st ud ia universitatis he re d it at i 21 st ud ia universitatis he re d it at i st ud ia universitatis he re d it at i st ud ia universitatis he re d it at i In questo articolo verrà presentata l’opera di Girolamo Muzio, autore capodistriano di famiglia e d’af- fetti. Muzio era un uomo che oggi potremmo definire “di regime”, allineato con le strutture di potere. Infatti, verso la metà del Cinquecento, si trovò nella tipica posizione di servitore e di letterato, quando oramai la corte diventava sempre più centro del potere politico, mettendo così in crisi la figura dell’in- tellettuale, visto come maestro di civiltà. Nell’articolo viene illustrata la sua ampia produzione lettera- ria che comprende diversi ambiti: da quello religioso, alla questione della lingua e alle regole del com- portamento. Parole chiave: Girolamo Muzio, Controriforma, letterati capodistriani, il “martello degli eretici”, Il Du- ello. V članku so predstavljena dela Girolama Muzia, avtorja, ki izhaja iz koprske družine in je na Koper bil zelo navezan. Muzio je bil osebnost, ki ga lahko danes imenujemo »človek režima«, naklonjen takratni oblasti. Sredi 16. stoletja se uveljavi v vlogi dvornega privrženca in učenjaka, prav v času, ko je dvor vedno bolj postajal sedež politične moči. Tako je žal zastrt lik izobraženca kot učitelja civilizirane družbe. Čla- nek predstavlja ves avtorjev literarni opus, ki zajema različna področja: od verskih do jezikovnih vpra- šanj in tudi pravil olike v družbi. Ključne besede: Girolamo Muzio, protireformacija, koprski učenjaki, »kladivo za krivoverce«, Dvoboj. Girolamo Muzio, letterato Capodistriano Nives Zudič Antonič, Anita Dessardo Nel vasto panorama degli autori istriani o che si considerarono tali, non si può non parlare di Girolamo Muzio, ca- podistriano di famiglia e d’affetti. A molti, pur- troppo, sconosciuto o poco considerato. Si trat- ta di un autore ingiustamente sottovalutato che paga il suo allineamento alla curia e la sua lotta alla riforma. Il “martello degli eretici”, come ve- niva chiamato, è una figura che a prima vista po- trebbe sembrare meno affascinante del Vergerio e di coloro che si fecero carico della riforma pro- testante. Muzio era un uomo che oggi potrem- mo definire “di regime”, allineato con le strut- ture di potere, in pratica può essere definito un cortigiano. Infatti, verso la metà del Cinquecento, si trovò nella tipica posizione di servitore e di let- terato, quando oramai la corte diventava sempre più centro del potere politico, mettendo così in crisi la figura dell’intellettuale. Visto come ma- estro di civiltà, Muzio svolse diverse funzioni di segretario al servizio dell’uno o dell’altro signo- re, sempre però subordinato al potere assoluto. Girando per le corti e frequentando molta gen- te, divenne particolarmente esperto in materia cavalleresca, così che nobili di tutta l’Europa lo consultarono per districare svariate querele. La sua produzione letteraria fu molto am- pia. Si cimentò in diversi campi, scrivendo sul- la religione, sulla questione della lingua - che in doi: ht t ps://doi .org/10. 26493/2350-54 43. 4(2)21–36 st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 22 st ud ia universitatis he re d it at i22 XVI secolo si evolse, impetuosamente, quell’ir- requietezza che si trovava alla base della vita istriana, non solo nel Quattrocento e all’inizio del Cinquecento, ma già alla fine del Trecento.4 La storiografia istriana ha creato un’im- magine della storia moderna “tanto compatta e monolitica, tutta veneziana e italiana che, per quanto fascinosa e suggestiva, è decisamente sviante e fuorviante; e l’adesione popolare alla Riforma protestante è la prova evidente d’un malcontento latente, inconfessato, in parte in- conscio contro la Dominante, anche se si devo- no ammettere” molte altre concause che hanno spinto a tale scelta di constatazioni dei valori uf- ficiali.5 In ogni modo, osservandolo nel suo insieme, il quadro della letteratura istriana del Cinquecen- to offre un panorama sociale e culturale interes- sante e apparentemente contraddittorio: da un lato scrittori protestanti, come Vergerio il Gio- vane, Flaccio, Lupatino e fra Giulio Morato da Capodistria, dall’altro invece Girolamo Muzio Giustinopolitano, difensore della Curia romana e definito “martello degli eretici”, il cittanovese Antonio Pantera, capodistriani come Giovanni Zarotti e Vincenzo Metelli.6 Non è da trascurare che Capodistria fu un im- portante centro culturale, dove, già nel 1478, sor- se un’accademia, la Compagnia della Calza, che dopo aver abbandonato gli eserciti cavallereschi dei suoi primi anni, si trasformò ben presto in una società letteraria, che ai tempi della rifor- ma mutò nome in Desiosi e proibì ai suoi iscrit- ti qualsiasi discussione su argomenti religiosi. A questo punto il Muzio accusò tutti i membri d’e- resia e di convivenza con il Vergerio. Non si sa con esattezza se questo fatto fosse vero o meno, dimostra però la divisione dell’ambiente istria- no: da una parte innovatori, dall’altra, conserva- tori. Lo stato attuale degli studi in materia non è ancora riuscito a chiarire se anche nelle altre cit- tadine, a Pirano, a Pola, o altrove, dovunque esi- 4 Semi, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi. Istria e Fiume. 5 Salimbeni. “Fonti e studi sulla storia religiosa dell’Istria nel XVI se- colo,” 167. 6 Semi, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi. Istria e Fiume, 160. quel periodo rivestiva un ruolo di primaria im- portanza - e sulle regole del comportamento. Coltivò, inoltre, la lirica, la forma epistolare, ten- tando anche l’epica che poi abbandonò. L’opera che lo rese famoso in tutta l’Europa fu il trattato intitolato il Duello.1 Nonostante la sua cospicua produzione, la notorietà raggiunta e il buon grado di conserva- zione delle sue opere, sono stati in pochi ad occu- parsi della figura di Girolamo Muzio. L’inquieto Cinquecento istriano Il Cinquecento mise in luce alcune delle figure più significative e d’alto livello morale, nonché intellettuale, del panorama istriano. Queste ri- vestirono un notevole ruolo nelle vicende poli- tiche ed ecclesiastiche di quel periodo non solo a livello regionale, ma anche in un contesto più ampio. La loro abbondanza talvolta ci fa mette- re in secondo piano personaggi che meritereb- bero ben altra attenzione. Si deve rilevare che la vita spirituale istriana non si può certo esaurire nello studio di figure come Pier Paolo Vergerio il Giovane, Baldo Lupatino, Flaccio Illirico o Pie- tro Bonomo, come sembrerebbe dagli studi fino- ra pubblicati in materia.2 Sin dall’antichità, il sentimento che dominò fra gli istriani fu il desiderio, o meglio il bisogno spirituale di libertà, per il quale seppur sotto- messi, combatterono più volte. Non fu solo la Ri- forma, l’unico elemento che fece scaturire nuove idee, ma è necessario considerare pure il mani- festarsi di tutti quei problemi culturali, politi- ci, economici e religiosi, che emersero ben pri- ma. L’Umanesimo fu così il mezzo ideale per un riscatto non solo culturale, ma anche civile. Fu questo, uno dei motivi per cui gli umanisti istria- ni furono numerosi.3 Esaminando attentamente i documenti ec- clesiastici e politici dell’epoca, è evidente come nel 1 La Biblioteca centrale di Capodistria conserva un’edizione del Duello del 1585. 2 Fulvio Salimbeni. “Fonti e studi sulla storia religiosa dell’Istria nel XVI secolo,” in L’umanesimo in Istria, cur. Vittore Branca e Sante Graciotti (Firenze: Olschki, 1983), 167. 3 Francesco Semi, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi. Istria e Fiume (Udine: Del Bianco, 1991). st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 23 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 23 e nel giro di pochi anni, con l’aiuto anche del gruppo ereticale piranese, diffuse segretamente il luteranesimo in tutta l’Istria. Infatti, d’accor- do con il fratello Gian Battista, propagò fra il cle- ro e fra i cittadini le nuove dottrine, diffondendo manoscritti, lettere, rinnegando le confessioni dei peccati, ecc. Solo cinque anni più tardi Pier Paolo venne spogliato della dignità episcopale.9 Al proliferare della riforma si era opposto anche papa Paolo IV, ma a livello istriano il vero grande aiuto alla curia romana fu dato dall’ope- ra svolta da Girolamo Muzio, che in seguito alla pubblicazione delle Vergeriane e a causa della po- lemica con il Vergerio, fu ritenuto il vero salvato- re del cattolicesimo in Istria. Le Vergeriane rap- presentano il capolavoro dell’epoca per quel che riguarda la storia ecclesiastica della diocesi di Capodistria.10 Muzio e la Controriforma Girolamo Muzio ebbe il suo primo approccio con il luteranesimo nel 1545, quando accompa- gnò il marchese del Vasto alla corte di Carlo V, che allora si trovava a Worms in Germania. S’in- formò sulla dottrina e i costumi degli innovato- ri e si convinse che le dottrine protestanti fossero eretiche e che fosse suo obbligo impedire la dif- fusione della riforma in Italia.11 In un gruppo di lettere che appartengono a un periodo poco conosciuto della vita del Muzio fra il 1553 ed il 1558, conservate fra le carte del car- dinale Gian Pietro Carafa, membro dell’Inqui- sizione, appare evidente che il Muzio agiva come spia dell’Inquisizione e anche come agente pro- vocatore, assumendo alle volte pure un atteggia- mento di superiorità, tendendo a esagerare, sen- za cattiveria, ma per ambizione, i mali o le colpe nelle quali s’imbatteva.12 9 Miculian, “Il Santo Ufficio e la riforma protestante in Istria,” 215- 230. 10 Miculian, “Il Santo Ufficio e la riforma protestante in Istria,” 173- 230. 11 Miculian, “Il Santo Ufficio e la riforma protestante in Istria,” 173- 230. 12 Miculian, “Il Santo Ufficio e la riforma protestante in Istria,” 173- 230. stessero accademie, succedeva lo stesso che fra i Desiosi. Le beghe capodistriane però sembrano indicare un certo stato d’animo caratteristico.7 La Controriforma in Istria In Istria, dominata in gran parte dalla Repubbli- ca di Venezia e in parte dagli Arciduchi d’Asbur- go, ci fu un forte influsso del luteranesimo. Le continue lotte fra l’Impero e Venezia devastaro- no l’Istria, influendo in modo negativo sull’an- damento economico, aggravato anche dalle epidemie e dalle scorrerie dei Turchi. Le idee lu- terane si propagarono in questo territorio me- diante sacerdoti locali e tramite predicatori lute- rani che giungevano da altre province. Intorno al 1520 aderivano alla Riforma non solo lettera- ti ed ecclesiastici, ma persino donne e bambini. Questo entusiasmo cominciò in una specie d’Ac- cademia per prepararsi, successivamente, in tut- ta la provincia conquistando sia le classi colte sia quelle popolari. Ben presto dalle stamperie di Venezia, prima che la “Santa Inquisizione” po- tesse imporre il suo veto, varcarono il confine gli scritti protestanti, che non si fermarono in Istria, ma si diffusero anche lungo la Dalmazia. Anche il vescovo di Trieste, Pietro Bonomo, ebbe una dose di responsabilità nell’importazione della “merce sassonica”.8 In Istria la Riforma diede quei frutti che al- trove scarseggiavano, ma l’Inquisizione e le vi- cende politiche sfatarono le rosee prospettive, così la penisola fu costretta a chinarsi al gioco delle vecchie tradizioni. Nella seconda metà del XVI secolo l’eresia protestante si sviluppò rapi- damente, e contemporaneamente si sviluppò an- che la lotta dell’Inquisizione romana per contra- starne il passo. Primož Trubar svolse un ruolo importante nella diffusione dell’eresia luterana e anche Pier Paolo Vergerio il Giovane, seppur in Germania, teneva d’occhio il Friuli, tentando di convincere i giovani friulani a partire alla vol- ta della Germania. Pier Paolo Vergerio, divenuto vescovo di Capodistria, tornò in patria nel 1544 7 Semi, Istria e Dalmazia. Uomini e tempi. Istria e Fiume, 161. 8 Antonio Miculian, “Il Santo Ufficio e la riforma protestante in Istria,” in Atti del Centro di ricerche storiche, Vol. XI (Rovigno-Trie- ste: Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 1980-81), 215-230. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 24 st ud ia universitatis he re d it at i24 che gli concesse una grossa provvigione. Nel 1570 scrisse l’Istoria Sacra, nella quale lotta contro gli errori e le frodi con cui gli eretici cercavano di of- fuscare le verità dei Vangeli. Scrisse inoltre: Dife- sa della messa, de’ santi, del papato, contro le be- stemmie di Pietro Viretro (1565), la Beata Vergine incoronata (1567), il Coro pontificale (1570), Lette- re cattoliche (1571), la Selva odorifera (1572).17 La questione della lingua italiana Nei primi decenni del XVI secolo, abbandonata l’idea umanistica di usare il latino come lingua letteraria, iniziarono accesi dibattiti intorno alla lingua che miravano alla ricerca e alla determi- nazione del tipo di lingua letteraria che avrebbe- ro dovuto usare tutti gli scrittori d’Italia e a fis- sare le regole grammaticali.18 Già Dante, nel De vulgari eloquentia si era posto l’impegno di indicare agli scrittori in vol- gare un modello di lingua italiana, valido per tutti gli autori, al di là della frammentazione ge- ografica e politico-culturale che presentava già da allora l’Italia. Tale modello doveva essere una koinè linguistica e cioè una lingua comune in cui venivano a mescolarsi i diversi volgari italiani nei loro aspetti più “illustri” e cioè più nobili, depu- rati dai più evidenti elementi di rozzezza plebea, sia in campo lessicale (il vocabolario) sia morfo- logico e sintattico. Dante è stato perciò il primo grande scrittore italiano a prefigurare una lin- gua unitaria di estensione “nazionale”. Tuttavia, è evidente il fatto che, nella concretezza della sua scrittura, soprattutto nella “Commedia”, Dante rimane in gran parte fedele al fondo toscano-fio- rentino della lingua materna e il “volgare illu- stre” resta un modello ideale astratto, lontano da ogni possibilità di realizzazione concreta.19 A cominciare dal Petrarca che, come affer- mano alcuni critici, esercitò una dittatura lin- guistica involontaria attraverso i secoli successi- vi, si afferma sempre più il modello del fiorentino illustre e si apre, a partire dal ’500, un dibattito 17 Giaxich, Vita di Girolamo Muzio, 58-59. 18 Alberto Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana (Firenze: La Nuova Italia, 1978), 98-99. 19 Nives Zudič Antonič, Storia e Antologia della letteratura italiana di Capodistria, Isola e Pirano (Capodistria: Unione italiana, 2014), 86. Tra queste lettere sono interessanti quel- le indirizzate ad alcuni concittadini di Capodi- stria, e si potrebbero classificare come un’appen- dice alle Vergeriane. Da esse sappiamo che nel 1533 alcuni dotti cittadini di Capodistria si era- no uniti per formare un’accademia, come tante che si fondavano in Italia, con il nome di accade- mici desiosi, decidendo che non si doveva men- zionare la religione per impedire qualsiasi conte- sa o disputa. Naturalmente Muzio interpretò nel peggiore dei modi la loro decisione e subito scris- se, da Venezia, la sua prima lettera agli accademi- ci che considerarono l’intervento inutile e scan- daloso.13 L’autore spesso, nella morale e nelle contro- versie teologiche, si dimostrò contraddittorio con se stesso. Nei suoi scritti più volte criticò, de- testando quello che pure lui stesso praticava. Ad esempio, nel Trattato della comunione de’ laici e delle mogli de’ chierici (pubblicato con le Verge- riane), lodò e sostenne la continenza, seppur an- che lui viveva in concubinato e fu amante di Tul- lia D’Aragona.14 Nel 1533 pubblicò i Tre testimoni fedeli, dedi- cato alla duchessa Vittoria Farnese, dove mostrò quali erano le dottrine nelle chiese d’Europa, d’Africa e d’Asia nel secondo, terzo e quarto se- colo dopo Cristo, spiegando le frodi d’Erasmo.15 Sostenne, invece, l’autorità del concilio con varie opere. Scrisse il Bulligero riprovato (1562), la De Romana Ecclesia (1563), l’Eretico infuriato (1562), la Cattolica disciplina de’ Principi (1562), l’Antidoto cristiano (1562), che parla delle men- zogne che si trovano nelle prediche di Bernardi- no Ochino. Contro di lui aveva scritto anche le Mentite ochiniane (1551).16 Quando morì papa Pio IV nel 1566, Muzio si affidò a un altro potente protettore, papa Pio V 13 Pio Paschini, “Episodi della Controriforma in lettere inedite di Gi- rolamo Muzio,” in Atti e Memorie della società istiana di archeologia e storia patria, Vol. XXXIX-fascicolo 1 (Trieste: Società istriana di ar- cheologia e storia patria, 1927), 349-350. 14 Pietro Stancovich, “Biografia degli uomini distinti dell’Istria,” in Atti del Centro di Ricerche Storiche, Vol.3 (Rovigno-Trieste: Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 1972). 15 Paolo Giaxich, Vita di Girolamo Muzio (Trieste: J. Papasch&Tip., 1847), 52. 16 Giaxich, Vita di Girolamo Muzio, 58-59. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 25 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 25 del Trecento e andava studiata attraverso i libri e la tradizione letteraria.22 Girolamo Muzio e la questione della lingua Anche nella nostra regione, molti letterati af- frontarono la questione della lingua italiana, in particolar modo tra di loro si distinse Girolamo Muzio che studiò le teorie bembesche ed era suo fermo sostenitore. Muzio iniziò probabilmente ad occuparsi della questione della lingua durante un suo viag- gio in Dalmazia e precisamente sull’isola d’Ar- be dove si recò nel 1513. Nell’isola dalmata d’Ar- be, Muzio discuteva con Antonio Mezzabarba, discreto poeta veneziano e buon raccoglito- re di rime antiche, delle regole della lingua ita- liana e gli fece probabilmente conoscere le teo- rie di Bembo. Inoltre, quando si trovò al servizio di Pietro Bonomo, ebbe l’opportunità di entrare in contatto e leggere un libro di grammatica del dalmata Francesco Fortunio,23 e da Trieste dove si trovava al servizio del vescovo Pietro Bonomo, Muzio ne scriveva con grande interesse ad Aure- lio Vergerio: È stato mandato al vescovo mio un libro di grammatica volgare, di un messer Francesco dalmatino; la quale a me è stata cara di vede- re, perché egli insegna di molte cose, e della ortografia, e della proprietà della lingua, del- la variazion de’ nomi e de’ verbi.[….] E dob- biam sperar di vedere che la lingua in questo non si fermerà, che’ ne avremo anche degli altri scrittori.24 Più tardi intervenne al dibattito con vari scritti linguistici composti tra il 1533 e il 1574 e 22 Nives Zudič Antonič. “Girolamo Muzio e la questione della lingua italiana,” in Hieronimo Mutio Iustinopolitano: Operette morali (Giolito, in Vinegia 1550), Le Vergeriane (Giolito, in Vinegia 1550), Egloghe (Gio- lito, in Vinegia 1550), Le battaglie (Dusinelli, in Vinegia 1582), Il duello (Compagnia de gli Uniti, in Venetia 1585), Lettere (Sermartelli, in Firen- ze 1590), cur. Petre Štoka e Ivan Markovič (Capodistria: Biblioteca centrale Srečko Vilhar, 2013), 79-93. 23 La grammatica di Francesco Fortunio Regole grammaticali della vol- gar lingua (1516) era considerata la prima grammatica italiana a stam- pa. 24 Girolamo Muzio, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolita- no: pubblicate nel IV centenario della sua nascita (Capodistria: Comu- ne, 1846), 11. a più voci sulla lingua italiana, parlata e scritta, che si spinge fino al nostro tempo.20 Per tutto il Cinquecento la “questione del- la lingua” occupa un posto centrale. Si tratta so- prattutto di proporre un codice linguistico per gli scrittori, un modello cioè di lingua scritta (non parlata) nobile e adatto a temi elevati quali l’amore spirituale, la fede religiosa, le gesta eroi- che, ecc. Il più importante in tal senso è: “Le prose della volgar lingua” del veneziano Pietro Bembo. Nell’opera, tre libri in forma di dialogo (gene e prediletto dai trattatisti del ’500), si so- stiene la seguente tesi: la lingua degli scrittori (a differenza di quella di Dante che appare al Bem- bo troppo carica di forme plebee, di rozzezze, di neologismi astrusi) doveva basarsi sul fiorentino colto: quello usato dal Petrarca per la poesia e da Boccaccio per la prosa.21 La tesi del Bembo incontrò subito forti op- posizioni. Ne erano contrari soprattutto coloro che pur considerando l’importanza del fioren- tino, non ne accettavano la preminenza e pre- ferivano una lingua più variegata che prendes- se spunto dalle forme delle varie parlate d’Italia. Si trattava infatti del ritorno alla tesi dantesca, cioè a quella della koinè, ad essa si rifaceva Bal- dassar Castiglione, con la sua opera il Cortegia- no, e Giangiorgio Trissino, il principale avversa- rio del Bembo, veneto pure lui, il quale, nel 1529, pubblicò un dialogo, il Castellano, in cui sostan- zialmente ripropone la teoria dantesca. Attorno a queste due tesi, da una parte il “fiorentinismo bembesco” e dall’altra la “lingua italiana” del Trissino, si raccolsero tutti gli altri letterati che intervennero nel dibattito sulla lingua da posi- zioni diverse. Chi volendo inserire nel modello bembesco anche termini tratti dalla lingua fio- rentina parlata, chi affermando che la lingua da usare avrebbe dovuto essere quella toscana. Alla fine però vinse la tesi del Bembo, e la lingua ita- liana letteraria, fino alla metà del Settecento, era quella basata sul modello dei due grandi letterati 20 Zudič Antonič, Storia e Antologia della letteratura italiana di Capodi- stria, Isola e Pirano, 86. 21 Zudič Antonič, Storia e Antologia della letteratura italiana di Capodi- stria, Isola e Pirano, 86. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 26 st ud ia universitatis he re d it at i26 Il Muzio ammira lo stile di Boccaccio e non apprezza quello del Machiavelli, a differenza di quanto affermano messer Gabriello e messer Ce- sano che dicono che Machiavelli sia più dotato di grazia e di eleganza. Secondo il Muzio invece il Machiavelli non scrive bene e lui pertanto non ha mai preso spunto dalle sue opere. E dico che de’ libri del Macchiavelli già è gran tempo che me ne vennero alcuni in mano, et avendone nella lezion di poche ri- ghe il suo stilo e la sua lingua notata, gli gittai da parte, come quegli da’ quali io non pen- sava di poter raccogliere cosa di tanta utilità, di quanto danno potrebbe essere stato quel suo dire alle mie scritture. […] Io non so tro- var nelle parole di lui cosa che comportabi- le mi paia in scrittore che voglia con lode al- cuna cosa scrivere. Se riguardo alla forma del dire, non so come dir si possa più bassa- mente. Se cerco degli ornamenti, non ne tro- vo niuno: anzi mi pare egli esser tutto secco, e digiuno di ogni leggiadria. Poi nella lingua egli è tale, che oltra l’usar molte parole latine, là dove non men belle ne averebbe avute del- le volgari, e nella variazione e nella proprietà de’ verbi egli è tutto cieco; usa male i nomi, e peggio i pronomi; non sa ben collocare né articoli né adverbii: et in somma tanto sa del- le osservazioni della lingua, quanto chi non ne sa niente..28 Le Battaglie in difesa dell’italica lingua, è l’opera di Muzio che, escludendo il settore reli- gioso, poetico e cavalleresco, si può oggi ritenere quella di maggiore rilevanza culturale. L’opera, concepita forse già nel 1530, fu pub- blicata solo nel 1582, accompagnata inoltre da let- tere indirizzate ai maggiori esponenti che si oc- cuparono della questione della lingua.29 Secondo Bonora, in questi scritti Muzio diede prova migliore del suo acume, sostenendo l’italianità del volgare, rifacendosi ad una lingua colta, da apprendere attraverso lo studio severo 28 Muzio, Battaglie di Hieronimo Mutio giustinopolitano, per diffesa dell’italica lingua, con alcune lettere a gl’infrascritti nobili spiriti, 4r. 29 Aldo Cherini e Paolo Grio, Le famiglie di Capodistria: notizie storiche ed araldiche (Trieste: Famea Capodistriana, 1998), 171. pubblicati postumi dal figlio Giulio Cesare con il titolo di Battaglie in difesa dell’italica lingua (1582).25 Nel 1530 Muzio si recò a Parigi con il con- te Rangone. In questa città conobbe Luigi Ala- manni con cui poté affrontare il tema che gli sta- va particolarmente a cuore: l’uso della lingua italiana. Nel 1535 si recò a Ferrara, dove ebbe l’oppor- tunità di conoscere due letterati fiorentini, Bar- tolomeo Cavalcanti e Gabriele Cesano e le loro opinioni sulla lingua. I due letterati fiorentini erano grandi ammiratori dello stile di Machia- velli e criticavano quello di Boccaccio. Muzio af- fermò il contrario e nella sua opera le Battaglie, riconobbe ogni grazia dello stile al Boccaccio.26 E per tornare al Boccaccio, istimo io che al- cuno non viva oggi, che in questa lingua scriva in prosa con alcuna lode, che da altro volgare scrittore che da lui abbia imparato a scrivere. E se di me mi fosse lecito alcuna cosa dire, io direi che io ho pure alcuna volta fatto prova di scrivere alcuna cosa: ho scritto di molte e di varie lettere; ho scritto in sug- getto di duello; ho scritto alcuna cosa mo- rale; et a materie di più dignità sono ancora trapassato. Né ho io alcuna cosa scritto con alcuna diligenza, che io scritta non l’abbia in quella lingua che dalle novelle del Boccac- cio ho imparata. Né infino ad ora mi pento di averla imparata tale. Non mi siano queste parole di me apposte a vizio, che io per altro a dirle non mi sono condutto, se non per argo- mento: che io tale dalla imitazione del Boc- caccio in tante maniere di dire mi sono avan- zato, non si doverà negare che gli uomini di rara dottrina e di chiaro ingegno non siano per trattar con quella ogni altissimo sugget- to.27 25 “Il Muzio grammatico, secondo un libro recente,” Pagine istriane n.6 (1909): 132-133. 26 Nives Zudič Antonič, Storia e Antologia della letteratura italiana di Capodistria, Isola e Pirano, 98. 27 Girolamo Muzio, Battaglie di Hieronimo Mutio giustinopolitano, per diffesa dell’italica lingua, con alcune lettere a gl’infrascritti nobili spiriti (Venezia, 1582), 1r. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 27 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 27 ri, ho io da Cicerone imparato che dal legge- re e dallo scrivere si impara a parlare. Ma per meglio intendere qual via si debbia tenere per conseguir dirittamente questa più nuova lingua, avviso che sia ben fatto che dalle altre più antiche se ne debbia prendere l’essempio. E pertanto, se volete conoscere quanto poco giovi l’esser nato toscano per volere tosca- namente scrivere, ricordivi che Virgilio fu mantovano, Catullo veronese, Orazio venu- sino, Terenzio africano, e che Marco Tullio non fu romano. Da cui vogliam noi dire che quegli stranieri apprendessero la romana lin- gua? Da’ libri […].33 Muzio prosegue dando una descrizione di se stesso e del suo scrivere in italiano, dicendo che gli studiosi fiorentini lo ritenevano incapace di scrivere bene perché non era nato a Firenze.34 E prima dico che io sono per origine della cit- tà di Iustinopoli, volgarmente detta Capodi- stria, e dagli antichi appellata Egida, lontana dal Carnaro, Ch’Italia chiude, e suoi termini bagna, intorno ad ottanta miglia. Nacqui in Padova e fra in Padova, in Vinegia, in Capo- distria, in Dalmazia et in Alamagna vissi in- fino alla età di trenta anni. Appresso conver- sai in Lombardia, in Piemonte, in Francia, et in Fiandra; e ne aveva forse quaranta pri- ma che Fiorenza mi vedesse, et a mettere in- sieme tutto il tempo che in più volte stato vi sono, non so se egli passasse un anno. Sì che né io vi son nato, né da fanciullo allevato: e che in me non sia indicio alcuno di fiorentina ria, assai si mostra a chi mi sente favellare. La- onde per la coloro ragione si viene a conchiu- dere che io bene non posso scrivere.35 Lo scrittore prosegue poi dicendo che anche gli scrittori istriani, come quelli fiorentini, han- no appreso la lingua italiana dalle loro madri e si fanno capire da tutti coloro che parlano italiano, 33 Muzio, Battaglie di Hieronimo Mutio giustinopolitano, per diffesa dell’italica lingua, con alcune lettere a gl’infrascritti nobili spiriti, 4r. 34 Nives Zudič Antonič. “Girolamo Muzio e la questione della lingua italiana,” 87. 35 Muzio, Battaglie di Hieronimo Mutio giustinopolitano, per diffesa dell’italica lingua, con alcune lettere a gl’infrascritti nobili spiriti, 34r. degli antichi scrittori. Riconosce, inoltre, l’im- portanza degli scrittori moderni d’origine non toscana, in particolare dell’Ariosto e persino de- gli scrittori dialettali.30 Come nasce la lingua letteraria Per quanto riguarda la questione della lingua, come abbiamo già affermato, Muzio si rifà alle teorie del Bembo, ed è concorde con il fatto che ogni lingua ha una sua parabola di sviluppo, sa- lendo via via alla sua perfezione. Pertanto anche la lingua italiana è destinata ad una tale ascesa verso la sua perfezione espressiva e gli scrittori devono promuovere tale svolgimento rifacendosi alla più alta tradizione del passato. Perciò devono prendere a modello il Petrarca e il Boccaccio, che hanno dimostrato con le loro opere il grande va- lore del volgare italiano e cercare di perfezionare la loro lingua.31 Nelle lettere e soprattutto nella raccolta che prende il nome di Battaglie in difesa dell’italica lingua Muzio sostiene la teoria fondamentale di Bembo, e precisamente che la lingua letteraria non nasce o si governa secondo l’uso dei parlanti, ma si sviluppa e deriva da una tradizione lettera- ria, cioè mediante l’opera degli scrittori. Inoltre spiega che non è importante essere nati a Firenze o in Toscana per poter scrivere bene, ma che per scrivere bene bisogna imparare dai libri. Secon- do Muzio per apprendere bene una lingua biso- gna studiarla attentamente attraverso la lettura di grandi opere e fare sempre attenzione alla pro- pria scrittura. Pertanto, secondo lui, anche colo- ro che non sono nati a Firenze o in Toscana, im- pegnandosi, possono scrivere bene.32 E nel vero le lingue, le vere lingue, non si im- parano dalla mamma, e non dal babbo, ma dalle scritture: e là dove voi altri volete (voi dicendo intendo di dire a coloro che così sentono) che dal parlare a scrivere si impa- 30 Ettore Bonora, “Il classicismo dal Bembo al Guarini,” in Storia del- la Letteratura Italiana, vol. IV, Il Cinquecento (Milano: Garzanti, 1966), 184. 31 Nives Zudič Antonič. “Girolamo Muzio e la questione della lingua italiana,” 83. 32 Nives Zudič Antonič. “Girolamo Muzio e la questione della lingua italiana,” 83. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 28 st ud ia universitatis he re d it at i28 gli studi intorno alla nostra lingua più o meglio del Muzio”.38 Le opere di Girolamo Muzio Il Duello Il trattato Duello di Girolamo Muzio fu stam- pato per la prima volta a Venezia nel 1550, assie- me alle Risposte cavalleresche e immediatamen- te ebbe un enorme successo editoriale non solo in Italia, ma in tutta Europa. Con quest’opera, divenne l’autore di scienza cavalleresca più noto del secolo. Il suo testo fu considerato un’opera inno- vativa, perché scritta in volgare, da un letterato o meglio da un cortigiano e non da un uomo di legge o d’armi, suscitando tra il pubblico disinte- resse per i precedenti trattati.39 Il Muzio fu “duellista” e “duellante”, secon- do il senso delle voci stabilito all’epoca da un al- tro trattatista de Il Duello, Giovambattista Pi- gna: “Duellista sarà colui che scriverà di duello: il quale fondandosi su questo suggetto e da esso essendo nominato, farà il duello essere scienza. Duellante […] chiunque entri in duel- lo: e da questa voce, come da quella che è suo mestiero, il nome piglierà”.40 “Duellante”, divenne, seppur “in punta di penna” nel momento in cui si apprestò ad assu- mere – per conto d’Alfonso d’Avalos Marchese del Vasto, luogotenente imperiale a Milano, l’uf- ficio di “duellista”.41 Ben presto in molti si affidarono alle sue consulenze per risolvere le diverse querele in “suggetto di honore”. L’autore stesso le men- zionò nella sua opera le Vergeriane. Inoltre le di- verse consulenze furono pubblicate nell’opera le Risposte cavalleresche. 38 Albino Zenatti, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubblicate nel IV centenario della sua nascita (Capodistria: Comune, 1846), 5. 39 Francesco Erspamer, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nel- la cultura del Cinquecento (Roma: Bulzoni, 1982), 82. 40 Giovambattista Pigna, Il duello (Venezia: Valgrisi, 1554), 145. 41 Luciana Borsetto. “L’Ufficio di scrivere in suggetto di honore'. Gi- rolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” Acta Histriae IX (2000): 141. pur non usando la pronuncia fiorentina; inoltre Muzio afferma che gli scrittori istriani e lui pure, hanno migliorato la loro conoscenza della lingua italiana attraverso i libri e lo fanno meglio dei fiorentini che pensano di sapere perfettamente la lingua e di non avere bisogno di migliorarla.36 Abbiamo anche noi succhiata la lingua ita- liana dalle poppe delle balie e delle madri, e dal popolo e da’ cittadini delle nostre città la abbiamo appresa: e con questa nostra lin- gua, et io e degli altri andiamo per tutta Ita- lia parlandola. Et io, uno fra gli altri, dal Varo all’Arsa la ho corsa tutta, e per tutto sono stato inteso: e si mi sentito parlare, e se da loro è stata intesa la mia favella, quantunque ella non mi gorgogliasse nella strozza alla fio- rentina. Da’ libri ci vantiamo noi di appren- dere a ‘dirittamente scrivere’. […] Da’ libri impariamo noi a bene scrivere, e più agevol- mente impariamo noi che i Fiorentini, né gli altri Toscani, perciò che come noi ci mettia- mo a voler dar opera allo studio dello scrive- re, così ci persuadiamo di non saperne nul- la; e perciò negli animi nostri, come in tavole monde, si figurano le bellezze e le purità del- la lingua, in chi vuol faticare, e sa studiare; e questi sono molto pochi.37 Muzio si occupò nell’arco dell’intera vita della questione della lingua, e soprattutto si ado- però in difesa di chi, non essendo nato a Firenze, poteva dimostrare come lui di essere un buon co- noscitore della lingua italiana, grazie alla lettura e al costante impegno. Albino Zenatti, invitato dal municipio di Capodistria a pubblicare alcu- ne lettere inedite di Girolamo Muzio nel quarto Congresso della lega nazionale, in occasione del quarto centenario della sua nascita disse di lui le seguenti parole: “Fra i molti letterati che illustra- rono Capodistria, nessuno, in vero, si occupò de- 36 Nives Zudič Antonič. “Girolamo Muzio e la questione della lingua italiana,” 87. 37 Muzio, Battaglie di Hieronimo Mutio giustinopolitano, per diffesa dell’italica lingua, con alcune lettere a gl’ infrascritti nobili spiriti, 39r. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 29 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 29 “prova della verità” nonché come legittima difesa nei “confronti dell’ingiuria subita”.45 L’obiettivo dell’autore era duplice: “descri- vere l’arbitrio che governava a suo tempo la Pra- tica perversa del combattimento privato dei nuo- vi cavalieri, dibattuti tra ingiuria e ‘mentita’, tra infamia e onore, tra offesa e vendetta, volti prin- cipalmente al conseguimento della comune ap- provazione, e sottoporlo al vero costume della ca- valleria”. Nella dedicatoria a Emanuele Filiberto leggiamo: [...] che i cavalieri più da volgare opinione ti- rati, che da giudicio di ragione consigliati, prendono l’arme a tale hora, che peravven- tura non meno sarebbe lodevole il lasciarle. Il che havendo io veduto, et tuttavia vedendo la molta licenza, et il poco ordine, che intor- no agli abbatimenti si serva, ho voluto, quan- to è in me, porger mano à coloro, i quali per la via dell’honore cavallereso disiderano di caminare, per vedere se io con alcun modo in su la diritta strada gli potessi ritornare.46 S’impegnò anche a proporre denominazio- ni specifiche, importando alcuni termini come “attore”, “reo”, dicendo con orgoglio di essere sta- to il primo, a parlare di “mentite”. Gli scrittori usavano in generale un lessico specifico, affatto originale, destinato ad un pubblico eterogeneo, quindi doveva venir compreso pure da persone poco colte.47 Muzio trattò d’ingiurie, delle mentite, dell’attore, del reo, dei cartelli, del campo, espli- cando i loro significati per una corretta utilizza- zione. Dichiarò che per vendetta i signori non dovevano concedere il campo, spiegò come si ar- rivava al duello “per delitto” e teorizzò su come doveva essere il “risentimento onorevole” e a “quali gradi della nobiltà” era consentito com- battere. Stabilì chi era il “reo” e chi l’“attore” , come si configurava l’“ingiuria” e come il “ca- 45 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 141. 46 Muzio, Il duello del Mutio Iustinopolitano, con le risposte cavalleresche, 3. 47 Erspamer, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nella cultura del Cinquecento, 130-136; Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 147. Il Duello era diventato “la soluzione finale di tutte le controversie insorte ‘per cagion di hono- re’”. Le sue furono semplici opinioni e pareri su argomenti che gli venivano sottoposti.22 Per scri- vere la sua opera, quindi, non dovette far altro che mettere per iscritto il suo sapere specialisti- co che aveva acquisito, in quanto uomo di corte, e che aveva approfondito con le proprie ricerche personali. È Muzio stesso a dichiararlo nella de- dicatoria a Emanuele Filiberto: Et percioche questa materia da due maniere di persone e communalmente trattata, cioè da Cavalieri, et da Dottori: de’ quali gli uni da quelle cose, che per sola esperienza ap- prendono, usano di pigliare il lor governo: et gli altri secondo quel solo, che trovano nel- le loro carte, dicono il lor parere; io della do- trina di questi, et della esperienza di quelli mi sono affaticato di fare una nuova mesco- lanza; alla quale havendo ancora aggiunto il condimento delle mie investigazioni, et di altri miei studij, spero che ella habbia da es- sere tale, che per avventura potrà aggradire à chi non havrà il gusto troppo fastidioso.42 L’autore duellò con la penna contro coloro che non rispettavano le regole cavalleresche, che non rispettavano la fede cristiana, in nome della lingua italiana e in nome del papato.43 Con quest’opera voleva porgere ai cavalie- ri uno strumento efficace affinché potessero con onore districare le questioni cavalleresche. Il trat- tato presentava il duello come un cerimoniale di norme, di consuetudini allo scopo di disciplinar- ne l’uso. Il suo intento era nobile; considerando che sarebbe stato impossibile abolirlo, voleva al- meno diminuirne l’uso e soprattutto impedirne l’abuso.44 Secondo l’autore, il duello, non doveva venir praticato per sopraffazione o vendetta, ma come 42 Girolamo Muzio, Il duello del Mutio Iustinopolitano, con le risposte ca- valleresche (Venetia: Compagnia degli Uniti, 1585), 3. 43 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 141. 44 Giaxich, Vita di Girolamo Muzio, 47. Erspamer, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nella cultura del Cinquecento, 112. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 30 st ud ia universitatis he re d it at i30 tutti coloro che lo avevano attaccato, accusando- lo “di aver discettato su tutto, di essersi occupa- to di vili soggetti e indegni di esser messi in scrit- tura, di aver condotto gli uomini a morte, di aver voluto trattare, da ‘huomo secolare, et di corte’, materie pertinenti alla cattolica disciplina; di aver desunto il suo sapere dalla scienza degli al- tri, usurpando una fama immeritata”.51 “Allineate su un unico piano, l’icona del Muzio ‘duellante’ che ci rinviano le sue opere nell’ultimo scorcio del secolo, si sovrappone del tutto a quella del Muzio ‘duellista’, emblemi en- trambe dell’unica, ininterrotta fatica da lui com- piuta nel suo ossequio ai poteri secolari e cattoli- ci del tempo: l’“ufficio di scrivere in suggetto di honore’”.52 La sua fama di “duellante” terminò con la sua morte nel 1576, quella di scrittore invece no. Infatti, Manzoni lo cita nella sua opera I Promes- si Sposi, inserendolo nella biblioteca del perso- naggio di don Ferrante.53 Le lettere In generale la lettera del Cinquecento (in parti- colare quella del Muzio) non fu vincolata da nes- suna necessità di tempo o di luogo, ma al tempo indeterminato della comunicazione letteraria. Muzio fece ampio uso di questo strumento di co- municazione. Il suo “luogo” fu quello soggettivo della lettura e della rilettura, tanto che lui stesso incitava i lettori a leggere e a rileggere una stessa lettera, in modo da farla diventare lunga a piace- re, quanto vorremmo noi.54 Nella dedicatoria a Vincenzo Fedeli delle Lettere (denominate dall’autore secolari, per di- stinguerle dalle cattoliche) in tre libri (il quarto venne pubblicato nel 1590, dopo la morte dell’au- 51 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 151. 52 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 155. 53 Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi (Milano: Principato, 1976), Capitolo XXVII, 496. 54 Luciana Borsetto, “Introduzione,” in Muzio Girolamo: Lettere. Rist.anastat. (Bologna: Forni, 1985), XIII. rico”, sotto che titoli si dovevano congegnare le “mentite”, sotto che forma dovevano venir con- cesse le “patenti di campo” e quali armi usare ne- gli “steccati”. Muzio, così, riformò il moderno duello. “Notando, et elevando” gli abusi che lo rendevano crimine, sottoponendolo a nuove leg- gi.48 In realtà, quanto si può dedurre dalle missi- ve che Muzio scrisse ad amici e nemici, pare che iniziò a scrivere l’opera, soprattutto perché sol- lecitato dai propri signori e padroni, ovvero gli fu imposto. Ciò è quanto traspare nella dedica- toria: […] à prender questa honorevole fatica non picciolo sprone mi è stato (illus. Prencipe) l’havere io veduto quanto il gentilissimo amico vostro fosse desideroso, che io alcu- na cosa scrivessi in questo suggetto (che nel tempo, nel quale io mandato dal mio Signor Marchese a Nizza di Provenza à il servire il S. Duca vostro padre, et voi, non una sola volta da voi imposto mi fu, che dovendovi io man- dare delle mie scritture, ve ne mandassi in materia di Duello). Per tal cagione già vi ap- prestai io, et hora ho pubblicati questi miei libri, giudicando che le cose scritte in sug- getto di onore ad honorato Prencipe otti- mamente si convengono.49 Per rispondere alle polemiche che il suo li- bro aveva provocato, progettò inoltre di realiz- zare un libro particolare di Questioni di Duello, proponendosi di rispondere a coloro che si “era- no dilettati di trafiggerlo”, ma la censura del 1563 ne bloccò la realizzazione. Il suo nuovo testo se- guì le sorti che erano state riservate anche ad al- tri trattati inerenti allo stesso tema, tuttavia il trattato Il Duello, fino al 1585, continuò ad esse- re pubblicato.50 I censori però impedirono all’autore di por- tare a termine l’opera con cui avrebbe risposto a 48 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 148. 49 Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 148-149. 50 Erspamer, La biblioteca di Don Ferrante. Duello e onore nella cultura del Cinquecento, 63. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 31 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 31 lunga, così l’autore si vede costretto a normaliz- zare l’eccessiva lunghezza.59 La forma epistolare, quasi universalmente utilizzata dal Muzio, diventò come già detto la “forma stessa del suo scrivere”, utilizzata anche nelle Risposte cavalleresche, pubblicate separata- mente o a seguito del Duello, e in alcuni scritti, pubblicati sotto il titolo di Operette morali e di Avvertimenti morali. Per ultimo, ma non per im- portanza, da ricordare ancora un’altra raccolta dal titolo: Battaglie in difesa dell’italica lingua.60 Lettere inedite Il municipio di Capodistria invitò Albino Zenatti a pubblicare alcune lettere inedite di Gi- rolamo Muzio nel quarto Congresso della lega nazionale, in occasione del quarto centenario della nascita di quel “valoroso letterato”, che nac- que a Padova. Il volume è un’interessante fonte per approfondire la vita e la personalità di Giro- lamo Muzio. Come dice Zenatti: “Fra i molti letterati che illustrarono Capodistria, nessuno, in vero, si oc- cupò degli studi intorno alla nostra lingua più o meglio del Muzio”.61 Dalle regioni del Veneto, nei primi anni del Cinquecento partirono le teo- rie che fecero definitivamente trionfare il volgare sul latino, e la lingua di Dante e Petrarca divenne veramente lingua letteraria della nazione intera. Sicuramente il merito principale del movimento cinquecentesco a favore del volgare, spetta al ve- neziano Pietro Bembo. Nell’isola dalmata d’Arbe, il Muzio discu- teva con Antonio Mezzabarba, discreto poeta ve- neziano e buon raccoglitore di rime antiche, del- le regole della lingua italiana. Era stata da poco pubblicata l’operetta grammaticale di Francesco Fortunio e da Trieste dove si trovava al servizio del vescovo Pietro Bonomo, Muzio ne scriveva con grande interesse ad Aurelio Vergerio: È stato mandato al vescovo mio un libro di grammatica volgare, di un messer Francesco 59 Borsetto, “Introduzione,” LV. 60 Per quanto riguarda la lingua Muzio favorì la tesi di Dante e Trissi- no. Borsetto, “Introduzione,” LV. 61 Zenatti, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubbli- cate nel IV centenario della sua nascita, 5. tore), è palese la nozione fondamentale da cui traeva origine l’intera raccolta.55 Certissima cosa è, che lo scrivere delle lette- re non per altro è stato intodutto, se non per mantenener viva la humana conversatione, la quale dalla lontananza essendo interrotta, senza quelle se ne verrebbe del tutto à mori- re. […] le lettere sono esse le mantenitrici del- la conversazione […].56 Le lettere del Muzio dimostrano il suo sa- pere su questioni largamente dibattute nelle cor- ti di quel periodo: l’amore, l’astrologia e in par- ticolare la lingua. Quelle di Muzio possono essere anche argomentazioni morali e didattiche, o semplicemente digressioni su luoghi o su per- sonaggi. Tutto ciò ci riporta alla figura dell’eru- dito e dell’intellettuale del Cinquecento, in gra- do di discutere e di approfondire i più disparati discorsi. Le lettere servirono però a Muzio come veicolo privilegiato dei suoi vari duelli su carta di cortigiano-scrittore, per condannare o per assol- vere, per ricusare o per smentire, per difendere gli altri o se stesso.57 Le Vergeriane e le Catholiche possono esse- re qualificate come vere e proprie dispute a di- stanza, composte allo scopo di smascherare co- loro che si dimostrarono contrari a tutto ciò che esse contenevano.58 Volendo fare una ripartizione delle lette- re di Muzio va detto che all’inizio i temi tratta- ti furono l’amore e l’amicizia mentre in seguito discusse temi più specifici come la lingua, l’ono- re, la cavalleria e le armi in particolare. Duran- te il Concilio di Trento, invece, diventarono let- tere istruttorie e didattiche sulla formazione del buon principe cattolico. In questo modo, però, si persero le funzioni vere e proprie di questo mo- dello letterario, seguendo la linea dell’argomen- tazione tipica del trattato. Sono in forma più 55 Borsetto, “Introduzione,” IX. 56 Muzio, Il duello del Mutio Iustinopolitano, con le risposte cavalleresche, 1585. 57 Borsetto, “Introduzione,” XIX; Borsetto, “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista',” 152. 58 Borsetto, “Introduzione,” LV. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 32 st ud ia universitatis he re d it at i32 te è stato non, come dicono, censurato ma tonsurato, in maniera che lo hanno fatto ri- maner toso: ché ne ha levate ventisei novel- le intere e molti squarci soppresso qua e là. E poi lo hanno dato a me, che debba rasset- tarlo e legarlo assieme là dove essi lo hanno guasto e disciolto! Dalla qual cosa io non sono per prenderne fatica alcuna, se non mi rimettono la impresa a me di correggerlo in tal modo, che lo netterà di tutte le cose che sono dette con poca reverenza di Dio; e per sodisfare ancora loro, leverò via tutte quelle cose che in generale sono dette contro i frati; che se si volesse levar tutto quello che è detto contro ogni particolare, ci resterebbe poco da leggere di quel libro!65 Nelle lettere indirizzate al duca è curiosa la profonda confidenza con la quale scrive al suo Si- gnore. In ogni modo la lista dei principi che gio- varono e si affezionarono al Muzio, a cominciare dal Marchese del Vasto, per finire con France- sco de’ Medici, fu molto lunga. Ai lettori capo- distriani saranno sicuramente più interessanti e care le lettere che scrisse al nipote Maurizio, nelle quali Muzio difese il suo poema, L’Egida, scritto in gloria di Capodistria. L’autore era dispiaciu- to al notare che la sua opera era poco apprezza- ta dai suoi concittadini. L’Egida, secondo Albi- no Zenatti, si staccava dai soliti poemi dell’epoca ed era la dimostrazione del profondo affetto che Muzio nutriva per la sua terra.66 La lirica, la poetica, il poema epico e gli scritti sul comportamento Al centro della lirica di Muzio si colloca il suo amore per la bella e raffinata cortigiana Tullia d’Aragona a cui dedica sonetti, canzoni e parec- chie egloghe. Le Egloghe67 sono divise in cinque libri: Le Amorose, Le Marchesane, Le Illustri, Le Lugubri, 65 Muzio, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubblica- te nel IV centenario della sua nascita, 30-31. 66 Zenatti, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubblicate nel IV centenario della sua nascita . 67 Componimento poetico solitamente di argomento pastorale o di forma amebea. dalmatino; la quale a me è stata cara di vede- re, perché egli insegna di molte cose, e della ortografia, e della proprietà della lingua, del- la variazion de’ nomi e de’ verbi.[….] E dob- biam sperar di vedere che la lingua in questo non si fermerà, che’ ne avremo anche degli altri scrittori.62 Albino Zenatti definisce il libro come un semplice saggio di molte lettere inedite. Complessivamente ne contiene 24, scritte dopo i sessant’anni, quando in seguito a una gra- vissima malattia, avvenne quella profonda con- versione dell’animo del Muzio, trasformandolo in un dotto e serissimo moralista e teologo. Leg- gendo la sua biografia è chiaro che fu amico di vescovi, di patriarchi, familiare di cardinali e di papi, di due santi, per la precisione di Carlo Bor- romeo e Pio V.63 Tra i testi più interessanti del volume si pos- sono considerare quelli che compose a Roma, tutto impegnato a rivedere e a rassettare i gran- di scrittori al servizio della censura ecclesiastica. Il suo intento fu quello di salvare il più possibi- le e il meglio di scrittori e poeti. Questo incarico era assegnato il più delle volte ai frati, con i quali Muzio non aveva un buon rapporto. Nella sua opera le Battaglie, riconobbe ogni grazia dello stile al Boccaccio, sulla quale non volle metterci sopra le mani. Lo fece invece nei Discorsi e nell’Arte della guerra di Machiavel- li. Pur apprezzandolo meno come scrittore, Mu- zio si dimostrò comunque diligente e prudente nel “sistemare” il suo lavoro visto che si rendeva conto della “sconvenienza” e della “sconcezza” di questi procedimenti.64 Scriveva al Duca d’Urbi- no: Ho pensato che essi danno questa impresa ad alcuno, la potranno dare a qualche parte che ne farà quello che ha fatto un altro del- le novelle del Boccaccio, il quale da un fra- 62 Muzio, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubblica- te nel IV centenario della sua nascita, 11. 63 Zenatti, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubbli- cate nel IV centenario della sua nascita, 8-9. 64 Benedetto Croce, “Scritti di storia e politica,” in Poeti e scrittori del pieno Rinascimento. Vol. I (Bari: Laterza, 1945), 205. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 33 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 33 Virgilio davanti a Omero e Ovidio; infine, nel terzo parla della lingua italiana, dei diversi tipi di poesia, dello stile e delle metafore.70 L’Egida (1572), invece, è un poema eroico in dieci libri in versi sciolti, nel quale narra, usando pure elementi mitologici, la favolosa origine di Capodistria; con quest’opera celebra quella che considerava la sua città.71 Muzio si occupò anche di norme sociali. La lingua italiana da lungo tempo ha una paro- la specifica per definire il complesso delle rego- le per il corretto comportamento sociale, quella di “galateo” che richiama il titolo dell’opera più famosa di Giovanni della Casa, il Galateo, ove- ro de’ costumi. In quest’opera con chiari esempi si era proposto il modello di ciò “che si conven- ga di fare per poter, in comunicando et in usan- do con le genti, esser costumato e piacevole e di bella maniera”.72 Le opere che Muzio scrisse su questo tema sono: Il Gentiluomo che consiste in tre dialoghi e parla della nobiltà: come si acquista, conserva e perde; inoltre da dove deriva. Distingue la nobil- tà degli uomini, delle donne, delle persone “pri- vate” e “de’ signori”, nonché quella delle armi e delle lettere e si pone il problema quale sia la “maggiore”. Scrisse, inoltre, l’operetta il Cavalie- ro, le Operette morali e gli Avvertimenti morali.73 Conclusione Dopo una lunga e intensa vita, passata al servizio di numerosi uomini importanti, dopo aver stila- to una miriade d’opere, seppur continuamente in viaggio, a causa di diversi incarichi che gli era- no stati assegnati, si ritrovò alla fine malato, sen- za mezzi, abbandonato da tutti, ospite di un ami- co. La sua amarezza traspare chiaramente in una lettera, scritta poco prima di morire: 70 Stancovich, “Biografia degli uomini distinti dell’Istria,” 73-75. 71 Il poemetto narra la contesa tra Poseidone e Pallade Atene e la tra- sformazione dello scudo (o dell ’ “egida”) della dea, caduta in mare, nell’isoletta su cui sarebbe sorta Capodistria. 72 Inge Botteri, Galateo e Galatei (Roma: Bulzoni, 1999), 11. 73 Stancovich, “Biografia degli uomini distinti dell’Istria,” 81. le Varie. Nelle Amorose celebra Tullia d’Arago- na con “espressioni teneramente avanzate” pri- ma col nome di Tirennia, esaltata anche nelle sue Rime, più di quel che aveva fatto Bernardo Tas- so, poi, invece, sotto il nome di Talia.68 Lo afferma pure lui stesso in una lettera a un amico: Io haveva per alcun tempo celebrata la Si- gnora Tullia sotto il nome di Tirrhenia: e un giorno, con lei essendo e ragionando di quelli studî, dei quali ella si è cotanto diletta- ta e diletta tuttavia, entrammo a parlar del- le Muse, de’ loro nomi e delle loro virtù. […] mi disse: ... Tu mi hai lungamente cantata co nome di Tirrhenia: e io vorrei che tu mi mu- tassi nome e appellassimi Talia: ma che lo fa- cessi in guisa che si conoscesse che Tirrhenia e Talia sono una cosa istessa; pensavi ora tu del modo. Io le risposi di doverlo fare.69 Le egloghe del secondo libro parlano del marchese Alfonso d’Avalos, dei mali della guer- ra, degli amori del marchese e di sua moglie. Il terzo libro tributa onori ai suoi protettori. Il quarto contiene egloghe funebri che sono le più commoventi: piange la morte di Luigi Gonza- ga, deplora la scomparsa di vari suoi protettori e amici, si lamenta per la morte di Argia, sorel- la di Tullia d’Aragona e, infine, della sua aman- te Chiara, sotto il nome di Clori, celebrata già in vita. Nelle Rime diverse, che paragona alle Odi di Orazio, celebra, con canzoni e sonetti, le sue “due donne molto amate”, “l’una d’umili con- dizioni”, Chiara, l’altra, invece, la celebre Tullia d’Aragona. Nell’Arte poetica, opera divisa in tre libri e molto lodata dal Varchi, l’autore volle imitare l’Arte poetica di Orazio. Nel primo libro attacca coloro che sostengono che per scrivere poesie ba- sti “il naturale” e che non è un’arte che si possa imparare; nel secondo spiega come dare grandez- za alle cose “minute”, mettendo al primo posto 68 Stancovich, “Biografia degli uomini distinti dell’Istria,” 71. 69 Muzio, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubblica- te nel IV centenario della sua nascita, 11. st ud ia universitatis he re d it at i st u d ia u n iv er si ta t is h er ed it a t i, le t n ik 4 (2 01 6) , š t ev il k a 2 34 st ud ia universitatis he re d it at i34 nost, ki bi jo lahko danes definirali kot »človek režima«, ker je bil lojalen do oblasti, ki so takrat vladale; resnici na ljubo pa bi ga lahko imeli tudi za laskača. Sredi 16. sto- letja se uveljavi v vlogi dvornega privrženca in učenjaka, prav v času, ko je dvor vedno bolj postajal sedež politič- ne moči. Tako je žal zastrt lik izobraženca kot učitelja ci- vilizirane družbe. Muzio je izvrševal različne naloge kot tajnik v službi enega ali drugega gospodarja, čeprav je bil vedno podložen najvišji avtoriteti. Ker je obiskoval raz- lične dvore in srečeval različne ljudi, je kmalu postal ve- lik poznavalec viteških spretnosti, tako da so se aristo- krati iz različnih krajev Evrope obračali nanj za nasvete. Njegova literarna produkcija je bila zelo obširna. Pisal je o najrazličnejših vsebinah, o veri, o vprašanju jezika – kar je bilo poglavitnega pomena v tistem času – in o pravilih bontona. Ob tem se je posvečal tudi pisanju poezije, pi- sem in se preizkusil tudi v epiki, ki pa jo je kasneje opus- til. Delo, po katerem je zaslovel po celi Evropi, je nosilo naslov: Il Duello (Dvoboj). Ključne besede: Girolamo Muzio, protireformacija, koprski učenjaki, »kladivo za krivoverce«, Dvoboj. Summary In the vast panorama of the Istrian authors, it is impos- sible not to discuss Girolamo Muzio, a Capodistrian by family and affection. This is an unjustly underestimat- ed author, who pays for his political support to the curia and his struggle for reform. The “hammer of the here- tics”, as he was called, is a figure that may at first seem less fascinating than Vergerio and those who took charge of Protestant reform. Muzio was a man who could today be defined as a person “of the regime”, loyal to the struc- tures in power at the time; in reality he can be called a flatterer. Towards the middle of the sixteenth century, he found himself in the typical position of a servant and literate at a time when the court was becoming more the centre of political power, thus causing a crisis for an intellectual who was seen as a master of civilisation; Muzio conduct- ed different functions as a secretary at the service of one or other master, although always subservient to the ulti- mate authority. Visiting courts and meeting many peo- ple, he became particularly skilled in chivalrous mat- ters, so noblemen from all over Europe consulted him to resolve various issues. His literary production was ex- tensive. He dealt with diverse fields, writing on religion, Io sto alcuna volta pensando alla mia passa- ta vita, et alle Corti de’ Prencipi dove io sono vivuto, et che ’1 Marchese del Vasto mi man- dò al Duca Hercole di Ferrara, et che ’1 Duca d’Urbino mi tolse a Don Ferrando, et che Papa Pio quarto, et poi il quinto mi tolsero al Duca d’Urbino; le quali cose mi persuado- no che io sia stato qualche cosa: ma, veden- do poi che mi hanno lasciati povero, entro in altra opinione. Considerando poi che infino ad hor quindici volumi di mie opere con ap- probation si leggono, et che di cose cavalle- resche, di morali, et di catholiche non so se altri habbia scritto più cose (per non dir me- glio) di me, ritorno in fantasia di meritar pur qualche cosa. Et, se ben non fossi hora più atto alle fatiche; come soldato veterano do- vrei almen essere mantenuto, come si fa al- cuna volta de’ cani et de’ cavalli, che si pasco- no et si da’ loro sepoltura.74 La sorte degli uomini di cultura nel Cinque- cento era ingrata. Costretti a cercare i favori dei nobili facoltosi, erano sempre in balia degli umo- ri dei loro mecenati. Girolamo Muzio lasciò un’impronta nel- la storia letteraria del suo secolo e anche nella lingua italiana. Ciò gli valse onori e celebrità, ma non lo risparmiò dalle vicissitudini della vita. La sua opera più importante, Il Duello, contri- buì non poco alla diffusione della lingua lettera- ria volgare. Assieme a Machiavelli che scrisse Il principe contribuì in maniera fondamentale alla diffusione di un genere letterario di carattere po- litico-scientifico. Povzetek V široki panorami istrskih avtorjev je nemogoče obiti Girolama Muzia, Koprčana po duši in po družinskem izvoru. Gre za po krivici podcenjenega avtorja, ki je bil pozabljen zaradi svoje politične naklonjenosti Cerkvi in svojega boja za protireformacijo. »Kladivo za krivo- verce«, kot je bil imenovan, se na prvi pogled predstavi kot manj privlačna figura od Vergerija in ostalih, ki pa so se približali protestantski reformi. Muzio je bil oseb- 74 Zenatti, Lettere inedite di Girolamo Muzio Giustinopolitano: pubbli- cate nel IV centenario della sua nascita, 74. st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 35 st ud ia universitatis he re d it at i g ir o la m o m u z io l et t er a to c a po d is t r ia n o 35 Maier, Bruno. “Girolamo Muzio.” In Enciclopedia monografica del Friuli - Venezia Giulia. Udine: Istituto per l’enciclopedia del Friuli - Venezia Giulia, 1979. Manzoni, Alessandro. I Promessi Sposi. Milano: Principato, 1976. 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Keywords: Girolamo Muzio, Counter-Reformation, Capodistrian writers, the “hammer of the heretics”, The Duel. Bibliografia Bonora, Ettore. “Il classicismo dal Bembo al Guarini.” In Storia della Letteratura Italiana. Il Cinquecento. Vol. IV. Milano: Garzanti, 1966. Borsetto, Luciana. “Introduzione”. In Muzio Girolamo: Lettere. (Ristampa anastatica dell‘edizione Sermartelli 1590). Bologna: Forni, 1985. Borsetto, Luciana. “L’Ufficio di scrivere 'in suggetto di honore'. Girolamo Muzio 'duellante' 'duellista'.” Acta Histriae, IX (2000): 139-158. Botteri, Inge. Galateo e Galatei. Roma: Bulzoni, 1999. Cherini, Aldo e Paolo Grio. Le famiglie di Capodistria: notizie storiche ed araldiche. Trieste: Famea Capodistriana, 1998. Croce, Benedetto. “Scritti di storia e politica.” In Poeti e scrittori del pieno Rinascimento. Vol. I. Bari: Laterza, 1945. Di Brazzano, Stefano. “Girolamo Muzio e Pietro Bonomo.” In Atti e memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria. Vol. 99. 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