Anno IX. Capodistria, Agosto-Settemisre 1911 N. 8-9 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Due epigrammi inediti per r„osella" del doge Paolo Renier (1779) Per quei pochi nostri lettori che 1' ignorassero ricorderemo come il Doge di Venezia fosse solito, nella vigilia di Natale, regalare ai nobili ed ai primi del popolo parte di quel tributo annuale che gli si offeriva di uccelli di riviera forse come segno del riconosciuto dominio del capo dello Stato sui luoghi conflnanti colle lagune: ogni membro del maggior Consiglio, in particolare, riceveva cinque oselle, uccelli palustri detti volgarmente osele salvadeglie dai pie rossi4) oppure, in cambio, 32 soldi equivalenti allora a mezza redonda o zecchino. Solo nel 1521 (Giugno) il democratico dono si convertiva, per ovviare alla mancanza talora occorsa delle osele necessarie, in quello piu aristocratico d' una moneta, detta anch'essa osella, del valor d' un quarto di ducato, ornata d' un gerogliflco e d' un motto latino, del norae del Doge e deli' anno del ducato oltre a quello deli' era comune e talora deli' ab urbe condita. Or dunque 1' osela del Renier, coniata 1' anno primo del dogado, recava da un lato l'Abbondanza con due cornucopie delle quali 1' una, di flori e spighe, portava il motto Bonorum auctrix 1' altra le parole Paulus Reinerius principis rnunus an. I. 1779. ') II Boerio lici notissimo suo dizionario ricorda coirie, in seguito, per evitare i lagni dei malcontenti si stabilisse di dar ad ognuno, senza eccezione, un uccello grasso e uno magro donde il motto: Un yrasso e un magro come i osei da Maran. Le due iscrizioni, ma specialmente quest' ultima, come quella che poteva far sospettare nel principe una nuova ten-denza di supremazia dettero sui nervi aH' abate Amadeo Man-zini, discreto poeta vernacolo, amico del Barbaro (di lui piu noto quantunque ancora nella maggior parte delle sue poesie inedito) e gli fecero sgorgare dalla stizzita penna i due epi-grammi che seguono (Cod. Cicogna 1904): Sull'osella deli' anno 1779 fu posta la seguente iscrizion Paulus Reinerius Principis Munus Anno I. Sull' osella corrente 54 Madregal. Chi ello mai sta, chi xello quel cogiou Che ali' osella ducal, Dono che xe real, Ha fatto 1' iscrizion ? Chi ello mai sta chi xello quel cogion'? Bell' onor per Venezia, in veriti! Se vede, si, se vede Quel ch' estere Nazion pur troppo črede : Ch' el latin in Venezia L' k giudica un' inezia, Che nissun piu lo studia, Che gnanca i preti, i frati piu 1' intende, Che ai Veneziani el liga i denti e incende '). De fatto i ga rason e i dise poco, Ma i diri el resto ben de quell' aloco De quell' osel salvadego Che in la moneda pubblica, Dono del nostro Prencipe, Un tanto de sproposito Se veda ai nostri di cugna') Che de vergogna eterna a nu šari, Sproposito che cambia 1' intenzion Total deli' iscrizion. Pemo la costruzion E po cavemo alfin la conclusion. Paulus Reinerius Munus Principis Sior si, va ben : femo el volgar adesso. Ve ! Polo Renier, ch' e '1 nostro Dose, Sta invece deli' osella che xe '1 dono Mi, stando alle parole rigorose, ') E che direbbe ora il Manzini se ritornasse al inondo ? Povero latino ! s) coniato. Mi rilevo da seno ... Oh si 1'6 bella! Ch'el nostro Dose e deventa un'osella! Povero Serenissimo ! Povero nostro Dose strapazza Da lin che, in concordanze, gnente sa Ah fussio almanco mi Dose in Venezia Solo per sta occasion Vorave mi ali' autor de sta iscrizion Farghe un regalo bello : Voria quelle parole Ben farghele cugnar sora......1). Importante e la nota che segue di mano delFautore stesso: 1.80 Un credenzino di albuccio con entrovi diversi disegni del Circolo di Caracalla e della Villa Adriana in Tivoli da valutarsi in appresso. Diverse statue, bassorilievi, teste, vasi ed altri pezzi di gesso per servizio dello Studio ............... » 20.— Un orologio a mostra con lastra di legno fermata al muro con mostra dipinta .................. > 4.— Due stampe, una rapp.te la Trasfigurazione di N. Sig.e e 1' altra la Deposizione della Croce, con cornice colorita a porfido e filettate a d oro buono con suoi vetri avanti » 8.— Altro bancone con li cavalletti sotto simile aH' altro di sopra descritto ....................... » 1.80 Un tavolino da giuoco piegatore con suo picciolo tiratorino » 1.— Seconda stanza. Diverse armature attorno di legno rustico con tramezzi di ta-vola e pradella similmente di tavola in parte della su- detta stanza...................... » 8.— Tutti li sudetti tramezzi nel giro della sudetta stanza, ripieni di stampe ed opere buone e carta servibile da valutarsi appresso. N.o tre sedie a piroli, tre sedie di paglia, quattro tavole da disegnatore ed altre tre tavole grosse come sopra ... » 2.— Un piccolo lampadario di vetro o lumino da olio ..... » —.20 Tema stanza detta la Stamperia. Un torchio da stampare li rami............................» 18.— N.o otto d' altri per uso del sudetto torchio................» 4.— Due gratticoloni di ferro con due pradelline similmente di ferro per saldare li rami ..............................» 4.— Una credenza e due piccole credenze con entrovi stampe di poco o niun valore.................scudi 1.20 Un credenzone grande a muro con entrovi stampe da valu-tarsi appresso. Una pietra di granito ottangolata con suo macinello di porfido da macinare la tinta ................. » 4.— Altra pietra di marmo come sopra con macinello di porfido rotondo........................ » 1,— Una caldara di rame riquadrata piana per tenere 1' aqua sotto il torchio .................... » 5.— Un ta voli no con due cavaletti sotto c quattro tavole per posare le stampe, in tutto............... » 1.60 Nello stanziolino che segue. Un piccolo tavolino di albuccio per c.ivalletto da pittore e diversi gessi in bassorilievo, in tutto ......... « 2.50 Un quadro di misura in tela d' Imperatore per traverso, rap-presentante la Grotta di Nettuno, opera di Monsu Tiers, senza cornice..................... » 25.— Altra stanza fatta a soffitta per uso parimenti di stamperia. Un torchio da stampare eonsimile all'altro, ma in meglio stato » 128.-— Tavole e graticole per scaldare li rami ....................» 4.— Due altri piu grandi ......................................» 1.80 Uno schifo da dare 1' acqua forte alli rami ................» —.50 Tavoli ecc. per posare li rami e stampe....................» —.80 Un credenzone a muro..................................» 2.— Un pilone a guisa di caldara di rame per fare la tinta per le stampe e diversi flasconi di olio di lino, in tutto . . » 2.50 Due lucernette............................................» —.15 Un fuso da torchio................. . . » 1.50 Di sotto. Una camera ottica con entro di un cassone diverse vedute » 16.— Diversi cartoni per legare libri che a tenore della tassa cor- rente sono in tutto.................. » 32.10 Una piccola credenzina di albuccio con suoi sportelli con serrature e chiavi................... » —.50 Dentro al medesimo stampe da contarsi poi. Un piccolo tavolino fermato al muro per incidere li rami . » —.40 Una cornice dorata ad oro buono ali' antica........ » —.70 Tre bassorilievi in tavola di cassa antica......... « 2.— Un fuso da torchio.................... » —.5 Diversi gessi in bassorilievo, frantumi, teste ed altro per servizio dello Studio.................. » 4.— Una piccola gratticola di ferro .............. » —.20 In un piccolo stanzino contiguo alla sudetta stanza. Un tavolino fermato al muro per incidere li rami, uno sgabel-loncino di albuccio e diversi gessi consistenti in teste, bassorilievi ed altro.....................» 5.— Nell' altra stanza contigua. Un tavolone di albuccio con suoi cavaletti sotto......scudi 1.40 Una piccola tavoletta alla finestra per incidere li rami ... » —.30 Diversi rami incisi, ma non compiti e tirati a periezione, da considerarsi appresso. Diversi gessi consistenti in bassorilievi, teste, vasi ed altro » 2.50 Un credenzino al muro con entrovi dei ferri per incidere il rame » 2.— Diversi libri. parte di stampe e parte istorici, alcuni rami inc.isi, ma non per anco compiuti, da valutarsi appresso. Nella stanza a piedi le scale. Due cavalletti con dne fusti di porta ........... » —.80 Un piccolo tavolino alla finestra per incidere li rami ... » —.30 Diverse balle di stampa di vedute ed altro da considerarsi in appresso. Nell' altra stanza contigua. Diverse balle di stampa legate anche in libri. Tre ferri per stampare .................. » 3.— Nella stanza contigua, ossia magazzeno della carta bianca e cartapecora. Balle e carta, tramezzi ed altro da stimarsi appresso. I stanza della Galleria esistente nel primo appartamento deli' abitazione dei detti S.ri Piranesi. N.o 10 piedistalli di legno di diverse misnre colorati cenerino, sopra i quali vi sono vari pezzi di marmo da descriversi appresso ....................... » 6.— Un cassettino di legno d' Inghilterra intarsiato di madreperla » 3.— Due scabelloni a urna piramidale vuoti al di dentro intagliati, con vetri nei specchi in parte dorati ad oro buono ed in parte color madreperla con arme a piedi della Časa Barberini » 4.— Un quadro alto palmi sette e largo palmi cinque per alto, rapp.te la caduta delle Marmore, che si giudica copia di Salvatore Rosa, con sua cornice gialla filettata a oro buono » 25.— Altro quadro in misura di palmi quattro per alto, rapp.te un Paese con caduta di acqua con tempietto, di maniera francese con cornice piana aH' inglese......... > 12.— Altro quadro in misura di testa rapp.te un ritratto con cornice » 3.50 N.o sei stampe colorite rapp.ti vedute, con cornici dorate . » 15.— Un piccolo disegno in due palmi per traverso rapp.te una Santa che distribuisce le sue ricchezze ai poveri, copia del Domenichino, con sua cornice bianca con vetro avanti di Boemia....................... » 2.— Altro disegno di palmi due circa per traverso, rapp. una Zingara, con cornice e vetro come sopra...... » 1.50 Una tavola fermata al muro con nuni. quattro modelli, sotto due regoli che la reggono fermati al solaro per porvi sopra le stampe.................... » 1.— Nella seconda stanza della Galleria. Diversi marini da considerarsi con gli altri in appresso. N.o sei pezzi di quadri con sue cornici dorate ad oro buono di diverse misure, cinque de' quali rapp.ti diversi rami ed uno il ritratto della Sig.ra Angelica Pasquini vedova Piranesi .......................scudi 14,— Un scarabattolo scantonato impcllicciato di fico d' India, co-ronato d' intaglio e cornici di legno sopra intagliate e dorate ad oro buono con due portelli e due cristalli di Lucca e due triscie di cristallo similmente nelle flancate con suo piede intagliato a florami e dorato a oro buono, con entrovi diverse pietre da considerarsi appresso . . » 10.— Una scanzietta o sia credenzina con due sportelli formati di quattro cornici dorate e vernice con n.o quattro vetri di Boemia e due striscie di vetro ai lati; con dentro diverse altre pietre dure e bassirilievi da descriversi appresso . » 3.50 Due scabelloni a triangolo di legno verniciati cennerini alti palmi quattro, larghi palmi cinque scorniciati con loro festoni intagliati ................... » 4.— Altri quattro scabelloncini come sopra .......... » 2.40 Una tavola ferma al muro, sopra cinque modelli, longa palmi sedici e larga palmi quattro, con cinque regoli che la so-stengono fermati al solaro, colorita perla per porvi stampe » 1.50 Nella terza stanza della Galleria. Un quadro in misura di otto e sei per traverso, rapp.te Bam-bocciate che si giudica di Michelangelo di Caravaggio, con sua cornice, modello di Salvatore Rosa, a due ordini d' intaglio dorata ad oro buono, che asseri tanto il detto Francesco che il detto Angelo Piranesi coeredi tenersi a mezzo con Monsu Noston inglese, del valore di scudi 40, che per la meta appartenente agli eredi........ » 20.— Un quadro in misura di sette e cinque per traverso, rapp.te la Piazza del Popolo con cornice dorata, pittura ordinaria » 2.— Altro quadro in misura di palmi quattro per alto, Paese con cascata d'acqua con cornice dorata e vernice..... » 2.— Altro quadro in misura come sopra per traverso, rapp. un Paese con cornice dorata............... » 2.— Due quadri in misura di palmi tre per alto, rapp. due inezze figure di vecchi. senza cornici............. » 4.— Altro quadro in misura di testa per alto rapp.te uu ritratto di un scultore con cornice liscia e dorata....... » 1.50 N.o quattro disegni con vetri avanti e n.o dteci cornicette vuote » 4.— k » scabellini lisci di legno color cennerino ed uno negro con festoni dorato ............... » 1.60 Una tavola fermata al muro con quattro modelli sotto per porvi sopra stampe.................. » 1.20 Diverse pietre e marmi da considerarsi appresso. Nella quarla stanza della Galleria. Diverse pietre e marmi da descriversi appresso. N.o quattro scabelloni di legno seorniciati.........scudi 2.— Due telarini di legno per disegnare............ » —.80 N.o dieci pezzi di quadri, tre rapp.ti ritratti, due vedute al-1' acquarello, cinque altri disegni con vetro avanti con sue cornici dorate parte a oro buono e parte verniciate, uno de quali ritratto fatto a pastello con cristallo avanti » 12.— Nella guinta stanza della Galleria. Diversi marmi ed altre pietre da descriversi appresso N.o 47 quadri di diverse misure, parte con cornici dorate, parte verniciate rapp. diverse vedute in disegno .... » 23.50 Una cassetta di albuccio con sua serratura e chiave, colorita rossa al di dentro....................................» —,40 Entro della detta due marinette dipinte sopra lavagna copia di Monsu Verne......................................» 2.50 N.o 4 vedutine di Roma dipinte ali' aequarello sopra la pelle <• 6.— Due scabelloncini di legno scoruiciati e coloriti a perla . . » —.80 Un quadro rapp. un Paese di palmi tre per alto, senza cornice » 1.50 Nella sesta ed ultima della Galleria. Diversi marmi e pietre da considerarsi appresso. Un quadro rapp. una Favola, longo palmi nove. alto palmi aei, che per essere un abbozzo si stima........ » 4.— Due tavoli impeliicciati di verde antico, longhi palmi otto 1' uno e larghi palmi quattro ............. » 50,— Uno scabellone fatto a legivo di legno, altro quadro .... » 1.20 Altro » »a piramide.............. » —.40 Un tavolino con tavole ad angolo............. » — .70 N.o 25 tavole intorno al muro di tutta la sudetta stanza con modelloncini sotto, sopra le quali diversi frammenti, teste ed altri pezzi di marino da descriversi appresso .... » 4,— Altre tre tavole simili dentro un camino nella terza stanza della Galleria con frammenti da descriversi appresso. Altre cinque tavole simili esistenti d' intorno il muro della sudetta terza stanza, sopra le quali diversi frammenti da descriversi appresso. IJno stucciolo ricoperto zegrino verde, guarnito con maglia, cernera, uncinelli e scudetto d' argento con serratura e chiave, con entrovi diversi compassi.......... > 20.— lo Tomaso Gardellini perito giurato. * * * Nota di tutte le pietre esistenti entro la prima stanza della Galleria di detti Signori Piranesi, che non si apprezzano dali' infrascritto Perito per essete il prezzo di queste incerto come prezzo di affezione. Due colonne di bianco e negro antico alte palmi otto e larghe oncia undici con basi e capitelli di giallo antico. Due idoli Egizij di pietra egiziana, uno con piede di porfido aito palmi quattro, e 1' altro con suo zoccolo simile ed alto parimenti palmi quattro. Una statua di marino rapp. Iside alta palmi sei scarsi. Altra statua similmente di marmo rapp. Pallade, alta palmi sei grossi. Un vaso di marmc con suo piedistallo sotto con diversi fogliami e piedi-stallo scanellato alto in tutto palmi sette e mezzo. Una colonna di marmo scannellata moderna, alta palmi sette con suo piedistallo largo mezzo palmo circa. Un vaso grande con manichi rivolti, figurato ed oruato, largo palmi due e mezzo cd alto palmi cinque. Un piedistallo tutto con putti a festoni in testa ed altro piu sotto simile al sudetto alto tutto palmi cinque. Un candelabro antico di marmo intagliato e figurato, alto palmi tredici e mezzo con sua base. Un busto di un satiro similmente di marmo alto palmi due e mezzo. Una colonna fatta a tronco d' albero tutta sana alta palmi sette e mezzo. Un busto sopra la sudetta, alto palmi due, similmente di marmo. Una medaglia di marmo con suo piedino sotto alta palmi due e mezzo. Un bassorilievo di cavalli marini e figure di marmo longo palmi quattro e mezzo grossi ed alto palmi due ed oncie sette. Una statua di marmo rapp.te un Bacco, alta palmi tre e mezzo. Un' aquila similmente di marmo alta palmi due. Un puttino di marmo alto tre e mezzo. Un bassorilievo di marmo rapp.te due putti che lottano, alto palmi due e mezzo e largo palmi uno e mezzo. Un busto di donna di marmo alto palmi due e tre quarti con piede sotto. Un bassorilievo in marmo rapp.te un Amorino, alto palmi due e mezzo e largo palmi uno e mezzo. Arte simile rapp.te una figura, alto palmi due e largo palmi uno e mezzo. »s » tre » » » » » » due. Un bassorilievo moderno rapp. mezza figura con suo piedino sotto alta palmi tre scarsi. Una tazza di porfido con suo piedistallo o sia pieduccio sotto simile, alto in tutto palmi due e larga due. Due figurine di marmo lavoro ordinario, una alta palmi tre, 1' altra due e un quarto. Una base di colonna di marmo ornata larga palmi due, grossa palmi uno e mezzo. Un piedistallo di marmo con base di colonna tonda figurato, alto in tutto palmi tre e mezzo. Due pezzi di alabastro bianco ed altri sei pezzi di frammenti di marmo figurato con diversi bassorilievi di diverse misure. Una cassettina di marmo con iscrizione, alta palmi uno, larga uno ed un quarto. Una striscia di alabastro in un quadro con cornice di leguo dorata, larga palmi cinque ed oncia due, larga oncie nove. Una Cucuzzola (sic) di serpentino ed un tortiglione di pietra duro alto un palmo e mezzo. Seguono gl' altri marmi esistenti nella seconda stanza della Galleria. Un busto di marmo rapp.te Faustina. Colonna sotto il sudetto busto, di marmo scannellata alta palmi sei, stacca oncie nove. Due figurine, una di donna e 1' altra di uomo di marmo alte un palmo e mezzo 1' una. Un bustino di Nerone di marmo con suo pieduccio. al to palmi due. Un puttino di marmo che giuoca, alto palmi uno e mezzo. Un vasetto di marmo figurato, alto palmi due e tre oncia. Altro vaso simile con suo coperchio, alto due palmi e mezzo. » » di pietra dura liscio, » » » e tre oncia. > » di marmo simili alli sudetti » » » con suo coperchio. Un piccolo bustino alto palmi uno similmente di marmo. Una piccola Cleopatra di marino alta un palmo. Un piccolo Fiumetto di marmo alto oncia nove. Due bustini di marmo alti un palmo e mezzo 1' uno. Un piccolo cervo. Due teste di bove alte palmi uno e quarti tre 1' una. Seguono gl' altri marmi nella terza stanza delta Galleria. Una tazza con due chimere e sei per terra di marmo. Un piccolo cinnerario alto un palmo e mezzo con suo coperchio lavorato. » » Fauno coronato di pini di marmo alto palmi quattro e mezzo. Una testa di Venere di marmo, grande palmi uno ed oncia otto. Un cinnerario quadrato di marmo con suo coperchio, alto palmi due e tre quarti. Altro cinnerario alto palmi uno e tre quarti. » » » » cinque. Un busto di donna di marmo alto palmi cinque. Pedistallo e base del sudetto di marmo, alto palmi due e mezzo. Una colonna di granito alta palmi sei e mezzo, larga un palmo e nove oncia. Orologio a sole di marmo soprafmo alto palmi due. Un candelabro grande con diversi putti, figure e bassorilievi. Un tripode con suo piedistallo di marmo, alto palmi sei e tre quarti. Un' ara rotonda di marmo, alta palmi quattro circa. Un piedistallo rotondo di marmo scannellato, alto palmi tre scarsi. Una colonna di marmo alta palmi sette e mezzo con sua base e capitello moderni. Un triangolo di marmo figurato, alto palmi due e mezzo. » bustino di marmo sopra il sudetto, alto palmi due. Frammento di marmo rapp.te un vaso grande intagliato, largo palmi tre e mezzo. Piedistallo e colonna di marmo, alta palmi cinque e larga palmi uno e mezzo. Testa di Sileno di marmo alta un palmo. Due medaglie di marmo rapp.ti una un uomo 1' altra una donna di bas-sorilievo alte palmi tre 1' una. N.o quattro pezzi di fregio di marino con putti e festoni, largo ogni pezzo palmi dodici, alto uno e mezsso. Due pilastrini di marmo ornati alti palmi quattro e mezzo 1' uno. Un piccolo cinnerario di marmo alto palmi uno e mezzo, largo uno e mezzo. Sette capitelli di giallo di Siena dal dentro della rotonda del secondo ordine dei pilastri, larghi palmi due e mezzo e longhi due per P un. Due grandi Sfinge di marmo, alte palmi sei e larghe tre 1'una. Un busto di Faustina di marmo, alto palmi tre. Un bassorilievo di marmo rapp.te moglie e marito, alto palmi due e mezzo largo palmi due. Una zampa di leone di basalto negra. Un piedistallo sotto una statua di Europa alto palmi due e tre quarti, largo palmi uno e tre quarti di marmo lavorato. Una statua di Europa di marmo alta palmi due e larga tre. N.o 60 pezzi di frammenti di marmo figurati ed intagliati di diverse misure. Un bassorilievo di un'Amazzone di marmo, largo palmi tre, lungo due. Dentro il camino della presente stanza vi sono tre tavole : Nella prima diversi frammenti di teste piccole di uomo, putti od altro. » seconda altri piccoli frammenti come sopra. » terza altra quantiti di » » » Seguono gl' altri marmi esistenti entro la quarta stanza della. Galleria. Un Sileno di marmo alto palmi quattro. Un busto di putto di marmo alto palmi un e mezzo. » » rapp.te Tito di marmo alto palmi tre e un quarto. Una statua imperiale • » » » cinque. » » di Esculapio » » » » sei. Due colonne di marmo intagliate » » nove P una. Una zampa di alabastro alta palmi cinque. Un piedistallo di marmo ornato alto palmi quattro e mezzo. N.o 17 pezzi di frammento di diverse figure, statue, busti di marmo di diverse specie e grandezze. Seguono altri marmi esistenti entro la quinta stanza della Galleria. Una figura di marmo rapp.te un Paride alta palmi due e un quarto, Un piedistallo sotto la sudetta statua, tutt' ornato, alto palmi sei largo uno i/2. Un busto di Caligola. alto palmi tre e oncia due. Una colonnetta di granito, alta palmi quattro ed oncia due, larga una, oncia uno. Una zampa di leone con testa di marmo, alta palmi due oncia una. » statua rapp.te una Musa di marmo, alta palmi sette e 1/a. » » » » Venere » » » tre oncia dieci. Un busto incognito di marmo alto palmi tre. Una colonna di granito alta con la sua base di marmo palmi cinque e larga palmi uno e oncia due. Un bassorilievo figurato di marmo longo palmi sette, alto palmi uno e oncia otto. Un busto di marmo di Augusto giovane con suo piede sotto, alto palmi due mezzo. Un bassorilievo con quattro flg-ure d! niarrao, lung'0 palmi cinque e mezzo, largo due e mezzo. Un piedistallo con due teste e discrizione di marmo, alto palmi quattro e mezzo, largo due. Un putto in bassorilievo di marmo con la cornice di legno dorato rapp.te un Amorino. Un vaso grande con suo coperchio tutto lavorato di Africano, alto palmi due e mezzo. Un piedistallo di rosso antico scannellato, alto palmi due scarsi, grosso uno. » » di marmo sotto il sudetto con fogliami, largo palmi due e mezzo ed alto uno e mezzo. Una fontana lavorata con una Venerina sopra il marmo, alta palmi quat-tro e mezzo. Una descrizione rarissima di marmo con suo piedistallo, alta palmi tre e mezzo, larga uno e oncia otto. Una piccola Musa di marmo alta palmi quattro ed oncia due. Un Giove piccolo di marmo alto palmi due ed oncia otto. Due are tonde lavorate con diversi intagli di marmo alte palmi sei e mezzo 1' una. Un cornacopo di marmo con suo piedistallo e due spogliaviso tutto lavorato alto palmi 10 1/2. Due bassorilievi rapp.ti due Amorini, lunghi palmi due e due oncie 1' uno, larghi uno un palmo e due oncie e 1' altro un palmo scarso, tutti di marmo. Una testa di Musa di marmo. » » di uomo » )> » di Venere » » i di uomo » » » d' Imperiale » » » d' Imperatrice » » » di un giovane » » » » » » Ed altre due simili parimenti di due giovani, ma tutte pero ordinarie. Un bassorilievo di marmo rapp.te un Amorino, largo palmi due e tre oncia ed alto uno e mezzo. Una mezza sedia di marmo lavorata e figurata, larga palmi tre ed alta palmi due. Una Medusa in bassorilievo di marmo larga palmi due e, mezzo ed alta due. Due tavole di alabastro longhe palmi tre mezzo e larghe uno e mezzo. Un pezzo di figura di marmo rapp.te una donna, alto palmi due e mezzo. Un piccolo bassorilievo di marmo rapp.te un uomo a cavallo, largo un palmo e due oncie e longo un palmo e quattro oncie. Una figurina in bassorilievo di marmo alta un palmo circa. N.o 52 frammenti di marmo, di diverse misure, parte rapp.ti vasi e parte fiamme e parte figure. Sieguono tutti li marmi entro la sesta stanza della Galleria. Un busto d' Imperatrice di marmo alto palmi quattro, di scultura pero mediocre. Due piccoli bustini di marino, uno di donna e 1' altro di uomo, alti palmi 1 l/a 1' uno. Due pezzi egizij rapp. geroglifici egizij di basalto, uno alto un palmo e 1' altro 1 Vs- Un busto di moro con petto e panno giallo e suo pieduccio, alto palmi due e oncie due, pero tutto moderno. Una sedia consolare antica di marmo lavorata, longa palmi nove e alta palmi quattro. Un cavallo bigio alto palmi cinque e longo palmi quattro e mezzo, moderno pero con listra sotto simile al sudetto longa palmi cinque e larga palmi tre e mezzo. Un piedistallo rapp.te una testa di bue alto palmi cinque e longo palmi tre e un quarto. Una vasca servibile per 1' acqua lustrale di marmo fignrato, alta palmi sei e tre quarti comprese quattro zampe di leone che la sostengono e larga palmi quattro di mediocre scultura. Due figurine di Venere di marmo con conchiglia sopra, alte palmi tre e mezzo 1' una. Un piedistallo, o sia base omata di marmo, larga due palmi ed alta un palmo. Un vaso di marmo greco con suo coperchio scannellato, alto palmi due ed oncie otto. Un cinnerario torido di marmo figurato ed intagliato, alto palmi due. Un pezzo di frammento con due piccioni di marmo. Una statuina alta palmi tre di scultura ordinaria. Un Ercole alto due palmi e quattro oncia di scultura ordinaria. Due figurine rapp.ti Esculapio ed Igea, alte palmi due e mezzo 1' una, pero di scultura ordinaria. Una statuina di Diana alta palmi sei di mediocre scultore. Monumento cinnerario con suo piedestallo tutt' ornato alto in tutto palmi quattordici. Due zampe di alabastro fiorito alte due palmi 1' una e grosse un palmo l'una. Altra zampa di alabastro alta un palmo e mezzo. Una » di marmo » » » » * testa di chimera moderna di marmo alta un palmo. » zampa di alabastro rotta lunga due palmi e mezzo. Due maschere sceniche rotte alte un palmo 1' una. » mensole alte un palmo 1' una di scultura ordinaria. Una zampa di marmo di una testa simile. » testa di Pallade di marmo. » » di maschera » N.o otto altre teste di diverse specie similmente di marmo di scultura ordinaria. N.o 7 altre teste di marmo frammentate e di diverse specie. lntorno al muro della mdetta stanza diverse iavole di gia descritte segnate con diverse lettere sopra le quali vi sono li seguenti marmi : Una signata lettera A. sopra la quale diverse zampe di marino piccole. Altra signata lettera B. sopra la quale diversi frammenti e pezzi di teste di marmo piccole. Altra signata lettera C. sopra la quale diversi frammenti piccoli e rottami di teste ed altro di marino. Altra signata lettera D. sopra la quale diversi pezznmi e piccoli capitelli di marmo. Altra signata lettera E. sopra la quale diversi frammenti e piccoli pezzi di marmo. Altra signata lettera F. sopra la quale diversi pezzumi e frammenti come sopra. Altra signata lettera G. sopra la quale diversi frammenti di pilastri e striscie di marmo. Altra signata lettera H. sopra la quale diversi frammenti di pilastri e striscie di marmo. Altra signata lettera I. sopra la quale diversi frammenti di pilastri e striscie di marmo. Altra signata lettera K. sopra la quale diversi frammenti di pilastri e striscie di marmo. Altre quattro tavole segnate lettera L. che stanno vicino alle finestre sopra le quali frammenti come sopra. Altre tavole segnate M. N. O. P. Q. sopra le quali, come sopra. Altra tavola »S. » » piccole testine. » » » X. » » » » » » » V. » » piccoli volgari ornati e diversi pezzumi di marmo. Seguono li pezzi grossi de marmo esistenti per terra in detta stanza. Due balaustre di marmo ornate palmi quattro e mezzo 1' una per alto. Una base intera intagliata larga palmi due e mezzo, alta oncie sette. Un pezzo di pilastro intagliato ornato ordinario alto palmi tre e largo uno e mezzo. Un piccolo pilastro intagliato alto palmi tre e mezzo e largo uno e mezzo. » » » » » cinque e mezzo e largo uno. Un pezzo di bassorilievo longo palmi cinque e mezzo e largo uno e tre quarti. Due pezzi di fregio di marmo alto palmi cinque e mezzo e largo uno. Un torso di Aquila di marmo alto palmi tre. Un pezzo di porfido con cinque altri frammenti ed una testina, il sudetto pezzo di porfido eolla testina, largo un palmo e mezzo ed alto palmi cinque circa. Una Venere moderna in bassorilievo. N.o tre frammenti di diverse lunghezze. Due tavole di rosso antico macchiate alte palmi due e mezzo 1' una, larghe uno e mezzo. Altri frammenti di terracotta. Un lastrone di marmo greco a striscie longo palmi dieci e largo palmi due e mezzo. Io sottoscritto Perito Scultore ed Antiquario. Ego Ioseph Angelini, peritus. 2. Xbre 1778 Sieguono tutie le pietre dure, bassoriliem ed altro esistenti entro lo scara-battolo ed scanzietta o sia credenzino posti nella seconda stanza della Galleria sudetta. Due piccoli bassirilievi di rosso antico deli' Ercolano di mediocre specie. » bassorilievi di negro rapp.ti uno vin cavallo marino, cosi 1' altro. Un ovato piccolo con un toro di alabastro. Altro bassorilievo di rosso con un bue. Un tondo di rosso alameo rapp.te Leda con cornice di inetallo. Una piccola Medusa di alabastro. Due maschere in riquadro di marmo antico. Una testa, una zampa ed altri diversi pezzi di metallo di minute specie. Pietre dure. Quattro colonne castracane alte un palmo circa 1' una di tutta larghezza. Sei » di alabastro fiorito di piccola larghezza ed altezza come sopra. Una colonna di alabastro rosso, rotta deli' istessa grandezza. Due pilastrini di Aspro (sic) duro. Un mezzo pilastio di alabastro con occhio di agata in mezzo. Un pezzo di Aspro duro con una croce in mezzo, con altra striscia ac- canto di Aspro simile. Tre mostre di breccia d' Egitto verde. Quattro pezzetti di aspro duro. Altro pezzetto di aspro sanguigno ed un ovatino di agata. Due piccole tavole di rosso, una sopra 1' altra macchiate. Tredici quadretti bislunghi, quattro cioe di diaspro duro di varie qualita, due di plasma di smeraldo, tre di agata, due altri di aspro uno di Si-cilia e i' altro incognito ed altri di amatista di circa mezzo palmo l'uno. Tre pilastrini di aspro duro di Sicilia. Un' altro simile tondo. Altro pilastrino di lapislazzero piccolo ed agata, alto palmi due. Due ovatini di » » altri pilastrini » con suo occhio di agata in mezzo. Un ovatino di aspro duro con suo contorno di lapislazzero. Altri piccoli frammenti di pietre dure. Tre ovatini di agata. Due piccole tavole di alabastro fiorito con suo listello di verde antico. Dieci ovatini di agata. Molti frammenti piccoli di pietre dure di valore. Uno sportello di ciborio di diverse pietre. NelV altro credenzino. Quattro colonne di lapislazzero piccole. Un quadro di lapislazzero con occhio in mezzo di agata. Due piccoli quadretti di plasma di smeraldo. » stelle formate di pietre dure piccole. » pilastrini di aspro con sue cornici di metallo con stuccioli di agata. » pezzi impellicciati di lapislazzero con quattro occhi di agata. » pilastrini di aspro duro con diversi tondini di agata e lapislazzero. Due pilastrini di aspro duro con due pezzi di lapislazzero measfato dentro. » mezzi ovati di agata sardonica e due pezzi di lapislazzero impellicciati. Quattro pilastrini, due di lapislazzero impellicciati con diversi pezzi di agata ed altri due con mostaccioli di agata. Quattro pilastrini di aspro duro. Due quadretti di pietre dure contomati di vasi di aspro duro. Un pilastrino impellicciato di aspro duro e con suo occhio di agata-Due ovatini di lapislazzero. Quattro quadretti di agata contornati di lapislazzero. Due pezzi ovati ed altri pezzi di pietre ordinarie. » ovati di alabastro consistenti una capra ed un toro. » quadretti di rosso » » » Un pezzo di amatista intarsiata in legno. Tre tondi di porfido due compagni, uno 110. Io sottoscritto Perito dico che il valore e di scudi trecento come la m. del Cav. Gio. B. Piranesi voleva venderle. Io Francesco Tedeschi. S'ieguono li marmi che slanno nella Piazza della Trinita de Motiti e per la strada che da quella conduce, ed avanti rispettivamente ali' abitazioiu dei SS.ri Eredi Piranesi con i loro rispettivi prezzi. Palmi sette e inezzo inarmo nostrano..........scudi 1.50 » dieci » » greco a striscie..............» 2. 64/2 Un capitello di » » » di palmi trenta » 7.50 Palmi quattro di » nostrale......................» —.80 » undici » » ......................» 2.25 » sette e mezzo » » .......... » 1.50 U11 lastrone di » » scolpito di palmi 37 . »70.— Per la strada. Palmi 35 di marino................................» 17.59 » l3/4 » ordinario............................» —.22 J/2 »13 » nostrale ............................» 2.60 » 8 di pezzo di colonna............................» 1.20 » 4 di marmo nostrale..........................» —.80 Un capitello di marmo cipollino di palmi cinoue e mezzo » —. 8'/2 Palmi sette e mezzo marmo nostrale......................» 1.50 » tre » » cipolla......................» —.5 '/2 Un capitello di un pilastro di marmo nostrale cli palmi tre ed oncia tre..........................................» —.65 Palmi cinque ed oncia nove di marmo nostrale..........» 1.471/2 Un capitello di palmi quattro di marmo ordinario .... » 1.20 Palmi undici ed oncia tre di » greco............» 2.25 Una colonne.lla di granito bianeo di palmi due e mezzo . » 1.— Palmi due di marmo nostrale............................» —.40 Altro capitello di marmo greco di palmi sette e mezzo . » 1-121/« Un pezzo di colonna di africano longo palmi due .... » —,40 » » » inarmo statuario » » quindici . . » 7.50 Una base » » nostrale di » quattro . . » —.80 Altra base di marmo nostrale longa palmi quattro .... scudi —.80 » » » » » » cinque .... > 1.— Palmi sei » » ordinario............................» —.60 Un pezzo di piedistallo tondo di marmo nostrale di palmi otto » 1*60 Un termine di marmo nostrale di palmi cinque ed oncie sette » 1.40 Palmi dieci » » rustico ordinario ..........» 1.50 » due » » » ..............................» —.30 » uno » » ' ..............................» —.10 Un capitello » » di palmi quattro............» —.60 » arma » » » » cinque ............» 1.— Nel primo capo di scale incominciando dal terzo apparta-mento, diversi marmi da descriversi appresso ed in altre cinque zampe di marmo ordinario..............» 1.— Nell' altro capo di scale scendendo dalla Galleria, una vo- luta di capitello di marmo ordinario..................» 1.— Nel giardino della sudetta abitazione, diverse pietre da descriversi in appresso fra le quali: Un' ara liscia di marmo..................................» 1.50 Diversi altri marmi del valore in tutto....................» 100.— Nello stanzino accanto la Stamperia. Un leone chimerico di pavonazzetto del valore di . . . . » 1.— Io sottoscritto Perito ecc. Io Filippo Denti. Sieguono diversi marmi e frammenii di essi che stanno per le scale, cantine, stanza scura, giardino, corridore di strada, corridore ove sta la carta, clel-V intera abitazione ritenuta dai sudetti SS.ri Piranesi, ai qaali (marmi) non si mette il loro prezzo, essendo guesti incerti e di affezione non essendo marmi andanti. Nel primo capo di scale, incominciando dal terzo appartamento. Un piccolo termine. Due maschere di Giove Anione. Un pezzo di conchiglia e tre frammenti. Altro capo di scale principiando dalla porta dello Studio. Un piccolo pilastrino. Un pezzo di fregio lavorato. » » » frammento di testa di leone. » capitello di un pilastro. Altro capo di scale contiguo allo Studio. Un capitello di un pilastro. » piedistallo sotto una statua di gesso. Due pezzi di frammento. Altro capo di scale contiguo. Una fronte di ara tutta lavorata. » cassettina senz' ornamenti. Altro capo di scale contiguo. Frammento di un' ara con un putto. Una tegola di marmo con maschera scenica. Una piccola ara. Un pezzo di cornicione con mensola. Nel corridore della porta di strada. Fondo di un pilastro. Un piedistallo scannellato. Due busti attaccati insieme. Una piccola ara. » » zampa di granito. Cinque pezzi di frammento di pietra nostrale. Nel Giardino. Un pilastro iiitagliato. » piccolo capitello rotondo. » pezzo di colonna di Porta Santa. Una colonna di bigio immachellata. Un pezzo di africano. » quadrato di marmo liscio di palmi undici. » pezzo di colonna. Due pezzi di pavonazzetto. Nello stanziolo accanto lo Studio. Una tazza di pavonazzetto. Nel giardino della časa nuova. Un triango picciolo di un tripode. Due piccole are. Nel corridore ove 6 la carta. Due capitelli di pilastro di marmo. Vaso di palombino con colonna per piedistallo. Un einnerario di piccola sfera. » angolo di capitello di pilastro. Due frammenti ed un pilastro. Cinque altri frammenti con fregio. Nella cantina in fondo della Galleria. Due picole papere di marmo. Piccoli frammenti canto li sudetti. Due pilastrini triangolati. Una sfinge con due pezzi di frammenti. Nella cantina superiore. Un pezzo di candelabro. Picciolo frammento di figura. Sei altri pezzi di frammento. Una testa di leone di alabastro. Un frammento con foglie di una Venere. » pezzo di colonna. » » di frammento sopra una tavola. Una testa di Sileno. » sfinge senza testa. Nella cantina vicino la porta di strada. Un pezzo di aspro. Vari altri pezzi di colonna di breccia. Quattro pezzi di tavola di rosso pallido. Nell' altra cantina che corrisponde alla finestra sotto la porta di strada. Due pezzi di rosso. Nove pezzi di marino. Una piccoia lastra di porfido verde. Sette pili lisei fra palombini e marmi. Diverse altre pietre di varie qualitft fuori della cantina. Nel principio della cantina prima di scendere a basso. Un piedistallo rotto con due figure. Due pezzi di frammenti. Nella stanza contigua. Un termine. » triangolo lavorato. » frammento di cavallo marino. » capitello. due pilastrini compagni, due altri simili. Una conca con foglia. Un pezzo di vaso. Due tavole di marmo. Nella stanza oscura accanto la sudetta. Un pezzo di colonna di bigio. » » » ' di granito rosso. » » di serpentino. Altri pezzi di frammenti. Triangolo per un tripode. Un capitello sotto il sudetto. Tre altri eapitelli. Un vaso liscio con creta dentro. Due triangoli, tre pezzi di cornacopi. Un piccolo cinnerario. Una zampa d' uomo. Una cassettina, cinque pezzi di eapitelli grandi. » tazza di misehio ed una base entro della inedema. » z«mpa con testa di leone. Un piedistallo per un vaso. Un' ara quadrata. Quattro pili di marmo lisci. Due tondi di vaso. Vari altri frammenti, un delfino rotto. Nello Studio. Un fauno senza le zampe. Sieguono li marmi esistenti a Campo Vacrino, comprati a mezzo del defonto Sig. Cav. Gio. B. Piranesi col Sig. Antonio Vinelli scalpellino in Campo Vacdno, ai quali non si da alcun prezzo, trattandosi di ajfezione. Cinque pezzi di porfido, cio6 due lastroni grandi segati, longhi palmi otto nel (lato) maggiore e larghi 4 1/4, grossi '/s comprati da Flaminio Pechi e Pasquale Zanetti. Tre lastrelle di marino intagliate ali' uso antico che sono state comprate da Verospi. Una figura o sia statuina di marmo rapp.te una donna sedente, alta palmi cjuattro, comprata pure da Verospi. Tre busti di marmo con sue teste riportate, che sono stati comprati dal Sig. Rataloni. Un capitello d' ordine Corinto rovinato, alto palmi due. » pezzo di architrave con fregio intagliato » » » » di bassorilievo rotto in tre pezzi. Due pilastrelli con base e capitelli attaccati, lunghi palmi cinque e tre quarti lavorati ad uso di Michelangelo. Un vaso tondo antico vuoto al di dentro e baccellato al di fuori con suo coperchio parimenti baccellato di sopra con finimento di una pigna alto in tutto palmi quattro e mezzo. Un pezzo di colonna di granito orientale Guglie, comprata da Manfroni e cavato nel palazzo ove abitava il barone Gavotti. Un piedistallo di granito comprato alli Camaldoli. Io sottoscritto Perito Scultore ecc. Ioseph Angelini ( Continua) ZAMBONIANA1) i. La morte, che lo colse quasi improvvisa e certo inattesa il 30 maggio 1910, impedl a Filippo Zamboni di veder finito e stampato 1' ultimo suo libro di prosa, al quale da lunghi anni amorosamente attendeva. II libro e uscito ora, postumo, a cura della veclova dello scomparso poeta, la colta e distinta signora Emilia Zamboni nata Dagnen de Fichtenhain, con una breve ma preziosa avvertenza di Elda Gianelli, valida coadiu-trice della signora Zamboni nell' ordinare il resto delle cartelle manoscritte e nel condurre a compimento la publicazione; avvertenza in cui sono chiaramente esposti lo stato del libro al ') Filippo Zamboni: Paiulemonio (II Bacio nella Luna, ricordi e bizzarrie); a cura della vedova Emilia Zamboni ecc. con avvertenza di Elda Gianelli ecc.; Firenze, Salvadore Landi, 1911. moraento del decesso dello Zamboni e il sistema adottato dalle compilatrici per ultimare 1' opera secondo le intenzioni e i cri-terii deli' autore. Alla morte ciob di questi il libro «era gi& stampato, corretto e impaginato fino alla facciata recante il numero 355», vale a dire fin circa alla met&; il metodo segulto dalle due signore fu di attenersi scrupolosamente alle indica-zioni ritrovate e di rispettare persino nelle singolarit& grafiche la parola dello Zamboni. Ottimo e intelligente metodo, al quale in primo luogo dobbiamo di avere ora sott' occhio un' opera che, se pur manca in parte delle ultime carezze del suo autore, ci presenta in compenso affatto vergini e immuni i primitivi generali e particolari lineamenti. n. Strano il titolo del volume, uscito cosi elegante (a mal-grado della sua mole) e nitido dai torchi fiorentini del Landi: Pandemonio. Pandemonio, spiega Elda Gianelli, »perche tram-busto di sentimento e di fantasia*; non dunque (come taluno potrebbe pensare, traviato dal valore odierno del vocabolo) perche caotico ammasso di malta mati e discordi elementi. Meglio c'informa del contenuto il sottotitolo: 11 Bacio nella luna (ricordi e bizzarrie). Si: 1'ultima opera prosastica di Filippo Zamboni non e altro, nella sua essenza, che la glori-ficazione (verrebbe quasi da dire 1' apoteosi) di quella genia-lissima scoperta del Bacio nella luna, che non par certo uno degli ultimi titoli del morto poeta alla lode e alla fama. Po-chissimi oramai sono che ignorino che cosa s' intenda per il Bacio nella luna e che in una argentina notte di plenilunio non abbiano guardato nella candida sfera lunare, vuoi per consentire, piu o men solleciti, con lo Zamboni e ammirarne il perspicace senso estetico, vuoi per confessare la loro orga-nica incapacit& di ben distinguere o addirittura per negare o irridere (si d& al mondo gente d' ogni sorta) la stessa evidenza. Tuttavia non ci sembra inopportuno e superfiuo soffermarci un poco su questo punto che, come dicemmo, 6 la ragione e il perno di tutto il libro. Narra') la Gianelli che Filippo Zamboni »trovavasi a Napoli, in un periodo passionale della sua anima, nella mag- ') Nel suo «Filippo Zamboni», conferenza commeinorativa ecc. ; Trieste, Balestra, 1911. giore intensitii d' una flamraa ardentissima, che lo tenne, non per anni, ma per lustri nel suo dominio.... Contemplanclo adunque estatico una sera da una collina.... il plenilunio, gli occhi del poeta nostro furono improvvisamente colpiti dalla immagine delle due teste confuse in un bacio sul disco lunare, immagine non mai prima combinatasi ad occliio umano nelle macchie lunari, dove, gi& da remotissimi tempi, presso ogni popolo piu antico, altre immagini s' era creduto scorgere; e rimasero in tradizione: il drago, il lepre, Caino e le spine, di cui parla Dante, 1' uomo ed il cane, il decapitato». Ecco quando e come lo Zamboni fece la singolare e leggiadra scoperta, di cui poi doveva con tanto gelosa e amorosa cura occuparsi tutta la vita, affinche ogni suo simile la potesse conoscere, gustare, giocondarne la fantasia e gli occhi. E c' e da giurare che maggior compiacimento producesse nello spirito sognatore e romantico dello Zamboni il sapersi apprezzato come scopri-tore del bacio lunare che come poeta ed erudito. La sua calda mente, portata alle vaste e umanitarie visioni, chissa cosa avr& fantasticato e sognato a proposito di quelle due imagini visibili a tutte le genti del globo e unite nel piu casto e su-blime atto d' amore! Nell' apologia poi della sua cara scoperta egli sa valersi, in questo eloquente Pandemonio, di ragioni che fanno veramente pensare. Uditele: «Ma queste due belle uraane fattezze che si baciano nella luna, che si vestono di tanta luce diversa, non sono desse artisticamente assai piu piu vere che non le pretese figure ond' 6 storiato il Zodiaco ? Eppure quei segni immaginarj ebbero occupato il mondo antico gli Arabi, il Medioevo; insomma le costellazioni umanate o im-bestiate dalla fantasia, furono accolte di consenso universale. Vedeste voi mai, e n6 Dante la vide, manco approssimativa-mente, 1' immagine di uno scorpione nelle stelle: Poste in figura del freddo animale Che con la coda percote la gehte ?» (pag. 12) III. Dicevamo piu sopra che il nocciolo, se ci 6 consentito il termine, del libro e costituito da quanto il fervido estro dello Zamboni sa dire ad esaltazione e divulgazione della scoperta del Bacio nella luna. Hoggiungiamo ora che intorno a questo nocciolo fondamentale si dispongono in armonico disordina (come dire piu appropriato ?) una quantita d' altre notizie che in via piu o meno diretta si riollegano allo stesso soggetto e una serie infinita d' altri argomenti accessorii e secondarii, connessi gli uni agli altri talvolta da intimi, talvolta da appena sensibili legami. E voi avete in certi momenti come la sensa-zione di trovarvi in compagnia di un coltissimo ed amabilissimo conversatore, che tutti conosca i non pochi segreti della difficile arte del discorrere divertendo e istruendo al tempo stesso. E allora vi accade anch© di abbandonarvi alla foga inesauribile e sempre varia deli' eloquente parola zamboniana, come altri si abbandonerebbe aH' onda carezzevole e multanime di una classica sinfonia, alla concitazione grandiosa e canora di un vecchio poema epico. In prevalenza, questi argomenti di contorno, a dir cosi, sono costituiti da ricordi autobiografici, degni sempre d'atten-zione ma assurgenti a una particolare importanza allor quando toccano decisivi avvenimenti storici, magari schiarendone le riposte cagioni o allargandone le gik note conseguenze; da originali e commosse evocazioni di memorie festose o dolorose della nazione italiana; da brevi incisivi profili di contemporanei gloriosi; da singolari considerazioni intorno a mille fatti diversi, da appunti veloci, da pensieri profondi, da guizzi e scintille di gioia, da scatti d' amarezza e d' ironia. Troppo varia e scomposta mater ia forse, m a che 1' ingegno dello Zamboni sa disporre in guisa da non urtare ne il senso della logica ne quello deli'estetica. Diremo di piu: materia, alla quale e co-municato dal vibrante fosforo del cervello onde usci un calore immanente e suasivo che le dona un'aria di omogeneitš, e di compattezza di cui e talvolta ben scarsa traccia anche in pro-satori assai piu compassati e solenni dello Zamboni. Pili finemente elaborata e piu serrata la parte prima del libro, alla quale lo Zamboni attese negli anni migliori; un po' men perfetta la seconda, frutto deli'eta cadente; e inter-rotta dal gesto inesorabile della morte. Interrotta? Non si direbbe, leggendo il Commiato con cui termina il volume, nel quale lo Zamboni getta un ultimo rapi-dissimo sguardo su 1' opera letteraria e umanitaria da lui com-piuta e malinconico ma sodisfatto si congeda dal fido lettore. IV. Dal fin qui detto, risulta chiara anche un' altra circo-stanza: che il Pandemonio e opera di uno scrittore di razza, di uno stilista insigne. E' tempo che si renda allo Zamboni giustizia. Lui vivente, i critici emunclae naris disdegnarono occuparsi degli scritti suoi. Ora egli con questo postumo libro sembra appellarsi al giudizio delle nuove generazioni; e il giudizio delle nuove generazioni non puo non essergli favore-vole, non puo non riconoscere in lui un artista della penna consumato e geniale. Come tutti i veri e grandi scrittori, egli era giunto a foggiarsi uno stile personale, riconoscibile di primo acchito: concettoso, incalzante; a volte rigorosamente succinto, a volte densamente ricco; bello di scorci nuovi e arditi; sparso di rapide luci abbaglianti, d' ombre improvvise e profonde; linguisticamente corretto sempre, pedantesco non mai. Ribelle, per nativa fierezza, ad ogni e qualunque servilita, ad ogni ispirazione di seconda mano e riflessa, lo Zamboni non imit6 mai nessuno, nemmeno i piu grandi e i pili ammirati; e se qualche lontana somiglianza ebbe talvolta con Paolo Lioy, essa tu pu-ramente casuale. Merito per tanto incondizionata la stima e la lode del piu difficile giudice letterario dell'epoca sua, di Giosue Carducci, e merita e meritera per lunghi anni ancora 1' atten-zione, lo studio e l' amore degli italiani veri e memori. I quali, finito di leggere il Pandemonio, faranno bene a dar di piglio al naturale compimento del medesimo, cioš alla bellissima commemorazione zamboniana, di cui piu sopra e riferito un brano, uscita dalla nobile e versatile penna di Elda Gianelli, fedele amica e ammiratrice convinta dell'ardente poeta di Roma nel Mille. Essi vi troveranno una estesa e ben docu-mentata narrazione della vita del Nostro, una interpretazione penetrante e sicura del suo intelletto e della sua psiche, una paziente ed esauriente disamina deli' opera sua letteraria e pa-triotica. Ma non vi troveranno, ahime, il comunicativo entu-siasmo affettuoso con cui quelle pagine furono lette dali' autrice medesima nelle due memorabili serate di Vienna e di Trieste (maggio u. s.), nelle quali il colorito e maschio stile del bel pezzo oratorio era sembrato circonfondersi e avvantaggiarsi d' una purissima luce intellettual piena d' amore, per virtii di colei che commossa e palpitante leggeva.... Semedella, settembre 1911. Gioranni Quai-antotto Aiili taicali sia puliti Ma caipapa istriana. (Continuazione; vedi N. ant.) 58. Une. II plurale femm. deli' articolo indeterminato una il cittadino istriano lo schifa di certo; il carapagnolo invece lo dice ogni di. — Go crompd une botiglie per el refosco dolze. — Queste vide senza radise e quele co le radise me par dute une slesse robe. — El dotor me ga ordina une giozze *). — Anehe questo, sebbene poco bello, 6 modo italiano. Cfr. P. II, 1186, di sotto; F. 1613. Filippo Sassetti, fiorentino (1540-1588), serive appunto: «une medesime cose», frase che a noi parrebbe essergli stata insegnata dal contado istriano. 59. Uno. Detto per la medesima cosa a noi sa di ridicolo. P. e.: — Se i testimoni no i dixi duti un, el giudice no sa cossa far. — Varde de dir e far duti un. — Ma anehe questa frase h italiana e precisamente dell'aureo Trecento. Infatti fra Domenico Cavalca serive: «Pregovi che diciate tutti uno*. Non par detto da un campagnolo istriano? — Cfr. P. e F. loc. teste cit. 60. Galante. In citt& quest' aggettivo ha il significato di «elegante> o «clie sta sur un lusso non conveniente ali' eti\ e alla condizione d' un individuo». Nella campagna istriana invece ha il significato di garante, mallevadore. Si dice: — Go domandd cento corone d' imprestito in cassa rural; me fa de galante mio compare. — Dal quale aggettivo si fece deri-vare il sostantivo galanzia per garanzia. — Anehe queste voci sono toscane; e le troverai in quelle toscanissime novelle che sono nel libro di Renato Fucini «A11' aria aperta*. 61. Conzilr. Nelle citta istriane questo verbo significa condire, specialmente 1' insalata, i fagioli e le patate, metten-doci sale, pepe, olio e aceto. I campagnoli invece 1' usano in due sensi differenti: in quello di farsi benedire contro gli spiriti maligni (strighi) e in quello di acconciare, far bello, e riti. acconciarsi, farsi bello. Se un campagnolo dicesse ad un cittadino — Varda che bela che s' a fato quela ragazza! *) Ricordero anehe, per rimanere nella cerehia delle medicine, che il campagnolo istriano usa due ridicolissimi idiotismi: casupole per «capsule» e spolverine per «polverine». Eh, la sa ben concarse ela! — oppure se un cittadino sen-tisse un campagnolo dire alla moglie — Concite ben, che dopopranzo anderno in viagio — sarebbero le gran risa da parte del cittadino, il quale penserebbe, che le donne si deb-bano condire con olio, pepe, aceto e sale. Invece in questo secondo significato il verbo e toscano, sebbene antiquato (cfr. P. I, 543-544 di sotto) e 1' ebbero ad usare Fra Iacopone, il Bibbiena, Benvenuto Cellini e Giovanni Fiorentino nel Peco-rone. E Sem Benelli 1' usa nell'Amore dei tre Re (ediz. Treves, 1910, pg. 48). 62. Le miserie. Con questo nome il campagnolo istriano intende le parti pudende del maschio; onde con siffatto significato in citt& questo vocabolo 6 sconosciuto. Cosi si dice: — Varda che 'l picio no 'l se tiri le miserie. — Ti. ga le braghe rote, che a momenti ti mostri le miserie. — Anche questo e modo toscano arcaico: P. II, 247 di sotto. Lo si trova usato nella Vita di S Caterina. 63. A suggello del fm qui detto, ricordo un modo ancora. Nel contado istriano usasi spessissimo ripetere 1' articolo deter-minato nel caso genitivo, che sia aggiunto complementarmente ad altro sostantivo si da determinarne la materia. Infatti il complemento di specificazione si mette nel geaitivo senza articolo, p. e.: il (o un) bastone di quercia; il capanno di paglia; manico di ferro — non gift della quercia, della paglia, del ferro. Orbene il campagnolo istriano in siffatti genitivi usa cotidianamente 1' articolo. — El ga ciolto un manganel del fero e con quel el ga da per la testa. — Per le opere, che de lista (= d' ista, d' estate) le possi riposar in lombra, go fato far un cason de la paja. — Sta pila xe del marmoro 0 de la piera ? — Nel Trecento siffatto uso fu frequente quanto mai. Riporto un esempio classico, che tolgo dal Boccaccio (Decam. giorn. VIII, nov. II): «e mandolla pregando che le piacesse di prestargli il mortajo suo della pietra*. In appendice alle voci che e no so che del n. 47 osservo che il D'Annunzio nella Fiaccola sotto il moggio, atto II, scena 1 fa dire a Simonetto . . . Qualche cosa mi mancava e non sapeva che; e a Tibaldo nell' atto II, scena IV: con non so quale forza nuova, non so che rilievo mordace. E circa la voce madesi, n. 52, noto che fu usata anche nel tempo antico a Venezia. Pompeo Molmenti (Storia di Venezia nella vita privata, I, 296) nel processo matrimoniale di Bea-trice Francigena e di Falcone, del 1450, ricorda: Et ipsa re-spondit: Madi si. Cosi avrei tinito; dico avrei, perche altre locuzioni ancora si potrebbero c si p.tranno trovare nel dialetto della campagna istriana, le quali anzichC essere esotiche, o, per il continuo contatto degli Italiani con gli Slavi nell' Istria interna, derivate dalla sintassi slava, sono voci e modi del bell'idioma gentile, che in Toscana di bellezza si crisma e s' avviva. Dicesi che un fiore non fa ghirlanda ne una rondine primavera; eppero se le voci del dialetto campagnolo istriano, apparentemente esotiche ed effettivamente italianissime, fossero una, o due, o tre, la sarebbe cosa da passarci sopra. Ma veggasi che in questo mio saggio ne raccolsi ottanta e piu, se si considerino pur le parole che incominciano per j, raggruppate al numero 37. Quindi il numero e tale da non essere un' eccezione, ma da fissare una regola. Qual e dunque il corollario, che da siffatte vestigia toscane nel dialetto campagnolo d'Istria sprilla da se? Forse s'impernia nello scopo di sottrarre queste voci e questi modi alle beffe dei cittadini? La sarebbe troppo poca cosa, sebbene entri anche cio nel mio pensiero. Chš del resto il cittadino ridera sempre del contadino. E rida alla buon'ora: chč il riso fa buon sangue; sol si ricordi, che commetterebbe un' infamia, ove s' incaponisse di credere, che gl' idiotismi e le ridicolaggini del parlar campagnolo non entrino nel tesoro della bella lingua del si. Ma il vero corollario di questo mio saggio di lessicografia popolare si e piuttosto, che le voci e le locuzioni da me addi-tate, provenendo da quella scaturigine inesauribile e purissima di polla d' oro ch' e la lingua italiana originaria, anziche essere vestigia barbariche, sono una novella indiscutibile prova del-1' originaria italianita della campagna istriana. E spero che ognuno vorra lealmente riconoscere, che questa conchiusione e 1' esponente d' un fatto, che poggia su premesse solidamente scientifiche. Ora non si puo congetturare, che nella campagna istriana siensi stabiliti dei Toscani, il cui giornaliero contatto con la popolazione indigena d' Istria abbia cagionate le infiltrazioni linguistiche da me esaminate. Ci consta effettivamente di molti Friulani, detti da noi «Cargnei», immigrati in molti villaggi istriani; ed io stesso dimostrai questo fatto per quello che riguarda il paesello di S Domenica di Visinada *); ma non ci consta di Toscani venuti ad abitare nella eampagna istriana. L' avr sse il ciel voluto! Orbene com' e, che i Cnrgnei non impressero nessuna traccia del loro dialetto friulano nel dia-letto clel contado istriano dove abitarono, mentre nel dialetto di questo contado istriano sorvissero sempre, attraverso i secoli e attraverso alle immigrazioni degli Slavi determinate dalla Serenissima nelle calamita desolatrici delle pesti, locuzioni e modi prettamente toscani? E come va che sorvissero non solo quei modi toscani che oggi ancora entrano nel corso della lingua italiana parlata e scritta, ma — quel ch' e piu — modi arcaici, antiquati, trecenteschi, e in granclissimo numero, appunto come nel contado di Toscana? E come va infine che siftatti modi durarono e durano sebbene il dialetto d' Istria non appartenga al gruppo toscano, ma al veneto? Una sola risposta c' e a queste domande. Non 6 che il campagnolo istriano imparo siffatte voci e siftatti modi dai Toscani, ma si e, che dalla radice linguistica donde usci il toscano, usci pure il dialetto campagnolo deli' Istria, uscirono cioe entrambi dalla radice comune latina; per cui Toscana ed Istria e le altre province d' Italia, non solo per costumi e tradizioni c sentimento, ma anche per linguaggio, sono originariamente sorelle. A ribadire 1' evidenza del tatto, mi varro d' un passo del-1' insigne letterato e filologo Carlo Dati (1619-1676), il quale nella XLII delle sue «Lettere» postume ha questa savia osser-vazione: «Ma quando pero autori latini barbari di diverse nazioni.... si vagliono concordemente delle stesse voci, si puo ben credere, che queste vungano "dalla corruzione latina e non siano italicismi». Questo egli seriveva circa 1' origine (li alcune locuzioni e parole, che nel latino dei tempi e dei luoghi diversi si credevan tolte dalla lingua italiana, anziehe originate dalla lingua latina stessa. Ritorcasi adesso l' argomento del Dati al caso nostro. Quando il contado toscano e il contado istriano, *) F. Babudri, La Badia ecc., pg. 45 e 69. geograficamente e politicamente diversi, si valgono degli stessi idiotismi, solecismi e modi antiquati, si deve ben conchiudere, che ne il contado toscano ne tampoco 1' istriano han corrotto il pari are, bensi gl' idiotismi, i solecismi e i modi antiquati a loro c-omuni, derivano dalla stessa lingua italiana originaria. Circostanza degna di nota si e che le vestigia toscane e arcaiche da me esaminate, sebbene sieno vestigia della lingua italiana direi quasi classica, usansi nel contado istriano, mentre sono sconosciute alle citta marinare istriane, che anzi le schi-fano. Che ne viene? Ne consegue, che nelle citt& istriane gli accenti aspri con i quali a dir di Dante Alighieri gli Istriani si esprimevano, in seguito alla loro dedizione a Venezia ed ai loro continui intimi rapporti con la Serenissima, si vene-zianizzarono — mi si passi la parola — sempre piu, origi-nando quel dialetto, che attraverso i secoli pote conservarsi tino a noi in quello stadio di purezza veneziana, di cui ancor oggi brilla e brillera sempre. Nel contado istriano invece per il minor suo contatto con la Serenissima, 1' originario dialetto istriano si venezianizzo di meno, e pur riuscendo ad aggrup-parsi alla famiglia linguistica veneta, pot6 piu facilmente con-servare quelle locuzioni originarie italiane che oggi con nostro gran conforto godiamo di vedere, come trovino riscontro nel parlare del contado toscano e nella lingua letteraria italiana antiquata. Ne si trascuri il fatto che molte voci toscane e arcaiche della campagna istriana vengono usate dagli Slavi nel loro dialetto; dal quale fatto nasce imperioso un dilemma logicis-simo: O questi Slavi sono importati, o derivano anch' essi dagli abitanti originari deli' Istria, benche poi siensi snazionalizzati. Se sono importati — ci6 che in realta essi sono nell' Istria storicamente tale — vuoi dire, che trovarono nel contado istriano una lingua originaria differente dalla loro, che da * questa lingua italiana vennero influenzati, assorbendone in gran parte le voci, e che dalla civilta latina beneficamente riscaldati, mutarono il loro linguaggio originario in quel dialetto italo-slavo che ancor dura in Istria. Se invece derivano anch' essi dai primi Istriani — il che si puo ammettere solo in piccolissima parte — vuoi dire che in seguito si snaziona-lizzarono, ma che anche in tal frangente non dimenticarono il loro linguaggio originario, ne ritennero molte voci e viemmeglio contribuirono alla formazione di quel dialetto italo-slavo, parlato dagli Slavi d' Istria, ch' e in generale un misto di italiano con desinenze slave. Ma soltanto la prima parte del dilemma e storicamente esatta *); sebbene entrambe le parti riescano a provare luminosamente la originaria ita-lianitži di linguaggio della campagna istriana. No; non e vero che Venezia abbia insegnata la lingua italiana aH'Istria. Carlo Combi ebbe a scrivere splendidissi-mamente cosi: «Chi ponesse mente a raccogliere i vocaboli latini che sono in vita nel dialetto istriano e sconosciuti dal propriamente veneto, ne verrebbe a capo di una serie ben lunga, la quale sarebbe nuovo argomento a distruggere 1' er-rore di quelli, che di lor testa pretesero essersi appena da Venezia trapiantata qui la lingua italiana, quando invece ella vi fu antica e indigena, come in qualunque altra regione d' Italia. D' altra parte ben molti secoli prima del dominio veneto, ripararono in questa provincia, fuggendo le barbariche devastazioni, non poche genti italiche; e queste unificatesi colle affini d' Istria, affrettarono il passaggio del volgare latino al volgare italiano« **). Orbene, se le parole latine oggi ancora esistenti nel vivo dialetto istriano, conducono, a dire del Combi, alla conchiusione, che la lingua italiana deli' Istria 6 antica e originaria e indigena, tanto meglio a siffatta scientifica conchiusione conducono le voci toscane e arcaiche da me raccolte ed esaminate, le quali nulla hanno a che fare col dialetto di *) Vedi lin tanto benissimo accertato nello seopo ch' ebbero gli autori del gia citato articolo «Termini e modi di dire italiani usati dagli Slavi nel territorio di Albona», i quali usansi anche nel territorio di Montona, di Pinguente, di Pisino, di Pola e di Dignano. Ora in quel-1' articolo in prima linea si fece «rilevare la grande efflcacia esercitata dalla nostra lingua sui dialetti dei vicini Slavi come quella, che essendo la piu forte, in vase tutti i campi della vita morale e materiale delle nostre terre. Ne 6 da meravigliarsi che gli Slavi riscaldati dallo stesso sole degii Italiani, non sentissero il fascino della nostra favella dolce e fluente assai piu dei loro rudi accenti e 11011 provassero, loro pastori ed agricoltori, 1' influsso della civilta latina, delle istituzioni e degli usi nostri e non cedessero cnsi ali' impero del nuovo idioma, lo imparassero, o almeno in in buona parte, lo facessero proprio«. Pogine Istriane, an. VI (1908), pag. 4-5. **) C. A. Combi, Cenni etnografici sull' Istria, in «Porta Orientale*, Capodistria, an, 1859, pg. 117; ediz. 1890, pg. 313. Venezia, ne in antico e tanto meno oggi. Laonde queste voci toscane e arcaiche provano trionfalmente, che 1' Istria dal lato filologico e originariamente parte di quel complesso di paesi, dove s' ebbe ad evolvere la lingua italiana, ond' ella vieppiu rifulge quale astro di quella costellazione linguislica, che ha nome Italia. Fraucesco Babudri. MISCELLANEA IV Oue auattracentisti capodistriani Ho dimostrato altrove quale fosse il fervore degli studi umanistici nella Capodistria del Quattrocento 1). Ai molti nomi di cultori della poesia latina citati in quella trattazione ag-giungo oggi quelli di un Cristoforo Belgramoni e di un Alvise Mazzoca; il primo fu «cancelliere della plebe» ed e con tutta probabilita identico col vicedomino ch' 6 in documenti degli anni 1492-1500 2); della sua carica si mostra annoiato nei versi che seguono, perche le cure deli' ufficio gli impedivano di de-dicare i lieti ozi alla poesia. I distici latini in forma di epistola sono indirizzati a un Pilade «uomo erudito*, e nello stesso codice che ce li ha conservati3) c' e la risposta di esso Pilade. Chi era costui? Un carissimo amico del celebre Marin Sanudo, lo storico di Venezia, che gli fa tale elogio: Pilades e costui mio compar caro Docto, benigno acorto et si virile Che simiglianti si trovan di raro. Ma Pilade non era che un soprannome assunto dal bresciano Gianfrancesco Boccardo con allusione all'amicizia per il Sanudo ') Nel mio volume Capodistria (Trieste, Majlander 1910) pp. 10-19. 2) Cf. F. Majer, Inventario deli'antico archivio municipale di Capod. (Capod. 1909), N. 40. 3) II codice Marciano lat. XII 210, carta 30 v. ch' era il suo Oreste. II Boccardo fu professore di iettere a Sald; compose una Grammatica, un Vocabolavio in versi, cinque libri in versi elegiaci sulla Genealogia degli Dei e un Commento delle commedie plautine. Fu anche membro operoso della Cancelleria Ducale di Venezia. Nel 1483 viaggid in com-pagnia di Marino, il quale, benche diciassettenne, aveva gi£i occhi bene aperti a notare le cose piu iraportanti d'ogni luogo visitato e nel suo taccuino prendeva appunti, copiava fortezze, riportava iscrizioni, fermava i nomi delle persone piu in vista, s' addestrava insomma a quell' arte deli' osservazione acuta e vigile che doveva dargli farna imperitura. I due amici viag-giarono cosi tutta 1' Istria che il giovanetto descrisse da Capodistria ad Albona '). Fu molto probabilmente in quella occasione che il Belgramoni strinse amicizia con Pilade e il Mazzoca con Marin Sanudo; e 1' ipotesi pare abbia buon rincalzo dai versi di Pilade, dove vedo un' allusione al viaggio nelle parole nos qui tot castella tot urbes visirnus. Non occorre ch' io avverta come i versi del Mazzoca 8) siano di pessima fattura e guasti di piu dal copista si da ren-derli inintelligibili sulla fine. Chrisioforus Beligramonius Justinopolitanus plebis canzelanus Pgladi viro erudito salutem. Liber eram quondam pulcherque favebat Apollo pulsabatque canens nostra Thalia lvram ; sed nune nec versus, nec dulces ludere amores fraeta alijs curis nostra camoena potest. Otia vult cytharam digitis qui pulsat eburnam rumpat non alijs artibus ingenium. Parce precor si pauca legaš: mens carmina dietat anxietate carens3) impatiensque mali. Lege emenda et dona Venerin marito. * * * ') Cf. Itinerario di Marin Sanudo per la lerraferma veneziana nel-V anno 1483, edito da Rawdon Brown (Padova, Seminario 1847) p. 15, p. VII, n. 5; Fulin, Frammento inedito deli' Itinerario di M. S. in Arch. Veneto XXII, p. 9 sgg.; Fulin, Docum. per servire alla storia della tipo-grafia veneziana, in Arch. Ven. XXIII, p. 164; la parte deli' Itinerario riguardante le nostre terre fu ristampata con note nell' Istria del Kandler, IV N. 65 sgg. 2) Codice citato, carte 28. 3) II carens evidentemente dice il contrario di quel che dovrebbe; di chi 1' errore ? Pgladis responsio. Si tua quod modicis versentur pectora curis frangeris et solitus non tibi Phoebus adest Et quia te tantum vexat plebs unica, cessas carmina eonsueta fundere, amice, lvra, qualia nos censes qui tot castella, tot urbes l) visimus, instabili cudere posse gradu ? Nos centum exagitant populi, nos oppida centum, ingenium nobis niillia multa premunt; si tamen antiqui superest vis ulla vigoris, quae brevis aut nulla est, hinc tibi scire licet. Non sunt scripta mihi Veneris donanda marito sed magis auratis conspicienda notis; pro quibus aeternum fueris dillectus Orestes dum modo non Pylades s) sit tibi cura gravis. * * * Ad Marinum. Sanudum Leonardi filium Alovgsius Mazochius Justinopolitanus 0 decus Samiti, Marine, magnanima proles3), Gloria et farna tu in orbe semper manebis. Tu pulcer et prudens, tu sapiens semper fuisti. Non lingua suffimus (cosl) nedum intellectus narrare Ex tu (?) tibi quanta benignitas atque modestas. Baccio Ziliotto. T nemi locali del territorio di Capodistria Altre volte, su queste stesse pagine e altrove, noi ci siamo occupati di toponomastica, facendo rilevare 1' importanza di tale studio, specialmente per le nostre regioni; abbiamo accen-nato anche a quel po' di letteratura che riguarda la toponomastica istriana e date delle norme sul modo di procedere in queste ricerche; avendo trattati allora questi argomenti, ci II codiee: orbes. 2) II codice: pylade. 3) II codice: O decus Sanuti Marini magnanimi prolis. pare, con sufficiente esaurienza, in oggi non vi torneremo sopra, riraandando il lettore, che per avventura tali studi potessero interessare, a quei nostri modesti scritterelii * * * Stimiamo invece piu opportuno dare una breve descrizione del territorio dove i nomi locali furono raecolti. II comune locale di Capodistria che nel 1900 contava 10,384 abitanti2) con una densita di 288 per chm2, consta di due comuni censuari: Capodistria cittži e Capodistria territorio o Lazzaretto. E' di quest' ultimo che noi ci occuperemo. Esso e costituito completamente da rocce arenaceo-marnose e da terreni allu-vionali; per feracit& di suolo, per attraenza di paesaggio e per ricchezza e variet^, di prodotti, 1' agro capodistriano e di certo uno dei piu fortunati della penisola. II corso d' acqua piu importante e il fiume Risano, che segna per buon tratto il contine verso Muggia e Villa Decani. Sotto Maresego nasce il torrente Cornalonga o Fiumisin, che raccoglie le acque degli «aguari» del territorio e sbocca nello Stagnon. La popolazione ascendeva nel 1900 a 2553 anime (70 per km2), prevalentemente Sloveni nei villaggi ad oriente (1 ] 52), ltaliani nelle čase sparse della posizione occidentale (1401). Gli slavi sono quasi esclusivamente piccoli possidenti, gli italiani invece lavorano come mezzadri («cortivani») nelle tenute delle famiglie signorili di Capodistria; da notarsi che un tratto rilevante di territorio appartiene agli agricoltori della citt& («paolani») e cittadini sono pure in gran parte i lavoratori delle saline («salineri»). I piu comuni nomi di famiglia italiani sarebbero: Angelini, Apollonio, Argenti, Bordon, Gandusio, Giacomin, Mondo, ') Essi sarebbero : Per lo studio della toponomastica istriana, in «Pagine Istriane® A. IV, 1906 ; Nomi locali istriani derivati da nomi di piante, ibidem, Anno VI, 1908; Nomi locali istriani derivati da specie di colture, ibid., N. 6-9, 1910: Appunti di toponomastica istriana, in ((Bollettino della Societa Geografica Italiana«, Roma 1909. 2) Secondo il censimento del 31 dic. 1910 esso aveva 12,245 abit.; dati piu particolareggiati non abbiamo potuto ottenere. Novel, Viola, Zorzet ecc.; slavi Bestiach, Brainick, Cepich, Cociancich, Furlanich, Musenich, Pechiaricli, Starz, Valentich, Vattovaz ecc. Va da se, che ci sono parecchie famiglie italiane con cognome slavo e viceversa. * * * Tornando alla nostra raccolta, osserveremo che essa non k la pretesa di essere qualchecosa d i completo: servendoci di alcune monografie storiche localiJ) e delle gentili comuni-cazioni di egregie persone, alle quali esterniamo qui puhlici ringraziamenti, abbiamo tentato di commentare, di spiegare 1'originc dei nomi locali del territorio capodistriano; non tutti anno un'etimologia cbiara; lasciamo ai piu competenti il dire 1' ultima parola. Come si vedra, numerosissimi sono nella toponomastica del territorio di Capodistria i nomi di santi: essi provengono da chiese e cappelle esistenti nei di passati. Ai tempi del ve-scovo Naldini, che fece la descrizione di questa diocesi (line del secolo XVII), esse si conservavano ancora quasi tutte. Frequenti pure quelli derivati da nomi di famiglie; alcuni ricordano le piante e le colture che vi predominano o vi predominavano. E' inutile ricordare che la toponomastica nostra e spic-catamente italiana; su circa 70 nomi, quelli di origine straniera si possono comodamente contare sulle dita di una mano; come si vedra piu sotto, buona parte di essi si ripetono in altre regioni italiane, specie in quelle venete. Per questa raccolta abbiamo presi in disamina solo i nomi ') Le principali, che verranno molto spesso citate, sarebbero: Paolo Naldini, Corografia ecclesiastica ossia Descrizione della citta e della diocesi di Giustinopoli. Venezia, 1700 • gli opuscoli di Gedeone Pusterla (A. Tomasich): Per 1'ingresso solenne nella citta di Capodistria di M. I. R. Giovanni N. Giavina, vescovo di Trieste-Capodistria, Capod. 1882; II Santuario della Beata Vergine di Semedella, Capod. 1886; Famiglie capo-distriane esistenti nel secolo XVI, Capod. 1886 ; I Nobili di Capodistria e deli' Istria, Capod. 1888; I Rettori di Egida Giustinopoli Capodistria, Capod. 1891; G. Filippo Sqvinziani, Anticaglie: Santo Apollinare di Ga-sello Capodistria 1882. Carlo Cornbi, Porta orientale, Capodistria 1890. Per certi confronti ci siamo serviti di un Estimo della citta e villaggi, sotto il podesta Alvise Morosini, anno 1582 esistente nel nostro Archivio comunale. locali della terraferma: di quelli delle saline '), che sono inte-ressantissimi, speriarao di occuparci un' altra volta. I nomi sono riportati nella forma dialettale; fra parentesi, in corsivo, ci sara la forma italiana ad un dipresso corrispondente; seguono delle brevi indicazioni topografiche e, a seconda della necessita e possibilita, alcune osservazioni d'indole storica ed etimologica. Elenco tles !iomi. 1. AridI o Arivol (Ariolo) — localit& collinosa nel centro del comune, verso il mare. Deriva probabilmente dal larino area. Anticamente detta Passadella (Pusterla, La Beata Ver-gine ecc. pg. 4 e Combi, Porta orientale pg. 292). Abbiatno un Arivol presso Corte d' Isola, M. Ariol p. Valle e Ariolo nel Lodigiano. 2. Barban (Barbcino) — localita collinosa centrale. «L'a bate Barbano diede il suo nome alla contrada omonima. Ces-sati i Benedettini, questo comune andd čil possesso dei beni campestri di quell' abbazia, e attualmente appartengono a diversi privati» (Pusterla, I Rettori ecc. pg. 117). Barbano e uno scoglio presso Parenzo e frazione del comune di Grisignano (Vicenza). 3. Bertocchi — villaggetto nella parte N. E. del comune, abitata da parecchie famiglie Bertbch. Nel Regno d' Italia esistono fainiglie Bertoclii. 4. Bocca fiume — contrada allo sbocco del flume Risano. 5. Bonini — piccolo villaggio sul colle di Carlisburgo, abitato da famiglie Bonin. Bonini e frazione di Galuzzo presso Firenze e di Refrancore p. Alessandria. 6. Bossamarin (Bossamar-ino) — contrafforte settentrio-nale del Monte Romano di Paugnano (406 m.). II nome 6 probabilmente corruzione di Monte San Marino. Nell' «Estimo» del 1582 sta scritto Mossamarin e Monsamarin; la carta mi-litare austriaca al 75.000 serive St. Marino. Anticamente era detta Minio (Pusterla, I Rettori ecc. pg. 14). l) Eccone alcuni: Campi, Camera d' oro, della Begina, Santa Maria nova, Ara della fiera, Ara dei gorghi, Ara dei carri, Ara della Buffa, Ara di Seniedella, Ara della Colonna, Casoni, Dosso, Do poste, Saline rotie, Bocca flume, Santorio, Sermino nuovo, Sermino vecchio, S. Girolamo, ha Scarpa, Campo Marzio, Gorne ecc. (Vedi Pusterla, I Rettori ecc. pg. 119). 7. Campomarzo (Campo mar sto) regione pianeggiante a ponente della strada di Buie. «A' nostri tempi e il pošto dove la milizia urbana s' agguerrisce nel maneggio dei bellici istrumenti» (Naldini, pg. 413). Campomarzo extra e frazione del comune di Verona. 8. Canal {(Jana,le) — contrada collinosa nei pressi della strada di Buie. Nome di luogo eomunissimo in tutte le regioui italiane. 9. Cantamena — porzione della verdeggiante Val d'01mo, che trae il nome da antica famiglia che vi aveva un posse-dimento (.Pusterla, Le famiglie ecc. pg. 26). 10. Carbonar (Carbonaro) — regione collinosa che trae il nome dalla famiglia Carbonaro (Pusterla, Le famiglie ecc. pg. 26). Carbonaro e localita dei dintorni di Pirano. II nome Carbonara e eomunissimo nel Regno d: ltalia. 11. Carlisburgo — eolle alFestremita S. E. del territorio. capodistriano. Sui punto piu alto (112 m.) la famiglia dei conti Carli aveva una villa: da cio il nome. 12. Castilion (Castiglione, Castel Leone) — contrada piana, salifera, nei pressi del paese, verso mezzogiorno; vi sorgeva il poderoso Castel Leone, demolito nel 1820. Castiglione e nome eomunissimo in quasi tutte le regioni italiane. 13. £ere (Cerreto) — eollina ali' estremit& S. E. del comune. II nome deriva dal cerro (Quercus cerris), detto vol-garmente cero o gervato, che vi alligna tuttora. Istria : Qerei (Muggia e Villa Decani), Ceredo (Corte d'Isola e Pirano), Ceredina (Isola), Cerre (Albona), Lago dei Qeri (Rovigno). Trentino: Cere (Avio e Tiarno), Cereda (Primiero). • R. d' ltalia: Cerro (Lago Maggiore), Cerreto (Tortona, Ancona, Cam- pania), Cereda (Lombardia, Veneto, Liguria), Cerea (Verona), Cerre (Emilia). 14. (^eredel (Ceredelio) — parte del versante meridionale del M. San Marco. E' forse diminutivo di Cereto. II Pusterla (Famiglie capodistriane ecc. pg. 26) accenna ad una famiglia Ceredelio esistente a Capodistria nel secolo XVI che aveva cola dei possedimenti. Ceredelio e frazione di Rivoli e di Caprino nel Veronese. 15. Qesari (Cesari) — villaggio nella parte orientale del nostro territorio. Fra le famiglie estinte negli ultimi due secoli il Pusterla (I Rettori ecc. pg. 111) nomina i Cesaro. Una tra-dizione popolare metterebbe in connessione le origini di questo villaggio con un accampamento di Cesare. 16. £icuti (Cicuti) piccolo villaggio presso i Pobeghi, che trae il nome dalla famiglia Cicuto, d'origine friulana. 17. Cimici — gruppo di čase fra i Cesari e i Pobeghi. 18. Colomba — contrada sul colle di S. Marco, verso oriente. 19. Colonna — localitft, in gran parte piana e ben colti-vata allo sbocco della Val d' Olmo. Vi esiste una specie di capitello basso, con la scritta »hostili cruore». 20. Copole — contrada per lo piu in pendio che chiude verso occidente la Val d' Olmo. Dovrebbe derivare dal nome di quella famiglia estinta che il Pusterla scrive sempre Cdppole. 21. Cornalonga (Cornalunga) — torrente che attraversa in tutta la sua lunghezza il territorio di Capodistria; in esso sboccano parecchi aguari, quello di San Baldo, di Pradiziol, della Val d' Olmo e di Pademo. E' detto anche Fiumisin. La parola corna equivale a ruscello. Nel Trentino Cornacalda (Lizzana). Nel Regno d' Italia C. bassa (Imola) e C. alta (Bergamo). 22. Feransan (Feranzano) — collina presso Cesari alta 157 m. Nell'«Estimo» sta scritto Farazzčm, 23. Farnei (Farneti) — contrada comprendente il pendio fra Cesari e la Val Risano. II nome deriva dalla farnia (Quer cus pedunculata), che ivi cresce. Farnei contrada dei Monti di Muggia: Farneto p. Trieste. E' nome comunissimo nel Regno d' Italia (Emilia, Marche, Toscana). 24. Fiumisin (Fiumicino) — vedi Cornalonga. 25. Flaban (Flabano) — compresa nella contrada di Provd. II Pusterla lo fa derivare dai Flabanicn o Flabiano, doviziosa famiglia veneziana che possedeva cola una vasta tenuta (I No-bili ecc. pg. 12). Giannandrea Gravisi ( Continua) Commenda o vescovato (Saggio di storia). (Continuazione; vedi N. ant.) Ben rari sono i časi nei quali una diocesi goda di speciale benessere anche quando le manchi il capo. E' questi che di solito con 1' autoritči sua con intercessioni e con larghezze con-tribuisce in gran parte alla prosperM non solo della chiesa episcopale, ma anche delle minori ad essa sottoposte. Orbene, se consideriamo le condizioni della diocesi capo-distriana, noi vediamo che nel 908 re Berengario concede il mundio alla badessa Adlegida di Capodistria 4), che nel 910 si fonda nella nostra cittži il monastero di ». Benedetto. Questi fatti sono prova di immutata religiosit&, di potenza e ricchezza della chiesa giustinopolitana. E' vero che nel 991, anno nel quale fu tenuto il placito al cosidetto traghetto di S. Andrea dal Conte Wariento, per Capodistria non interviene che il giudice, tuttavia non ci sembra di poter ammettere 1' effettiva donazione in commenda del vescovato di Capodistria al vescovo di Trieste, che fra il 1068 ed il 1072, quando, appunto, il patriarca Sigardo di Aquileia fece questa concessione al vescovo di Trieste Adalgero 2). L' unico documento che ci parla con certezza di tale commenda appartiene ali'anno 1082; esso dice: «per guada-«gnarsi gli animi dei Capodistriani, Eriberto, vescovo di Trie-«ste, concede alla chiesa di Capodistria il plebanato di S. Mauro «d' Isola colla percezione del quartese e delle primizie ecl i l «dovere agl'Isolani di recarsi in quella chiesa per ricevere il *battesimo»3). Ecco dunque una prova irrefutabile della commenda del vescovo triestino sull' episcopato nostro; ma non vi sembra, che il desiderio del vescovo Eriberto di cattivarsi gli animi dei Capodistriani, riveli la novitii deli'istituzione della com- ') Benussi: Nei medio Evo; Cap. II, 3, 12, pag. 218. 2) Kandler: Indieazioni. s) Benussi: Nel Medio Evo. Cap. II. 6, 6, pag. 320. — Kandler: Cod. dipl. istr. menda? Che non sia un tentativo di far tacere sentimenti di insubordinazione in individui appena sottomessi, e non per po-verti della diocesi, ma per sopruso? Anziche essere dunque una prova della preesistenza della commenda, non potrebbe anzi esserne una della neointroduzione di essa? II Kandler nel sillabo dei vescovi'), segua appena al 1031 esser stato il vescovo di Trieste contemporaneamente anche vescovo di Capodistria. Un solo documento potrebbe dar torto alla nostra asser-zione, ma chi puo ora ispezionarlo, rinchiuso com' 6 gelosa-mente nell'inaccessibile archivio vescovile2) di Trieste? Lo riporta in parte don A. Marsich nelle sue «Effemeridi» in data 5 luglio 1186: «11 Comune di Capodistria aumenta di nuove donazioni «la mensa vescovile per riavere il proprio pastore», poi ag-giunge, come per ricordare il motivo di tale ambizione del Comune di Capodistria, «era amministrata la diocesi da lungo «tempo dai vescovi di Trieste». — Riportiamo queste parole del Marsich per scrupolosita, perche 1' aggettivo lungo 6 sempre di senso molto relativo e pu6 anche essere un apprezza-mento personale del dotto Canonico capodistriano. In tal modo noi avremmo ridotta la lacuna nel sillabo dei vescovi capodistriani ad un secolo o giu di li, cioe a quel lasso di tempo nel quale Capodistria era realmente ridotta a misere condizioni sicche palesemente si delineano nella sua storia le vessazioni dei diritti della diocesi. Speriamo con cio di aver convinto il lettore, che non esistono documenti che indicano categoricamente l'epoca nella quale il vescovato di Capodistria passo in commenda di quello di Trieste. L'osservazione del chiar. Rev. Babudri, inserita pruden-mente nella sua Cronologia dei vescovi di Capodistria che «d'altronde nelle preziose pergamene piranesi, che saranno »edite in breve dal chiaro Camillo De Franceschi, si vedra, ') Indicazioni. ") Questo documento & stato trasportato con parte deli' archivio vescovile di Capodistria a Trieste nel 1831 per richiesta del vescovo Rauni-cher. Abbiamo invano tentato di ottenere il permesso di visitare questa parte deli' archivio vescovile di Trieste; sembra che questo sia destinato a rimanere piu segreto di quello della Serenissima e per fino di quello del Vaticano. che in 900 — Lorenzo e N. 10, » 963 — Tomaso. «No so spiegarmi», esclama meravigliato il Babudri nella sua Cronologia. «donde Gedeone Pusterla abbia pescato» que-sti «vescovi». Ed e giusta la meraviglia, perch6 il Pusterla k 1' unico che ne parli. Questo infaticabile ricercatore di cose patrie, che molto ha raccolto ed illustrato, non aveva 1' acume critico necessario alle ricerche scientifiche e non va conside-rato quale storico; 6 doveroso pero osservare che mai egli si e arrischiato di ripetere fatti o di fare nomi inventati del tutto. D'altronde non ne aveva bisogno, perchč egli sempre aveva saputo mettere a contribuzione per le sue pubblicazioni tutti quelli che ne sapevano piti. di lui i quali erano continuamente tormentati da lui con lettere altrettanto rispettose quanto insi-stenti, nelle quali chiedeva 1' una o 1' altra informazione. II Pusterla visse inoltre in un' epoca felice per le ricerche storiche patrie, ai tempi del Rossetti, del Combi, dell'Amoroso, del Marsich e del Madonizza. Tutti questi si curavano dello studio dei tempi passati, ma nessuno si sarebbe di certo azzar-dato di emettere un' opinione, di marcare un nome, senza aver di che documentare la sua asserzione. Abbiamo dinanzi a noi il manoscritto di questo opuscolo ') Dal 780 circa al 1184! 2) G. Pusterla: S. Nazario, III ed. Capodistria 1888. del Pusterla 4), come pure le annotazioni che servirono di base a questa pubblicazione, e purtroppo non troviamo accenno di sorta alla fonte dalla quale egli attinse le date ed i nomi di quei cinque vescovi. E' forse da ricercarsi 1' origine di quelle notizie nell' in-trovabile famosa Cronaca del padre Carniatti distrutta proba-bilmente da chi aveva interesse di far sparire quelle carte compromettenti per molti aristocratici ed ecclesiastici, e del cui autore Tomasich era parente? Ebbe forse il Pusterla quelle notizie dal canonico Marsich, alcune note del quale si trovano fra i suoi manoscritti'? Nulla sappiamo in proposito e non vogliamo dare importanza speciale a queste notizie; quindi anche per non abusare della pazienza dei nostri lettori, dopo aver rilevato che anche queste indicazioni per quanto non documentate, appoggiano in certo modo la nostra asserzione, intendiamo di sostenerla con prove, per cosl dire materiali, chiamando a testimoniare in nostro favore gli edifici e le sculture, il che faremo nella pros-sima puntata. Antonio Leiss. (continua) BIBLIOGRAFIA Rlccardo Pitteri: lntermezzo ciancivendolo; Trieste, Ettore Vram editore, 1911. E' sempre curioso e divertente osservare come un poeta consideri i multiformi e ingannevoli aspetti della vita individuale e sociale attra-verso non piu il prisma iridato della poesia, ma attraverso quello piu vero e sincero della prosa; massime se il poeta abbia il valore e la farna di Riccardo Pitteri e se la prosa in cui egli raccoglie le sue osservazioni critiche sia costituita, com' e il caso appunto del Pitteri, da brevi sentenze, spiritosi aforismi, giochi di parole ed altrettali or dolci ed or amari, or lieti ed or malinconici motti. II Pitteri ha intitolato la sua raccolta epi-grammatica in prosa lntermezzo ciancivendolo; e in questo titolo non e chi non rilevi una cert' aria tra arguta ed enigmatica che cattiva subito 1' a- ') Ci fu cortesemente favorito dal sig. Andrea di Giov. Marsich ni-pote del Can. Angelo, al quale rendiamo sentite grazie. nimo del lettore, stuzzicandone la curiosita e promettendogli un diletto che poi non viene mai meno finche durano le pagine al breve volume. Che Riccardo Pitteri fosse un uomo di spirito, nel senso piu fine ed aristocratico della frase, si sapeva da tutti coloro che lo avvicinano nella vita privata o che conoscono i suoi poemetti dialettali: ma che egli fosse un cosi agguerrito motteggiatore de' suoi simili, ch' egli sapesse con tanta virtuosita cosi di mente che di penna acuire gli strali deli' ironia, come da questo libretto traspare, io čredo non si sapesse da molti e s' ignorasse affatto dal gran publico. Da questo lato adunque Vlntermezzo ciancivendolo e una piccola ma genuina rivelazione. Salutiamola cordiali e facciamo al candido inatteso volumetto 1' accoglienza ch' esso si merita. Non vien forse esso a far gioconda breccia nella plumbea musoneria che ne circonda e a predisporci e guadagnarci a un sorriso che sia piu d' in-dulgenza e di compatimento che di scherno e di cinismo? La musa (6 una vera e propria musa) epigrammatica di Riccardo Pitteri ha una ben temprata lira multicorde: passa via via dal serio al faceto, dal pungente allo scherzoso, fisa sempre in un alto ideale di mo-ralita civile e di dignitA umana che molto ricorda quello di Giuseppe Parini. E 1' ispirazione ora e elevata e solenne, ora umile e bonaria. Giacche non vi e quasi lato e aspetto della vita e deli' attivita umana ch' essa non indaghi e non cerchi di riassumere con poche rapide, incisive, caricaturali linee. E riesce mai sempre nel suo intento, sia ammodernando garbatamente nella forma vecchie massime deli' eterna saggezza prover-biale, sia congegnando con brio, purezza d' eloquio e profondita d' intuito verita che sono, a cosi dire, nell' aria, ma che nessuno ha peranco saputo fermare in una felice frase aforistica, sia dando vita a originali impres-sioni e a personalissimi modi di vedere che attestano, in primo luogo, una volta di piu, la straordinaria facolta d' analisi e d' osservazione del-1' ingegno del Pitteri. Giudichino un po' ilettori: «Amore more, amista sta». — «L' amore che si da pensiero del futuro sta per cadere nel passato«. — »Nessuno rileva se una donna sale, tutti rilevano s' ella scende». — «11 piu piccolo dei mondi 6 il gran mondo«. — «Non dare mai torto a chi ti puo dare torta«. — «Non vi sono rose senza spine, ma vi sono spine senza rose«. — «Chi si lamenta che il tempo 6 lungo, ha 1'animo breve«. — «In tutte le passioni la ragione arriva sempre con 1' ultimo treno«. — «Metter 1'acqua nella botte 6 frode, metterla nel bicchiere b virtu«. — «Parecchi tengono alta la testa perche pesa poco«. — «L' ispirazione del poeta dev' essere rapida, la produzione lenta : per la concezione un attimo, per il parto nove mesi«. — «L' amor di patria e il piu costante di tutti gli arnori, non scema per sazieta, non si irrita per gelosia, non perisce col tempo, e si appaga della gioia del dare senza la compensazione del rice-vere». — «Di tutte le passioni che la furia politica sbatte nel vaso della vita, ciascuna a suo tempo prenderž, il suo pošto: 1' olio a galla, la feecia in fondo». Non manca, come si vede, neppure la nota civile e patriotica; e, a vero dire, in un libro di Riccardo Pitteri, di questo spiritualissimo tra gli spirituali araldi ed assertori del nostro diritto, non poteva nem-meno mancare. G. Q. Attilio (JentiLle: II dialetto; discorso tenuto ai ragazzi dei Ricreatori triescini, il giorno 7 di inaggio del 1911, per lo scoprimento di una lapide commemorativa sulla časa natale di Gig'lio Padovan, ora Ricreatorio co-munale di Via delle Sette Fontane. Trieste, G. Caprin, 1911. L' opuscolo e di sole otto pagine, e il discorso non ne occupa piu di cinque. Ma e prosa che merita di essere letta per il calor patriotico che la accende, per 1' elegante scorrevolezza con cui 6 scritta, per le molte nuove e giustissime considerazioni che contiene intorno al dialetto. Certo che neanche questo opuscolo di Attilio Gentille varra a dare ai piu una cognizione esatta di cio che e e di cio che puo il dialetto; ma molti che lo comincieranno a leggere increduli si convinceranno via via, leg'-gendo verit& come queste : «Come il popolo e il vivaio perenne degli entusiasmi e degli ardori, cosi il dialetto e la miniera inesauribile delle parole che si logorano anch' esse per 1' uso come tutte le altre cose. Ma il dialetto e come il mare, salso e iusonne, che non lascia sussistere in se corruzione, e sotto le azzurre onde scintillanti conserva ed alimenta la vita infinita». «La lingua che si scrive, si fa talora stanca e pigra, anemica e povera; si riduce a vivere di poche parole, si irrigidisce in pochi atteg-giamenti. II dialetto per contro, e sempre mutevole e vivace, conserva modi perennemente giovani; saltella dove 1'altro sonnecchia; proeede baldanzosamente, mentre 1' altro si appoggia al bastone e inagari alle gruccie*. Mi pare che meglio di cosi non si sarebbe potuto dire. E anche mi pare che il Gentille, celebrando le virtu del dialetto, abbia ouorato e ricordato nel modo piu acconcio e leggiadro 1' arte insignc di Giglio Padovan. (}. Q. NOTIZIE E PUBBLICAZIONI. * II dott. A. Iellersitz ha licenziato per le stampe una bella «Re-lazione sul III congresso internazionale di igiene scolastica», che si tenne a Parigi dal 2 al 7 agosto 1910. % II Comitato della festa pro Lega Nazionale a Portorose s' e fatto editore d' un gentile libricino contenente versi di Willy Dias, Luigi Orsini, Elda Gianelli, Lydia de' Maiti, Nella Cambon-Doria, Haydee, Goffredo Bellonci, Domenico Fragiacomo, Arturo Bellotti, Giovanni Quarantotto e Dino Vatta. La La Societa storica friulana (Udine) c' invia la relazione sul-1' adunanza costitutiva (18 febbraio 1911) e lo statuto. Auguri. * La Federazione provinciale per il promovimento del concorso di forestieri a Trieste e nell' Istria ci manda la sua bella "Relazione sull' at-tivita sociale nel 1910». E' uscito 1' importante Riassunto di statistica per I' anno 1910 edito dal Municipio di Trieste Liburnia (Fiume), Anno X, N. 2: G. Asperger, Una šalita inver-nale del Tricorno. — Guido Depoli, Sul Risnjak e ali sorgenti del Kulpa. La Fiamma (Roma 31 luglio 1911): Guido Schiavettio, Trieste letteraria. Rassegna conteinporanea 'Roma, agosto 1911): Sante De Sanctis, Le manifestazioni esterne del pensiero. — Angelo Tragni, Ai confini d' Italia. — Enrico Mizzi, L' Italia e la questione maltese. — Gualtiero Castellini, I protagonisti nei romanzi dannunziani. — Vincenzo Picardi, Notizia carducciana. — Ioh. Kollar, Lettera tura tedesca. Harry Collison, Arte inglese. — Ar t. Jahn Rusconi, Arte antica e moderna. — F. Cortesi, Colonie. & Rassegna Nazionale (Firenze, 16 agosto 1911): F., AlMaroeco... — Emma Cicchitti, Nel giubileo della Patria. — Nicola Malnate, Gli ageriti di emigrazione. — F. Giordani, II monopolio deli' assicurazione sulla vita e il disegno di legge deli' on. Nitti. — Giuseppe Gonni, Ancora per i ca-duti di Lissa. — P. Bellezza, Per gli studi slavi. C. Caviglione, Note filosofiche. * Alpi Ginlie (Trieste. XVI, 4): L. Fischetti, L' acrocoro di Ter-nova. —Prof. A. Prister, Note geologiche sull' Istria. — Seicento alpinisti lombardi al passo di Zocca. ^ Con crescente alacrita la Societa escursionisti istriani M. M. esplica un' utilissima attivita. I gruppi locali vanno sempre aumentando. Ce ne rallegriamo di cuore. Ezcelsior! -Ž Con vivo piacere apprendiamo che gli studi fatti dal direttore della SocieU arch. istr dottor Antonio Pogatschnig, pel prosciugamento e la consolidazione dei piu antichi musaici che formavano il pavimento della Basilica Eufrasiana di Parenzo, furono approvati dalla Commissione Centrale di Vienna, e che verra adottato il procedimento tecnico ali' uopo inventato e proposto dal sullodato archeologo per preservare dali' ulteriore deperimento i detti mosaici. ERIlATA-CORRIkrE. Nell'ultirno fascicolo della nostra rivista e in-corso un grave errore di composizione. Nell' articolo, cioe, intitolato Paolo Tedeschi il periodo che incomincia Pace adunque ecc. (pag. 122) e stato anteposto anziche posposto a quello principiante Tutlavia, nel Regno ecc. (pag. 123). Vogliano i cortesi lettori tener conto della corre-zione e scusarci. Giulklno TEsaiiti editore e redattore responsabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodiitria.