received: 2005-12-20 UDC 81'246.2'27:323.15(=1.497.4=50) original scientific article L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) NEL CAPODISTRIANO (1945-1948) Aleksandro BURRA Scuola media Pietro Coppo, SI-6310 Isola, Via Zustovic 6 e-mail: aleksandrob@yahoo.it SINTESI Il presente articolo tratta uno degli aspetti di maggior valenza nazionale in un'area di frontiera come quella del Litorale: la lingua. L'introduzione del bilin-guismo nell'area del Capodistriano, caratterizzata precedentemente sotto il regime fascista da un monolinguismo integrale, e da ritenersi, un passaggio importante, una premessa indispensabile per comprendere la linea politica jugoslava in queste terre. Nel periodo temporale che va dalla fine del conflitto al 1948, tale tematica e stata analizzata basandosi quasi esclusivamente su materiale di archivio, dato il "vuoto" della ricerca nel settore. Parole chiave: bilinguismo, comunita italiana, zona B THE INTRODUCTION OF BILINGUALISM (TRILINGUALISM) IN THE KOPER AREA (1945-1948) ABSTRACT The article presents one of the aspects of major national value in a border area such as the Littoral: language. The introduction of bilingualism in the Koper area, which under Fascist rule had been characterised by an integral monolingualism, should be considered an important passage and an essential premise for understanding the Yugoslav political line in this region. During the period beginning with the end of World War II and extending to 1948, given the void in available research materials, this subject was analysed almost exclusively on the basis of archival material. Key words: bilingualism, Italian community, Zone B 313 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 Premessa storica L'introduzione del bilingüismo, o meglio del trilinguismo, nel Distretto capo-distriano e da ricercare nelle complesse vicende che caratterizzarono il confine orientale d'Italia e che nel dopoguerra si protrassero con l'annosa questione di Trieste. La liberazione di queste terre di confine non rappresento l'inizio di una nuova stagione di pace e di distensione, bensi esse divennero subito un nuovo focolaio di tensione tra le potenze. Localmente, invece, s'infiammava sempre piu la lotta tra jugoslavi e italiani per l'appartenenza del territorio, sviluppatasi rispettivamente lungo le linee di contrapposizione nazionale e ideologica. Prima di passare all'argomento del presente articolo si rende necessario, per l'importanza che alcuni fatti storici ebbero sul destino di queste aree, tratteggiare brevemente le ultime fasi del conflitto e per sommi capi trattare le vicende dell'im-mediato dopoguerra che portarono alla liberazione dell'area giuliana. Con sorpresa degli stessi alleati, le truppe armate jugoslave riuscirono a liberare tutta la Venezia Giulia, realizzando anche sul campo quanto si erano proposti nelle risoluzioni del Plenum supremo del Fronte di Liberazione (OF) e nella dichiarazione del secondo congresso del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ).1 Tito, arrivando per primo a Trieste e nella Venezia Giulia, era consapevole, per dirla alla Churchill, che "il possesso costituisce nove decimi del diritto", dimostrando inizialmente tutta la sua intransigenza e sollevando non poco le ire degli alleati, prima dell'improvviso cambio di rotta.2 L'arroventarsi della situazione tra Belgrado e gli Alleati attorno al pomo della discordia Trieste, costrinse i primi, di fronte ad una sempre piu concreta soluzione di 1 Nel secondo congresso del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ), tenutosi nella localita bosniaca di Jajce il 29 novembre 1943, si rivendico l'annessione di tutto il Lito-rale sloveno e di quello croato con l'Istria e Trieste. Le rivendicazioni jugoslave poggiavano sul principio espresso da Taylor, Morgan e dallo stesso Lenin per il quale la provincia avrebbe determinato l'appartenenza nazionale dei centri cittadini, anche di quelli nazionalmente misti. Tale principio non trovo il riscontro degli alleati al tavolo delle trattative e fu ribaltato dagli italiani che sostenevano il primato delle citta rispetto al circondario nel determinare l'appartenenza nazionale del territorio. Si de-terminava una contrapposizione tra citta, intesa come faro di civilizzazione borghese di matrice italiana, e contado slavo agricolo e arretrato. Tali espedienti, oltre ad essere viziati da un'universalita teorica, non conforme pienamente alla situazione nell'area, furono usati da entrambe le parti per aggirare "l'imbarazzo" verso i cosiddetti principi wilsoniani dell'autodeterminazione, che dalla fine della prima guerra mondiale avevano rappresentato un sicuro appiglio per ogni rivendicazione di carattere nazionale. Sulla questione si rimanda il lettore al testo di Dolinar, Marusic, 2001, nonché a Sestan, 1997. 2 Per una breve storia sul periodo in questione si vedano: Gombac, 2003; La Perna, 1993; Romano, 2005. 314 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 forza, a scendere al tavolo delle trattative, caldeggiati anche dall'URSS, che non intendeva farsi trascinare in un conflitto per assecondare le aspirazioni jugoslave. Cosí, dopo alcune dure note degli alleati, le truppe di Tito dopo quaranta giorni di presenza furono costrette a ritirarsi dal capoluogo il 12 giugno 1945. Nelle dispo-sizioni previste nell'accordo di Belgrado del 9 giugno 1945 e in quello successivo di Duino, la Venezia Giulia veniva divisa in due amministrazioni militari civili prov-visorie: la zona A, che andava dal vecchio confine austro-ungarico con l'Italia fino alla linea Morgan, sarebbe passata sotto la giurisdizione della GMA o Governo militare alleato; invece la zona B, che comprendeva tutti i territori ad est di detta linea fino al vecchio confine di Rapallo, passava sotto il controllo della VUJA o Governo militare jugoslavo con sede ad Albona. Nella zona B, pur essendo per il diritto internazionale essa parte del Regno d'Italia (dal 2 giugno del 1946 della Repubblica Italiana), agli jugoslavi fu lasciata sempre di più mano libera. Le autorità italiane protestarono per il passaggio delle cittadine costiere a prevalenza italiana della zona B all'amministrazione jugoslava, ma l'Italia, uscita dalla guerra dovette accettare questo stato di cose. Nonostante la lotta condotta dalla resistenza, al tavolo delle trattative l'Italia rimaneva, per gli alleati, a tutti gli effetti uno stato nemico e sconfitto. La política jugoslava verso gli italiani La politica degli sloveni nell'area era ispirata dal proclama sull'annessione del Litorale alla Slovenia del Plenum supremo del Fronte di liberazione datato 16 settembre del 1943,3 che garantiva l'autonomia alla comunità italiana. Tale atto dichiarativo aveva un carattere prettamente simbolico, fondamentalmente politico e senza alcun valore dal punto di vista del diritto internazionale. La risoluzione non fu mai più ripresa nelle successive e negli atti deliberativi che seguirono la "Decisione dell'annessione del Litorale sloveno, della Slavia veneta, dell'Istria [...]" approvata a Jajce il 29-30 novembre del 1943 alla II Sessione del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ) (Bogliun-Debeljuh, 1994, 128). La soppressione della prima deliberazione slovena sull'autonomia agli italiani, accanto a 3 Sulla vicenda della determinazione dei confini, nello scritto del Ferenc sotto citato, e messo in risalto il ruolo avuto dal dott. Fran Zwitter e dal suo Istituto in seno alla Commissione di studio presso la Presidenza del Consiglio di liberazione nazionale sloveno (SNOS). Sara proprio la sua équipe per volonta di Edvard Kardelj ad elaborare le proposte per i nuovi confini sloveni, basandosi su una demarcazione secondo il principio etnico, che non riconosceva perö le assimilazioni avvenute a partire dal XIX secolo, comprendeva l'inclusione delle citta e dei porti all'entroterra, proponendo una de-limitazione delle province e l'autonomia alla comunita nazionale italiana. Il lavoro dello Zwitter continuera anche dopo la guerra a Belgrado e riguardera la preparazioni di elaborati per la soluzione delle varie questioni confinarie in Jugoslavia. Si veda Ferenc, 1998, 302-303. 315 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 quella idéntica fatta dal Consiglio antifascista territoriale di liberazione nazionale della Croazia (ZAVNOH), avvennero su indicazione e direttiva dello stesso Tito. Infatti, in un telegramma inviato da Tito, il 1° ottobre del 1943, al Comando militare generale di Croazia, si afferma che "la dichiarazione sull'unione dei territori annessi alla Croazia in linea generale e ben concepita. Non va bene pero il punto in cui si parla dell'autonomia alla minoranza italiana. Se si tratta di autonomía culturale era necessario dirlo. Mentre non c'e posto per alcuna autonomia politica, in quanto questa minoranza e sparpagliata. E necessario sottolineare che alla minoranza italiana si garantisce la piena liberta e la parita dei diritti" (Zbornik NOR, 1954-1956; Giuricin, 1990, 13-14; Bogliun-Debeljuh, 1994, 128). Indicazione quest'ultima che fu per altro recepita in maniera sommaria dal IV punto della Dichiarazione dell'AVNOJ, in cui accanto all'enunciato che la Jugoslavia si sarebbe dovuta costruire sul principio democratico e federativo, come una comu-nita di popoli con pari diritti, venivano assicurati alle minoranze nazionali tutti i diritti nazionali (Dragutinovic, 1968, 168-169). Per capire l'importanza che la paventata autonomia avrebbe potuto rappresentare per gli italiani, tornano illuminanti le parole del prof. Borme che in un suo scritto del 1998 afferma: "Non sfugge a nessuno la portata di quell'impegno non limitato da alcuna qualificazione particolare; s'intendeva ovviamente un'autonomia piena e contemplante tutti gli attributi caratterizzanti, socio-politici, culturali ed economici proposta accanto alla tutela dei diritti culturali e linguistici." Egli stesso a seguire esprime: "[...] amarezza per una grande occasione perduta. Quella prospettiva (dice Borme), avrebbe potuto imprimere un corso diverso alle sorti della comunita italiana, evitando o limitando dolorose e inutili diaspore e rendendo solidi i presupposti della presenza e della continuita della componente autoctona italiana sul suolo istriano" (Borme, 1992). Per gran parte degli italiani d'Istria le linee impostate dalla Costituzione federale del 1946, articolate da quelle repubblicane e dai vari statuti comunali, anche nella loro complessiva eterogeneita, avrebbero costituito le nuove regole del gioco per quella che era diventata a tutti gli effetti una minoranza, al seguito della cessione di gran parte della zona B alla Jugoslavia con il Trattato di Parigi; nella parte della presente costituente il Territorio libero di Trieste tali presupposti possono essere considerati solo come generici principi a cui s'ispirava la politica jugoslava dell'epoca verso le etnie non slave, dato che in queste terre sia per il diritto internazionale che per la sua stessa composizione etnica, prima che la piaga strisciante dell'esodo decimasse la componente italiana e stravolgesse definitivamente gli equilibri etnici, non possiamo di certo parlare di minoranza ma e corretto parlare in termini di popoli costituenti. 316 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 La situazione nella zona B - distretto di Capodistria Sotto il profilo politico nella zona le locali organizzazioni comuniste e degli altri partiti politici italiani uniti nel Fronte di liberazione italiano finirono per venir fago-citate da quelle jugoslave. Nella parte nordoccidentale della penisola vicino a Trieste, la svolta avvenne nell'autunno del 1944, quando la federazione del PCI - dopo l'eliminazione da parte dei nazifascismi del gruppo dirigente che aveva tentato di mantenere il movimento comunista giuliano nell'ambito della resistenza italiana -cadde completamente sotto il controllo dei comunisti sloveni e ne assunse le parole d'ordine annessionistiche. Nel resto dell'Istria invece, isolata dal territorio italiano, il partito comunista croato non ebbe alcun bisogno (a differenza del Fronte di liberazione sloveno) di avviare nemmeno rapporti provvisori con le organizzazioni resi-stenziali italiane, risolse, infatti, molto piu semplicemente il problema, creando nell'estate del 1944, un'Unione degli italiani quale interlocutore di comodo (Pupo, 1994, 133). Il secondo conflitto mondiale ripropose nuovamente il discorso dei nazionalismi contrapposti facendone il perno della questione in Istria e mettendo in secondo piano la millenaria convivenza di queste genti, condizionando scelte e comportamenti da ambo le parti. La stessa recrudescenza fascista nei confronti delle popolazioni slovene e croate, preparo il terreno per una contrapposizione che le successive violenze del conflitto radicalizzarono lungo le linee nazional-ideologiche: fascista-italiano, binomio proposto per un ventennio dai fascisti, e slavo-comunista, comprimendo ogni altro spazio di dialogo. La stessa radicalita delle rivendicazioni slovene-croate rese invece piu difficile e comunque sofferta la partecipazione degli italiani ad un movimento resistenziale, pesando non poco sul futuro di queste terre, che si temeva organizzato da parte jugoslava. Su tale scelta andarono a fissarsi anche la brutalita delle stragi dopo l'armistizio italiano, che "vissuto non solo come ricordo ma come possibilita sempre latente, si fisso stabilmente nella memoria degli istriani di sentimenti italiani" (Pupo, 1994, 131). Dopo la liberazione, la presenza jugoslava si caratterizzo progressivamente per l'espansione dei poteri popolari in tutte le zone liberate dai partigiani, portando con sé quello che il comunismo reale si era proposto di fare da Mosca a Belgrado. Prendeva forma cosí l'ossatura del nuovo potere caratterizzata dai vari Comitati popolari, che andava progressivamente a sostituire tutte le strutture amministrative italiane ante-cedenti all'otto settembre del 1943. I primi comitati sorti durante la guerra partigiana coprivano capillarmente il territorio e rappresentavano un potente mezzo di controllo su ogni aspetto della vita personale, civile e delle istituzioni, poiché deliberavano sulle materie piu diverse, tra cui le confische dei beni e le epurazioni (Krizman, 2004). Questi face vano riferimento nell'area al Comitato regionale di Liberazione nazionale del Litorale (PNOO), sorto nel settembre del 1944 da parte dell'Avnoj con 317 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 l'avallo del Consiglio di Liberazione sloveno per colmare il vuoto di poteri nell'area della Venezia Giulia, rendendo possibile l'annessione di queste terre alla Jugoslavia di Tito. Il PNOO realizzava le sue prerogative in maniera piramidale attraverso i Co-mitati di Liberazione distrettuali, circoscrizionali e quelli nazionali locali. A liberazione avvenuta il PNOO costituî tre circoscrizioni: Gorizia con 17 distretti; Trieste con 9 distretti (di cui faceva parte il distretto di Capodistria), e la circo-scrizione autonoma della città di Trieste. Dopo circa un mese i poteri popolari, a seguito degli accordi con gli alleati, dovettero adeguarsi a questa nuova divisione riformando la rete amministrativa, che da allora ebbe una funzione politico-ammi-nistrativa (Gombac, 2003, 277-278). Il distretto capodistriano, oggetto del presente articolo, costituito dalle aree della zona B comprese nel Litorale sloveno, dai municipi di: Capodistria, Isola e Pirano, era a larghissima maggioranza italiana nelle cittadine (pari a circa il 90% stando ai censimenti austriaci del 1900), mentre possedeva un contado prettamente sloveno (Cadastre national, 1946; Perselli, 1993).4 In quest'area maggiore era il contrasto tra la città e la vicina provincia, recante in sé il pregiudizio e lo scontro tra "l'uomo civilizzato e quello barbaro" (Troha, 1996, 92), che il Ventennio appena trascorso aveva contribuito a rinforzare. Questa politica s'innestava su un substrato avente radici profonde nelle complesse vicende storiche dell'area, muovendosi pero in direzione opposta a quanto il capitalismo e lo stato moderno avevano già ampiamente "creato". Ovvero, già durante il periodo austro-ungarico si era "[...] prodotto un ampliamento della comunità di cultura, sciogliendo le masse dai vincoli di una tradizione onnipotente e chiamandole a collaborare ad una trasformazione della cultura nazionale (l'autore intende l'Impero austriaco N.d.A). Da noi cio significo il risveglio delle nazioni senza storia (gli sloveni N.d.A.) [...]" (Bauer, 1999, 116). Un processo questo giunto a piena maturazione nel periodo fascista, al quale il regime tento di opporsi, riproponendo i vincoli culturali del passato, fattisi ancor più stretti, data la volontà di cancellare anche ogni memoria storica sloveno-croata di una cultura distinta, e attraverso un rigido monolinguismo e monoculturalismo, propugnati con irriguardosa superiorità, si tento di arrivare per assimilazione ad un'unica comunità di cultura. Proprio su questo punto, per contrapposizione con l'elemento sloveno-croato, "l'autoctono" fascismo di confine evidenziava le sue peculiarità, trovando ulteriore 4 Nel censimento asburgico di inizio secolo (1900) la città di Capodistria contava 8.230 abitanti di questi 7.205 erano italiani (87,55%), 391 sloveni (4,75%) e 167 croati (2,03%). La percentuale di sloveni aumentava se si prendeva in considerazione tutto il distretto di Capodistria, che comprendeva oltre al comune di Capodistria, Isola, Pirano, Pomiano, Maresigo, Villa Decani, Muggia, San Dorligo, Ocizla-Klanec, Pinguente e Rozzo. Sempre per lo stesso censimento il numero di italiani era 34.084 (43,75%), seguivano gli sloveni con 29.445 censiti (37,59%) e i croati con 14.383 (18,36%). 318 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 terreno fertile dalla stratificazione sociale sovrapponibile quasi completamente a quella nazionale, dove gli italiani, ad eccezione parzialmente di Isola - dove c'era una robusta presenza di lavoratori - costituivano le classi piccolo-medio borghesi cittadine, laddove gli sloveni e i croati costituivano le classi inferiori delle campagne. Non stupisce pertanto che la liberazione delle truppe di Tito nelle cittadine non fu accolta con particolare simpatia, rappresentando una sorta di dominio di quella componente etnica che fino al giorno prima era considerata culturalmente inferiore. Dopo quasi un anno dalla presa della città, gli organi dirigenti del partito erano consapevoli della fragilità dei poteri popolari nel Capodistriano. Della presente situazione si trova conferma dalla relazione del Comitato Cittadino capodistriano del Partito comunista regionale giuliano (d'ora in poi P.C.R.G.) al Comitato Circon-dariale del P.C.R.G. di Aidussina, datato 22 gennaio del 1946, in cui "[...] Capo-distria ha speciali tradizioni servili perché la maggior parte è vissuta delle briciole della borghesia capodistriana per cui ancor oggi la gran parte della popolazione parla bene delle famiglie borghesi e dei padroni in genere. A causa di questa mancanza di coscienza sociale è facile comprendere che la gente capodistriana non ha potuto né seguire né comprendere la lotta di liberazione, tanto più che a Capodistria in proporzione al numero di abitanti abbiamo la più forte percentuale di fascisti convinti, che in tutte le altre cittadine della costa" (ARC, 1). "Bastava l'esposizione di una bandiera slovena o jugoslava per fornire materiale di critica e discussione ai vecchi irredentisti capodistriani, bastava mancasse un giorno il pane per far dimenticare alla gente che ci trovavamo in un periodo di crisi provocato dalla lunga guerra e dalle distruzioni, e far sî che ci criticassero e male-dicessero il potere popolare" (ARC, 1). Nonostante i toni volutamente calcati della relazione, nella quale i membri dell'esecutivo cercavano di fronte ad un'istanza superiore di giustificare gli scarsi progressi del partito tra la gente, usando proprio la difficoltà del contesto operativo, ci sembra tuttavia che il documento rappresenti un importante indicatore sulla qualità dei rapporti tra i nuovi poteri popolari e la popolazione. È evidente che i primi erano ben lontani dall'avere un ampio consenso tra la popolazione, come del resto emerge ampiamente nel proseguo della presente. La relazione, quindi, continua soffermandosi sui fatti ben circostanziati, come: "Lo sciopero manifestatosi in occasione dell'emissione della jugolira (sciopero che doveva propagarsi ad Isola e Pirano) abbiamo avuto dimostrazione concreta che la reazione si era organizzata, e abbiamo avuto la dimostrazione completa che la gente seguiva la reazione per inerzia e per contrarietà ai nostri organi, e non per coscienza che quanto facevano fosse ben fatto" (ARC, 1). Sulla base di tali fatti riemerge un ripensamento in seno al comitato capodistriano sulla linea di quanto detto sopra: "Dobbiamo anche sottolineare che la nostra tattica nell'applicazione delle direttive in questo territorio non sia stata fino a poco tempo fa molto adeguata, bensî è stata ado- 319 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 perata una tattica troppo stretta per cui non abbiamo saputo abbracciare abbastanza largamente la gente capodistriana" (ARC, 1). Pertanto, la politica seguita dagli jugoslavi si caratterizzo per una ricerca del consenso seguendo la linea della fratellanza italo-slava5 e con l'introduzione graduale della "nuova democrazia". Questa doveva avvicinare oltre alle masse degli operai ita-liani (nella maggioranza meglio disposti ad abbandonare la prerogativa nazionale a favore della rivoluzione sociale), anche quelli che non contrastavano l'adesione alla nuova Jugoslavia; operazione che non fu priva di difficoltà.6 Diventava prerogativa importante per i membri di ogni partito comunista locale nell'area costiera, stando alle linee guida espresse dal P.C.R.G capodistriano, com-portarsi come segue: "Allo scopo di poter svolgere la nostra attività di avanguardia in ogni campo di lavoro stiamo sistemando i compagni in ogni organo del potere e comunque negli uffici pubblici, nelle organizzazioni, nei sindacati, nelle cooperative 5 Per rendere operativo tale programma d'intenti il regime fece affidamento sull'Unione antifascista italo-slava (UAIS). Questa, nata nel giugno del 1945 a Trieste, nel solco della tradizione del Fronte di liberazione sloveno, era formata da diversi movimenti e partiti italo-sloveni, tra loro legati in un fronte unico. Dal programma della suddetta organizzazione emerge che il primo obiettivo dell'azione politica era quello di eliminare tutti "i resti del fascismo", oltreché tutto il sistema amministrativo, economico, culturale e ovviamente politico che si riferiva al precedente modello di Stato. Tra i compiti seguiva in ordine di importanza la conservazione delle conquiste della Lotta Popolare di Liberazione condotta dall'OF, quindi la difesa e lo sviluppo della democrazia popolare che si basava in tale contesto regionale sulla fratellanza italo-slava. L'UAIS copriva capillarmente il territorio e attraverso le varie strutture afferenti che vi operavano come sezioni (quali quella delle donne, della gioventù ecc.) estendeva il suo raggio di azione a tutte le fasce generazionali; essa era costituita dai quadri del partito comunista locale e continué a fungere da semplice cinghia di trasmissione di codeste volontà, senza riuscire mai ad organizzarsi autonomamente, rimanendo subordinata alle indicazioni e volontà dei vertici jugoslavi (Argenti-Tremul, 2001, 91). 6 Come riferimento del contesto operativo dei poteri popolari tra i ceti sociali nel Capodistriano, dalla medesima relazione possiamo notare che la massa dei contadini seguiva il clero e frequentava le associazioni cattoliche mentre era staccata dal partito e dai poteri popolari, dato che questa era composta solo da operai. Per quanto riguarda gli operai si ravvisava che "[...] sono poi ostili ai contadini perché questi ultimi nel periodo di guerra hanno avuto modo di guadagnare più di loro". Sempre sugli operai: "Ad essi manca la coscienza sociale e la comprensione per lo stato popolare. Contemporaneamente peré temono il ritorno dell'Italia in queste terre per cui non vogliono compromettersi con le nostre organizzazioni. Questa mentalità è abbastanza diffusa [...]" Gli artigiani invece "[...] sono simpatizzanti per la bandiera rossa ma decisamente ostili all'UAIS. I ceti medi sono indicati come "[...] le forze di linea della democrazia cristiana. Hanno avuto parte attiva nell'organizzazione dello sciopero. Seguono da vicino la politica della Voce libera e sono quelli che sperano più vivamente di tutti il ritorno di queste terre all'Italia. Ai ceti medi fanno parte anche gli intellettuali i quali rappresentano la parte ideologica dell'irredentismo locale e sono di conseguenza per l'Italia." La borghesia rurale " [...] in gran parte nobile, che hanno un largo seguito fra il ceto impiegatizio, intellettuale e sono il fulcro dell'irredentismo capodistriano." Le classi degli impiegati "[...] che ha dato il maggior numero di fascisti, ancora oggi questi sentimenti sono vivi in questo ceto e percié è specialmente ostile a noi." Il clero "[...] in Capodistria è molto sviluppato [...]" e rappresenta il reparto dove si organizza la reazione (ARC, 1). 320 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 allo scopo di rendere sempre maggiormente attivi i compagni stiamo distribuendo piu equamente i compiti e intensificando la disciplina di partito" (ARC, 1). Politica di conquista delle istituzioni non facile quando si cercava di inserire elementi estranei alla citta: "Un incidente non indifferente e stato il fatto che molti elementi non capodistriani hanno dovuto essere impiegati nei vari uffici per cui la reazione ha speculato generando una campagna diffamatoria in base alla quale faceva credere che ci fossero delle ingerenze nazionalistiche nella cittadina italiana della costa" (ARC, 1). Dalla nota apprendiamo che era cominciato il graduale inserimento nelle ammi-nistrazioni cittadine dell'elemento sloveno, argomento che per la sua importanza verra approfondito in seguito. Comunque, nell'opera di graduale conquista delle istituzioni e di consenso delle masse italiane l'inserimento dell'elemento italiano fedele al regime nell'organigramma partitico assumeva un ruolo di primaria importanza. E altresí vero che tale presenza era di tipo proporzionale negli organi di potere, subordinata per grado a quella slovena, a cui faceva seguito un atteggiamento linguistico "accondiscendente" verso l'elemento italiano: in seno ai vari comitati l'italiano rimaneva la lingua di discussione anche in presenza di un solo membro ita-liano.7 Tali "concessioni" ritenute indispensabili ai fini della politica rivoluzionaria, avevano lo scopo di "attutire" i mutamenti sociali onde non trasformarli inevitabilmente in questioni nazionali, garantendo una parvenza di continuita, in quanto, come afferma l'austromarxista Otto Bauer "se il funzionario o il giudice appartiene ad un'altra nazione, se parla una lingua straniera, allora il fatto che la massa del popolo e soggiogata da un potere straniero risulta lampantemente visibile e quindi insopportabile" (Bauer, 1999, 109). L'introduzione del bilinguismo nel distretto di Capodistria Passando all'argomento centrale di questo articolo, ritengo doveroso cercare di definire il concetto di bilinguismo8 (privilegiandolo a quello di plurilinguismo data la realta linguistica nell'area trattata) e i suoi ambiti operativi, ritenendo che la defi-nizione concettuale sia uno strumento importante nel processo conoscitivo e nella determinazione dei problemi. 7 Nel verbale della seconda riunione ordinaria del Comitato esecutivo circondariale per l'Istria, datata 26 agosto 1947, viene riportato che la "[...] riunione si tiene in italiano, dato che è comprensibile a tutti, salvo esplicita richiesta dei singoli membri di chiarimenti in lingua slovena e rispettivamente croata". Dopo venti anni di fascismo, caratterizzati dalla soppressione di tutte le scuole slovene e croate, è più che comprensibile che anche per gli stessi sloveni e croati era più semplice usare cor-rettamente l'italiano che la loro lingua madre, da qui l'uso di detta lingua nella discussione. 8 Per un succinto approccio teorico-concettuale sul tema si veda Mikolic, 2004. 321 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 La parola bilinguismo esprime una qualità di bilingue. Quest'ultimo termine deriva dal greco diglottos, dal latino bilingue, composta dal prefisso "bi", ovvero con due, e "linguae", lingue. Dal vocabolario Garzanti della lingua italiana apprendiamo che il bilinguismo è per definizione: essere bilingue è compresenza in una nazione o in una regione di due distinti gruppi linguistici. Si evidenziano qui l'aspetto soggettivo e quello sociale-collettivo del concetto. S'intende qui evadere il discorso legato al bilinguismo individuale - ovvero ad una scelta psicolinguistica soggettiva, l'adesione personale a un modo esistenziale specifico, che consiste nella capacità di usare due codici linguistici in forma distinta, sia come codici verbali, orali e scritti, sia come codici semantico-simbolici, cioè come cifre di culture diverse - per addentrarsi in quello che viene definito come bilinguismo sociale o socializzato e viene per lo più ridotto nell'uso nei vari momenti della vita associata di due codici linguistici diversi. Questo comporta anche la valorizzazione paritetica delle parlate autoctone di un territorio nazio-nalmente misto (Borme, 1992, 375). Si procederá ad analizzare questa accezione di bilinguismo nella sua veste ufficiale, o meglio come esso è stato introdotto dagli organismi amministrativi e di potere, nella sua dimensione sociale e istituzi-onalizzata, nella parte del distretto capodistriano della zona B del TLT. A tale scopo, verranno analizzate ed evidenziate dai documenti esistenti quelle voci riguardanti gli ambiti operativi della normativa sulle bilinguità e in fine si procederà ad esaminare le conseguenze della normativa sul tessuto comunitario italiano. Fu la VUJA e l'amministrazione civile sempre nell'ambito della politica della fratellanza italo-slava, a riconoscere l'autoctonia dell'elemento italiano e in via di principio ad introdurre il bilinguismo (Troha, 1996, 74). La denominazione di "principio" è allo stato delle ricerche sicuramente appro-priata, in quanto, dalla ricerca di archivio fatta sui fondi dell'Archivio regionale di Capodistria e da quella di Nevenka Troha sui decreti del Comitato regionale di liberazione nazionale per il Litorale (CRLNL), non risulta promulgato nessun prov-vedimento legislativo riguardante il bilinguismo. È interessante notare che il primo (e unico) bollettino ufficiale del Comitato regionale di liberazione nazionale per il Litorale sloveno e di Trieste, pubblicato a Trieste in data 9 giugno 1945 - dove furono pubblicati i decreti, le ordinanze, i regolamenti e le disposizioni e gli altri avvisi del presente organo e dei vari sottoposti durante i 40 giorni della presenza jugoslava nel capoluogo giuliano - non si riscontra alcuna menzione sull'intro-duzione dello sloveno accanto all'italiano a lingua ufficiale dell'ambiente. Eppure il presente documento, un atto che ha il crisma dell'ufficialità, è completamente bilingue, ovvero in sloveno e in italiano. Se per il bollettino l'ufficializzazione di tale pratica è sancita dal primo decreto, art. 4: "[...] il bollettino sarà redatto in lingua slovena e italiana [...]" (BU, 1), altrove il legislatore nella promulgazione successiva rimane muto, lasciando cadere l'argomento. Nonostante i tempi veramente rapidi 322 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 dell'instaurazione dei poteri popolari, la carenza del legislatore in merito ci appare legata all'insicurezza dei poteri popolari riguardo all'annessione di queste terre alla Jugoslavia e alla volontà di non alienarsi, con un atto d'indubbia "risonanza nazio-nale", quanti fra gli italiani simpatizzavano per la causa di Tito. Insomma, sulla "questione" della lingua non bisognava fare subito tanto "rumore", per il momento ci si poteva accontentare degli atti ufficiali anche in sloveno, per puntare prioritariamente ad un maggior consolidamento dei nuovi poteri nelle istituzioni, nell'am-ministrazione ecc. e per tale via conseguire questo obiettivo. Modus operandi che sembra esser stato attuato nella parte ad amministrazione jugoslava, laddove tale processo ha preso corpo e si è completato, libero dall'in-gerenza alleata. Dalla ricerca svolta presso l'Archivio regionale di Capodistria, a partire dal periodo che va dall'instaurarsi dei nuovi poteri popolari, nella zona B il primo documento che parla di bilinguismo è la circolare della Presidenza del Comitato popolare distrettuale di Capodistria del 28 febbraio del 1947. Questa, emanata a soli 18 giorni dalla firma dal trattato di pace di Parigi, siglato il 10 febbraio del 1947, - nel quale veniva a cessare per il diritto internazionale l'autorità italiana a favore della creazione del mai nato Territorio libero di Trieste (TLT) - serviva a preparare gli organi amministrativi specificando ambiti e modi di applicazione del bilinguismo: una sorta di guida operativa sul bilinguismo prima che questo, per applicazione dell'articolo 7 dello statuto del TLT, si formalizzasse e diventasse in seguito oggetto del decreto del Comitato popolare circondariale dell'Istria (CPCI) del 14 settembre del 1947. Quest'ultimo decreto, considerato il "deliberato" sul bilinguismo, trilinguismo nell'area, definiva tre lingue ufficiali nel Circondario dell'Istria: italiano, sloveno e croato, e autorizzava il Comitato popolare esecutivo del circondario dell'Istria a rendere esecutivo il decreto. Oltre ad introdurre la necessaria cornice formale legislativa necessaria a garantire la pariteticità delle tre lingue, quest'atto legislativo ando a colmare un vuoto giuridico in materia, costituito solo da dichiarazioni di principio, fornendo in tal modo anche una formale giustificazione ad un bilinguismo che si era già affermato nella prassi, stando alla mole di documenti bilingui redatti dalle varie organizzazioni partitiche dell'epoca. Il legislatore non articolava ulteriormente la proposta, né definiva gli ambiti di applicazione del bilinguismo e trilinguismo. L'elaborazione antecedente alla presente normativa, l'abbiamo riscontrata in maniera più diffusa sia nella circolare della Pre-sidenza del Comitato popolare distrettuale di Capodistria, appena citato, relativa all'amministrazione e alle istituzioni pubbliche, che nella relazione della conferenza del Partito comunista del TLT per il distretto capodistriano del marzo 1947. Accanto a questi documenti saranno presentati altri documenti successivi al cosiddetto "deliberato" sul bilinguismo, che mettono ulteriormente luce sull'applicazione della normativa. 323 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 Nel primo documento in applicazione delle nuove norme statutarie del TLT si evidenziava che nell'area due erano le lingue ufficiali e uguali nell'amministrazione: italiano e sloveno; norma che rendeva paritetico lo sloveno all'italiano. Di conse-guenza, si affermava, "[... ] bisogna utilizzare dappertutto e con coerenza il principio del bilinguismo, non sottomettendo né danneggiando una delle due nazionalità, operando sulla base dell'uguaglianza. A quest'eguaglianza dobbiamo dargli anche una parvenza esteriore" (ARC, 2). Nella circolare si raccomandava che tutti i comitati e le sezioni si disponessero come segue: ogni scritta, quelle sulle porte, quelle davanti ai locali o alle istituzioni, quelle dell'amministrazione pubblica o quelle a carattere privato, nonché gli avvisi e i moduli devono essere redatti in lingua italiana e slovena o viceversa (nel documento questo passaggio relativo alle lingue d'uso è sottolineato, dimostrando la sensibilità del regime alla tematica) e mai solo in lingua italiana o slovena. Dal documento, nota assai importante, si evince che il principio del bilinguismo riguardava anche "il rapporto dell'amministrazione con l'utenza" (ARC, 2).9 Tali direttive inauguravano il bilinguismo visivo nelle istituzioni e l'uso paritetico dello sloveno accanto all'italiano come lingua d'uso nell'amministrazione (sia scritta sia di comunicazione) con le parti. Dell'esecuzione della circolare e della comunicazione delle applicazioni risponde-vano personalmente i capi sezioni e le istituzioni del Comitato popolare circondariale esecutivo dell'Istria (ARC, 2). È appunto quest'ultimo organo, in un verbale del 22 ottobre del 1947, quindi a circa otto mesi dalla prima circolare, a ribadire fermamente la volontà di introdurre la bilinguità in tutti i comitati e sezioni amministrative, in cui si "[... ] dovranno adottare le due lingue." Si parla, inoltre, di deficienze nei quadri amministrativi, dell'esigenza di assumere un impiegato sloveno e si afferma che "tutti i timbri ora esistenti do-vranno essere ritirati per essere sostituiti con quelli nuovi bilingui" (ARC, 4). Il 22 dicembre del 1947, dal reparto circondariale per le questioni interne a Capodistria si emana una nota in cui si ribadisce che i libri dell'anagrafe per il Capodistriano devono essere redatti in lingua slovena-italiana, mentre per il Buiese rispettivamente in quella croata-italiana. Le diciture bilingui devono tenere conto della composizione etnica sul territorio: nei territori a prevalenza italiana i formulari devono riportare prima la dicitura italiana seguita da quella slovena; mentre in quelli 9 In un'altra ordinanza del Comitato esecutivo popolare circondariale dell'Istria, datato 5 dicembre del 1947, si ribadisce che per la qualifica professionale nel ramo amministrativo si rende necessario il superamento dell'esame per ogni candidato nella propria lingua materna (ARC, 3). Si tratta comunque di un atto importante, il quale stabilisce una particolare disciplina nelle assunzioni basata sul principio della pariteticità delle due lingue, che dovrebbe permettere ad ognuno di sostenere l'esame nella sua lingua madre. 324 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 a prevalenza slovena, la prima lingua a comparire deve essere quella slovena seguita dall'italiana. La stessa procedura viene adottata anche nel Buiese (ARC, 5). Dagli esempi riportati notiamo che il processo d'adeguamento alla normativa bilingue prosegue con ritmo sostenuto sotto il vigile controllo delle autorità compe-tenti, che ampliano e precisano, laddove necessario, la sua applicazione. Nella relazione della Conferenza di Partito del Comitato del rione capodistriano, del 2 marzo 1947, gli ambiti del bilinguismo vengono ulteriormente articolati e ampliati. Si ribadisce, in ottemperanza dell'articolo 7 dello Statuto del TLT, anche qui la necessità di "[...j dare la forma finale nell'esigenza dell'autodecisione, cioè l'ugua-glianza fra i due popoli, italiano e sloveno". Tale principio (l'uguaglianza) si rag-giungerebbe infatti soltanto "[...j quando in tutto il territorio si rispettano e praticano le due lingue: l'italiano come lo sloveno. Cosî noi consideriamo il principio della bilinguità. Ambedue le lingue devono essere ugualmente praticate, per esempio: nel Comitato cittadino di Capodistria come nel Comitato locale di Decani" (ARC, 5). La determinazione geografica del bilinguismo, "[...] in tutto il territorio [...]", con l'annesso esempio chiarificatore, non lascia dubbi che su tutta l'area, quindi indipendentemente dalla composizione etnica, si applica la bilinguità. Sulle forme e modi di applicazione il documento amplia il raggio d'azione del precedente nella seguente misura: "Tutti gli scritti delle istituzioni pubbliche, private e statali, debbono essere fatte nelle due lingue. I formulari, in tutti gli uffici pubblici, statali, nei comitati popolari devono essere stampati in ambedue le lingue, e non come erroneamente si è fatto finora che erano stati stampati soltanto in sloveno rispettivamente in italiano. Anche i proclami, manifesti, pubblicazioni ufficiali, reclami ecc. devono mettere in rilievo il bilinguismo. È raccomandabile (qui il tono diventa meno risoluto N.d.A) che anche i negozianti italiani, giacché gli acquirenti sono in maggioranza sloveni, espongano le scritte bilingui. In questo modo sarà esteriormente evidente l'eguaglianza bilingue, cioè il rispetto reciproco" (ARC, 6). La bilinguità compie un ulteriore salto di qualità interessando non solo la sfera amministrativa ma andando a toccare anche gli altri ambiti della vita sociale, in maniera tutto sommato assai dettagliata. L'esempio relativo ai negozianti italiani tradisce perd una volontà concreta del regime attraverso la liberalizzazione della lingua slovena di entrare nelle cittadine italiane della costa. Il documento si occupa anche del bilinguismo scolastico affermando la necessità in tutte le scuole di introdurre la lingua italiana e la lingua slovena.10 Si assicura che 10 La questione scolastica, che rappresentava sicuramente l'ambito nel quale creare i presupposti per rendere possibile una società bilingue, o meglio l'habitat in cui si sarebbe dovuto forgiare il "nuovo italiano bilingue", fu al centro del diretto interessamento del Comitato regionale di liberazione nazionale, il quale attraverso la Commissione scolastica organizzö una riunione congiunta di professori sloveni e italiani per promuovere l'introduzione nelle scuole del Litorale dell'insegnamento 325 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGÜISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 "in questo senso sono già disposte le misure amministrative, ció pero non basta. È necessario persuadere la popolazione italiana della necessità di introdurre la lingua slovena nella scuola italiana per la cognizione reciproca, e gettare i ponti su tutti i pregiudizi, che ancora regnano fra le due nazionalità come avanti (avanzi N.d.A) del fascismi" (ARC, 6). Pero, da un verbale del Comitato Circondariale Agit-prop del-l'Istria, datato 27 marzo 1947, si evince che "la lingua slovena è solo facoltativa sia ad Isola, Capodistria che Pirano e non si ha avuto nessuna iscrizione. Sarà dunque molto difficile l'introduzione dello sloveno, anche perché molte difficoltà le trovano i direttori delle scuole, specialmente quelli del liceo. È da notarsi che quale lingua facoltativa insegnano il tedesco" (ARC, 7). Il bilingüismo nelle scuole viene introdotto quindi sulla base dei valori dell'eguaglianza, risolvendosi nello studio della lingua e quindi della cultura ("[...] per la cognizione reciproca") dell'altro gruppo in tutte le istituzioni scolastiche sia slovene che italiane. Tale normativa non sembra trovare riscontro nelle scuole italiane. La liberalizzazione delle lingue di riferimento ai gruppi etnici, non corrispondeva comunque ad una libera circolazione dei mezzi di informazione, dato che era concessa solo la pubblicazione di giornali favorevoli al nuovo regime. Anche la diffusione della carta stampata rifletteva questo stato di cose: circolavano nella zona B il "Primorski Dnevnik" e l'italiano "Il Lavoratore" quotidiano comunista soppresso dopo la scissione. Altri fogli erano in lingua slovena e croata, a parte "La Nostra lotta" quotidiano filo-Tito la cui pubblicazione inizio dopo la scissione del settembre del 1948 (Pradelli, 2004, 44). L'informazione bilingue pertanto, anche se garantita nella lingua, per la presenza di fogli italiani veniva negata sulla base della libertà d'espressione per entrambe le nazionalità. Sul finire dell'anno, per la precisione il 7 dicembre del 1947, in un verbale del Comitato esecutivo popolare circondariale dell'Istria, viene toccata e affrontata anche la delicata questione della toponomastica. Nell'assise si evidenzia la volontà di procedere alla definitiva introduzione dei toponimi sloveni accanto a quelli italiani nell'area.11 Il documento, oltre a rilevare che la toponomastica locale è oggetto dello studio di esperti sloveni, mostra alcune indecisioni su alcune località, quali Sicciole. Per l'abitato il toponimo sloveno sarebbe da ricercare tra Sečovlje (nome attuale) o di tutte e due le lingue regionali. Il 6 giugno 1945 si tenne una riunione di tutti i rappresentanti delle scuole italiane della regione, i delegati provenivano da Trieste, Pola, Gorizia e Fiume, e deliberarono sui programmi bilingui da introdurre nelle scuole italiane dopo la fine del conflitto (Gombač, 1996). 11 Va precisato per correttezza che le denominazioni in sloveno e rispettivamente in croato dei toponimi non furono propriamente un'invenzione delle autorità comuniste nel dopoguerra, dato che di queste si trova già riscontro nei lavori di Lavo Čermelj, precedenti al conflitto, dai quali le autorità dell'epoca poterono attingere liberamente. Per approfondimenti si rimanda il lettore a Čermelj, 1941. 326 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 Sečovelj o Sečovlja. In linea di massima per i nominativi degli abitati in sloveno si ribadisce che dovranno tener conto dell'ortografia slovena; mentre verranno eliminate nella nuova toponomastica le denominazioni introdotte in epoca fascista a partire dal 1923 e alcune specificazioni che non sono al momento più giustificabili. Su alcuni di questi punti il documento fornisce degli esempi pratici assai interessanti. Cosí, Buie d'Istria diventerà semplicemente Buie, perché è venuta meno l'utilità distintiva dell'aggettivo dovuto al contesto italiano. Si afferma anche l'esigenza di eliminare, dove possibile, il termine "Stanzia" e "Villa": Villa Decani cosí in sloveno diventa Dekani, mentre in italiano semplicemente Decani. Contrarietà viene espressa a riguardo del toponimo De Cano. Inoltre, i toponimi italiani quali ad esempio Santa Lucia, secondo il crisma ideologico imperante, si trasformano in sloveno semplice-mente in Lucija, evadendo in tal modo la traduzione dell'aggettivo; mentre Monte di Capodistria, conosciuto anche con la denominazione Santa Maria in Monte, diventerà in sloveno Šmarje: la forma contratta di S. Maria (ARC, 8). Dai documenti traspare che l'introduzione della lingua slovena accanto all'italiano come lingua d'ambiente viene presentata dal regime come una misura necessaria, una vera e propria conquista sociale, che persegue il fine della pari dignità giuridica e dell'eguaglianza di ogni sua componente nazionale. Dai documenti vediamo che il legislatore prevede un ampio spettro di applicazione della legge, che è da ritenersi soddisfacente per una sua completa esplicazione. A tal punto è interessante verificare se nella pratica la normativa si dimostro davvero capace di conseguire tali obiettivi. In quanto, "[...j il pluralismo linguistico e culturale, il perseguimento di tale obiettivo non dovrebbe avvenire in modo da pregiudicare irragionevolmente i diritti degli altri cittadini (o per estensione di una delle comunità N.d.A.)" (Piergigli, 2005, 173). Affinché uno strumento legislativo non produca effetti contrari ai suoi propositi per qualsivoglia delle parti, riteniamo che, oltre ad una delicata opera di bilanciamento del provvedimento, il contesto operativo e l'applicazione della normativa siano dav-vero determinanti nella valutazione complessiva della bontà della legge e della coerenza dei principi che persegue, rappresentando per tale via anche un indicatore importante sui reali propositi del regime. Se analizziamo l'ambiente sociale, si nota che la normativa s'inseriva in "[... j un clima generale di intimidazione (verso gli italiani N.d.A), punteggiato da un continuo stillicidio di violenze ed angherie, fino a diventare componente abituale di una quotidianità intessuta di sospetto, di angosciosa incertezza nel futuro, di timore per sé, per i propri famigliari, per la propria comunità [...j" (Pupo, 1994, 139). La dimensione della paura e dell'insicurezza appare una componente centrale, fomentata anche dalle tante misure, quali: l'introduzione della jugolira, che scateno le violenze a Capodistria; l'abolizione del colonato e la riforma agraria, la quale ando inevita-bilmente a colpire l'elemento italiano, data la struttura sociale; il bavaglio ad ogni forma di espressione e politica che contrastasse con l'ideologia dominante e via dis- 327 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 correndo (comune per altro a tutti quelli, italiani, sloveni e croati, che non erano pienamente conformi al regime). Tutte misure che provocarono la trasformazione rivoluzionaria della società istriana, la quale ando a saldarsi con la perdita della sovranità italiana, con un drastico mutamento delle condizioni economiche, con la trasformazione di ruoli e il ribaltamento di gerarchie sociali ed etniche consolidate, con la sommersione dei valori e lo scompaginamento del tessuto di rapporti tradizionali, ovvero le comunità italiane risultarono private dei propri punti di riferimento. Politica che si attuo attraverso non solo l'eliminazione della precedente classe politica, ma anche con la progressiva scomparsa dei soggetti sociali più rappresentativi e via via di figure-chiave quali religiosi, insegnanti, professionisti, di modo che i pubblici poteri furono percepiti inevitabilmente quali estranei e avversari (Pupo, 1994, 138). In un tale clima di avversione e paura per gran parte degli italiani verso il potere costituito venivano a mancare le premesse necessarie per il bilinguismo: i poteri popolari, al di là della facile retorica, non furono capaci di creare un clima di reciproca fiducia tra le due nazionalità e nemmeno di fornire una visione della società non più tesa agli etnocentrismi estremi, che tanto avevano contraddistinto l'epoca precedente. Il risultato di tale politica è che la parte italiana finí per recepire la normativa sulla bilinguità come l'ennesimo sopruso perpetuato da un potere ostile. In questo modo la normativa non poté in alcun modo diventare la base su cui costruire una forma avanzata di convivenza ed eguaglianza all'interno della realtà pluri-nazionale del distretto capodistriano, data proprio la mancanza di fiducia (da parte di una componente), elemento imprescindibile per tessere qualsivoglia interazione tra gruppi distinti. Al contempo, sembra opportuno precisare che per gli sloveni e i croati l'intro-duzione del bilinguismo fu percepita in maniera diametralmente opposta agli italiani. I primi videro nel provvedimento il coronamento di una giustizia sociale attesa da oltre venti anni. Soprattutto la negazione del diritto alla diversità linguistica, pro-mossa e attuata con estremo zelo dal regime fascista, era apparsa essere il prov-vedimento più irritante per le popolazioni non italiane, perché imponeva un'ulteriore compressione delle libertà individuali e di gruppo muovendosi sul terreno di una manifesta discriminazione su base nazionale. Per quanto riguarda la componente italiana essa fu danneggiata in particolar modo dall'introduzione del bilinguismo a causa del diverso grado di conoscenza linguistica e dai tempi d'introduzione della norma. Innanzitutto, il bilinguismo fu applicato in un contesto diversificato per cono-scenza linguistica - la popolazione italiana era sostanzialmente monolingue a dif-ferenza di quella slovena prevalentemente bilingue - e non fu sostenuto da un ade-guato periodo di formazione linguistica delle scuole italiane, basti pensare che la lingua slovena fu introdotta come materia obbligatoria unicamente nell'aprile del 328 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 1947 e solo per le medie (Troha, 1996), anche se il termine d'applicazione, come abbiamo visto precedentemente, sarebbe da far slittare ancora nel tempo. La stessa Troha ci conferma che, anche dopo l'arrivo delle forze jugoslave, l'uso della lingua italiana rimaneva nelle cittadine prevalente in tutti gli ambiti dell'am-ministrazione e anche nella pratica sino al 15 settembre del 1947 (Troha, 1996, 74) (termine temporale che va a coincidere sostanzialmente proprio con l'introduzione del plurilinguismo da parte del CPCI, datato 14 settembre dello stesso anno). Nono-stante la presente situazione, non ci fu un adeguato periodo di transizione o gradualità d'attuazione della norma: come si è potuto vedere, questa fu introdotta in tutti gli ambiti più importanti della vita sociale in appena dieci mesi. Infatti, se prendiamo in considerazione il primo documento sul bilinguismo del 28 gennaio fino agli ultimi documenti in materia del dicembre del 1947, possiamo affermare che tale processo poteva dirsi in sostanza completato nel periodo sopra considerato. A tal punto è lecito chiedersi per quale motivo fu introdotta una normativa cosî importante in un clima sociale quanto meno proibitivo (almeno per la gran parte degli italiani), senza alcuna gradualità, dato il diverso grado di conoscenza linguistica e con tempi di realizzazione davvero inaccettabili? Perché tale strumento, dietro il paravento della roboante propaganda del regime, fu applicato senza una giusta riflessione sulle conseguenze che avrebbe comportato sulla comunità italiana? Mancö davvero la dovuta riflessione sul tema o attraverso il bilinguismo si perseguî un altro obiettivo? Dai materiali esaminati, allo stato attuale dell'analisi, si evince che l'introduzione del bilinguismo, strumento legislativo garante dell'elevazione della pari dignità di tutte le lingue, oltre ad essere un ulteriore passo di avvicinamento alla Jugoslavia, colpî, come si è potuto vedere, soprattutto per la modalità con cui fu introdotto, maggiormente l'elemento italiano; non puö pertanto sfuggire la discriminazione dell'atto volto a creare tutt'altro che le premesse di uguaglianza tra i popoli della re-gione, cosî caldamente sbandierati dal regime, bensî a rendere ineguale la posizione di questi, basandosi proprio sulla disparità di conoscenza linguistica. Attaccando la lingua italiana nelle sue roccaforti veniva completata quell'ope-razione di penetrazione nel tessuto delle cittadine italiane, che ebbe come risultato davvero importante quello di insediare progressivamente una nuova amministrazione "più conforme" al nuovo corso e nazionalmente affine, consolidando cosî la presa di potere sugli organi cittadini dimostratisi non sempre affidabili. Difficile pertanto non ravvisare un'ulteriore forzatura in senso snazionalizzante nei palazzi delle istituzioni, in cui il bilinguismo veniva adoperato come base formale per l'insediamento graduale di funzionari sloveni o jugoslavi, discriminando l'elemento italiano monolingue. Insomma, come si è potuto vedere, anche il bilinguismo finî per essere vittima o meglio strumento di un potere che perseguiva finalità contrarie a quelle a cui diceva di ispirarsi. Laddove si propagandava l'uguaglianza tra sloveni, croati e italiani, nella 329 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 realtà della prassi si creavano le basi di una profonda disuguaglianza, contribuendo a minare in tal modo le fondamenta per una possibile ricomposizione tra i gruppi. Conclusioni Dopo la parentesi fascista fattasi portavoce del monolinguismo e della violenta oppressione di ogni idioma "alloglotto", la battaglia per la parità linguistica in queste terre, e quindi la definitiva emancipazione su un piano egualitario di popoli e storie culturali diverse, anche per il regime jugoslavo nel periodo considerato, rappresento un'occasione mancata e fonte di una ulteriore discriminazione al contrario. La liberalizzazione delle lingue, con l'introduzione del bilinguismo visivo in tutto il territorio, nelle amministrazioni, nei rapporti con il pubblico, in tutte le manife-stazioni della vita sociale nonché nella scuola, risulto vanificata a causa di un clima sociale di "paura" ed incertezza (almeno per la gran parte degli italiani) e da una obiettiva diversità di conoscenza linguistica, che avrebbe richiesto tempi di appli-cazione quanto meno rispettosi del diverso punto di partenza tra i due gruppi. Dietro gli slogan formali di libertà, fratellanza e uguaglianza, anche il principio formalmente avanzato sulla carta come il bilinguismo, privato della necessaria libertà e sicurezza individuale, non solo fu svuotato d'ogni valenza positiva, ma si rivelo essere un potente strumento di politica nazionale del regime; preda, come altre misure, di assolutismi nazional-ideologici, in piena collisione con i valori di dignità della persona. UVAJANJE DVOJEZIČNOSTI (TROJEZIČNOSTI) NA KOPRSKEM (1945-1948) Aleksandro BURRA Srednja šola Pietro Coppo, SI-6310 Izola, Zustovičeva ulica 6 e-mail: aleksandrob@yahoo.it POVZETEK Prispevek preučuje eno od poglavitnih lastnosti, ki zaznamujejo multietničnost koprskega območja, oz. enega najpomembnejših elementov, ki integrira in odraza narodnostno raznolikost tega prostora - jezik. Ta tematika je bila v primerjavi z drugimi temami, ki so zaznamovale obdobje po koncu druge svetovne vojne, obravnavana obrobno. Prispevek izpostavlja vprašanje jezika v trenutku, ko je tudi slovenščina postala uradni jezik in s tem oznanila zaton enojezične fašistične paradigme. Politika jugoslovanskega rezima je spodbudila revolucionarno preobrazbo 330 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 istrske družbe, hkrati pa je italijanskemu jeziku odvzela vlogo najpomembnejšega dejavnika, ki je vplival na družbeni status v istrski družbi. Uvajanje dvojezičnosti, ki sicer pomeni liberalizacijo različnih govorov na določenem ozemlju, kjer se jezikom (v tem primeru italijanskemu in slovenskemu) priznava polno dostojanstvo in enakopravnost v javni in zasebni sferi, pa je bilo v teh krajih žal samo formalno zastavljeno na načelih, kakršni sta enakost in bratstvo med različnimi narodi. Režim je namreč prav v trenutku udejanjanja dvojezičnosti pokazal, kaj z vidika narodnosti te vrednote v resnici predstavljajo in kako zelo so podvržene ciljem komunistične ideologije. Vpeljevanje dvojezičnosti se je izvajalo v ozračju, prežetem z bojaznijo in nezaupljivostjo (kar je veljalo vsaj za italijansko populacijo), v kontekstu različnega poznavanja jezika na obeh straneh, ter s hitrostjo in stopnjevanjem, ki se sploh nista ozirala na razlike med obema skupinama. Ce je pri drugih ukrepih, ki jih je izvajal režim, socialni značaj pogosto prevladal nad narodnostnim, pa je v tem primeru zelo težko spregledati diskriminatorno naravo dejanja, ki nikakor ni ustvarilo osnov za enakost med narodi na tem območju, ampak je, prav nasprotno, povzročilo njihovo neenakost na osnovi razlik v poznavanju obeh jezikov. To je omogočilo nastavitev nove, narodnostno skladnejše uprave v procesu počasnega in postopnega prevzema institucij z jasnim raznarodovalnim predznakom. Naj nazadnje poudarimo, da dvojezičnost - kot instrument zagotavljanja enakopravnega položaja narodov skozi uradno priznavanje jezikov - predstavlja zelo pomembno osnovo za medsebojno poznavanje in je lahko vir pravega povezovanja, če jo le izvajamo dosledno. Zal so te predpostavke pod pritiskom izpuhtele in podlegle moči politike, prežete z nacionalno-komunističnimi ideologijami, s tem pa je norma dvojezičnosti zašla v slepo ulico. Ze porušeno ravnotežje, ki je v režimu vladalo med obliko in vsebino, med zakonom in njegovim izvajanjem v praksi, se je tako še dodatno izpostavilo. Ključne besede: dvojezičnost, italijanska skupnost, cona B FONTI E BIBLIOGRAFIA ARC, 1 - Archivio regionale di Capodistria (ARC), Comitato distrettuale della Lega dei comunisti della Slovenia di Capodistria (SI PAK KP 450), b. 3. Relazione del Comitato cittadino capodistriano del P.C.R.G. al Comitato Circondariale del P.C.R.G. di Aidussina, 22. 1. 1946. ARC, 2 - ARC, Commissione distrettuale per la riforma agraria (SI PAK KP 521), b. 24. Circolare della Presidenza del Comitato popolare distrettuale Capodistria, 28. 2. 1947. 331 Aleksandro BURRA: L'INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO) ..., 313-333 ARC, 3 - ARC, Comitato popolare circondariale dell'Istria Capodistria (SI PAK KP 23), b. 1. Verbale del Comitato esecutivo popolare circondariale dell'Istria, 5. 12. 1947. ARC, 4 - ARC, SI PAK KP 23, b. 1. 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