! Soldi IO al numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale— Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 75 — 25 settem. 76 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia il s I CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirai. Non bì restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte, il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore I l'integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costarne ei energia, al tero, all'equità, alla moderatala. ANNIVERSARIO — 13 Agosto 1763 — Nasce Teresa Randettini-Landuccl. — (V. Illustrazione.) CENNO STORICO DELLA SERBIA ( V. il AT. precedente). Giorgio Petrovich o Giorgio Kara, dai più conosciuto sotto il nome di Giorgio il Nero, capitaneggiò nel 1801 una rivolta cagionata dalle angario e dalle crudeltà dei governatori turchi, e soccorsa dalla Russia mercè i di lui negoziati. Il Sultano dovette fare, precedute da armistizio, delle considerevoli concesioni. dietro le quali Giorgio fu proclamato Knez di Servia e riconosciuto dal governo moscovita. In tale occasione i rappresentanti del popolo elaborarono una nuova costituzione. Quando nel 1809 vennero a nuova guerra Russi e Turchi, Giorgio coi suoi Serbi prestò valido appoggio ai primi, e nel trattato del 1812, conchiuso a Bnkarest tra i due grandi stati, i Serbi ebbero dalla Turchia promessa di mitezze e di amnistia generale, obbligati peraltro a lasciare le loro truppe agli ordini di un generale russo ; ma essi sdegnarono tali patti, e partiti i Russi sulla fine di luglio 1812, intavolarono trattative direttamente colla Turchia, chiedendo venisse modificato in loro favo-Te il trattato di Bnkarest ; e chiesero appoggio all' Austria. Sfavorevoli peraltro corsero gli eventi ai Serbi: i Bascià contermini ebbero ordine di occupare la Serbia, e nel 1813, dopo quattro mesi di lotta accanita, la vittoria sorrise agli Ottomani. Giorgio passò in Russia per procacciarsi in avvenire il di lei aiuto; gli altri capi si rifugiarono in varii luoghi circonvicini; Milosch Obrenovic trovò salvezza sul monte Rudnik. Gavazzarono i vincitori in atrocità, riducendo quella povera terra in massima depressione, e reprimendo a tutta possa i diversi moti. Alla fine, condotti da Milosch ottennero i Serbi col trattato del 1815 un certo reggime quasi indipendente, ma sempre sotto la sovranità della Porta. Milosch venne eletto presidente del nuovo Senato, e nel 1817 capo dello stato. Fu sempre solle- APPENDICE. IL CABEG1LLA NOVELLA STORICA DI FILIPPO LAICUS pubblicata dall' Alte und Neae Welt tradotta da GIOVANNI de F. Oh, io le posso esporre subito la fonte delle mie notizie, s'affrettò a rispondere donna Camilla, fumando tranquillamente il sigaret-to. Fu uno dei nostri domestici, sceso per alcune spese, che raccontò quello che già è in bocca di tutti. — Certo che attualmente, disse l'ufficiale, un po' di carestia co n' è ; ma colla nostra abilissima amministrazione il male non può assumere proporzioni rilevanti; e tra pochi giorni il nostro esercito sarà provveduto abbondantemente. — Ed il marchese: Non è a dubitarne. Se i nostri soldati fossero del pari provveduti, la disciplina sarebbe maggiore. In ogni caso sarà necessario un grande consumo di forze per provvedere ai bisogni di un esercito così grande. — Sicuramente, soggiunse con orgoglio il jeapi- cito d'invigilare sulla pubblica tranquillità e a risanguare il paese dei danni sofferti. In questo stesso anno Giorgio Kara, che aveva varcato il Danubio per provocare una nuova rivoluzione, rimase itccisu, e del tristo caso si fece addebito a Milosch, il quale dopo avere repressa una sommossa, ed essere stato l'obbietto di una congiura, venne creato principe nel 1827 col diritto di discendenza. Nel 1835 Milosch venne a capo di comporre una costituzione, che trovò inciampo insuperabile da parte della Russia, dell'Austria e della Turchia, perchè troppo liberale: gli fu giocoforza ammannirne un'altra informata a prin-cipii aristocratici, e questa ottenne l'assenso. La troppa autorità concessa al Senato e la poca maturezza dei suoi membri, furono le cause che lo condussero forzatamente ad abdicare nel 1839 (13 giugno). Fu assunto a principe suo figlio, al quale, morto dopo pochi giorni, successe il fratello Michele. Il partito aristocratico, capitanato dal generale Vucic e dal senatore Petronievich, avendo da principio creduto di poter disporre esso della cosa pubblica in nome del principe, e avendo invece iti pratica fatto esperienza del contrario, si maneggiò per respingere Michele, e giunse al punto di congiurare contro la sua vita. Avutone Michele sentore, mosse truppe per stringere il freno, ma fu sconfitto e dovette scappare a Semlino. Allora (16 sett. 1842) l'assemblea popolare chiamò sul trono Alessandro Kara nipote di Giorgio il Nero, che assunse il nome di Alessandro Kara-Giorgevich. Questo principe quantunque maleviso dalla Russia, che ne tentò perfino iu via diplomatica la destituzione, resse la Serbia fino al 1857, non senza che una conginra di senatori tentasse ai suoi giorni, congiura da lui sventata senza condanne. Ma in questo anno dovette cedere il trono al favorito della Russia, cioè a Milosch (Milano) Obrenovic, oramai ottuagenario. Colla tano; e queste forze stanno infatti a disposizione di S. M. l'Imperatore. Sulla strada di Bajona v' è già un convoglio di oltre trecento buoi per portare il necessario; innoltre viene spedita all'esercita una mandra di cinquecento buoi; e la gioia della gente qui di sotto sparirà quando posdomani vedranno passare il convoglio. — Allora esso può, disse il marchese calcolaudo mentalmente le tappe, giungere all'esercito in cinque giorni; e in così breve breve tempo il bisogno non sarà di molto accresciuto. E così chiaccherando s'intrattennero ancora lungo tempo; finalmente il marchese sciolse il circolo, volendo egli all' indomani andare alla caccia per tempo. Gli osservò il capitano che era già da lungo che aveva rinunciato al suo prediletto divertimento ; ma il marchese, sorridendo, rispose che ci aveva pensato tutto il giorno, che il tempo era bellissimo, e che si sentiva di nuovo calamitato. Infatti nel mattino seguente abbandonò il castello seguito dal suo cacciatore; il capitano gli tenne compagnia fino agli ultimi posti e gli augurò buona caccia. I due spa- ristaurazione di Milosch ha principio in Serbia la nuova era di civiltà e progresso. Morto questi, gli successe suo figlio Michele, assassinato da congiurati nel 1868. Sorto un triun-virato composto dal colonnello Blazanavac. Elia Garascianin e Giovanni Ristic, pensò all' unico rampollo degli Obrenovic, che si trovava in educazione a Parigi nell' Istituto Huet, e che fu proclamato principe a 14 anni il 2 luglio 18G8, col nome di Milano IV, e maggiorenne il 18 settembre 1871. EgKimpalmò la principessa Natalia nata nel 1859, figlia al colonnello russo Kecsko. La sua educazione, dopo la morte seguita a Belgrado del prof. Huet nel 1868, fu continuata dal conte Pucic di Ragusa che ha grido nelle belle lettere slave. E ancora oggi giorno sembra pur troppo che la quiete in quel principato non potrà essere perfetta, poiché pochi giorni sono la polizia ha dovuto strappare dalle cantonate un proclama di un Kara-Giorgevich che ambisce al trono. UN POETA DIMENTICATO "... mori aconosciuto, incompianto: a Sant' Anna nessuno più sà ore egli bia sepolto, e la sola edizione dei «noi scarsi frammenti uscì ignorala dai rozzi torciti d'una tipografia di ril-T laggio. __(U. SOGLI ANI .Tre precursori.) Non ultima nei fasti letterarii ed artistici d'Italia va annoverata una gentile e romantica provincia, rallegrata dal sereno cielo meridionale e bagnata dalle chiare acque dell'Adriatico. Questa provincia è l'Istria che diede alle scienze e alle lettere i Vergerlo, i Muzio, i Carli, i Santorio, alla musica un Giuseppe Tartini, alla pittura i Carpaccio, i Trevisani e quella gloria vivente che è Cesare Dall'Acqua. Di questi illustri la conoscenza è viva in ogni colto italiano, e la gloria li cinge della sua aureola luminosa. Alcuni altri invece, se non pari d'ingeguo a quelli, meritevoli certo di fama peli'ardente affetto che inaisempre por- guuoli imboccarono un sentiero del bosco appena praticabile, e, tirando innanzi adagino, in breve sparirono tra gli Alberi. — Ora Jottan, disse il marchese quando il folto li ebbe nascosti agli sguardi dei soldati francesi, dovremo sgambarci per bene: ti assicuro che pigleremo una straccatola solenne; ma anzi tutto tagliamoci due buoni bastoui, e la carabina la terremo ad armacollo. Di lì a poco tutti e due, appoggiandosi ciascuno sopra un bastone di spino bianco, si dirigevano verso le rocce della montagna. Non titubavano sulla via da seguire : erano diretti da tracce misteriose: qua era un ramo penzoloni ; là si vedevano in terni dne legnetti incrociati ; in altro sito stava piantato un ramoscello ecc. Procedevano taciturni, e solo quando s'imbattevano in uuo di tali segni si scambiavano un'occhiata d'intelligenza. Alla fine giunsero dinanzi ad una forra, sul limitare della quale v' era un tronco d'albero secco e in più parti colla corteccia a brandelli : si misero ad esaminarlo con attenzione. Passati alcuni minuti iu tale operazione, s'udì d'improviso un lieve stormire, li tarono alla loro provincia, la quale anche illustrarono con pregevoli opere, sono tuttora ignoti, nonché fuori, nello stesso breve ricin-to della loro terra, e le opere di questi o sono dimenticate o (quel che è peggio) andarono smarrite. A togliere in parte dall'obblio in cui erano caduti parecchi nostri distinti comprovinciali del secolo presente, comparve nello scorso 1875, a Trieste, un interessante libro di un chiaro giovane triestino, il signor Ugo So-gliani. Questo libro s'intitola: Tre precursori. Esso venne accolto ovunque con favore, e specialmente in Italia. Un notissimo giornale di Koma, il Fanfulla, ne tesseva le lodi, confessando riempire esso una lacuna nella letteratura italiana della prima metà di questo secolo, risguardante le provincie situate a' piedi delle Alpi Giulie. Il Libro del Sogliani ci presenta soltanto un compendio (nè perciò va menomato il merito dell' egregio autore) della storia letteraria del nostro paese nella prima metà del secolo presente, ma potrebbe venir dall'autore ampliato ed ordinato in guisa da riuscire una completa storia letteraria, ed a ciò egli verrebbe, togliendo specialmente alcune benemerite persone da quella penombra in cui ce le ha poste. Del resto trattò di altre come da nessuno finora fu fatto, e fra queste di un nostro poeta insigne, a torto dimenticato, Pasquale Besenghi degli Ughi. Dimenticato! Ma in qual modo (si potrebbe obbiettare) fu posto in dimenticanza un poeta da voi chiamato insigne ? E se fu veramente tale, come non vi peritaste d'asserire, dove sono le sue opere? Qui è il caso, pur troppo, di dare una risposta assai dolorosa; ed è, che, in primo luogo, le maggiori opere del Besenghi, quelle che gli avrebbero assicurato fama imperitura, inedite, dopo la sua morte improvvisa, andarono misteriosamente perdute, nè se n'ebbe finora notizia alcuna che potesse far sperare di ricuperarle. Secondariamente, le poche, bellissime poesie scampate al naufragio, non ebbero ancora la fortuna di trovare chi in nitida edizione le pubblicasse, rivelando all'Italia uno de'più felici cultori della sua vergine Musa. In terzo luogo, l'amore della vita solitaria e l'avversione a tutto ciò che sapesse di vanità e di chiasso letterario condannarono il nostro poeta all'obblio. Si aggiunga inoltre che al Besenghi d'una povera cittadella istriana e dalla commerciale Trieste non poteva arridire quella sorte letteraria che non gli sarebbe certamente mancata in altre città d'Italia, ove il movimento letterario era più desto e potente. Ma chi fu Pasquale Besenghi degli Ughi? Km Nacque in Isola d'Istria il dì 4-A^prik 1797, ove compì gli studj elementari. Si recò quindi a Capodistria a studiare filosofia nel Seminario Vescovile. Studente di leggi alla Università di Padova, in giovanissima età, pubblicava in compagnia d'un amico, il Falconetti, una raccolta periodica di drammi che arricchiva di osservazioni storico-critiche lodate assai dal suo maestro, 1' illustre professore Barbieri. Finiti gli studj legali, entrò in pratica presso il Tribunale commerciale di Trieste ; ma, l'ardente fantasia indarno piegandosi al positivismo dei paragrafi, interruppe l'inamena carriera per non tornarvi mai più ; ed in quella vece si diede a studj meglio con-facentisi all'ingegno ed indole suoi, alla poesia ed alla storia. Quanto affetto ponesse poi, per tutta la sua vita, alle lettere, e quali conforti ne ritraesse, lo dice egli stesso..... " io le ho sempre amate queste care compagne dell' uomo, eui la natura mi comandò di coltivare con lungo e generoso amore. Con esse ho imparato a non dolermi nè dell' affannosa mia vita, e raminga, nè delle ingiustizie della sorte, nè della ingratitudine degli uomini. „ La Musa del Besenghi fu spesso melanconica, qualche volta aspramente satirica. Leggendo le pochissime sue poesie umoristiche, ci trovi un riso amaro, " riso che non passa alla midolla ;„ ed anche del nostro poeta si può dire ciò che il Giusti dicea di sè stesso : „ E mi sento simile al saltimbanco Ohe mnor di fame, e in vista ilare e franco Trattien la folla. „ I dardi che scagliò cogli Apologhi e collo scritto in prosa Saggio di novelle orientali, suoi primi lavori (1826-1828), ferirono alcuni, divenutigli in conseguenza acerrimi nemici. Nel 1826 scrisse anche una bella ode: i' amore, stampata in pochi esemplari men-tr'egli visse ; lirica questa fra le sue migliori, ricca di concetti elevati e di generosi sentimenti, alquanto difettosa però nel verso soverchiamente stentato. Sentitelo ora lui stesso nell'invocazione all'amore: marchese, sollevata la testa, stette ad orecchiare e udì una leggera pedata che in quella solitudine non poteva non destare certa apprensione ; perciò il marchese, mentre Jouan affatto inconscio continuava a frugare il tronco, s'impostò dietro a questo, mettendo in punto la carabina. Il cricchio rese attento Jouan che guardò insù nella direzione della canna: anch' egli allora udiva lo strepito come di un corpo che fendesse il frascame ; ma non vi fece caso e continuò a frugare, tanto più che già stava all' erta il padrone. Finalmente gli venne fatto di trovare sotto la corteccia uno scaccolino di carta che recava scritto la parola Manoda, e lo mostrò al marchese, il quale senza mutare il suo atteggiamento di difesa, gli diede col capo cenno di assenso. Frattanto il piccolo rumore era cessato: indizio non fallace che colui che si avvicinava li aveva scorti. Jouan s'avanzò da spensierato nella direzione d'onde era partito il rumore, senza badare al marchese che lo ammoniva a mezza voce di essere cauto: ed anzi volgendosi di repente gli gridò : — Perchè mai ? Io nulla ho da temere in tutta la Spagna. Dopo pochi istanti eletto "O amor, o vivo spirito, Per cui il creato ha vita, E si feconda e germina Con vece alta infinita; E la letizia e'1 riso Spargi di Paradiso; O dato a noi qual raggio, Che le tenebre folte Del tristo umano carcere, E le negre ombre accolte Rompe e sperde; e al giocondo Lume s'accende il mondo: Te, supplicando, invocano 61' ingiusti mortali ; Te sospiro ineffabile, Oblio dolce di mali; E dello errante stuolo Sovrano arbitro e solo.„ Nella "Canzone a Domenico Brovedani, a parroco di Bagnarola„, che scrisse tornò indietro, e mettendo lo palme della mano alla bocca, cominciò a vociare : — Olà, tu col berretto di pecora, scendi subito! Il comando fu tosto eseguitò ; colui si calò giù tra i greppi: era un giovane pastore basco con un berretto di pelo d'agnello; ma a un certo punto si fermò indeciso. — Ebbene, buffone, fa presto (bravacciava ora Jouan battendo il calcio della carabina per terra) o te le faccio io allungare le gambe, ripigliava impugnando l'arma. Il pastorello, sparito tosto per sdrucciolare, esclamò pieno di stupore quando fu loro da presso : — In livrea io non vi poteva ravvisare subito Temente! Jouan così per ischerzo diede al pastorello una scappatina d'orecchi, senza fargli male, dicendo : — Ma allora sei doppiamente balordo: il capro, conduttore della tua mandra, ha più cervello nelle sue corna che tu in tutta la tua testa. Come hai potuto abbandonare il tuo nascondiglio senza conoscerci? — Ma voi mi avevate veduto Temente! — No, Non vidi nemmeno la punta del tuo dito mignolo; ma mi sono subito immaginato eh' essi hanno spedito di nuovo un tale bag- noli'anno 1831, ci si rivela il Besenghi distinto poeta meglio che in ogni altra, se si eccettui quella "Per nozze Colloredo-Man-gilli„, da lui publicata nel 1833. — A leggere la canzone a Brovedani, si resta presi da tanta armonia di verso che ti suona all' orecchio come una melodia e da quella tinta di mestizia disperata che fa tosto pensare al Leopardi; e se non fosse per la forma in certi punti inferiori all'elevatezza del concetto, la sublimità di questo porrebbe questa poesia a livello delle canzoni del grande Recanatese. Così nella vita stessa travagliata del poeta istriano troviamo il dubbio e le disperazioni leopardiane da uua parte, lo spirito agitato e fremente di Ugo Foscolo dall' altra. Oltre a ciò, potrebbe essere oggetto di rimarco in questa Canzone (come anche nell' ode Lì amore) il difetto d'originalità che talora si manifesta tanto nella forma che nell' essenza del pensiero, le quali il Besenghi non si fa' riguardo di togliere a prestito dai nostri più grandi poeti. — Esaminiamo, a ino' d'esempio, la prima stanza della Canzone in discorso: "Che è mai la vita? un giorno Nubilo, breve e freddo; Una notte privata D'ogni pianeta sotto pover cielo; Un di gonfie e funeste oude torrente, Di cui non trovi il guado; Una incolta, deserta, orrida riva ; Una selva osenrissima e selvaggia .... Beato è chi non nasce, 0, nato appena, muor entro le fasce !„ — Si scorge a prima vista come due concetti sono quasi interamente copiati dalla Divina Commedia; il primo dal canto 16® del Purgatorio: Bujo d'inferno e di notte privata D' ogni pianeta sotto pover cielo..... il secondo dal canto 1° dell'Inferno: " Questa selva selvaggia ed aspra e forte. „ ma levato questo nèo e quella leggiera stonatura prodotta dalla ripetizione delle definizioni poetiche della vita, la Canzone riesce stupenda. E basti, a farne conoscere il valore, riportare qui quella sublime pittura delle dolcezze di cui va ricca la vita del sacerdote che adempie con amore alla sua santa missione. Il poeta, narrato il viver suo infelice, si rivolge all' amico : „ 0 Brovedani ! un dono Tristo è la vita; e santo Fu il voler che ti tolse Ai dubbii casi, e a' fieri scontri e a tutta L'alta miseria delle umane cose. Te un solitario tetto Accorrà desiato ospite pio: Grata ti fia la mesta aura de' campi : Un picciol rivo, un orto Ti daran dolce all' animo conforto. Tu a i pargoli nascenti Dischiuderai la fonte, Che della fede è porta; E della benedetta acqua perfusi, Gli drizzerai ver 1' ultima salute. Ti cresceranno intorno; giano, che basta chiamarlo perchè venga tosto innanzi. Ricordati bene ragazzo, se qualcuno che tu non conosci t'avesse a chiamare, rimani appiattato e non fargli vedere che bocca della tua carabina . . . dove l'hai? — L'ho lasciata su nella macchia. — Cabeeilla !, gridò Jouan rivolto al suo padrone, lo avete udito ? Ha lasciato l'arma su in alto. Si può trovare un balordo più grande dai Pirenei all'Ebro? Il marchese s'appressò sorridente. — Il Cabeeilla! sclamò il ragazzo; e trattosi il berretto attese in posizione rispettosa i comandi del marchese. — Non lo confondere, Jouan, prese adire questi; è una recluta; non conviene dare tanto peso a una piccolezza. E poi volto al ragazzo : Da quanto tempo siete nella gola Manoda? — Saranno circa quattordici giorni, C' è quiete perfetta, e non abbiamo avuto occasione di arrestare nemmeno una ronda. I Francesi non si fidano di allontanarsi neppure mezz' ora dai loro posti. E adesso Rodrigo pensa di continuare... — Oh il villanaccio, lo interruppe Jouan, non vuoi dare il dovuto titolo al tuo padrone, al mio amico Rodrigo ? (Continua Ne udrai le gioje giovanili e i cauti : Un dì poi ti sarà cura gioconda Fra ghirlarde di rose Lo inanellar le vergini amorose. E allor quando la squilla Chiamerà alcun de' tuoi All' ultima quiete ; Io ti vedrò benigno Angiol di pace D' infra gli sparsi cumuli e le croci: E le congiunte a Dio Palme inalzando, t' udrò dir : Tu all' uomo Desti compagna la sventura; ah fine Abbian qui le sue pene ; Tu '1 desta a più felici oro serene. „ Eppure, mentre riscosse sempre frenetici applausi ogni commediola che forse non ebbe altro scopo se non quello di divertire per poche sere un pubblico che vuol ridere ad ogni costo, sia pure a spese del bello e dell'onesto, le poesie del nostro Besenghi nascevano oscure e vivevano dimenticate. E qui mi cade in acconcio di riportare alcune assennate parole di Giuseppe Rovani, il quale nella sua opera: Le tre arti, parlando di due poeti, Giuseppe Pozzone e Giunio Bazzoni, si esprime così: — "Ecco due nomi che non suonarono mai oltre la cerchia della città di Milano e tutt'al più poterono arrivare per grazia sino ai colli della Brianza e alla riva dei nosti laghi; eppure sono superiori di tanto a tanti la cui fama o bene o male si trascinò per tutta Italia, e i cui libri si dovettero imprimere più d'una volta, per soddisfare alle ricerche del pubblico che accumula spesso, e più spesso che non si creda, tanta quantità di stolidezze sotto a que' gentili qualificativi, che, forse per placarlo, gli si vollero regalare di colto e rispettabile in eterno....... e non si pensò.....di raccogliere in un giusto volume gli sparsi lavori di quegli ingegni che la modestia o il disdegno, o le circostanze dell'avversa fortuna avevano mantenuti nell'oscurità a dispetto del merito incontrastabile. „ — Noi invero possiamo dire essere al nostro Besenghi toccata la sorte del Pozzone e del Bazzoni. Solo allorquando comparve la Canzone per nozze Colloredo-Mangilli, la stampa italiana trovò d'occuparsene, ma più per isco-raggire che per dar animo alla Musa del valente istriano. Una critica e severissima e parziale ne fece la Biblioteca Italiana. Acerba censura fu mossa al poeta nostro, perchè usò attivamente il verbo entrare, ond'egli scriveva poi ironico e cruccioso: .... "trovandomi, pochi anni sono, in una delle nostre città d'Italia, mi sentii assalir dalla pruriggine di mandar ivi alla stampa non so che minestra poetica diretta a giovine dama che andava come si va a marito. Fra le altre cose la mia Musa di quell' anno s'era permesso di dirle ad un orecchio: 0 giovineta! Un novo E difficile e incerto entri cammino. "Ahi sciagura! Questo entrare, così da me adoperato, fe' uscir da' gangheri mezza la città. Si sollevarono, si rigonfiarono contro di me gli animi di que' dottori in lingua, i quali, costretti a consulta negli angoli dei Caffè, sicuri in lor sicurezza, pareano in vista più fieri e più minaccevoli che noi furono i lor padri dinanzi le mazze e le alabarde del figlio di Mundrico; tanto ch'io, reso dal caso balordo, vistomi tor di sacchetta la grammatica, dovetti andarne contento di salvar la morale, che della lingua (intendo colla Crusca quel membro eh'è nella bocca dell' animale) oguuu può fare e usare a tatto suo beneplacito, non altrimenti che fa ed usa del naso; ficcarla cioè o metterla dove e come meglio gli sa e piace. Ben io ne' famigliari discorsi cogli amici andava in mia difesa allegando quei verso dell'Ariosto.,, E per poter entrare ogni sentiero, e recava avanti, come mi occorreano alla mente, molti esempi di illustri scrittori dove entrare è più volte usato attivamente»..... Malgrado però ogni critica, questa Canzone resterà fra le migliori di quel tempo, riscontrandosi in essa anche la forma di gran lunga più accurata che nelle altre poesie del nostro Autore. Bellissima è un altra Canzone, rimastaci, del Besenghi: In morte d'un fanciullo — al materno dolore di Margherita Brazza-Morosini. Di questa fu detto che è tale da inacerbire meglio che rammarginare la piaga; nè io lo credo, perchè non trovo che possa calmare il dolore di una madre, orbata di un unico, carissimo figlioletto altro che il dolore; e la mestizia dei versi del nostro poeta penso riuscisse balsamo efficace all' angoscia di quella povera madre. "Orba madre, a che vivi? Al pianto vivi, E imparerai che il pianto Scuola è d'arcane verità, che sue Gioie anche il dolore offre : Nulla sà chi quaggiù vive, e non soffre !„ Intanto dava mano ad un lavoro di maggior lena, ad un poema che intitolava „11 mo-glicida» ; e qualche volta, a casa sua, a Trieste, ne leggeva dei brani agli amici. Ma ahimè !, non si sà più in là del titolo dello scomparso manoscritto. Così dobbiamo, pur troppo, dire de' suoi scritti inediti in prosa, fra cui v'erano la descrizione d'un viaggio in Grecia, paese da lui amato e visitato, e delle interessanti notizie storiche intorno al Friuli ed all'Istria, per le quali, tornato di Grecia, raccoglieva documenti nella pubblica biblioteca di Udine. Delle prose, poche anch'esse, che ci rimangono del Besenghi, fu bene a ragione scritto, essere esse »splendenti per vaghezza di stile, per critica vivace ed acuta», ed a persuadersene basta leggere „11 teatro tedesco di Trieste nell'estate 1827„ nonché il già ricordato "Saggio di novelle orientali„ Alternò il suo soggiorno fra Trieste, il Friuli, Venezia e la sua piccola città natale che vedeva con dolore estinguersi in lui la famiglia dei Besenghi. — "Il suo aspetto (scrisse un egregio amico suo) non era bello, ma simpatico; la sua persona bassa e mingherlina; non vago di mode ma pulito; parlatore veemente, co-mechè un pocolin balbuzzisse; alieno de'fragorosi ritrovi, piuttosto ligio alle abitudini, sobrio, intemerato. Col suo cappello a larghe tese o vagava nelle ore alte della notte pelle mute vie della città, e si rincantucciava romito in un caffè, a fecondare nella mente idee che rimasero mai sempre in gran parte incomprese,,. Nel 1849 a Trieste infieriva il colera. Il Besenghi, quasi una voce interna lo ammonisse della fine triste e immatura che gli era serbata, scriveva il IO settembre di quello stesso anno al Reverendo Don Antonio Car-bonich : „Caro amico — Ho bisogno della vostra carità, vale a dire ho bisogno che mi ascoltiate in confessione. Sono però sano abbastanza, ma non sicuro di quello che può avvenire ; essere in grazia di Dio è il miglior farmaco della terra Vi attendo dunque dimani, a quell' ora che più vi piacerà, giacché non esco di casa. Addio — il vostro Besenghi,, Quattordici giorni dopo, addì 24 set-tembro, colto dal colera, egli moriva. Il suo cadavere fu portato alla fossa senza onor d'esequie, senza accompagnamento d'amici. Quando ne fu partecipata la morte all'amico suo Nicolò Tommasèo, questi scrisse: „Ho perduto quattro uomini, indulgenti e pii verso di me, ciascheduno de'quali discerneva una parte dell'esser mio, oscura agli altri, e mi dava conforti puri d'orgoglio, temperati da consiglio gentilmente severo: il Druseich, il Besenghi, il Poerio, lo Stieglitz." Morì Pasquale Besenghi degli Ughi ; e, come non vi fu amico che accompagnasse la sua salma all'ultima dimora, così non v'ebbe giornale che annunziasse la sua morte. Desta poi grande e dolorosa meraviglia che non ne venisse fatto il minimo cenno nep-pur nell' Istria, giornale di storia e archeologia che iu 'quel tempo si pubblicava a Trieste, per opera dell'illustre Kandler. Si deve pur dire che gli amici stessi abbandonavano all' obblio l'onorato nome dell' infelice poeta ! Appena un anno dopo, nel 1850. com- parvero brevi cenni biografici sull'illustre uomo, nel Popolano dell' Istria, giornale compilato da altro egregio poeta istriano, Michele Fachi-netti. Nel 1858 il Mondo letterario di Torino ne pubblicava altra breve biografia; quindi non si parlò più nè del poeta nè de' suoi scritti. Neil' anno testé decorso soltanto, nel , surricordato libro del Sogliani, furono dedicate alcune poche, ma belle ed affettuose pagine alla memoria del poeta dimenticato. Sugli scritti scomparsi del Besenghi furono fatte delle indagini, ma riuscirono finora frustranee; forse un giorno "il Moglicida», il "Viaggio in Grecia» e "le Storie,, potrebbero uscire alle stampe col nome di chi deve averle sottratte; giova sperare che ciò avvenendo, iu ogni tempo l'Istria saprebbe reclamare i frutti rubati al suo poeta e condannare al disprezzo di ogni onesto il vilissimo involatore. Ed ora, prima di finire, ci sia lecito esprimere un desiderio, confortarci con una speranza. Le poesie ed il nome stesso del Besenghi sono ignoti agli stessi istriani. Sarebbe, credo, opera nobilissima ed eminentemente patriotica raccogliere in un elegante volumetto i suoi pochi scritti. È ben vero che un anno dopo la sua morte, nel 1850, uscì a San Vito una raccolta dei miseri avanzi delle sue poesie e di alcune prose, ma in edizione rozza, scorretta e di pochi esemplari, divenuta ora rarissima. Questa raccolta ha però il pregio di essere un ammasso di materiali, da cui, come è anche detto nella prefazione dell'editore N. Piloni, si può scegliere per una nuova pubblicazione. — In questa nuova pubblicazione si potrebbe fare una pregevole aggiunta, e sarebbe quella raccolta di lettere del nostro poeta che vide la luce ancora nel 1864 per cura dell'Avvocato Antonio Madonizza. — Una buona parte di queste lettere si conserva, fra quelle inedite od autografe di varii illustri italiani, nell'Archivio di Pirano; vi si conserva pure un Estratto sulle antichità di Aquileja del Bartoli e una Canzone giovanile (essa pure inedita) dello stesso Besenghi (Vedi : La Provincia dell' Istria ; anno X N.° 11) : avanzi questi preziosissimi che meriterebbero di venir pubblicati. — Ove poi si facesse precedere al nuovo volume uno studio sulla vita e sugli scritti dell'Autore la pubblicazione sarebbe certamente accolta con favore nelle nostre provincie e fuori. Se a quest' opera vorrà accingersi qualcuno, il nostro più ardente desiderio sarà soddisfatto, ed avremo raggiunto l'intento a cui mirammo con queste brevi e disadorne righe. Ma se alla nostra voce non si credesse dover dare ascolto, valga quella, potentissima, di un grande italiano, Nicolò Tommasèo, il quale, critico tutt' altro che indulgente, lasciò scritto questo giudizio sulle poesie del nostro Besenghi: »... de'versi, a bene scegliere, credo ci sarebbe dà fare un libretto che duri. Poesia tutta d'arte, anzi d' artifizio, ma con colori a rilievo, sì che, al primo cominciare, ci senti 1' uomo e lo riconosci." — (1876) G. P. D. F. -5-W Illustrazione dell'anniversario _ Questa celebre donna nacque a Lucca nel 1763 ed ivi morì nel 1837. Il suo grande amore per lo f studio, sebbene non favorito dai genitori perchè disa- ' giati, che 1' aveva accessa fino da fanciulla, le fece apprendere, quasi da sola, il latino ed il greco. Volgarizzò "l'Inno a Venere» attribuito ad Omero, i "Paralipomeni di Omero,, di Quinto da Smirne, poeta greco contemporaneo d'Augusto, (quattordici libri ; sono una continuazione molto lodata dell' Iliade) ; scrisse il poema la "Teseide», e le tragedie "Polline-store, Polidoro e Rosmonda». A sedici anni, essendo ballerina di palcoscenico, udì a Verona Bartolommeo Lorenzi, felicissimo improvvisatore italiano e latino, e tale fu il concitamento da lei provato che arcana forza la spinse a rispondere tosto al poeta con dei versi. Da ciò grande meraviglia nel pubblico e grande gloria alla giovanetta, che continuò, carica d' allori, a professare la poesia estemporanea fino all'89, in cui, sposa a Pietro Landucci, si ritrasse tra le pareti domestiche ; e a Lucca nel quieto vivere s'applicò con ardore allo studio delle due lingue, frutto del quale furono le opere sopra citate. Alfieri, Monti, Parini ed altri l'ebbero in grande pregio e per l'alto ingegno e per la nobiltà dell' animo e pel candore dei costumi. Il programma del ginnasio. — Anche quest' anno comparve la importante pubblicazione, la quale, fornendo saggio alternato degli studii dei signori professori, recò più volte lustro alle antiche lettere della città e della provincia, e sempre notizie lietissime sull'ottimo andamento dell'Istituto che Capodistria, fedele alle proprie tradizioni, seppe, in uno slancio di patriottismo, con assennato sacrificio assicurarsi. Precede una dissertazione (pag. 40 in 8°) del prof. Federico Simsig sopra il metro doc-miaco considerato in sè stesso e nelle tragedie di Sofocle, colla quale egli mostra di aver fatto studii profondissimi sulla metrica. Esposte le varie opinioni dei filologi sul doc-mio, ed accompagnatele da ricca teoria, lo esamina poscia in frammenti tolti da ciascuna delle sette tragedie rimasteci dell' acuto scrutatore del cuore umano. A questa ne segue un' altra (pag. 30) del direttore Babuder, dal modesto titolo : Brevi cernii sulla questione del latino nei ginnasi, in cui fa emergere l'importanza del latino che ora, secondo la riforma iniziata nella Prussia ancora nel 1837, deve essere studiato come mezzo di coltura generale, dovendosi i giovani ispirare alle classiche bellezze per divenire scrittori ed oratori utili alla società. La dissertazione si compone di parte storica, di citazioni, di raffronti, e di importanti opinioni emesse dall' autore in seguito alla sua esperienza ed allo studio di numerose opere didattiche. Vengono poi lo notizie intorno al ginnasio : prendiamo nota delle più importanti. I docenti furono in tutto sedici, cioè dieci effettivi, tre supplenti e tre straordiuarii ; doni ed acquisti aumentarono la biblioteca dei professori, quella degli scolari, ed i gabinetti; venne frequentato da 138 giovani italiani, da quattro slavi e da un greco; e il nuovo fondo di beneficenza ha potuto durante l'anno somministrare, tra libri e danaro, l'importo complessivo di fior. 140.75. L'inscrizione pel nuovo anno scolastico durerà dal 27 settembre al 1 ottobre, giorno dell'apertura. (Per gli esami di maturità v. N. prec.) I. K. Scuole Ma) — Pola. Battista Gandini (li sem. del II anno) — Rovigno. G. P. De Franceschi (idem). NAVIGAZIONE A VAPORE ISTRIANA giornaliera fra TRIESTE e POLA toccando i porti dell'Istria, cioè: PIRANO, UMAGO CITTANOVA. PARENZO, ROVIGNO ed eventualmente SALVORE, ORSERA e FASANA col piroscafo celere Aida o coi piroscafi Cast or e Melanir». ORARIO Partenza da Trieste e da Pola ogni giorno alla ore 7 ant. Partenza da Trieste Celere Lunedì Giovedì Sabato Ordinario Domenica Martedì Mercoledì Venerdì Partenza da Pola Celere Domenica Martedì Venerdì Ordinario Lunedì Mercoledì Giovedì Sabato I viglietti si vendono a bordo dei suddetti piroscafi. — Ogni giorno sarà un piroscafo sotto carico per ricevere merci durante tutta la giornata. — Riguardo ai noli per le merci da convenirsi a bordo coi rispettivi capitani. Per maggiori schiarimenti rivolgersi allo scrittoio, Piazza Grande N. 2 (casa Pitteri) primo piano sopra i mezzanini. Arrivi e partenze alla Riva della Sanità. L' Impresa II "CJiuMtiuopoIi., continua l'orario del .1 «iugno (V. il N. 17)