia) e poi 14 Ove si raccomanda un "credere prudente" e che l'oggetto della fede sia il dato rivelato (Muratori, 1778, 60-69); Muratori se la prende pure con i predicatori: "Quel predicare continuamente soccorsi di borsa per suffragio delle anime purganti e quell'esporre immagini tetre di quelle stesse nel fuoco, ed altre simili per muovere la fantasia dei pii fedeli e cavar loro denari di tasca" (Muratori, 1990, XXVI, 213). Anche Bonifacio da Ponte su questo punto e molto fermo e afferma: "Nec ponendae figurae animarum Purgatorii". Anche se nell'immaginario collettivo l'inferno e popolato di mostri spaventosi, il demonio dei teologi - e stato osservato - e ben piu terribile di quello fantastico del popolo. 535 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 ai santi (dulia), tra cui un posto ragguardevole merita S. Nazario, santo protettore della diocesi capodistriana (Pusterla, 1888; Ricciotti Giollo, 1969). E questo rilievo, di cui si sentiva l'urgenza, rappresentava certo una precisazione di ordine teologico, ma molto di piu voleva raggiungere una finalita di ordine pratico-pastorale. Troppe volte nella intensa devozione del popolo si verificavano delle sovrap-posizioni, perché il santo protettore S. Nazario, S. Antonio, prendevano il posto della madre di Dio, e la mariologia si sovrapponeva alla cristologia, invertendo i capisaldi teologici della rivelazione cristiana. Questo porre il periferico al posto del nucleo centrale del mistero cristiano era tanto piu pericoloso perché costituiva una situazione diffusa non solo nella popolazione ruraleggiante della diocesi, ma anche tra i cittadini di Capodistria, o nei centri piu significativi del territorio, come Pirano e Isola. E anche il clero campagnolo con quelle scarse ed elementari nozioni di teologia rice-vute in Seminario - istituzione che viveva in continuazione con i miseri cespiti eco-nomici e quindi incapace di mantenere un corpo docente - verso una tendenza de-vozionale cosí intensamente vissuta dal popolo, null'altro poteva fare che accettare passivamente la situazione nel suo "de facto", divenuta ormai tradizione consolidata, oppure anche approvarla e condividerla, perché anch'esso proveniva da quella stessa radice sacrale popolare, molto spesso intrisa di magismo. Non dovrebbero quindi destare stupore le prescrizioni del Sinodo del da Ponte che suppongono una situazione del devozionale popolare collocabile tra venerazione e superstizione, in una contaminazione tra dulia posta al vertice e una adorazione dovuta a Cristo non teoricamente declassata, ma solo nel "de facto". Questa religiosita popolare capodistriana emergente dal Sinodo ben individuata nelle sue smagliature non mancava, poi, di porre attenzione anche alle immagini sacre, che potevano essere "profane", "indecenti" e persino apparire "disoneste"; tutte queste dovevano essere tolte dagli altari e dalle pareti delle chiese per essere distrutte. E da rilevare anche che quelle "ineleganti" (Synodus, 1780, XXIII)15 raffigurazioni sacre, cioe i quadri o le pale d'altare non corrispondenti ai canoni estetici della migliore tradizione pittorica sacra, dovevano essere tolte dai luoghi di culto e bruciate, perché di scadente fattura. Comunque il Sinodo prescrive che i parroci dovevano evitare ogni distorsione nella selva del devozionale mantenendo equilibrio mutuato dalla teologia e dal buon gusto. E soprattutto inculcava in maniera molto netta e precisa che la venerazione alle immagini "referatur ad prototypa", perché l'immagine e emblema di trascendenza divina, e che esse nell'espressione figurativa dovessero assumere il profilo del sacro e non del profano: 15 Come il Muratori della Regolata devozione che fondava sul teocentrismo e sulla cristologia la devozione, cosí fa anche il vescovo Bonifacio da Ponte; questi in piu vuole l'immagine esteticamente decorosa, cioe fatta da artisti professionisti e con attitudine interiore al religioso e al sacro. 536 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Foto 2: Busto argenteo di san Nazario, protettore della città (XVIII sec., cattedrale). Sl. 2: Poprsje - relikvarij sv. Nazarija v srebru (18. stoletje, zakladnica stolnice). A Christiana pietate plurimum abhorret, si B. Virginis Matris purissimae, aut Sanctorum imagines, quae modestiam, et sanctitatem spirant, confuse viderentur inter profanas, praesertim procacium mulierum imagines, quae ita immodestae de-pictae sunt, vel caelatae, ut ad libidinem, vel honestis, non mediocri sint incitamento. Dedignantur Sancti tale consortium; et si quid ejusmodi contigeret imagini Jesu Christi Crucifixi, renovata Calvarii repraesentatione, hinc, et hinc latrones, medius autem esset Jesus (Synodus, 1780, XXIV). Il papa Pio VI quando ricevette il Sinodo capodistriano stampato (1780) rispose con una lettera al vescovo Bonifacio da Ponte lodando "la sapienza", "la prudenza", "la pietà" e considerava quell'assise locale d'una diocesi sia pur periferica come "un esempio" ad altri sinodi per l'equilibrio con cui veniva condotto. Proprio per questo il papa confida: "Quam quidem Synodum perlibenter in Bibliothecam Nostram col- 537 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 locavimus".16 Ed essere collocato nella biblioteca personale del papa rappresentava una lode che più grande non si poteva fare per il vescovo Bonifacio da Ponte e per il clero capodistriano. Gia si è considerato il numero elevato di chiesette devozionali sorte lungo i secoli attorno alle confraternite o non appena si sentiva nell'aria l'annuncio minaccioso di qualche epidemia. Già quella del 1630, che duro dal settembre fino all'ottobre dell'anno seguente - quella di manzoniana memoria - aveva falcidiato la popolazione istriana e capodistriana. In particolare la città era stata visitata dal "gangetico morbo" (cioè colera) negli anni 1836, 1837, 1849, 1855 e 1866; e ci si mise poi di buona voglia anche il tifo nel 1806, nel 1817, e il vaiolo nel 1872. La piissima popolazione istriana per essere scampata alla peste eresse nel 1640 un Santuario alla Madonna delle Grazie nel sobborgo di Capodistria, a Semedella,17 a cui non mancava mai di portare ogni anno nella prima domenica dopo Pasqua l'omag-gio cittadino con una solenne processione. La consuetudine era cosí radicata e il fervore cosí sentito che anche l'ultimo vescovo di Capodistria, Bonifacio da Ponte, nel 1810 volle esservi sepolto. Per l'occasione tutta Capodistria accompagno la salma nel Santuario delle Grazie tanto amato e venerato dai fedeli. Come le tante altre chiesette votive, nate dal sentimento spontaneo del popolo, non era regolarmente offi-ciata, ma la domenica e nella festa patronale in particolare, essa attirava folle di devoti capodistriani e delle vicinanze; in quella occasione si faceva una sagra cam-pagnola con merenda sul sagrato della chiesa e nei prati circostanti. E alla devota celebrazione mariana si accompagnava una sana allegria campestre prima di fare il ritorno di diversi chilometri a piedi, spesso sotto un sole cocente. La S. Messa era stata sempre celebrata ogni domenica e ancor più nella prima domenica dopo Pasqua per la Madonna delle Grazie di Semedella, senza che nessun vescovo mai nulla obiettasse, neppure il pur rigido intellettuale Bonifacio da Ponte. Appena sette anni dopo l'unione della diocesi di Capodistria a Trieste, nel 1837, il vescovo Matteo Raunicher, uno sloveno intransigente e leguleio, emanava un decreto con il quale si proibiva la celebrazione della S. Messa nei giorni festivi in tutte le cappelle private, praticamente in quasi tutte le chiese non parrocchiali, o oratori pubblici tenuti da religiosi. Tra queste chiese vi era inclusa anche la chiesa -santuario Madonna delle Grazie, ma sotto il profilo canonico considerata privata, e 16 Questo foglietto volante è inserito nel Synodus ed è un transunto delle molteplici lodi del papa Pio VI al vescovo di Capodistria. Non si è riusciti a rintracciare l'originale nell'archivio della diocesi di Capodistria presso la Biblioteca del Seminario vescovile di Trieste, né presso la curia vescovile di Trieste. 17 La peste del 1830-1831 falcidiO 1927 persone su una popolazione che oscillava intorno alle 5000. Il colera imperversO negli anni 1836, 1837, 1855 e 1866; il tifo nel 1806, nel 1817 e nel 1872 (Pusterla, 1886, 3-5 e passim e le note corrispondenti; 15 e sgg.). P. Kandler, ne "L'Istria" 4, 1846, p. 16 offre uno schema del Movimento della popolazione di Capodistria dal 1630 al 1840 con relative epidemie. Nel 1630 Capodistria contava 5000 abitanti, nel 1831, invece, 3000. Nel 1840 era sui 6800 abitanti. 538 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 proprio il giorno della sagra della Madonna di Semedella, a cui i capodistriani tanto erano affezionati per lunga consuetudine di voto religioso. Il disappunto non era solo della popolazione, ma anche della pubblica autorità comunale che su quella chiesa deteneva lo "jus patronato". La cosa singolare, poi, era che in base al decreto vesco-vile la chiesa di Semedella doveva restare chiusa senza officiatura religiosa, proprio nel giorno della dedicazione. Tutta la "podesteria" si mosse, a cui si aggiunsero due nomi di prestigio, l'avvocato Giorgio De Baseggio e il deputato Francesco De Combi. AI vescovo Matteo Raunicher si invio una lettera ufficiale onde ottenere "per via di grazia" la celebrazione di una festa ormai entrata nel vivo della tradizione civile e religiosa di Capodistria, tanto da esser diventata "sfogo di religiosa pietà": Reverendissimo Ordinariato! 18 Fin dall'anno 1640 ergevasi una Chiesetta campestre nella contrada di Seme-della, e dedicavasi in rendimento di grazie alla Beata Vergine della Salute, per la di cui misericordiosa intercessione la città resto liberata dalla peste. Da allora in poi fino in presente per devozione e per voto si è sempre praticato, ciascun anno, nella Domenica dopo l'ottava di Pasqua di tener aperta detta Cappella alla pia concorrenza dei fedeli, facendovi celebrare vari divini sacrificj. Cid si raccoglie alla pagina 413 dalla stessa accreditata Corografía del Naldini. La disposizione di massima di codesto Reverendissimo Ordinariato, che proibisce legger Messa nelle private Cappelle in giorno festivo, arresta questo sfogo di religiosa pietà alla devota popolazione di Capo d'Istria, ed interrompe l'inveterata consuetudine per ben due secoli di visitare l'Immagine della B. V. della Salute in tale annuale ricorrenza. Trovando confacente di secondare questo religioso sentimento dei proprj Am-ministrati, la Rappresentanza Comunale, come quella, che sostiene lo jus patronato della detta Chiesa nel proprio Comune, supplica il Reverendissimo Ordinariato di voler benignamente accordare per atto di grazia, che in via di special eccezione nell'indicata giornata festiva soltanto possano venir celebrati dei divini sacrificj nella suindicata Chiesa campestre di Semedella. Dalla Podestaria di Capo d'Istria, li 14 aprile1840 PIETRO Dr. DEL BELLO, Podestà GIORGIO DE BASEGGIO fu NICOLO, avvocato, Deputato Dr. FRANCESCO DE COMBI, Deputato 18 Cfr. ACVT. Pusterla riporta questa lettera e anche quella che segue, in maniera poco fedele (Pusterla, 1886, 21-22). Per le origini della devozione al mese mariano a Trieste cfr. Zovatto, 1991, 65-68 (Cenni sulla devozione del Mese Mariano in Trieste). 539 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Il vescovo Matteo Raunicher rispóse a stretto giro di posta, se entro tre giorni il podestà capodistriano ebbe tra le mani un diniego netto e preciso nelle motivazioni giuridiche, perché una legge è una legge e non puo ammettere eccezione alcuna, con una immeritata lezione di arroganza curiale. Sentiamo il tenore del testo per capire lo spirito che lo anima dall'interno e l'incapacità episcopale di dialogare con la propria popolazione diocesana: Alla Spettabile Podestaria di Capo d'Istria, Scorre il quarto anno dacché venne vietata la celebrazione della S. Messa nelle cappelle private ne' giorni festivi - domenicali, e tale divieto ebbe delle ottime conseguenze in più luoghi. Ogni eccezione indebolisce una legge, e tanto più conviene attenersi all'adottato principio, quantocché si scorge un salutare effetto del medesimo, più ancora essendo già inviato da quattro anni a questa parte. Da ció comprenderá cotesta Spettabile Podestaria, che non possasi far luogo al petito d. d. 14 corrente n. 176 affine venisse permessa la celebrazione nella Cappella campestre detta di Semedella nella Domenica dopo l'Ottava di Pasqua. Consta inoltre che il convegno in tale giornata è più una festa baccanale, che una divozione, specialmente al dopo pranzo, in cui l'intera Città si diffonde pelle campagne a merendare e si potrebbe applicare il testo: "Sedit populus manducare et bibere et surrexerunt ludere!" Si vorrebbe adunque santificare un disordine con una solennità religiosa! Se l'antichità avesse a formare legge anche riguardo agli abusi, alle incon-venienze ed alle assurdità, converrebbe abbattere gli altari erigendovi un'ara a Minerva e collocandovi la di lei Egida. Se la popolazione credesi obbligata a tale devozione in forza di un asserto voto, il sottoscritto Vescovo la dispensa da ció in forza delle sue facoltà. Dall'Ordinariato Vescovile di Trieste e Capo d'Istria Trieste, li 17 Aprile 1840 MATTEO, VESCOVO Cancelliere GIUSEPPE D'ANDRI (Cfr. ACVT, a. 1840, n. 805). La lettera assume l'aria di sfida contro "il merendare" innocente per i prati dei capodistriani, perché essi dopo aver partecipato alle devozioni religiose si concede-vano una comprensibile pausa; e non c'è "antichità" di consuetudine che tenga - per il vescovo Matteo Raunicher - dati "gli abusi", "le inconvenienze", "le assurdità". In sif-fatto modo veniva qualificata la religiosità popolare unita a una scampagnata spensi-erata tra il verde dei prati dei popolani di Capodistria. Anzi il vescovo passa al sar- 540 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 casmo quando afferma che se si permettesse di celebrare quella devozione mariana di domenica, si dovrebbe "abbattere gli altari, erigendovi un'ara a Minerva e collocandovi la di lei egida", giocando con riferimenti ambigui con il nome di "Aegida" (scudo), nome dato a Capodistria dai Greci. In altri termini Raunicher intendeva dire che non si possono sostituire gli altari cristiani con orpelli pagani, dando in questo modo un significato anticristiano alla prima denominazione avuta dalla citta dall'antichita greca. Sarebbe troppo facile rilevare il rigore disciplinare arcigno di questo prelato. Il primo vescovo per Capodistria, dopo l'unione della diocesi a Trieste, sembra continuare nella linea di rigore morale del predecessore, Bonifacio da Ponte. Quest'ultimo, tuttavia, da fine intellettuale e da uomo di cultura, teneva nei riguardi della religiosita popolare un atteggiamento piu razionale ed equilibrato, come quando nel sinodo (1779) stigma-tizzava le immagini (Synodus, 1780, XXIII-XXIV) sconvenienti che facevano da arre-damento ai santi o alle sante delle pale d'altare, ma senza passare mai alle vie di fatto con un fare perentorio e sprezzante. Quel "bon ton" signorile e quel "savoir faire" cosí abile e affabile che si riscontra nel da Ponte poteva persino riuscire a calmare nella cattedrale una folla inferocita (quando nel 1797 Venezia cade); egli sa condurre a termine una sedizione impartendo alla plebe una solenne benedizione eucaristica, una volta neutralizzata la situazione di tensione con l'aiuto del podesta. Di tutt'altra tempra risulta essere Matteo Raunicher, che con uno zelo scomposto, sembra piu adatto a provocare che a edificare rapporti di collaborazione tra il vescovo e l'autorita civile locale, nel caso nostro la podesteria capodistriana. All'austero vescovo quasi certamente non andava a genio neppure il gran marchin-gegno messo in moto dalla processione per il patrono San Nazario a Capodistria. Non solo per il gran numero di attrezzature liturgiche dispiegato, ferali, fano, misteri, ma perché le autorita civili e il numeroso popolo che vi partecipava tra canti, rosari, bande e litanie, ritmate da quattro pause in cui si faceva la lettura dei vangeli, dif-ficilmente potevano mantenere un atteggiamento devoto per circa due ore di seguito sotto un sole di giugno che certamente contribuiva a surriscaldare gli animi devoti, sotto ogni profilo, e a rendere incerta la continuita di un contegno adeguato al sacro pellegrinare processionale. In questa situazione generale era abbastanza ovvio che il vescovo si rifiutasse di partecipare alla processione per il patrono di Capodistria. Come se cio non bastasse nel giorno della festa di S. Nazario del 1837 comparve con il segretario e il cocchiere con la sua lussuosa carrozza proprio mentre si snodava il sacro corteo, anzi l'attraverso al trotto rompendo le file, mentre il suo segretario sfoggiava un garofano bianco appeso alla bocca e il cocchiere, alticcio per le buone bevute, con una mano teneva le briglie sciolte e con l'altra faceva grandi segni quasi volesse tracciare volanti benedizioni "episcopali" alla folla orante, che non credeva ai propri occhi di fronte a tanto "sacrilego" spettacolo. L'indignazione fece esplodere l'immediata reazione, alcuni giovanottoni capodistriani rinconsero la carrozza, dopo un buon tratto di inseguimento, la raggiunsero al ponte di S. Nazario mentre si 541 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 dirigeva a gran velocità a Trieste. In men che non si dica staccarono i cavalli, fecero scendere il cocchiere e lasciarono segretario e vescovo appiedati sulla pubblica strada (Ricciotti Giollo, 1969, 109). Per buona sorte del prelato si trovava nei paraggi l'autorevole Pietro De Baseggio che con il suo personale prestigio morale riusci a calmare quei popolani buoni si, ma non al punto da sopportare passivamente una sfida sia pur del proprio vescovo a una sacra processione ormai entrata nel tessuto vivo del sentimento religioso capodistriano. La pronta reazione di quei giovani fece si che il vescovo non si presentasse più per la festa di S. Nazario nella concattedrale per celebrare in pompa magna il pontificale attorniato dalle dignità canonicali e dal popolo devotissimo al patrono, almeno fino al 1844, quando il 7 settembre comparve in abiti prelatizi solenni per ricevere niente meno che l'imperatore Ferdinando con la consorte la regina Maria Anna, arrivati in visita ufficiale a Capodistria. E non si trovavano solo incidenti di percorso di origine clericale nati all'interno del mondo ecclesiastico, ma anche altre disavventure che la processione per il patrono S. Nazario riscontrava con il gioco delle varie correnti politiche che potevano attribuire a quella popolare e collettiva manifestazione religiosa e folclorica un significato politico. All'inizio del nostro secolo, nel 1907, il 18 giugno vigilia della festa sui muri di Capodistria comparvero manifesti con invito a non accompagnare bambini alla processione. Quest'invito esposto su locandine scritte a mano sui muri aveva creato una certa attesa di tensione. Il giorno dopo durante la processione un cavallo del corteo imbizzarrito per il colpo di un mortaretto della fiera creo lo scompiglio e un fuggi fuggi generale, disperdendo la popolazione, distruggendo e rovinando diversi degli artistici fano processionali. Ci furono due donne ferite e ricoverate in ospedale a Trieste, di cui una anziana dopo qualche giorno mori (Ricciotti Giollo, 1969, 110-111). Questo più grave incidente dall'opinione cattolica capodistriana e istriana del tempo veniva attribuito ai socialisti per la loro ideologia materialista, quelli stigma-tizzati dal nuovo scrittore della "Civiltà Cattolica" padre Antonio Pavissich di Spa-lato,19 nelle famose conferenze di S. Antonio Nuovo di Trieste di otto anni prima. Non mancava chi tirava in ballo la locale massoneria, agnostica più che anticlericale, che a Capodistria contava certamente una nutrita pattuglia di adepti. Infine, qualcuno spingeva più in là le cose fino a indicare risvolti politici antiaustriaci, perché l'ormai emergente irredentismo formato da liberali e da mazziniani vedeva in quella manifestazione religiosa, organizzata da un clero tutto sommato lealista e austria-cante, una vera apoteosi dinastica o almeno una "manifestazione asburgica". Forse si 19 Le conferenze furono stampate (cfr. Pavissich, 1902); su di esse appare polemico Piemontese, 1961, 90-94; si veda pure Valdevit, 1979, 185-190; Cuscito, 1984, 323-327; Zovatto, 1987, 43-47; 52-53. 542 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 Foto 3: La processione degli "ori" inpiazza (disegno di Nello Pacchietto, 1983). Sl. 3: Procesija ob Velikem petku na trgu (Risba Nella Pacchietta, 1983). facevano troppe connessioni basate solo su ipotesi possibili, e non si procedeva con quell'analisi scrupolosa e distaccata per spiegare lo scompiglio della processione con una sola circostanza, quella più evidente del cavallo imbizzarrito che solo un giovane audace riuscî a bloccare, quando ormai il panico generale si era impadronito della 543 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 popolazione intervenuta per onorare il corteo del santo protettore cittadino. La spie-gazione, comunque, emersa, puo essere assunta quale segno della sensibilità del tempo, che non mancava di attribuire ormai significato politico anche a espressioni religiose d'antica tradizione cristiana, ma che qualificavano l'anima di Capodistria. Ma insieme potevano pure far emergere che la cittadina culturale capodistriana non appariva più come un blocco cattolico omogeneo articolato al suo interno con nobili, borghesi, artigiani, pescatori e popolani attorno ai sodalizi delle confraternite, com'era nel secolo precedente fino alla Rivoluzione francese. Vi prendeva sempre più consistenza, invece, un'opinione intellettuale, liberale e filolaica, autonoma nei suoi atteggiamenti, che non mancava di far sentire la sua voce con comportamenti non conformistici al ritmo stagionale delle tradizioni religiose e folcloriche, cosí specifiche d'una civiltà rurale com'era quella istriana. D'altra parte si poteva trovare persino coloro che guardavano alle fastose ritualità liturgiche con atteggiamento di critica ormai di tono laico, lo ricorda il canonico di Capodistria Giovanni De Favento - Apollonio nel suo libro Breve analisi d'uno studio sulla Fede e Bellezza di Nicold Tommaseo (1879): il sig. X asserisce che la religione s'avvantaggia delle arti belle con fare buona accoglienza non solo all'architettura, alla scultura, alla pittura, alla música, alla poesia, all'eloquenza, ma ancora alla decorazione e al lusso trasportando il teatro in chiesa e lo spettacolo sostituendo alla divozione (De Favento-Apollonio, 1879, 7879). Del resto non sembra possibile negare che le processioni a Capodistria, quella di S. Nazario e degli Ori del Venerdí Santo, costituivano un evento collettivo di natura squisitamente religiosa, nato dalla spontaneità del popolo con un coinvolgimento emotivo sacrale, che era il segno inconfutabile di un'intensa presenza evocata e resa attuale dalla grandiosità e spontaneità di un rito secolare, trasmesso e consa-pevolmente condiviso. Cio è tanto più sintomatico in quanto le processioni sono il risultato di un'esperienza che partiva dall'iniziativa individuale e collettiva, dove il devoto si sentiva emergere come il protagonista indiscusso e fatto spettacolo sacrale lui stesso. Era anche questa circostanza che apriva alla dimensione del sacro un'occasione per celebrare l'emergere di chi nella storia locale non possedeva alcuna voce in capitolo per esprimere il suo dinamismo interiore in termini di libertà e di religione non prescritta, ma tramandata per consuetudine e per prassi di popolo orante di generazione in generazione. Qualsiasi storico della religione sa distinguere gli ambiti specifici di mística e di religiosità popolare. Quella rappresenta il vertice esperienziale dell'itinerario dell'anima a Dio in una opzione radicale all'assoluto, questa l'espressione folclorica dello spazio sacrale, riserva del popolo minuto, che a Dio va in spontaneità di spirito. Anche se questa delinea le più umili espressioni della 544 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITÀ E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 visibilité del sacro dimesso e non intellettualizzato dalla scienza teologica, qualsiasi mistico l'ha praticata e si è mostrato fervente devoto, secondo l'ambiente e le circostanze del momento storico entro cui si espresse la sua vicenda biografica e cronologica. POBOŽNOST IN FOLKLORA V KOPRU MED 19. IN 20. STOLETJEM Pietro ZOVATTO Univerza v Trstu, Pedagoška fakulteta, Zgodovinski in geografski oddelek, IT-34124 Trst, Tigorjeva 22 POVZETEK Ob koncu 18. stol. so s padcem Beneške republike (1797) tudi Koper, podobno kot ves istrski polotok in Trst, prizadele napoleonske vojne in zasedbe. V teh dramatičnih in negotovih časih je prišla do izraza podoba škofa, modrega in preudarnega človeka, ki prepreči, da bi mesto in okolico zajel vrtinec kaosa in nasilja. V beneškem političnem okviru iz konca 18. stol., uspavanem in brez posebnih reformatorskih pobud (dasiravno je Kopru uspelo vzgojiti razsvetljeno osebnost, kakršna je bila Gian Rinaldo Carli) — za razliko od obmejne Avstrije, izrazito reformistične dežele -postane moralni ugled verske ustanove, zahvaljujoč revolucionarnemu jakobinstvu, edina referenčna točka. Ostareli škof Bonifacij da Ponte se je znal izogniti situaciji, ki bi se bila lahko končala tragično, kot se je to zgodilo podestatu bližnje Izole, ki ga je podivjana množica raztrgala; uporniško množico, ki se je zbrala pred stolnico, je namreč uspel umiriti, upor pa nevtralizirati s svečanim evharističnim blagoslovom, s tisto ljudsko pobožnostjo torej, ki je prežemala tkivo koprske družbe z močnim verskim čustvom vse do najglobljih korenin njene najpristnejše zgodovinske identitete. Tudi val nekoliko improviziranega in neuresničljivega jakobinstva, ki je zaobšel stoletno zavest o zgodovinskem duhu beneškosti in ni bil pozoren do teženj lokalnega plemiškega vodilnega razreda, ni uspel prodreti v globino družbe, za katero so bili značilni uglajeno in zelo pobožno plemstvo, dejavno in klerikalno usmerjeno meščanstvo, predvsem pa ljudstvo, zbrano okoli množice "šol" glede na poklic, zaposlitev ali pobožnost in verske obrede v okviru bratovščin, svojega patrona sv. Nazarija in liturgičnih svečanosti, ki so jih v skladu z menjavanjem letnih časov narekovali letni cikli. Ne da bi želeli dodajati heterodoksen pomen opažanjem nekaterih raziskovalcev, je hierarhija svetosti s procesijo patrona, sv. Nazarija, in drugimi izrazi ljudske pobožnosti tudi v Kopru zadobila posebne konotacije. Seveda lahko potrdimo temu, kar je o istrski pobožnosti zapisal avtor Materade Fulvio Tomizza; zanj je bila zavita "v katoliško strogost", vzpodbujena s "prirojeno vraževernostjo", strnjena okoli Boga, ki je bil otipljiv kot kmetova rdeča zemlja, poplava svetinj pa je le redko 545 ACTA HISTRIAE • 9 • 2001 • 2 Pietro ZOVATTO: RELIGIOSITA E FOLCLORE A CAPODISTRIA TRA '800 E '900, 519-548 dobila oblike vraževerja, ki bi se odmikale od uradne vere in bi jih veljalo po mnenju cerkvenih oblasti izkoreniniti. Namesto s pripravami so se cerkveni prazniki, ki so pogosto dosegli vrhunec v prazničnih procesijah, običajno začeli s cikli izrednih homiletičnih pridig, ki so kljub retoriki in všečnostim časa jasno nakazovale teološka pomenska jedra znanstvenih navedb. Ob posebnih priložnostih kot ob postu so vabili ugledne pridigarje ali redovnike frančiškane, lahko tudi kapucine, če pa je šlo za stolnico ali drugo ugled-nejšo cerkev, jezuite; tako je Domenico Rossetti iz Trsta povabil v jezuitsko cerkev (S. Maria Maggiore**) opata Giuseppa Barbierija, učitelja na padovski univerzi. Iz globin ljudskega verovanja je v kmečkem življenju prišla na ta način do izraza premoč liturgije, ki pa se je kljub vsemu uspela umestiti na civilni koledar in mu s tem dodeliti vlogo posrednika krščanskih resnic, čeprav sta ljudstvo in domišljija svetih aojdov, na katere je na neki način vplivala uradna veroizpoved, samodejno izoblikovali pobožne pesmice, tridnevnice, devetdnevnice, štirideseturne molitve, procesije, bratovščine z očitnim in vedrim verskim občutjem, ki naj bi bilo v uteho bednemu življenju sredi uboštva, sivine dnevnih opravil in nenehnega ekonomskega pomanjkanja. Obenem prihaja do izraza globoko versko čustvo, širjenje močnega protireformatorskega cerkvenega pritiska, ki ga hladni razum, samoopredeljen kot razsvetljen in samozadosten tudi brez pomoči razsvetljenstva, med ljudstvom ni izrinili. Ti življenjski ideali, modeli, razširjeni med širokimi plastmi množic, so se izražali v cerkvenih osebnostih, ki so izhajale iz istih institucij in iz istega okolja kot Elio Nazario Stradi, Giovanni De Favento-Apollonio, Lorenzo Schiavi in Francesco Petronio. Možnost, da se prebijejo na površje in krščansko vplivajo na nove generacije, je postala večja, potem ko so Koper po ukinitvi Koprske škofije z avtonomno cerkveno jurisdikcijo priključili Tržaški škofiji (1830). Mesto je tako ostal brez škofa "in loco", bolj nadarjeni in razgledani duhovniki pa so dobili priložnost, da razkrijejo svoje sposobnosti, kulturne in pastoralne, pri čemer se niso mogli ogniti drobni nadležni tekmovalnosti, ki je bila prisotna tudi v najbolj razsvetljenih cerkvenih krogih. 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