ANNO XII Capodistria, 1 Agosto 1878 N. 15 LA 0VINCI A DELL' ISTRIA Esce il lu ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno flor. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gl'abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero, separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. Effemeridi delia città di Trieste e del suo Territorio Agosto 1 1421. — Il maggior Consiglio approva lo statuto riformato da ser Agostino de Osola, abrogando del tutto il vecchio. - 11, II, 176. - 13. - 1 142G. — Il maggior Consiglio dà in affìtto perpe- tuo a Stefano vulgo Bosso, mastro calzolaio ed eredi suoi un terreno nella contrada Val-derivo, perchè possa fabbricarvi una Zudecca (fabbrica di conciapelli), verso 1* annuo canone di sei soldi. - 13, 45.b 2 1223. — Il maggior Consiglio accorda a Venezia il libero commercio, tanto in città quanto nel territorio. - 45, 411. 2 13G8. — Il doge col Consiglio dei Quaranta e con la Giunta investe Leone Bembo ed Andrea Venier di sommi poteri, per accettare la dedizione e la resa di Trieste. - 5. 3 1644. — La veneta galèra armata s'impadronisce di tre barche cariche di vino, dirette per Trieste. - 14, 125. 4 1379. — Il Comune di Udine delibera, in seguito a domanda di Trieste, d'inviarvi tre bombarde a proprie spese sino a Monfalcone, rimanendo le spese ulteriori a carico del Comune supplicante. - 5. 4 1510. — I terrazzani di Muggia invadono il ter- ritorio triestino e recidono qualche vigna. - 5. 5 1447. — Guido dei Pagliarini da Rimini, fu vica- rio e luogotenente di Trieste, viene condannato in contumacia a morte ed i suoi beni vengono aggiudicati al fisco, per avere egli malignamente distrutto il libro dei civici Statuti. - 5. j5 1565. — Si appiana questione di confini insorta fra la città di Trieste e la terra di Muggia. - 14. 111. ]6 1379. — Il Comune di Udine, appoggiando la domanda della città di Trieste, delibera di mandarle. 200 staia di frumento. - 5. j 6 1473. — Il doge Marcello richiama alla memoria della città di Trieste 1'obbligo di fargli a-vere, come dai patti della pace 17 novembre1 1463, il sesto del sale fabbricato nella valle di Moccò (Zaule). - 5. 7 1-511. — Si sviluppano in città i primi casi di peste, che rapisce «ino li 11 novembre 100 e più persone tra le quali Gerardo de Gerardi che aveva principiato a descrivere quelle infauste giornate: molte famiglie abbandonano la città e portansi a Tiffer nella Carniolia. - 16. 7 1693. — Fra Ireneo della Croce propone al patrio Consiglio I' offerta del veneto stampatore ser Antonio Turrini, pronto a recarsi a Trieste con lì obbligo di stampare la storia di questa città. - 10, IV, MS. ■ 8 1233. — La città di Trieste depone nelle mani di Pietro Zeno il giuramento di fedeltà a Venezia. - 18, XIII, 315. 8 1381. — Venezia rinuncia con la pace di Torino ad ogni diritto, dominio e sovranità sulla città di Trieste, salve le regole dovute al doge ed i patti antichi. - 22, 32; 46, VI, 221. 9 1409. — Il capitolo della cattedrale elegge in suo vesco.vo il patriota fra Nicolò de' Carturis guardiano de' Minori conventuali in loco. -3, VIII, 700. 9 1782. — La comunità dei greci orientali è facol- tizzata di erigersi propria chiesa. - 1, V, 15. 10 1306. — Marin Badoer prende possesso della po- destaria di Trieste. - 28, 91.b 10 1377. — Il veneto Senato accorda il rimpatrio a Giacomo da Trieste che s'era ritirato a Muggia. - 10, II, 285. 10 1379. — Il Comune d'Udine ordina di comperare 200 staia di frumento per la città di Trieste e si obbliga di sopportarne le spese del trasporto sino a Monfalcone. - 5. 11 1509. — Il Capitano Nicolò Rauber comanda ai cittadini di recarsi armati in sulla piazza incominciando da questa notte e di occupare poscia ogni seconda notte i posti assegnati, temendosi un assalto veneziano. - 5. 11 1520. — H doge Leonardo Loredan avvisa quei di Umago a dover pagare la decima non al vescovo di Cittanova, ma a quello di Trieste come per 1' addietro. - 47, 94.11 y 12 1308. — 11 patriarca Ottobono permette al comune di Cividale e ad altri feudatari friulani di stringere lega col comune di Trieste per una vicendevole difesa, purché non congiurino a danno della chiesa aquilejese. - 25, XXXI, 424 ; 9, 37. 12 1371. — I veneti provveditori con il podestà di Trieste Nicolò Orio ed il capitano Andrea Zeno, il conte di Veglia Nicolò, i cittadini Alessio de Vigoncia e Stefano de Piccardi, Francesco della Torre e Tiberto da Bagnacavallo combinano di fabbricare il castello a marina presso il molo. - 10, II, 337. 12 1599. — Il vescovo Orsino de Bertis ordina ai giudici della città il sequestro dei libri di orazione adoprati dai canonici di S. Giusto, e li vende ad un libraio per lire 55, mentre al pubblico avevano costato fiorini 600. - 8. 13 803. — Fortunato degli Antenori da Trieste, ot- tiene qual patriarca di Grado, da Carlo Magno la conferma di certi beni che il patriarcato possedeva in Istria e lo svincola da o-gni dipendenza da qualsiasi giudice. - 31, 31. 13 1651. — Il vescovo Antonio da Marenzi consacra la chiesa del Rosario, situata in piazza vecchia. - 1, III, 272. 14 1418. — Il Consiglio delibera che si eleggano dieci cittadini perchè assieme ai giudici operino per la liberazione di Giovanni di ser Pietro de Silvola, Antonio del fu ser Francesco de Marconsi da Trieste e certo Giacomo do-midliato in Trieste, presi dai Duinati e rinchiusi nella prigione di quel castello. - 13, 18.* 14 1471. — Un corpo di 3000 austriaci, guidati da Niclas Luogar, entrano armata mano in città, uccidono e saccheggiano per tre interi dì. -14, 97; 1, 310. 15 1468. — I triestini tenaci nell' osservanza dell' an- tico statuto e difensori delle proprie franchigie, si alzano contro il partito contrario, e molti di questo appendono. - 30, 62. L'ESPOSIZIONE VINICOLA A VENEZIA Trattando qualche anno fa degli interessi economici dell' Istria in una conferenza tenuta al teatro comunale di Rovigno, io ricordo di avere accennato, tra le varie cose, ai vantaggi che l'Istria ritrarebbe dal prodotto delle sue viti qualora per la vinificazione i miei concittadini adottassero i metodi moderni usati in quasi tutta 1' Europa, e specialmente in Francia, i quali altro non sono che il risultato di seri studi e di pratiche applicazioni. *) La Francia, come lo si vede ogni dì più, è uno dei paesi più ricchi del mondo, e non v' ha alcuno che ignori come quella iudustre nazione debba la maggior parte della sua prosperità economica all' arte colla quale essa prepara i vini. E non ho detto a sproposito arte di preparare i vini, imperciocché i vini che la Francia *) D'accordo coll'egregio nostro comprovinciale, sulla necessità di insistere per animare allo studio della confezione dei vini nella nostra provincia, crediamo giusto accennare a quanto ha fatto la provincia per questo scopo: cioè alla fondazione della stazione enologica iu Parenzo, clie funziona fin dal 1875. (Nota della Redazione). smercia per ogni dove, taluni dei quali anche a prezzi favolosamente miti, molte cose considerate, non sono tutti prodotto del suo suolo, ma in gran parte di quello d' altri paesi, che importati in Francia e sottoposti alla correzione di un metodo migliore, ripassano quindi sui mercati esteri con tipi ed etichette francesi, dando spesso lauti e meritati guadagni ai produttori e soddisfacendo il gusto e lo stomaco dei consumatori di climi più svariati. L'Istria regione eminentemente agricola, deve porre una cura speciale onde i suoi prodotti trovino largo campo nei mercati e sieno conosciuti e valutati a seconda dei pregi distinti intrinseci e naturali che incontestabilmente si hanno, e poiché tra essi il più importante è quello delle viti, è mestieri che alla confezione dei vini si consacri 1' attenzione intensa, l'intelligenza più estesa e diligente. Concorrendo su larga scala alla mostra del Lido, ove per affinità di territorio i vini istriani sono stati ammessi, dalla cortese ospitalità veneziana, i vinicol-tori istriani ritrarranno, non ne dubito, molti dati di confronto e faranno di essi tesoro pel perfezionamento del loro prodotto. Rileveranno pure da quella mostra le lacune che i vicini veneti lasciano a quelli dell' I-stria sul mercato e, mi giova sperare, ne sapranno anche approfittare pel loro interesse. Io sono d' avviso che i vini comuni istriani nel | confronto non resteranno di gran lunga indietro a quelli ; del veneto territorio, ma con questi essi non potranno tuttavia lottare nei prezzi, stante la barriera doganale che divide i due paesi. Lo stesso non penso però per i fini, i quali, noti che saranno a Venezia, diverranno senza dubbio articolo di premurosa ricerca da partej dei buongustaj, che non sempre s' arrestano al prezzo. La mostra del Lido porterà questo doppio vantaggio ai vinicoltori istriani : che essi sentiranno quanto sia necessario ed utile esaminare ed accogliere i metodi di vinificazione usati negli altri paesi, e di curare in modo speciale lo sviluppo dei vini di lusso, che per essi potranno essere, oltre che titolo d'onore, mezzo di immancabile risorsa. I paesi più o meno finitimi all' Istria apprenderanno poscia da ciò, che la penisola istriana, oltre ad avere abitanti esemplarmente laboriosi in-terra, arditi ed intraprendenti iu mare è tale eziandio da gareggiare con chicchessia per la squisitezza di non pochi de* suoi prodotti. Roma luglio 1878. C. H. R. Le tanche mutue popolari Mane I confortanti progressi compiuti fino ad oggi nel Regno dal credito mutuo popolare, risultano nel modo più evidente dalla Relazione che l'illustre economista L. Luzzatti ebbe non ha guari a pubblicare, e che verrà presentata al prossimo Congresso delle Banche Mutue Italiane. A noi sia lecito di scastonare da questo aureo lavoro alcune cifre, che per quanto sieno di lor natura un po' angolose e taglienti, desteranno, non ne dubitiamo, il più vivo interesse. Le Banche Mutue Popolari si trovano così distribuite nelle diverse regioni secondo le quali si usa raggruppare le Provincie Italiane pei lavori statistici: Lombardia 25; — Veneto 19; — Piemonte e Liguria 22; — Emilia, Marche ed Umbria 24; — Toscana e Roma 12; — Napoli e Sicilia 16. — Totale N. 118. Il numero dei socii appartenenti a queste è di 77,340; 32,005 dei quali in Lombardia, 16,722 nel Veneto, 1740 nelle Provincie napoletane e siculo. Sopra 100 socii, in media 32 sono piccoli industrianti, 16. 80 piccoli agricoltori ; vengono poi in 16. 65 per cento i professionisti, gl'impiegati privati e pubblici; il 7.25 per cento pigliano i giornalieri braccianti. La media del numero delle azioni possedute da ciascun socio è, pel Regno, di 8. 87; per la Lombardia, 10.70; pel Veneto 5.32; pel Piemonte e la Liguria 20.04; per Napoli e la Sicilia, 4. 77; per la Toscana e Roma, 3.96. La inedia di -lire per la quale ciascun socio compartecipa »1 capitale ed alla riserva si può calcolare a 563. 20 lire italiane. Ciò potrebbe far supporre in queste una clientela più democratica, senonchè, come osserva l'illustre Luzzatti, i nostri dati si riferiscono a sole 82 Banche. Ora, quanto più piccolo è il numero degli stituti presi ad esame, tanto maggiormente influiscono i' ordinario sulla media generale le cifre delle grosse partecipazioni. E notisi ancora, ad onore delle istitu-tioni italiane, come la loro solidità tragga i padri e i tutori ad affidare ad esse gì' interessi dei figli e dei minorenni, onde i socii che veramente attingono al iredito avrebbero una media inferiore. La riserva delle Banche tedesche è di 11, 27 sopra 100 lire di capitale; nelle Banche italiane, altro itolo di gloria per esse, e di lire 29. 33 sopra 100 di capitale. I prestiti da lire 10 a lire 200 stanno nella proporzione del 39 per cento, ed in quella del 29 per «nto sul totale dei prestiti quelli dalle 201 alle 500 ire; cosicché, osserva l'onorevole relatore, su 107, 186 restiti per 82000000 di lire allo incirca, vi è la confortante certezza che la massima parte (68 °\o) rappresi il sussidio del credito popolare a quella beneme-:ita falange di socii, i quali finora furono gli schiavi lell' usura, del Monte di Pietà, della beneficenza pub-ilica e privata. Il 55 per 100 degli effetti scontati rari«, da L. 10 a L. 500. La media degli sconti è un io' alta giungendo a 1158 lire, ma in essi si compu-lano alcuni grossi sconti ne' quali parecchie fra le rincipali Banche popolari cercano sfogo alla esube-anza dei depositi che affluiscono nelle loro Casse. Le ovvenzioni, rappresentate da un valore di circa 25000000, opra 382, cui ammonta il totale delle diverse opera-ioni, sono in numero di 15817, il 68 per cento delile [iiali è tenuto da quelle di un valore non eccedente b 1000 lire. Il capitale sottoscritto è di L. 35007 400, il versato di L. 33872531. Il fondo di riserva am-ìonta a 9937129 lire. Gli utili nel 1876 ammonta-ono a 3611306 lire. Le perdite, salva qualche proabile inesattezza, a L. 74323. Bastano qui questi dati principalissimi sull' ttuale complessivo movimento di quelle numerose lanche popolari, che risposero all' appello del loio be-, emerito iniziatore. Coloro che amassero avere in quoto argomento più ampii e significanti ragguagli rimano direttamente alla Relazione del Luzzatti, ove gli li condurrà pel greto dei numeri, discorrendo loro mi tanta profondità ed eleganza, eh' essi non senti-anno 1' asperità del cammino. Le parole di quella Resone, benché scorrano rapide, lasciano trasparire, «n già un orgoglio che sarebbe il più giusto ma ima mite compiacenza, un sentimento tranquillo del bene operato ; senonchè qualche istante si lanciano vivace-mente"nell' avvenire, chiedendo ordinamenti più logici e applicazioni più corrette. Irrequietezza ben naturale in chi fu sempre tra i più fidi e valorosi campioni di quella bandiera, ove sta scritto il fatale excelsior. E noi uniamo in quel motto la nostra voce a quella dell' illustre economista, fidenti che se, ove siavi la forza di farlo, si vorranno seguire sì nobilissimi esempii, verrà tempo in cui giorni più calmi passeranno per l'umanità, oggi ancora somigliante troppo spesso a quell' inferma di Dante Che non sa trovar pace in sulle piume E con dar volta suo dolore scherma. __R. R. LETTERE SU ARGOMENTI DI BACHICOLTURA del marchese GIANNANDREA DE GRAVISI DA CAPODISTRIA (Continuazione, vecli N.ri 10, 11 e 12) AL DOTTORE FELICE FRANCESCHI*!. Sono nella età delle indiscrete esigenze; ma vorrà perdonarmi almeno in grazia al laconismo che m'è abituale. Brevis esse laboro, ma pur troppo spesso db-scurus fio. Ho letto attentamente e con sommo piacere la nota del signor dottore Alberto Levi. — E perchè tanto allarme, se il dermeste lascia quanto basta per poter fare con esattezza gli esami microscopici? Il signor Cristoforo Belletti, non meno distinto bacologo che microscopista, ce lo ha già assicurato in una memoria, da veruno, ch'io mi sappia, contraddetta: che cioè le antenne presentano alla lente con fedeltà lo stato delle altre membra delle farfalle. Io starommi attaccato a cotesto giudizio, finché Ella, pregiatissimo dottore, non mi grazierà di un cenno contrario per distormene. Attendo, quando gli studii glielo permetteranno, un gradito di Lei ricoutro; mentre ora ho il piacere di raffermarmele..... Piade, 11 settembre 1872, AL SIGNOR G. STUDIATI La sua voce, col mezzo della Rivista bacologica del Franceschini, arrivò agli ultimi limiti naturali d' Italia, ed un vecchio settantenne risponde all'appello. Io sono un po' conosciuto nella mia piccola provincia assai poco al di fuori; ed è perciò che agli anni mi appoggio onde il mio dire sia creduto sincero da V. S. Ed ora entro subito in quel soggetto che mi ha fatto ardito di scriverle. Appassionato bachicultore mi occupo in gran parte dell' anno in un mio podere, prima a governare una particella di bachi e farne seme, poi a scevrare col microscopio la parte sana dalla corpuscoiosa. Nella stagione in cui si ripiglia questo metodico lavorìo consegno le larve ad una diligente bacaja, che li assiste in un altro mio podere, circa un chilometro distante dal primo, J la quest' anno le affidai 25 grammi di seme cellulare, ma tutto combinato, per proggetto, da deposizioni sbiadite alquanti grammi di seme con colore normale, e varie oncie d'industriale,, proveniente della stessa partita. Delle tre qualità, nate, e servite e cresciute per bene nello stesso locale, ma ciascuna sulle proprie stuoje, la prima è stata distrutta dalla flaccidezza, dell' industriale ne andava in bosco la metà appena, e quelle di bella tinta si portarono egregiamente. Nella mia piccola bigatteria di riproduzione venivano governate 73 deposizioni, scelto per tinta carica ed abbondanza di granelli, in altre tanti scompartimenti. In tre sole si sviluppò la letargia, e non tanto micidiale, perchè iu un buon migliajo di bachi ne perì circa una quarantina, e per fortuita combinazione queste famiglie o gruppi nascevano da farfalle che al microscopio mi avevavo mostrato dei corpuscoli non numerosi, ma di quadruplo volume delle comuni. Se non è semplice caso, anche il colore dovrebbe avere qualche importanza. Ora la mi permetta una mia conghiettura. È a dir vero, un rischio, perchè sarebbe l'indebolimento di un criterio dato da due celebrità scientifiche. Comunque, mi attento ad esporlo. Dopo tre mesi di assenza, mi restituì nello scorso marzo alla mia prediletta casa campestre, e trovai nel salotto ch'è il mio laboratorio e la bigattiera ad un tempo, belle e senza guasti del dermeste le mie farfalle, custodite nei borsellini di garza, appesi lunghesso le pareti a fili di ferro, meno un buon centinajo, cui la muffa del muro ne aveva insozzate le copie vicine ad una finestra che tramandava umidita. Niente di più naturale se la muffa invase anche le farfalle: ma mi fu di grande sorpresa veder i maschi tutti tinti a verde, e la maggior parte delle femmine o affatto esenti o deturpate in quelle sole parti ch'erano in diretto contatto col maschio. Dico il vero di sentirmi tentato a sospettare la maggior persistenza dell'umidità nel maschio di coufronto alla femmina. Se le sono superfluità, V. S. le dimentichi : se in vece sono un granellino di sabbia per l'edifizio bacologico, io mi affaticherò, finché avrò fiato, provando e riprovando, di aggiungerne degli altri ancora. In qualunque modo, spero ch'ella non accusandomi di sfacciataggine, vorrà accettare begniguamente le sincere mie proteste di stima e servitù. Capodistria, IO luglio 1873. Le fonti termali l'Isola e li Santo Stefano Iu Istria (Continuazione vedi N. 14.) Ma è già tempo che volgiamo altrove il nostro passo e pigliamo all'uopo quella strada, che ad oriente della città nostra ci conduce nell'interno della penisoletta Istriana, di questa, onde erudito straniero, anni addietro, scriveva che è «ricchissima di naturali meraviglie e di pittoreschi paesaggi, sì che stupir si debba che tanto di rado a visitarla vengono e scienziati e paesisti.„ Facciamoci adunque su quella via ed abbandonato il territorio di Trieste a Zaole, là ove il ponticello sulla Rosandra segua il confine dell'Istria veneta, ascendiamo l'erta della Nogara e giunti a San Michele pieghiamo a nord-est per discendere da Coyedo o da Socerga nella ridente vallata, in cui alle falde dei monti della Vena i. . ' ei erge quello, onde Pinguente alletta a sè lo sguardo ; colle storiche mura, colle sue porte, col suo „fontico," documenti perenni della grandezza della saggezza di quella illustre dominatrice delle terre e dei mari che fu la ducal Venezia. Ai piedi del monte imbocchiamo poi quella, che, attraversando la rigogliosa vallata a sud-ovest, va con dolci giri a quello stretto varco, che ! dai massi che gli si innalzano ai fianchi è detto dai j terrazzani „le porte di ferro." E diffatti è vera porta giacché oltre la strada così serrata non evvi tra quei ; monti, che si avvicinano, che il fiume Quieto ed a sinistra di questo esiguo lembo di prato. Passate le porte j di ferro la valle si allarga novameute e circa mezz'ora di poi si giunge al sito, che dalle cave di vitriolo e di allume1) è detto »Miniera. " Quindi comincia quel bosco di annose quercie, che a tutti è noto qual bosco di Montona. Poco più in là a destra di questo e del Quieto così chiamato dal placido suo corso, improvvisa si vede torreggiare un'alta roccia, incavata alla base e sormontata da antica chiesetta intitolata al Sauto Stefano. A pie del masso, incastonatavi quasi, si scorge umil casipola ed a pochi metri di questa, giù verso la strada, un'altra più baracca che casa, onde emana continuameute odore di zolfo. Ecco le fonti che dalla grotta e dalla chiesuola han pur esse il nome di »bagni di San Stefano." Altre vie vi conducono ancora, ma ad esser men lungo ommetto accennarle2) Ci mancano memorie precise3) del tempo in cui queste fonti furono scoperte; nessuna lapide, niuna traccia che fossero conosciute ai tempi antichi, una nera tradizione ricorda che fossero note prima della metà dello scorso secolo3), ma da allora al 1807 o vennero usate soltanto dagli abitanti delle terre vicine, o furono quasi dimenticate da essi ancora. In quell'anno appena vennero in pregio per opera specialmente del medico comunale di Pinguente Osvaldo Zanantoni, il quale dalla famiglia dei Gravisi che ne era la proprietaria, ottenne il permesso di farne praticare la chimica analisi. Senonchè anche le premure del Zauantoni non approdarono per allora a nulla a motivo certamente di quelle guerre, onde tutta Europa veniva a quel tempo sconvolta e straziata. Appena dieci anni più tardi si pensò a costruire su una delle sorgenti una capanna di legno scompartita in quattro cellette per altrettante vasche. Ebbero in allora principio le cure termali e tanto lieto ne fu l'esito, che anche da luoghi più lontani cominciarono ad affluirvi i malati. Tra questi pure un'avvocato di Trieste, il dottor Giuseppe Belardelli, che, prontamente risanatovi da atritide inveterata, fé praticare novella analisi dell'acqua a lui tanto salutare. Riconfermatane così l'efficacia fece domanda ai soppradetti signori de Gravisi perchè la fonte ') Vedi la Geografìa dell'Istria del Prof. Bernardo Benussi — Trieste 1877 (pag. 105 e 106). 2) „01treohè per la via qui tracciata vi si può arrivare abbandonandola sopra il villaggio di Sant' Antonio e discendendo per Portole nella valle di Montona, oppure sboccando in questa per quella che vicino a Capodistria si ripiega verso oriente per ascendere Castelvenere e a Buje. Ma se tutte queste ci annoiassero colle loro otto o dieci ore di vettura le potremmo notevolmente abbreviare recandoci col vaporetto a Capodistria, o spingendoci per mare fino a Parenzo. Finalmente da due anni in qua un' altra vi si aggiunse, quella della ferrata che mette a Pola toccando Pinguente,, Cosi avevo scritto, per brevità ommisi nella lettura questo passo, come vari altri ancora, alcuni dei quali riporterò in via di annotazione. s) Alquanto diversamente opinava Francesco de Combi in un suo articolo sulle fonti dell'Istria inserito nel N. 23 dell'Osservatore Triestino del 23 luglio 1843. iir venisse a lui data in locazione, e l'offerta era, come asseverano, ad ottimi patti e per non meno di trenta anni: senonchè per cause clie ignoro il progetto rimase un pio desiderio e le fonti si trovarono anche di poi ® per lungo lasso, in uno stato di quasi assoluto abbandono. Quantunque pochi bagnanti vi potessero trovar ricetto nullameno i risultamene da essoloro ottenuti vi accrebbero il concorso, e quindi i proprietari fecero costruire nel 1842 quella casetta sotto alla roccia, che al primo piano comprendeva sei stanzini con due letti per uno ed al pianterra un salotto, la cucina ed una cantinetta. La parete posteriore della casa e dei locali or ora accennati era formata dalla roccia stessa, così pure il suo tetto era in parte sostituito dalla concavità del masso. Quest'umile abituro non era al- certo dei più attraenti per chi soffrisse di reumatiche affezioni, tuttavolta tale e tanto è la potenza delle terme, che i timorosi stessi, ed i più agiati, per queste sfidassero fiduciosi, gli iucomodi di quello. Il ristretto locale dei bagni, accresciuto di due vasche rimase per allora di legno. Nel 1872 questi bagni venivan dati in appalto al sig. Antonio Bertetich di Portole e l'anno seguente divenivau sua proprietà.1) D'allora in poi ugni anno ei vi andò introducendo qualche miglioramento e l'albergo per bagnanti conta in oggi nove stanze al primo piano e tutte da due Ietti, al pian terreno altre quattro, due da due e due da un letto. Tolse egli il grave inconveniente della muraglia naturale sicché tra il masso e gli stauzini havvi adesso stretto corridoio; lo stabilimento dei bagni fu costruito in pietra e le vasche, ora in mattone ed iu cemento, furono portate ad otto. Tre sono le polle di acqua minerale e frammezzo ad esse altra sgorga di buon'acqua potabile. Delle tre minerali una soia viene anche tuttora usufruita per bagni, una seconda scorre negletta sul terreno, l'altra è ricoperta da una lastra di pietra, segno a rintracciarla quando d'uopo se ne avesse. Il diametro2) della polla principale è di sei centimetri circa e la temperatura ne oscilla tra i 29-31° E. ovvero tra i 36-38 C. Questa non sarebbe però, a detta di esperto idraulico, che una vena secondaria nel mentre la principale sarebbe ancora sepolta sotterra un poco più ad oriente delle anzidette e le supererebbe per forza e calore. In seguito all'analisi praticata nel 1822 emise Finallora medico ^circolare" Dr. Petrovich il parere, che le acque di S. Stefano giovar doveano in tutte le affezioni croniche della cute, nelle piaghe inveterate, nelle paralisi, nei tumori scrofolosi, nelle reumatalgie, nelle artritidi e nello scarlievo, malattia questa endemica e frequente a quei tempi oltre i confini dell'Istria nella Liburnia e che sembra abbiasi ad ascrivere tra le più renitenti ed insidiose forme della sifilide generale. Avverandosi sempre più queste previsioni il luogotenente del «Litorale,, barone de Mertens procurò si eseguisse nell'anno 1858 novella analisi da quell' illustre scienziato, che è il viennese Carlo de Hauer. Da questa emerse anzitutto che il livello, ove da masso calcare sgorga la più detta fonte principale, e a 17 metri sopra quello del mare. La temperatura di essa fu riscontrata il giorno dell' analisi, ') Molti dei dati cbe seguono furono tratti da un opuscolo stampato prima, cioè nei N.ri 72-74, nella Triester-Zeitung dell' anno 1859 in forma di appendice, comparso coi tipi del Lloyd e portante il titolo; Die Schwefelquellen unter der Grotte S. Stefano in Istrien. *) Queste circostanze le debbo alle comunicazioni di alcuni bagnanti ed a lettere con cui il sig. Bertetich stesso me lo ebbe a confermare. vale a dire il 25 Giugno, a 29° R. pari a 36» C. essendo quella dell'aria a 19° R. ovvero a 25 centigradi. Il peso specifico ascendeva a P0022. Si apprese poi che su 1000 grammi di quell' acqua ve ne aveva più di tre di sostanze minerali essendovi contenuti: il carbonato calcico ed il sodico; il solfato calcico ; i cloruri calcico, magnesico, sodico e traccie del potassico : lievi quantità di silice e minori ancora di ossido di ferro, traccie di bicarbonato magnesico e di materie organiche L'acqua attinta di fresco è perfettamente limpida e tramanda forte odore di zolfo cagionato dall' idrogeno solforato, che vi si rinvenne in allora in ragione di 0'035 per 1000, Ma iu onta all'eccellenza della sua chimica compo-sizioue, in onta alla quantità in cui quest'acqua perennemente sgorga, sì da riempire in mezz' ora tutte le vasche attualmente esistenti, in onta alla plaga romantica e bella ed alla vegetazione rigogliosa dei dintorni, in onta all'aria salutare e temperata anco nei mesi più caldi, in onta agli ameni passeggi teste aperti nel bosco vicino, e alle belle escursioni nelle borgate più discoste, il concorso vi riesce ancor sempre scarso, e, come il Prof. Benussi attesta, non oltrepassa i 130 bagnanti all'anno1). Ed invero ove prenderebbero stanza gli eccedenti, se sopra luogo non vi ha altro fabbricato che il suddescritto ed a qualcho distanza un molino, eventualmente albergo a qualche più che modesto bagnante! Montona e Pinguente ne distano un'ora, la prima anzi di più, raro e quindi che qualcuno colà cerchi dimora e si sobbarchi alla noja ed al dispendio di quotidiani tragitti. Fabbricare adunque si dovrebbe prima di tutto adatto stabilimento per bagno e per alloggio e locali di riunione, chè in allora anche la lontananza dall' abitato sparirebbe, venendo con numeroso concorso popolato il bagno medesimo. Nel 1858 il prefato barone de Mertens aveva concepito il disegno d'innalzarvi un stabi-mento pei militari, l'idea trapassò; voglia Dio che al presente proprietario, o ad altri con lui, sia dato mandar i ad effetto e presto quei maggiori progetti, che egli, intraprendente com'è, da tempo vagheggia e che tornerebbero proficui non ad una, ma a tutte le classi d' infermi2)! E con questo voto lasciamo la termale di San Stefano e passiamo a discorere di Monfalcone per poi tornare a dire dell'eficacia di entrambi. (Pubblicheremo nel prossimo numero VanaU'si delle fonti d'Isola, che dobbiamo omettere oggi per mancanza di spazio). *) I dati seguenti si trovano chiaramente esposti nell'opuscolo p. s. c. 8) „B«n meriterebbero queste terme di travare un Dondi Dall'Orologio e nuovi fratelli Trieste, chè un ospitale per infermi indigenti, ed un conveniente stabilimento balneario non sarebbero al certo qui meno a proposito di quelli, che per opera di quei savi, e veramente umani benefattori, ebbero ad ottenere le termali di Abano." (primo ms.) N OTIZIE Il nostro egregio comprovinciale Carlo Combi venne eletto consigliere comunale di Venezia. L'Italia ha perduto uno dei migliori suoi figli: Aleardo Aleardi — patriotta ardente — gentile poeta — come percosso dalla folgore moriva improvvisamente a Verona sua patria il giorno 17 Luglio. / Appunti Bibliografici Di una nuova interpretazione dello Zumbini alla canzone Vi (Italia mia del Tetrarca *) La grande stima verso il chiarissimo Zumbini non c'impedisce di manifestare modestamente un'opinione contraria alla sua. Trattasi del terzo studio — L'Impero, nel già annunziato libro sul Petrarca. In questo, con molta dottrina e con copia di argomenti si vuol dimostrare qual concetto avesse il Petrarca del Sacro Romano Impero; e, a far comprendere come il poeta durasse nella fede ghibellina, si confuta l'opinione di tutti gì' interpreti, i quali, nei noti versi della canzone quarta (Italia mia): "Non fare idolo uu nome Vano, senza soggetto,, ravvisarono un' allusione all' impero decaduto, ed un eccitamento a ribellarsi all' idea ghibellina, ed affrancare l'Italia dalla dominazione straniera. Il critico però da par suo non si arresta ad un parziale esame della frase controversa, ma ci da una chiara e piena esposizione del componimento poetico con tanta dottrina e copia di ragioni come non ci fu dato forse di leggere finora. Per procedere adunque con ordine, diciamo prima della intepretazione dello Zumbini, per passare in secondo luogo a rettificare alcune idee sul ghibellinismo del Petrarca, e vedere sotto altro aspetto la celebre canzone. Gli è un fatto universalmente riconosciuto che •questa bellissima tra le belle canzoni del Petrarca, ed uno de' più degni canti nazionali cbe vanti la nostra letteratura, fu scritta per eccitare i signori italiani a cacciare i soldati mercenari stranieri, uniti nelle famose compagnie di ventura! Questa è la causa prossima, occasionale, lo si noti bene. Che un' altra più remota, più elevata e radicale ci fosse, o meno, negl' intendimenti del Petrarca vedremo a suo luogo. Lo Zumbini si arresta a spiegare la canzone sotto il primo aspetto. "Il poeta (così scrive il critico calabrese) è colpito da uno spettacolo, più che qualsiasi altro doloroso, le guerre civili onde ardeva tutta Italia, e le compagnie mercenarie, colle quali i signori italiani stessi conducevano queste guerre fratricide.,, — Il triste spettacolo è presente in tutto il componimento alla fantasia del poeta civile. Che fan qui tante peregrine spade? iutendi le spade dei mercenari: inutile cercare fede in core venale. E uno strano diluvio che noi stessi abbiamo invocato sui nostri campi; inutile perciò lo schermo dell' Alpi. E non v' accorgete aucora, grida il poeta nell'impeto dello sdegno, Del bavarico inganno Che alzando il dito con la morte scherza? Sono bavaresi, per lo più i soldati mercenari, calati forse con Lodovico il Bavaro; e non combattono già come un popolo libero prò aris et focis; ma fingono combattere, e sul più bello della pugna sì arrendono. E qui a commento del passo oscuro, per cui tanti commentatori diedero in ciampanelle, ecco un passo del Marsili, già riportato dal Carducci: passo che tronca su questi due versi ogni questione, e che vuol essere additato ai signori professori ed espositori. — "Li soldati si fanno venire a fine che combattendo finischino le guerre, e ciò nou fanno chè quando combattono alzando (1) Vedi Numero antecedente. il dito e dicendo jo jo (1) l'uno s'arrende all'altro per niente senza colpo aspettare, perchè non tocca a loro che si vinca o si perda, chè lor vita o libertà, o signoria non va a rischio; e perciò solo intendono a rubare e essere pagati.. Ecco che cosa significhino i due versi: Non fare idolo un nome Vano senza soggetto, in cui tutti gl'interpreti riconobbero finora uno sfregio all' impero, mentre e evidente, non accennarsi qui che ai soldati mercenari. — "Ecco anche chiarito (conchiude così l'autore citando un brano latino del Petrarca) quello che dovea essere il carattere più spiccato dei mercenari: il loro valore finto, il loro scherzare con la morte ; ecco chiarito che cosa fosse quel nome vano senza soggetto : il nome di bellicosi, usurpato da questi barbari che in fondo erano pieni di viltà: nome vano, perchè, come dichiara il Marsili quasi con le stesse parole, non c'è dentro nulla. Hanno cavalli hanno armi non in difesa della patria, ed acquisto di gloria; ma per estorcer guadagni, per vana pompa e per diletto.„ Insomma si leggano questi ed altri argomenti ancora dello Zumbini ; e il lettore sorpreso dall' erudizione e dalla copia delle ragioni rimarrà forse convinto che al Petrarca non passò punto per la mente d'inveire contro il Sacro Romano Impero, e che nella famosa canzone, per la quale tanto inchiostro fu sprecato e si fece a tempi vicini tanta retorica, il patriotta italiano non se la pigliò nè con Imperatori, ne con oltramontani; ma solo coi soldati mercenari delle compagnie di ventura, che avrebbero dovuto ripassare le Alpi, e ritornare alle case loro. Confesso anch'io impressionabile qual sono, di aver dato per un momento causa vinta al chiarissimo autore; se non che messomi a rileggere la canzone: fin dai primi tocchi, da quel tuono solenne e degno di poeta civile, dalla calorosa apostrofe, sentii via via rinascere l'antica fede nel petto (dico fede, perchè a eletto sentire, a forti propositi mi educarono nella vita nuova quei versi) finché, arrivato al passo : Virtù contro furore Prenderà l'arme, e fia il combatter corto Chè l'antico valore Nell'Italici cor non è ancor morto; chiusi il libro, e: Per Apollo, esclamai ; tanto entusiasmo sarebbe adunque sprecato per cacciare quattro cialtroni dall'Italia? E per questo il Petrarca l'avrebbe presa tanto calda; e avrebbe invocato l'antico valore non ancor morto ne' cuori italici? Uso di argomento seguito dall' autore stesso, (pag. 218) e contro di lui lo ritorco. L'è chiara come il sole cbe se si avesse trattato solo di mercenari nou sarebbe stato necessario combattere. Bastava sciogliere le compagnie e negare le paghe. Mi si risponderà cbe erano potenti, cbe avrebbero voluto rimanere egualmente sul suolo italiano, dandosi a ladronecci ed al brigantaggio. Che fossero potenti, e in quel secolo, senza l'appoggio dei grandi italiani, non pare: per cacciare poi ladroni e briganti non occorreva invocare la virtù latina: bastavano i Guten Tag e le forche dei contadini. Giova adunque passare alla seconda parte del nostro assunto, e fermai l'attenzione del lettore al seguente fatto. Le lotte intestine e la chiamata dell'armi mercenarie è si la causa occasionale che eccitò il poeta (1) Noti il lettore queljojoe quell'alzar il dito, accompagnato probabilmente da nn altro moto molto caratteristico. a scrivere questa sublime canzone; ma da un fatto particolare risalendo al generale ed alla causa prima, come è proprio del poeta che intende lo sguardo; il Petrarca spiccò il volo sotto ampia distesa di cielo, e nella patriottica canzone avvertì alla causa prima di tutti i guai d'Italia e dello sbaldeggiare dell' armi straniere : cioè alla straniera dominazione, all' imperio ; non come istituzione, si noti bene, ma quale imperio passato in mani straniere. Certo il Petrarca non disprezzava l'impero Romano come instituzione: in ciò il suo affetto, la sua riverenza andavano di un passo con la riverenza e con l'affetto di Dante. Troppo erano ancor vive le memorie gloriose della supremazia del mondo latino; troppo poco sviluppate e civili le nuove nazioni, da pretendere che l'italiano così di leggeri dimenticase le glorie passate e l' antico dominio. Ma pure tra il Ghibellinismo di Dante e quello del Petrarca c'è una differenza; come del resto ha osservato benissimo lo Zumbini stesso nel suo secondo erudito studio sull'Africa, dove molte ottime ragioni appajono quasi in contraddizione con altre ragioni e passi di questo terzo studio. Più che la grandezza dell'Imperatore, al Petrarca, uomo nuovo, pratico, non mistico stava a cuore la grandezza e la supremazia di Roma ; pronto perciò ad accettare con Cola anche l'antica repubblica, che, non meno dell' Imperio, ebbe esteso dominio sui popoli. Su che cosa fondavano gli oltremoutaui le loro pretese, e perchè sbaldeg-giavano in Italia? Certamente, perchè l'imperatore era uno dei loro, perchè gl' imperatori nelle frequenti loro calate per dirla con una frase viva, allumaccavano il paese lasciandosi addietro i mercenari a rubacchiare e a vender l'alma a prezzo. Dunque il Petrarca non se la piglia con un Impero Romano ma con 1' Imperator Don Romano. Possibile che gl'Italiani avessero il cervello tanto annebbiato dai fumi della passata grandezza da non intendere, e non rammentare più la famosa lavata di capo del Babarossa, che ai Romani, venutigli incontro con molta sicumera, troncò le parole in bocca, e tagliando corto mostrò che l'Impero dai Franchi era passato nei Tedeschi ? E lo avessero anche dimenticato, troppo era fresca la memoria del Bavaro che nella dieta diMagonzadel Luglio 1338 avea fatto deliberare agli elettori dell'impero, che il re, eletto in Germania era di pieno diritto imperatore senza l'incoronazione romana. I disinganni doveano poi essere più forti nel Petrarca dopo tante inutili e ridicole calate, perduta o-gni speranza d'imperatori che imitassero casa Sveva. Il Petrarca apparisce perciò in questa canzone, ed in altri suoi scritti più regionale che i suoi antecessori, più italiano. Quindi il rivolgersi non allo straniero ma ai grandi d'Italia, e invocare la carità loro per ridar pace alla nazione. Adunque le ragioni addotte dallo Zumbini per dimostrare che il nome vano senea soggetto non può essere l'impero, sono ottime, eccellenti, perchè dimostrano con documenti irrefragabili che il Petrarca avea un altissimo concetto dell'imperio. Sì, è proprio vero ; l'istituzione non poteva essere pel cantor dell 'Africa un nome vano senza soggetto. Sia era ben un nome vano senza soggetto un imperatore straniero, probabilmente Lodovico il Bavaro, specie dopo la dichiarazione di Magonza; o, come altri vuole, Carlo IV. Ne giovi l'opporre che il Petrarca sarebbe così in contraddizione contro sè stesso avendo più volte, e specialmente a Carlo IV mandatosuppliche, esortatorie e citatorie perchè scendesse giù dai monti a prendere la corona imperiale; precisamente come fece, Dante con Rodolfo e con Alberto d'Ausburgo ; perchè egli è facile rispondere che dal detto al fatto c' è un bel tratto ; e che troppo di sovente agi' impeti lirici, ai voti generosi succedono le prose e le tristi realtà della vita. Il poeta ancor in buona età (non pare si possa accettare ad occhi chiusi la contraria sentenza dell'illustre D'Aucona) avrà alzato la speranza; più tardi cadutogli 1' animo per tanti disinganni, divenuto uomo di corte, esperto degli uomini e dei vizi loro, e datosi tutto al viver cortigiano, potè anche scrivere ad imperatori prima dispregiati. Certo tra il cantore di Laura e di Cola, e l'ambasciatore un po' vanarello e pedante di principi e di repubbliche; tra i liberi voli del canzoniere e la rettorica delle crie agli imperatori ci scorre il Niagara. Poi, causa le sventure d'Italia (e ciò forma pur troppo il fondo del nostro carattere) sempre mantenendo fede ai principii nell'intimo del cuore, troppo abbiamo mostrato a' passati tempi di sapersi piegare alle circostanze, e di attenerci al positivo, al reale, come a un male minore, e quale un mezzo per raggiungere quando che sia l'ideale. Perciò a torto, da quegli stessi, che e de' nostri mali furono cagione avemmo voce di gente mutabile e vana, di gente che non sa che pesce pigliare, ed or accenna in coppe ora in bastoni; mentre non avevamo che il difetto di tutti gli sventurati, i quali, portati via dalla piena, si attaccano, come dice il proverbio, ad ogni spino. Così si spiega, il passaggio in Dante da parte bianca a parte ghibellina; perciò il suo veltro, il suo Dux possono essere benissimo secondo le circostanze, ora Cane, ora Ugoccione, ed ora un Papa perfino. Perciò più tardi, e con altri intendimenti più ristretti ma più nazionali, il Machiavelli, creato il modello del Principe, quale, pur troppo lo volevano i tempi, avendo cercato di realizzarlo or con forme repubblicane, or con assolute, potè per un momento sperare di averlo trovato prima in un Borgia, poi in un Medici. Così Dio vegli affinchè la smania dell'ideale, e il furore rettorico delle strade diritte non ci faccia mai dare la testa iu qualche cattivo muro ! Conclusione. Quali furono adunque gl'intendimenti del Petrarca nella celebre canzone ? Due a mio avviso uno prossimo, immediato, chiaro : cacciare dall' Italia i soldati di ventura. Così vogliono essere intesi i passi più difficili e che un' ermeneutica più d' occasione che razionale, più brillante che vera accolse in senso accomodato quale un mezzo di educazione nazionale : teli sono specialmente le strofe 2,3, e 4. Ma all'attentolettore non isfuggirà, come trattando di argomento occasionale, il Petrarca poeta miri più in su ad*un alta meta degna di lui e de'suoi lettori. Ci sono delle verità che nell'impeto lirico brillano per un momento al poeta; perciò il suo canto è spesso un vaticinio; nè i suoi detti vogliono essere misurati alla stregua comune,, nè confusi con altri detti o con altri discorsi che a lui come uomo riposato e tranquillo possono in altye circostanze essere sfuggiti di bocca. Sono lampi di luce che abbagliano il lettore :. 1'analisi moderna, circospetta, paziente giudiziosa china sui. libri non gli avverte forse neppure. Ma il lettore artista, o il lettore a caso vergine, senza tante disquisizioni sente, vede, indovina. E questo secondo intendimento del Petrarca, questo sottinteso, questo senso secondo, che non dovea recar poi tanta maraviglia in un secolo ancor pieno delle allegorie dantesche, e del duplice, anzi .triplice senso dei libri sacri, apparre dall'intonazione generale, dall' apostrofe della prima strofa dall'accenno alle Alpi e alla rabbia oltremontana e specialmente dalla strafa quinta che è tutta uno squillo al risveglio nazionale.(*) In ogni modo non fu vano, ma utilissimo studio questo del nostro Zumbini; perchè prima d'intendere il senso recondito ed i secondi fini, è pur necessario conoscere, per non pigliare lucciole per lanterne, il senso ovvio e letterale; e contenere nei debiti limiti la fantasia, per non far dire ai poeti quello che non è mai caduto nella loro mente. Se anche, l'eccesso di dimostrazione unilaterale ha fatto allo Zumbini trascurare la seconda parte, quale per noi s'intende, altri suoi studi ci sono caparra che in lui artista arde pure la fiamma divina del bello. Cessi uua buona volta l'antagonismo tra il bello ed il vero, tra la scienza e l'inspirazione. E l'illustre autore è uomo, qualor voglia, da sfuggire i due estremi ; affinchè ingegno e dottrina, inspirazione ed arte congiurino amiche all'incremento della moderna critica italiana. P. T. (*) Non pare adunque contrario al vero il giudizio del nostro bravo Hortis citato e confutato dall'autore a pag. 198. L'Hortis poi parlò dei Visconti in generale, e non di un Arcivescovo già morto. _ nuova pubblicazione Coll'annunzio della pubblicazione della nuova opera dell'illustre Prof. Taramelli intorno alla nostra provincia, riportiamo per intiero la circolare con cui l'editore Vallardi si rivolge per l'associazione agli studiosi. Il comitato della nostra società agraria nella seduta del 16 Luglio dell'anno decorso, aveva dato l'incarico alla Direzione di adoperarsi presso i soci per 1' acquisto dell'importante lavoro illustrativo della provincia. Non dubitiamo che la onorevole direzione sappia fare il debito suo. Da parte nostra raccomandiamo vivamente 1' acquisto dell' opera che viene offerta per un prezzo meschinissimo di confronto al suo grande valore scientifico ed alla perfezione della stampa, specialmente della carta geologica della provincia che abbiamo avuto l'occasione di ammirare. È un libro che non deve mancar in nessuna casa, delle famiglie istriane che sentono l'obbligo di conoscere il proprio paese. TORQUATO TARAMELLI Prof, di Geologia e Mineralogia nella lì. Università di Pavia DESCRIZIONE GEOGNOSTIOA DEL MARGRAVIATO D'ISTRIA Lo studio di quel lembo della catena alpina che si spinge nell' Adriatico fra Trieste e Fiume, nonché delle Isole del Quantero, che ne formano la continuazione, presenta anche sotto 1' aspetto geologico una rilevante importanza; sia per la natura dell« formazioni, che vi si sviluppano e più ancora per le peculiari condizioni di questi terreni, quali vengono poste in luce dall' esame orografico-geologico della regione, sia per i confrónti colla finitima regione caruica e colla opposta sponda Adriatica. —» Epperò l'Istria e le sue isole vennero esplorate da parecchi naturalisti italiani e stranieri e taluni dei suoi piani geologici, per l'importanza dei loro caratteri su quest' area sviluppati, vennero designati con nomi istriani; mentre altri piani, per insolita abbondanza di fossili, poterono porsi in chiarissimi rapporti cronologici coi terreni isocroni del Friuli e del Veneto. — Di tal guisa venne a sentirsi sempre più vivamente il fatto, da parecchi rilevato, dell' essere l'Istria, tra le regioni prealpine, certamente quella, che più stretti mostra i rapporti tra le sue condizioni economiche ed agrarie e la conformazione e la natura del suolo ; le quali ultime, al pari delle prime, variano coi più subitanei contrasti entro i più ristretti limiti di spazio; sieehè la Carta geologica di questo amenissimo paese prontamente si traduce in uua carta agraria e statistica e la conoscenza del suolo è la base più naturale e quindi più indispen-subile per la conoscenza delle condizioui dei suoi abitanti. Il prof. Taramelli, dopo aver percorse a più riprese le regioni onde adempiere all' incarico di stenderne una Carta geognostica, del quale incarico fu onorato dalla locaie Società Agraria, trovò opportuno raccogliere le osservazioni altrui e le proprie in un volume, che le portasse a facile conoscenza degli Istriani non solo ma eziandio degli Italiani che si interessano delle condizioni di quel paese e dei geologi specialmente che si occupano della stratigrafia alpina ed appeuinica, nel quale studio quella regione assume uua grandissima importanza. Il volume sarà di circa 250 pagine e sarà accompagnato da una Carta geologica in cromo-litografia, molto dettagliata nella scala di 1.141000, con un panorama e con parecchi spaccati geologici. Compresa, come non è a dubitare, l'utilità dello studio geologico dell' Istria ed isole adjacenti, sarà certamente accolta con plauso l'Opera che si annuncia in corso di stampa ; ma dipendendo la riuscita di qualsiasi impresa dall' appoggio che vien dato dalle più colte persone, essa troverà, non ne dubito, nella S. V., più che un fautore, un patrono, qualora Ella si compiaccia di apporre la firma alla annessa scheda d' associazione, e di dare al presente manifesto la maggior diffusione e convalidarlo da raccomandazioni. La detta Carta geologica avrà le dimensioni di Cent. 65 per 60 e si darà piegata in apposita busta. Il prezzo dell' opera completa sarà di L. 5. L'opera verrà pubblicata nel formato di 16.°, qual' è il presente, entro il prossimo mese di Aprile. *) Milano, 25 Marzo 1878. Dott. FRANCESCO VALLARDI. *) L'opera venne già pubblicata e si può commettere presso i principali librai in Trieste o direttamente coll'aggiunta del rispettivo prezzo di L. 5, presso la casa editrice in Milano. Ricevuto il prezzo d'abbonamento dai signori: Antonio Vatok» — Dignano — a. c.; — I. E. Spedizione delle Gazzette — Trieste — II quadr. c.; — Emanuele Pacovich parroco - - Caroiba — saldo fèbbrajo p.p.; — Clemente Dnsman ufficiale bersaglieri Livorno — a. c.; — Paolo Sbisà — Gorizia nsAA/yiaa «nàilsl li «dj a-noaao'I Ì7l>m J^H