received: 2010-07-12 UDC 343.143:316.613.434(450)"15/18" original scientific article IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE NELLE PRATICHE D'ETÁ MODERNA Marco Nicola MILETTI Universitá degli Studi di Foggia, Facoltá di Giurisprudenza, Dipartimento delle Scienze Giuridiche Privatistiche, Largo Papa Giovanni Paolo II, n. 1, 71100 Foggia, Italia e-mail: mmiletti@inwind.it SINTESI Le pratiche criminali italiane pubblicate in eta moderna riflettono una societa percorsa da profonde tensioni tra individui, famiglie, gruppi. Il concetto di inimicitia, che trova ampio spazio in questo genere di letteratura, riassume i numerosi risvolti giuridici della conñittualita interpersonale. Uno dei piu rilevanti, in sede giudiziaria, consiste nel divieto di testimoniare opposto al nemico capitale: divieto che opera mediante il meccanismo processuale della repulsa. Gli autori delle pratiche s'impegnano a catalogare le pressoché infinite causae dell'inimicizia, a gra-duarne l'intensita e a disciplinare la repulsa, ma la varieta delle ipotesi li costringe, in sostanza, a rimettere all'arbitrio delgiudice le scelte decisive. Neppure l'ottimismo antropologico settecentesco sradica del tutto dalla giurisprudenza la persuasione che, specie nei processi piu delicati e in primo luogo in quelli inquisitoriali, il testimone debba risultare esente da ogni sospetto di affectio verso l'imputato. Parole chiave: testimonianza, inimicizia, nemico capitale, repulsa, crimini eccettuati THE CAPITAL ENEMY. REJECTION OF THE WITNESS IN MODERN AGE TRIAL DOCUMENTS ABSTRACT Italian Modern Age trial documents reveal a society permeated by deep tensions among individuals, families, and groups. Of high occurrence in this genre, the concept of inimicity covers a variety of judicial backgrounds of interpersonal conflictuality. One of the most significant ones is the prohibition of the testimony of the greatest enemy of the accused or, in other words, the judicial mechanism of rejection. The authors of these documents neatly took notes on the infinity of causae of inimicity, ranked their intensity, and regulated the rejection. Nevertheless, the 105 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 great variety of hypotheses forced them to leave the final decisions in the hands of judges. Not even 18h century anthropological optimism managed to entirely eradicate the belief that in most delicate and inquisitional trials, in particular, the witness had to be free of any suspicion of affectio towards the accused. Key words: testimony, inimicity, capital enemy, rejection, exempted crime EFFETTI DELL'INIMICIZIA Inimicitia è lemma ricorrente nella letteratura giurisprudenziale d'età moderna. Per i giuristi del primo Cinquecento, l'esser 'nemico' di qualcuno determinava molteplici effetti civili e penali (Marsili, 1542, § Praeterea, nn. 58-67, XXXIVv-XXXVr). Nell'ottica processuale l'inimicizia innescava almeno cinque conseguenze. Anzitutto, fungeva da indizio ad inquirendum (Bianchi, 1546, n. 175, 68): giu-stificava, cioè, l'avvio dell'indagine. In secondo luogo, autorizzava a torturare il notorio avversario della vittima: la dottrina cinque-seicentesca, con sporadiche eccezioni (ad es. de Rosa, 1747, cap. VIII, n. 24, 58), corresse la severità dello Speculum, che aveva prospettato tale trattamento per chi avesse il solo torto d'un conto in sospeso con la parte offesa; e pretese che la tortura fosse riservata a quei 'nemici' a cui carico gravassero anche ulteriori indizi (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 57, XXXIVv; Marsili, 1583, § Diligenter, n. 70, 73 v; Bossi, 1584, tit. de Indicijs, n. 47, 96v-97r; Menochio, 1615, I, praesumpt. LXXXIX, n. 51, 83). Peró Giulio Claro, senatore di Milano ed indiscussa autorità nella criminalistica europea del secolo XVI, raccontava d'aver visto talvolta torturare taluni suspectos propter solam inimicitiam, purché il reato fosse conclamato e non vi fossero altri indagati (Claro, 1739, § Finalis, quaest. XXI, n. 30, 235; scettico Scialoya, 1741, cap. IV, n. 38, 57). In terzo luogo, l'inimicizia fondava l'istanza di ricusazione del giudice (Menochio, 1615, I, praesumpt. LXXXIX, n. 54, 83-84), seppur sulla base di parametri meno stringenti di quelli richiesti per sbarazzarsi del teste perché - si osservava - è piú facile trovare cento giudici che un testimone (Petra, 1664, II, rit. CCXLIX, n. 6, 519). In quarto luogo, l'ostilità impediva di svolgere il ruolo di accusatore (cosí, in base alla decretale Repellantur [X. 5.1.7], Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, nn. 1-3, 172-173; per il dibattito relativo ai processi di lesa maestà Giganti, 1557, II, Qui accusare possint, quaest. VI, nn. 1-2 e 9, 183-185). Infine, legittimava la repulsa del testimone. 106 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Le pagine che seguono si occuperanno di quest'ultimo campo d'indagine, ossia del testimone inimicus, entro un arco cronologico ampio (dal Cinque al Settecento) ma coeso, anche se non privo di significative scansioni interne. La fonte privilegiata sarà quella delle pratiche giudiziarie italiane a stampa. Le pratiche, eterogenee per impostazione, qualità, ambizioni, ma correlate entro una fitta trama di citazioni e di rimandi incrociati, rappresentavano di per sé una testimonianza, specchi - come le si intitolava sino all'alba dell'età moderna - piú o meno fedeli degli styli giurisprudenziali. Nel contempo esse esprimevano la pretesa degli autori di incidere sulla prassi delle corti giudiziarie e di fornire plausibili linee-guida agli operatori del foro: con esiti non sempre chiarificatori, se è vero che uno dei 'pratici' piú celebrati (Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 2-3, 2) rimproverô alla dottrina d'aver obscurata l'intera materia testimoniale. Attraverso una lettura 'a campione' di questi volumi si tenterà da un lato di ricostruire la concettualizzazione dell'inimicitia del testimone, dall'altro di coglierne l'impatto processuale, vale a dire la repulsa: due profili, statico e dinamico, che le pratiche - genere asistematico per eccellenza - non sempre tenevano distinti. "NEL PENDÍO DELLA PASSIONE" Da una combinata lettura del diritto divino (l'ammonizione di Salomone a non credere in aeternum all'antico nemico: Eccles. 12:10-11), canonico (la decretale in-nocenziana Cum oporteat X. 5.1.19), giustinianeo (l'invito di Callistrato a valutare la fides del teste tenendo conto anche dei rapporti di inimicizia e ad ammetterlo in giudizio solo se questa manchi: D. 22.5.3.pr.; l'inaffidabilità, segnalata dal fram-mento ulpianèo Praeterea, delle dichiarazioni rese sotto tortura da nemici, che facile mentiuntur: D. 48.18.1.24) le pratiche moderne deducono che l'inimicizia vanifica la credibilità del testimone (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 1, XXXv, cfr. Mausen, 2006, 570). Il teste - spiega il salentino Tommaso Briganti nella celebrata Pratica criminale settecentesca - dovrebbe "esser ne' sentimenti di una indifferenza cosí grande, per rapporto alle due parti contendenti, che non vi sia luogo veruno di temere, ch'egli sia per sagrificare la sua coscienza ad un desiderio di vendetta". E invece proprio l'equidistanza difetta all'inimico, il quale, "in guerra aperta coll'accusato" e "nel pendio della sua passione", diviene "indegno di ogni fede". Per rafforzare l'assunto, Briganti si appella alla voce Leone X del Dictionnaire historique et critique: in essa Pierre Bayle rilevava come un'imbarazzante affermazione attribuita al pontefice ["da secoli è risaputo quanto abbia giovato a noi e ai nostri la favola di Cristo"] fosse stata tramandata da un unico témoin, John Bale, antipapista inglese, dunque palesemente récusable perché in contrasto con la Chiesa di Roma (Briganti, 1755, tit. XII, nn. 1314, 188; Bayle, 1820, 144 e 151 nt. I). 107 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Le pratiche non restaño insensibili al richiamo ancestrale della vendetta. Nessuno - riflette a metà Seicento un altro giurista meridionale, Carlo Petra - resiste alla tentazione di difendersi e vendicarsi: un solo pennello imbianca due pareti, una sola freccia trafigge due volatili, un'unica mossa devia da sé il pericolo e lo storna verso il nemico (Petra, 1693, IV, rit. 301, nn. 84-85, 608-609). Il marchigiano Concioli, quasi in epigrafe alla trattazione sul punto, incalza: lex de inimico omnia mala prae-sumit [...] et semper censetur velle damnificare suum adversarium (Concioli, 1684, vb. Testis quoad personas, res. I, n. 1, 415). LE CAUSE DELL'INIMICIZIA L'inimicizia processualmente rilevante - sintetizza il patavino Marcantonio Bian-chi - discende ex triplici causa: ex iniuria, ex lite, ex opinione (Bianchi, 1546, n. 91, 39). Le pratiche, pero, non si accontentano di questa stringata tripartizione: e, sfo-derando il rodato registro casistico, si cimentano nell'impresa di stilare elenchi, tanto minuziosi quanto ripetitivi, di potenziali situazioni di attrito interpersonale che giu-stificano, tra gli altri effetti, la repulsa del testimone. Ex lite In cima alla lista figurano - come aveva insegnato la trattatistica quattrocentesca (Nello da S. Gimignano, 1574, pt. I, n. 3, 122; Maletta, 1574, cap. II, nn. 4-5, 370) -i dissidi maturati nelle aule di tribunale (Inimici dicuntur illi qui simul litigant, avverte Marsili, 1542, § Praeterea, n. 49, XXXIIIr): si sospetta che un processo penale, una controversia civile d'ingente valore, una causa matrimoniale, di monacatio o di filiatio, una quaestio status o un'azione famosa (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 54, XXXIIIV; Bianchi, 1546, nn. 119-130, 45-51; Giganti, 1557, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, n. 14, 218; Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, nn. 46-50, 177; Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 1-9, 16, 21-27, 334-335) o di spoglio (Mascardi, 1661, concl. 900, n. 7, 676) lascino sui protagonisti ferite difficilmente cicatrizzabili. Gli autori di pratiche suppongono che i conflitti esplosi in giudizio esasperino a tal punto gli animi dei litiganti da sopravvivere alla conclusione della lite (il tema è dibattuto: Bianchi, 1546, nn. 133-137, 52-54; Menochio, 1615, l. V, praesumpt. XLIII, nn. 7-9, 1012) o da condizionare addirittura chi ne fosse ignaro al momento della deposizione (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 2, XXXV; Crotti, 1574, pt. III, n. 98, 596; in parziale dissenso Baiardi, 1739, quaest. XXIV, n. 42, 260). Il marchio dell'ostilità resta impresso anche su interlocutori già incrociati nel corso di precedenti processi: si ritiene che l'imputato nutra capitale inimicizia verso il giudice che lo condannô o lo perseguí ex officio (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 62-71, 338; Bianchi, 1546, nn. 139-151, 55-60), pur presumendosi che 108 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 quest'ultimo non agisca mai odio privato (Farinaccl, 1634, tit. V, quaest. XLIX, n. 72, 338) ed anzi firmi talora in lacrime le condanne a morte (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 61, 179); verso chi lo accusó de crimini capitali (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 54, XXXIVr); verso l'avvocato o procuratore della contraparte (ma solo, come annota Farinacci sulla base dell'esperienza personale, laddove, come a Roma, non si trovino agevolmente difensori disposti a patrocinare a favore dell'of-feso) o verso un vecchio teste a carico (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 7377, 338-339; distinguono la testimonianza spontanea da quella coatta Maletta, 1574, cap. II, n. 16, 371 e, con riguardo ai processi di eresia, Cantera, 1589, cap. IV, n. 54, 319; Carena, 1669, pt. III, tit. V, § 1, n. 11, 267). Per contro, si considera vietata la repulsa per inimicizia del teste di cui ci si sia avvalsi in un precedente processo (Grammatico, 1551, dec. XXXIV, nn. 48-49, 42r). Questo primo gruppo di causae inimicitiae, il cui denominatore comune consiste nella matrice giudiziaria, rivela come il processo fosse percepito quale catalizzatore di tensioni sociali, con strascichi lunghi e incontrollabili. Preoccupazioni che trovano riscontro nella piú qualificata giurisprudenza a stampa del primo Cinquecento. Nel 1512 l'uditore del principe di Melfi, previo parere di Roberto Maranta, assolse il greco Guglielmo Vognica da imputazioni che gli sarebbero costate il patibolo. A discolpa dell'inquisito giocó, tra l'altro, l'inaffidabilità dei testimoni che, avendolo in passato catturato e consegnato alla curia di Lavello, ne erano divenuti capitales ini-mici, giacché puó render tali - come ammonivano i canonisti - anche un'offesa 'giu-sta' (Maranta, 1591, cons. XVIII, n. 4, 39r). Alla medesima diagnosi di inattendibilità d'un testimone, qualificabile come nemico perché, anni prima, era stato denunciato e fatto arrestare dall'imputato per svariate violenze private, perviene un consilium reso dal Grammatico in un processo per veneficio (Grammatico, 1550, cons. XXXVIII, n. 11, 107 v). Siffatti criteri probatori si traducevano, ovviamente, in un privilegio per i magistrati che nell'adempiere al proprio officio assumevano decisioni piú o meno fondate in iure ma obiettivamente lesive dell'altrui libertà o reputazione. Un altro consilium di Grammatico esclude recisamente che nel processo per falso nummario istruito contro Tristano, stimabile castellano della fortezza di Sant'Andrea a Brindisi, possano testimoniare due individui che lo stesso officiale aveva, in passato, incar-cerato e torturato con l'accusa di tentato tradimento: le fonti vagliate autorizzano una presunzione d'inimicizia capitale tra i soggetti coinvolti (Grammatico, 1550, cons. XLVI, pr. e nn. 1-12, 135r-136r). Ex iniuria La seconda tipologia di causae inimicitiae rispecchia una comunità lacerata da violenze individuali e faide familiari (Bellabarba, 2008, 104). Ad avviso degli scrit- 109 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 ton di pratiche, procurano ostilità capitale la detenzione 'privata', soprattutto se cruenta (a meno che il 'carceriere' non esercitasse un diritto: Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, n. 28, 336; Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 40, 176; per un es. in una causa di simulazione Mantica, 1618, dec. CCXI, n. 10, 276); la ritenzione di donna altrui (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 54, XXXIII v, che associa l'impadronirsi della uxor e della terra di altri; Mascardi, 1661, concl. 900, n. 21, 677 per l'esten-sione alla parentela femminile); l'ingiuria o la minaccia (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 54, XXXIII v Giganti, 1557, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, nn. 7-8, 217218; Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, nn. 37-39, 176; ma nelle viles personae si pre-sumeva un tasso di tolleranza piú elevato: Mascardi, 1661, concl. 900, n. 25, 678) e la lesione (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 55, XXXIIIv), anche se indirizzate ad un congiunto (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 54, XXXIIIv; Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 31-37, 336). Il coinvolgimento del nucleo familiare rappresenta uno snodo delicato. L'ostilità, spiega Briganti confortato dalla dottrina consolidata (Campeggi, 1568, reg. CCCCIX, 152r; Maradei, 1730, I, cap. XX, nn. 19-21, 49-52) e dalle prammatiche del Regno di Napoli, si propaga all'"intiera famiglia del testimone" e giustifica la repulsa sino al quarto guardo dei consanguinei e al terzo dei parenti: dovrebbe peró arrestarsi -ironizza il giurista - dinanzi ad ascendenti e discendenti, perché altrimenti, "se Adamo vivesse, non ritroverebbe con chi ammogliarsi" (Briganti, 1755, tit. XII, n. 22, 189). La giurisprudenza cinquecentesca non ignora quanto il vincolo di sangue possa inficiare la testimonianza. Un consilium padovano (dunque risalente al periodo compreso tra il 1520 e il '31: Del Re, 1970, 469-471) del futuro cardinale Pietro Paolo Parisio si schiera per la nullità delle nozze riparatrici precipitosamente contratte sotto la minaccia dei fratelli della donna: il giurista sostiene che i testimoni di quel matrimonio clandestino non appaiono affatto omni exceptione maiores giacché il loro livore li ha resi nemici capitali dello sposo. Sulla scorta di un parere del milanese Decio, che aveva anteposto l'esigenza di accertare la verità a quella di coprire eventuali scandali, Parisio respinge altresí l'obiezione secondo cui le nozze dovrebbero restare valide per tacitare lo scalpore d'una gravidanza extraconiugale (Parisio, 1580, cons. LIII, nn. 1-15, 32-34, 43-46, 70, 65 v-67r; Decio, 1565, cons. CXXXIII, n. 6, 142r). Quello familiare non è l'unico circuito di 'trasmissione' delle inimicizie. Alimen-tano odio le diatribe religiose, come quella - evocata da un consilium ancora del Parisio - tra cristiani veteres e noviter conversi, che aveva provocato migliaia di vittime (Parisio, 1580, cons. II, n. 65, 7r; Parisio fu dal 1537 uditore generale della Camera Apostolica e dal 1539 cardinale: Del Re, 1970, 477-479). Nel sottile equilibrio dei rapporti feudali diventa ostile chi si allea col nemico del dominus (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 10, XXXIr). E, in virtú d'una piú generale 'proprietà transitiva', i dottori spiegano che è mio nemico non solo il nemico del mio parente, ma anche il parente del mio nemico (Menochio, 1615, l. V, praesumpt. XLIII, n. 12, 1012). 110 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Solo le pratiche inquisitoriali avanzano qualche dubbio verso una reciprocitá cosí disinvolta e propongono di affidarsi alla discrezionalitá del giudice (Carena, 1669, pt. III, tit. V, § 1, n. 9, 267, sulla scorta di Cantera, 1589, De Quaestionibus tangentibus probationem, cap. IV De plena probatione, n. 52, 318). Ed e significativo che il domenicano Francisco Peña, pur convenendo sull'opportunitá di respingere il teste proveniente da una familia o da una fazione avversa a quella dell'imputato, rilevi come queste contrapposizioni allignino soprattutto in tota Italia, patria di Guelphi et Gibellini e nelle cui cittá si fronteggiano potenti casati nobiliari (Peña, 1587, pt. III, quaest. LXVII, comm. CXVI, lett. E, 609; sul significato del commentario di Peña, apparso per la prima volta nel 1578, Bolaños Mejías, 2000, 202-203). Ex opinione Il terzo ed ultimo gruppo di cause d'inimicizia, seppur non capitale, consiste in quei comportamenti che suscitano la riprovazione di una societá conformista ed irreg-gimentata. Le pratiche bollano come nemico chi si sia limitato a dichiarare di non 'amare' la futura vittima d'un reato (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 49-53, 337, sulla scorta - ma con maggior cautela - di Bianchi, 1546, nn. 106-108, 42-43); chi toglie il saluto o non scambia in chiesa il segno di pace (Marsili, 1542, § Propterea, n. 8, XXXIr; Menochio, 1615, l. V, praesumpt. XLIII, n. 10, 1012); chi convive col nemico (per un tempo minimo: Maletta, 1574, cap. II, n. 14, 371; Marsili, 1542, § Propterea, n. 9, XXXIr; Menochio, 1615, l. V, praesumpt. XLIII, nn. 14-15, 1012) o lo frequenta o conversa con lui (Grammatico, 1550, cons. XLII, n. 11, 122r; Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 45-46, 6); chi ne e seguace, complice, favoreggiatore, purché la contiguitá sia stretta, intensa, duratura (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 5761, 337-338). Deciani scomoda la letteratura latina per sostenere che ogni matrigna cova dell'odio verso il figliastro e che le inimicizie dei rustici sono particolarmente implacabili (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, nn. 83-84, 180). E ancora, si presume procurino inimicizia (parimenti non capitale) la disob-bedienza al superiore (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 80, 180), configurata come 'spoglio' perché consta d'una sottrazione di potere (Bianchi, 1546, n. 102, 41); il divorzio nel rapporto tra coniugi (Bianchi, 1546, n. 101, 41); l'espulsione da casa (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 81-82, 339), tenendo pero presente che nulla maior pestis quam domesticus inimicus (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 23, 175); persino il rifiuto d'un gesto umanitario (Mascardi, 1661, concl. 900, n. 42, 679). Meno frequente il riferimento alla rivalitá professionale, paragonata all'astio tra animali che si contendono il cibo (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 81, 180). Bisognerá attendere le pratiche settecentesche perché si delineino fonti di inimicizia meno rozze o persino nobilitate da motivazioni culturali: per Briganti, il quale rie-voca le aspre dispute della Napoli d'inizio secolo tra esponenti del pensiero neoterico 111 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 cartesiano e custodi dell'ortodossia gesuitica, l'ostilità puó instaurarsi anche per effet-to di "contenzioni letterarie, ove gli antagonisti, con i di loro scritti eristici, oltre i limiti della modestia si dilaniano, e confutano" (Briganti, 1l55, tit. XII, n. 22, 189, sulla traccia di Maradei, 1l30, I, cap. XIX, nn. 12 e 1l-18, 48-49). A chiusura delle diciannove cause di inimicizia sostanzialmente mutuate dalla dottrina del tardo commento, Farinacci ne aggiunge una ventesima, comprendente tutti i casi in cui il giudice ne desume la sussistenza da circostanze oggettive e sog-gettive e ne certifica la natura capitale (Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, n. 86, 339). Il ruolo-chiave giocato áall'arbitrium iudicis nel commisurare l'entità dell'inimicizia era stato rimarcato da Felino Sandei nel commento alla decretale Cum oporteat e rilanciato dal Grammatico in un passo molto noto (Grammatico, 1550, cons. LVII, n. 9, 159v). Al di là delle prudenze lessicali, di ció sembrano convinti i piú insigni esponenti della criminalistica italiana del Cinquecento (Claro, 1l39, § Finalis, quaest. XXIV, n. 6, 255; Menochio, 1630, l. II, cent. II, casus CX, n. 2, 292; Briganti, 1l55, tit. XII, n. 19, 189). Viceversa, nel 15l8, l'inquisitore domenicano Francisco Peña, nel celebre com-mentario al Directorium di Eymerich, si mostra scettico verso una cosí ampia di-screzionalità del magistrato, pur riconoscendo che questa possa soccorrere ogni qual-volta si profili un'ipotesi non preventivabile di inimicizia. Piuttosto che rimettersi al pieno arbitrio del giudice, di cui ammette di temere l'humana fragilitas, il giurista spagnolo propone di interpellare l'arbitrium aliorum: laddove gli alii sono, in concreto, i giureconsulti. E difatti, combinando i motivi di enemistad enunciati dalla Ley de las Siete Partidas con quelli tratti dalla copiosa dottrina sul punto, Peña enumera sedici causae pressoché coincidenti con quelle proposte dalle pratiche italiane: e consiglia all'inquisitore di valutare attentamente la diversa sensibilità sog-gettiva prima di etichettare qualcuno come 'nemico' (Peña, 158l, pt. III, quaest. LXVII, comm. CXVI, 60l-610). Le considerazioni di Peña confermano che le griglie elaborate dai 'pratici', all'apparenza ingenue, miravano in realtà ad imbrigliare, per quanto possibile, la libertà della corte giudicante o almeno a circoscriverla entro coordinate tracciate dall'esperienza e convalidate dalla scientia iuris. GRADI DELL'INIMICIZIA Come si è visto, dapprima i trattati (Nello da S. Gimignano, 15l4, pt. I, n. 4, 122; Maletta, 15l4, cap. II, nn. 4-l, 3l0, in polemica con Guido da Baisio) e poi le pratiche (Marsili, 1542, § Praeterea, n. l, XXXIr; Giganti, 155l, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, n. 3l, 222; Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 26, 1l5; Mascardi, 1661, concl. 900, n. 2l, 6l8; Cantera, 1589, De Quaestionibus tangentibus probationem, cap. IV, n. 49, 316; Baiardi, 1l39, quaest. XXIV, n. 33, 259) dif-ferenziano l'inimicizia capitale da quella lieve, sulla scia dell'insegnamento cano- 112 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 nistico (la Cum oporteat; Durand, 1523, rb. De teste, § Quae possunt contra testes opponi, pr., CLXXXIr) secondo cui il nemico non capitale non merita la repulsa ma gli si riserva una fides attenuata. Nel secolo XVII l'olandese Anton Matthes ripropone la distinzione, qualificando gravis l'inimicizia che ispira vendetta letale o che sorge da controversie che coinvolgono l'universa substantia, giacché la pecunia tiene il luogo del sangue (Matthes, 1739, cap. V, n. 81, 247-248). A differenza dello stesso Matthes, che attenendosi al Digesto invita ad equiparare gli effetti dell'inimicizia tra cause civili e criminali (Matthes, 1644, D. 48.15.2, n. 9, 733), la dottrina italiana propende per una maggiore severità nell'àmbito penale, dove si esigono testimoni superiori ad ogni eccezione (Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 52-53, 6), pur salvaguardando la discrezionalità del magistrate (Campeggi, 1568, reg. XXIII, fall. IV, 11r). Una riflessione meno analitica la giurisprudenza moderna dedica alla speculare figura del testimone amicus. I trattatisti del Commento avevano sostenuto, in perfetta simmetria con l'inimicizia, che l'amicitia magna comportasse la repulsa, quella levis una mera diminuzione di fides (Nello da S. Gimignano, 1574, pt. I, n. 5, 122). Al-berico da Rosciate aveva precisato che in un solo caso l'amico costituisce teste pienamente idoneo: quando depone su un fatto che non tocca il sodale pro commodo vel incommodo. Ad avviso di Alberico Maletta, i giuristi si occupano dell'inimicitia piú che dell'amicitia perché la prima proviene a malignitate et a mala parte e dunque impone una piú attenta vigilanza (Maletta, 1574, cap. II, nn. 17-20, 372). Di questa impostazione resta traccia nella giurisprudenza cinquecentesca della Rota Romana. In una causa matrimoniale discussa nel 1596 gli uditori prestarono credito alla testimonianza d'una badessa legata da amicizia ad uno dei contendenti, osservando che l'affetto personale si tramuta in impedimento a deporre solo se ingeneri odio per la controparte. Tocca inoltre al giudice, secondo la Rota, valutare la qualità (gravis vel levis) del sentimento, che peraltro si presume limpido quando riguardi un chierico (Mantica, 1618, dec. CCCLXXII, nn. 2-5, 495-496). LA REPULSA Dalle pratiche l'inimicizia emerge quale fonte per eccellenza di inabilità a testimoniare. Una inidoneità che non potrebbero sanare né l'intervento del principe, giacché la facoltà di eccepirla promana dal diritto naturale (Parisio, 1580, cons. II, n. 64, 7r); né l'eventuale tortura, come raccomanda Bossi correggendo Baldo (Bossi, 1584, tit. de Inquisitione, n. 52, 28r; Giganti, 1557, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, nn. 4-6, 217; Matthes, 1739, cap. V, n. 81, 248). L'inabilità colpisce il nemico persino quando deponga in articulo mortis (Marsili, 1542, § Praeterea, n. 6, XXXIr; Bossi, 1584, tit. de Indicijs, n. 188, 108r). 113 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Il nemico capitale va senza indugi repulsato (Claro, 1739, § Finalis, quaest. XXIV, n. 5, 255; Farinacci, 1631, quaest. LIII, n. 3, 2). La sua testimonianza, per comune opinione, non costituisce prova piena né semipiena, né indizio né presunzione, quand'anche egli fosse già stato interrogate per errore (Grammatico, 1550, cons. XLII, n. 4, 120 v). Puô legittimare - la questione perô è contrastata - l'apertura d'una inqui-sitio generalis, ma non basta ad attivare quella speciale (Bossi, 1584, tit. de inqui-sitione, n. 4, 23 V; sulla distinzione tra le due forme Cartari, 1587, cap. fn., n. 75, 110r). La repulsa scatta purché l'ostilità poggi su argomenti 'gravi' (Crotti, 1574, pt. III, n. 98, 595; Grammatico, 1551, dec. LXXXVI, n. 7, 122v). Requisito, quest'ultimo, che appare dubbio allorché l'avversione risulti ignota a colui contro il quale si depone o addirittura allo stesso testimone (su posizioni opposte Menochio, 1630, l. I, quaest. XXVIII, n. 7, 36; e Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 10, 173). Fonti del commento (Baldo) e canonistiche (X. 5.1.10; X. 5.1.19), recuperate dalla dottrina cinque-centesca, consigliano di repellere anche il semplice suspectus de inimicitia capitali (Maranta, 1591, cons. XVIII, n. 4, 39r; Marsili, 1542, § Praeterea, n. 137, XLIr; Ma-scardi, 1661, concl. 901, n. 3, 680). Gli autori discutono su come provare l'ostilità: per alcuni deve trasparire inequivoca (Grammatico, 1551, dec. XXXIV, n. 24, 40/; Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, nn. 29-33, 176; Mascardi, 1661, concl. 900, nn. 1-3, 676), per altri basterebbero illazioni e congetture ad allontanare il testimone avverso (Menochio, 1615, l. V, praesumpt. XLIII, nn. 2-3, 1012; conciliativo Farinacci, 1634, tit. V, quaest. XLIX, nn. 130-131, 343). L'inimicizia provoca inabilità a testimoniare anche se addebitabile a colpa del controinteressato, a meno che questi non si precostituisca artatamente un motivo per esercitare la repulsa, ad esempio percuotendo - su istigazione di avvocati cautellosi e poco timorati di Dio - il teste che si accinge a deporre contro di lui (Giganti, 1557, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, nn. 23-24, 219-220). In un passo del trattato sulle cautele saccheggiato dai giuristi cinquecenteschi, Bartolomeo Cipolla aveva messo in guardia dal rischio che il malintenzionato, per sbarazzarsi d'un teste sco-modo, lo accusi di crimine pubblico, approfittando della pena irrisoria comminata al calunniatore da alcuni statuti: contro tale malitia il giureconsulto veronese aveva suggerito di concedere al teste la chance di dimostrare per coniecturas d'esser stato infangato. Analogamente Cipolla si era appellato al giudice perché neutralizzasse ogni provocazione vôlta ad irritare il futuro teste, trasformarlo in 'nemico' e renderlo inabile: a suo avviso, sarebbe stato giusto che perdesse la causa chi dolosamente priva l'avversario degli strumenti probatori (Cipolla, 1555, caut. IV, nn. 1-3, 746). Le pratiche inquisitoriali recepiscono l'idea che sia iniquo trarre ex suo dolo com-modum (Carena, 1669, pt. III, tit. V, § 1, n. 10, 267). Principio condiviso dal Bri-ganti, il quale, riprendendo lo spunto di Cipolla, ribadisce che l'inimicizia legittima la repulsa se non è "affettata, vale a dire cagionata con preventivo iniquo disegno, dopo commesso il delitto" (Briganti, 1755, tit. XII, nn. 20-21, 189). 114 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Per eccepire l'inimicizia, essa deve sussistere nel momento in cui il testimone presta giuramento (Parisio, 1580, cons. LIII, n. 28, 66r, col conforto di Decio, 1565, cons. CLXIII, n. 24, 176 v). Le pratiche scrutano con zelo i segnali in presenza dei quali si possa considerare eliminato "il sospetto dell'impresso sdegno" (Briganti, 1755, tit. XII, n. 23, 189). E si dividono sui tempi e sulle modalitá che sottintendono una reconciliatio: la mutua conversazione, la commensatio, lo scambiarsi il segno di pace durante la messa e simili. Resta comunque piú d'una macchia sull'attendibilitá del testimone 'riconciliato' (Marsili, 1542, § Praeterea, nn. 4-5, XXXIr, Marsili, 1542, n. 138, XLIr, Claro, 1739, § Finalis, quaest. XXIV, n. 6, 256, Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 21, 175, Menochio, 1615, l. I, praesumpt. LXXXIX, n. 57, 84). PROCEDURA DI REPULSA Nel 1559 l'ebolitano Prospero Caravita notava che nel Regno di Napoli l'inimi-cizia costituiva la piú importante tra le cause di repulsa del teste, mentre le altre erano trascurate, come risaputo dai pragmatici (Caravita, 1586, rit. LXXIII, nn. 7-8, 50r). Due secoli dopo, Briganti liquida come falsa o, almeno, datata una simile valu-tazione, ma non nega che il "capo della nimicizia sia il piú poderoso a ripulsare i testimonj fiscali" (Briganti, 1755, tit. XII, n. 12, 188). In ogni caso, la dottrina meridionale pare particolarmente impegnata a tratteggiare l'ingranaggio procedurale della repulsa (cfr. Broya, 1714, cap. IX, 30-40, Moro, 1757, l. III, cap. XVIII, 245252, non a caso Baiardi, 1739, quaest. LIII, n. 8, 414 rinvia a Caravita, 1586, ritt. LXXIII-LXXIV, 49r-50r e a Follerio, 1556, Sec. pars sec. partis, rb. Concedatur repulsa, 279 per la relativa disciplina). Il primo nodo attiene alla rilevabilitá dell'inimicizia. Ad avviso dei dottori napoletani, la repulsa del testimone nemico puo scattare anche ex officio (Maranta, 1591, cons. XVIII, n. 4, 39r, Nicolino, 1722, Praxis iud. crim., n. 282, 107): tesi avallata dal Deciani, sul presupposto che la respublica e interessata a reprimere la calunnia e non puo abbandonare la questione all'autodeterminazione del singolo (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 19, 174). Altri autori ritengono, invece, che vada rispettata l'eventuale acquiescenza del contro-interessato (Campeggi, 1568, reg. XXIII, fall. VI, 11r, Baiardi, 1739, quaest. XXIV, n. 39, 259). Ad una soluzione di compromesso accede Farinacci: bisogna ammettere il nemico a testimoniare se non vi si oppongono né la contraparte né il giudice, ma cio non basta a renderlo idoneo, se invece la parte acconsente a che sia ascoltato, il teste nemico gode di piena attendibilitá (Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 68-70, 8). Certo e che l' exceptio inimicitiae rappresenta la principale delle eccezioni opponibili ai testi (Farinacci, 1631, quaest. LIII, n. 2, 2). Le pratiche definiscono percio la repulsa una species defensionis (Follerio, 1556, Sec. pars sec. partis, rb. Concedatur repulsa, n. 1, 279, Claro, 1739, § Finalis, quaest. LIII, n. 1, 409): la 115 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 miglior "difesa naturale", non disponibile dal principe, conferma Briganti che, in pagine brillantemente calibrate tra citazioni di auctoritates criminalistiche, culti e giusnaturalisti, la accosta alla legittima difesa (Briganti, 1l55, tit. XII, nn. 1-8, 18l-188). Un analogo favor defensionis induce la dottrina ad escludere che il Fisco disponga della corrispettiva facoltà di repulsare i testimoni invocati dal reo a discarico (Concioli, 1684, vb. Repulsa, res. I, n. 8, 380). Chi produce un testimone pro se non puó poi repulsarlo. Il principio subisce una duplice deroga: quando, post productionem, sopraggiunga un motivo d'inimicizia; e quando si voglia contestare non la persona del teste, bensí la veridicità delle sue af-fermazioni (Maranta, 1586, pt. VI, § De testium, nn. 10-12, 445-446). L'istanza di repulsa deve riportare puntuali rilievi alla persona del teste o ai suoi dicta (Maranta, 1586, pt. VI, § De testium, n. 3, 444-445). Non puó riguardare "il fatto principale": perció i testimoni si ammettono "con la clausola salvo gl'im-pertinenti" (Savelli, 1665, Pref., n. 81, 10). Di norma la richiesta si presenta dopo la pubblicazione del processo (Sanfelice, 1l11, sect. LVII, n. 6, 153). La contraparte puó opporre la repulsa repulsae (Broya, 1l14, cap. IX, nn. 83-85, 3l-38; Petra, 1664, I, rit. LXXIV, nn. 2-l, 39l-398), ma nel Mezzogiorno l'istituto, a quanto pare desueto, fu formalmente abrogato da una costituzione borbonica del 1l38 (Moro, 1l5l, l. III, cap. XVIII, n. 8, 24l-248). Solo la domanda ex causa inimicitiae puó essere avanzata, insieme con i capitoli, prima della pubblicazione. Nei giudizi criminali celebrati nel Regno di Napoli il pre-liminare accertamento dell'inimicizia, se celermente realizzabile, comporta il rinvio dell'interrogatorio, dell'esame dei testimoni e della somministrazione della tortura (Grammatico, 1551, dec. LXXXVI, nn. 1-3, 122r-v; Vivio, 1602, I, dec. CVII, n. 24, 168). La diversa practica osservata in alcune aree dello Stato pontificio, e in parti-colare delle Marche, prevede invece che l'istanza di repulsa non sospenda l'istruttoria: i testimoni vengono regolarmente interrogati, e alla parte che ne paventa l'ostilità si accorda soltanto un termine per repulsarli (Ludovisi, 1609, dec. 86, n. 13, 81r-v). Nel rivendicare la solerzia dello stylus napoletano, apprezzato anche in àmbito sabaudo (Menochio, 1630, l. II, cent. III, casus CCXXXIX, n. 8, 486), Vivio chiarisce che nel Regno persino nel processo informativo (ossia sommario), nel quale la tortura puó irrogarsi senza concedere al reo previe difese, i giudici rispondono di dolo e imperizia qualora la somministrino sulla base di testimonianze che dovessero poi risultare viziate da inimicizia capitale. Il giurista aquilano ricorda che sia da uditore di Puglia (1583) sia quando faceva l'avvocato nei processi sommari contro il banditismo era riuscito a sottrarre alla tortura numerosi delinquenti, una volta provata l'avversione dei testimoni contro di loro (Vivio, 1602, I, dec. CVII, n. 24, 168). Nelle cause civili o in quelle nelle quali si eccepiva l'inimicizia non capitale la de-libazione sull'attendibilità del teste non sospendeva l'esame testimoniale ed era rimandata al termine della lite (Farinacci, 1631, quaest. LIII, n. 1l, 3-4). Esigenze di 116 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ... , 105-126 economia processuale sconsigliavano di accogliere le istanze di repulsa nelle cause d'appello (Maranta, 1586, pt. VI, § De testium, n. 13, 446) o in quelle sommarie finalizzate a sospendere l'esecuzione della sentenza (Maranta, 1586, pt. IV, dist. IX, nn. 178-179, 183). Altri autori escludevano, invece, il ricorso alla repulsa nei soli giudizi possessori (Menochio, 1630, l. I, quaest. XXXII, n. 6, 39; Sanfelice, 1711, sect. LVII, n. 15, 153; Maradei, 1730, I, cap. XX, n. 28, 52). CRIMINI ECCETTUATI L'inimicizia capitale inficiava a tal punto la credibilità del teste da comportarne l'esclusione persino nei cosiddetti crimini eccettuati, ossia in quei processi nei quali peculiari esigenze probatorie (la necessità di scoprire delitti occulti o di ardua prova o commessi in flagranza) o la delicatezza delle imputazioni (eresia, blasfemia, lesa maestà, simonía, sodomía, adulterio) suggerivano di ascoltare eccezionalmente i testimoni inabili (Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 5-7, 3; Moscatello, 1713, De Blasphemia, n. 26, 570; Maradei, 1730, I, cap. XX, n. 23, 52). In particolare, l'estro-missione dai processi di lesa maestà era giustificata sulla base d'una discussa inter-pretazione estensiva della decretale Per tuas [X. 5.3.32], che alla lettera, invero, ini-biva il 'nemico' dal deporre nei soli processi di simonia (Marsili, 1542, l. De minore, n. 13, 73r; Giganti, 1557, l. II, Quomodo et per quos, quaest. II, nn. 1-2, 216-217; sull'ampliamento dei confini della lesa maestà in età moderna Sbriccoli, 1974, 257). Il laboratorio piú stimolante per la dottrina era costituito dai tribunali dell'In-quisizione, la cui famigerata segretezza procedurale obbligava a guardare con estrema diffidenza al nemico che si accingesse ad accusare o a testimoniare (Peña, 1587, pt. III, quaest. LXVII, comm. CXVI, 607). Nicolás Eymerich aveva sostenuto che il nemico capitale non potesse presentarsi nei processi agli eretici né nelle vesti di accusatore né in quelle di testimone (Eymerich, 1587, pt. III, quaest. LXVII, 607). Tale equiparazione fu tuttavia contestata dalla dottrina moderna. Sulla base d'un ragionamento impostato dal Tractatus aureus de haereticis di Zanchino Ugolini (Ugolini, 1579, cap. XIII, n. 7, 83), il cardinal Parisio riconosceva incidentalmente che il nemico capitale fosse legittimato ad accusare gli eretici, ma escludeva che da ció potesse inferirsi la capacità di testimoniare. Parisio rimarcava le ben diverse conseguenze processuali dei due atti: men-tre, infatti, il reo avrebbe potuto essere assolto da un'accusa non provata, la falsa testimonianza del nemico gli sarebbe probabilmente risultata fatale (Parisio, 1580, cons. II, nn. 54 e 75-76, 7r-v). I piú tardi manuali per gli inquisitori sembrano con-fermare tale orientamento (Campeggi, 1579, cap. XIII, lett. D, vb. Omnis, 95; Carena, 1669, pt. III, tit. V, § 1, nn. 5-6, 266), cautamente accolto anche dal Farinacci (Farinacci, 1650, quaest. CLXXXV, § III, n. 29, 135). Altri pratici si schierarono invece nel senso di vietare al nemico l'accusatio nei processi ereticali (Carerio, 1550, 117 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 n. 107, 167r). Non senza ambiguità, il Deciani da un lato reputava possibile, per di-ritto canonico, che il nemico capitale sporgesse l'accusa di eresia, in nome d'una continuità logica tra offesa individuale e collettiva; dall'altro peró definiva comune l'opinione secondo cui tale denuncia, di norma spettante al quilibet de populo, era inibita proprio al nemico capitale (Deciani, 1614, l. III, cap. XXV, n. 7, 153; Deciani, 1614, l. V, cap. XXVIII, n. 6, 390). Piú netta la preclusione dottrinale nei confronti della testimonanza del nemico capitale (sorte diversa spettava a quello non capitale: Cantera, 1589, De Quaestionibus tangentibus probationem, cap. IV, n. 49, 315-316, sul quale cfr. Ramos Vásquez, 2004, 255-299) davanti ai tribunali dell'Inquisizione. Il trecentesco Directorium di Eymerich, autentico prontuario per generazioni di inquisitori, pur sottolineando che nei processi di eresia il favor fidei legittimava la deposizione di infami, complici, scomunicati, pregiudicati soprattutto in difetto di altre prove, aveva peró eccettuato il caso del teste inimicus. Secondo il teologo domenicano, che era stato inquisitore generale d'Aragona, l'imputato avrebbe potuto dimostrare l'ini-micizia dei delatori, se il nome gli fosse stato comunicato; se i nominativi fossero stati, invece, secretati, egli non sarebbe stato in grado di divinare e dunque di difendersi in specie, bensí solo in genere palpitando, e allora l'inquisitore avrebbe dovuto tenere un modus congruus mediante il quale accertare i rapporti tra reo e testi e pervenire cosí alla sentenza sine ullo errore (Eymerich, 1587, pt. III, tit. De defensionibus reorum, n. 118, 446; Eymerich, 1587, pt. III, quaest. LXVII, 607). Le indicazioni di Eymerich, e in particolare l'esortazione a svolgere un puntiglioso interrogatorio del delatus riguardo alle inimicizie pregresse, si rivelarono una traccia preziosa per le inquisizioni spagnola e romana dell'età moderna (Deciani, 1614, l. V, cap. XXXV, n. 10, 398; Farinacci, 1650, quaest. CLXXXVIII, § VI, n. 107, 213; Carena, 1669, pt. III, tit. V, § 1, n. 13, 267). Rettificando il mónito rivolto dallo Speculum (Durand, 1523, pt. I, rb. De teste, § De interrogatoriis, n. 19, vb. Caveat, CCVIIIr) ai giudici perché evitassero di porre generiche domande su odio, lucro e altri temi marginali e si concentrassero, piuttosto, sui substantialia causae (persone, luoghi e tempi), Peña precisó che nei tribunali dell'Inquisizione l'inter-rogatorio avrebbe dovuto vertere proprio su odio e inimicizie capitali, che costitui-vano la piú granitica e frequente defensio contro i testimoni a carico: ed aggiunse che esso andava condotto con ritmi incalzanti e mediante adeguati riscontri presso gli stessi testimoni (Peña, 1669, l. II, cap. XXXI, obs. II, n. 4, 449). Ad esplicita integrazione delle regole sull'interrogatorio dettate dal Directorium, il pavese Camillo Campeggi, inquisitore dei domini estensi, nelle cinquecentesche additiones al trattato sugli eretici di Zanchino Ugolini (Errera, 2000, 112-115) con-fermó che nei processi di fede il magistrate doveva anzitutto accertarsi dell'inimicizia tramite le risposte dell'inquisito e le informazioni assunte da uomini probi ac timorati; doveva inoltre stimolare il reo, al termine della confessione e sotto la mi- 118 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 naccia della punizione divina, a riflettere sull'esistenza di nemici capitali e a metterne per iscritto, con formalità notarili, i nomi e le ragioni dell'ostilità. Quindi avrebbe domandato al delatus, prima di concedergli le defensiones, se conoscesse il delatore: e, facendo scattare una vera e propria trappola logica, fingeva di voler aprire contro quest'ultimo un processo per eresia, induceva il reo a collaborare fornendo, in qualità di 'amico', informazioni sul delatore e cosí gli impediva di repulsarlo come nemico nel prosieguo del processo (Campeggi, 15l9, cap. XIII, 88-89; cfr. Errera, 2000, 133). Alla luce dell'esperienza ferrarese, Campeggi suggeriva altresí di vagliare con particolare prudenza l'atteggiamento dell'inquisito nel momento in cui riceveva copia del processo suppressis nominibus. L'obiettivo di salvaguardare l'incolumità dei testi-moni spingeva il giurista pavese a consigliare, a costo di violare la legge (come aveva proposto un votum di Grammatico, 1550, votum XIV, n. 12, 22lv relativo alla su-bornazione dei testimoni), di occultarne ogni elemento di identificazione, anche al fine di assicurarsi che la comunità continuasse a denunciare gli eretici senza eccessivi patemi (Campeggi, 15l9, cap. XIII, 89-90; Cartari, 1639, l. III, n. 91, 51). Un'autorevole riprova dell'effettiva incidenza dell'inimicizia capitale nei processi di fede proviene da un consilium del cardinal Parisio, che sin dall'istituzione nel 1542 era stato chiamato da Paolo III a far parte dell'organismo piú tardi battezzato Con-gregazione della Santa Inquisizione (Del Re, 19l0, 480). L'alto prelato si schiera contro la pretesa di alcuni cristiani di testimoniare contro i conversi in un processo di eresia. Gli efferati eccidi del passato - osserva Parisio - hanno innescato tra i due gruppi un implacabile antagonismo: e il nemico capitale, la cui menzognera depo-sizione fomenterebbe gli odii e devierebbe dalla verità, non puó testimoniare neppure nei processi (eresia e lesa maestà) nei quali eccezionalmente si ammettono i testimoni inabili (Parisio, 1580, cons. II, nn. 49-63, lr). Da notare che, in termini piú generali, un consilium di Grammatico pressoché coevo sostiene, analogamente, che la scelta di accogliere testimoni inabili nei casi in cui la verità non possa conseguirsi altrimenti non si applica ai testes partes principales aut inimici (Grammatico, 1550, cons. XLV, n. 18, 130v). Parisio demolisce poi la tesi che vorrebbe estendere al testi-mone nemico la deroga al divieto di deporre prescritta dal Liber Sextus [VI. 5.2.8] al teste spergiuro e varians, ossia caduto in contraddizione: secondo il cardinale cosentino, la specialità di quella norma canonistica non ne consente l'applicazione a nemici capitali, cospiratori e congiurati né legittima una surrettizia iuris correctio (Parisio, 1580, cons. II, nn. lv, l0-l4). CONCLUSIONI La parabola del testimone nemico tracciata dalle pratiche d'età moderna oscilla tra realismo cinico e idealismo edificante: dall'ossessione del teste animato da spirito 119 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 vendicativo (Concioli, 1684, vb. Testis quoad personas, res. I, n. 1, 415) all'otti-mismo tardo-scolastico secondo cui l'inimicizia non si presume perché è contraria al diritto di natura (Mascardi, 1661, concl. 900, nn. 1-3, 676) mentre l'amicizia rappre-senterebbe, viceversa, "il fondamento dell'umana società" (Briganti, 1755, tit. XII, n. 15, 188). La settecentesca riabilitazione dell'esprit de société e la progressiva spersonalizzazione delle parti processuali attenuano la rilevanza giudiziaria delle molteplici forme di odio 'privato' (come le aveva definite Farinacci, 1631, quaest. LIII, nn. 31-32, 5) che si trascinavano spesso nelle aule dei tribunali d'antico regime, con esiti talora paralizzanti e largamente arbitrari. Eppure, le pratiche del secolo XVIII ancora invitano i magistrati a chiedere diligentemente al testimone se sia nemico dell'ucciso o de' di lui congiunti (Moro, 1755, l. I, cap. III, § VIII, n. 42, 125). Occorrerà attendere i codici di rito ottocenteschi (cfr. ad es. l'asciutta formula dell'art. 75 cod. instr. crim.) perché la trama di odi e inimicizie personali, familiari, cetuali perda ogni diretta incidenza sulle regole di acquisizione della testimonianza. Toccherà al libero convincimento del giudice, sganciato dalla illusoria rete protettiva di presunzioni e tipizzazioni, discernere, nella deposizione del nemico, le tracce di verità dal veleno della vendetta. SMRTNI SOVRAŽNIK. ZAVRNITEV PRIČE V NOVOVEŠKIH PRAKSAH Marco Nicola MILETTI Univerza v Foggi, Pravna fakulteta, Oddelek za zasebniške pravne vede, Largo Papa Giovanni Paolo II, n. 1, 71100 Foggia, Italija e-mail: mmiletti@inwind.it POVZETEK V natisnjenih dokumentih, objavljenih med šestnajstim in osemnajstim stoletjem, pričanje zavzema izjemno pomembno vlogo. Kazenski dokumenti zlasti poročajo o številnih podanih subjektivnih vzrokih nezmožnosti pričevanja: najbolj značilen je inimicitia capitalis oz. sovraštvo do osumljencev ali do posameznikov, ki so povezani z njimi. Na podlagi bogate instrumentacije poznega srednjega veka in predlogov cerkvenih oblasti, so avtorji dokumentov poskušali - s pomočjo preverjenih retoričnih mehanizmov, kot so ampliationes in limitationes - sestaviti seznam neštetih razlogov za sovraštva in tako prikazati vrsto predpostavk, ki so odražale dnevne napetosti v - -- kumenti iz osemnajstega stoletja, ki sicer trpijo nekakšno pomanjkanje antropološ- 120 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 kega optimizma, ne odstopajo od misli, da lahko obstoječi odnosi med pričo in obtoženim vplivajo na zanesljivost pričevanja in postavljajo obtoženega v močno tvegan položaj. S prizadevanjem za opredelitev so si najverjetneje obetali omejiti pristojnosti sodnika, h kateremu se je sodobna doktrina morala zateči v nepredvidenih primerih in za določanje dejanskih vplivov posameznih občutkov na verodostojnost pričevanja. - jano po repulziji - "varnostnem" mehanizmu, na katerega se je po publicatio processus lahko skliceval nasprotnik v postopku, a je bil predviden le za izjemne pri- ben sistem se je tudi sprožil v primeru t. i. izjemnih kršitev, oz. v procesih (herezija, simonija, izdajstvo itd.), ki so načeloma omogočali dostop do neprimernih prič, - zadevanju za upoštevanje občutljivega ravnotežja, ki ga zahteva tajno obveščanje -obogatilo "praktično" razpravo na to temo. Nenazadnje je konceptualna dvojica prijatelj / sovražnik vplivala na izvajanje pričanja v novem veku, potrjujoč hipoteko, ki jo je nad italijanskim pravosodjem starega režima izvajala meščanska in aristokratska srenja. Ključne besede: pričevanje, sovraštvo, smrtni sovražnik, repulzija, izjemne kršitve FONTIE BIBLIOGRAFIA Baiardi, G. B. (1739): Additiones a: Claro, G.: Opera omnia, sive Practica Civilis, et Criminalis [...]. Tom. II. Genevae, Sumptibus Haeredum Cramer et fratrum Philibert. Bayle, P. (1820): Dictionnaire historique et critique [...]. Nouvelle édition, augmentée de notes extraites des Chaufepié, Joly, La Monnoie, L.-J., Leclerc, Leduchat, Prosper Marchand etc. etc. Tome Nouvième. Paris, Desoer. Bianchi, M. (1546): Tractatus de indiciis homicidii ex proposito commissi: et de aliis indiciis homicidij et furti, ad legem finalem ff. de quaestionibus. Lugduni, excudebant Godefridus et Marcellus Beringi, fratres. Bossi, E. (1584): Tractatus varii, qui omnem fere Criminalem materiam excellenti doctrina complectuntur [...]. Venetiis, Apud Ioan. Baptistam Hugolinum, et Hu-golinum, fratres. Briganti, T. 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Dominico Albarella Scialoya Advocato neapolitano authoris nepote. Neapoli, s.t. Ugolini, Z. (1579): De haereticis [...] Tractatus Aureus [...]. Romae, In Aedibus Populi Romani. Vivio, F. (1602): Decisiones Regni Neapolitani [...]. In quibus diversi casus tam Civiles, quam Criminales discussi, atque decisi, tum in Sacra Regia Audientia Terrae Bari, tum in illa Capitinatae Apuliae, et Comitatus Molisij, continentur [...]. Venetijs, Ex Officina Damiani Zenarij. 125 Marco Nicola MILETTI: IL NEMICO CAPITALE. LA REPULSA DEL TESTIMONE ..., 105-126 Bellabarba, M. (2008): La giustizia nell'Italia moderna. XVI-XVIII secolo. Roma -Bari, Laterza. Bolaños Mejías, C. (2000): La literatura jurídica como fuente del derecho inquisitorial. Revista de la Inquisición, 9, 191-220. Errera, A. (2000): Processus in causa Fidei. L'evoluzione dei manuali inquisitoriali nei secoli XVI-XVIII e il manuale inedito di un inquisitore perugino. Bologna, Monduzzi. Mausen, Y. (2006): Veritatis adiutor. 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