ACTA HISTRIAE VI. ricevuto: 1998-01-12 UDC 327:355.356(450 TLT)"1945/1954" GLI ALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE MAKING E GUERRA FREDDA Giampaolo VALDEVIT Université di Trieste, Facoltà di Scienze della Formazione, IT-34124 Trieste, Via Tigor 22 SINTESI In questo saggio viene presentata una rilettura complessiva di una fase cruciale della cosiddetta questione di Trieste in una cornice di storia europea. Elemento centrale è l'intervento americano, intervento che è diretto, nella Venezia Giulia come nel resto dell'Europa occidentale, a ricostruire la democrazia e le condizioni di sicurezza. Tale progetto, che a Trieste e nella Zona A della Venezia Giulia è guidato dal Governo Militare Alleato, si scontra apertamente con un contropotere espresso dal locale partito comunista. Cid che nella Zona A della Venezia Giulia è fondamentalmente un conflitto per il potere in seguito si intreccia con la discussione e le controversie sulla destinazione territoriale della Venezia Giulia in seno al Consiglio dei Ministri degli Esteri e alla Conferenza della Pace. A partire della meta del 1947 nell'intervento americano a Trieste e sul problema di Trieste è distinguibile l'ispirazione che guida la politica estera americana nella seconda metà degli anni Quaranta, e cioè la politica di contenimento in tutti i suoi connotati: stabilità politica, ricostruzione economica e sicurezza. Sulla questione di Trieste fra il 1941 e il 1954 esiste un'ampia produzione storiografica e gli ultimi contributi fanno ritenere che si sia aperta una terza ge-nerazione di studi dopo le due precedenti, quella degli anni Sessanta e, dopo l'apertura degli archivi, quella degli anni Ottanta. Per di più non c'è chi, pressoché dall'immediato dopoguerra ad oggi, nell'affrontare il tema della guerra fredda, non abbia dedicato una qualche attenzione alla questione di Trieste se non altro nelle sue fasi salienti. Ebbene, se si volesse individuare in questo panorama di studi la presenza di un tratto comune, si potrebbe giungere agevolmente ad una conclusione: nella questione di Trieste - una minor issue - il più delle volte si è cercato il riflesso di situazioni, fenomeni e processi tipici del più ampio scenario internazionale. In altre parole, questa tendenza a vedere nel microcosmo il riflesso del macrocosmo ha portato in un primo momento a sottolineare i condizionamenti che le grandi potenze hanno fatto subire a quelle di rango inferiore coartandone l'espressione dell'interesse 99 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 nazionale. Dopo l'apertura degli archivi l'attenzione si e diretta verso l'analisi dei processi decisionali ma l'orizzonte non e sostanzialmente cambiato. Infine, piü di recente, ha avuto luogo una sorta di movimento di deriva verso la dimensione dell'interesse nazionale, per cui nella vicenda in questione si e andati ad osservare il gioco dei pesi e contrappesi dettato dalla correlazione delle forze a livello inter-nazionale, il gioco di politiche di potenza e politiche di impotenza, trasferendo anche in sede storiografica lamenti, recriminazioni e proteste che provenivano dai protagonisti di allora. Tale atteggiamento e largamente comune quanto meno ad una parte degli storici italiani e sloveni, fra i quali non si e affatto giunti a forme di consenso storiografico. Ma quel che e peggio e il fatto che una tendenza del genere fa della storia un movimento lineare, che va dal macrocosmo al microcosmo, dal centro alla periferia senza considerare il movimento in senso inverso (che pure esiste). E' evidente allora che a ragionare in termini di riflesso si rischia di provocare un restringimento del campo visivo.1 Ció che va quindi definito prima di tutto e il contesto (e le dimensioni del contesto) entro il quale collocare la questione di Trieste negli anni caldi della guerra fredda: un contesto propriamente europeo, centro-europeo per essere piü precisi. In quest'area la contrazione del potere nazista produce un vuoto nel quale vengono attratte le superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica; un discorso a parte andrebbe fatto per la Gran Bretagna, la quale piuttosto cerca di individare le regole che consentano di riempire con velocita il vuoto. Ma non si tratta di ricostruire esclusivamente la sequenza delle crisi fra Stati Uniti e Unione Sovietica che avrebbe dato luogo alla guerra fredda, e fornire in tale sequenza un posto (per alcuni e stato il primo) alla questione di Trieste. L'Europa non e semplicemente il teatro dello scontro fra le due superpotenze; e anche - e forse prima di tutto - il teatro di un progetto americano (politico economico sociale), di un intervento americano ad ampio raggio: opera dello stato e al tempo stesso proposta di un modello che proviene dalla societa americana. Nella storiografia americana a lungo si e discusso se fosse percepita in termini geopolitici o in termini ideologici la minaccia sovietica e, parallelamente, se fosse in una chiave o nell'altra la risposta. Da qualche tempo si sono abbandonate visioni unilaterali ed esclusive. Al contrario, sulla politica estera americana si e proposto un modello di analisi che riesca a fondere varie dimensioni: il rapporto fra stati (e perció la dimensione geopolitica), il ruolo dello stato come attore di politica estera ma anche come ricettore di impulsi provenienti dall'interno della societa americana, che si pone essa stessa come modello (e quindi la dimensione ideologica), ed infine l'intervento americano nelle societa europee secondo una sequenza di percezione/progetto/impatto (e risposta). Si tratta dunque di un'amalgama di componenti nella quale di volta in volta va ricostruito il particolare percorso 1 Ho sviluppato questi temi in Valdevit, 1996. 100 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 compiuto dal processo decisionale.2 Quanto alla cornice interpretativa generale siamo pressoché tutti d'accordo che l'intervento americano nella seconda guerra mondiale non e disgiungibile dal progetto di egemonia americana (non di impero americano) e che al riguardo non ci fu alcuna presunzione di innocenza americana. Gli Stati Uniti furono interessati prima di tutto a stabilire i principi del multilateralismo economico anziché ricostruire l'Europa; gia la legge sul lend-lease si adeguo a tali principi, che trovarono poi codificazione piü ampia negli accordi di Bretton Woods dell'agosto 1944. Ma si delinearono anche le premesse per la ricostruzione delle societa europee: in questo quadro stanno, ad esempio, la dichiarazione di Casablanca (gennaio 1943) sulla resa incondizionata e quella di Jalta sull'Europa liberata (febbraio 1945). Cosí gli Stati Uniti vennero progressivamente attratti (al pari dell'Unione Sovietica) nel vuoto di potere creato dalla sconfitta nazista. Quello che scoppia in questo vuoto non e un conflitto predeterminato fra two differing ways of Ufe; vuoto di potere e fondamentalmente sinonimo di instabilita politica (sia negli assetti interni sia nelle relazioni fra stati), impoverimento e prostrazione economica. Parallelalemente l'intervento americano fu dunque spinto sia a restaurare le societa europee sia a ricostruire le relazioni fra stati: a ristabilire, in una parola, la sicurezza intesa sia come coesione interna sia come capacita di neutralizzare le minacce dall'esterno. Cosí fu precoce la percezione di sfide che provenivano dal-l'interno (il comunismo considerato come una malattia potenzialmente malignante) e dall'esterno, dall'Unione Sovietica cioe. Per quanto riguarda in particolare quest'ultima e oggi largamente condiviso il giudizio che, sebbene Stalin non volesse fare dell'Europa il campo d'azione dell'espansionismo sovietico, nondimeno contava su un'Europa frammentata e si guardo bene dal fissare limiti netti al proprio impero. In definitiva nel progetto di egemonia americana si insinuó rapidamente una dimensione geopolitica.3 Pertanto parlare della questione di Trieste significa parlare del vuoto di potere e del modo in cui esso viene riempito, ma anche di intervento americano nella ricostruzione europea: ricostruzione della democrazia, del sistema economico sociale e quindi anche di condizioni di sicurezza; in fondo significa parlare di una di-mensione ideologica e di una dimensione geopolitica. Ne consegue che il campo d'azione degli Stati Uniti e assai piü ampio della sfera diplomatica e non si riduce al mero peace making prodotto in sede di Consiglio dei Ministri degli Esteri e di Conferenza della pace. Essi appaiono principalmente come sideshow della politica estera americana, come teatri nei quali si dispiegano le ultime esperienze della Grande Alleanza di guerra, gli ultimi tentativi di trovare soluzioni, ovviamente, di compromesso ai problemi della pace. In fondo, esiste un progetto ed un intervento 2 Su ció si veda la rassegna di Hunt, 1995, e anche Romero, 1995. 3 Il contributo piü definitivo e quello di Leffler, 1992 e 1994 e, sull'Unione Sovietica, di Mastny, 1996. 101 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 americano su Trieste (sul problema di Trieste), e dopo il giugno 1945 si manifesta anche un progetto e un intervento americano a Trieste o meglio nella Zona A della Venezia Giulia. Non sempre si snodano lungo uno stesso percorso ma in ogni caso sono da considerare entrambi. La crisi di Trieste è determinata dunque dal vuoto di potere che la ritirata e la fine il collasso nazista apre; ha innanzitutto una matrice geopolitica. Ma il problema non è solo: chi riempie il vuoto di potere? E' anche: come lo si riempie? Percio essa è anche scontro sul come ricostruire l'ordine europeo: come ricostruire l'ordine interno degli stati europei e regolare il conflitto fra stati. E' tutto questo il problema di Trieste.4 Inizialmente c'è anche un altro attore: la Gran Bretagna. Quanto meno fino alla crisi di maggio 1945 è preminente l'interesse inglese. E' un interesse sul quale grava dalla fine del 1944 l'ombra dell'esperienza greca, la minaccia che nel vuoto di potere prodotto dal collasso nazista l'acuta polarizzazione politica in loco provochi lo scoppio di una guerra civile, nel quale gli inglesi si vedano coinvolti (come in Grecia). E' cio che fa modificare gli impegni assunti con l'armistizio, cioè l'oc-cupazione di tutta la Venezia Giulia quale si estendeva al momento dell'entrata in guerra dell'Italia, e spinge la Gran Bretagna a cercare un'alternativa: dividere la Venezia Giulia lungo una linea di demarcazione, l'ipotesi che in effetti guidera la pianificazione alleata fino alla "corsa per Trieste" e all'accordo di Belgrado. E' un principio che fra l'altro vuol far salve le esigenze della pianificazione militare in quanto prevede di porre sotto controllo anglo-americano la parte occidentale della Venezia Giulia attraverso la quale passano le vie di comunicazione verso l'Europa centrale, un obiettivo cruciale ai fini dell'avanzata verso l'Austria. A far da contesto a tutto cio non è l'incombente guerra fredda - come si è a lungo asserito - bensï il concetto di sfere di influenza, verso il quale Churchill e nel complesso anche il Foreign Office dimostrano netta predilezione, e assieme ad esso l'idea di un dialogo che si mantenga aperto con l'Unione Sovietica. In realta la "corsa per Trieste" permette di riempire il vuoto di potere ma in modo anomalo: con l'overlapping, la sovrapposizione delle aree operative anglo-ameícana e jugoslava, e la conseguente prospettiva che uno dei due eserciti dovra ritirarsi. Cio rende rapidamente obsoleto il progetto al quale la diplomazia e i vertici militari britannici nel Mediterraneo hanno lavorato dalla fine del 1944. Peraltro, nell'analizzare l'atteggiamento dei due antagonisti in loco, non è da richiamare la coppia interpretativa espansionismo/contenimento, che farebbe della crisi di maggio un "prologo" di future tensioni. Sono infatti altri i termini di riferimento proposti sul versante americano. Fino a questa fase è prevalso a Washington un approccio di stampo wilsoniano, che si appella da un lato agli impegni assunti in base al-l'armistizio con l'Italia (anche se è opinione largamente diffusa che non si riuscira ad 4 Ove non sia diversamente specificato, qui e in seguito, il riferimento è ai miei La questione di Trieste 1941-1954, 1986, e Simmetrie e regole del gioco, 1995. 102 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 entrare nella Venezia Giulia prima di Tito) e dall'altro ai principi della Carta Atlantica e della dichiarazione di Jalta sull'Europa liberata, intesi come basamento dell'ordine europeo. E' evidente che ció comporta una rigida opposizione nei confronti di "fatti compiuti" o di "diritti di conquista" che dir si voglia. A differenza della linea di condotta inglese, che vede pragmaticamente in Tito l'interlocutore assieme al quale raggiungere una qualche intesa, l'atteggiamento americano e invece attento a individuare la cornice entro la quale collocare la vertenza in atto. In ció hanno un indubbio peso le percezioni del progetto jugoslavo che vengono rapidamente elaborate in loco: un progetto di controllo totale del territorio anche col ricorso alla violenza, tale per cui dietro a Tito si staglia l'ombra di Stalin. Cosí la crisi in atto e inserita entro la relazione globale fra Stati Uniti e Unione Sovietica e ricondotta a un problema di simmetrie: fra Trieste e la Polonia (a lungo un test case per la tenuta della Grande Alleanza). In Polonia Stalin ha mano libera -sostiene un memorandum del Dipartimento di Stato che da impulso alle decisioni successive - e altrettanto avviene a Trieste grazie al suo "satellite jugoslavo" tanto che l'occupazione di Trieste riceve l'attributo di "jugoslava(russa)". Eppure a Trieste, si conclude, ci sono le truppe anglo-americane. Se dunque la "corsa per Trieste" ha prodotto una asimmetria fra Stati Uniti e Unione Sovietica, e necessario ripristinare una situazione simmetrica, che per Truman - molto piü rigido di Roosevelt al riguardo - costituisce il fondamento delle relazioni con l'Unione Sovietica. E' quello che gli storici, prendendo a prestito un'espressione di Harriman, definiscono ilquid pro quo. Il wilsonismo non e messo da parte ma viene ancora interpretato nella versione rooseveltiana, che lo connette al realismo, cioe alla presa d'atto dei rapporti di forza in atto nei vari teatri.5 Se dunque viene individuato un quadro di relazioni entro il quale collocare la crisi, esso vede presenti esclusivamente i membri dell'alleanza vincitrice. Per gli sconfitti (l'Italia cioe) non c'e posto; ed e evidente perché da parte italiana si cerchi di far da soli o si lasci fare agli altri. Mi riferisco ai contatti fra Bonomi e De Courten, ai contatti fra partigiani dell'Osoppo, X Mas di Borghese e comandi nazisti allo scopo di fronteggiare l'avanzata delle truppe di Tito e, rispettivamente, a Togliatti, il quale nell'ottobre 1944, da quando si fa energica la pressione jugoslava volta a spingere a ovest le frontiere jugoslave e quelle del comunismo, cede accettando che tutta la Venezia Giulia venga liberata dalle truppe jugoslave e perció sottratta al controllo del Governo Militare Alleato. Nell'un caso e nell'altro e una politica dell'impotenza e tale continua ad essere durante tutto il corso delpeace making nella sede sia del Council of Foreign Ministers sia della conferenza della pace6 5 Di recente la tesi che vedeva nell'intervento americano nella crisi di maggio il "prologo del con-tenimento" e stata respinta da Dinardo, 1997. 6 Si veda, per il primo aspetto, Pupo, 1996; per il secondo, Galeazzi, 1996, e Gualtieri, 1995. Quanto al successivo atteggiamento del governo italiano rimando all'ampia ricostruzione di De Castro, 1981. 103 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLI ALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 Dal catalogo della mostra "II Trattato di pace di Parigi ed il confine occidentale sloveno 1945-1947", Museo regionale di Capodistria, 25 Settembre - 25 Ottobre 1997. 104 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 Ma accanto al problema delle simmetrie si pone anche quello delle rególe del gioco; accanto alla dimensione geopolítica c'è, inseparabile, quella ideologica (intesa, si badi bene, nel senso di società da costruire). Se da un lato c'è stato un vuoto di potere (e si è dovuto trovare il principio sulla base del quale riempirlo), dall'altro c'è l'idea di una ricostruzione della società europea e, prima di tutto, della democrazia. E' questa l'esigenza che avvertono le armate alleate nel momento in cui liberano un territorio. Alla liberazione dovrà percio far seguito l'occupazione dei territori nemici, in particolare di quelli più contaminati dal nazismo; è l'occupazione che dovrà garantire le premesse del ritorno della democrazia? In fin dei conti non è solo il principio di simmetria che determina Stati Uniti e Gran Bretagna a rimanere a Trieste e nella Zona A della Venezia Giulia. La seconda ragione si materializza non appena è palese che la presenza jugoslava a Trieste si configura come un Communist takeover, come un progetto di controllo totale del territorio, guidato - legittimato, sarebbe forse da dire - sia dall'esercito jugoslavo sia dall'insurrezione partigiana, alla quale si è fatta rapidamente seguire l'instaurazione dei "poteri popolari", di quel modello di "democrazia popolare" che viene instaurato negli stati dell'Europa centro-orientale. Di fronte a cio la presenza anglo-americana nella Zona A si carica di un antagonismo rispetto al progetto di controllo jugoslavo, ovvero come garanzia che si reintroducano le regole del gioco democratico. E' un impegno che grava principalmente sulle autorità di occupazione militare. Non è del resto un caso unico: un peso analogo esse avranno in Germania e in Austria. Al riguardo le premesse sono del tutto nitide già alla fine di maggio 1945. "Non sono disposto a consentire che il mio Governo militare alleato funzioni attraverso le autorità civili che sono già state istituite in quest'area (cioè i poteri popolari)" scrive il comandante supremo del Mediterraneo, Alexander. (PRO, WO 204/913, 23 maggio 1945) Per quanto l'accordo di Belgrado mantenga una certa ambiguità al riguardo, la fermezza nello smantellare rapidamente tutto quanto sia espressione dei poteri popolari (il tribunale del popolo, la guardia del popolo e cosï via) è cio che carat-terizza i primi passi del Gma nella Zona A della Venezia Giulia; con altrettanta rapidità si garantisce la circolazione della stampa e delle formazioni politiche non comuniste. Non è pero che con cio si chiuda la partita fra il Gma e il partito comunista locale (Pcrg), che è sotto il ferreo controllo sloveno (jugoslavo). Tutt'altro: il mantenimento di un contropotere è infatti prospettiva al quale il secondo rimane attaccato e si manifesta in vari modi (sui quali c'è ancora molto da chiarire): difesa ad oltranza di tutto cio che si è riusciti a controllare dopo l'insurrezione (la scuola, la piazza, l'in-formazione), continuo ricorso alla mobilitazione sociale e in particolare della classe 7 Il tema è inserito in un più ampio scenario nel mio Liberazione e occupazione, 1997. 105 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 operaia, creazione di apparati clandestini. Con il 12 giugno 1945 - data in cui si avvia il Governo Militare Alleato nella Zona A della Venezia Giulia - i comunisti avvertono di aver perduto una partita, tant'è vero che questa data viene cancellata nella memoria comunista e slovena. Ma per quelle che restano ancora da giocare si decide di cambiar tattica: se prima si è giocato per la presa del potere, ora si giocherà perché sia mantenuto un contropotere. Dall'altra parte la sfida viene prontamente avvertita in quanto tale: il Gma è da poco insediato che già avverte progetti di destabilizzazione e di disinformazione, di infiltrazione del proprio apparato, la presenza di strutture clandestine, nelle mani delle quali girano armi che non sono state consegnate (PRO, WO 204/913 e 914, rapporti dell XIII corpo, 13 giugno, 24 giugno, 3 luglio 1945). Alla fine se quello anglo-americano è un governo militare, militare è pure il carattere del partito comunista (un carattere che permarrà a lungo in esso). Lotta senza quartiere fra un potere e un contropotere: è questo il contesto nel quale si avvia, con evidente difficoltà, il processo di ricostruzione della democrazia. E' facile percio capire perché naufraghi velocemente nel vuoto il tentativo, compiuto dal Gma, di riprodurre nella Zona A della Venezia Giulia il modello dell'indirect rule, che in pratica è stato seguito in Italia a partire dall'occupazione della Sicilia nel luglio 1943 in avanti. Questo modello prevede un governo locale di coalizione su ampia base antifascista, sul quale si esercita il controllo dell'ente di occupazione militare (il Gma). A Trieste cio non è possibile perché il locale partito comunista si pone nella prospettiva del contropotere e non in quella della collaborazione antifascista, che del resto è già stata interrotta dal settembre 1944, quando appunto i comunisti sono usciti dal Cln di Trieste. Di fronte a questa situazione agli inizi di agosto 1945 il Gma ricorre al direct rule, al modello di governo diretto, quello che viene attuato nei territori in cui il totalitarismo e l'autoritarismo hanno più intossicato la società e percio sono da ricostruire ab imis i fondamenti di un ordine liberal-democratico (come avviene in Germania, in Austria, in Giappone). E' modello in base al quale il Gma si prende carico diretto del governo locale (e lo manterrà, con lievi aggiustamenti in pratica fino a quando cesserà nell'ottobre 1954); in particolare esso si pone nella veste di garante della legalità e della governabilità, si legittima dunque come forza di governo. Ma in certa misura delegittima i partiti politici locali in quanto classe politica (di governo o di opposizione): tutti, non solo i comunisti, con conseguenze che si possono misurare solo a lungo termine. In virtù di tale veste il Gma apparirà sempre più determinato a fronteggiare la pressione volta a minare la propria autorità, né dimostrerà alcuna propensione a sottrarsi alle sfide. "C'è un solo governo qui e non permetteremo di farla franca a chiunque minacci seriamente o pretenda di esercitare una funzione di governo che noi stiamo compiendo", si afferma nel gennaio 1946 (NA, RG 331, ACC, Italy, 14 gennaio 1946). Nei mesi successivi dichiarazioni del genere diventano un leitmotiv sia in privato sia in pubblico . 106 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 Fuor di ogni dubbio, tutto ció è premessa per la ricostruzione della democrazia; ma è una ricostruzione pilotata, "democrazia controllata", "a piccole dosi", come viene esplicitamente ammesso. Cosí in un primo momento è da garantire la com-presenza sullo scenario politico triestino e della Zona A dell'intera gamma di forze politiche locali, e a stroncare tutto quanto significhi aspirazione all'egemonia: è definita politica dell'imparzialità. Quando alla fine di marzo 1946 arriva in visita ai territori contestati la commissione di indagine quadripartita che deve formulare proposte al Council of Foreign Ministers, hanno luogo - ed è la prima volta che ció avviene dalla fine della guerra - imponenti manifestazioni di carattere filoitaliano. Le autorità di occupazione le definiranno come "rinascita di italianità" e le vedono con soddisfazione (mista a preoccupazione), perché con ció si dà atto che il Gma, grazie alla politica dell'imparzialità, è riuscito a portare allo scoperto quella parte della società triestina - italiana e anticomunista - che a partire dall'insurrezione di fine aprile 1945 era stata fortemente compressa. (PRO, WO 204/927, 26 marzo 1946; NA, RG 331, ACC, Italy, 1 aprile 1946) Ma ció è anche fonte di preoccupazione perché, se ora gli schieramenti politici presenti sulla piazza sono due, diventerà più difficile e richiederà maggiori risorse il mantenimento dell'ordine pubblico (una competenza che il Gma avoca rigorosamente a sé in pratica fino all'ottobre 1954). Va anche aggiunto che la politica dell'imparzialità senza dubbio equivale quanto meno al controllo, se non al contenimento, di chi all'egemonia tende con ogni evidenza, i comunisti cioè. Con questi, come si è detto, il confronto si è aperto nel giugno 1945 e l'episodio conclusivo avviene nel luglio 1946 allorché il Gma interviene a bloccare uno sciopero generale a seguito di incidenti di piazza a Trieste e nella Zona A, e spicca mandati di arresto contro i suoi promotori. E' l'estremo atto di sfida rivolto dal partito comunista al Gma, contro la sua stessa legittimità. Anche da questa partita i comunisti escono sconfitti, e ció li costringerà in qualche misura a rivedere i propri progetti di azione politica, a mettere da parte quell'atteggiamento massimalistico ed estremistico che hanno adottato dal settembre 1944. Non è un caso che, dopo l'episodio che si è citato, si avvii un'esperimento di unità sindacale, né che il Pci cerchi di riaffermare una propria presenza autonoma a Trieste, dopo che dall'autunno 1944 si era consegnato ad un ruolo di mera passività8 Politica dell'imparzialità significa anche impegno a liberare la società triestina dai "tre mali" che a giudizio delle autorità di occupazione l'affliggono: "la superlativa semplificazione di attributi che i protagonisti (locali) si scambiano fra loro", l'impedimento delle manifestazioni altrui, e "la sostituzione di un motto meccanico per riferirsi a un determinato argomento". (Il Giornale Alleato, 7 novembre 1945). Nell'arco di un anno questa politica dà i suoi frutti: il Gma consolida il proprio 8 Sull'episodio si veda il mio La labour policy del Governo militare alleato (1945-1954), 1986. 107 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 contrallo sul territorio, pone fine ai progetti egemonici di marca comunista, garantisce la compresenza degli antagonisti anche se alla lunga ció acuisce nel Gma la tendenza a considerarsi corpo estraneo rispetto alla società triestina. In ultima analisi se pure introduce le regole del gioco democratico, ad esse il Gma si sottrae poiché, in quanto governo militare, non è sottoposto al controllo dei cittadini che governa. Se questa, che si è delineata, è la politica anglo-americanaa Trieste, accanto ad essa va vista quella su Trieste, sulla questione di Trieste, una dimensione che si riferisce essenzialmente alle relazioni fra le grandi potenze. Il principio della sim-metria, che abbiamo visto dominare nella soluzione della crisi di maggio, è ancora presente nella sede del Council of Foreign Ministers e nella conferenza della pace. Simmetria equivale tendenzialmente a equilibrio e a compromesso: di fronte a proposte di confine molto lontane fra loro, se una si imponesse sull'altra, ció sarebbe immediatamente tradotto in correlazione di forze: per chi abbia ceduto in segno di debolezza e per converso in segno di superiorità per chi sia riuscito ad imporre la propria soluzione. Per inciso, una situazione del genere esclude che le grandi potenze si affidino al ruolo di tutore degli interessi delle parti direttamente interessate, l'Italia e la Jugoslavia cioè. Queste, la prima forse più della seconda, mal se ne accorgono; ció alimentera aspettative poi tradite e sarà fonte di successive recriminazioni9 In realta il Council of Foreign Ministers non è la sede per esperimenti in termini di correlazione di forze, che pure vengono condotti in quel tempo da parte sovietica e americana. Quanto agli Stati Uniti in particolare il segretario di Stato Byrnes vede nel Cfm l'arena nella quale esercitare le proprie capacita di horse trader e alla quale legare la propria immagine di peace maker (cf. Messer, 1982; Ward, 1979). E' dunque la logica del compromesso a costituire l'atmosfera entro la quale viene concepito il Territorio Libero di Trieste. Per di più una soluzione che si ispiri a tale logica è resa necessaria - quanto meno per gli Stati Uniti e l'Inghilterra, le potenze che erano direttamente investite del compito di amministrare la Zona A - dal timore che una "non soluzione" acuisca la situazione di instabilita presente nella Zona A. Si ricordera al riguardo che, mentre a Parigi si discute, a Trieste hanno luogo aspri scontri di piazza in cui è in discussione la stessa legittimita del Gma. Infine, vista la logica che determina la soluzione, il compromesso non puó che nascere dall'iniziativa di un terzo partner, il ministro degli Esteri francese Bidault, il quale è cosí del TlT non l'artefice bensí un mero padre putativo. Del resto la mediazione con l'Unione Sovietica interessa alla Francia, che in quel momento vede nella continuazione della Grande Alleanza l'unico modo per impedire una rinascita della potenza tedesca in Europa. In ogni caso non è solo farina del sacco di Bidault la soluzione escogitata, 9 E' un tema presente in Poggiolini, 1990. 108 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 l'internazionalizzazione cioè. Fin da quando nella sessione del Cfm di Londra nel settembre 1945 si era fatta immediata esperienza dell'assoluta inconciliabilità delle rivendicazioni jugoslave rispetto a quelle italiane, si era delineata l'ipotesi di internazionalizzare Trieste e il territorio circostante, che è la posta in gioco dell'intera trattativa. E visto che lo è anche sotto il profilo simbolico, per la città di Trieste e un piccolo territorio circostante (il Tlt appunto) si trova una soluzione che sia distante sia dalle rivendicazioni del vincitore sia da quelle dello sconfitto. Per di più l'accordo del 3 luglio 1946 al Palais du Luxembourg puo essere "consumato" a favore di obiettivi più generali: com'è noto, tale accordo sblocca il negoziato di pace con altri stati sconfitti. In realtà il Tlt sarà, com'è noto, un "mai nato": una situazione che secondo una tesi convenzionale è da far risalire al fatto che in seno all'Onu la politica dei veti incrociati impedirá di trovare l'accordo sul nome del governatore. Ma si tratta di interpretazione che coglie solo l'aspetto superficiale della vicenda. Una volta raggiunto l'accordo sul Tlt infatti cominciano ad emergere in coloro che impostano la politica su Trieste preoccupazioni in tema di sicurezza, che si uniscono alle preoccupazioni in tema di ricostruzione della democrazia, proprie delle autoritá militari che decidono la politica a Trieste. Democrazia e sicurezza sono per di più il substrato che, solo, puo garantire la crescita economica e la stabilizzazione europea. Da questo momento cio che si decide a Trieste e cio che si decide su Trieste rispondono ad una medesima logica, ed è la logica che guida l'intervento americano in Europa. Nel TlT, cioè in quello che nella sua forma iniziale appare come un'area grigia fra due Europe che si stanno dividendo, per gli inglesi e americani è da garantire innanzitutto la stabilitá: è da impedire che esso diventi preda dello scontro senza quartiere fra le due componenti politiche antagoniste locali (il blocco comunista e quello delle forze filoitaliane e anticomuniste). Cosí governabilitá significa sottrarre poteri a queste, per affidarli nelle mani del governatore, significa impedire forme di autogoverno: sono queste le premesse con le quali da parte inglese e americana si inizia a Parigi la trattativa sullo statuto permanente del TlT (NA RG 43, CFM, luglio 1946; PRO, FO 371/59351, 13 luglio 1946). Ma ormai la conferenza della pace rappresenta il binario morto della politica internazionale, l'ultimo atto dell'alleanza di guerra. Sta qui la ragione per cui il TlT non viene costituito: è concepito entro le estreme propaggini della Grande Alleanza e solo da un contesto del genere puo venire l'ossigeno capace di tenerlo in vita; ma la Grande Alleanza è ormai agli sgoccioli. Ma l'esigenza di creare una situazione di stabilitá europea - e, per quanto ci riguarda, di stabilitá del TlT - sussiste e viene affidata non più al negoziato bensí all'intervento americano in quanto tale, cioè a soluzioni unilaterali che con ogni evidenza fanno finire la diplomazia di guerra. Cosí l'intervento americano è chiamato anche a rispondere a cio che viene percepito come minaccia alla stabilitá. Cio determina quindi una combinazione di challenge- 109 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 response, combinazione che appunto guida la política estera americana in questi frangenti. E' facile vederla in atto anche nella questione di Trieste, in particolare per ció che si riferisce alla definizione dell'assetto interno del TlT, sulla quale il confronto continua nell'estate 1946 in sede di conferenza della pace. Da allora la premessa della stabilità tende a diventare la difesa da una minaccia. Se la Jugoslavia (e l'Urss) esige forme di autogoverno nel TlT, significa che alla lunga vuole renderlo ingovernabile, assicurarsi il controllo politico del territorio e quindi si muove tendenzialmente nella prospettiva di un suo assorbimento surrettizio: cosí si ragiona da parte inglese. (PRO, FO 371/59355) In altre parole alla Jugoslavia vengono attribuiti intenti eversivi nei confronti del TlT e in particolare della presenza anglo-americana nella Zona A. La risposta è affidata al mantenimento del Gma "finché un governo provvisorio non sarà saldamente costituito". (NA, RG 59, SDF, 740.00119, 1 settembre 1946) In altre parole, se una pressione viene individuata contro la Zona A del TlT, essa va fronteggiata attraverso il controllo di essa grazie al modello di direct rule. Da questo momento la linea di condotta delle autorità di governo militare in loco si fonde con quella seguita dalla diplomazia. Il garantire la presenza di un contesto democratico all'interno della Zona A, il contenere - va aggiunto - la conflittualità sociale attraverso il programma tipico diprevention of disease and unrest sono iniziative saldamente integrate nel progetto più generale di stabilizzazione europea. Democrazia e sicurezza (intesa come capacita di contenere le minacce interne ed esterne), dimensione ideologica e dimensione geopolitica venivano sostanzialmente a congiungersi. Tornando al binomio challenge-response, è tuttora aperto il dibattito se quella americana sia stata una risposta commisurata alla minaccia oppure unoverreaction.10 Per quanto riguarda l'atteggiamento americano verso la questione che qui viene affrontata, lo rientra più nella prima categoria che nella seconda. Ormai il partito comunista locale altro non è che una longa manus jugoslava, il che fa combinare la minaccia interna con la minaccia esterna. Dopo la conclusione della prova di forza fra partito comunista e Gma nel luglio 1946 dalla stampa comunista continuano a partire alcune bordate dalle quali è facile desumere la determinazione di non porre termine al confronto con il Gma. L'appello a "schierarsi apertamente contro il nemico", a continuare la lotta "in altre forme", l'affermazione di una maggiore volonta offensiva da parte del popolo e in seguito la parola d'ordine della lotta al fascismo locale alleato, tramite il Gma, all'imperialismo internazionale sono segnali i quali permettono di affermare che la sfida viene interpretata per quel che in sostanza è: sfida per il controllo, a lungo termine, del TlT (cf. Sema, Bibalo, 1981). Del resto gia nel marzo 1946 il War Department avverte che il problema della 10 E' un tema che domina la più ampia ricostruzione della poltica estera americana durante la presidenza Truman (Leffler, 1992). 110 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 Venezia Giulia "va considerato nell'ampia cornice delle intenzioni russe nei Balcani e nell'area mediterranea con particolare riguardo all'impatto degli obiettivi russi sulla linea di condotta americana e inglese in un contesto generale". (NA, RG 165, 13 marzo 1946) Nel definire la sfida contano dunque le intenzioni sovietiche. Sono intenzioni che si fanno risalire alla tradizione e alla storia, alla Russia in quanto stato e in quanto espressione del comunismo sovietico; comunque esse appaiono controllabili mediante "l'abile e attenta applicazione di una controforza". E' questa, com'è noto, l'impostazione di Kennan, che la ritiene capace di produrre alla lunga "l'ammorbidimento del potere sovietico". Eppure, accanto a questa soluzione ottimistica, contano anche le capabilities sovietiche. Sono potenzialità che si rendono manifeste in vari teatri: a Trieste dove, come si è visto, si punta a sovvertire l'assetto del Tlt e togliergli stabilità; in Turchia, stato che per effetto della pressione sovietica potrebbe cadere entro l'orbita di quest'ultima; in Grecia, dove la guerra civile si riaccende nella seconda meta del 1946 per iniziativa del partito comunista e minaccia di far cadere il governo; in Francia e in Italia, dove si avverte la mancanza di efficaci antidoti al partito comunista.11 A interpretare queste molteplici potenzialità sovietiche viene adoperato un modello teorico, che pervade rapidamente le sfere decisionali americane: ladomino theory. Esso vede una serie di fenomeni in corso, il challenge cioè: infiltrazione, penetrazione, indebolimento delle forze locali di resistenza, allo scopo di creare instabilità e insicurezza. Al challenge si contrappone il response: creare "situazioni di forza", rafforzare i deterrenti alla minaccia comunista. E poiché la "preponderanza di forza" è fondamentalmente percepita come un fatto psicologico, si tratta di affiancare ai fatti messaggi simbolici, perché già Wilson aveva insegnato che la forza ha valore solo se c'è il consenso attorno ad essa nell'ambito internazionale. E' dunque necessario creare un linguaggio del potere (riassunto anche nella dottrina Truman), la domino theory: pressante impegno ad evitare il bandwaggon effect, cioè le reazioni a catena, e la realtà internazionale è riassunta dall'immagine di un barile di mele nel quale bisogna isolare le marce affinché non contaminino le sane. La domino theory è in sostanza una metafora: implica la visione di un mondo interdipendente ma disordinato, di una modernità in pericolo (e la modernità è concetto intimamente connesso all'intervento americano) il timore che il comunismo venga visto come "il movimento del futuro, movimento in atto e che non era verso di fermare". Ma dall'altro lato la domino theory fa riconoscere negli USA l'unica forza in grado di contrapporsi a ció, ottenendo credibilità, senza la quale ovviamente non c'è consenso (cf. Ninkovich, 1994). Dall'estate del 1947 la presenza alleata nella Zona A è motivata entro questo 11 Ho sviluppato questi temí nel mío Gli Stati Uniti e il Mediterráneo, 1992. Per una diversità di accenti si veda Leffler, 1992. 111 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 schéma teorico. In realtà un'infiltrazione, una penetrazione la si era già temuta, come si è visto, nel giugno 1945; ma ora il retroterra è ben diverso, ben più strutturato. Nel luglio 1947 il War Department definirá Trieste come "l'ultima barriera contro l'in-filtrazione da est nell'Italia settentrionale [...] Il controllo dell'Italia settentrionale a sua volta fornirebbe un ponte dalla Jugoslavia e dagli stati balcanici filocomunisti verso la Francia ed eventualmente verso i Pirenei...". Non si tratta, va aggiunto, di minacce in termini militari; il contesto entro la quale si collocano è fonda-mentalmente politico-psicologico. (NA, RG 319, 12 luglio 1947) Il tentativo di far entrare truppe jugoslave a Trieste la sera del 15 settembre 1947, al momento dell'entrata in vigore del trattato di pace, contando su un'interpretazione arbitraria di alcune sue clausole, fa entrare stabilmente Trieste nella cornice della domino theory. Fra le autoritá di occupazione militare si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un colpo di mano pianificato contro il quale ci si appronta a "rispondere con la forza". Se la crisi viene rapidamente risolta senza che sia necessario ricorrervi, ma solo grazie alla fermezza del comandante militare in loco, il generale britannico Airey, quanto permane invece e si consolida è la percezione di una minaccia esterna che si combina a una minaccia interna (con il suo apparato simbolico fatto di cavalli di Troia, quinte colonne), rende cruciale il tema della sicurezza e scatena una rigida e sistematica politica di contenimento nei confronti di tutta la sinistra locale, delle sue varie forme di presenza nella societá attraverso il partito, il sindacato e le organiz-zazioni collaterali. "Il comunismo, essendo contro l'ordine e la legalitá, va contrastato ovunque e comunque lo si incontri", scriverá poco dopo uno dei più alti esponenti del Gma; e si tratta non di affermazione generica bensi di una linea di azione che si traduce giorno dopo giorno in atti di forte compressione dell'attivitá dei comunisti a Trieste. (NA, RG 331, 28 ottobre 1947) Tutto ció diventa la premessa per garantire una situazione di stabilitá interna, che dalla tarda primavera 1948 passerá anche attraverso il Piano Marshall, adoperato a Trieste essenzialmente come strumento di controllo della conflittualitá locale. Cosi, dagli ultimi mesi del 1947 Trieste diventa un luogo dell'intervento americano in Europa - nella societá, nella cultura, nell'economia: un luogo di passaggio, anche effimero, dell'American dream, un modello di crescita verso il benessere e la prosperitá, garantite dalla "politica della produttivitá", un modo per ridurre il conflitto politico a problema di distribuzione della ricchezza nel quadro di una societá dei consumi.12 In ogni caso tutto si semplifica, anche se si diffonde un clima di insicurezza che prende un po' tutti: il Gma teme i comunisti e gli sloveni, questi a loro volta vedono nel Gma l'artefice di macchinazioni ordite a loro danno, e infine le forze italiane e anticomuniste temono gli uni ma non si sentono efficacemente tutelate dagli altri. E, questo, un tratto di fondo di quegli anni, che lascerá un pesante 12 Si veda la prefazione di Kezich, e l'introduzione di Valdevit a Spirito, 1994. 112 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLIALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 strascico: in particolare una sensazione di insicurezza, che ha assunto forme e dimensioni di volta in volta diverse e forse neppur oggi si e del tutto dissolta. Infine c'e anche un partner britannico, che sviluppa una politica a Trieste e su Trieste. Quanto alla prima essa segnala una sostanziale uniformita rispetto a quella americana. Quanto alla seconda invece essa e caratterizzata dal fatto che dalla fine della guerra la Gran Bretagna diventa unjunior partner, dal 1947 attanagliato anche a Trieste dalla prospettiva del descent from power. Nel corso del 1947 essa si manifesta con chiarezza in Grecia, e piü tardi in Palestina, in Egitto (cf. Alexander, 1982; Louis, 1984). Qui si tocca con mano la distanza psicologica fra il pessimismo della potenza europea in crisi e l'ottimismo di chi accorre in Europa dall'altra sponda dell'Atlantico. Alla fine di settembre 1947 anche Trieste entra in questa prospettiva allorché raggiunge il Foreign Office uno scoraggiato rapporto del consigliere politico britannico nella Zona A, rapporto nel quale essa viene dipinta come una permanente zone of strain, irrecuperabile a una qualche forma di stabilita ed equilibrio. (PRO, FO, 371/67344, 29 settembre 1947) Se la politica inglese in Grecia e in Palestina e andata incontro al fallimento, a Trieste si teme il ripetersi di quest'esperienza, cioe che alla fine la Zona A venga assorbita dalla Jugoslavia. Ma allorché Bevin propone in ottobre la restituzione della Zona A all'Italia, da parte americana si trova di fronte a un coro di no. Da Belgrado l'ambasciatore Cannon commenta: "il TlT ha un'importanza simbolica, come pure intrinseca, e Trieste rappresenta oggi la continuita dei nostri interessi verso l'Est europeo" (FRUS, 1947, IV, 8 novembre 1947). Dal Dipartimento di Stato il responsabile degli affari europei Dowling gli fa eco: acconsentire alla proposta di Bevin testimonierebbe un "indebolimento della determinazione di tenere [gli jugoslavi] fuori da Trieste"; al contrario, "fintantoché la zona anglo-americana rimane sotto l'amministrazione delle autorita militari alleate, sembra dubbio che le tattiche di infiltrazione comunista riescano ad avere successo". (NA, RG 59, SDF, 8 e 14 novembre 1947) Intervento americano nei fatti dunque e anche in una dimensione simbolica. In ultima analisi l'intervento americano a Trieste si pone come garanzia di sicurezza, garanzia che prevede un impegno nel tempo. La rottura fra la Jugoslavia e il Cominform nel giugno 1948 e la successiva apertura di un dialogo con le potenze occidentali fara rapidamente cancellare la posizione di Trieste e della Zona A come quella di una pedina nella teoria del domino, spostando piü ad est, quantunque in maniera che rimarra indefinita, la linea di divisione dell'Europa. Cosí Trieste si trasformera da pedina del domino in relitto della guerra fredda. La si lasciera in tale condizione fino a quando esso non minaccia di interferire con progetti di ampia portata. Il new look di Eisenhower, cioe la messa a punto della politica estera americana, postulera di rendere piü compatta la struttura di sicurezza in Europa e percio di inglobarvi la Jugoslavia in maniera piü stabile. E' da questo retroterra che nascera nell'ottobre 1953 la decisione di restituire la Zona A all'amministrazione 113 ACTA HISTRIAE VI. Giampaolo VALDEVIT: GLI ALLEATI E LA QUESTIONE DI TRIESTE FRA PEACE ..., 99-116 italiana, decisione che attraverso un lungo negoziato approdera un anno dopo al memorándum di Londra, alla cessazione del Gma e alla restituzione della Zona A all'amministrazione italiana.13 ZAVEZNIKI IN TRŽAŠKO VPRAŠANJE MED VZPOSTAVLJANJEM MIRU IN HLADNO VOJNO Giampaolo VALDEVIT Univerza v Trstu, Pedagoška fakulteta, IT-34124 Trieste, Via Tigor 22 POVZETEK Razprava vsebuje vnovično celovito branje ključne faze tako imenovanega tržaškega vprašanja v okviru evropske zgodovine. Osrednjo točko predstavlja ameriški poseg, katerega cilj je tako v Julijski krajini kot v ostalem delu Vzhodne Evrope ponovna vzpostavitev demokracije in varnostnih razmer. Načrt, ki ga v Trstu in Coni A Julijske krajine vodi vojaška zavezniška vlada, naleti na odkrit odpor pri alternativni oblasti, ki jo predstavljajo lokalne komunistične partije. To, kar je v Coni A Julijske krajine v bistvu bitka za oblast, se v okviru sveta zunanjih ministrov in mirovne konference kasneje zaplete v razpravo in spor glede teritorialne pripadnosti Julijske krajine. V drugi polovici leta 1947 je očitno, da želi Amerika s svojimi posegi v Trstu v zvezi s tržaškim vprašanjem doseči to, kar je bilo tudi sicer vodilo ameriške zunanje politike v drugi polovici štiridesetih let - politiko vsestranske zmernosti: politične stabilnosti, gospodarske obnove in varnosti. FONTI E BIBLIOGRAFIA Alexander, G. (1984): The Prelude to the Truman Doctrine: British Policy in Greece., Oxford, Oxford UP. De Castro, D. (1981): La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954. Voll. 2. Trieste, Lint. Dinardo, R. S. (1997): Glimpse of an Old World Order? Reconsidering the Trieste Crisis of 1945. Diplomatic History, XXI (1997), 3, 365. 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