Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 113 Brane Senegačnik Univerza v Ljubljani La via romana e la possibilità di un‘ identità culturale aperta 1 I concetti di «impero» e «via» differiscono sostanzialmente anche aldilà della scala se- mantica di entrambi i termini. In quale contesto è pertanto sensato parlare di una via nell’ambito di una discussione riguardo all’impero romano come formula politica, cul- turale o letteraria? Probabilmente il primo pensiero che sorge riguardo alla connessione di questi concetti è lo schema di un pensiero o di una prassi imperialista (nel senso di un atteggiamento di prevaricazione o di allargamento della propria sfera d’influenza) per quanto si riferisce ad una «via» specificamente politica, culturale o addirittura let- teraria. Tuttavia qui, al contrario, non ci riferiremo a quest’accezione. La definizione del filosofo francese Rémi Brague «Europe, la voie romaine», che rappresenta anche il titolo del suo libro (2003)1 ed il concetto di «impero romano» sono connessi dalla storia mede- sima: entrambe le idee sono sorte dalla base storica nella quale sono radicate. Del tutto evidente è che l’evoluzione storica specifica della cultura europea non potrebbe esistere senza l’esistenza dell’impero romano: su di essa ha infatti esercitato un’influenza decisiva tramite le sue conseguenze militari, politiche, economiche e, soprattutto, culturali. Però Brague con il suo concetto di «via romana» non si riferisce ad una formula culturale che avrebbe potuto ispirare e sostenere una politica imperialista e nemmeno ad una specifica forma culturale all’interno del suo contesto storico che si sarebbe potuta costituire come via «imperiale» o monarchica nel senso di un orientamento teoricamente costituito e politicamente e programmaticamente articolato e che sarebbe stata conseguentemente inglobata da parte della cultura europea in base a questo esempio concreto. Il nucleo della sua analisi si situa altrove: nella cultura romana riconosce una sorta di specifico sentimento della propria alterità che si manifesta in tutta una serie di valutazioni pra- tiche, di atteggiamenti e decisioni in base alle quali si è nel corso della storia formata l’identità culturale e religiosa europea. Quest’autocomprensione e la cultura che in essa si basa viene da parte dell’autore definita come «via romana». 1 Traduzione italiana: Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Milano: Ru- sconi, 1998. DOI:10.4312/ars.16.1.113-129 AH_2022_1_FINAL.indd 113 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 114 2 Probabilmente l’aspetto maggiormente originale dell’interpretazione di Brague consi- ste nel fatto di riconoscere una significativa similitudine tra il concetto storico di «ro- manità» ed il concetto antropologico di cultura: entrambi i concetti di «romanità» e di «cultura» sono da parte dell’autore considerati non originali, essenzialmente secondari anche dal punto di vista strettamente connesso con i valori che rappresentano; e pro- priamente nell’ambito di questa secondarietà, di questa «difettosità» riconosce i tratti dell’origine dell’identità europea e le cause della sua vitalità.2 Aldilà dell’aspetto stretta- mente storico di quest’accezzione – che dovrebbe essere sottoposta ad ulteriori deluci- dazioni – vorrei dedicarmi alla questione dei presupposti filosofici ed antropologici in base ai quali è possibile basare un’interpretazione culturale di questo tipo – pertanto ad una questione alla quale Brague, seppure filosofo, nell’opera menzionata, non dedi- ca maggior attenzione. In questo contesto cercherò di considerare costruttivamente il pensiero di Brague sia per quanto concerne eventuali attribuzioni successive, sia per quanto riguarda eventuali commenti critici. La cultura è qualcosa di secondario da un punto di vista di puro principio, men- tre la romanità lo è soltanto in un senso strettamente relativo, soprattutto riguardo alla sua posizione storica. Tuttavia anche la «romanità» non può considerarsi come categoria esclusivamente storica, cioè materiale e temporale: l’elemento più rilevante è che si tratta di qualcosa di non originale rispetto alla grecità (all’ellenicità) che è con- siderata «il fatto originario». Certamente nel periodo attuale la grecità non viene più considerata come qualcosa di originario, iniziale, giovanile o addirittura come una re- altà culturale suprastorica, nonostante varie forme di quest’accezzione possano essere riscontrate in diversi periodi culturali3 e questo punto di vista sia decisivo anche per l’accezzione di Brague. In questo senso l’originalità della grecità può essere considerata prevalentemente un aspetto di coscienza e pertanto in questo contesto – come tralal- tro la «romanità» – una categoria culturale: ciò significa che la relazione tra la grecità 2 Senza rinunciare al significato geografico del concetto di Europa (1992, 9-11), Brague sottolinea la sua mutabilità nel tempo, la risultante intangibilità e pertanto come modello d’identità europea assume l’idea di coscienza (1992, 13-14, 32-36). Con ciò è possibile attribuire alla cultura un ruolo particolare riguardo alla formazione identitaria. Nel contesto dell’analisi dell’identità religiosa europea attribui- sce un ruolo secondario al cristianesimo che è caratterizzato in rapporto alla tradizione ebraica ed in questo senso non considerato originario: questa «secondarietà del cristianesimo» viene da lui definita come «romanità religiosa» (la romanité religieuse) (1992, 60-86). 3 Soprattutto nel contesto della filosofia tedesca (post)romantica, ma non esclusivamente. Consideriamo ad esempio il pensiero di Hegel riguardo al mondo greco come un periodo giovanile della storia (1924, 57 e 117); oppure il pensiero di Marx riguardo alla grecità come ad un periodo infantile della storia (1953, 31 op. 21). Per Husserl l’Europa nasce nel periodo del rinascimento che proclama la Grecia come sua origine; la prefondazione (Urstiftung) dell’Europa è secondo Husserl la rifondazione (Nachstiftung) della prefondazione greca (Knies, 10); lo scrittore romantico P. B. Shelley considerava l’ideale della grecità come un simbolo atemporale (per una prospettiva generale vedi Tziovas, 2014). Tuttavia già nell’antichità ci imbattiamo espressamente nell’idea dell’assoluta autoctonia culturale degli Ateniensi nel campo della retorica classica (Isocrate, 4.23-25, Lisia, 2.17-19, vedi anche Demostene, 60.4-5). AH_2022_1_FINAL.indd 114 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 115 (l’ellenicità) e la «romanità» si basa soltanto parzialmente su una realtà strettamente storica e temporale.4 Tra le diverse formulazioni di Brague che si riferiscono alla cultura come fenomeno eminentemente «secondario» la più evidente potrebbe risultare la seguente (1992, 157): J’entend par ce dernier terme, en premier lieu, cette évidence banale que toute culture est seconde. Il est ainsi au niveau de chacun de ceux qui en portent l’empreinte: même si elle est acquise dans la petite enfance, ce qui la fait pa- raître ‚toute naturelle‘, la culture est acquise, et jammais innée. Par ailleurs, au niveau collectif, toute culture est l’héritière de celle ou celles qui l’a ou l’ont précédée(s). En ce sens, toute culture est terre d’ immigration. Mais il y a plus: la secondarité culturelle me semble avoir, dans le cas de l’Europe et d’elle seule, une dimension supplémentaire. L’Europe a en effet cette particularité d’être, pour ainsi dire, immigré à elle même. Je veux dire par là que le caractère secondaire de la culture y non est seulement présenté comme un fait, mais explicitement su et délibérément voulu.5 La secondarietà della cultura rappresenta quindi la sua caratteristica essenziale inerente in un senso che potremmo definire propriamente «tecnico», cioè nel senso di una modalità formale d’esistenza o di formazione, poichè la cultura esiste in quanto viene attivamente acquisita. Nel caso dell’Europa ciò diventa una sorta di direttiva basica coscientemente scelta, cosa che conseguentemente influisce pure sul suo «contenuto». In quest’accezione la cultura europea che consiste in effetti in una formazione identitaria culturale non può indirizzarsi verso la propria (presupposta) origine, verso un’era iniziale: «il n’est pas un re- tour vers ce qui est propre à la culture et qui aurait existé dans toute sa pureté aux origines fondatrices. Au contraire, il tend vers une source située en dehors de la culture européenne – en l’occurence, dans l’Antiquité gréco-latine«6 (Brague, 1992, 158). 4 Similmente si riferisce alle possibili definizioni di un’ identità europea Leszek Kołakowski (1990, 20). In questo contesto è necessario nuovamente menzionare Il panegirico di Isocrate, nel quale la grecità è probabilmente per la prima volta definita come modo di pensare e come tipo di educazione, cioè come identità culturale e non come identità sanguigna o nazionale (4.50). 5 «Con quest’ ultima definizione intendo in primo luogo l’evidenza banale che qualsiasi cultura è secon- daria. Ciò vale a livello di tutti coloro che ne portano l’impronta: sia che essa sia stata acquisita nel pe- riodo della prima infanzia, cosa che la fa apparire ‘del tutto naturale’, la cultura è acquisita e non è mai innata. Pertanto a livello collettivo qualsiasi cultura è l’ereditiera di quella o quelle che l’ha o l’hanno preceduta. In questo senso qualsiasi cultura è terra d’ immigrazione. Tuttavia è necessario dire di piú: mi sembra che la secondarietà culturale abbia, nel caso dell’Europa e solamente dell’Europa, una di- mensione supplementare. L’Europa ha in effetti questa singolarità d’ essersi, per dire così, immmigrata a se stessa. Con questo voglio ribadire che il carattere secondario della cultura in essa non è meramente presente come un fatto, ma esplicitamente saputo e deliberatamente voluto.» 6 «Non si tratta di un ritorno verso ciò che è proprio alla cultura e verso ciò che sarebbe esistito in tutta la propria purezza alle origini fondatrici. Al contrario, tende verso una fonte, situata al di fuori della cultura europea – cioè nel contesto della cultura greco-latina.» AH_2022_1_FINAL.indd 115 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 116 3 Questa singolarità dell’Europa (occidentale) viene illustrata da Brague mediante il confronto con due altre grandi («rispettabilissime», come sottolinea) civiltà: la civiltà bizantina e la civiltà islamica. La caratteristica di entrambe è di non aver conosciuto il rinascimento nel senso europeo occidentale di nuova nascita, ma di aver conosciuto processi che potremmo definire di risveglio o di rivitalizzazione (Brague in questo sesnso usa il termine inglese «revival»). In tutti questi processi «si tratta di un ritorno alle origini senza abbandonare la tradizione che sorge da queste origini, mentre il ri- nascimento in senso stretto significa alimentarsi da una fonte che è stata nel frattempo interrotta o non vi sia stata alcuna continuità tra loro e noi» (Brague, 1992, 158). I pro- cessi di risveglio o di rivitalizzazione sono comprensibilmente caratteristici in partico- lare modo, però non esclusivamente, per quanto riguarda l’ambito della vita religiosa. Qui ci dedicheremo soprattutto all’aspetto culturale nel senso stretto della parola. Nel mondo islamico si sono verificati diversi tentativi di rinnovamento culturale del sapere considerato come qualcosa di esterno e che è anche stato letteralmente e tecnicamente definito come «scienze esterne» (1992, 161). Brague menziona al riguar- do il sommario di al-Farabi per quanto concerne la trasmissione del sapere filosofico e scientifico che è stato trasmesso agli Arabi da parte dei Caldei tramite gli Egiziani, i Greci ed i Siriaci ovvero i cristiani;7 ed anche l’edizione di Aristotele, commentata da Averroè, nella quale l’autore tenta di epurare il pensiero dello Stagirita di tutti gli ele- menti neoplatonici che vi sarebbero stati introdotti da Avicenna (ibid.). Tuttavia questi processi si sono arrestati quasi immediatamente; la dominazione assoluta delle «scien- ze esterne» (sciences extérieures) ad uso interpretatitvo del Corano non significa un rifiuto ma «un’eccessiva assimilazione delle ʻscienze tradizionaliʼ, l’assorbimento delle fonti esterne che avrebbe frenato la dinamica dell’evoluzione culturale» (1992, 162). La storia della cultura bizantina conosce diverse «nuove nascite»: ad esempio il rinnovamenteo degli studi filologici e letterari nel IX secolo e nel XI secolo (Ioannes Italos, Michael Psellos, l’idea di Gemistio Pletone di un ritorno ad un paganesimo re- staurato nel XV secolo. Tuttavia in tutti i casi menzionati si tratta di un rinnovamneto del proprio passato, di un riappropriamento di ciò che sin dal principio è stato consi- derato come appartenente al mondo bizantino (Brague, 1992, 159–160). 4 Per quanto concerne l’identità europea in senso stretto, cioè l’identità dell’Europa oc- cidentale o latina, è decisivo il riferimento a fonti esterne. Quest’apertura certamente non è un tratto esclusivamente «romano» e da sola non è sufficiente per ciò che Brague 7 Conf. Mahdi, 1969, 50. AH_2022_1_FINAL.indd 116 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 117 definisce «l’atteggiamento romano» (l’attitude romaine). Tra gli autori più rinomati del periodo greco classico c’imbattiamo nella convinzione che essi stessi hanno nel passa- to vissuto come barbari e che hanno assunto diversi aspetti da altre culture.8 Cionondi- meno i Greci per questo motivo non si sentivano inferiori: acquisivano nella coscienza di poter arricchire quanto acquisito. Per quanto concerne «l’atteggiamento romano» è al contrario decisivo proprio questo: la fonte straniera ed esterna da cui si imbevono è dai Romani considerata superiore. Quest’ «atteggiamento romano» viene da parte di Brague illustrato tramite diverse citazioni di celebri autori romani che parlano della povertà della lingua latina rispetto alla lingua greca.9 È pertanto del tutto evidente che ciò non può rappresentare nella sua interezza l’atteggiamento dei Romani nei con- frontti della lingua e della cultura greca e nemmeno nei confronti di ciò che i Romani intendevano come propria identità originaria. In realtà si tratta di un processo molto più complesso. Anche presso gli autori che sono inclinati all’apertura nei confronti della cultura greca possiamo notare una fiducia nella propria tradizione linguistica ed un senso di sovranità culturale. Così Cicerone a più riprese ribadisce non soltanto che anche la lingua latina è adatta alla filosofia (De finibus 1.1; 1.5; 5.96), ma è in alcuni riguardi più ricca e più creativa della lingua greca (ad esempio: De natura deorum 1.8; Tusculanae disputationes 1.1-2; 1.15; 3.10). L’introduzione delle forme poetiche e dei metri lirici greci dimostra indubbiamente l’ammirazione nei confronti dei modelli greci, seppure il principio che in questo caso guida i poeti latini non è la semplice imi- tazione, ma il concetto di aemulatio, cioè di concorrenza agonica. Come esempio quasi emblematico della coscienza di sé della poesia romana possono apparire le parole con le quali Properzio gratifica il processo creativo dell’Eneide da parte di Virgilio: «Cedite Romani scriptores, cedite Graii, // nescio quid maius nascitur Iliade» (Eneide II, 34. 65-66). Persino l’ammirazione di Orazio nei confronti di Pindaro (Carmina IV, 2) è una figura del tutto retorica che si pone uno scopo totalmente differente.10 Il contatto con la cultura greca, soprattutto nel periodo del suo rafforzamento per motivi di ca- rattere politico-militare, suscitava infatti diverse preoccupazioni morali ed un senso di minaccia per quanto riguarda le virtù primigenie romane, che si concretizzavano nei 8 Conf. Erodoto, 2.53; Tucidide, 1.6; Platone, Cratilo 397c9-d2 e 421d4. 9 Lucrezio, De rerum natura 1.139; 832; 3.260; Cicerone, De finibus 3.2.5; Seneca, Epist. 58.1; Plinio il Giovane 4.18; Girolamo, Epist. 114. 10 È difficile stabilire se nella pittoresca recusatio, nel rifiuto del tema poetico, in questa ode siano presenti toni leggermente ironici. La grandezza di Pindaro che viene illustrata da Orazio in termini eccezionali e forse tramite immagini ironicamente eccessive rappresenta in sostanza lo sfondo (foil), sul quale pro- ietta la propria diversità e non la propria «minorità» nel senso d’ inferiorità: rispetto al cigno-Pindaro Orazio presenta se stesso come l’ape di Callimaco, come un poeta di natura diversa; e proprio in virtù di questa natura diversa non si considera adatto a scrivere poesia celebrativa alla quale è stato invita- to nell’anno 16 o 15 da parte di Giulio Antonio nel corso della preparazione del trionfo di Augusto (Fraenkel, Horace, 433). Che si tratti di una figura retorica che acquisisce il suo significato soltanto nel contesto intertestuale è tanto più evidente dal fatto che Orazio in effetti scriveva poesia in uno stile pindarizzante, e ciò non solamente altrove (C. 1.2 e 3.4), ma anche nella terza, e soprattuto nella quarta e quattordicesima ode di questo stesso (IV) libro (Highbarger, 1935, 224; Gantar, 1993, 34). AH_2022_1_FINAL.indd 117 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 118 concetti di mos maiorum e pristinae virtutes. Solamente una parte della società romana era filoellenica; d’altro canto bisogna però ribadire che anche alcuni pensatori greci, come il filosofo Panezio e lo storico Polibio, si sono culturalmente «romanizzati» nel senso di considerare lo stato romano, che non era lo spazio della loro cultura d’origine, come una forma culturale più elevata – una sorta di futuro del mondo determinato dal destino. Potremmo dire di più: negli scritti di Cicerone, soprattutto nel De re publica, le più acute dispute riguardo all’imperialismo romano sono connesse con le idee di que- sti pensatori.11 Il fatto di maggiore importanza è probabilmente ciò che Biagio Conte dice a proposito di Catone il Censore: al contrario dell’immagine leggendaria del ne- mico di qualsiasi forma di grecità che ci è stata trasmessa dalla tradizione si tratta da parte sua di una moderata e selettiva accettazione degli elementi greci, ciò significa di quel tipo di atteggiamento che è infine prevalso e che è divenuto la base culturale nel periodo della tarda repubblica ed anche nell’età imperiale (Conte, 1992, 56 e 74). Tutto ciò sembra di grande importanza anche per una comprensione corretta dell’»atteggiamento romano« di Brague, che viene da lui stesso descritto come «l’at- titude de ce qui se sait appelé à renouveler de ‚ancien‘»12 (1992, 50). L’intenzione di Brague infatti non è un‘ esatta definizione storico culturale dei rapporti romani nei confronti della grecità, ma, come abbiamo già ribadito, il tentativo di determinare so- prattutto una sorta di stato d’animo generale, una sorta di non pienamente cosciente e semiarticolato rispettoso rapporto nei confronti del mondo ellenico «esterno», che è caratterizzato da tutta una serie di oscillazioni e sfumature, ma che nondimeno alla fine prevale: «Il ne s’agit pas ici de faits objectifs, d’ailleurs bien difficiles à mesurer; il s’agit bien plutôt d’une impression d’ordre affectif» (1992, 53).13 Successivamente «l’atteggiamento romano» si è manifestato nella storia lingui- stica europea e nel rapporto tra il cristianesimo e l’ebraismo. La lingua latina nel 11 Polibio è probabilmente il primo interprete storico/filosofico dell’ascensione imperiale romana, seppure rimane aperta la questione se sia possibile riscontrare nella sua opera anche una base teorica o una giu- stificazione dell’imperialismo romano: gli studiosi (Hammond 1948, 116-117; Musti 1978, 143; Daubner 2022) sono al riguardo abitualmente riservati, mentre ad una risposta positiva sembra inclinato Walbank (1974). La formazione di questa teoria viene spesso attribuita al filosofo greco stoico Panezio in connes- sione con elementi di filosofia platonica ed aristotelica (Capelle, 1932, 94 sqq.; Franklin, 2003; Fitzpatrick, 2010, 9-10), però sono in disaccordo riguardo al fatto se Panezio abbia esercitato un’ influenza diretta su Polibio (contra Strassburger, 1965, pro Mohay, 2007 e Fitzpatrick, 2010, 11). Scherr (2022, 219-220), che fornisce la delucidazione più complessa e sfumata di questa problematica, dubita che sia possibile interpretare l’opera di Polibio nel senso di una giustificazione dell’imperialismo romano, ma allo stesso tempo dimostra che nella sua opera sono effettivamente presenti tutti gli elementi dai quali si è successi- vamente – presso Panezio, Posidonio e Cicerone – sviluppata questa teoria. Già presso Polibio, il peripa- tetico Critolao e lo stoico Diogene di Babilonia è possibile imbattersi nella possibiltà teorico-ideologica di un' opposizione alla negazione della possibilità di un impero giusto da parte di Carneade. Per un' interessante delucidazione riguardo alle attuali teorie sull’imperialismo (Ferguson, 2005; Hardt e Negri, 2000) in connessione con le tesi di Carneade vedi: Fitzpatrick, 2010, 14. 12 «L’atteggiamento di colui che si considera chiamato a rinnovare a partire dall’antichità.» 13 «Qui non si tratta di fatti obiettivi che sono peraltro difficilmente misurabili; si tratta piuttosto di un’ impressione di carattere affettivo.» AH_2022_1_FINAL.indd 118 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 119 periodo medievale, ma anche successivamente nell’età moderna, è per lungo tempo sopravvissuta come lingua scientifica comune, però soprattutto per motivi pratici e non perché le sia stato attribuito il ruolo di lingua assoluta dal punto di vista metafi- sico. Proprio perciò è stata possibile la lenta affermazione graduale delle lingue delle singole nazioni in tutti gli ambiti, anche nell’ambito dell’alta letteratura. L’Europa deve anche la propria varietà linguistica alle proprie origini ed al suo pluralismo originario (1992, 52-53). Tramite l’affermazione del cristianesimo che si definisce coscientemente come qualcosa di diverso rispetto all’ebraismo veterotestamentario, nel quale rimane tuttavia radicato, il concetto di alterità si è affermato anche in rap- porto all’Assoluto: anche l’identità religiosa europea è divenuta, in quest’accezione, eccentrica (1992, 142). 5 Però la definizione di cultura necessariamente presuppone un altro aspetto estrema- mente importante che è stato già menzionato nel contesto della sua alterità (seconda- rietà). Brague lo definisce con il termine ciceroniano: cultura animi14 che in sostanza significa attività spirituale (1992, 173). La cultura secondo quest’accezzione infatti non è qualcosa che appartiene al singolo individuo o alla comunità ma »il risultato di un’ar- dua lotta« (ibidem, conf. anche 1992, 178-180). In base a questo specifico indirizzarsi della cultura verso l’esterno, che risulta connesso con uno sforzo attivo, Brague svilup- pa tutta una serie di definizioni della cultura europea che possono apparire parados- sali, ma soltanto superficialmente, e soprattutto non sono peggiorative e posseggono un significato etico positivo. Oltre al già menzionato «trasferimento a se stessa» si trat- ta: dell’«adozione inversa» (adoption inverse) ovvero della scelta dei propri antenati; dell’immagine dell’Europa come dello spazio vitale dei supportati (bousiers), degli ar- rivisti (parvenus) e la convinzione che proprio ciò rappresenta la sua grandezza (1992, 167). L’appropriazione di quanto è estraneo non presuppone pertanto un problema di carattere etico ma rappresenta l’origine legittima e creativa della cultura europea e rappresenta la sua differenza specifica. Pertanto: «L’Europe se distingue des autres mondes culturels par le mode parti- culier de son rapport au propre: l’appropriation de ce qui est perçu comme étranger»15 (1992, 120). L’identità culturale europea è pertanto decentrata. Il fatto che si sia im- bevuta e formata presso fonti diverse (l’ebraismo e successivamente il cristianesimo da un lato ed il paganesimo antico dall’altro lato) e quindi non sia omogenea, è stato nel corso della sua storia a volte considerato soprattutto come una fonte di dilemmi 14 Tusculanae disputationes, 2.13. 15 «L’Europa si distingue dagli altri mondi culturali per le modalità particolari del suo rapporto verso il proprio: l’appropriazione di ciò che è percepito come straniero.» AH_2022_1_FINAL.indd 119 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 120 interni e di conflittualità, come un problema disgiuntivo impellente riguardo al suo futuro. La tematizzazione più famosa a questo riguardo è probabilmente l’opera di Lev Chestov Athènes et Jérusalem (Chestov 1967). Brague al contrario, con il concetto di «via romana», attribuisce a questo fatto un significato ed un valore completamente diverso: nella decentralizzazione della sua cultura scorge l’essenza e la fonte della sua vitalità. In modo molto simile considera l’identità europea Leszek Kołakowski, che viene da lui illustrata, affermativamente, come la capacità di un autodistanziamento razionale (1990, 22): On one hand, we have managed to assimilate the kind of universalism which refuses to make value judgements about different civilizations, proclaiming their intrinsic equality, on the other hand, by affirming this equality we also affirm the exclusivity and intolerance of every culture – the very things we claim to have risen above in making that same affirmation. There is nothing paradoxical in this ambiguity, for even in the midst of this confusion we are affirming a distinctive feature of European culture at the peak of its maturity: its capacity to step outside its exclusivity, to question itself, to see itself throu- gh the eyes of others.16 Possiamo quindi affermare che «l’attegiamento romano» della cultura europea si basa sul presupposto che la medesima è originariamente soltanto una forma vuota, una sorta di tabula rasa che è possibile liberamente riempire con le scritture e le frasi di culture diverse? Si tratta di un atteggiamento di assoluta apertura oppure di un inces- sante processo di autocostruzione? Qualcosa di questo genere certamente non è possi- bile nell’ambito della storia reale dove la cultura implica determinate forme d’identità statica, poichè concrea ad esempio misure etiche concrete e obbligatorie ed il contesto legale dello stato. L’identità culturale deve essere in realtà definita anche positivamen- te, e perciò limitata – nel caso della «romanità» questa limitazione assolutamente non deve essere totale, eccessivamente ristretta o eccessivamente rigida; al contrario – i limiti dell’identità debbono essere coscientemente e volontariamente formati in modo da poter risultare «permeabili» e mobili nel tempo. Forse potremmo descrivere que- sti limiti con il termine di «osmotico» nel senso usato da Miguel de Unamuno per descrivere i limiti della persona nel suo tentativo di differenziare questo concetto dal 16 «Da un lato siamo riusciti ad assimilare un tipo di universalismo che, proclamando la loro intrinseca uguaglianza, rifiuta di esprimere dei guidizi riguardo ai valori appartenenti a diverse civiltà; dall’altro lato, affermando quest’ uguaglianza, allo stesso tempo affermiamo l’esclusività e l’intolleranza di qual- siasi cultura – le medesime cose che riteniamo di aver superato esprimendo questa medesima afferma- zione. In quest’ambiguità non vi è nulla di paradossale, poichè anche all’interno di questa confusione affermiamo un tratto distintivo della cultura europea al culmine della sua maturità: la sua capacità di uscire dalla sua esclusività, di porsi in questione, di vedere se stessa attraverso gli occhi dell’altro.» AH_2022_1_FINAL.indd 120 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 121 concetto di «individuo», da lui considerato come un’entità con limiti fissi ed impe- netrabili; i primi consentono un’interazione dinamica della persona con i contenuti di altre persone, i secondi invece la tramutano in qualcosa di statico, immutabile e la differenziano dai contenuti delle altre persone soltanto da un punto di vista formale e ciò significa che quest’ultima può rimanere persino indeterminata (1954, 87)17. Il suo nucleo vive una vita dinamica e non è vuoto o totalmente »amorfo«.18 Tutto ciò sembra estremamente vicino a ciò che possiamo leggere nel passaggio citato di Conte riguardo alla fusione della cultura latina con la cultura greca: una sintesi di conservativismo politico-sociale e dei moderati «atteggiamenti illuministi» greci è diventata la base del pensiero etico-politico di Cicerone ed ha caratterizzato l’esito della cultura latina nel periodo della tarda repubblica (Conte, 1992, 74). 6 Ma quale potrebbe essere stato il (non dichiarato) fondamento antropologico di quest’atteggiamento? Su quale presupposto potrebbe essere fondata una cultura indi- rizzata verso una fonte esterna (Brague) ed una cultura che è capace di vedere se stessa attraverso gli occhi dell’altro (Kołakowski)? A prima vista potrebbe trattarsi della con- vinzione di una realtà universale umana, alla quale appartengono tutte le culture; le diverse culture sono in quest’accezzione soltanto forme diverse dell’articolazione del rapporto con questa realtà trascendente. (Il fondo trascendente della realtà qui non è considerato in termini religiosi – seppure l’elemento religioso non è necessariamente escluso – ma si riferisce alla totalità della realtà che si sviluppa nel tempo e che non è controllabile dal punto di vista concettuale o addirittura tecnico, nonostante allo stesso tempo sia impossibile escludere la sua influenza sullo spazio vitale umano e sociale.19) A causa della natura trascendente della realtà ognuna di queste singole culture è stret- tamente relativa e pertanto limitata; d’altro canto proprio a causa di quest’appartenenza 17 Per comprendere questa differenza è importante la concezione della persona, formulata da Unamuno, nella sua interezza e che viene dall’autore sviluppata nell’opera citata. 18 Ad ogni modo è evidente che non è possibile spiegare l’identità della persona e della cultura allo stes- so modo, anche se entrambe si basano sul concetto di coscienza. L’identità culturale è collettiva ed include soltanto una parte dell’identità personale; l’identità personale non è riducibile ad elementi «esterni», fisici e culturali, ma è data direttamente come autosensazione, mentre per l’identità culturale sono decisivi proprio gli elementi «esterni», culturali, che sono permanentemente a disposizione degli appartenenti ad un gruppo (ad esempio: la coscienza di un’ origine mitica o storica comune, i valori cardinali, le misure etiche di base e gli atteggiamenti ecc.) 19 Questa realtà trascendente deve essere intesa in senso etimologicamente coerente, pertanto non come qualcosa che si situa del tutto aldilà, ma come qualcosa che è parzialmente alla portata delle articola- zioni culturali ed allo stesso tempo le trascende, «va aldilà di esse». Il cerchio illuminato della realtà culturalmente articolata si trasforma nel corso della storia e differisce da cultura a cultura (non di ultimo la realtà medesima si riproduce anche tramite l’attività delle singole culture), però tutto ciò non influisce sull’essenza del problema: la totalità rimane più vasta dei circoli illuminati delle singole articolazioni culturali. Riguardo quest’aspetto vedi l’interessante tesi sociologica di Thomas Luckmann riguardo ad una trascendenza «piccola», «media« e «grande» (Luckmann, 1996). AH_2022_1_FINAL.indd 121 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 122 universale a questa realtà comune le forme ed il contenuto di ogni cultura sono sostan- zialmente rilevanti per tutte le rimanenti culture, alcune di esse sono addirittura com- patibili con le forme ed i contenuti di altre culture o persino convertibili. In questo senso è possibile interpretare il desiderio di apprendere, l’autentico inte- resse per delle fonti esterne che non si basano su ambizioni imperialistiche di domina- zione e sfruttamento. Su uno sfondo trascendente comune qualsiasi forma culturale è potenzialmente rilevante per tutte le altre: questo tipo di apertura culturale rappresen- ta in primo luogo un’apertura nei confronti della realtà ed il risultato di quest’apertura è una vivida diversità formale. In questo senso un’assimilazione eccessiva diminuisce il senso d’apertura e rappresenta un fattore inibitorio per quanto riguarda la crescita cul- turale. D’altro canto i rapporti interculturali sono condotti in base all’(auto)critica che non sorge esclusivamente dai confronti reciproci, ma si forma in base alla realtà »pre- culturale« comune, che è stata da parte nostra definita come «fondo trascendente»: l’importanza delle specificità culturali dipende anche dall’estensione e dalla rilevanza di una parte di questo sfondo o dalla totalità dello spazio vitale alle quali si riferisco- no. Infine è difficile non concordare riguardo al fatto che «la libertà e la verità non sono meramente un’eccenticità locale allo stesso livello dell’uso della gonna scozzese o dell’abitudine di mangiare lumache» (Brague, 1992, 234). Quest’osservazione cari- caturale si riferisce alle difficoltà nel contesto delle teorie antropologiche che presup- pongono un’oggettività simile a quella presupposta dalle scienze moderne biologiche e conseguentemente la neutralità morale dell’oggetto del proprio studio ed equiparano i limiti della realtà con i limiti del porprio contesto concettuale aprioristicamente deter- minato. Il livellamento praticamente totale dei fenomeni culturali è soltanto una delle possibili conseguenze problematiche di questo modello. La difficoltà maggiore è che simili teorie non possono dimostrare quale sia la posizione che consente una prospet- tiva «suprastorica» che possa ad esse attribuire un’autorità epistemologica. Seppure tracciano la propria «geometria della realtà» partendo da presupposti storicamente determinati, ad essi tacitamente attribuscono un carattere ultrastorico. Un problema singolare in questo contesto è il loro estremo impegno etico che si trova in contraddi- zione interna con il loro atteggiamento oggetivistico. Sembra che in questo siano gui- date da impulsi morali che sono forse giustificati, ma che rimangono irriflessi. Questo apriorismo, che sfugge alla riflessione ricorrendo ad un autoconvincimento morale ed all’esclusivismo che rimangono privi di argomentazione, rimane estremamente pro- blematico nel contesto della concettualizzazione che si riferisce alle forme di pensiero e di cultura imperialista; in esso potrebbe infatti nascondersi persino il pericolo di un «di una forma di imperialismo culturale più conforme all‘epoca nostra». Proprio rispetto a queste difficoltà è possibile illustrare ancora più chiaramente l’idea di realtà trascendente espressa in passo seguente di Kołakowski (1988, 118-119): «We shall never get rid of the temptation to perceive the universe as a secret script to AH_2022_1_FINAL.indd 122 20. 01. 2023 08:30:38 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 123 which we stubbornly try to find the clue. And why, indeed, should we get rid of this temptation which proved to be the most fruitful source in all civilizations except our own (or, at least, its dominant trend)? And where does the supreme validity of the ver- dict which forbids us this search come from? Only from the fact that this civilization – ours – which to a large extent has got rid of this search proved immensely succesful in some respects; but it has failed pathetically in many others.»20 Come ribadisce Ma- ria-Jolanda Flis (2019, 38) il rifiuto di questa concezione della realtà, sul quale lo scien- tismo fonda se stesso, ha delle conseguenze estremamente radicali nell’ambito dell’an- tropologia e della cultura: «From this perspective, scientism – a unique product of European culture – stands in fundamental contradiction to the nature of (self-aware) human existence which relentlessly seeks out the senses and meanings rooted in the universe.»21 E certamente la posizione dello scientismo è molto più problematica: già il porsi il quesito se la vita umana abbia un senso ed addirittura la risposta negativa a questo quesito implicano una distanza da una definizione dell’uomo puramente biolo- gica: lo scientismo medesimo come opzione teoretico-filosofica nel senso stretto della parola è possibile soltanto in virtù di questa distanza; le sue delucidazioni apologetiche che tutto ciò che è impossibile esaustivamente interpretare biologicamente è dovuto all’attuale parziale incapacità della scienza o che si tratta di un epifenomeno, richie- dono una fede molto più radicale di quella nella misteriosa scrittura dell’universo. A seguito dell’abbandono della prospettiva metafisica e dell’abbandono delle concezioni riguardo alla sfera spirituale umana si è all’interno di questa distanza stabilito il mito della ragione, il presupposto fondamentale della struttura razionale umana ed uni- versale che rimane indefinibile dal punto di vista strettamante razionale (Kołakowski, 1989, 41). Questo vuoto metafisico è stato da allora in poi riempito in vari modi: ad esempio mediante delle teleologie storico-etiche che sarebbero in grado di ricoprire il tutto trascendentale e di attribuirgli un senso; oppure mediante un’interpretazione utilitaria della cultura nel senso di «reducing the uncertainties of the world»22 e di tra- sformazione dell’«amorphous chaos into a system of probabilities that simultaneously is predictable and can be manipulated»23 (Bauman, 2018, 27 e 58). A differenza dello 20 «Non dovremmo mai liberarci dalla tentazione di perceprire l’universo come una scrittura segreta per la quale ostinatamente cerchiamo di trovare la chiave. E perchè dovremmo liberarci da questa tentazione che è evidentemente la fonte più fertile in tutte le civiltà tranne la nostra (o perlomeno del suo corso dominante)? E da dove proviene la suprema validità del verdetto che ci impedisce questa ricerca? Soltanto dal fatto che questa civiltà – la nostra – che si è in larga parte liberata di questa ricerca si sia dimostrata immensamente vincente in alcuni aspetti; ma è pateticamente fallita in molti altri.» Vedi anche Kołakowski 1969, 560-561. 21 Da questo punto di vista lo scientismo – un prodotto unico della cultura europea – si pone in contrad- dizione fondamentale nei confronti della natura (autocosciente) dell’esistenza umana che incessante- mente cerca di comprendere il senso ed i significati radicati nell’universo. 22 «Riduzione delle incertezze del mondo». 23 «Caos amorfo in un sistema di probabilità che sono simultaneamente predicibili e possono essere manipolate.» AH_2022_1_FINAL.indd 123 20. 01. 2023 08:30:39 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 124 scientismo questi atteggiamenti o meglio queste teorie perlomeno ammettono l’esi- stenza di una realtà trascendente, seppure non la considerano come una trascendenza nel vero senso della parola, ma come un proprio spazio operativo, come l’oggetto della propria sorveglianza ed infine come una posizione dalla quale possono selezionare la realtà. 7 Certamente è del tutto possibile che nella storia reale il menzionato «atteggiamento romano» venga abusato e venga interpretato come una forma superiore di cultura alla quale appartengono diritti particolari ed in base a ciò gli venga attribuito un ruolo storico imperiale. La storia culturale europea con il suo appello all’universalizzazione rappresenta forse un esempio di questo genere, soprattutto nei suoi capitoli moderni. È necessario pertanto qui sottolineare due aspetti: l’idea di una cultura universalmente aperta così abusata si è infine potuta rivolgere contro le sue stesse falsificazioni impe- rialiste. E, cosa che è ancora più importante: ciò si è potuto verificare poichè questa falsa interpretazione è in contraddizione interna con la stessa logica di apertura che si basa sul rapporto diretto di ogni cultura nei confronti della realtà trascendente. L’opera di Brague sulla «via romana» europea, che è permeata da un previdente ottimismo, è sorta trent’anni fa. Nel frattempo l’Europa è mutata in diversi aspetti e ciò non è stato ignorato da parte dell’interprete francese della sua storia culturale. La questione fondamentale della cultura e della civiltà europea è da lui considerata la que- stione della legittimità dell’essere umano che la modernità non è in grado di definire (Brague, 2014, 34-37). Da ciò sorge il quesito, che l’autore si pone, non sans angoisse, se l’Europa non sia divenuta lo spazio del nichilismo (2014, 24). Anche questa situazione nuova viene da lui illustrata tramite un concetto latino, al quale precedentemente non ha dedicato eccessiva attenzione, il concetto di fides: e cioè – tramite il rifiuto totale di tutto ciò che può significare questa parola, l’assenza di fede in qualsiasi cosa e la totale assenza di qualsiasi convinzione politica o morale (2014, 24). I motivi profondi di questo stato di cose debbono a sua opinione essere rintracciati nella differenziazio- ne tra l’essere ed il bene: quest’ultima infatti all’inizio rappresentava una via verso la comprensione dell’essere (l’être) umano come una proprietà priva di contenuto etico e neutrale (l’existence brute) che è aggiunta all’essenza non necessariamente ossia contin- gentemente, per cui è stata gradualmente concepita come contingenza assoluta, come pura casualità. Il desiderio verso l’essere ovvero il desiderio umano di vivere così non è più automaticamente concepito come un desiderio verso il bene, e quest’esistenza ca- suale può addirittura concepirsi come un fardello (cosa che è caratteristica nel periodo romantico) o persino come qualcosa che è contrario all’ordine dell’universo, qualcosa che minaccia il mondo dal punto di vista ecologico e morale (Brague, 2011, 39-45). AH_2022_1_FINAL.indd 124 20. 01. 2023 08:30:39 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 125 Certamente attualmente questo non è un problema puramente accademico, come sug- gerisce lo stesso Brague, e certamente trascende anche il tema dell’imperialismo e delle sue radici romane. Però il problema della leggittimità del fenomeno umano indub- biamente riguarda anche il mondo accademico e culturale, e le modalità secondo le quali viene trattato o non trattato non sono sempre disgiunte dagli schemi di pensiero «imperialistici» anche nel caso si tratti di dichiarate critiche dell’imperialismo. Ad ogni modo tutto questo è un altro tema. Bibliografia Bauman, Z., Sketches in the Theory of Culture, Cambridge 2018. Brague, R., Europe, la voie romaine, Paris 1992. Brague, R., Les ancres dans le ciel, Paris 2011. Brague, R., Modérément moderne, Paris 2014. Capelle, W., Griechische Ethik und römischer Imperialismus, Klio 25 (1932), pp. 86-113. 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AH_2022_1_FINAL.indd 126 20. 01. 2023 08:30:39 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 127 La via romana e la possibilitá di un‘ identità culturale aperta Parole chiave: Europa, romanità, identità culturale, antropologia, Rémi Brague, Les- zek Kołakowski Certamente non è facile distinguere l’eredità culturale latina dall’imperialismo roma- no, poichè in questo caso si tratta di una sorta di espansionismo culturale – nondi- meno il filosofo francese Rémi Brague ha cercato, senza trascurare la realtà storica, di definire come suo tratto centrale l’eccenticità, cioè il fatto di trarre la propria identità da una fonte esterna. Partendo dal concetto che la cultura é un elemento acquisito, qualcosa di secondario, la cultura medesima in quest’accezione, che sorge dalla propria alterità rispetto all’altro, acquisisce un ruolo estremamente importante. Quest’atteggia- mento viene definito come «via romana» e viene considerato dall’autore una formula specifica che definisce l’evoluzione di tutta la cultura europea. Le sue fonti esterne sono la grecità, che la cultura europea ha ereditato dal paganesimo romano, e la tradizione religiosa ebraica nella quale è radicato il cristianesimo. Sembra che questa formula si sia realizzata nel contesto reale in base a due presupposti: il primo è – aldilà delle inevitabili dinamiche trasformazioni – un minimo nucleo duraturo; il secondo una realtà antropologica che rappresenta un elemento di trascendenza rispetto alle singole realtà culturali, al quale tutte appartengono. Quest’ultimo concetto, che è stato alcuni decenni fa sottolineato da Leszek Kołakowski, pone un’interessante sfida ai paradigmi scientisti della sociologia attuale ed inaugura nuovi aspetti alla discussione riguardo all’imperialismo. The roman way and the possibility of an open cultural identity Keywords: Europe, Romanity, cultural identity, anthropology, Rémi Brague, Leszek Kołakowski It is certainly not easy to distinguish Latin cultural inheritance from Roman imperi- alism, as in this case it is a kind of cultural expansionism - nevertheless, the French philosopher Rémi Brague has tried, without disregarding historical reality, to define eccentricity, i.e. drawing one‘s identity from an external source, as its central trait. Starting from the concept that culture is an acquired element, something secondary, culture itself in this sense, which arises from one‘s own otherness with respect to the other, acquires an extremely important role. This attitude is referred to as the ‚Roman AH_2022_1_FINAL.indd 127 20. 01. 2023 08:30:39 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 128 way‘ and is considered by the author as a specific formula defining the evolution of all European culture. Its external sources are Greekness, which European culture inher- ited from Roman paganism, and the Jewish religious tradition in which Christianity is rooted. It seems that this formula has been realised in the real context on the basis of two assumptions: the first is - beyond the inevitable dynamic transformations - a minimum enduring core; the second is an anthropological reality that represents an element of transcendence with respect to individual cultural realities, to which they all belong. The latter concept, which was emphasised a few decades ago by Leszek Kołakowski, poses an interesting challenge to the scientist paradigms of current soci- ology and opens up new aspects to the discussion on imperialism. Rimska pot in možnost odprte kulturne identitete Ključne besede: Evropa, rimskost, ekscentričnost kulture, kulturna identiteta, antro- pologija, Rémi Brague, Leszek Kołakowski Dediščino rimske kulture je težko razločiti od rimskega imperializma, ki je neke vr- ste kulturni ekspanzionizem, nasprotno pa je francoski filozof Rémi Brague, ne da bi ignoriral zgodovinsko realnost, kot njeno bistveno potezo opredelil ekscentričnost, to, da je svojo identiteto črpala iz zunanjega vira. Ker je zanj kultura kot taka nekaj pridobljenega, drugotnega, ima v taki drži, ki izhaja iz lastne drugotnosti v odnosu do drugega, kultura prav posebej poudarjeno vlogo. Takšno držo imenuje »rimska pot« in v njej vidi specifičen vzorec, po katerem se je razvila evropska kultura. Nje- na zunanja vira sta grštvo, ki ga je podedovala od poganskega Rima, in judovsko religiozno izročilo, v katerem je ukoreninjeno krščanstvo. Zdi se, da je tak vzorec v realni zgodovini mogoč ob dveh predpostavkah: prva je trajno, četudi minimalno in dinamično preoblikujoče se lastno jedro; drugo pa antropološka realnost, ki je z oziroma na vse posamezne kulture transcendentna, ki pa ji obenem vse pripadajo. Ta zadnji koncept, ki ga je že pred desetletji skiciral Leszek Kołakowski, zastavlja zanimiv izziv scientističnim paradigmam sodobnega družboslovja in odpira nove vidike diskusije o imperializmu. AH_2022_1_FINAL.indd 128 20. 01. 2023 08:30:39 Brane Senegačnik / La via romana e La poSSiBiLità di un‘ identità cuLturaLe aperta 129 O avtorju Brane Senegačnik je docent na Oddelku za klasično filologije Filozfske fakultete v Lju- bljani Glavno področje njegovega znanstvenega raziskovanja je grška tragedija. Obja- vil je več komentiranih prevodov iz grške, rimske in renesančne književnosti (med temi integralni prevod Pindarja), in študij o recepciji antične poezije v sodobnem času in o ontologiji poezije. Je tudi pesnik, publicist in literarni urednik. E-naslov: brane.senegacnik@gmail.com About the author Brane Senegačnik is Assistant Professor at the Department of Classical Philology in Ljubljana. His main research interest is Greek tragedy. He has published translations of several Greek and Roman tragedies, works of late Stoic and Renaissance philoso- phers and the complete extant poems of Pindar. He has authored and co-authored several monographs on different subjects (inter alia on Slovene culture in the so- called transition period and on the ontology of a lyric poem). He is also a poet and literary redactor. E-mail: brane.senegacnik@gmail.com AH_2022_1_FINAL.indd 129 20. 01. 2023 08:30:39