271 Paola Desideri* UDK 81Spitzer L:821.131.1-6’’1914/1918’’ Mariapia D’Angelo** DOI: 10.4312/linguistica.58.1.271-282 Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara LA VOCE DELLA GRANDE GUERRA: LE LETTERE DEI PRI- GIONIERI ITALIANI RACCOLTE DA LEO SPITZER 1 Il vocabolario della guerra è fatto dai diplomatici, dai militari, dai potenti. Dovrebbe essere corretto dai reduci, dalle vedove, dagli orfani, dai medici, dai poeti. Arthur Schnitzler 1. TIPOLOGIA E STATUTO LINGUISTICO-COMUNICATIVO DELLE LETTERE Nell’impeccabile traduzione di Renato Solmi, nel 1976 apparve per la prima volta in Italia l’opera pionieristica Italienische Kriegsgefangenenbriefe. Materialien zu einer Charakteristik der volkstümlichen italienischen Korrespondenz di Leo Spitzer (1921), pubblicata in lingua originale a Bonn a tre anni dal termine della Grande Guerra, un immenso massacro che, di fatto, coinvolse nei campi di battaglia tutte le grandi poten- ze europee provocando lo sterminio della gioventù di fine Ottocento 2 . A distanza di quarant’anni dalla sua prima comparsa per i tipi di Boringhieri, vengono riproposte nel 2016 le Lettere di prigionieri di guerra italiani in una veste più ricca e approfondita, una vera e propria pietra miliare della linguistica e della storiografia. * paola.desideri@unich.it ** mariapia.dangelo@unich.it 1 Il presente contributo è stato concepito ed elaborato unitariamente dalle autrici. Si precisa tutta- via che il § 1 è di Paola Desideri e il § 2 è di Mariapia D’Angelo. I Riferimenti bibliografici sono comuni. 2 Sull’operazione altamente simbolica del culto del soldato caduto, quale risposta risarcitoria elab- orata dalla collettività per rispondere, con ritualizzate ricorrenze, alla tragicità della morte di massa della Grande Guerra con i suoi oltre 600.000 morti, imprescindibile è Mosse (1990 [1990: 79-118]). Sulla formazione di questa esaltata “religione” del sacrificio della propria vita per l’amata Madre Patria, con tutta la potenza retorica e patriottico-valoriale dell’autocelebrazione e dell’autorispecchiamento dello Stato resi tangibili attraverso l’erezione capillare in ogni lo- calità d’Italia di monumenti commemorativi, di steli, lapidi, cippi, cappelle votive, di Parchi della Rimembranza e sacrari dedicati ai caduti-eroi (per culminare a Roma con l’edificazione dell’Altare della Patria, sacro custode a perenne memoria delle spoglie del Milite Ignoto, quel soldato “senza volto e senza nome” rappresentante di tutti i militari morti in guerra il cui fer- etro fu trasportato su uno speciale convoglio ferroviario da Aquileia nella capitale con solen- nità e grande partecipazione popolare), cfr. Leoni/Zadra (1986), Isnenghi (1989, 1997). Nello specifico, circa le strutture e i meccanismi linguistici del discorso encomiastico delle epigrafi dei monumenti celebrativi, discorso peraltro molto antico risalente ai modelli letterari greci a partire dal VII secolo a.C., cfr. Desideri (1995). Linguistica_2018_FINAL_2.indd 271 13.3.2019 13:40:42 272 “La corrispondenza popolare di guerra non è fatta proprio per i palati più raffinati” (Spitzer 1921 [2016: 365]), in quanto espressione delle rozze e sgrammaticate missive, sebbene sorprendentemente dotate di inaspettata creatività linguistica, redatte da quelli che furono gli autentici ed unici protagonisti della prima guerra mondiale, vale a dire quei soldati semplici, analfabeti o semianalfabeti figli anonimi delle classi subalterne, testimoni e vittime della tragicità dell’evento bellico. Infatti, non a caso, Edoardo Sanguineti (2009: 181-183) cita il grande filologo ro- manzo e maestro della critica stilistica (con Karl Vossler, al quale è dedicato il volume delle Lettere, e Benedetto Croce) tra i cento autori maggiormente rappresentativi della cultura del Novecento, annoverando appunto le Lettere di prigionieri di guerra ita- liani quale esemplare raccolta di scritture illetterate redatte in circostanze disumane, fonte di preziose informazioni sull’uso autentico dell’italiano popolare e dei dialetti dell’epoca. Le Lettere costituiscono in assoluto il laboratorio linguistico-comunicativo più ragguardevole e omogeneo attestante la voce di milioni di uomini, di provenienza geografica molto diversa, ma partecipi collettivamente, per la prima volta nella storia del Paese, alle drammatiche vicende del giovane Stato nazionale 3 . Divenuto libero docente nel 1913, con l’entrata in guerra dell’Impero austro-ungarico nell’anno successivo, nel settembre del 1915 il geniale allievo di Wilhem Meyer-Lübke fu richiamato alle armi e assegnato dal Ministero della Guerra asburgico all’Ufficio Cen - trale Comune di Informazioni sui Prigionieri di Guerra come direttore di uno dei reparti più importanti della censura postale di Vienna, quello dedicato alla sezione italiana, in - carico che ricoprì per più di tre anni fino alla conclusione dell’evento bellico (novembre 1918). In tale duplice e inconsueta veste di censore-filologo, pur obbedendo al dovere militare verso il principio difensivo e informativo, nel vagliare le migliaia e migliaia di lettere per eliminare i passaggi più delicati che non potevano essere né letti né compresi dai parenti in patria per ragioni di sicurezza, Spitzer ebbe l’opportunità unica e straordi - naria di controllare quotidianamente una quantità esorbitante di missive 4 prodotte da due categorie di soggetti: quelle scritte e ricevute dagli italiani del Regno, cioè dai prigionieri di guerra e dagli internati italiani in territorio austro-ungarico; quelle scritte e ricevute dai prigionieri di guerra e dagli internati italo-austriaci (trentini, friulani, triestini, istriani e dalmati, sudditi italofoni dell’impero sovranazionale asburgico). Il nucleo più ingente della corrispondenza risale al bimestre ottobre-novembre 1915 e costituisce la parte preponderante del Rapporto 5 presentato dal Privatdozent – come 3 Sul ruolo decisivo della Grande Guerra nella formazione di una koinè linguistica nazionale, cfr. De Mauro (1970a: 59-65, 1970b: 107-109). In particolare, sul contributo linguistico apportato al vocabolario italiano dai combattenti semicolti nelle trincee del primo conflitto mondiale, cfr. Renzi (1966), Sanga (1980), Gibelli (2016). 4 Secondo i dati ufficiali delle Poste, negli anni della prima guerra mondiale in Italia furono scam- biati ben 4 miliardi di lettere e cartoline. 5 Tale Bericht, conservato nella sua originale redazione dattiloscritta di oltre 170 cartelle con le correzioni manoscritte spitzeriane, è stato utilmente reperito presso il Kriegsarchiv di Vienna da Albesano (2015, 2016), che ha potuto così recuperare i nomi e i cognomi dei mittenti e dei destinatari ridotti dall’autore alle sole iniziali puntate. Linguistica_2018_FINAL_2.indd 272 13.3.2019 13:40:42 273 si è qualificato lo stesso Spitzer – ai superiori della direzione della censura nel febbraio del ’16. Agli occhi del filologo romanzo si era presentata un’occasione irripetibile: quella di coniugare con il prioritario dovere militare la ricerca originalissima sull’ita- liano dell’uso, attraverso un corpus autentico e unico nel suo genere consistente nel- la marcata prevalenza dei testi prodotti dagli italiani del Regno internati nei territori asburgici. Infatti così scriveva “entusiasticamente” al più anziano e autorevole Hugo Schuchardt il 23 novembre 1915 (Lucchini 2008: 214): […] io sono entusiasta della cosa e cerco di conciliare il puro interesse umano con quello scientifico – e soprattutto – questo è il più difficile! – con la necessità dello stato; inoltre raccolgo specialmente campioni originali dal punto di vista psico- logico e dialettologico e forse da questo lavoro si cristallizzerà un’intera relazione. Il censore si era imposto di procedere molto alacremente: egli per due mesi ricopiò centinaia di testi ordinando i passi scelti per argomento soltanto al di fuori delle ore d’ufficio, o durante gli intervalli, oppure ancora dopo il termine del lavoro per non ritar- dare l’inoltro delle missive; comunque continuò a registrare, a commentare e ad anno- tare con zelo, fino alla conclusione della guerra, le formule stereotipate, le strutture lin- guistiche, le originali neoformazioni retorico-lessicali e le interferenze con i numerosi e onnipresenti dialetti 6 . Si tratta di una preziosa sìlloge di documenti epistolari (Morlino 2016) acutamente commentata da Spitzer che testimonia il rapporto tra dialetto rustico, dialetto cittadino, italiano popolare e italiano standard 7 , un rapporto spesso conflittuale alla base della storia linguistica dell’Italia postunitaria. Convinto assertore che sia le forme vive e concrete del parlato sia la lingua aulica dei singoli autori (esemplari le ricerche condotte sulla scrittura letteraria: da Rabelais, ogget- to della tesi dottorale, alle innovazioni sintattiche dei simbolisti francesi, da Malherbe a Proust, ecc.) costituiscano un unico e poliedrico organismo linguistico, in soli tre anni si deve a Spitzer (1920, 1921, 1922) la pubblicazione della celebre trilogia sulla lingua italiana relativa alle forme del parlato-scritto, alle dinamiche della conversazione, alla natura del dialogo, insomma alla lingua intesa nei suoi più autentici aspetti azionali e pragmatici, ivi compreso il rapporto norma/scarto in tutte le sue varietà linguistiche. Il corpus delle Lettere conta complessivamente circa 630 materiali di epistologra- fia popolare di guerra selezionati per campi semantici ricorrenti e raccolti in capitoli tematici 8 , dei quali 380 prodotti dagli italiani del Regno e 250 realizzati dagli italofoni 6 Sulle modalità con cui i documenti furono raccolti e sull’organizzazione della sezione censu- ra dell’Ufficio centrale comune d’informazioni sui prigionieri di guerra a Vienna, cfr. Spitzer (1920). 7 Per un’analisi particolareggiata delle caratteristiche formali e testuali dell’italiano popolare, o dei semicolti, e della sua evoluzione, cfr. Vanelli (2016). 8 Si va dalle forme di saluto al ricordo, dall’attesa dell’agognata pace al sogno, dagli affetti più cari familiari e amicali alla rassegnazione, dalle richieste pressanti di informazioni, generi alimentari e vestiario alla fame divorante, dal prevalente rapporto con la censura all’umorismo e all’amore inteso in tutte le sue manifestazioni. Viene così a configurarsi compiutamente il profilo psico- Linguistica_2018_FINAL_2.indd 273 13.3.2019 13:40:42 274 d’Austria, comunque tutti redatti da prigionieri, internati, disertori, confinati e dai loro familiari. Come tali, essi rispecchiano la condizione degradata dell’essere umano in cattività e non mancano di esibire le reazioni emotive e i comportamenti tipici del recluso. Per ammissione dello stesso Spitzer nell’incipit del volume, “Introduzione. Considerazioni sulla lingua e sull’ortografia” (1921 [2016: 69]), con queste parole vie- ne valutata la superiore qualità testuale delle missive italiane rispetto a quelle redatte in altre lingue romanze, come ad esempio il romeno: […] la fisonomia d’insieme della corrispondenza italiana è completamente di- versa da quella, per esempio, della corrispondenza romena, e nel nostro ufficio la prima, anche per la combinazione del talento letterario con una certa qual natu- ralezza sana e intatta del popolo italiano, era considerata fra le più interessanti. Laddove l’abilità semantico-retorica dei prigionieri italiani ha fornito inaspettate prove di creatività epistolare è sicuramente quella delle pratiche linguistiche messe in atto per eludere la censura, dando luogo a forme ingegnose e originali di eufemismo e di interdizione verbale 9 . Gli umili scriventi, forti però della condivisione con i propri destinatari di un sapere previo costituito da locuzioni dialettali e colloquiali, modi di dire ed esperienze comuni, potevano, ricorrendo ad impliciti e a presupposizioni diffi- cilmente riconoscibili e interpretabili dagli addetti alla censura, evitare la cancellazione dei messaggi clandestini. Spesso è proprio la cornice testuale dei saluti a nascondere pressanti richieste di alimenti, come nel caso di questa lettera da Zavidovic a Offida (AP): “[…] o piacere che misaluto tutti i signori di Ofida ma io coi saluti non cidivento sazio conzidere cuesta parola e non oche dirti” (Spitzer 1921 [2016: 125]). È da segna- lare che nel libro sulle circonlocuzioni (Spitzer 1920) numerosi sono gli esempi in cui i saluti rappresentano lo spazio privilegiato per trasmettere ai riceventi lagnanze a causa della fame, la vera grande nemica dei prigionieri italiani, argomento questo particolar- mente affrontato nel paragrafo successivo. Non a caso il dialetto, proprio per la sua natura di codice ignoto ai censori, assume frequentemente la funzione criptolalica di lingua segreta, come viene sottolineato an- che metalinguisticamente nella seguente missiva inviata da Szeged a Treviglio (BG): E. me. Ta scrie nel nost dialet per fat sai che duè sa troe me ma fa pati la fam e ma fa dè toc ì laur se ta fudesset an duè satroe me ta restet in cantada E. ta ma eviiset [?] po se so Fredo se o no ma da an chilo de pa an quater de. Se garie avegn a ca logico ed etno-antropologico del prigioniero e dell’internato italiano di guerra (Disanto 2016), a cui comunque Spitzer guardò sempre con rispetto e comprensione in nome di quel pacifismo militante e di quell’atteggiamento anti-nazionalistico che contraddistinsero il suo socialismo umanitario fin dagli anni giovanili. Relativamente all’interesse spitzeriano verso temi libertari come l’antimilitarismo, la censura di guerra, l’ipocrisia istituzionale, si vedano gli stimolanti articoli pubblicati nel 1919 sulle riviste viennesi di sinistra Die Wage e Der Friede. 9 Per un esame delle strategie semantiche, dei meccanismi retorici e delle operazioni pragmatico- comunicative, cfr. Desideri (2001). Cfr. inoltre l’interessante analisi di Renzi (2016). Linguistica_2018_FINAL_2.indd 274 13.3.2019 13:40:42 275 te cunte tet che l eo pasat me la salut sto be ma go fam ta salude te e basi to A. Salut la to Famiglia e la me Salut toc A. (Spitzer 1921 [2016: 92]) I vari dialetti dunque veicolano gli enunciati più trasgressivi riguardanti lamen- tele per la fame e per il trattamento, immagini sessuali, allusioni politiche: un vero e proprio linguaggio cifrato per aggirare la censura e quindi la conseguente epurazione. Altrettanto interessanti sono le figure retoriche del suono e del senso per alterare le in- formazioni logistiche sulle località e sui movimenti delle truppe. Per esempio, tramite lo pseudoiperbato, una figura della permutatio, la città di Gorizia diventa zia Gori o Gorina, Trieste si trasforma in zia Esterina. Invece, attraverso il meccanismo retorico dell’aferesi fondato sulla detractio, la Transilvania si modifica in Silvania. Spitzer non manca di annotare anche interessanti manifestazioni dialogiche di au- tentiche captationes benevolentiae indirizzate alla figura anonima del censore, oggetto di accattivanti operazioni persuasive e pragmatiche, come nella lettera seguente inviata da Ala a Nomi, esemplare per la forma allocutiva e interattiva (tu Censura) e per il registro linguistico degno della migliore cortesia epistolare di maniera: “Censura Ca- rissima, Se tu sapessi Censura cara che cosa brutta è vivere lontani dai suoi privi di notizie Dunque ti prego invia presto questa mia onde possa portare consolazione e gioia ai poveri profughi lontani” (ivi: 315). Il libro di Spitzer è decisamente un unicum, un libro “dal basso”: autorevole e irri- petibile testimonianza dei disperati tentativi di scrittura in italiano dei veri protagonisti della Grande Guerra. 2. SUI MOTIVI DELLE UMSCHREIBUNGEN DES BEGRIFFES “HUNGER” Nelle note introduttive, Spitzer colloca esplicitamente lo studio stilistico-onomasiolo- gico 10 sulle circonlocuzioni del concetto di fame nell’orizzonte di ricerca della Motiv- und Wortforschung, in riferimento ad un lavoro pubblicato due anni prima sui compo- nimenti poetici di Christian Morgenstern 11 . Con una suggestiva sintesi, l’autore anticipa 10 Sempre nell’introduzione Spitzer (1920: 3) ribadisce il primato della dimensione stilistica su quella onomasiologica del volume, considerato “[…] anche e soprattutto, un lavoro di stilistica poiché raccoglie le circonlocuzioni della parola fame e mostra come, sotto l’influsso della censu- ra, entri in gioco un cambiamento di nome […]” (nell’originale: “[…] sie ist auch und vor allem eine stilistische, indem sie eben die Umschreibung des Wortes Hunger darlegt und uns zeigt, wie unter dem Einfluβ der Zensur Namenwechsel eintritt […]”). D'ora in avanti, se non diversamente indicato, i corsivi sono dell’autore e la traduzione in italiano è nostra. 11 Nel 1918 Spitzer pubblica il volume Motiv und Wort. Studien zur Literatur- und Sprachpsyco- logie assieme al collega Hans Sperber, anch’egli allievo del romanista Meyer-Lübke al quale viene dedicato il lavoro. La prima parte, a firma di Sperber, verte sulle opere dello scrittore austriaco Gustav Meyrink, mentre la seconda parte a cura di Spitzer è dedicata alle liriche di Morgenstern (Die groteske Gestaltung- und Sprachkunst Christian Morgensterns). Sull’apporto di Sperber nello sviluppo del concetto di “motivazione psicologica” nell’ambito della semantica storica spitzeriana rinviamo a Maas (1988) e Radtke (2000). Ci limitiamo qui a ricordare il pro- gressivo allontanamento di Spitzer dalla concezione filologica positivista del Maestro Meyer- Lübke, già a partire dal lavoro sui neologismi di Rabelais (1910), e l’interesse per le posizioni Linguistica_2018_FINAL_2.indd 275 13.3.2019 13:40:42 276 gli esiti delle proprie analisi affermando che le numerose lamentele per fame rinvenute nella corrispondenza dei prigionieri di guerra italiani possono essere “riconducibili, in realtà, a pochi tipi (motivi), per quanto sussistano infinite variazioni, e che questi tipi ri- affiorano sempre come un paio di Leitmotiv, si impadroniscono delle parole, le mutano e le tramutano, creandone di nuove” (ivi: 4) 12 . Un incalzante climax verbale prefigura la potenza creatrice dei motivi sulle parole presentando il criterio tassonomico del vo- lume, il cui intento ermeneutico viene posto sullo stesso piano delle indagini sui motivi della Sprachkunst del poeta bavarese 13 . Le minuziose analisi delle circonlocuzioni censurate si sviluppano nel secondo ca- pitolo, articolato in venti paragrafi dedicati a ciascuno dei Grundtypen 14 individuati, da intendersi sia come ‘tema’, sia come spinta generatrice delle infinite varianti riscontra- te, un’accezione questa a cui allude indirettamente il richiamo agli studi sulle innova- zioni linguistiche di Morgenstern. A tal riguardo, ricordiamo che le acute analisi spit- zeriane hanno saputo per prime evidenziare il problema dei limiti della denominazione, della casualità del rapporto che governa le parole e i significati ad esse attribuiti dagli uomini, quale motivo di fondo delle creazioni linguistiche del ‘poeta del nonsenso’. È questo l’assioma di base che le imprescindibili analisi del critico viennese hanno rile- vato nel tessuto poetico morgensterniano, caratterizzato da una profonda opposizione alle norme del sistema linguistico corrente e composto in base a regole create dallo teoriche sull’evoluzione linguistica avanzate da Schuchardt e Vossler, incentrate sulle deviazioni individuali della norma, sugli usi artistici e creativi della lingua. Nel novero degli studi ricon- ducibili all’ambito della Motiv- und Wortforschung Spitzer stesso menziona, oltre al già citato saggio su Morgenstern, l’articolo su Barbusse, nonché gli studi su Philippe, Romains, Péguy e Proust, questi ultimi quattro pubblicati nel 1928 nel secondo volume della raccolta Stilstudien; cfr. Aschenberg (1984). 12 “[…] es wird sich nämlich zeigen, daβ die ungeheure Zahl von verblümten Hungerklagen sich auf wenige Typen (Motive) reduziert, die nun allerdings in unzähligen Variationen vertreten sind, und wie paar Leitmotive immer wieder auftauchen, sich der Worte bemächtigen und diese abwandeln, umwandeln, deren neue schaffen”. 13 Per una trattazione diffusa dell’analisi spitzeriana delle raccolte di poesie Galgenlieder, Palma Kunkel e Palmström di Morgenster, si veda Aschenberg (1984), mentre rinviamo allo studio di Liede (1992: 273 sg.) per un approfondimento sulla critica del linguaggio morgensterniano, riconducibile alla Sprachskepsis di Mauthner e alle filologiche speculazioni sui limiti della de- nominazione di Nietzsche, filosofo al quale il giovane poeta aveva dedicato la raccolta di poesie In Phantas Schloß nel 1895 e del quale avrebbe recensito lo scritto Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne (Su verità e menzogna in Senso extramorale) l’anno successivo. 14 Il primo capitolo attiene al reperimento dei materiali epistolari, al valore di questi ultimi e alla descrizione delle attività censorie (v. nota 6 del presente contributo), mentre i venti paragrafi del II capitolo riguardano: 1. la parola fame e il suo nascondimento; 2. appetito come eufemismo di fame; 3. attributi personificati; 4. ‘salute’. ‘igiene’ ‘cure’, ecc.; 5. ‘aria’ – ‘vento’; 6. malattie; 7. stati fisici; 8. pratiche religiose; 9. santi; 10. musica; 11. ‘danza’ – ‘gioco’; 12. ‘letture’ – ‘stu- dio’; 13. ‘caccia’ – ‘animali’; 14. ‘strumenti tecnici’ – ‘articoli di consumo’; 15. denominazioni geografiche; 16. profezie e auspici; 17. descrizione dei generi alimentari – effetto dei pacchi; 18. allusioni locali; 19. dialetti locali; 20. costruzioni sintattiche e scrittura come espedienti crittogra- fici; 21. tipi etimologicamente non chiari e isolati. Linguistica_2018_FINAL_2.indd 276 13.3.2019 13:40:42 277 scrittore stesso, in grado di realizzare “innovazioni” che al lettore possono forse, an- ch’esse, apparire casuali, ma che per l’artista sono artisticamente necessarie” (Spitzer 1918: 96, in Concetti 2010: 4, corsivo nostro). Di rilievo è che le originali creazioni pre-espressionistiche del poeta non vengono definite dal nostro come neologismi, bensì come “adattamenti del significato alle parole già esistenti” 15 , un tratto questo riscontra- bile anche nelle produzioni gergali escogitate dai prigionieri di guerra italiani, i quali hanno trasferito il significato di ‘fame/ho fame’ alle allegorie, alle locuzioni dialettali, alle espressioni idiomatiche e ai vari elementi del sermo cotidianus condiviso con i destinatari (Desideri 2007). In questo caso, l’urgenza di essere compresi dai familiari e di ricevere quindi al più presto spedizioni di generi alimentari, impediva agli scri- venti di allontanarsi troppo “dal patrimonio di parole del gergo e delle metafore usate anche in patria”, poiché “soltanto nella variazione e nell’adattamento degli antichi tipi lo scrivente poteva dar sfogo alla sua creatività” (Spitzer 1920: 252). Più volte sono riscontrabili documenti epistolari attestanti ad esempio lo sviluppo del tema mediante descrizioni dettagliate, oppure per mezzo di varianti in un qualche modo legate all’e- spressione in codice originaria: una volta diffusosi l’uso delle parole musica e suonare per indicare la fame, vengono impiegate anche suonare la cetra, il mandolino, ecc., secondo il principio della dérivation synonymique già teorizzato da Schwob e Guieysse per le locuzioni dell’argot francese. L’estro creativo dei singoli scriventi doveva rimanere circoscritto entro il margine dei “motivi forniti dalla lingua e dal sentire comune”, riepiloga Spitzer, paragonando il progressivo diffondersi di una nuova espressione in codice al modo di procedere in avanti delle forze militari dispiegate in battaglia. Così come l’avanzamento delle truppe è condizionato dalle incursioni coraggiose, dalle sortite dei gruppi d’assalto nel terri- torio nemico, allo stesso modo gli scriventi più audaci producono una “spinta seman- tica in avanti” che “si auto-supera e incontra il proprio limite solo nell’intelligibilità” (ivi: 279). Quando, però, i testi raccolti e analizzati con filologica perizia rivelano uno spingersi troppo in avanti, lo studioso si interroga sulle ragioni che hanno condotto lo scrivente a tradirsi, quasi ad auto-consegnarsi alla censura, ad esempio ripetendo più volte la stessa lamentela (Millesimo, Savona: Basina, Spazzola e Sgaiosa sono tutti e tre con me; ivi: 256), o ancora esplicitando il senso della circonlocuzione adottata (Como: qui si vede l’orso bianco, cioè la fame; ivi: 257). Se nel capitolo conclusivo del volume delle Lettere Spitzer ricostruisce un modello epistolare tipo elaborato sulla base delle missive collezionate, nel volume sulle Hungerumschreibungen si trovano esempi prodotti dagli scriventi stessi contenenti molti dei motivi classificati dal filologo-cen- sore. È questo il caso della seguente lettera indirizzata verso una località nel comasco: Non so in che modo devo scrivere per farvi capire a voi tutti. – Ogni volta che mi scrivete mi dite cosa mi fabisogno. E sedici mesi e undici giorni che sono quì è sono sedici mesi e undici giorni che vi scrivo di continuo che si vede la volpe, che si soffre la spazzola che fanno vedere la sgaiusa che la salute è buona è lapetito 15 “[…] nicht ‛Wortkonstruktion’, sondern ‛Sinnesadaptierung’ an die bestehende Worte liegt vor” (Spitzer 1918: 96). Linguistica_2018_FINAL_2.indd 277 13.3.2019 13:40:42 278 ciè sempre, che ciò qui mio compagno Ugulini non vole mai bandonarmi, non so in che modo a farla intendere quando viò detto queste cose mi pare che non fa più bisogno di domandarmi quello che abbisogna (Spitzer 1920: 256; corsivo nostro). Tra le diverse circonlocuzioni della fame figurano qui espressioni idiomatiche (spazzola), dialettali (sgaiusa), eufemistiche (appetito), nonché il richiamo alla tra- gica “morte per fame” del Conte Ugolino della Gherardesca (Dante, Inferno, XXII- I) 16 . Nel commentare il brano sopra riportato Spitzer attribuisce la ridondante, nonché compromettente, compresenza di espressioni cifrate al desiderio di dare sfogo ad una disperazione infinita, un angosciante sentire che prevale su tutto, persino sulle finalità crittografiche dello scritto. In altre occasioni, invece, i numerosi esempi di ‘auto-tradi- mento’ dei prigionieri nei confronti della censura sono riconducibili secondo Spitzer ad un istinto del gioco, ad un voler “giocare a fare i misteriosi” (Spitzer 1920: 263) in accordo con le tesi dell’antropologo viennese Lasch (1907: 162), secondo il quale sia “il desiderio del divertimento e del gioco”, sia “l’istintiva propensione alla socievolez- za o all’unirsi in società segrete” possono essere considerati fattori determinanti nella formazione e nello sviluppo dei linguaggi gergali 17 . Nel distanziansi dalle posizioni di Gilliéron, al quale contesta di prendere “mag- giormente in considerazione gli impulsi logici nella lingua anziché quelli fantasiosi”, Spitzer afferma che sebbene le variazioni fantasiose di “ho fame” siano generate in funzione di una necessità logica, ovvero nell’intento di eludere l’interdizione imposta dalla censura, gli esempi del corpus attestano che gli scriventi, nel corso delle lun- ghe detenzioni, siano diventati preda di un istinto artistico da cui erompono fioritures lexicologiques. Le estrose variazioni di “ho fame” formulate ai prigionieri italiani si configurano quindi come il prodotto di un antinomico impulso logico-fantasioso, de- scrivibile compiutamente con l’assunto schuchardtiano “la lingua nasce dalla necessità e culmina nell’arte” (Schuchardt 1919: 865). 16 Spitzer si sofferma più volte sulla circonlocuzione di dantesca memoria, che rappresenta senz’altro uno dei motivi più produttivi nelle corrispondenze dei soldati, nelle quali è addirittura attestata la voce verbale ‘ugolinare’, metalinguisticamente commentata dallo scrivente stesso, come leggiamo nella missiva seguente indirizzata a Napoli: “qui si ugolina abbastanza, non ave- vo ancora gustato l’effetto di questo bel verbo. Con senso di rammarico da carissimo leggevo quel canto del ghibellino, ed ora purtroppo tocca fargli un po di serena compagnia” (Spitzer 1920: 163). Dai copiosi riferimenti al noto episodio del XXIII Canto dell’Inferno, inoltre, ebbe origine una locuzione gergale diffusasi tra i censori stessi: rimediare Dante, nel senso di censu- rare un’allusione al Conte Ugolino (ivi: 164). Si tratta di un divertente calembour, poiché il verbo remedieren viene usato in tutto il volume col significato di cancellare/censurare, come chiarisce Spitzer riguardo all’organizzazione del reparto presso cui era comandato, in cui le lamentele per fame “venivano cancellate con una macchia di inchiostro nero (“remediert”), oppure venivano rispedite ai campi” (ivi: 5). 17 A sostegno e conferma di tale tesi, il Nostro fa menzione di fenomeni simili riscontrati dal Dauzat nelle missive dei prigionieri di guerra francesi in Germania, come pure fa riferimento agli studi di Lombroso (1896: 548) sul gergo della malavita a proposito della “creazione di certe parole, come attività di trastullo nell’ozio delle lunghe detenzioni”. Linguistica_2018_FINAL_2.indd 278 13.3.2019 13:40:43 279 Lo studio del motivo sulla parola, nella duplice accezione di motivo, inteso da un lato come tema che si impossessa della penna dei corrispondenti fino a produrre infinite varianti, dall’altro, come radix psicologica che presiede a determinate scelte morfo- sintattiche o lessicali, conduce continuamente il discorso nell’intersezione tra critica letteraria e analisi linguistica. Paradigmatiche in tal senso, le sottili osservazioni sulla figura retorica dell’allegoria che per Spitzer consta nella “creazione poetica di un es- sere immaginario dotato di vita propria”, distinto dall’organismo senziente che l’ha generato, per cui è come se “io ho fame” diventasse “la fame mi ha (tirannizzato, si è impadronita di me)” 18 . In questa prospettiva, le infinite declinazioni della Signora Fame, della Sgaiusa, del Tenente Appetito impiegate dai prigionieri italiani, vengono magistralmente accostate da Spitzer alle immagini allegoriche della fame rappresentate nelle grandi opere della letteratura francese medioevale, il Roman del la Rose, e rina- scimentale, il Quart Livre del Pantagruel di Rabelais (ivi: 288-301). L’interesse scientifico per il momento psicologico, per le ragioni delle innovazioni linguistiche del furbesco degli umili scriventi italiani si intrecciano di continuo con la messa in luce del valore artistico del materiale epistolare raccolto. Nel riconoscere l’attenzione che da sempre i linguisti riservano al popolo, il censore-filologo auspica una maggiore attenzione anche da parte degli studiosi di letteratura, sinora unicamente interessati all’analisi stilistica di opere letterarie eccelse, “mentre una discussione sullo stile popolare non viene affrontata, oppure viene liquidata con l’aggettivo ‘popolare’, misero epiteto collettivo, spesso carico di una connotazione peiorativa” (ivi: 272). Di contro, a distanza di quasi un secolo dalla pubblicazione, le Lettere e lo Studio stilisti- co-onomasiologico sulle perifrasi della fame rappresentano ancora oggi una preziosa testimonianza “di quanta ‘arte’, calcolo, e raffinement” fossero presenti nei documenti scritti dal popolo (ibid.). Fonti primarie SPITZER, Leo (1918) “Die groteske Gestaltungs- und Sprachkunst Christian Morgensterns. Mit einem bisher unveröffentlichten Briefe des Dichters.” In: H. Sperber/L. Spitzer, Motiv und Wort. 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Linguistica_2018_FINAL_2.indd 279 13.3.2019 13:40:43 280 SPITZER, Leo (2007) Lingua italiana del dialogo. Trad. Livia Tonelli; a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre. Milano: Il Saggiatore. [Versione italiana di Spitzer (1922).] Riferimenti ALBESANO, Silvia (2015) “Leo Spitzer: un dattiloscritto ritrovato e l’officina delle opere sui prigionieri di guerra.” Strumenti critici 30/1, 63-83. ALBESANO, Silvia (2016) “Interventi sul testo.” In: Spitzer (2016), 425-433. ASCHENBERG, Heidi (1984) Idealistische Philologie und Textanalyse. Zur Stilistik Leo Spitzers. Tübingen: Narr. CONCETTI, Riccardo (2010) “Romanisti a Vienna nel primo Novecento: Spitzer e Hofmannsthal a confronto.” In: I. Paccagnella/E. Gregori (a cura di), Leo Spit- zer: lo stile e il metodo. Atti del XXXVI Convegno Interuniversitario di Bres- sanone (Brixen/Bressanone - Innsbruck - 10-13 luglio 2008). Padova: Esedra, 33-47. DE MAURO, Tullio (1970a) “Per lo studio dell’italiano popolare unitario.” In: A. 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Riassunto LA VOCE DELLA GRANDE GUERRA: LE LETTERE DEI PRIGIONIERI ITALIANI RACCOLTE DA LEO SPITZER Dal settembre 1915 alla fine del primo conflitto mondiale, il romanista viennese Leo Spitzer fu comandato presso la sezione Censura dell’Ufficio centrale d’informa- zione sui prigionieri di guerra austriaco, con l’incarico di vagliare la corrispondenza dei prigionieri italiani. In questa insolita duplice veste di censore-filologo, egli ha avuto modo di collezionare la prima e più ampia documentazione di testi scritti ita- liani di matrice popolare, in una fase cruciale per la storia linguistica del Paese. La prima parte del presente contributo verte sullo statuto linguistico-comunicativo del materiale epistolare raccolto e analizzato nel volume intitolato Italienische Kriegsge- fangenenbriefe, pubblicato da Spitzer nel 1921 e tradotto in italiano nel 1976 (Lettere di prigionieri di guerra italiani), mentre la seconda parte è dedicata allo studio sti- listico-onomasiologico sulle circonlocuzioni per esprimere la fame, Die Umschrei- bungen des Begriffes «Hunger» im Italienischen (1920), con riferimento al lavoro spitzeriano Motiv und Wort del 1918. Parole chiave: Spitzer, lettere, prigionieri italiani, censura, fame Linguistica_2018_FINAL_2.indd 281 13.3.2019 13:40:43 282 Abstract THE VOICE OF THE GREAT WAR: ITALIAN PRISONERS’ LETTERS COLLECTED BY LEO SPITZER From September 1915 until the end of the First World War, the Viennese Romance scholar Leo Spitzer was dispatched to the Censorship section of the Austrian Central Bureau of Information on Prisoners-of-War, where he was in charge of examining the correspondence of the Italian prisoners. In the unusual dual role of censor and philologist, he was the first to collect extensive documentation of popular Italian written texts during a crucial period of Italian linguistic history. The first part of the present paper focuses on the linguistic and communicative properties of the letters included and analyzed in the volume Italienische Kriegsgefangenenbriefe, published by Spitzer in 1921 and trans- lated into Italian in 1976 (Lettere di prigionieri di guerra italiani), whereas the second part deals with stylistic and onomasiological aspects of the circumlocutions expressing hunger, on the basis of Spitzer’s study Die Umschreibungen des Begriffes “Hunger” im Italienischen (1920) and with reference to his work Motiv und Wort (1918). Keywords: Spitzer, letters, Italian prisoners, censorship, hunger Povzetek GLAS VÉLIKE VOJNE: PISMA ITALIJANSKIH ZAPORNIKOV, KI JIH JE ZBRAL LEO SPITZER Septembra 1915 je bil dunajski romanist Leo Spitzer poslan v cenzurni oddelek avstrijskega centralnega urada za informacije o vojnih ujetnikih, kjer je bil do konca vojne zadolžen za pregledovanje korespondence italijanskih ujetnikov. Spitzerju, ki se je v ključnem obdobju italijanske jezikovne zgodovine znašel v tej neobičajni dvojni vlogi cenzorja in filologa, je uspelo zbrati prvi in izjemno obsežen korpus dokumentov, sestavljen iz italijanskih besedil, za katera je značilna neknjižna jezikovna raba. Prvi del članka se ukvarja z jezikovno-komunikacijskimi lastnostmi pisemskega gradiva, zbranega in analiziranega v knjigi Italienische Kriegsgefangenenbriefe, ki jo je Spitzer objavil leta 1921 in ki je izšla v italijanskem prevodu leta 1976 (Lettere di prigionieri di guerra italiani). V drugem delu pa so s stilistične in onomaziološke perspektive obrav- navani indirektni izrazi za lakoto, in sicer na osnovi Spitzerjevega dela Die Umschre- ibungen des Begriffes “Hunger” im Italienischen (1920) in ob upoštevanju njegovih ugotovitev v študiji Motiv und Wort (1918). Ključne besede: Spitzer, pisma, italijanski ujetniki, cenzura, lakota Linguistica_2018_FINAL_2.indd 282 13.3.2019 13:40:43