Anno I. Ninnerò 16. Capoclistria, sabato 28 dicembre 1918. Un numero cent. SO. Inserzioni : per ogni riga o frazione di riga larga 07 mm • ^•Vhnn,r™mer,ClalÌ Lire1'50- Av™ mortuari/comunicati d banche partecipazioni matrimonio o di fidanzamento Lare 2. Notizie nel corpo del giornale Lire 4. Avvisi 10 f^Lti011*-^'- ,d0rm^d0 d'ÌmPÌB^ « lavoro cent 10 a parola, minimo 1 L. Corrispondenza privata: cent. 20 la parola, minimo 2 L. In carattere magato il doppio, ______m marcassimo il triplo. Pagamenti antecipati. . L' Istria redenta esce, per ora, ogni venerdì. Abbonamento per 15 numeri Corone 4 anticipate. «isrex,^ ._______" t:r= Telefono No. 40 per V erezione di un Monumento NAZARIO S AU$0 Giovedì 26 corr., a ore 11 aut., nella vasta sala del Ricreatorio comunale in Santa Chiara, convenne il fiore della cittadinanza capodistriana a far novo plebiscito di fede e di amore all'Italia e ai suoi martiri. Convennero numerosissimi gl'intellettuali, i commercianti, gli industriali, gli artieri,' gli agricoltori, i pescatori, e una bella schiera di fanciulle, quelle fanciulle laboriose e gentili che formano l'orgoglio e il principale ornamento della nostra città. La solenne adunanza è aperta dal capitano marittimo Biagio Cobol, che, come presidente del Comitato promotore, porge a nome di questo il seguente saluto augurale: «Constato con vero piacere che siete accorsi numerosi al nostro appello. Lo scopo che qui ne riunisce senza distinzione di partito è santo e doveroso: si tratta di onorare i nostri martiri, e sopra , tutti il più grande, il nostro concittadino Capitano Nazario Sauro, il martire dell' Adriatico. Permettete che prima di aprire l'odierno convegno noi vi salutiamo entusiasticamente, e vi diciamo che dal saluto poco cordiale del 24 Maggio 1915, fin ci ni giorno felice del nostro ritorno a Capodistria, la prigionia prima, l'esilio poi hanno temprata l'anima nostra; la nostra fibra è più forte di prima. E come nel 1912, anno del suo pensionamento il Cap. Cobol si era imposto il motto del nostro grande Mazzini , «Patria e Famiglia», così oggi, eccolo a voi più forte di prima e vi promette di mantenersixsaldo nella sua nuova fede acquisita nel dolore, (benissimo.) Son terminati i tempi di una volta,-oggi è il popolo che deve sollevare la nazione, il popolo deve essere il primo giudice ed il primo esecutore di ciò che giova e onora la patria e l'umanità, (bene). Svegliamoci dal sonno che da troppo tempo ci assopisce, e senza distinzione di partiti, a nuova vita rinati sotto la egida del tricolore, mettiamoci all'opera, non solo per lo scopo che qui oggi ne aduna, ma per tutto quello che il nostro paese reclama. E col grido di evviva l'Italia, evviva Nazario Sauro e i martiri tutti, apriamo l'odierno convegno dando la parola al nostro segretario professor Quarantotto.» Il discorso del Prof. Quarantotto. Appena furon sedati gli applausi coi quali l'uditorio volle esprimere al vecchio lupo di mare la gratitudine per quanto egli sofferse e fece a vantaggio della italianità del suo loco natio, il principale oratore del comizio, il prof. Giovanni Quarantotto, pronunciò, nobile e fiero ad un tempo, il mirabile discorso che riproduciamo integralmente : Cittadini, centoventun anno fa, in un oscuro villaggio del Friuli, convenivano, solenni e misteriosi, un giovane generale francese e alcuni pochi uomini di stato austriaci. Un difficile compito li attendeva: essi dovevano por fine con una durevole pace a una guerra che imperversava sanguinosissima da quasi due anni. Noi non sappiamo tutt'i particolari delle loro discussioni, chele memorie dell'epoca dicono lunghe e tempestose: conosciamo però il testo e la portata delle stipulazioni da loro sottoscritte ; stipulazioni onde il nome del villaggio in parola — Campoformio — ha infame suono nella storia della regione nostra, in quell' incontro bassamente mercanteggiata da Napoleone all'Austria dopo quattro secoli di gloriosa italica libertà sotto la materna egida dell'im- nella sua città natale. mortale repubblica di Venezia. Ecco in che guisa, non chiamato da nessuno, da pochi desiderato, lo straniero venne, come disse il poeta, ad accamparsi armato fra noi ; ecco per quali vie, subdola e rapace, al maestoso leone di San Marco sottentrò la ripugnante aquila bicipite. Qui venuta in virtù del diritto del più forte, con tutte le armi consentite dalla efferatezza teutonica al diritto del più forte l'Austria qui si mantenne; e fu dominio che, salvo la breve ma radiosa interruzione del Regno italico al principio del secolo scorso, durò, sempre e tenacemente uguale a se stesso e alle proprie detestabili tradizioni di sopruso e di violenza, sino al 30 del passato ottobre, giorno in cui l'ira popolare, al primo sentore della grande decisiva vittoria delle armi fraterne al Piave, ne fece in brevi istanti, e per sempre, giustizia sommaria. Quello che i padri nostri e noi sotto l'Austria patimmo, è storia ancor fresca e palpitante, è storia che per più che mezzo secolo noi avemmo comune con gran parte dei fratelli nostri d'oltre Adriatico. Ma, ben più avventurati di ui>i, gì'italiani della Lombardia, e dtsl Veneto, trascorso il trentenne angoscioso periodo delle congiure e delle rivoluzioni, delle carceri e dei patiboli, vedevano in breve volger di tempo fatto pago il lungo lor desiderio di libertà e congiunte le terre loro alla rinascente Italia. A noi altra e assai più dura sorte era serbata : quella di dover gemere sotto il giogo dell'Austria sino al crollo di essa, nonostante il buon diritto nostro, nonostante i sentimenti nostri non mai nascosti nè mentiti, nonostante la parte da noi presa alle congiure e ai ri volgimenti d' Italia e al sangue da noi sparso così nelle guerre regie che in quelle garibaldine. La spèranza, no, la speranza non ci lasciò mai. Ci esaltava da giovani, ci consolava da vecchi. Passava, geloso retaggio, dai padri nei figli. Ma era una tenue, una incorporea speranza, fatta più di desiderio che di realtà, velata e violata ad ogni istante dallo zelo che l'Austria metteva in ogni atto che fosse per ribadire le nostre catene, disconosciuta e negata, almeno in apparenza, persino dai fratelli già liberi, quando le necessità della politica, atroci necessità, li spingevano a contrarre e a rinnovare quell'ibrido e innaturale connubio che fu la Triplice alleanza. E gli anni passavano, e i vecchi scendevano inappagati nel sepolcro, e i giovani ficcavano indarno nelle profondità dell'orizzonte l'ansioso acume della vista. Eppure, qualche cosa di nuovo, di inatteso e di grande andava nel frattempo, con lento ma sicuro processo, maturandosi nel chiuso grembo dell'avvenire. Noi non lo sapevamo, ma lo presentivamo. E il primo brivido lo a-vemmo quando l'Italia ruppe guerra alla Turchia. La Turchia, aveva predetto uno dei maggiori artefici del nostro nazionale risorgimento, Giuseppe Mazzini, la Turchia sarà la prima a cedere all'urto dei tempi nuovi che vogliono libere e padrone di sè- le varie nazioni; poi, sarà la volta dell'Austria-Più ancora fummo commossi dallo scoppiare delle guerre balcaniche, giacché era chiaro a tutti che massimamente in quella parte d'Europa così irrequieta e così aperta alle internazionali competizioni, si sarebbe potuta produrre da un istante all'altro la scintilla che avrebbe incendiato il continente intero e scatenato quella immane lotta univ^sale da sola la quale noi potevamo ormai sperare salute. Alle guerre balcaniche seguì qualche anno di pace; ma era — e tutti lo intuivano — la quiete che precede la burrasca. E finalmente la burrasca venne, e a scatenarla furon proprio coloro che, giusta gl'imparziali decreti della storica nemesi, ne dovevano divenire le vittime più cospicue e meno compiante, (applausi). Ciò che passasse nei cuori nostri il giorno, già infallibilmente promettitore di guerra, in cui l'Austria mandò alla piccola eroica Serbia il suo oltracotante ultimatum, non è facile dire: fuor di dubbio è che fu sin d'allora in noi la divina inebbriante certezza che la grande ora era prossima, giacché l'Italia,, resasi indipendente e una in grazia al principio di nazionalità, non mai avrebbe potuto schierarsi in guerra dalla parte di chi quel principio negava, anzi contro quel principio combatteva. Fu allora che, seguendo la costante tradizione nostrana di accorrere in terra italiana libera tostochè ci fosse sentore di lotta tra l'Italia e 1' Austria, fu allora che i gjpvini nostri, emuli pronti e generosi di quelli tra" i loro maggiori eh® nel '48, tnel o9, nei. '60, nel '66 e nei .'67